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ISTANZA Femmine

2021

Richiesta di vaccinazione ex D.L. n. 172/2021 previa istanza di informazioni ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1, L. n. 219/17, art. 3, CARTA UE, e art. 5, Convenzione di Oviedo

– XXXXXXXXXXXXXX , pec: XXXXXXXXXXXXXX email: XXXXXXXXXXXXXXXX tel.: XXXXXXXXXX Spett.li pec: MINISTERO DELLA SALUTE Viale Giorgio Ribotta n. 5 – 00144 Roma pec: [email protected] [email protected] COMM. STR. EMERGENZA COVID-19 pec: [email protected] [email protected] DIP. PER L’INFORMAZIONE E L’EDITORIA pec: [email protected] email/pec: Lettera PEC OGGETTO: Richiesta di vaccinazione ex D.L. n. 172/2021 previa istanza di informazioni ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1, L. n. 219/17, art. 3, CARTA UE, e art. 5, Convenzione di Oviedo La sottoscritta residente a nata il in a , C.F. , formula la presente in riferimento al consenso informato necessario all’adempimento dell’obbligo di vaccinazione disposto dal D. L. n. 172/21, per significare quanto segue. PREMESSO • che il D.L. n. 172/2021 fissa un obbligo vaccinale per specifiche categorie di lavoratori e, all’art. 1, co.1, lett. a), dichiara testualmente che tale obbligo è «previsto per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2»; ribadendo tale effetto sia alla lett. b) del medesimo comma che al comma 1 dell’art. 2, all’art. 3 – in cui si parla di vaccinazioni contro il SARS-CoV-2 – e all’art. 8, prevedendo l’implementazione di una più ampia campagna informativa in relazione alla vaccinazione antiSARS-CoV-2; 1 • che, anche dal combinato disposto di cui ai commi 7 e 8 del predetto art. 1, D. L. n. 172/2021, si evince senza dubbio alcuno che l’obbligo vaccinale è fissato per «evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2» e infatti, sempre ai fini del contenimento della diffusione del contagio in caso di omissione o differimento della vaccinazione ai sensi del comma 2, è disposta l’adozione di «misure di prevenzione igienico-sanitarie indicate dallo specifico protocollo di sicurezza»; • che l’art. 4 del D.L. n. 44/2021, convertito in L. n. 76/2021, nel fissare il primo obbligo vaccinale nei confronti dei sanitari, s’intitola “Disposizioni urgenti in materia di prevenzione del contagio da SARS-CoV-2 mediante previsione di obblighi vaccinali”, sicché è pacifico che il fine proclamato del trattamento sia la prevenzione del contagio da SARS-CoV-2, non della malattia COVID-19; • che invece la Nota informativa di cui all’allegato 1 al modulo di consenso vaccinazione antiCOVID-19, attualmente presentata all’avente diritto e a tutti gli appartenenti alle categorie di cui agli artt. 1 e 2, D.L. n. 172/21, dichiara, per ciascuno dei quattro vaccini autorizzati, che gli stessi sono utilizzati «per la prevenzione di COVID-19, malattia causata dal virus SARS-CoV-2», nulla • dichiarando in merito all’utilizzo dei vaccini in parola per prevenire l’infezione da SARS-CoV-2; che al pari, nei rispettivi allegati alle decisioni della Commissione Europea con le quali si disponeva l’AIC dei vaccini in uso, è specificato che essi sono indicati – e dunque autorizzati - «per la prevenzione di COVID‑19, malattia causata dal virus SARS-CoV-2»; • che SARS-CoV-2 è la denominazione data dall’International Committee on Taxonomy of Viruses al nuovo ceppo di coronavirus identificato nel 2019 – la cui circolazione deve essere ridotta tramite strumenti di prevenzione dall’infezione (come DPI e distanziamento) - mentre la malattia COVID-19 associata al virus è la manifestazione clinico-patologica del tutto eventuale, e per fortuna largamente minoritaria, che può derivare dall’infezione da SARS-CoV-2, con la quale non va quindi identificata; • che, infatti, anche nel portale ufficiale del governo www.salute.gov.it, è chiaramente precisato che sono due fenomeni distinti: “SARS-CoV-2 è il nome dato al nuovo coronavirus del 2019. COVID- 19 è il nome dato alla malattia associata al virus”; • che, nelle FAQ del predetto portale, in risposta alla domanda “Qual è l’obiettivo della campagna vaccinale” è affermato che «Obiettivo della campagna di vaccinazione della popolazione è raggiungere un’elevata copertura vaccinale (...) per ridurre la circolazione del virus», facendo intendere che l’obiettivo del trattamento vaccinale al quale prestare il consenso sia quello di ridurre i contagi da SARS-CoV-2, non la severità della malattia COVID-19 in capo al singolo individuo; 2 • che, nella sezione FAQ Come proteggersi dal nuovo coronavirus alla domanda “Cosa posso fare per proteggermi?” si elencano le varie misure da adottare – dispositivi di protezione delle vie respiratorie, distanza interpersonale, ventilazione ambienti, lavaggio mani ecc.