Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pagina 139
(Nero/Black pellicola)
Mauro RONZANI
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli.
Il reclutamento dei vescovi della «Tuscia» fra la morte di Enrico III
e i primi anni del pontificato di Gregorio VII (1056-1078)
Presentazione
Dopo aver ricevuto il lusinghiero invito a contribuire a questo
convegno con una relazione “toscana”, sono rimasto a lungo incerto
fra due impostazioni per così dire “estreme”: una “panoramica” che
abbracciasse tutto il secolo XI, o un intervento focalizzato sui pochi
ma cruciali anni nei quali si avvicendarono alla guida della Sede
Apostolica due presuli di diocesi toscane, ossia Gerardo di BorgognaNiccolò II (1058-1061), vescovo di Firenze dal 1045 circa, e Anselmo
da Baggio-Alessandro II (1061-1073), vescovo di Lucca dal 1056. Alla
fine, come indica il titolo, la scelta è caduta sullo studio di un
segmento cronologico ristretto, il solo in grado di consentirmi di
affrontare con la dovuta attenzione un episodio di grande rilievo e
ampia risonanza anche al di fuori dell’ambito toscano o italico, come
la dura e vittoriosa contestazione dei monaci vallombrosani nei
confronti del vescovo di Firenze Pietro Mezzabarba. Costui – è bene
segnalarlo sin da ora – non solo fu il successore immediato di
Gerardo-Niccolò II sulla cattedra episcopale di san Giovanni Battista,
ma vi ascese altresì con il consenso di Alessandro II, il quale lo difese
con decisione fin quasi all’ultimo, nonostante le gravissime accuse
mosse contro di lui. La vittoria dei Vallombrosani, “strappata” nella
primavera del 1068 con la deposizione del vescovo Pietro, segnò
indubbiamente una svolta nel pontificato di Alessandro II, e rappresentò un fattore di alterazione dell’equilibrio fra la «Chiesa d’Impero»
(la Reichskirche della storiografia di lingua tedesca) e la Sede Apostolica
romana.
Per essere compreso fino in fondo, nella sua portata generale
quanto – e soprattutto, visto il tema che voglio trattare – nei suoi
aspetti squisitamente “toscani”, questo episodio così famoso e “eclatante” va peraltro inquadrato in un contesto temporale un po’ più
ampio. Da una parte, è opportuno mostrare come non solo il pavese
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
140
31-08-2007
9:57
Pagina 140
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
Pietro Mezzabarba, ma anche altri fra i presuli che si trovarono a
guidare le diocesi della Tuscia nel decennio 1060-1070, non fossero
uomini diversi, per profilo personale e modalità d’ingresso nell’ufficio
vescovile, da tanti loro “benemeriti” predecessori della prima metà del
secolo XI; anche se una rassegna completa sarà fatta solo a partire dal
1056, l’anno chiave della morte prematura di Enrico III. E dall’altra
parte, si vedrà come l’uscita di scena del vescovo fiorentino, schiacciato dall’accusa di simonia, non comportò l’immediato cambiamento
del panorama vescovile della Tuscia, nei restanti anni del pontificato
di Alessandro II, e nemmeno con l’ascesa al soglio papale del suo
stretto collaboratore e “ispiratore” Ildebrando. A parte il caso di
Firenze, il ricambio dei presuli toscani fu negli anni ’70 piuttosto
lento: dopo Anselmo II da Baggio (succeduto nel 1073 allo zio
omonimo alla guida della Chiesa lucchese, ma pur egli debitamente
«investito» dell’episcopato da parte del re), e Guglielmo di Massa
Marittima, consacrato da Gregorio VII nel primo anno del suo pontificato, per veder comparire un vescovo veramente definibile come
«gregoriano» – in quanto scelto personalmente dal papa in vista
dell’espletamento di una missione di fiducia – dobbiamo aspettare
l’invio a Pisa, nella tarda estate del 1077, del milanese Landolfo, già
abate di Nonantola, che nel novembre dell’anno successivo proprio
Gregorio VII avrebbe salutato come il primo vescovo pisano che da
molto tempo in qua era asceso «nel rispetto dei canoni», ossia senza
ricevere l’investitura regia, che proprio nel 1078 il papa condannò in
modo definitivo e inequivocabile.
Nessuna incertezza sussiste, per contro, riguardo alla delimitazione
dell’ambito spaziale. Pur se fino al secolo XIV la «Tuscia» poté talora
essere descritta come se coincidesse sempre con l’antica «provincia»
dioclezianea (che comprendeva anche buona parte dell’Umbria)1, e
benché la «Marca» sviluppatasi nel secolo IX con l’allargamento
progressivo dell’autorità del conte di Lucca comprendesse propriamente, ancora nel secolo XI, solo una porzione della «Tuscia» appartenente al Regnum2, la storiografia medievalistica è da tempo avvezza a
riferirsi, per semplicità e comodità, all’ambito territoriale della
Toscana odierna. Così, il recente convegno pistoiese su «Vescovo e
città nell’alto medioevo», che costituisce il punto di riferimento più
prossimo di questa relazione, ha preso in esame tutte e solo le 12 sedi
vescovili di matrice tardoantica poste entro i confini suddetti, ossia (in
ordine alfabetico): Arezzo, Chiusi, Fiesole, Firenze, Lucca, Pisa,
Pistoia, Populonia (che proprio alla metà del secolo XI fu traslata a
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 141
(Nero/Black pellicola)
141
Massa Marittima), Roselle (trasferita a Grosseto nel secolo XII), Siena,
Sovana e Volterra3. Anche il mio discorso sarà perciò concentrato su
questi vescovati (con la forzata esclusione di Sovana, per cui le notizie
sono veramente troppo poche)4. Nel secolo XI, essi appartenevano
tutti alla provincia ecclesiastica di Roma, e avevano perciò nel papa il
loro metropolìta. Nel 1092 Urbano II innalzò Pisa a sede arcivescovile,
ma con autorità limitata ai vescovati della Corsica; e solo fra 1133 e
1138 Innocenzo II le sottopose una diocesi toscana: quella di Massa
Marittima5.
1. I vescovi toscani nella prima metà del secolo XI
Nella prima metà del secolo XI, non pochi furono in «Tuscia» i
vescovi che si segnalarono per iniziative di forte impegno (e talora
intrecciate fra loro) quali il ristabilimento della «vita comune» presso
la canonica della chiesa matrice del proprio vescovato (o la stessa
materiale ricostruzione di quest’ultima), la fondazione di monasteri,
la promozione del culto di santi locali attraverso la «scoperta»
(inventio) e la traslazione delle loro reliquie6. Tutti questi presuli manifestarono il dovuto ossequio sia nei confronti dell’imperatore da cui
avevano ricevuto l’«investitura» del proprio vescovato – qualcuno
giunse a chiamarlo pubblicamente, con naturalezza, il proprio «signore
feudale» (senior) –7, sia, all’occorrenza, verso il suo successore8. Va
altresì rilevato, che un buon numero di questi personaggi, abitualmente definiti dagli studiosi come «riformatori», non erano originari
della diocesi che si trovarono a governare, ma provenivano dalla
«Langobardia» (ossia dall’Italia padana) o addirittura dalle regioni
transalpine dell’Impero.
Grazie agli studi di Giovanni Tabacco, il “battistrada” di questa serie
di presuli assai solleciti della «restaurazione» disciplinare e materiale
della Chiesa vescovile loro affidata, può essere considerato il vescovo
aretino Elmperto, entrato in ufficio già nel penultimo decennio del
secolo X, e impegnato a ripristinare la «vita comune» presso la canonica episcopale di San Donato, iniziativa per la quale chiese e ottenne
l’appoggio di Ottone III9. Se di lui non conosciamo l’origine, dopo
l’incoronazione imperiale di Enrico II (1014) le sedi di Volterra,
Arezzo e Lucca furono assegnate a tre chierici di provenienza
“lombarda”: nell’ordine, il novarese Gunfredo (il fondatore del monastero suburbano dei Santi Giusto e Clemente, la cui figura e attività è
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
142
31-08-2007
9:57
Pagina 142
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
ricordata da una bella epigrafe sepolcrale)10, il famoso Tedaldo di
Canossa11, e Giovanni da Besate (uscito da una schiatta milanese che fu
un vero “semenzaio” di vescovi e chierici illustri)12. Fiesole ebbe invece
un vescovo “bavarese”, lo Iacopo celebre per lo spostamento della sede
vescovile entro l’«oppidum» murato e la fondazione del monastero di
San Bartolomeo presso l’ex chiesa matrice posta ai piedi del monte13.
Per l’età di Corrado II (1024-1039) possiamo ricordare l’altro
“teutonico“ Immone, già membro della Chiesa di Worms, e inviato ad
Arezzo a succedere a Tedaldo fra 1036 e 103714; e durante il regno di
Enrico III (incoronato imperatore nel 1046) arrivarono in Tuscia il
borgognone Gerardo, attestato come vescovo di Firenze dal 104515, e
il milanese Anselmo da Baggio, che fu «investito» del vescovato di
Lucca nel 1056, pochi mesi prima della morte dell’imperatore16. Più
tardi, durante il breve pontificato di Niccolò II (il quale, come
abbiamo già accennato, conservò anche l’ufficio di vescovo di
Firenze)17, la sede vescovile di Pisa fu assegnata al pavese Guido (sotto
il cui governo, durato fino alla primavera del 1076, fu iniziata come è
noto la costruzione del Duomo che ancor oggi ammiriamo)18.
Sempre negli anni di Gerardo-Niccolò II ebbero un nuovo presule i
vescovati di Fiesole19 e Roselle, e forse anche quelli di Populonia e
Sovana20: dei personaggi in questione, conosciamo le origini di
Dodone, che prima di ottenere la cattedra di Roselle, nel 1060, era
stato canonico della chiesa vescovile fiorentina21, e di Tegrimo, attestato come episcopus populoniensis dal 1059 al 1062, e appartenente alla
famiglia dei nobili di Staggia (che al principio del secolo aveva
fondato il cenobio valdelsano di San Salvatore all’Isola)22. I vescovi
delle altre sedi della Tuscia attivi al tempo di Niccolò II erano invece
entrati in ufficio prima della morte di Enrico III: il “decano” era il
senese Giovanni, attestato sin dal 103723, seguito a ruota dal pistoiese
Martino (la cui prima notizia è del maggio 1043)24 e dal volterrano
Guido, in ufficio almeno dal novembre 1044 (e destinatario nel 1052
di un importante diploma di Enrico III)25; mentre l’aretino Arnaldo
era succeduto a Immone fra la fine del 1051 e l’inizio del 1052,
quando ricevette anch’egli da Enrico III un diploma con la concessione dei poteri comitali26.
2. Lo scisma di Cadalo e le sedi vescovili toscane (1061-1065)
Come è noto, nei primi mesi del 1061 una parte dell’episcopato
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 143
(Nero/Black pellicola)
143
germanico pronunciò una sorta di «condanna» nei confronti di
Niccolò II, così che alla morte di costui, avvenuta a Firenze il 20 luglio
dello stesso anno, i normali canali di comunicazione fra la Sede
Apostolica, la corte del re Enrico IV (guidata allora da sua madre
Agnese) e la Reichskirche erano di fatto interrotti. La situazione non
migliorò per tutto il resto dell’estate, e l’elezione a papa del vescovo di
Lucca Anselmo da Baggio, tenutasi a Roma il 30 settembre, non ebbe
dalla corte regia né il consenso preventivo che nel 1058 era stato
espressamente richiesto sul nome di Gerardo dai cardinali vescovi,
allontanatisi da Roma dopo l’elezione del «tuscolano» Benedetto X, e
neppure l’approvazione ex post che nel 1057 era stata accordata all’elezione fulminea di Federico di Lorena a successore di Vittore II con il
nome di Stefano IX. Al contrario, questa volta la vedova di Enrico III e
suoi consiglieri accolsero le proteste giunte da alcuni esponenti dell’aristocrazia romana e da una parte consistente dell’episcopato dell’Italia settentrionale e delle regioni transalpine dell’Impero; e il 28 ottobre, a Basilea, il vescovo di Parma Cadalo fu eletto papa in forza dei
diritti derivanti al giovane Enrico IV dal «patriziato» su Roma che, già
detenuto e concretamente esercitato da suo padre fra 1046 e 1055, gli
fu in quell’occasione formalmente riconosciuto. Si aprì così uno
«scisma» ben più grave e complicato di quelli verificatisi a Roma nel
1044-1045 e nel 105827. Se già dall’aprile 1062, in virtù del “colpo di
stato” con cui l’arcivescovo di Colonia Annone II sottrasse ad Agnese
la tutela di Enrico IV28, la corte regia prese apertamente le distanze
dal papa eletto a Basilea e abbandonò la posizione di chiusura nei
confronti di quello eletto a Roma e (circostanza non ininfluente) già
materialmente «intronizzato» sulla cattedra di san Pietro, la questione
restò aperta ancora per diversi anni, in tanto in quanto essa si intrecciò con altri complessi problemi: gli equilibri di potere intorno al re
(dichiarato adulto a 15 anni, nel marzo del 1065); il ruolo politico in
Italia di Goffredo il Barbuto, secondo marito di Beatrice e marchese di
Tuscia; i difficili rapporti fra la Sede Apostolica e le metropoli ecclesiastiche di Milano e Ravenna; e, last but not least, la non piena coincidenza di vedute circa la via da seguire per chiudere lo scisma, fra i
personaggi più vicini ad Alessandro II (e in particolare, come
vedremo, fra l’arcidiacono Ildebrando e Pier Damiani, cardinale
vescovo di Ostia). Così, dopo l’esito interlocutorio della dieta di Augusta del 27 ottobre 1062 (che incaricò il vescovo di Halberstadt di accertare le condizioni in cui era avvenuta l’elezione romana di Alessandro
II), nemmeno il concilio tenutosi a Mantova fra la fine di maggio e
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
144
31-08-2007
9:57
Pagina 144
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
l’inizio di giugno del 1064 poté dirsi veramente risolutivo, perché il
riconoscimento accordato in quell’occasione ad Alessandro II da
Annone di Colonia, nelle vesti ufficiali di arcicancelliere imperale per
l’Italia e legato regio ad hoc, già nei mesi successivi fu, se non proprio
formalmente revocato, rimesso in discussione con l’indebolirsi dell’influenza esercitata a corte dall’arcivescovo renano. E se, di fatto, dopo
il 1064 Cadalo rappresentò per Alessandro II una minaccia meno
acuta ed impellente rispetto al triennio precedente, egli continuò
tuttavia a proclamarsi «electus apostolicus» fino alla morte (sopraggiunta alla fine del 1071), riuscendo anche, in qualche momento, a
dare l’impressione di poter rientrare effettivamente in gioco29.
Per tornare a concentrarci sul nostro tema specifico, dobbiamo
constatare che proprio negli anni immediatamente successivi alla
doppia elezione papale dell’autunno 1061 il panorama dei vescovi
toscani subì un forte cambiamento: in una buona metà delle sedi, il
presule in ufficio al tempo di Niccolò II morì, e il suo posto fu preso
da un nuovo personaggio. Oltre che a Firenze, rimasta priva di
vescovo con la morte di Gerardo-Niccolò II, ciò accadde sicuramente
ad Arezzo, Volterra e Massa Marittima; ed è assai probabile che anche
Leone di Pistoia e Lanfranco di Chiusi, attestati per la prima volta in
occasione del sinodo romano del febbraio 106530, fossero ascesi sulle
rispettive cattedre vescovili fra 1061 e 1064. In base alle fonti disponibili – che in qualche caso, invero, sono francamente esigue – sembra
lecito affermare che questo “ricambio” di proporzioni indubbiamente
consistenti poté compiersi talora con una certa lentezza, ma non lasciò
strascichi particolari: con la sola, pur se rilevante, eccezione di
Firenze. Qui, come è noto, la presenza del successore di Gerardo di
Borgogna come «episcopus Florentinus» regolarmente consacrato e
operante è attestata esplicitamente nel gennaio 106531; ma di lì a qualche tempo, i monaci vallombrosani cominciarono ad accusarlo di aver
ottenuto il proprio ufficio vescovile in modo simoniaco.
Ciò che accadde in seguito alla reiterazione vieppiù insistita di tali
accuse, ci è raccontato in modo quanto mai loquace e colorito da un
manipolo di fonti narrative, coeve o non molto posteriori, che peraltro, con la sola eccezione di una lettera di Pier Damiani, si basano
sulla versione dei fatti elaborata dai Vallombrosani stessi, e da essi affidata dapprima alla cosiddetta Lettera dei Fiorentini ad Alessandro II32,
quindi alla Vita di san Giovanni Gualberto scritta da Andrea di
Strumi33, e infine, ma ormai nel secolo XII, all’ulteriore, breve Vita di
autore anonimo34, che in certi passi denuncia chiaramente l’intento
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 145
(Nero/Black pellicola)
145
di troncare ogni dubbio residuo sulla legittimità dell’operato dei
monaci, fornendo la prova inconfutabile della colpevolezza del
vescovo Pietro, e togliendo ogni autorevolezza alla posizione di chi,
come Pier Damiani, aveva aspramente criticato la “campagna” lanciata
dai confratelli di Giovanni Gualberto. In effetti, prima che questa Vita
Anonima mettesse in bocca al padre del vescovo una pittoresca, esplicita “ammissione di colpevolezza”35, l’unica “prova” della fondatezza
dell’accusa lanciata contro il successore di Gerardo di Borgogna era
stata offerta dall’esito dell’ordalia (o, appunto, “prova del fuoco”)
inscenata davanti al monastero di San Salvatore di Settimo il 13
febbraio 1068; esito che, sapientemente descritto nella già menzionata
«Lettera» indirizzata ad Alessandro II dal «clero e dal popolo fiorentino»36, portò alla rimozione del vescovo di Firenze dall’ufficio, deliberata dal sinodo tenutosi a Roma all’inizio d’aprile dello stesso anno.
Dopo aver convinto il papa (che in precedenza s’era mostrato di
tutt’altro avviso), i padri sinodali e, per loro tramite, autori come Desiderio di Montecassino e Bernoldo di Costanza37, il dossier elaborato
dai Vallombrosani, inserito nella prima agiografia di Giovanni Gualberto e perfezionato dalle “rivelazioni” contenute nella Vita del secolo
XII, è stato, da allora in poi, sempre considerato come fonte tanto
eloquente quanto fededegna, così che la veritas “scoperta” e propugnata dai monaci vallombrosani è divenuta “verità storica” comunemente accettata38, un dato acquisito che solo di recente la storiografia
italiana ha cominciato a riconsiderare con una certa prudenza39;
mentre già dall’inizio degli anni ’70 del Novecento uno studioso come
Rudolf Schieffer aveva brillantemente dimostrato che le accuse di
acquisto simoniaco della dignità vescovile, lanciate fra 1069 e 1075
contro alcuni presuli di sedi tedesche, erano in realtà solo un pretesto
di facile efficacia comunicativa, dietro al quale si nascondevano
questioni di tutt’altro genere40.
