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Sidney Weintraub e i post-keynesiani d'America

2015

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Moneta e Credito, vol. 68 n. 271 (settembre 2015), 273-279 Sidney Weintraub e i post-keynesiani d’America ALESSANDRO RONCAGLIA* Accanto all’articolo di Carlo Panico, Francesco Purificato ed Elvira Sapienza (2015) sulle prospettive dell’integrazione monetaria europea, e all’ampia recensione di Hervé Baron (2015) sul libro di Bertocco (2015), questo numero di Moneta e Credito ripropone il contributo di Sidney Weintraub (1914-1983) alla serie di “Reminiscenze” e ricordi che per vari anni la nostra rivista è venuta pubblicando (Weintraub, 1983). Intendiamo così ricordare uno dei maggiori economisti del secolo scorso partecipando alle celebrazioni del centenario della sua nascita, avviate dalla rivista da lui fondata con l’aiuto di John Kenneth Galbraith e la condirezione di Paul Davidson, il Journal of Post Keynesian Economics (JPKE), che nel numero di settembre 2014 ripubblica, nella versione inglese, le sue “Reminiscenze” del 1983, assieme ad articoli di Jan Kregel (2014), attuale direttore del JPKE, dell’editore di quella rivista fin dalla sua fondazione, Myron Sharpe (2014), e del figlio Roy Weintraub (2014), economista e storico del pensiero economico come il padre, ma con una impostazione sostanzialmente diversa. Chi scrive ha vari debiti di gratitudine verso Sid: per la richiesta (sospetto mediata da Jan Kregel) di contribuire con un articolo su Sraffa a un volume collettaneo sul pensiero economico moderno che stava curando (Weintraub, 1977; Roncaglia, 1977), quando non era ancora uscita l’edizione inglese, curata da Kregel, del mio libro su Sraffa (Roncaglia, 1975); per l’invito a tenere seminari alla University of Pennsylvania e alla Temple University nell’autunno 1978; per l’inserimento nel Managing Board of Editors del JPKE fin dalla sua fondazione nel 1978; ma soprattutto per le tante discussioni, nei primi anni della Summer School for Advanced Economic Studies di Trieste * Sapienza Università di Roma; email: [email protected]. Quest’opera è distribuita con licenza internazionale Creative Commons Attribuzione ‒ Non commerciale ‒ Non opere derivate 4.0. Copia della licenza è disponibile alla URL http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/ 274 Moneta e Credito fondata da Sergio Parrinello con Garegnani e Kregel, e in occasione di conferenze e seminari, dal 1978 in poi, che permisero al giovane economista allievo di Sylos Labini a Roma e di Sraffa a Cambridge di comprendere, anche se non necessariamente di condividere, i punti di vista – per vari importanti aspetti diversi tra loro – dei maggiori postkeynesiani d’America: Sid stesso, Hyman Minsky, Paul Davidson e Jan Kregel, il più giovane e il più ‘europeo’ del quartetto. Come sottolinea Roy Weintraub (2014), il post-keynesismo americano nasce indipendentemente da quello della Cambridge inglese, di Kaldor e Kahn e Joan Robinson e tanti altri; inoltre, come cercherò di mostrare sia pur rapidamente, presenta caratteristiche distintive. In entrambi i filoni l’influenza marshalliana è forte, soprattutto nella fase iniziale. Il filone inglese se ne libera, almeno entro certi limiti, indirizzandosi verso l’analisi di lungo periodo. Questo metodo viene attribuito agli economisti classici, sulla scia del ritorno alla loro impostazione sostenuto, nella stessa Cambridge, da Piero Sraffa. Tuttavia, nei classici (e in Sraffa) una distinzione tra breve e lungo periodo proprio non c’è; possiamo trovare, piuttosto, una distinzione tra variabili teoriche (come i prezzi naturali o il saggio del profitto) e variabili ‘empiriche’ (come i prezzi di mercato; su questo punto cfr. Roncaglia, 2009, pp. 49-51). La distinzione tra lungo e breve periodo è, in realtà, un residuo dell’influenza marshalliana; ed è una distinzione assente dalle fondamenta teoriche dei principali contributi dei postkeynesiani statunitensi. Questi ultimi sono piuttosto