Per quanto riguarda le vicende fiorentine culminate con l’ordalia
del 13 febbraio 1068, l’impostazione storiografica corrente è rimasta a
lungo quella elaborata fra Otto e Novecento da Robert Davidsohn,
l’infaticabile e benemerito autore di quei monumenti ancor oggi
preziosi che sono la Geschichte von Florenz e le relative Forschungen41.
Poiché la Vita Anonima di Giovanni Gualberto, dallo stesso Davidsohn
edita e valorizzata, sembrava contenere la prova inoppugnabile del
fatto che l’ufficio di vescovo di Firenze era stato assegnato a Pietro
Mezzabarba dietro corresponsione di un’ingente somma alla corte
(ovvero alla «camera») imperiale, allo storico non restava che chie-
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
146
31-08-2007
9:57
Pagina 146
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
dersi “quando e dove” tale mercanteggiamento fosse avvenuto; e la
risposta, apparentemente verosimile e corretta, fu che il Mezzabarba
era stato chiamato a succedere a Gerardo-Niccolò II alla guida della
Chiesa vescovile fiorentina di San Giovanni Battista contestualmente
all’elezione papale di Cadalo, ossia nel corso dell’assemblea di Basilea
del 28 ottobre 1061, cui parteciparono molti vescovi di diocesi
lombarde. Come il nuovo papa eletto da Enrico IV in forza dell’autorità di patricius Romanorum uscì dalle loro fila, così la scelta (e l’investitura) del nuovo vescovo dell’altra sede lasciata vacante da Niccolò II
poté ben cadere pur essa su un chierico “lombardo”, di famiglia tanto
facoltosa quanto fedele all’Impero42.
L’ipotesi formulata da Davidsohn, e accolta fra gli altri da Miccoli43,
è però francamente insostenibile. Quand’anche Pietro Mezzabarba
fosse stato «eletto» a Basilea e là – o in un’occasione prossima – avesse
ricevuto dal re l’investitura del vescovato, avrebbe poi dovuto ricevere
anche la consacrazione episcopale. Tale atto spettava al papa (o ad un
altro vescovo da lui espressamente delegato), e il fatto che Alessandro
II, di lì a qualche anno, si rivolgesse a Pietro come a un vescovo regolarmente consacrato, porta a escludere che egli fosse asceso sulla
Cattedra di san Giovanni Battista senza l’intervento diretto o comunque l’assenso esplicito del papa eletto a Roma il 30 settembre 1061.
Tanto più che Alessandro non avrebbe mai potuto accettare come
legittimo un atto compiuto dall’assemblea che aveva innalzato al
papato colui che ai suoi occhi non era un semplice avversario, ma un
nemico pernicioso della Chiesa di Roma.
Nemico acerrimo di Cadalo, e infaticabile sostenitore della legittimità del papa eletto a Roma il 30 settembre 1061 fu anche, come è
ben noto, Pier Damiani44. Ebbene, nella famosa lettera da lui indirizzata, probabilmente nella quaresima del 1067, ai cives e ai «monaci»
fiorentini per ribadire per iscritto le posizioni da lui sostenute nel
corso di una recente visita in città, il cardinale vescovo di Ostia usò a
proposito di Pietro Mezzabarba delle espressioni che, da una parte,
non consentono alcun dubbio sul fatto che egli lo considerasse nella
pienezza delle sue funzioni e, dall’altra, lasciano intendere piuttosto
chiaramente che le argomentazioni dei difensori del presule gli
sembravano più solide e fondate di quelle di coloro che lo accusavano
di aver ottenuto l’ufficio vescovile con la simonia: «vi è una controversia riguardo al vostro vescovo, che alcuni di voi opinano che si sia insinuato venalmente, mentre altri affermano con la libertà di un animo
fermo che è entrato (in ufficio) gratuitamente e attraverso la porta (di
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 147
(Nero/Black pellicola)
147
Cristo). I primi, muovendo l’accusa, cercano di provare la loro
opinione con contestazioni turbolente; i secondi, argomentando a
difesa, respingono l’accusa in base a ciò che dichiarano di sapere»45. I
verbi usati per esprimere gli atti e i convincimenti delle due parti non
sembrano scelti a caso: all’iterazione di opinari corrispondono prima
confirmare e poi scire.
Pier Damiani (ma lo stesso vale anche per Alessandro II) ostentava
dunque di non essere a conoscenza di elementi tali da consentire di
affermare che il vescovo in ufficio a Firenze in quegli anni avesse
potuto macchiarsi di simonia46. Come dicevamo, questa accusa fu
lanciata dai Vallombrosani contro il solo Pietro Mezzabarba: nessun
altro dei vescovi toscani entrati in ufficio negli anni più “caldi” dello
scisma di Cadalo fu – che si sappia – toccato da un siffatto sospetto
grave e infamante. Ermanno, il presule asceso sulla Cattedra volterrana fra 1061 e 1064, ha addirittura un posto di rilievo nella «Vita» di
Giovanni Gualberto scritta da Andrea di Strumi, in quanto è il destinatario di una lettera del Santo, in cui sono enumerate le virtù da praticare e i vizi da fuggire per esercitare nel modo più degno il ministero
episcopale47. Il nome portato da questo presule (che rimase in ufficio
fino a una data compresa fra il 6 agosto 1073 e il I novembre 1076)48
ha fatto parlare di una sua origine germanica; ma si tratta di una
semplice supposizione49.
Molto più lungo e movimentato fu il governo del vescovo di Arezzo
Costantino, che nel settembre 1064, ossia pochi mesi dopo il concilio
di Mantova, accolse nella propria diocesi Alessandro II e ottenne da
lui un privilegio in favore dei canonici della sede vescovile aretina di
San Donato50. Nel gruppo dei presuli toscani giunti in ufficio fra 1061
e 1065, egli è l’unico di cui sia possibile conoscere con una certa precisione la data d’inizio dell’episcopato, che coincide di norma con l’ordinazione. In un suo diploma dell’11 novembre 1078, con il quale
annunciava al clero e al popolo della sua diocesi di aver concesso ai
canonici di San Donato i diritti connessi con la «custodia» della chiesa
vescovile, nella formula di datazione cronica è indicato infatti non
solo l’anno corrente di governo (il XVI), come si trova di solito in
questo tipo di documenti, ma anche l’ordinale del mese (l’XI)51:
siamo così ricondotti ad un periodo compreso fra l’11 dicembre 1062
e il 10 gennaio 106352, che corrisponde esattamente al tempo della
missione in Italia di Burcardo vescovo di Halberstadt (e nipote di
Annone di Colonia), che l’assemblea di Augusta del 27 ottobre 1062
aveva incaricato di verificare le circostanze in cui era avvenuta l’ele-
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
148
31-08-2007
9:57
Pagina 148
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
zione romana di Anselmo da Baggio. Come è noto, l’esito di tale
inchiesta rappresentò un primo importante passo verso il riconoscimento di Alessandro II da parte della corte regia, tanto che il 13
gennaio 1063, subito dopo la conclusione della missione, il papa
ringraziò Burcardo concedendogli l’onore del pallium e altri privilegi53. Se poi si aggiunge che Alessandro II in quel periodo risiedeva a
Lucca (la città di cui aveva mantenuto il vescovato), non sembra azzardato supporre che fra dicembre 1062 e gennaio 1063 si fossero create
le condizioni favorevoli perché Costantino, di cui non sappiamo
quando e come fu «eletto», potesse salire sulla Cattedra aretina di san
Donato munito di entrambi i requisiti che allora (e fin dopo la metà
del decennio successivo) erano indispensabili a un vescovo della
Tuscia appartenente al regno Italico per poter iniziare a governare
nella pienezza dei propri poteri così spirituali come temporali: la
consacrazione ecclesiastica e un esplicito, formale beneplacito da
parte dell’autorità regia.
Queste considerazioni potrebbero, in teoria, valere anche per altre
sedi vescovili toscane: in particolar modo per la testé menzionata
Volterra (la cui posizione nei confronti dell’Impero era stata regolata,
al pari di quella di Arezzo, nel 1052 da Enrico III), e forse pure per
Firenze. A questo riguardo – è il momento di ricordarlo – un documento permette di affermare con ragionevole sicurezza che nel tardo
autunno del 1062 la sede vescovile fiorentina era ancora vacante. Il 24
novembre, da Lucca, Alessandro II emanò infatti un privilegio in
favore del «preposto della santa Chiesa fiorentina e degli altri suoi
confratelli canonici», che riprendeva in modo quanto mai puntuale
quello rilasciato ai canonici nel 1050 da Leone IX su richiesta dell’allora vescovo fiorentino Gerardo, senza fare però alcuna allusione all’esistenza di un successore di costui54; e tale silenzio è tanto più notevole, in quanto, nell’ulteriore rinnovazione del medesimo privilegio
effettuata nel 1076 da Gregorio VII, fu inserita nella narratio la
menzione della richiesta presentata al pontefice dal vescovo fiorentino
allora in ufficio, il Ranieri che (come vedremo) era salito sulla Cattedra di san Giovanni Battista fra 1071 e 1072, dopo la lunga sedevacanza seguita alla deposizione di Pietro Mezzabarba55. Rinnovando
con gli opportuni aggiornamenti nell’elenco dei beni il privilegio di
Leone IX (che, peraltro, riprendeva a sua volta lo schema del documento con cui, nel novembre del 1036, Benedetto IX aveva confermato le donazioni disposte dal presule Attone, promotore del ripristino della «vita comune» presso la canonica vescovile fiorentina)56,
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 149
(Nero/Black pellicola)
149
Alessandro II intese dunque rassicurare i canonici fiorentini che la
consistenza patrimoniale raggiunta dall’ente presso cui essi «conducevano la vita canonica» grazie al favore dimostrato dagli ultimi due
vescovi diocesani (Attone e Gerardo-Niccolò II) non correva rischi
nell’attuale situazione di sedevacanza, perché era tutelata direttamente dall’autorità apostolica.
Entrando poi nel terreno delle ipotesi, potremmo anche pensare
che il papa volesse preparare il terreno in vista di una «elezione»
vescovile che avrebbe in ogni caso dovuto coinvolgere i canonici di
San Giovanni. Vi è infatti ragione di ritenere che, quando Pietro
Mezzabarba diventò vescovo di Firenze, lo fece con l’assenso e probabilmente tramite l’elezione formale dei canonici. La cosiddetta Collectio Britannica ci ha tramandato un frammento di una lettera indirizzata
da Alessandro II, in data imprecisata, «al preposto della Chiesa fiorentina», per lamentare che alcuni membri della canonica avessero
seguito il loro vescovo ultra montes e si fossero presentati dietro suo
ordine davanti alla «corte regia, perché lì fossero esaminati l’ingresso
in ufficio e la condotta di vita di costui»: ciò che costituiva un oltraggio
nei confronti della Sede Apostolica, visto che «a nessun re o imperatore era lecito trattare i negozi ecclesiastici»57. Questo breve testo –
che in verità (visto il modo in cui ci è giunto) potrebbe anche riferirsi
ai canonici di una Ecclesia diversa da quella indicata nel titolo sotto cui
è riportato nella Collectio Britannica – è stato finora considerato come
la conferma dei rapporti intercorsi fra il vescovo Pietro Mezzabarba e
la corte regia di Enrico IV, e datato generalmente al 1062, in quanto
non poteva essere «troppo posteriore» al momento in cui il presule
aveva raccolto la successione del defunto Gerardo-Niccolò II58. Rimandando la discussione di questo specifico problema ad un punto ulteriore del nostro discorso, ci sembra che, dalle parole usate dal pontefice, risulti chiaramente che quel viaggio ultra montes fu compiuto da
Pietro – se è di lui che si parla! – quando egli era già a tutti gli effetti
vescovo di Firenze, ossia era ormai «entrato» in ufficio e aveva già alle
spalle un periodo di governo: ciò si desume sia dalla frase «ut ibi
introitus et vita eius examineretur», sia – e forse ancor di più – dall’irritazione manifestata dal pontefice, comprensibile, nei termini in cui
viene espressa, solo qualora l’«esame» inscenato presso la corte riguardasse un vescovo già regolarmente consacrato, le cui eventuali colpe
circa «l’ingresso in ufficio e la condotta di vita» avrebbero dovuto
essere accertate e giudicate solo dalla Sede Apostolica. Inoltre, il
preceptum di recarsi a testimoniare, rivolto dal vescovo ai suoi canonici,
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
150
31-08-2007
9:57
Pagina 150
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
si spiega solo immaginando che costoro fossero bene informati circa
le circostanze che la regia curia intendeva appurare, e che, quindi, avessero partecipato direttamente alla procedura con cui Pietro era
«entrato» nell’ufficio.
3. La nomina di Pietro Mezzabarba: la veritas vallombrosana e il problema
storico
Come vedremo fra poco59, il frammento della lettera alessandrina
tramandato dalla Collectio Britannica acquista un senso solo se collocato
in un contesto diverso da quello ipotizzato dal Davidsohn; e, in ogni
caso, non fu in occasione di quel viaggio oltralpe che furono compiuti
gli atti, o furono stretti gli accordi, che avrebbero poi dato ai monaci
vallombrosani il motivo – peraltro da loro sempre espresso in modo
non circostanziato – per accusare Pietro di essere divenuto vescovo in
modo simoniaco, ovvero, per dirla con le parole usate nella «Vita di
Giovanni Gualberto» di Andrea di Strumi per aprire la pagina dedicata al racconto degli avvenimenti forentini culminati con l’ordalia del
1068, di aver «invaso la sede fiorentina facendo intervenire di nascosto
del denaro»60. Questa, e semplicemente questa è la veritas che
Giovanni Gualberto e i suoi confratelli monaci, dopo esserne venuti a
conoscenza, decisero di «non tenere più nascosta», anche al prezzo
della morte: «elegerunt itaque vitam mortalem potius perdere quam
veritatem celare»61. E fu per comprovare definitivamente questa
semplice «verità» che fu allestita la prova del fuoco, che il monaco (e
futuro cardinale) Pietro affrontò dopo aver pronunciato «ad alta voce,
mentre lo ascoltavano piangendo quasi tre mila persone», la seguente
preghiera: «o Signore Gesù Cristo, vera luce di tutti coloro che
credono in te, invoco la tua misericordia, imploro la tua clemenza,
affinché, se Pietro pavese, che è detto vescovo fiorentino, ha ghermito la
sede fiorentina con l’intervento del denaro, ossia con la consegna manuale di
una ricompensa, ciò che è eresia simoniaca, tu, Figlio dell’Eterno Padre,
mia salvezza, accorri ad aiutarmi in questo tremendo giudizio e
conservami miracolosamente illeso senza alcuna ustione»62.
Generica e apodittica quanto si vuole, la veritas propugnata dai
Vallombrosani e divenuta ben presto la “verità ufficiale” (anche agli
occhi degli storici novecenteschi!) doveva comunque potersi riferire
ad una qualche circostanza concreta, che fosse largamente nota,
almeno nel suo andamento esteriore. Eccoci così posti nuovamente di
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 151
(Nero/Black pellicola)
151
fronte al nodo cruciale del nostro discorso. Alla luce di quanto fin qui
detto, il quesito potrebbe essere formulato in questi termini: quando e
come Pietro Mezzabarba poté ottenere dalla corte regia di Enrico IV
quel beneplacito, ovvero quella vera e propria «investitura» che gli
spianò la strada verso la successiva ordinazione episcopale per mano
di Alessandro II o di un vescovo di sua fiducia, ma fu poi individuata
come l’occasione in cui egli avrebbe versato del denaro sonante, così
da macchiarsi dell’«eresia simoniaca»?
Come si ricorderà, una prima, ipotetica risposta è già stata abbozzata nelle righe precedenti: come Costantino di Arezzo (e forse anche
Ermanno di Volterra), così anche Pietro Mezzabarba sarebbe potuto
entrare in ufficio alla fine del 1062, in concomitanza con la presenza
in Toscana di Burcardo, vescovo di Halberstadt, incaricato dall’assemblea di Augusta di verificare le condizioni in cui era avvenuta l’elezione romana di Alessandro II. Burcardo era nipote dell’arcivescovo di
Colonia Annone, che dall’aprile di quell’anno aveva assunto di fatto la
reggenza del dodicenne Enrico IV: una volta accertata la “non irregolarità” dell’elezione papale di Anselmo da Baggio, sussistevano certamente le condizioni perché Firenze avesse un nuovo vescovo gradito
tanto alla corte regia quanto al papa; e sarebbe anche del tutto
normale pensare che in un contesto siffatto, in cui Alessandro II aveva
bisogno del riconoscimento ufficiale di quella corte (e del sostegno
militare di Goffredo il Barbuto!), il “gradimento” regio fosse, fra i due,
quello decisivo.
Questa ipotesi è verosimile, ma ha il difetto di non offrire una spiegazione pienamente soddisfacente su almeno due fronti. Da un lato, vi
è il fatto che il primo documento relativo al governo vescovile di
Pietro Mezzabarba compare solo nel gennaio 1065 (mentre per
Costantino di Arezzo ed Ermanno di Volterra le attestazioni disponibili cominciano un po’ prima, nel 1064). E se questa è una difficoltà
relativa, visto che la documentazione fiorentina è per questo periodo
discreta ma non ricchissima (e, soprattutto, le testimonianze superstiti
dell’attività del Mezzabarba sono davvero poche), dall’altro lato si
farebbe francamente fatica a capire perché i monaci vallombrosani
decidessero di scatenare la loro “guerra” contro un vescovo che fosse
entrato in ufficio nelle circostanze che si sono appena viste. La
durezza e la determinazione dell’attacco vallombrosano, all’insegna di
una veritas da imporre ad ogni costo, senza riguardo tanto per gli
assetti istituzionali “civili” quanto per le gerarchie ecclesiastiche, ci
sembra richiedere una spiegazione diversa, che sappia inserire l’episo-
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
152
31-08-2007
9:57
Pagina 152
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
dio, in sé circoscritto, dell’assegnazione della sede vescovile fiorentina
a Pietro Mezzabarba, in un contesto sufficientemente ampio da poter
contenere tutti i non pochi elementi in gioco.
È infatti ben vero – ed è stato spesso osservato – che la civitas fiorentina aveva acquisito nel progredire del secolo XI un ruolo assai importante nel sistema di governo della Marca di Tuscia. Dal 1057 quest’ultima era nelle mani di un personaggio di rilievo “internazionale”
come Goffredo il Barbuto63, la cui lealtà e collaborazione erano
importanti sia per il controllo dell’Italia peninsulare da parte dell’Impero, sia per la sicurezza e la libertà d’azione della Sede Apostolica,
che dal 1046 era guidata da pontefici molto diversi da quelli della
prima metà del secolo, e dal 1056 aveva perso l’appoggio essenziale di
Enrico III. Il ruolo politico di Goffredo si era anzi accentuato con il
“colpo di stato” effettuato a Kaiserswerth nell’aprile 1062 da Annone
di Colonia: appena un mese dopo, il marchese era intervenuto a
Roma per fermare l’attacco militare lanciato da Cadalo, inducendo i
due contendenti a rientrare temporaneamente nelle rispettive sedi
vescovili (e quella di Anselmo-Alessandro II era Lucca, nel “cuore”
originario della Marca di Tuscia!); e poco dopo la conclusione della
missione italiana di Burcardo di Halberstadt, lo stesso Goffredo
riportò Alessandro II a Roma64. Da qui, il pontefice si sarebbe mosso
solo nel seguente anno 1064, per recarsi a Mantova, la città “canossana” scelta per ospitare il concilio che avrebbe dovuto chiudere una
volta per sempre lo scisma papale, mercé il definitivo pronunciamento
della corte regia in favore dell’uno o dell’altro dei contendenti.
Come è ben noto, grazie al preciso racconto offerto dagli Annales
Altahenses (ma anche alla descrizione tendenziosa ma non priva di
senso di Benzone d’Alba), anziché un vero e proprio “processo”, a
Mantova fu celebrata la riconciliazione fra l’Impero e la Sede Apostolica di Alessandro II, sotto gli auspici (e la tutela armata) di Beatrice,
moglie di Goffredo il Barbuto65; e mentre è certo che Pier Damiani si
era molto adoperato con Annone per arrivare a questo tipo di soluzione, accettando in tal modo senza difficoltà il principio che l’ultima
parola sulla legittimità dell’elezione romana del 30 settembre 1061
spettasse all’autorità regia66, sembra proprio che l’arcidiacono Ildebrando, oltre a biasimare fortemente le mosse compiute dal cardinale
vescovo di Ostia67, marcasse la propria ostilità nei confronti dell’assise
convocata a Mantova, evitando di parteciparvi68. Ora, abbiamo già
osservato che Pier Damiani, occupandosi nel 1067 della situazione
creata nella diocesi fiorentina dalla contestazione dei Vallombrosani
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 153
(Nero/Black pellicola)
153
contro il vescovo Pietro, non solo criticò aspramente i metodi seguiti
dai monaci, ma lasciò anche trapelare abbastanza chiaramente la
propria convinzione che la posizione canonica del presule non fosse
irregolare69; e di tale netta ostilità contro contenuti e forme delle loro
proteste, i Vallombrosani si sarebbero ricordati ancora molti decenni
dopo, come mostra efficacemente la descrizione del sinodo romano
della primavera del 1067 contenuta nella Vita Anonima di Giovanni
Gualberto. Dopo aver riportato le parole che in tale occasione avrebbero pronunciato contro i monaci Pier Damiani e il vescovo Rinaldo
di Como (rimbeccato duramente dall’abate Rodolfo di Moscheta),
l’autore chiude il resoconto con l’immagine di Ildebrando, «arcidiacono della Chiesa Romana» che, «alzatosi a parlare [...] apertamente e
fortissimamente difese i monaci contro tutte le osservazioni loro
rivolte»; e non manca di ricordare che lo stesso Ildebrando, che allora
si mostrò «difensore di Cristo», ne sarebbe qualche anno dopo diventato addirittura il Vicario70. Ma già Andrea di Strumi, autore della
prima «Vita» di Giovanni Gualberto, nel riferire il mancato accoglimento delle accuse dei monaci da parte del sinodo romano del 1067,
aveva scritto esplicitamente che «l’arcidiacono Ildebrando fu in ogni
cosa sostenitore e difensore degli stessi monaci»71. Fosse o no Ildebrando l’unico alleato dei Vallombrosani fra i collaboratori di Alessandro II, non c’è motivo di non credere a quanto riferitoci da queste
fonti (e soprattutto dalla «Vita» più antica). Ora, il fatto che Ildebrando condividesse la «verità» sventolata dai Vallombrosani, ossia si
mostrasse anch’egli, almeno ad un certo punto, convinto che il modo
in cui Pietro Mezzabarba era diventato vescovo di Firenze lo avesse
reso irrimediabilmente indegno di tale ufficio (nonostante che egli lo
esercitasse forte della regolare consacrazione ottenuta dallo stesso
papa!), sembra suggerire che la designazione di quel chierico pavese
fosse avvenuta in circostanze così “speciali” (per non dire anomale) da
autorizzare il sospetto che il papa fosse stato costretto ad accettarla,
per così dire “a scatola chiusa”. E dal punto di vista di un Ildebrando,
l’assemblea di Mantova poteva ben apparire una circostanza anomala,
in quanto Alessandro aveva acconsentito che la propria posizione di
papa regolarmente eletto e intronizzato fosse sottoposta al vaglio e
all’approvazione della corte regia, rappresentata dal potente arcivescovo di Colonia Annone, sceso in Italia come arcicancelliere dell’Impero.
Noi riteniamo perciò molto verosimile, che la soluzione dell’ormai
annoso problema della successione di Gerardo di Borgogna sia stata
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
154
31-08-2007
9:57
Pagina 154
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
trovata o almeno decisa a Mantova72; e che l’accusa di acquisto simoniaco del vescovato da parte di Pietro Mezzabarba presupponesse –
almeno implicitamente, ossia solo per i “bene informati” – che a schiudere al pavese le porte dell’ufficio di presule di Firenze fosse stato
Annone di Colonia, arcicancelliere dell’Impero per l’Italia, con la
partecipazione di Beatrice, moglie di Goffredo marchese di Tuscia e
alleato politico dell’arcivescovo renano.
L’ipotesi va naturalmente verificata alla luce delle fonti. Innanzitutto, pare assodato che l’accusa di simonia fu mossa contro Pietro
Mezzabarba solo dopo un certo tempo dall’inizio del suo governo. Il
primo documento a noi rimasto reca, come abbiamo già accennato, la
data del 15 gennaio 1065, e mostra il vescovo concedere a livello all’abate del monastero cittadino di Santa Maria (noto come la Badia
fiorentina) la non lontana chiesa suburbana di San Procolo con gli
edifici e i terreni annessi, in cambio di un censo annuo di 12 denari;
l’operazione fu perfezionata tre giorni dopo, quando un gruppo di
laici, tutti appartenenti alla famiglia dei «Visdomini», concessero a
loro volta lo stesso complesso immobiliare all’abate, per un censo di
24 denari, con la clausola (assente nel documento precedente) che i
«canonici della canonica vescovile di San Giovanni avrebbero continuato a detenere i diritti nel modo usuale e senza ampliamenti»73.
L’atto più significativo del breve governo vescovile di Pietro fu, come è
noto, la fondazione di un monastero femminile presso la chiesa di San
Pietro (poi detta di «San Pier Maggiore») «non longe a florentina
urbe posita», resa possibile dall’ampia donazione di beni disposta
dalla nobilis matrona Ghisla. Nel documento emanato dal vescovo a
conferma di tale donazione (privo di data, ma collocabile all’inizio
dell’anno 1067) colpiscono sia la menzione, in veste di testimoni, di
due personaggi d’altissimo livello come Goffredo il Barbuto dux et
marchio e il vescovo Gregorio di Vercelli, «cancelliere regio» per l’Italia
(si trattava, in sostanza, dei rappresentanti diretti di Enrico IV e
dell’arcicancelliere Annone!), sia il modo in cui, nel preambolo e
nella narratio, il presule motiva la fondazione e la dotazione patrimoniale del cenobio alla luce di una concezione fortemente «attivistica»
del regimen Florentini episcopatus, che «la divina misericordia s’era
degnata di elargirgli, pur se immeritevole»74. Tutto ciò è certamente
da interpretare come una ferma risposta alla contestazione ormai dilagante; e poiché Pier Damiani, nella lettera scritta negli stessi primi due
o tre mesi del 1067 accusa i monaci vallombrosani fiorentini di «aver
imposto, nel corso di quest’ultimo anno (horno) che in tre pievi i cate-
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 155
(Nero/Black pellicola)
155
cumeni fossero battezzati senza l’unzione con il crisma»75, se ne può
desumere che l’accusa di simonia e il contestuale rifiuto di riconoscere la validità degli atti sacramentali compiuti dal vescovo risalissero
al passaggio fra 1065 e 1066 e avessero prodotto gli effetti condannati
dal cardinale di Ostia in occasione dei riti battesimali collettivi della
Pasqua e della Pentecoste di quel secondo anno solare.
4. Dopo Mantova: la posizione di Annone di Colonia e i suoi difficili
rapporti con la Sede Apostolica
Ad appena due anni dall’assemblea di Mantova (che si era tenuta
appunto subito dopo la Pentecoste del 1064), la situazione “generale”
era già molto mutata. Come è noto, il comportamento tenuto in
quell’occasione da Annone di Colonia gli attirò forti critiche tanto
presso la corte regia, quanto a Roma. Queste ultime, in particolare,
sono efficacemente evocate in una lettera scritta al papa nell’estate del
1065, in cui Annone lamenta di aver sentito dire che «intorno a lui si
insinua che egli brighi per ottenere la Sede Apostolica, mentre il
pontefice romano è ancora vivo e operante», e subito dopo ricorda di
essersi sempre impegnato con tutte le proprie forze in favore di Alessandro76. In questa lettera Annone fece uso di tutte le sue capacità
retoriche e diplomatiche, giacché, oltre che fugare il pesante sospetto
di voler diventare papa al posto di Alessandro II, doveva convincere
quest’ultimo di non essere responsabile sia del rinvio dell’annunciato
e atteso viaggio di Enrico IV in Italia, sia – cosa ancor più grave –
dell’atmosfera sfavorevole che serpeggiava alla corte regia, dove
«alcuni avevano ricominciato a mormorare» intorno al modo in cui
egli era diventato papa. A tale riguardo, Alessandro poteva contare
sull’appoggio costante e indefettibile di Annone e del «duca»
Goffredo il Barbuto; l’arcivescovo di Colonia lasciava anzi intendere,
che tale sostegno era indispensabile per il papa, giacché egli e
Goffredo erano i soli in grado di farsi garanti della legittimità della sua
elezione nei confronti del potere regio, e di tenere a freno quanti, fra
i nuovi consiglieri che circondavano il re, avrebbero voluto rimetterla
in discussione, fino magari al punto da costringere Alessandro «ad
agire in ogni cosa che lo riguardasse, come uno che deve
supplicare»77.
Questa lettera testimonia con chiarezza la posizione difficile in cui,
ad appena un anno di distanza dal concilio di Mantova, si trovava
colui che l’aveva promosso e ne aveva determinato l’esito, forte di
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
156
31-08-2007
9:57
Pagina 156
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
un’autorità di “reggente” che sembrava allora piena e incontrastata. In
realtà, la posizione speciale acquisita da Annone nell’aprile del 1062
con il «colpo di stato» di Kaiserswerth era venuta meno già nel marzo
1065, quando – e non certo per suo impulso – il quindicenne Enrico fu
dichiarato ufficialmente maggiorenne78; e da quel momento – se non
già dall’indomani stesso del suo ritorno dalla missione mantovana –
l’arcivescovo di Colonia non fu più in grado di determinare le decisioni
del re, a cominciare proprio dalla ratifica dei risultati del concilio di
Mantova: il riconoscimento definitivo di Alessandro II da parte del re, e
l’impegno di costui di recarsi prima possibile a Roma per ricevere dallo
stesso papa la corona imperiale.
Vista da Roma, questa repentina perdita d’influenza dell’uomo che
nel 1064 aveva ostentato di essere in grado di chiudere una volta per
sempre lo scisma “cadaliano”, poteva però alimentare dei sospetti:
donde il tentativo di Annone di sfuggire alla scomoda situazione di chi
stava fra l’incudine dei risentimenti di taluni membri della cerchia di
Alessandro II, e il martello dei nuovi consiglieri di Enrico IV, cercando
di convincere il papa che egli e Goffredo restavano gli unici suoi interlocutori e amici fidati in terra tedesca. In questa veste Annone cercò
d’accreditarsi in un’altra lettera inviata ad Alessandro II nel seguente
anno 1066. Si trattava ora di spiegare perché, visto il rinvio sine die del
viaggio in Italia di Enrico preventivato a Mantova e programmato per il
1065, Annone non fosse venuto a Roma come legato regio, né avesse
avvertito il papa che tale missione era stata affidata a Ottone duca di
Baviera. L’arcivescovo renano riferì così del colloquium convocato dal re
poco dopo il 13 gennaio 1066, a Tribur, per avere il «consiglio» dei
principes (fra cui lo stesso Annone) «sugli affari dell’Impero»; e tenne a
far sapere al papa che, essendo stato invitato da tutti i presenti a prendere la parola, egli aveva dato a Enrico IV «come primo e principale
consiglio, quello di recedere dalla calunnia con cui da tempo opprimeva la Sede Apostolica, in quanto era opportuno che, dopo tante
ingiurie, egli rendesse soddisfazione ed esibisse al sommo pontefice
l’onore che gli spettava». Il re si era dimostrato disponibile ad accogliere questo consiglio, e aveva chiesto ad Annone di occuparsi personalmente della cosa, ma l’arcivescovo aveva declinato, «memore di
tutto ciò che gli era stato procurato quando si era recato a Mantova,
all’andata, al ritorno e in patria». Dietro insistenza dei suoi «amici»,
ossia dei suoi alleati politici, Annone aveva poi cambiato atteggiamento; ma né il re né alcun altro dei presenti aveva più fatto parola
della possibilità di affidargli la legazione79.
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 157
(Nero/Black pellicola)
157
Quale che fosse stato l’effettivo andamento di quel colloquium, è
evidente l’intento dell’arcivescovo di far sapere al papa che, dopo
quel che era successo nel 1064, egli avrebbe accettato di guidare
una legazione regia in Italia solo in presenza di un mandato esplicito e inequivocabile a chiudere il contenzioso ancora aperto con la
Sede Apostolica; e che la sostanziale indisponibilità della corte a
operare decisamente in questo senso non dipendeva certo dalla
viltà o – peggio – da una colpevole acquiescenza di Annone. Resta il
fatto che nel 1065-1066 la questione dello scisma “cadaliano” era
ancora aperta e l’incoronazione imperiale di Enrico IV, per mano
di un Alessandro II riconosciuto una volta per sempre come unico
papa legittimamente eletto e consacrato, sembrava allontanarsi
sempre di più.
È proprio nella particolare situazione determinatasi con la sostanziale sconfessione del comportamento tenuto da Annone nell’assemblea di Mantova e con il conseguente, grave indebolimento della capacità di costui di influenzare la politica regia nei confronti dei due papi
eletti nel 1061, che va collocato – a nostro avviso – l’episodio deprecato da Alessandro II nella lettera tramandataci per estratto dalla
Collectio Britannica, ossia il viaggio ultra montes compiuto dal vescovo di
Firenze e da un gruppetto di canonici della «Florentina Ecclesia», allo
scopo di sottoporre all’esame della corte regia tanto il modo in cui il
presule era «entrato» in ufficio, quanto la sua personale idoneità a
ricoprirlo80. Poiché, come riteniamo, Pietro Mezzabarba aveva ottenuto la Cattedra vescovile di san Giovanni Battista grazie al beneplacito di Annone in veste di legato regio, non pare inverosimile che, nel
momento in cui tutte le decisioni prese a Mantova erano state rimesse
in discussione, la curia regia decidesse di riaprire anche il dossier della
sede vescovile fiorentina, come se l’introitus, ossia l’avvenuto insediamento e la relativa consacrazione episcopale di Pietro abbisognassero
di un’ulteriore conferma, o meglio della conferma diretta di Enrico
IV, che dal marzo 1065 era ufficialmente maggiorenne e governava
ormai in prima persona. Ciò, naturalmente, non poteva essere accettato da Alessandro II, in tanto in quanto l’uomo che la corte pretendeva di sottoporre al proprio «esame» era un vescovo non più solo electus ma ormai regolarmente consacrato, e in tal modo inserito in una
gerarchia sacramentale e giurisdizionale che faceva capo al papa e
non consentiva intromissioni, nemmeno da parte dell’autorità regia.
Se si accosta questo episodio al serpeggiare nell’ambiente della
curia papale di sospetti circa l’ambizione dell’arcivescovo di Colonia
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
158
31-08-2007
9:57
Pagina 158
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
di diventare papa al posto di Alessandro II (evidentemente attraverso
una procedura analoga a quella che aveva portato all’elezione di
Cadalo a Basilea!), ci si può fare un’idea non solo della preoccupazione con cui a Roma si seguiva il variare degli equilibri in seno alla
corte di Enrico IV, ma anche delle sempre maggiori perplessità suscitate presso i collaboratori del pontefice dal comportamento di
Annone che, anziché vittima dei rivolgimenti operatisi nella curia regis
dopo l’estate del 1064, poteva sembrarne addirittura l’ispiratore. Né,
forse, sarebbe del tutto azzardato aggiungere che il modo in cui
Annone, nelle sue lettere del 1065 e del 1066, ricordava ad Alessandro
II l’appoggio determinante da lui prestato alla sua causa, con la collaborazione di Goffredo il Barbuto, fra l’aprile del 1062 e il giugno del
1064, e cercava di accreditarsi in tutti i modi come l’unico efficace
difensore della legittimità del papa, avrebbe potuto essere interpretato, a Roma, come una sorta di velato ricatto.
Ora, noi abbiamo già visto che la «Vita» di Giovanni Gualberto
scritta da Andrea di Strumi presenta la decisione dei Vallombrosani di
denunciare «pubblicamente» le colpe gravissime di cui Pietro Mezzabarba si era macchiato «ottenendo abusivamente la sede fiorentina
grazie ad un esborso segreto di denaro», come il frutto di una scelta
senza compromessi in favore di una «verità» che «a Giovanni e ai suoi
confratelli non era potuta restare nascosta» («quod Iohannem patrem
eiusque fratres minime latuit»)81. Il lettore attento di questo testo non
ha difficoltà a cogliere qui un procedimento inverso a quello che
caratterizza la cosiddetta «Lettera dei Fiorentini ad Alessandro II»
(anch’essa peraltro di produzione vallombrosana, e come tale inserita
da Andrea di Strumi nella «Vita» da lui redatta), alla quale è affidato il
racconto della fase finale della contestazione al vescovo Pietro, culminata con l’ordalia del 13 febbraio 1068: se, nel secondo testo, si cerca
in ogni modo di mostrare che accanto ai confratelli di Giovanni Gualberto vi sono i canonici di San Giovanni Battista, gran parte del
restante clero cittadino e pressoché tutto il laicato fiorentino di
entrambi i sessi, nel primo i Vallombrosani cominciano a muoversi
forti di una «verità», la cui scoperta risulta loro merito esclusivo. Ma se
l’agiografo aveva mille motivi per presentare le cose in questo modo,
lo studioso moderno può ben interrogarsi circa i tempi e i modi in cui
quella famosa «verità» venne a galla; e, soppesando tutti gli elementi
fin qui emersi, può arrischiarsi a ipotizzare che ad ispirare i Vallombrosani (ossia a “svelare” loro quel che finora era rimasto occulto)
fossero proprio gli ambienti romani più marcatamente ostili ad
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 159
(Nero/Black pellicola)
159
Annone di Colonia, e in particolar modo quell’arcidiacono Ildebrando, che nell’agiografia di Giovanni Gualberto è esaltato come
l’unico alleato sicuro del santo abate e dei suoi confratelli presso la
Sede Apostolica.