interessati a collegare macro e microeconomia, probabilmente in antitesi alla sintesi neoclassica che, sempre negli Stati Uniti, si veniva affermando sotto l’impulso di Modigliani (1944; 1963) e di Samuelson, con le successive edizioni del suo libro di testo (Samuelson, 1948). La sintesi neoclassica, infatti, implica una netta dicotomia tra la macro e la microeconomia; all’interno della prima, i risultati keynesiani di possibilità di disoccupazione, e di opportunità di interventi fiscali e monetari per contrastarla, sono resi possibili da opportune assunzioni; all’interno della microeconomia, invece, la tradizionale teoria marginalista del valore e della distribuzione porta a riaffermare equilibri di piena occupazione per la concorrenza nel Sidney Weintraub e i post-keynesiani d’America 275 lungo periodo. In questo modo la microeconomia – la teoria del valore – domina analiticamente sulla macroeconomia, che risulta un caso particolare, sia pure di grande interesse in pratica. Proprio il capovolgimento di questo nesso, con la ricerca delle macrofondazioni della microeconomia, caratterizza l’impostazione postkeynesiana statunitense. Sia Minsky (1975) sia Weintraub (1957; 1959) indicano come i soggetti economici prendano le loro decisioni in modo diverso da quello implicito nella teoria marginalista, confrontandosi direttamente con l’incertezza che impedisce di conoscere le decisioni altrui e i loro esiti aggregati. Minsky esprime queste decisioni in termini di flussi (attesi) di entrata e uscita, i cui saldi periodo per periodo possono essere negativi anche per lungo tempo (“posizioni speculative” e “Ponzi”: si veda l’illustrazione fornita di recente in questa rivista in Roncaglia, 2013). Weintraub sviluppa un insieme di strumenti, in particolare la distinzione tra curve di domanda soggettive e oggettive, illustrati sinteticamente da Kregel (2014, pp. 4-5) e più ampiamente e in maggiore dettaglio in Kregel (1985). Sia Weintraub (1958) sia Minsky (1982) aggiungono a queste basi l’utilizzo del principio del costo pieno, secondo una impostazione simile a quella di Kalecki, che implica l’abbandono dell’ipotesi di concorrenza perfetta a favore di quella di forme di mercato oligopolistiche, affiancando così all’analisi del reddito e dell’occupazione analisi originali della distribuzione del reddito e dell’inflazione. Le differenze rispetto all’impostazione della Cambridge inglese sono notevoli anche per quanto riguarda la teoria della distribuzione. Weintraub la sviluppa in splendido isolamento, negli otto anni che impiega a scrivere An Approach to the Theory of Income Distribution (Weintraub, 1958). La pubblicazione di questo libro è di poco successiva al celebre articolo di Kaldor (1956) e al libro di Joan Robinson (1956) su The Accumulation of Capital; per quanto simile sul piano formale, è indipendente da questi lavori ed è sostanzialmente diversa. Come risulterà con maggiore chiarezza negli sviluppi ad opera di Pasinetti (1962; 1981), la ‘teoria di Cambridge’ si riferisce a un lungo periodo per il quale vale l’assunto di piena occupazione (o, quanto meno, di livello dato esogenamente del reddito e dell’occupazione): ha un carattere quindi più ‘normativo’ che interpretativo. Weintraub invece, come si accennava, 276 Moneta e Credito adotta un’impostazione più simile a quella di Kalecki, legata all’assunto di mercati oligopolistici nei quali vige il principio del costo pieno per quanto riguarda la fissazione dei prezzi: una teoria che, illustrandone le caratteristiche, Rothschild (1985) chiama “eclettica” (sul tema cfr. anche Appelbaum, 1985), e che comunque punta ad avere una valenza interpretativa della realtà capitalista, seguendo Kaldor, semmai, nell’utilizzo di riferimenti (in questo caso impliciti) a ‘fatti stilizzati’. Come accenna Weintraub stesso nel suo saggio autobiografico (2015, pp. 297-298), la sua intenzione è di sostituire l’ipotesi di un meccanismo di formazione dei prezzi basato sul costo pieno (e, almeno nelle versioni formalizzate della