In effetti, come dalle fonti disponibili risulta che, pur in presenza
delle difficoltà che abbiamo appena visto, negli anni 1065-1066 (e
anche 1067) i rapporti fra l’arcivescovo di Colonia e Alessandro II non
si interruppero mai82, così è ben noto che il papa continuò a considerare Pietro Mezzabarba come vescovo legittimo di Firenze fino pressoché alla vigilia del sinodo romano tenutosi poco dopo il 30 marzo
1068, dal quale uscì la sentenza di deposizione che pose fine al breve
governo del presule d’origine pavese83. A tale riguardo, vale la pena di
osservare che, se a convincere il papa della colpevolezza del Mezzabarba fu l’esito dell’ordalia inscenata a Settimo nemmeno due mesi
prima, è altresì vero che in quella medesima occasione Alessandro II e
Annone tornarono ad incontrarsi e, a quasi quattro anni dall’assemblea di Mantova, il papa non esitò a far uso di tutta la propria autorità,
imponendo ad Annone una penitenza canonica e avallando una serie
di decisioni sinodali palesemente contrarie ai desideri e agli interessi
dell’arcivescovo di Colonia.
Ci riferiamo alle questioni riguardanti l’elezione del nuovo arcivescovo di Treviri e lo status del monastero benedettino di Malmedy,
posto nella regione delle Ardenne e assegnato ad Annone da Enrico
IV nel marzo 1065, nonostante che fino a quel momento fosse stato
retto dall’abate del non lontano cenobio di Stavelot (o Stablo). La
tenace azione condotta da costui, Teoderico, per indurre Annone a
recedere da quella che ai suoi occhi non era altro che un’appropriazione indebita, è descritta con toni vivaci, fino al pittoresco, dal testo
intitolato Triumphus sancti Remaclii, di cui citeremo fra poco un brano
meritatamente famoso. Di interesse più diretto per il nostro discorso è
però il primo problema, perché la vicenda di Treviri costituisce una
sorta di pendant rispetto a quella di Firenze.
Nella primavera del 1066, Annone riuscì ad ottenere da Enrico IV
che la sede arcivescovile della città sulla Mosella fosse assegnata ad un
suo nipote, Corrado detto «Cuno», il quale – come leggiamo in un
testo scritto qualche anno dopo per promuoverne il culto – «portato
per sua iniziativa davanti al re, e riconosciuto degno dall’acclamazione
degli astanti, ricevette dalla mano di Enrico le insegne vescovili, ossia
il pastorale, e l’anello che lo “fidanzava” alla propria chiesa, in attesa
che l’unzione col sacro crisma lo rendesse sposo di essa»84. Questa
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
160
31-08-2007
9:57
Pagina 160
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
decisione incontrò però la ferma opposizione dei canonici della
chiesa cattedrale di Treviri, che dapprima sobillarono il popolo dei
laici, e quindi convinsero il comes cittadino Teoderico a non permettere che il nuovo presule prendesse possesso della sede vescovile.
Corrado fu così assalito a poche miglia dalla città, fatto prigioniero e
ucciso di lì ad alcune settimane85; dopo di che, a Treviri fu eletto un
nuovo arcivescovo, Uto, che prese immediatamente contatto con la
Sede Apostolica per ottenere per sé la conferma e la consegna del
pallium, e per i propri diocesani l’assoluzione dall’accusa di aver assassinato Corrado. Con una lettera scritta nell’estate del 1066, Annone
implorò appunto Alessandro II, «in nome dei meriti eventualmente
accumulati presso di lui nel passato, e di quelli che avrebbe potuto
conseguire in futuro», di non accogliere almeno per questa volta le
richieste dei Trevirenses «riguardanti il pallium e l’assoluzione dal
delitto commesso»; e non esitò nemmeno a diffidare il papa dal farsi
corrompere dal carico di munuscula con il quale «colui che presso
quelli era chiamato vescovo, e i suoi complici» si erano presentati a
Roma al suo cospetto86. Annone non riuscì allora ad ottenere soddisfazione né dal re né dal papa, ma non si diede per vinto, e fece in modo
che la posizione canonica del nuovo arcivescovo di Treviri (con particolare riguardo al modo in cui egli aveva ottenuto l’ufficio, che per
Annone era tacciabile di simonia) fosse esaminata dal sinodo romano
convocato subito dopo la domenica in albis (ossia il 30 marzo) del
1068.
5. Il 1068, anno cruciale: la legazione di Annone in Italia e il sinodo
romano di primavera
In quella stessa primavera del 1068, come abbiamo accennato,
Annone tornò in Italia come legato di Enrico IV. Le non abbondanti
informazioni da noi possedute su questa missione ci vengono in gran
parte dal medesimo testo cronistico – gli Annales del monastero bavarese di Niederaltaich – che offre la migliore descrizione dell’assemblea
mantovana del 1064. Apprendiamo, così, che Annone e i suoi colleghi
(Enrico vescovo di Trento e Ottone duca di Baviera), prima di recarsi
a Roma, non solo accettarono l’ospitalità dell’arcivescovo di Ravenna,
che non aveva ancora riconosciuto la legittimità dell’elezione di Alessandro II e continuava ad appoggiare Cadalo, ma «non evitarono
nemmeno d’incontrare in un altro luogo» lo stesso vescovo di Parma,
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 161
(Nero/Black pellicola)
161
«che era andato loro incontro»87. È opinione corrente fra gli studiosi,
che questi contatti con l’irriducibile avversario di Alessandro II e con
uno suoi principali sostenitori rientrassero in un’azione diplomatica
finalizzata a chiudere definitivamente lo scisma del 106188. Non vi è
dubbio, tuttavia, che agli occhi di Alessandro e dei suoi collaboratori
Annone e gli altri due ambasciatori regi si resero colpevoli d’inosservanza della scomunica che gravava su Cadalo e sul metropolita ravennate; cosicché, quando essi arrivarono a Roma, il pontefice si rifiutò di
riceverli «quia excommunicatis a se communicassent». Il rifiuto valeva
evidentemente per tutti e tre, ma il già ricordato Triumphus sancti
Remaclii, con un procedimento che oggi chiameremmo zoom, concentra lo sguardo su Annone, il grande avversario dell’abate Teoderico di
Stavelot, e ce lo mostra nell’atto di eseguire la penitenza «pubblica»
impostagli per «lavare l’offesa arrecata al diritto e all’onore del Vicario
dell’apostolo Pietro»: «per la colpa commessa, egli camminò di fronte
a tutti a piedi nudi, guidato dalla marchesa Beatrice, e dopo aver reso
soddisfazione fu perdonato e fu accolto nel consesso», ossia dinanzi al
papa e a «tutto il sinodo romano»89. Dopo aver descritto questa scena,
l’autore del Triumphus torna ovviamente a riservare la propria attenzione al problema del monastero di Malmedy, presentando un
Annone dapprima assai poco disponibile ad accondiscendere alle
suppliche dell’abate Teoderico, ma infine indotto dalle richieste del
papa «di comportarsi con lui con la giusta umanità, per amore di san
Pietro e suo», a promettere «che lo avrebbe senz’altro fatto quando
entrambi, tornati in patria, fossero venuti al cospetto del re»; ma non
manca di far notare, sia pure en passant, che «il vescovo (leggi:
Annone), ad ogni modo, non ottenne nulla di tutto ciò per cui era
venuto a Roma»90.
Meno pittoresco, ma forse ancora più efficace nel suo riportare i
fatti nudi e crudi, è il racconto degli Annales Altahenses. Colpisce,
infatti, che questo testo, nel riferire delle decisioni prese al sinodo
romano, parli dapprima dell’assoluzione impartita al vescovo di
Tortona per un fatto di sangue che risaliva all’epoca di Leone IX,
passi poi ad un resoconto asciutto ma assai preciso della sentenza
emessa contro il «presule fiorentino» che, «accusato e riconosciuto
colpevole per evidenti prove di avere ottenuto il vescovato attraverso
l’eresia simoniaca, fu senz’altro deposto»; e infine mostri Uto, il «venerabile presule di Treviri, accusato anch’egli della medesima eresia», presentarsi personalmente al sinodo e, dopo aver ottenuto di discolparsi con
un giuramento, essere non solo rapidamente assolto, ma addirittura,
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
162
31-08-2007
9:57
Pagina 162
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
in seguito, «tenuto in gran venerazione dal papa e dai Romani»91.
Vista la competenza e la buona conoscenza dei fatti dimostrate dall’autore di questo brano, il modo ben diverso con cui l’assemblea valutò la
posizione dei due vescovi, accusati di aver commesso lo stesso delitto,
accettando nel caso di Pietro Mezzabarba l’esito dell’ordalia fiorentina, e consentendo invece a Uto di discolparsi mediante un giuramento (atto che, secondo quanto riferisce un’altra fonte, il Mezzabarba si sarebbe peraltro offerto di compiere già l’anno
precedente)92, ci sembra rappresentare le due facce di una stessa
medaglia, ossia – fuori di metafora – rispondere all’unico intento di
colpire il prestigio e l’autorità dell’arcivescovo Annone di Colonia.
Come conciliare altrimenti il diniego verso l’accusa di simonia da lui
lanciata contro colui che i Trevirenses avevano eletto dopo la soppressione violenta di Corrado, già designato e «investito» da Enrico IV, e,
al contrario, l’accoglimento della medesima accusa nei confronti del
vescovo di Firenze, che proprio Annone, molto probabilmente, aveva
«messo in possesso» del vescovato facendo le veci del re ancora minorenne?
Degna di nota è anche la circostanza, tramandata dal Triumphus,
che a “scortare” Annone nella sua camminata a piedi scalzi verso il
seggio di Alessandro II fosse Beatrice, “padrona di casa” dell’assemblea mantovana del 1064 e moglie di Goffredo il Barbuto, da vari anni
alleato dell’arcivescovo di Colonia e detentore dell’autorità politica
sulla Marca di Tuscia: se la penitenza imposta al legato regio voleva
significare che Alessandro II, unico papa legittimo sin dal 1061, rifiutava ormai di riconoscere ad Annone quel ruolo di garante della “non
irregolarità” della propria elezione di fronte all’autorità regia che egli
aveva giocato a Mantova (e, come abbiamo visto, avrebbe voluto continuare a giocare anche dopo il 1064), la condanna ormai decisa di
Pietro Mezzabarba, vescovo di Firenze, avrebbe finito per rimuovere
del tutto il ricordo ingombrante del consesso mantovano, in cui, oltre
a doversi giustificare di fronte ad Annone, Alessandro II aveva accettato di consacrare come vescovo di Firenze un personaggio che, nel
corso del proprio governo, non avrebbe mancato di farsi forte del
sostegno esplicito del marchese Goffredo e del cancelliere regio per
l’Italia.
Leggendo la pagina degli Annales Altahenses dedicata agli avvenimenti susseguitisi nella prima metà del 1068 – l’affidamento della
legazione in Italia ad Annone e agli altri due, i contatti con Enrico di
Ravenna e con Cadalo, l’arrivo a Roma e la satisfactio delle colpe
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 163
(Nero/Black pellicola)
163
commesse, lo svolgimento del sinodo romano post albas con i relativi
provvedimenti di assoluzione e di condanna –93, viene anzi da domandarsi se la fissazione della data in cui si sarebbe celebrata l’ordalia
chiamata a eliminare dai cuori dei Fiorentini ogni «cecità» circa la
colpevolezza di Pietro Mezzabarba, fosse dettata semplicemente dalla
necessità di porre fine ad una situazione di disordine e contestazione
che si trascinava ormai da troppo tempo, oppure fosse il frutto di una
decisione presa dall’alto, e motivata dall’evolversi del contesto generale. Vogliamo dire, che a fronte delle indicazioni cronologiche non
del tutto sicure offerte dagli Annales Altahenses circa l’inizio della legazione italica di Annone e dei suoi colleghi94, non sarebbe forse del
tutto azzardato pensare che i monaci vallombrosani decidessero di far
precipitare la situazione all’inizio della Quaresima, perché erano al
corrente degli ultimi sviluppi, e sapevano quindi che il sinodo romano
convocato subito dopo la domenica in albis avrebbe offerto l’opportunità di ripresentare l’accusa di simonia contro il Mezzabarba con la
certezza di vederla accolta, in quanto la posizione di Alessandro II nei
confronti di Annone era ormai cambiata rispetto all’anno precedente.
Ma anche senza spingersi tanto in là con le ipotesi, ci sembra fuor di
dubbio che i promotori dell’ordalia del 13 febbraio 1068 avessero ben
chiaro che l’esito di essa sarebbe stato fatto valere al sinodo previsto
per la fine di marzo o l’inizio di aprile.
6. Prima e dopo la prova del fuoco di Settimo: una Chiesa lacerata e
“acefala”
Come abbiamo già accennato, nella Lettera dei Fiorentini ad Alessandro II evidente è l’intento di mostrare che, se fu possibile arrivare a
celebrare l’ordalia di Settimo, fu perché la maggior parte del clero
secolare fiorentino, dai membri della canonica vescovile di San
Giovanni Battista agli altri chierici, si risolse a non obbedire più al
«Pavese di nome Pietro, che diceva di essere il loro vescovo». Domenica 10 febbraio, dopo aver chiuso le chiese e sospeso le celebrazioni
liturgiche, il clero si riunì e decise di inviare dei messi al monastero di
San Salvatore di Settimo, «a manifestare la volontà di abbandonare
ogni dubbio e conoscere la verità»95. Ma se i Florentine civitatis clerici sono
indubbiamente i protagonisti della prima parte della lettera, da questo
momento in poi essi praticamente scompaiono, perché dapprima si
confondono nella folla di quasi tremila persone che la mattina del 13
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
164
31-08-2007
9:57
Pagina 164
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
febbraio raggiunge a piedi il monastero e vi si raduna, e quindi sono
per così dire “sostituiti” del tutto dai monaci, che diventano i protagonisti assoluti dell’evento: tanto è vero che Pietro, il religioso scelto per
camminare sui carboni ardenti, celebra la messa nella sua qualità di
presbiter e compie la prova tenendo addosso «gli indumenti sacerdotali» (con la sola eccezione della «casula»)96.
Una volta riaffermato che l’origine e l’impronta di questa lettera
sono pienamente vallombrosane, ciò naturalmente non comporta che
ogni riferimento ai chierici secolari in essa contenuto sia meramente
strumentale e perciò tacciabile di inattendibilità. Che, ad un certo
punto, la «verità» vallombrosana fosse fatta propria anche da settori
rilevanti del clero direttamente sottoposto all’autorità vescovile, così
da convincerlo che la posizione di Pietro Mezzabarba era ormai insostenibile, non sembra possa essere messo in dubbio. Una cosa è però
ritenere plausibile che, all’inizio del 1068, anche i canonici che quattro anni prima avevano in qualche modo “partecipato” all’operazione
che aveva portato il Mezzabarba sul seggio episcopale di san Giovanni
(e nel 1065-1066 lo avevano accompagnato oltralpe per rendere testimonianza della regolarità del suo «ingresso» in ufficio), si convincessero che era inutile continuare a difenderlo; un’altra, e ben diversa, è
pensare che essi potessero accettare che, come l’ordalia del 13
febbraio era stata orchestrata e guidata dai religiosi vallombrosani,
così, dopo la deposizione del Mezzabarba, la Florentina Ecclesia venisse
sottoposta ad una sorta di tutela da parte degli stessi monaci. È vero
che costoro pensavano a qualcosa di questo genere. Abbiamo già visto
che nella «Vita» scritta da Andrea di Strumi il racconto degli avvenimenti seguiti all’«invasione simoniaca» del vescovato fiorentino ad
opera di Pietro è preceduto da una lettera di Giovanni Gualberto al
vescovo volterrano Ermanno, volta a proporgli i criteri irrinunciabili
per un proficuo governo della Chiesa a lui affidata; e possiamo ora
aggiungere che, poche righe dopo la fine della lettera ad Alessandro
II, viene offerta una rapida descrizione della situazione creatasi a
Firenze all’indomani della deposizione del vescovo «simoniaco»: il
papa inviò «ad regendum episcopatum florentinum» il vescovo di
Todi Rodolfo, e costui si mise al sevizio di Giovanni Gualberto, accettando di ordinare preti, su sua richiesta, un gruppetto di giovani chierici e aspiranti monaci venuti da Milano, così da poterli rimandare là
per esercitare il ministero sacerdotale97.
La Vita scritta da Andrea di Strumi non precisa per quanto tempo
Rodolfo rimase «a governare provvisoriamente il vescovato fioren-
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 165
(Nero/Black pellicola)
165
tino», ma si limita a ricordare che «in seguito» (postea) il papa Alessandro II «inviò lo stesso vescovo a Milano, insieme con alcune persone
dotte, perché con l’esercizio dell’ufficio episcopale venisse in aiuto dei
“cattolici” che proprio questo desideravano e richiedevano»98. Ma a
ben vedere, non è nemmeno sicuro che Rodolfo abbia ricoperto la
posizione “ufficiale” che il testo gli attribuisce99. Nell’Archivio Capitolare di Firenze è conservato in originale un privilegio inviato da Alessandro II in data 16 dicembre 1068 al preposto, all’arciprete «e a tutti
quelli che conducono con loro la vita comune», con il quale il papa
accoglieva loro e i loro beni «sotto le ali della protezione apostolica» e
proclamava gli stessi canonici – così come essi avevano richiesto –
«liberi e protetti da ogni molestia, inquietudine e oppressione, affinché, rimossa ogni occasione di disturbo, potessero servire Dio in
libertà e tranquillità»100. Da queste parole volutamente generiche non
è facile capire a chi o a che cosa il papa volesse alludere, ma non si
può fare a meno di notare l’assenza di ogni riferimento al vescovo e al
vescovato. Tutto diventa però perfettamente chiaro leggendo un altro
documento, privo di data ma sicuramente contemporaneo al precedente, che si presenta anch’esso come un privilegio inviato da papa
Alessandro «ai canonici della Chiesa fiorentina che vivono a vita
comune», ma ne è in realtà solo una bozza preparata dai canonici
stessi, e contenente sia la loro denuncia della situazione venutasi a
creare a Firenze, sia i rimedi che essi avrebbero desiderato ottenere
dal pontefice. Apprendiamo, così, che in quel momento la Florentina
Ecclesia era «priva di pastore», e i canonici «temevano» che «qualcuno»
ne approfittasse per chiedere ad «un qualsiasi vescovo» di consacrare
chiese, ordinare chierici o – cosa ancor più grave – consacrare abati di
monasteri, senza aver ottenuto da loro «il consenso e il permesso»101.
Per impedire che le cose prendessero questa piega, i canonici si attendevano perciò che il papa stabilisse in modo netto ed esplicito «che a
nessuno fosse lecito [...] far venire nella diocesi fiorentina qualunque
vescovo per fargli consacrare chiese senza il consenso e permesso dei
canonici stessi e il permesso del futuro vescovo “cattolico”» (di
Firenze), e neppure che si potessero portare fuori della diocesi, per
l’ordinazione ovvero la consacrazione, tanto i chierici quanto gli abati
«la cui consacrazione spettasse di diritto alla Chiesa fiorentina»102. I
canonici di San Giovanni Battista prepararono questo documento
sentendosi appunto i rappresentanti della Florentina Ecclesia, coloro cui
spettava la responsabilità di difenderne l’integrità e la compattezza in
mancanza del «pastore». Ammesso che essi (o almeno alcuni fra loro)
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
166
31-08-2007
9:57
Pagina 166
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
avessero finito per condividere la “guerra” scatenata dai Vallombrosani
contro il vescovo Pietro Mezzabarba103, ciò non significa in alcun modo
che fossero disposti a lasciare intaccare le prerogative giurisdizionali e
sacramentali della sede vescovile fiorentina: l’intervento di vescovi
“esterni” avrebbe potuto infatti spezzare il vincolo d’obbedienza che
legava ad essa i clerici e gli abbates. Se si considera questa “bozza di privilegio” come l’espressione genuina delle preoccupazioni “istituzionali” e
dei timori “disciplinari” dei canonici fiorentini nei mesi immediatamente successivi alla deposizione e alla partenza di Pietro Mezzabarba,
ci si rende conto che gli avvenimenti della prima metà del 1068, anziché riportare la pace nel segno della veritas vallombrosana, aprirono
nel tessuto della Chiesa fiorentina una lacerazione di non facile guarigione. Colpisce, infatti, che dopo l’uscita di scena del Mezzabarba104 la
Cattedra episcopale di san Giovanni Battista restasse vuota per almeno
tre anni e mezzo: l’epigrafe funebre del successore di Pietro, ossia
Ranieri, morto il 12 luglio 1113, dice che egli «sedette come vescovo in
questa città per 42 (anni)»105; e se si interpreta questa indicazione (così
come abbiamo fatto per i vescovi aretini), nel senso che Ranieri morì
“nel quarantaduesimo anno del suo episcopato”, se ne evince che egli
aveva assunto il governo della Chiesa fiorentina sicuramente dopo il 12
luglio del 1071.
7. All’inizio degli anni ’70: Ranieri di Firenze, Rodolfo di Siena, Anselmo
II di Lucca
Riservando ad un’altra occasione – e forse anche ad un altro e più
competente studioso – la ricostruzione analitica delle vicende della
Chiesa fiorentina durante quella non breve sedevacanza, non si può
fare a meno di constatare che il problema della successione di
Gerardo/Niccolò II nella sede vescovile di San Giovanni Battista, apertosi nel luglio del 1061, si trascinò per almeno un decennio (all’interno del quale il breve governo di Pietro Mezzabarba rappresentò
solo una sorta di parentesi fra due sedevacanze di lunghezza quasi
equivalente), e trovò una soluzione durevole pressappoco nello stesso
momento in cui, fra la fine del 1071 e l’inizio del 1072, la morte di
Cadalo (rimasto irriducibile fino all’ultimo) chiuse anche l’altro e più
grave problema dello scisma papale. La coincidenza potrebbe non
essere casuale. Sappiamo, infatti, che il successore di Cadalo come
vescovo di Parma fu Eberardo, chierico della Chiesa di Colonia: egli
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 167
(Nero/Black pellicola)
167
ottenne il vescovato, ambito anche da Guiberto (il futuro arcivescovo
di Ravenna e papa “enriciano” col nome di Clemente III) grazie all’appoggio determinante dell’arcivescovo Annone, che proprio all’inizio
del 1072 tornò, sia pure per breve tempo, ad occupare un ruolo di
primo piano presso la corte regia106. E in questo stesso anno comincia
ad essere attestato, a Siena, il governo del vescovo Rodolfo, che con
ogni verosimiglianza proveniva anch’egli da Colonia107: poiché l’ultima notizia relativa al suo predecessore, Giovanni, risale al 1063108,
non si può escludere che Rodolfo avesse ottenuto la Cattedra vescovile
senese di santa Maria già nel corso di quel decennio; ma se si attribuisce – come sembra naturale fare – tale sua promozione all’influenza
dell’arcivescovo Annone, parrebbe più prudente “scartare” tutto il
difficile periodo 1065-1068, e prendere in considerazione o il 1070 –
l’anno in cui Annone compì un’ultima legazione in Italia, su cui si è
male informati109 – o, appunto, il 1072, quando l’arcivescovo di Colonia era tornato ad essere così influente a corte da far assegnare il
vescovato di Parma ad un chierico del suo entourage110.
Ranieri, il vescovo di Firenze documentato in ufficio dal luglio
1072111, non era invece sicuramente di origine “teutonica”; né
sappiamo alcunché circa le modalità della sua promozione. Perciò, se
mettere il suo nome accanto a quelli di Eberardo di Parma e di
Rodolfo di Siena può essere giustificato alla luce della contiguità
cronologica suggerita dalla documentazione, pensare ad un’unica,
grande “operazione” di designazioni vescovili concordata fra Alessandro II e Annone sembra – allo stato attuale delle nostre conoscenze –
francamente troppo azzardato. Ad ogni modo, Ranieri fu l’ultimo
vescovo “toscano” entrato in ufficio durante il pontificato di Alessandro
II e (quasi sicuramente) consacrato personalmente da lui. All’inizio del
1073, lo troviamo presenziare a Pisa, «in palatio domini regis», ad un
placito tenuto da Beatrice insieme con il genero Goffredo il Gobbo,
sceso da poco in Italia per tentare di riconciliarsi con la moglie
Matilde, e menzionato in questo documento con il titolo “ufficiale” di
dux et marchio (di Tuscia). Che si trattasse di un’occasione importante,
è dimostrato dalla presenza al placito – dedicato ad una questione
riguardante il monastero lucchese di San Ponziano – di ben tre vescovi
della Tuscia: oltre a Ranieri e al vescovo pisano Guido vi era anche il
volterrano Ermanno112. E poiché nessuno dei tre presuli risulta aver
partecipato ai placiti tenuti dalla sola Beatrice a Firenze il 26 e il 27
febbraio successivi113, non è inverosimile che essi fossero rimasti
accanto a Goffredo e lo scortassero nel suo viaggio verso Roma.
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
168
31-08-2007
9:57
Pagina 168
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
Anche il vescovo subentrato dopo quasi quattro anni a Pietro
Mezzabarba sulla Cattedra fiorentina di san Giovanni Battista era
insomma pienamente inserito nelle strutture “pubbliche” dell’Impero
e della Marca, e comunque fosse stato chiamato a ricoprire il proprio
ufficio, fece in tempo a ricevere il diritto di governare la Chiesa a lui
affidata dalle mani di Enrico IV. Che questa fosse la prassi per un
presule della «Tuscia» ancora nella prima metà degli anni ’70 del
secolo XI, e dunque anche all’inizio del pontificato di Gregorio VII, è
dimostrato dall’esempio notissimo di Anselmo II da Baggio, il nipote
omonimo di Alessandro II che, designato dallo zio a succedergli come
vescovo di Lucca e già “tecnicamente” electus nel giugno del 1073114,
restò in tale condizione per un anno: continuava a valere la norma
generale che l’ordinazione episcopale fosse conferita solo dopo la
consegna dell’anello e del pastorale da parte del re, ma Gregorio VII
trattenne per un certo tempo Anselmo dal recarsi oltralpe a ricevere
investitura de manu regis, in quanto quest’ultimo non poteva essere
considerato in piena comunione con la Sede Apostolica115.
8. L’impronta di Gregorio VII: il nuovo atteggiamento nei confronti dei
vescovi toscani nelle lettere papali del 1076-1079
Di lì a poco, come ben si sa, fedeltà al papato e fedeltà all’Impero
(ovvero al rex che ne era comunque a capo) diventarono all’improvviso inconciliabili anche per i vescovi della Tuscia. A darne una dimostrazione illuminante è la lettera indirizzata il I novembre 1076 da
Gregorio VII a cinque «vescovi della Tuscia» riguardo al caso del loro
confratello (comprovincialis) Rodolfo di Siena che, qualche tempo
avanti, «si era recato senza il suo permesso dal re scomunicato» e per
ciò stesso era incorso anch’egli nella scomunica. Per un uomo come
Rodolfo, cresciuto nella Chiesa di Colonia, il rapporto con il re era
evidentemente un elemento così “naturale” e “necessario”, che
nemmeno la solenne sentenza di scomunica pronunciata da Gregorio
VII aveva potuto cancellarlo. Tanto è vero che, al ritorno dal suo viaggio, Rodolfo aveva ripreso ad esercitare il proprio ministero pastorale
come se nulla fosse accaduto, così da «spargere su molti la macchia
del proprio peccato»; e se in seguito inviò messaggeri al papa, chiedendo di essere ammesso a rendere soddisfazione delle colpe
commesse, lo fece senza alcuna manifestazione esteriore di pentimento. Il papa comunicò perciò ai «comprovinciali» di Rodolfo che lo
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 169
(Nero/Black pellicola)
169
avrebbe assolto solo dopo un periodo di «umiliazione» e ordinò loro
di «convocarlo al più presto in un luogo adatto e di imporgli la penitenza che sembrasse loro opportuna, in modo che egli si ritirasse per
qualche tempo a vita privata, astenendosi dalla comunione
cristiana»116.
Come vedremo fra poco, vi è ragione di ritenere che Gregorio VII
chiamasse ad assolvere questo compito tutti i «vescovi della Tuscia»
allora in ufficio (con l’esclusione dei presuli delle tre sedi più meridionali: Massa Marittima, Roselle e Sovana): ciò significa, ci sembra, che
Rodolfo era stato il solo a recarsi dal re, anche se la gravità del suo
gesto (e forse pure il sospetto che egli lo avesse compiuto anche a
nome degli altri vescovi della Marca) indusse Gregorio VII a coinvolgere anche i suoi «comprovinciali». Il fatto poi che fra i destinatari
della lettera gregoriana non comparissero i vescovi di Pisa, Volterra e
Fiesole indica che, in quel momento, le tre sedi erano vacanti: ciò è
sicuro per Pisa – sappiamo infatti che il vescovo Guido, entrato in ufficio negli ultimi tempi di Niccolò II, morì l’8 aprile 1076 –117, ma può
essere tranquillamente ammesso anche per gli altri due casi, così che
la data del I novembre 1076 vale come termine ante quem per la morte
di Ermanno di Volterra e di Transamondo di Fiesole118.
Se ben poco si sa sul modo in cui a succedere a quest’ultimo sulla
Cattedra di san Romolo fu chiamato il Guglielmo che troviamo attestato negli anni seguenti, i casi di Volterra e di Pisa offrono un ottimo
esempio del nuovo e ben più vigile atteggiamento nei confronti delle
elezioni vescovili nelle diocesi dell’Italia centrale, annunciato da
Gregorio VII nella famosa lettera a Enrico IV del dicembre 1075119,
ma concretamente adottato solo a partire dall’anno 1077, e in particolare dal momento in cui il papa rinunciò definitivamente al progettato
viaggio in Germania, e dai castelli matildini dell’Appennino reggiano
e modenese tornò a Roma passando per la Tuscia.
Così, all’indomani stesso del suo arrivo nell’Urbe, ossia il 16 settembre, Gregorio VII scrisse ai vescovi di Siena120 e di Firenze (città che
aveva toccato entrambe poche settimane prima), chiedendo loro di
compiere gli atti necessari per dare un nuovo vescovo alla Chiesa di
Volterra. In poche righe, il papa delineò con grande chiarezza una
procedura che non era certamente stata pensata solo per quel singolo
caso, ma avrebbe potuto e dovuto applicarsi a tutte le sedi vescovili
della provincia ecclesiastica romana (o quantomeno della «Tuscia»
appartenente al Regnum). Innanzitutto, il papa fece capire che l’obiettivo di dare alla Wolterrana Ecclesia un vescovo «utile e idoneo» era così
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
170
31-08-2007
9:57
Pagina 170
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
importante, da giustificare il proprio impegno diretto. Aveva perciò
cercato egli stesso un candidato, trovandolo nella persona dell’arciprete della canonica vescovile di Mantova, e lo aveva «indicato» ad
alcuni esponenti della Chiesa di Volterra; e poiché su quel nome i suoi
consilia e la voluntas di costoro si erano incontrati, ecco che egli incaricava i vescovi delle due diocesi limitrofe121 di recarsi a Volterra, e fare
in modo che il prescelto fosse formalmente eletto da parte di tutti gli
aventi diritto attraverso un’elezione generale, il cui esito essi avrebbero immediatamente «confermato» in nome del papa. A quel punto,
sarebbe restato loro da informare «senza indugio» il papa che «la cosa
era avvenuta in modo ordinato», e da «inviare a lui l’eletto quanto
prima tramite una solenne decisione del clero e del popolo, perché
potesse ricevere la consacrazione»122.
Come si vede, mentre nel 1073 il papa aveva chiesto ad Anselmo,
vescovo già electus della Chiesa lucchese, di «astenersi» temporaneamente dall’ottenere l’investitura regia, senza tuttavia proporgli di
rinunciarvi senz’altro e ricevere immediatamente da lui l’ordinazione
episcopale (così che Anselmo fu «consacrato» solo dopo il rito della
consegna dell’anello e del pastorale da parte di Enrico IV)123, ora –
dopo la rottura del 1076 e la provvisoria assoluzione concessa al re nel
gennaio del 1077 – Gregorio si era definitivamente convinto che l’investitura regia era un atto intollerabile in sé e per sé (e non solo nel
caso in cui il re non fosse in comunione con la Sede Apostolica), e la
eliminò perciò dalla procedura da seguire per la promozione dell’arciprete mantoivano Bonoiso a vescovo di Volterra. Come, ad inaugurare
tale procedura, era stata la sollicitudo del pontefice, così egli l’avrebbe
conclusa impartendo la consacrazione episcopale all’uomo che, scelto
da lui e “gradito” alla Chiesa che avrebbe dovuto governare, avrebbe
avuto bisogno solo di un’«elezione» compiuta in modo «ordinato» e
nel rispetto delle forme da coloro che di quella Chiesa figuravano
come rappresentanti. Tutto questo nelle intenzioni di Gregorio VII:
nonostante l’accordo preliminare raggiunto sul nome di Bonoiso, il
candidato papale non divenne (per ragioni a noi sconosciute) vescovo
di Volterra; e il successore di Ermanno fu Pietro (IV), eletto dopo il
febbraio 1078 e prima del settembre 1080124.
A buon fine andò invece l’altra designazione a vescovo operata da
Gregorio VII durante il suo viaggio di ritorno attraverso la Tuscia nella
tarda estate del 1077, in favore del milanese Landolfo, abate di
Nonantola125: un altro personaggio di origine “lombarda”, che l’Ecclesia e i cives di Pisa accettarono di ricevere come proprio presule e fu
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 171
(Nero/Black pellicola)
171
formalmente «eletto» prima del 27 agosto, quando Matilde – che
accompagnava il pontefice nel viaggio verso Roma – emanò a Poggibonsi un atto di donazione di beni in favore della Pisana Ecclesia, che
con l’avvento di Landolfo aveva ritrovato il proprio assetto istituzionale. Si sa che per convincere la cittadinanza pisana ad accogliere un
vescovo designato dal pontefice e privo dell’investitura regia, Gregorio
VII e Matilde fecero concessioni di grande rilievo. D’altra parte, la fidelitas di Pisa era d’importanza capitale per il papa, giacché egli aveva
deciso di affidare a Landolfo – non appena fosse stato «eletto» vescovo
di Pisa – una missione in Corsica come proprio vicario tanto spirituale
quanto temporale, e il successo di essa dipendeva evidentemente
dall’appoggio che la città portuale avrebbe garantito al proprio nuovo
vescovo126. Inviato in Corsica fra l’agosto e il settembre del 1077,
Landolfo fu consacrato dal pontefice – a quanto pare – oltre un anno
dopo, in margine al sinodo autunnale tenuto a Roma nel novembre
del 1078; ma in quell’occasione, Gregorio VII emanò in suo favore un
elaborato privilegio, che non si limitava ad accordare alla Chiesa
vescovile pisana la protezione apostolica e la conferma dei beni e dei
diritti, ma conferiva a Landolfo e ai suoi successori lo status di vicari
pontifici permanenti in Corsica. Tale concessione era esplicitamente –
e persino enfaticamente – presentata dal pontefice come una sorta di
premio, che la Pisana Ecclesia aveva meritato accettando di accogliere
un vescovo attraverso una procedura diversa da quelle usate in precedenza, così che essa, ora, «gioiva di avere un pastore da lui proposto, e
che non era entrato in ufficio in altro modo che attraverso la porta,
ossia Cristo stesso». Il ricorso alla parabola evangelica del Buon
Pastore, così frequentemente chiamata in causa in quel periodo per
stigmatizzare i vescovi «simoniaci» che si introducevano nell’ovile
come «ladri e razziatori» (fures et latrones), suggerisce che il papa era
ormai convinto che solo la procedura seguita per la promozione vescovile di Landolfo consentiva di eliminare ogni rischio d’incorrere in
quel peccato gravissimo e dissolutore dell’ordinamento ecclesiastico; e
infatti, nel nostro privilegio, il merito acquisito dalla Chiesa pisana
accettando di ricevere, «per il ripristino della sua antica libertà, il salubre consiglio della madre sua, la santa Chiesa di Roma» diviene poche
righe più sotto la condizione imprescindibile perché anche i successori di Landolfo possano godere del vicariato apostolico sulla Corsica:
«purché essi entrino in ufficio con il consenso del pontefice romano e
l’elezione del popolo pisano, nello stesso modo conforme ai canoni
con cui si sa per certo che tu sei entrato»127.
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
172
31-08-2007
9:57
Pagina 172
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
Landolfo, che possiamo considerare a buon diritto il primo vescovo
integralmente “gregoriano” posto a capo di una diocesi di Tuscia,
morì precocemente nel 1079. L’anno seguente, il papa affidò una
missione in Sardegna (l’altra grande isola tirrenica che egli rivendicava alla sovranità temporale della Sede Apostolica) al vescovo
Guglielmo di Massa Marittima, che lo stesso Gregorio VII aveva consacrato nel primo anno del suo pontificato128. Ma seguire l’attività e le
vicende dei vescovi toscani nella seconda parte del papato di Ildebrando (e perciò negli anni della presenza di Enrico IV in Italia
centrale) richiederebbe un’altra relazione, che ci costringerebbe a
spingerci troppo oltre rispetto all’ambito circoscritto che queste
pagine si sono proposte di perlustrare.
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 173
(Nero/Black pellicola)
173
Note
1 Si vedano i contributi contenuti in Etruria, Tuscia, Toscana. L’identità di una
regione attraverso i secoli. II (secoli V-XIV). Atti della seconda Tavola Rotonda, Pisa, 18-19
marzo 1994, a cura di G. Garzella, Pisa 1998 (Biblioteca del Bollettino storico pisano.
Collana storica, 47), e in particolare A. ZORZI, Le Toscane del Duecento (pp. 87-119).
2 Molto utile, al riguardo, il volume d’intento divulgativo (ma fondato sulla bibliografia “scientifica”) di S. SALVI, Nascita della Toscana. Storia e storie della marca di Tuscia,
II ed. riveduta e ampliata, Firenze 2004.
3 Vescovo e città nell’alto Medioevo: quadri generali e realtà toscane. Atti del convegno
internazionale di studi, Pistoia, 16-17 maggio 1998, a cura di G. Francesconi, Pistoia
2001 (Biblioteca storica pistoiese, 6). I singoli contributi saranno citati via via.