teoria, di un mark-up stabile) a quella friedmaniana di velocità della moneta stabile, che permetteva di porre la teoria quantitativa della moneta come pilastro fondamentale della costruzione macroeconomica. L’instabilità delle variabili monetarie e in genere del settore finanziario, che accresce l’incertezza con effetti negativi anche sulla crescita e sull’occupazione, oltre ad aprire la porta a crisi anche di grandi dimensioni, è un’altra caratteristica distintiva della teoria post-keynesiana statunitense, al centro in particolare dei contributi di Minsky (1982). Weintraub assume implicitamente l’esistenza dell’instabilità monetaria, ma concentra l’attenzione sull’inflazione più che sull’instabilità dei tassi d’interesse, e conseguentemente dedica le sue ricerche a sviluppare strumenti di politica economica anti-inflazionistica. Di qui quelli che forse sono i suoi contributi più noti, gli studi sulla TIP (Tax-based Incomes Policy) sviluppata con un certo successo negli ultimi anni della sua intensa attività di ricerca, che prevede una imposta progressiva sugli incrementi dei salari monetari (Weintraub, 1978: una raccolta di saggi teorici e di politica economica che permette di collegare la TIP alla sottostante elaborazione teorica). In questo modo, il perseguimento della piena occupazione non verrebbe più ostacolato dalla necessità di evitare un’inflazione elevata e in accelerazione quando la disoccupazione diminuisce, come avviene automaticamente per la sintesi neoclassica allargata ad incorporare la ‘curva di Phillips’. Da questo punto di vista, come osserva Sylos Labini (1985), la politica economica keynesiana non può limitarsi agli strumenti Sidney Weintraub e i post-keynesiani d’America 277 della politica fiscale e monetaria aggregata (che risultano poi sterilizzati, una volta ammessa la base di lungo periodo della teoria marginalista del valore e della distribuzione, come si verifica con l’introduzione dell’ipotesi delle aspettative razionali), ma deve aprirsi a una politica ‘sociale’ a tutto campo, che coinvolga imprenditori e sindacati in un rapporto di cogestione diretto a stabilizzare l’economia e a sostenere reddito, occupazione e crescita. Come farà Tarantelli con la sua proposta di adeguamento dei salari all’inflazione ‘programmata’ anziché a quella registrata di fatto (per l’esposizione più ampia di quella proposta e delle sue radici teoriche, cfr. Tarantelli, 1986), Weintraub si muove sul terreno di una cogestione diretta a stabilire assetti istituzionali vincolanti di regolazione degli aumenti salariali; Sylos Labini, più ecletticamente, non respinge questo tipo di interventi ma in concreto concentra l’attenzione su una cogestione fatta di singole misure, che permettono di ‘scambiare’ la moderazione salariale con riforme dirette a contenere le varie sacche di rendita presenti in una società come quella italiana, quindi ad aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori a parità del salario monetario. Il lavoro di ricerca teorico di Weintraub si colora così, come accade nel caso di tanti suoi amici – da Minsky a Sylos Labini, da Galbraith a Kregel – di un impegno etico, politico e sociale che spiega sia il suo fascino personale sia quel senso di appartenenza a un gruppo di protagonisti della ricerca economica dell’ultimo secolo, che si è formato attorno al cenacolo della rivista da lui creata e diretta nella più difficile fase dello sviluppo iniziale. BIBLIOGRAFIA APPELBAUM E. (1985), “Employment and the Distribution of Earned Income”, Journal of Post Keynesian Economics, vol. 7 n. 4, pp. 594-602. BARON H. (2015), “Note bibliografiche: Bertocco G., La crisi e la responsabilità degli economisti”, Moneta e Credito, vol. 68 n. 271, pp. 341-355 BERTOCCO G. (2015), La crisi e la responsabilità degli economisti, Francesco Brioschi Editore, Milano. KALDOR N. (1956), “Alternative Theories of Distribution”, Review of Economic Studies, vol. 23, pp. 94-100. 278 Moneta e Credito KREGEL J. 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