4 Si veda la relazione di W. KURZE, Roselle-Sovana, in Vescovo e città nell’alto Medioevo
cit., pp. 321-357 (e in particolare 334-338 e 347-353).
5 Si vedano i contributi del volume Nel IX Centenario della Metropoli ecclesiastica di
Pisa. Atti del convegno di studi, Pisa, 7-8 maggio 1992, a cura di M. L. Ceccarelli
Lemut e S. Sodi, Pisa 1995 (Opera della Primaziale pisana, Quaderno n.5).
6 Ci permettiamo di rimandare ai nostri saggi: Vescovi, canoniche e cattedrali nella
Tuscia dei secoli X e XI: qualche considerazione a partire dall’esempio di Fiesole, in Un archivio,
una diocesi. Fiesole nel Medioevo e nell’età moderna, a cura di M. Borgioli, Firenze 1996
(Cultura e memoria, 4), pp. 3-21; Il monachesimo toscano del secolo XI: note storiografiche e
proposte di ricerca, in Guido d’Arezzo monaco pomposiano. Atti dei convegni di studio, Codigoro, abbazia di Pomposa, 3 ottobre 1997 – Arezzo, 29-30 maggio 1998, a cura di A.
Rusconi, Firenze 2000, pp. 21-53.
7 Famoso ed eloquente l’atto di fondazione del monastero fiorentino di San
Miniato, ad opera del vescovo fiorentino Ildebrando, in data 27 aprile 1018: cfr. L.
MOSIICI, Le carte del monastero di San Miniato al Monte (secoli IX-XII), Firenze 1990 (Deputazione di Storia patria per la Toscana. Documenti di storia italiana, s. II, vol. IV), n. 5,
pp. 67-76.
8 Altrettanto famoso il documento del 26 febbraio 1028, con cui Iacopo il Bavaro
annunciò di aver portato la sede vescovile fiesolana all’interno dell’oppidum, e di aver
ridedicato quella vecchia ai santi Bartolomeo e Stefano: nella lunga narratio, il presule
ricordò di aver ricevuto il vescovato da Enrico II e attribuì la propria iniziativa al
«consiglio» del nuovo imperatore Corrado II (cfr. F. UGHELLI, Italia Sacra sive de episcopis Italiae, III, Venetiis, apud Sebastianum Coleti, 1718, coll. 224-226).
9 Sull’attività di Elmperto in favore della «vita comune» presso la canonica aretina
(documentata dalla c. d. Historia custodum aretinorum, a cura di A. Hofmeister, in
MGH, Scriptores, XXX/2, Hannover 1934, pp. 1468-1482: 1472-1473), si veda il vecchio
ma ancora utile studio di G. TABACCO, Canoniche aretine, in La vita comune del clero nei
secoli XI e XII. Atti della Settimana di studio, Milano 1962, pp. 245-254. Sul presule,
attestato in ufficio fra 986 e 1010, si veda anche J. P. DELUMEAU, Arezzo. Espace et sociétés,
715-1230, Roma 1996, pp. 498-504.
10 Cfr. M. L. CECCARELLI LEMUT, Cronotassi dei vescovi di Volterra dalle origini all’inizio
del XIII secolo, in Pisa e la Toscana occidentale nel Medioevo, 1. A Cinzio Violante nei suoi 70
anni, a cura di G. Rossetti, Pisa 1991 (Piccola Biblioteca Gisem, 1), pp. 24-57: 34-39,
con riproduzione e trascrizione dell’epigrafe (in cui si legge, fra l’altro, che Gunfredo
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
174
31-08-2007
9:57
Pagina 174
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
«Regnum consiliis fovit et eloquiis, / Aecclesiam Christi supplevit mente fideli /
Augens multiplici cuncta labore sui»). Sulla fondazione del monastero dei Santi
Giusto e Clemente: EADEM, I rapporti tra vescovo e città a Volterra fino alla metà dell’XI
secolo, in Vescovo e città nell’alto Medioevo cit., pp. 133-178: 150-151.
11 Su di lui si veda DELUMEAU, Arezzo cit., pp. 508-514.
12 Su di lui si veda R. SAVIGNI, Episcopato, capitolo cattedrale e società cittadina a Lucca
nei secoli X-XI, in Vescovo e città nell’alto Medioevo cit., pp. 51-92: 75 e passim.
13 Cfr. RONZANI, Vescovi, canoniche e cattedrali cit., pp. 3-6 (e qui, supra, n. 8).
14 DELUMEAU, Arezzo cit., pp. 519-525.
15 Cfr. G. SCHWARTZ, Die Besetzung der Bistümer Reichsitaliens unter den Sächsischen und
Salischen Kaisern. Mit den Listen der Bischöfe 951-1122, Leipzig-Berlin 1913 (rist. anast.
Spoleto 1993), p. 209.
16 Cfr. T. SCHMIDT, Alexander II. (1061-1073) und die römische Reformgruppe seiner Zeit,
Stuttgart 1977 (Päpste und Papsttum, 11), pp. 35-37.
17 Sul “doppio ufficio” dei papi da Clemente II a Alessandro II si veda lo studio di
W. GOEZ, Papa qui et episcopus. Zum Selbstverständnis des Reformpapsttums im 11. Jahrhundert, in «Archivum historiae pontificiae», 8 (1970), pp. 27-59.
18 Su di lui si veda il nostro Chiesa e «Civitas» di Pisa nella seconda metà del secolo XI.
Dall’avvento del vescovo Guido all’elevazione di Daiberto a metropolita di Corsica (1060-1092),
Pisa 1997 (Piccola Biblioteca Gisem, 9), cap. I e passim. Dei vescovi pisani del secolo
XI abbiamo trattato anche in Vescovi e città a Pisa nei secoli X e XI, in Vescovo e città
nell’alto Medioevo cit., pp. 93-132.
19 Per Transamondo, eletto fra 1058 e 1059: SCHWARTZ, Die Besetzung cit., p. 206.
20 Il vescovo Anselmo è menzionato il 27 aprile 1061 nel privilegio di Niccolò II
per la canonica di San Pietro: cfr. op. cit., p. 263; KURZE, Roselle-Sovana cit., p. 351.
21 Cfr. M. POLOCK, La diocesi di Grosseto, già di Roselle, fino al 1198, in La Cattedrale di
Grosseto e il suo popolo 1295-1995. Atti del convegno di studi storici, Grosseto 3-4 novembre 1995, a cura di V. Burattini, Grosseto 1996, pp. 195-208: 202-203.
22 G. GARZELLA, Cronotassi dei vescovi di Populonia-Massa Marittima dalle origini all’inizio del secolo XIII, in Pisa e la Toscana occidentale nel Medioevo, 1 cit., pp. 1-21: 9-11.
23 Su di lui si veda M. PELLEGRINI, “Sancta pastoralis dignitas”. Poteri, funzioni e prestigio dei vescovi a Siena nell’altomedioevo, in Vescovo e città nell’alto Medioevo cit., pp. 257-296:
278-281.
24 SCHWARTZ, Die Besetzung cit., p.220; cfr. N. RAUTY, Storia di Pistoia, I. Dall’alto
Medioevo all’età precomunale 406-1105, Firenze 1988, pp. 300-301.
25 CECCARELLI LEMUT, Cronotassi dei vescovi di Volterra cit., pp. 39-40; EADEM, I rapporti
tra vescovo e città a Volterra cit., pp. 154-157.
26 DELUMEAU, Arezzo cit., pp. 525-526 e passim.
27 Le vicende richiamate nel testo sono descritte analiticamente in SCHMIDT,
Alexander II cit., pp. 68-133.
28 Su questo episodio, avvenuto a Kaiserswerth, presso Colonia, si veda G. JENAL,
Erzbischof Anno II. von Köln (1056-75) und sein politisches Wirken, Stuttgart 1974, pp. 175195. Come si vedrà dai frequenti rimandi che vi faremo, questo documentatissimo
lavoro è stato un punto di riferimento essenziale per il nostro lavoro. Sulla reggenza
di Agnese si può vedere anche M. BLACK-VELDTRUP, Kaiserin Agnes (1043-1077). Quellenkritische Studien, Köln-Weimar-Wien 1995 (Münstersche Historische Forschungen,
7), pp. 22-27 e passim.
29 Sulla figura e le mosse di Cadalo (eletto col nome di Onorio II, ma mai consa-
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 175
(Nero/Black pellicola)
175
crato), resta di grande utilità l’ormai datata “voce” di F. BAIX, Cadalus, in Dictionnaire
d’Histoire et de Géographie ecclésiastiques, XI, coll. 53-99.
30 Su Leone di Pistoia e Lanfranco di Chiusi si veda SCHWARTZ, Die Besetzung cit.,
rispettivamente alle pp. 220 e 204 (sul primo anche RAUTY, Storia di Pistoia, I cit., pp.
312-316). Su Bernardo di Massa Marittima (attestato anch’egli per la prima volta il 6
maggio 1065 come presente al sinodo lateranense), si veda GARZELLA, Cronotassi dei
vescovi di Populonia-Massa Marittima cit., p. 11. Per Costantino di Arezzo ed Ermanno
di Volterra si veda qui, infra, in corrispondenza delle nn. 47-53.
31 Cfr. ad es. SCHWARTZ, Die Besetzung cit.,, p. 210.
32 «La lettera dei Fiorentini ad Alessandro II è stata conservata in due modi: inserita nelle Vite di Giovanni Gualberto scritte nei monasteri vallombrosani (eccetto che
nell’Anonimo), o isolatamente, in codici miscellanei»: G. MICCOLI, Pietro Igneo. Studi
sull’età gregoriana, Roma 1960 (Studi storici, 40-41), p. 140 (l’edizione critica della
lettera è alle pp. 147-157).
33 Vitae sancti Iohannis Gualberti, a cura di F. Baethgen, in MGH, Scriptores, XXX/2,
Leipzig 1926-1934, pp. 1080-1104: 1096-1099.
34 La si legge ibid., pp. 1104-1110. Su questi testi si veda A. DEGL’INNOCENTI, Le Vite
antiche di Giovanni Gualberto: cronologia e modelli agiografici, in «Studi medievali», s. III,
XXV (1984), pp. 31-91.
35 «Per sanctum Syrum, sic tria milia libras potestis bene scire me propter hunc
episcopatum acquirendum dedisse, sicut unum valetis credere nummum»: Vitae sancti
Iohannis Gualberti cit., p. 1106. Un nostro commento in Il monachesimo toscano del secolo
XI cit., pp. 49-50.
36 Cfr. qui, infra, in corrispondenza delle nn. 95-96.
37 Cfr., del primo, i Dialogi de miraculis sancti Benedicti, III, 4, a cura di G. Schwartz e
A. Hofmeister, in MGH, Scriptores, XXX/2, pp. 1146-1147; e del secondo il De solutione
iuramentorum, in MGH, Libelli de lite, II, 1892, p. 149.
38 Abbiamo già fatto qualche osservazione al riguardo nel nostro saggio Il monachesimo toscano del secolo XI cit., alle pp. 48-53 (che annunciano e in parte anticipano il
presente studio).
39 Fine e attento a sfuggire ai “luoghi comuni” sull’argomento il saggio di N.
D’ACUNTO, Lotte religiose a Firenze nel secolo XI: aspetti della rivolta contro il vescovo Pietro
Mezzabarba, in «Aevum», 66 (1993), pp. 279-312. La verità dei vincitori è il titolo felice
del paragrafo conclusivo del saggio di A. BENVENUTI, San Giovanni Gualberto e Firenze, in
I Vallombrosani nella società italiana dei secoli XI e XII, I colloquio vallombrosano, Vallombrosa, 3-4 settembre 1993, a cura di G. Monzio Compagnoni, Vallombrosa 1995, pp.
83-112.
40 R. SCHIEFFER, Spirituales Latrones. Zu den Hintergründen der Simonieprozesse in
Deutschland zwischen 1069 und 1077, in «Historisches Jahrbuch», 92 (1972), pp. 19-60. I
risultati di questo studio veramente innovativo sono stati ripresi da H. VOLLRATH, L’accusa di simonia tra le fazioni contrapposte nella lotta per le investiture, in Il secolo XI: una
svolta?, a cura di C. Violante e J. Fried, Bologna 1993 (Annali dell’Istituto storico italogermanico. Quaderno 35), pp.131-156.
41 R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze, trad. it., I, Firenze 1977, pp. 329-359; IDEM, Zur
Vertreibung des Bischofs Petrus Mezzabarba, in Forschungen zur älteren Geschichte von Florenz,
I, Berlin 1896, pp. 47-50. Sullo studioso e la sua monumentale opera si vedano le belle
pagine di E. SESTAN, Roberto Davidsohn e la sua Storia di Firenze, in DAVIDSOHN, Storia di
Firenze, I cit., pp. XIX-XLVII.
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
176
31-08-2007
9:57
Pagina 176
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
42 «Se i vescovi lombardi avevano domandato alla dieta imperiale di Basilea l’elezione a Pontefice di uno dei loro, e se anche a Firenze troviamo designato un
lombardo come successore di Niccolò, sarà lecito supporre che in quella stessa assemblea avesse avuto luogo anche la nomina di Pietro Mezzabarba»: op. cit., p. 330.
43 Cfr. MICCOLI, Pietro Igneo cit., pp. 3-4. Dello stesso avviso è ancora BENVENUTI, San
Giovanni Gualberto e Firenze cit., p. 102. D’ACUNTO, Lotte religiose a Firenze cit., p. 290,
osserva prudentemente che «non sappiamo quando Pietro fu eletto».
44 D’obbligo il rimando all’importante lavoro di O. CAPITANI, Problematica della
Disceptatio Synodalis, ora in ID., Tradizione ed interpretazione: dialettiche ecclesiologiche del
sec. XI, Roma 1990, pp. 49-83.
45 «Est plane super episcopo vestro questio, quem videlicet nonnulli vestrum
opinantur venaliter irrepsisse, nonnulli vero gratis et per ostium introisse constantis
animi libertate confirmant. Illi turbulentis iurgando convitiis quod opinantur allegant,
isti quod se scire fatentur, crimen iniectum refellendo propulsant»: Die Briefe des Petrus
Damiani, a cura di K. Reindel, in MGH, Die Briefe der deutschen Kaiserzeit, IV/3,
München 1989, n. 146, pp. 531-542: 534 (con evidenziature nostre).
46 D’ACUNTO, Lotte religiose a Firenze cit., pp. 294-295, ricorda le lettere scritte da
Pier Damiani per confutare la tesi (sostenuta dai cappellani di Goffredo il Barbuto)
che fosse lecito «comprare presso le autorità secolari non la consacrazione sacerdotale
ma i patrimoni delle chiese» (cfr. Die Briefe des Petrus Damiani cit., n. 140-141), ma riconosce che esse «non si riferivano alla querelle sorta intorno a Pietro Mezzabarba».
47 La lettera è riportata per intero in Vitae sancti Iohannis Gualberti cit., pp. 10931094, ed è posta, significativamente, proprio all’inizio della sezione dedicata alla lotta
antisimoniaca di Giovanni Gualberto.
48 Cfr. CECCARELLI LEMUT, Cronotassi dei vescovi di Volterra cit., p. 41, con la precisazione da noi apportata infra, in corrispondenza della n. 118.
49 «Il suo nome fa sospettare un’origine germanica»: SCHWARTZ, Die Besetzung cit.,
p. 224.
50 Cfr. DELUMEAU, Arezzo cit., p. 526.
51 «Presulatus vero suprascripti Constantini venerabilis episcopi anno XVI et
menses XI»: cfr. U. PASQUI, Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medioevo, vol. I,
Firenze 1899, n. 228, pp. 317-330 (con riprod. fotografica del doc. fra le pp. 318 e
319).
52 Secondo R. HULS, Costantino, in Dizionario biografico degli italiani, 30 (1984), pp.
306-308, il vescovo «dovette essere consacrato intorno all’ottobre del 1061», come se,
cioè, l’11 novembre 1078 il suo governo durasse «da sedici anni e undici mesi».
53 Cfr. BAIX, Cadalus cit., coll. 79-80.
54 Le Carte della Canonica della Cattedrale di Firenze, a cura di R. Piattoli, Roma 1938,
n. 68, pp. 182-184 (a p. 182 le osservazioni del curatore sulla dipendenza dal privilegio
di Leone IX, ibid., n. 54).
55 «Quapropter, interveniente karissimo confratre nostro Rainerio episcopo vestro,
confirmamus atque corroboramus (..) quicquid in pagina concessionis et confirmationis, quam vester vobis fecit Gerardus tunc episcopus, postea Romanae Sedis pontifex
scriptum esse constat»: op. cit., n. 91, pp. 231-233 (Firenze, 1076 dicembre 28: Gregorio VII stava risalendo la penisola con l’intenzione di recarsi Oltralpe). Sull’elezione
di Ranieri si veda qui, infra, in corrispondenza della n. 105.
56 Cfr. Le Carte della Canonica della Cattedrale di Firenze cit., n. 38, pp. 102-109; un
nostro commento in Vescovi, canoniche e cattedrali nella Tuscia dei secoli X e XI cit., p. 15.
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 177
(Nero/Black pellicola)
177
57 «Preposito Florentine Ecclesie. Audivimus episcopum vestrum ultra montes isse
et quibusdam vestrum regiam curiam, ut ibi introitus et vita eius examineretur, adire
precepisse. Quod quidem, cum nulli regum vel imperatorum ecclesiastica negotia
liceat tractare, ad apostolicae sedis contemptum videtur factum fuisse»: P. EWALD, Die
Papstbriefe der Brittischen Sammlung, in «Neues Archiv», 5 (1880), p. 340, n. 69.
58 «Non sappiamo quando egli (il vescovo Pietro) sia andato in Germania: in ogni
caso, prima della sua scomunica e non troppo tempo dopo il suo introitus»: questa
l’opinione di Ewald (op.cit., p. 340, n.7; ma a p. 347 la lettera 69 è datata più precisamente «subito dopo l’inizio del vescovato di Pietro, cioè post 1062»). Per una datazione al 1062, «prima del 24 novembre» si esprime DAVIDSOHN, Storia di Firenze, I cit.,
p. 333 n. 1.
59 Infra, in corrispondenza della n. 80.
60 «Per idem tempus quidam Papiensis Petrus sedem Florentinae ecclesiae invaserat
clam interventu pecuniae, quod Iohannem patrem eiusque fratres minime latuit»: Vitae
sancti Iohannis Gualberti cit., p. 1094 (rr. 39-40).
61 Nella «Vita» scritta da Andrea, questa frase segue immediatamente quella riportata nella n. precedente.
62 «Sacerdos et monachus, iussu abbatis, hanc orationem cum magna voce, audientibus et flentibus fere tribus milibus, fudit ad Dominum: “Domine Ihesu Christe, vera
lux omnium in te credentium, tuam misericordiam peto, tuam clementiam exoro, ut
si Petrus Papiensis, qui Florentinus episcopus dicitur, interventu pecuniae idest munere a
manu, quod est simoniaca heresis, Florentinam arripuit sedem, nunc tu, fili aeterni patris,
salus mea, in hoc tremendo iudicio ad adiuvandum me festina, et me illesum sine
aliqua combustionis macula mirabiliter conserva”»: MICCOLI, Pietro Igneo cit., p. 154
(con evidenziatura nostra).
63 Sul quale si veda ora il profilo biografico stringato ma utile, anche per la bibliografia, di M. MARROCCHI, Goffredo il Barbuto, in Dizionario Biografico degli Italiani, 57
(2001), pp. 533-539, Su Beatrice, vedova di Bonifacio di Canossa, sposata da Goffredo
nel 1054, si veda E. GOEZ, Beatrix von Canossa und Tuszien. Eine Untersuchung zur
Geschichte des 11. Jahrhunderts, Sigmaringen 1995 (Vorträge und Forschungen, 41).
64 Sullo svolgimento di questi fatti si veda, come al solito, BAIX, Cadalus cit., coll.
79-81.
65 Il resoconto del «sinodo» tenutosi a Mantova fra il 31 maggio e il 3 giugno 1064
si legge in Annales Altahenses Maiores, a cura di W. Von Giesebrecht e E. L. B. Von
Oefele, in MGH, Scriptores Rerum Germanicarum in usum scholarum, Hannover 1890, pp.
64-66. Di tutt’altra impronta il racconto di BENZO VON ALBA, Ad Heinricum IV. Imperatorem libri VII, a cura di H. Seyffert, MGH, ibid., LXV, Hannover 1996, pp. 342-352.
Un’analisi comparata di questi testi (e di altri ancora) ai fini della ricostruzione dello
svolgiomento del sinodo in JENAL, Erzbischof Anno II. von Köln cit., pp. 243-268.
66 «Necesse est, ut vestra prudentia totis nisibus elaboret, quatinus generale concilium quantotius fiat, et pernitiosi huius erroris spinas, in quo miser mundus versatur,
evellat»: così Pier Damiani aveva scritto ad Annone sin dal giugno 1063 (Die Briefe des
Petrus Damiani cit., n. 99, pp. 97-100: a fine lettera).
67 Nei primi mesi del 1064 Alessandro II e Ildebrando avevano ordinato a Pier
Damiani di raggiungerli a Roma per poi accompagnarli a Mantova, ma in quell’occasione l’arcidiacono (chiamato da Pier Damiani il «santo Satana») si era espresso nei
confronti del cardinale vescovo di Ostia con «rimproveri minacciosi e ostili»: cfr. op.
cit., n. 107, pp. 195-188.
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
178
31-08-2007
9:57
Pagina 178
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
68 «Prandellus denique de certis semper incertus domi resedit»: la notizia è fornita
solo da BENZO VON ALBA, Ad Heinricum IV. Imperatorem libri VII cit., p. 342 (rr. 11-12),
ma sembra fededegna.
69 Cfr. supra, n. 44 e testo corrispondente.
70 «Cum itaque pene omnes furerent contra monachos et dignos morte iudicarent
eos, qui temerarie contra prelatos ecclesiae armari auderent, ceperunt nostri utpote
agni inter lupos vexari et turbari nimis et clamare ad Dominum. Interea surrexit in
concilio quidam vir egregius et excellentissimus alter Gamaliel, scilicet Ildebrandus
monachus et archidiaconus ecclesiae Romanae, qui non pedetemptim ratiocinando,
sed aperte atque fortissime defendit monachos contra omnium opinionem. Et quia
placuit sibi, ut fieret defensor Christi, factus est postea vicarius Christi, hoc est papa
urbis Romae. Nam quia Christus est veritas, cum defendendo testatur veritatem, testis
extitit Christi»: Vitae sancti Iohannis Gualberti cit., p. 1107 (rr. 12-19).
71 «Nam euntes Romam tempore synodi constanter et publice proclamaverunt
Petrum symoniacum et hereticum, se ignem proferentes intraturos ad id comprobabndum. Alexander vero papa, qui tunc sedi apostolicae presidebat, nec tum accusatum voluit deponere nec igneam declarationem sumere; favebat enim maxima pars
episcoporum parti Petri et omnes pene erant monachis adversi. Sed archidiaconus
Ildeprandus monachorum in omnibus est factus adiutor et defensor»: op. cit., p. 1095
(rr. 35-40).
72 Dopo aver riferito del tumulto provocato il I giugno dall’irruzione dei «fautores
Parmensis episcopi» nell’ecclesia maior di Mantova che ospitava il sinodo, e del pronto
intervento di Beatrice (la quale «templum cum suis intravit»), l’Annalista di Niederaltaich conclude così il racconto dell’assemblea mantovana: «Sicque reliquis duobus
diebus cum pace ordinatis, quae ordinanda erant, Alexander papa Romam regreditur.
Reliqui omnes ad propria revertuntur»: Annales Altahenses Maiores cit., p. 66.
73 Le Carte di Santa Maria di Firenze (Badia), vol. I, a cura di L. Schiaparelli, Roma
1913, n. 60-61, pp. 150-155 (1065 gennaio 15 e gennaio 18).
74 «Neque enim sufficit Christi sacerdotibus solum praedicationi insistere, nisi
etiam studeant de manu fructificare, hoc est, eleemosynam facere, ceteraque bona
pro viribus explere. Et quia mihi immerito divina misericordia Florentini Episcopatus
regimen largiri dignata est, assiduis precibus flagito, quatenus omnipotentis iuvamine
iniunctum mihi officium sic peragam, ut in die tremendi examinis pro talento mihi
credito a Domino audire merear: “Euge, serve bone et fidelis”»: UGHELLI, Italia Sacra,
III cit., coll. 75-76. «L’episcopato di Pietro Mezzabarba ha lasciato poche tracce, ma
tutte dimostrano che egli si distinse per alcuni gesti che non contrastavano con i suoi
doveri pastorali, o meglio, con quelli che nell’XI secolo erano i doveri annessi alla
funzione episcopale secondo il modello che i riformatori avversavano [...] L’atto di
fondazione del cenobio costituisce un documento prezioso per individuare le linee
essenziali dell’episcopato del Mezzabarba [...] Una concezione attivistica della
funzione episcopale ispira questa arenga»: queste citazioni condensano il giudizio di
D’ACUNTO, Lotte religiose a Firenze cit., pp. 292-293.
75 «Hinc ad commonachos meos articulum transfero, a quibus profecto procedere
totam hanc iurgandi materiam non ignoro. Dicunt enim quia per huiusmodi sacerdotes nec crisma confici, nec aecclesia dedicari, nec clericalia iura conferri, nec missarum ullo umquam tempore potuerunt solemnia celebrari. Et tam haec impudenter
allegant, ut horno compulerint in tribus plebibus sine conspersione crismatis catecuminos baptizari. Sed cum Christus proculdubio denominetur a crismate, nil aliud
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:57
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 179
(Nero/Black pellicola)
179
tollunt baptismo nisi Christum qui crismatis subtrahunt sacramentum»: Die Briefe des
Petrus Damiani cit., n. 146, p. 535. A Firenze, come è noto, l’anno cominciava il 25
marzo, secondo lo Stile dell’Incarnazione. Nel 1066 la Pasqua era caduta il 16 aprile.
76 «Inter alia tam sancte Dei ecclesie quam imperii titubantis pericula ad exaggerationem doloris mei me apud vos audio insimulari, quasi vivente atque sedente Romano
pontifice sacram hanc sedem apostolicam ego affectaverim. Cui quidem rumori si vel cor
apposuistis aut ullam fidem adhibuistis, magis vestram vicem quam meam doleo [...]
An non ego plus omnibus atque re vera solus usque in hunc diem in vestram gratiam
atque statum honoris omni laboravi studio? [...] Quod coram universa ecclesia tam in
Italia quam in Gallia publice studiosus cepi defendere, nunc inquam impugnarem?»:
cfr. JENAL, Erzbischof Anno II. von Köln cit., pp. 283-286, n. 8 (per il testo della lettera: le
frasi cit. si leggono a p. 283), con commento analitico che prosegue fino a p. 294.
77 «Potueramus enim ego et dux Godefridus ex benignitate domni nostri regis,
ipso in Italiam eunte, domi remanere. Visum enim est ipsi suisque fidelibus, illis
inquam, quos nunc habet magis familiares, absque nobis res Italicas satis posse confici
[...] Spero, nulla vos necessitate compelli supplicem in vestris rebus quicquam agere,
quippe cum testimonium habeatis satis amplum prima de investitura sedis apostolicae.
Sed et postea, cum de ingressu vestro, ut fieri solet [...] mussare cepissent, nonne
manifestum est aecclesiae, bis atque tercio iam vos in sedem vestram ex verbo regis, ut
dignum erat, esse reductum, principibus, episcopis, ducibus, marchionibus in hoc
obsequio vos comitantibus? Quapropter nulla remaneat in animo vobis hesitatio,
quoniam, quoad vixerimus, ego et dux nullatenus vobis deerimus»: op. cit., pp. 285-286 (con
evidenziatura nostra). Come è noto, fra la metà del 1064 e l’inizio del 1066 il principale consigliere del re fu Adalberto, arcivescovo di Brema.
78 Su quest’evento, che ebbe luogo il 29 marzo 1065 ed è raccontato da Lamperto
di Hersfeld («primum se rex arma bellica succinxit»), si veda sempre op. cit., pp. 274275. Di poco successiva è, pertanto, la preoccupata lettera scritta al re da Pier
Damiani, per invitarlo a portare aiuto alla Chiesa Romana e a levare di mezzo Cadalo:
«Porro veraciter sine causa gladium portas, nisi resistencium Deo colla transfodias». La
lettera testimonia il disorientamento del Damiani nei confronti dei nuovi equilibri
all’interno della corte regia: «quidam praeterea consiliarii, tui videlicet aulici ministerii dispensatores, ut foeda per populum vulgatur infamia, de persecucione Romanae
gratulantur aecclesiae [...] Quod tamen de quibusdam sanctis viris, qui tuis consueverunt esse consiliis, nefas est credi» (Die Briefe des Petrus Damiani cit., n. 120, pp. 384392).
79 «Cum post octabas epiphaniae domnus noster rex cum quibusdam principibus
haberet colloquium [...] super imperii negotiis quesivit consilium. Siletur ab omnibus.
Mihi qui consederant, ut ad verba regis responderem, innuunt, nec ego multum invitus hoc accepi negotium, sic exorsus atque respondens: quandoquidem sibi videretur
necessarium, me promptum esse; si sequi me vellet, sanum sibi me dare consilium,
hoc videlicet primum et maximum, ut ipse cessaret ab ea, qui diu iam sedem apostolicam
vexavit, calumnia; oportere quoque, ut post multas iniurias cum satisfactione dignum exhiberet
honorem summo pontifice. Quod cum omnibus acclamantibus ipse, ut cunctis videbatur,
libenter suscepisset consilium seque promisisset ita facturum, per quem hoc amministraretur, positum est in medium. Ad me est perventum, utputa archicancellarium
atque per quem pre omnibus amministrari oporteret Italiae negotium. Rex, voces
audientes acclamantium, rogat, ut prosequar officium. At ego memor omnium, quae mihi
Mantuam eunti ante et retro in via illa, domi quoque parata fuerant, negotium, quod offer-
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
180
31-08-2007
9:57
Pagina 180
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
rebatur, exhorrui, idque absque retractatione refutavi. Quod audientes atque diligentius, quam ego ipse, intuentes, amici mei Rodulfus atque Bertholdus secreto me
abduxerunt atque, ut legationem susciperem, persuaserunt. Intellexerant enim ipsi,
certum fuisse regem, me, ut in Italiam irem, sibi contradicturum, talique occasione, si
res Italicae remanerent infecte, omne pondus et culpam eum in me transferre. Igitur
ego eorum audiens consilium, reversus ad conventum constanter spopondi, me
iturum, cum propter aecclesiae pacem tum propter imperii tocius honorem. Eo
audito rex et omnes, qui cum eo aderant, siluerunt, nec unquam michi postea inde
verbum fecerunt»: JENAL, Erzbischof Anno II. von Köln cit., pp. 307-308 (con commento
fino a p. 311). Gli «amici» menzionati da Annone erano Rodolfo di Svevia e Bertoldo
di Carinzia. Ai primi dell’anno Adalberto di Brema era stato allontanato dalla corte.
80 Cfr. supra, n. 57.
81 Cfr. supra, n. 60,
82 Nel 1066 Alessandro II inviò ad Annone un privilegio di conferma della
proprietà del monastero di Siegburg, aperto da un’arenga in cui il destinatario è chiamato «vir religiosus et re vera tam operibus quam nomine episcopus, quique cum fidelis servus et prudens totis anhelans visceribus propri deservis ecclesiae, de medio laborum matrem laborantem respiciens pios ei subponis humeros, nec labori subcumbens
cum per multa incedas obstacula, declines a via regia»: cfr. JENAL, Erzbischof Anno II.
von Köln cit., pp. 312-313 (n.37), con ampio commento. Nel successivo 1067, Alessandro II scrisse ancora ad Annone, ma questa volta per esortarlo a restituire il monastero di Malmedy all’abate Teoderico di Stavelot (che si era recato a Roma per questo
motivo): «ex te bona opera ad sedem usque domini mei Petri delata cognovimus,
quae velut quadam nube michi obfuscari videntur his tuis praesumptionibus». Questa
lettera papale è riportata, in parte, nel testo scritto qualche anno dopo nel monastero
di Stavelot per rievocare la lunga vicenda della perdita e della sudata riconquista di
quel cenobio, e noto sotto il titolo di Triumphus sancti Remacli de Malmundariensi coenobio, a cura di W. Wattembach, in MGH, Scriptores, XI, pp. 433-461: 447. Alla questione
dedichiamo un breve cenno nel testo. Cfr. naturalmente anche JENAL, Erzbischof Anno
II. von Köln cit., pp. 315-317.
83 Il 22 maggio 1067 Alessandro II inviò «charissimo fratri Petro Florentino
episcopo, suisque successoribus» un privilegio di conferma della fondazione del
monastero di San Pier Maggiore: UGHELLI, Italia Sacra, III cit., col. 76. Sul sinodo
romano del 1068 si veda qui, infra, in corrispondenza della n. 91.
84 «Itaque saepedicti praesulis sui [scil. Annonis] instinctu et consilio, martyr Christi ante futurus quam episcopus, adductus in medio et dignus acclamatus, suscepit a
manu regia pontificatus insignia, scilicet pastoralem baculum et sponsalem ecclesiae
anulum, interim dum sacri crismatis unctione ordinaretur sponsus ecclesiae»: questa
interessante (e non frequente) descrizione dell’«elezione» e «investitura» di un
vescovo per mano del re si legge nella Vita et passio Conradi archiepiscopi auctore Theoderico, in MGH, Scriptores, VIII, pp. 212-219: 215.
85 Corrado fu catturato all’alba del 18 maggio 1066, mentre si accingeva a lasciare
il luogo («quarto ab urbe miliario») in cui aveva pernottato insieme con il vescovo di
Spira, al quale il re aveva affidato il compito di scortarlo fino alla sua sede, in attesa di
raggiungere Treviri, «ut ab eodem domno regis vice urbi praesentaretur et, ut est
consuetudinis, a clero et populo sollempniter exciperetur». Degno di nota è anche il
racconto dei supplizi inflitti a Cuno. I suoi aguzzini lo fecero precipitare da una rupe,
dopo aver pronunciato queste parole: «En (..) experiri habemus, an ad episcopatum
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:58
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 181
(Nero/Black pellicola)
181
te elegerit Deus; quod tunc liquebit, cum incolumitate ruina haec stabilierit». Cuno
però ne uscì incolume, e lo stesso avvenne per altre due volte: egli fu dunque «ter
probatus, terra Deo glorificatus, ter ab ipso servatus illaesus», ma questo indubitabile
“giudizio di Dio” non gli valse la salvezza: «ita ille ter beatus, ludibria et verbera expertus, insuper et vincula et carceres, in occisione gladii mortuus est» (op. cit., pp. 216217). La morte di Corrado e la successiva elezione di Uto, avvenuta col permesso del
re («tandem ergo Treviris concessa electione, elegerunt Utonem virum nobilem et
honoratum, eiusdem congregationis canonicum») sono descritte anche dagli Annales
Altahenses Maiores cit., p. 73.
86 «Ecce qui apud eos appellatur episcopus ceterique complices eius ad te veniunt,
onusti munusculis, quibus te inescare cupiunt, ne super eis nostrarum parcium et
Gallicanum expectes iudicium. De quibus etiamsi ad praesens aliquos habere poteris,
si inveni gratiam coram te, mei memor eris, in cuius iniuriam totius istius mali redunat pestis. Servabis, o domine mi, primam apostoli super huiusmodi sententiam, in
perdicionem apud ipsos suam remanere pecuniam, per quam Petri successorem ab
paterna traditione separari posse autumant. Et, ut finem diciendi faciam, si quid
umquam penes te bene merui vel in futurum me meriturum estimas, de pallio sive de
commissi sceleris purgatione nullum hac vice, quaeso, tecum finem faciant»: JENAL,
Erzbischof Anno II. von Köln cit., pp. 314-315 (n. 44).
87 «Mittuntur igitur Anno Coloniensis archiepiscopus, Henricus Tridentinus, Otto
dux Baioaricus. Hi ergo cum Ravennam venissent, civitatis illius pontificis usi sunt
confabulatione et convivio, nec etiam devitabant Parmensem episcopum, sese adeuntem alio in loco, quos utrosque Alexander papa ligaverat anathematis vinculo. Ob
hanc igitur causam noluit eos videre, cum Romam venissent, videlicet quia excommunicatis a se communicassent»: Annales Altahenses Maiores cit., p. 74.
88 Cfr. JENAL, Erzbischof Anno II. von Köln cit., pp. 324-325.
89 «Habebat [...] apostolicus in archiepiscopum iustam causam iudicii, quod suo
iniussu communicaverit aemulo suo Parmensi videlicet episcopo, quem anathematis
perhibebant subiacere iudicio. Igitur ex senatus consultu iubetur ob hoc arceri a
conspectu papae totiusque Romani concilii, nisi publica satisfactione purgaret offensam, quam commiserat contra ius honoremque vicarii Petri apostoli. Pro qua re ille
consultus, pro delictu conductu marchisae Beatricis nudis pedibus procedit in publicum, postque satisfactione data indulgentia suscipitur in consortium»: Triumphus
sancti Remacli cit., p. 448, rr. 29-35.
90 Dopo che l’abate Teoderico, anch’egli presente a Roma, ebbe fatto le sue rimostranze, Annone «pauca ex industria locutus, satis pro se ad praesens respondet,
legato regis Romanorum per dedecus inferre vim ullam non debere; praeterea ut
concessa sibi dono regio perderet, non ideo se illuc advenisse. Cum ergo rogaretur a
papa, ut amore beati Petri suique in illo iustam humanitatem faceret, spondet se
omnino facturum, dum in patria coram rege uterque veniret. Igitur post haec et alia
quam plurima discessum est ab utrisque de Italia. Attamen nil horum obtinuit episcopus, quarum maxime rerum ierat gratia»: op. cit.
91 «Ipse vero [scil. Alexander papa] more solito post albas sinodum episcoporum
habuit, in qua sinodo pontifex a civitate Turtun aderat, qui temporibus piae recordationis papae Leonis contra vastatores episcopii sui dimicando homicidium fecerat et
ob hoc iam tot annis sacerdotali ministerio caruerat. Cum vero huc usque perseverasset in luctu penitentiae, illic reconciliari et ministerium suum recipere meruit tocius
sinodi intercessione [...] Florentinus autem presul, quia per heresim simoniacam in
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
182
31-08-2007
9:58
Pagina 182
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
episcopatum intraverat, accusatus et manifestis indiciis convictus protinus deponitur.
Affuit etiam illic Uto, Trevirorum presul venerandus, qui et ipse de eadem heresi est
accusatus, sed mox, per iusiurandum se excusans, innocens est iudicatus et post haec
in magna veneratione a papa et Romanis est habitus»: Annales Altahenses Maiores cit., p.
74.
92 Desiderio, che si attiene di norma alla “versione vallombrosana” (così, ad esempio, egli apre il suo racconto, culminante nella “miracolosa” prova del fuoco di
Settimo: «Petrus quidam clericus dictus est, qui occulte data pecunia regio adminiculo
in praedicta Florentina civitate cathedram episcopatus accepit»), racconta che Alessandro II, dopo aver ricevuto le denunce dei «tanti» che s’erano sottratti alla comunione con Pietro, «episcoporum concilio congregato eundem episcopum, ut rem diligenter agnosceret, convocavit. Sed cum se synodo praesentasset, accusatoribus
undique acclamantibus sacramento sese purgare nitebatur» (ottenendo però solamente che il giudizio fosse sospeso «ut per easdem forsitan indutias divinum expavescens iudicium, quod pertinaciter negabat, humiliter confiteretur»): Dialogi de miraculis sancti Benedicti, III, 4 cit., p. 1146 (rr. 22-34). Evidente è qui l’intento di
“giustificare” il comportamento di Alessandro II, che nel sinodo del 1067 non aveva in
alcun modo condannato il vescovo Pietro.
93 Pagina che abbiamo riportato pressoché per intero supra, nn. 87 e 91.
94 L’Annalista apre infatti il racconto dei fatti del 1068 raccontando che Enrico IV,
dopo aver festeggiato il Natale del 1067 a Goslar, «post haec Augustam venit in purificatione Mariae, paratus inde in Italiam transire; sed cum regni principibus laboriosum
videretur simul ire, facile persuaserunt regi, pueriliter utpote multa consideranti, in
Saxoniam redire et pro se legatos in Italiam transmittere»; ma il re era ad Augusta già
per Natale (Annales Altahenses Maiores cit., p. 74, con il commento a n. 2).
95 Dopo che, la sera del sabato 9 febbraio, il municipalis praeses (lo stesso Goffredo
o un suo officiale?) ebbe cacciato un gruppo di chierici dalla chiesa di San Pietro in
Ciel d’Oro, suscitando rumorose reazioni da parte dei fedeli, «his ergo eiulatibus
hisque doloribus nos quoque clerici, qui ipsi Papiensi videbamur fautores et asseclae
et qui ab aliis heretici acclamabamur eo quod ipsum sequebamur, permoti, seramus
ecclesias et merore proiectorum non tangimus campanas, populis non psalmos non
denique canimus missas. Nec mora, nobis congregatis fit Domino inspirante consilium: ad Dei namque monachos, qui Septimo in monasterio sancti Salvatoris degunt,
communi voto quosdam nostrum mittimus petentes et orantes dubietatem huius rei velle
perdere et veritatem cognoscere cognitamque firmiter promittentes tenere»: MICCOLI, Pietro Igneo
cit., p. 150.
96 «Monachus intraturus ignem eligitur iussuque abbatis celebraturus missam ad
altare procedit. Missa vero cantatur cum magna devotione et supplicatione omnium
[...] Interea dum pro ingenii capacitate ab omnibus Deus oratur, presbiter, perceptis
salutis mysteriis et expleta missa exutaque casula ceterisque sacerdotii indumentis sibi
retentis crucemque Christi portans, cum abbatibus et monachis letanias faciendo ad
strues lignorum iam rogos fieri incipientes appropinquat»: op. cit., pp. 152-153. «L’atmosfera liturgica» in cui la Lettera inserisce l’evento è ben colta e descritta da BENVENUTI, San Giovanni Gualberto e Firenze cit., pp. 108-110.
97 «Non solum illos, qui in civitate morabantur, nimia commotus pietate solito
more, sed etiam quos iam in interiore cella novitiorum habebat et qui pro accipienda
veste monastica venerant, inde abstraxit et a Rodulfo Tudertino episcopo, viro sanctissimo et catholico, ordinari gradatim fecit eosque Mediolano direxit»: Vitae sancti
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:58
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 183
(Nero/Black pellicola)
183
Iohannis Gualberti cit., p. 1100.
98 «Hunc episcopum papa ad regendum episcopatum Florentinum direxerat post
depositionem symoniaci Petri. Et quoniam maius his fecit, maius dicam: ipsum scilicet
episcopum postea cum viris eruditis prefato Mediolano misit, ut viris catholicis id
omnimodo optantibus et petentibus officio subveniret episcopali, quo fidelium consolaretur corda catholico pastore diu destituta»: op. cit. (è la continuazione del passo
riportato nella n. preced.).
99 Come risulta da un’epigrafe, il 29 dicembre 1068 egli consacrò la chiesa urbana
di San Petro a Scheraggio (cfr. SCHWARTZ, Die Besetzung cit., p. 210).
100 «Nos itaque tam illos quam omnes res sibi pertinentes sub alas apostolice
protectionis colligentes, securos et absolutos reddimus ab omni incursantium infestatione, inquietudine, vexatione, ut, omni perturbatione summota, libere quieteque
Deo, ubicumque fuerint, militare valeant»: Le Carte della Canonica della Cattedrale di
Firenze cit., n. 75, pp. 197-198.
101 «Quia vos, dilectissimi filii [...] Florentine ecclesie in commune viventes canonici, postulastis a nobis, quatinus quandam fraudulentiam, quam in ecclesia vestra
pululandum conspicitis, nostra apostolica auctoritate compesceremus, petitionibus
vestris, quia iuste videntur, libenter annuimus. Timetis enim, pro eo quod ecclesia
vestra ad presens caret pastore, ne inibi huiusmodi scandalum oriatur, videlicet ne sub
optentu multe necessitatis aliqui ecclesias quodammodo sibi attinentes quibusque
episcopis consacrandas et suos clericos ordinandos vel etiam, quod plus est, abbates
consecrandos sine consensu et licentia vestra committant, et hic error adeo crescat, ut
nec etiam venturo catholico episcopo iure subdantur, sed sint quasi acefali, nullum in
doctrina Christi sequentes»: op. cit., n. 76, pp. 198-200, con data «1068 marzo 30dicembre 29» (cfr. a p. 199 le osservazioni dell’editore, che rimanda a quelle formulate dallo Schiaparelli a proposito del privilegio di Alessandro II in favore della Badia,
pure esso incompiuto, e databile genericamente al «1067-1068», che lo studioso riteneva «documento ... preparato senza autorizzazione della cancelleria, coll’intento di
presentarlo ad essa alla prima occasione»: Le Carte di Santa Maria di Firenze, I cit., n. 65,
pp. 168-169).
102 «Apostolica igitur auctoritate statuimus, ut nulli liceat, magne parveque
persone, quemlibet episcopum in vestro episcopatu ad consecrandum ecclesias sine
nostro consensu et licentia futuri catholici episcopi vestri avocare vel alicubi aliquos
clericos ad promovendos vel abbates, quorum consecratio iure eclesie vestre attinet,
ad consecrandos educere»: Le Carte della Canonica della Cattedrale di Firenze cit., n. 76, p.
200.
103 La «Lettera dei Fiorentini ad Alessandro II» dice semplicemente che «il priore»
(il preposto?) e l’arciprete «si erano allontanati dalla città» («quadam etenim die
omnes Florentine civitatis clerici una congregati cepimus tam de clericis de locis suis
expulsis quam etiam de nobis ante Papiensem Petrum conqueri. De abiectis enim
quia consilium et solatium eorum amiseramus et quia etiam prior et archipresbiter noster
metu heresis e civitate secesserant, de nobis autem quia bona pars civium nostrorum nos
hereticos acclamabat»: MICCOLI, Pietro Igneo cit., pp. 148-149); e una sorta di “sospensione” della normale attività della canonica sembra suggerita dall’atto di donazione
del maggio 1066 (ma databile forse all’anno successivo, in base all’indizione), indirizzato non – come di norma in quel periodo - «alla canonica regolare di San Giovanni,
retta dal preposto Martino», bensì «in ecclesia et plebe Sancte Reparate, qui est posita
in civitate Florentiia, ubi modo donnus Segniorerlo presbiter preesse videtur» (Le
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
184
31-08-2007
9:58
Pagina 184
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
Carte della Canonica della Cattedrale di Firenze cit., n. 72, pp. 190-191). La donazione era
sicuramente in favore dei canonici, che dagli anni ’30 del secolo officiavano la chiesa
battesimale cittadina (cfr. il nostro Vescovi, canoniche e cattedrali nella Tuscia dei secoli X e
XII cit., pp. 16-17), ma il suo particolare formulario indicava forse che in quel
momento la maggioranza di essi era assente.
104 A questo riguardo, è noto che Pietro ancora nel luglio del 1068 si trovava a
Lucca presso Beatrice, in veste di Florentinus episcopus, probabilmente per cercare di
ottenere da Alessandro II l’annullamento della sentenza di deposizione emanata dal
sinodo romano di primavera: è perciò da correggere GOEZ, Beatrix von Canossa und
Tuszien cit., Anhang A, n. 17, p. 209, che vorrebbe datare al 1067 il documento relativo, che è invece sicuramente da porre insieme agli altri recanti la data dell’11 luglio
1068 (e schedati ibid. al n. 18, p. 211).
105 «Sexies septenis sedit in hac urbe»: cfr. UGHELLI, Italia Sacra, III cit., col. 89.
106 Si veda, come sempre, JENAL, Erzbischof Anno II. von Köln cit., pp. 363-364.
107 Come è stato brillantemente suggerito da PELLEGRINI, “Sancta pastoralis dignitas”
cit., pp. 283-287. L’ascolto della relazione pronunciata da questo studioso al convegno
pistoiese del maggio 1998 ci ha offerto lo stimolo per dare alla nostra ricerca l’impostazione con la quale la presentiamo qui.
108 Op. cit., p. 278.
109 Cfr. al riguardo JENAL, Erzbischof Anno II. von Köln cit., pp. 329-331.
110 «Adalberto di Brema aveva riacquistato una posizione importante a corte dall’estate 1071, ma era uscito di scena a causa della sua morte improvvisa nel marzo del
1072. In seguito a questo cambiamento Annone ottenne di nuovo una larga influenza
sul re, senza che si possa parlare di lui come del vero e proprio “successore” di Adalberto»: op. cit., p. 357.
111 Cfr. SCHWARTZ, Die Besetzung cit., p. 210.
112 Cfr.I placiti del «Regnum Italiae», a cura di C. Manaresi, vol. III/1, n. 428, pp.
310-314 (e GOEZ, Beatrix von Canossa und Tuszien cit., Anhang A, n. 33, pp. 219-220).
113 Op.cit., n. 34-35, p. 220.
114 Come risulta dalla lettera inviata da Gregorio VII a Beatrice e Matilde il 24
giugno 1073: «de electo vero Lucensi non aliud vobis respondendo esse pervidimus,
nisi quod in eo tantam divinarum litterarum scientiam et rationem discretionis esse
percepimus, ut, que sinistra que sit dextra, ipse non ignoret»: Das Register Gregors VII, a
cura di E. Caspar, Berlin 1923 ( MGH, Epistulae selectae, II), I, 11, pp. 17-18.
115 Famosa è la lettera scritta da Gregorio VII ad Anselmo il I settembre 1073, da
Capua: «ut enim viam, qua ambules, postulasti tibi notificaremus, nullam novam,
nullam expeditiorem scimus ea, que nuper dilectioni tue significavimus, videlicet te ab
investitura episcopatus de manu regis abstinere, donec de communione cum excommunicatis Deo
satisfaciens rebus bene compositis nobiscum pacem possit habere» (op. cit., I, 21, pp. 34-35), in
quanto è una delle principali pezze d’appoggio del fondamentale volume di R. SCHIEFFER, Die Entstehung des päpstlichen Investiturverbots für den deutschen König, Stuttgart 1981
(Schriften der MGH, 28), pp. 101-102, 111 e passim ad indicem. Sull’investitura di
Anselmo II si veda anche qui infra, n. 123.
116 «Gregorius episcopus [...] episcopis Tuscie Constantino Aretino, Rainerio
Florentino, Leoni Pistoriensi, Anselmo Lucensi, Lanfranco Clusino [...]. Non ignorare
credimus fraternitatem vestram, qualiter comprovincialis vester Rodulfus Senensis
episcopus hoc in anno sine nostra licentia regem excommunicatum adiens contra
omnem ecclesiasticam auctoritatem communicando cum eo eiusdem excommunica-
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
31-08-2007
9:58
Pietro Mezzabarba e i suoi confratelli
Pagina 185
(Nero/Black pellicola)
185
tionis laqueum incurrerit. Qua de re quamquam eum propria accuset et reum iudicet
conscientia, a nulla tamen communione, sicut excommunicatum oportuerit, se abstinere curavit, sed omnia tam in ministerio quam exteriore conversatione presumens
peccati sui maculas in multos dispersit. [...] Proinde fraternitati vestre scripsimus
ammonentes, ut eum, si potestis omnes aut duo de vicinioribus, in loco congruo
quamtotius conveniatis et iniungentes ei prout vobis visum fuerit penitentiam, ut in
privatum locum se recipiat et, sicut in sacris statutum est canonibus, a christiana
communione se abstineat, commoneatis»: Das Register Gregors VII cit., IV, 8, pp. 306307.
117 Cfr. il nostro Vescovi e città a Pisa nei secoli X e XI cit., pp. 94 e 128.
118 Il 5 marzo 1076 Gregorio VII aveva scritto «Fesulano clero et populo, maioribus
videlicet atque minoribus», invitandoli energicamente a smettere di continuare ad
accusare il proprio vescovo Transamondo e ridurre così alla rovina la Chiesa Fiesolana, dal momento che la Chiesa Romana e il papa ritenevano chiusa la questione
(«unde ammonemus, ut inter vos ulterius non sint scismata et contentiones, sed quod
nos sentimus, quod nobis sufficit, quod Romana approbat ecclesia, vos id ipsum
sentiatis et teneatis»: Das Register Gregors VII cit., II, 57, pp. 210-211). Una posizione
ben diversa da quella sostenuta nel 1067-1068 dall’allora arcidiacono Ildebrando!
Sulla questione, sostanzialmente poco chiara, si veda, con prudenza, DAVIDSOHN, Storia
di Firenze, I cit., pp. 369-370.
119 In cui, fra l’altro, lo accusava di aver nominato come vescovi di Fermo e
Spoleto due personaggi a lui sconosciuti, «quibus non licet nisi probatis et ante bene
cognitis regulariter manum imponere»: Das Register Gregors VII cit., III, 10, pp. 263-267:
264. Su questa lettera si veda SCHIEFFER, Die Entstehung des päpstlichen Investiturverbots
cit., pp. 134-142; e sulla posizione di Gregorio VII nei riguardi delle elezioni vescovili
della provincia ecclesiastica romana, H. E. J. COWDREY, Pope Gregory VII and the Bishoprics of Central Italiy, in «Studi Medievali», s. III, XXXIV (1993), pp. 51-64: 54-56.
120 Il medesimo Rodolfo cui era stata dedicata la lettera del I novembre 1076
(supra, n. 114): evidentemente, il problema era stato superato! Cfr. PELLEGRINI, “Sancta
pastoralis dignitas” cit., pp. 285-286.
121 Come vedremo subito, il vescovo di Pisa (diocesi pur essa confinante con quella
di Volterra) era appena stato eletto ma non era stato ancora consacrato.
122 «Non ignorare vos credimus, quantum sollicitudinis quantumque fatigationis
habuerimus id agentes, ut in Wlterrana ecclesia secundum Deum et auctoritatem
canonum utilis et idoneus eligeretur episcopus. Et quia secundum voluntatem Dei in
personam Bonoisi mantuani archipresbyteri et nostra consilia et voluntas eorum, qui
de illa ecclesia sunt, convenit, apostolica vos auctoritate monemus, ut eandem ecclesiam adeuntes, qualiter generalis electio fiat ab omnibus, procuretis et eam, sicut
moris est ex antiqua sanctorum patrum traditione fuisse cognoscitis, nostra vice
confirmetis. Quo facto et rem, quam ordinate facta fuerit, nobis sine dilatione certis
litteris vestris indicate et electum pro suscipienda consecratione quamtotius ad nos
cum sollemni decreto cleri et populi destinate»: Das Register Gregors VII cit., V, 3, pp.
350-351.
123 Famoso il passo di Ugo di Flavigny, che racconta come Ugo, vescovo eletto di
Die, e Anselmo vescovo eletto di Lucca attendessero insieme a Roma di essere consacrati dal pontefice, quando, nei primi mesi del 1074, «venerunt nuncii regis Heinrici
Romam, rogantes ne contra morem praedecessorum suorum domnus papa eos consecrare vellet, qui episcopatus electionem solam, non autem donum per regiam accepe-
Convegno -2007-last-17X23,5:Atti San Guido1
186
31-08-2007
9:58
Pagina 186
(Nero/Black pellicola)
MAURO RONZANI
rant investituram». Il papa, consultati i cardinali, i quali gli risposero che la richiesta
era legittima, «in Lucensi tamen electo eis adquievit, ut consecrationem eius differret,
donec investituram episcopatus ex regio dono accepisset; in Diensi vero adquiescere
noluit»: Hugonis Chronicon, in MGH, Scriptores, VIII, p. 411.
124 Cfr. CECCARELLI LEMUT, Cronotassi dei vescovi di Volterra cit., p. 41.
125 Come dimostrato da SCHMIDT, Alexander II. cit., pp. 173-179.
126 Per tutto questo si veda il nostro Chiesa e «Civitas» di Pisa nella seconda metà del
secolo XI cit.
127 «Pisana ecclesia, que in preficiendis sibi pastoribus a constitutionibus sanctorum patrum deviaverat, tandem pro restitutione antique libertatis sue salubre consilium matris sue sancte Romane ecclesie suscepit ita, ut te non aliunde sed per ostium,
quod Christus est, intrantem gaudeat se nobis ordinantibus habere pastorem. [...]
Preterea fidei et religionis tue gratum in te fructum exuberare cognoscentes committimus tibi tuisque successoribus vicem nostram in Corsica insula, si tamen ipsi
consensu Romani pontificis et electione Pisani populi ita canonice intraverint, sicut te
constat intrasse [...] Concedimus tibi, per quem Pisana ecclesia ad antiquum sui decorem reducta est et qui prius in restitutione predicte insule elaboraturus es, medietatem
omnium redituum et totius pretii, que de placitis adquiretur»: Das Register Gregors VII cit.,
VI, 12, pp. 413-415..
128 Cfr. GARZELLA, Cronotassi dei vescovi di Populonia-Massa Marittima cit., pp 11-12.