- ma in nessun punto è menzionata la vaccinazione tra le misure di protezione dal contagio; • che, nelle FAQ del portale dell’AIFA www.aifa.gov.it, in risposta alla domanda “Le persone vaccinate possono trasmettere comunque l’infezione ad altre persone?” è riferito che «Lo scopo degli studi registrativi era di valutare l’efficacia dei vaccini nel proteggere dalla malattia COVID-19. Gli studi per stabilire se le persone vaccinate, infettate in modo asintomatico, possano contagiare altre persone sono in corso.» dunque precisando che i vaccini – sviluppati soltanto per proteggere il singolo soggetto vaccinato dalla malattia COVID-19 - non prevengono l’infezione da SARS-CoV-2, come confermato anche dalla risposta «I vaccini proteggono la persona vaccinata» alla successiva domanda “I vaccini proteggono solo la persona vaccinata o anche i suoi familiari?”; • che è noto fondamento dell’epidemiologia che «Occorre distinguere fra il concetto di “infezione” e quello di “malattia infettiva”. La malattia infettiva non è l’inevitabile conseguenza del contatto di un microorganismo con un macrorganismo. Infatti, da questo contatto possono derivare la semplice contaminazione, cioè la transitoria e autolimitata presenza del microorganismo sulla cute o le mucose, ovvero l’infezione, che implica invece l’impianto e l’attiva moltiplicazione del microorganismo. Se questa eventualità non provoca danno si parla di colonizzazione, mentre nel caso della malattia infettiva la colonizzazione si associa ad alterazioni anatomopatologiche, biochimiche, metaboliche, immunologiche e fisiopatologiche» (Sorice F., Ortona L., Malattie Infettive, UTET, 2000), e «Il concetto di infezione non si identifica con quello di malattia infettiva» (Dizionario Medico Treccani, 2010), per cui è da ritenere pacifico ed incontrovertibile che la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 non va confusa e identificata con la prevenzione di COVID-19 – la malattia determinata dal patogeno ad infezione già verificata; • che l’art. 1, Legge 22 dicembre 2017, n. 219, stabilisce al comma I che «nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata» e, al comma III, che ogni persona ha il diritto all’autodeterminazione, ossia il diritto «di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo (...) ai benefici e ai rischi (...) dei trattamenti sanitari indicati»; • che la necessità di tale consenso informato preventivo ad ogni trattamento sanitario è altresì affermata dagli artt. 3, 35 e 38 CARTA UE, nonché dall’art. 5 della Convenzione di Oviedo, ratificata in Italia con la L. n. 145/01; 3 • che il diritto all’autodeterminazione di cui all’art. 1, co. III, L. n. 219/17, è considerato, per consolidata giurisprudenza, un diritto autonomo rispetto al diritto alla salute, trovando proprio fondamento negli artt. 2, 13 e 32 Cost. (cfr. Cass., n. 8163/2021; Cass., n. 28985/2019; Cass., n. 16892/2019; Cass., n. 19199/2018; Cass., n. 17022/2018); • che l’art. 32 del Codice di deontologia medica obbliga il medico a non intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l'acquisizione del consenso informato, che è integrativo e non sostitutivo del dovere di informazione al paziente di cui all’art. 30 – a norma del quale “Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta” - ed è infatti sancita la responsabilità medica in caso di omissione di atti necessari o comunque utili al perfezionamento del consenso informato (ex plurimis, Cass., n. 16503/17; Cass., n. 11950/13; Cass., n. 8826/07; Cass., n. 5444/06; Cass. n. 14638/04); • che anche la Corte Costituzionale, configurando il consenso informato come un vero e proprio diritto della persona, ha dichiarato che « La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico (...); informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all'art. 32, secondo comma, della Costituzione. Discende da ciò che il consenso informato deve essere considerato un principio fondamentale in materia di tutela della salute» (Corte Cost., sent. n. 438/2008) • che inoltre, in relazione all’obbligo di fornire le necessarie informazioni, anche la Cassazione ha affermato che «le informazioni devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all'art. 32 Cost., comma 2"). Al diritto indicato corrisponde l'obbligo del medico (…) di fornire informazioni dettagliate, in quanto adempimento strettamente strumentale a rendere consapevole il paziente della natura dell'intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative (cfr. Cass., n. 20984/2012; Cass., n. 27751/2013)» nonché che la corretta informazione sui rischi-benefici della terapia si inserisce nei «fattori “concorrenti” della stessa serie causale determinativa del pregiudizio alla salute, dovendo pertanto riconoscersi alla omissione informativa un’astratta capacità plurioffensiva» (Cass., n. 28985/2019, e anche Cass., n. 19731/2014). 4 CONSIDERATO  Che la Nota informativa di cui all’allegato 1 al modulo di consenso vaccinazione anti-COVID19 attualmente presentata al vaccinando è manifestamente inidonea a consentire al paziente di esprimere un consenso informato in quanto non fornisce informazioni che si possano definire minimamente esaurienti e dettagliate, al contrario, si contraddice o contraddice il dettato normativo determinando confusione e dubbio, per cui non può che considerarsi omissiva, incompleta e insufficiente a porre il paziente nella condizione di effettiva conoscenza della natura dell’intervento e del relativo rapporto rischi/benefici. Nello specifico, la Nota informativa di cui all’allegato 1 al modulo di consenso vaccinazione anti-COVID-19 nulla indica in merito alla capacità dei vaccini di prevenire il contagio da SARS-CoV-2, che invece è l’obiettivo conclamato dell’obbligo di legge e della stessa campagna vaccinale. La ratio legis dell’obbligo vaccinale è stata esplicitamente dichiarata nell’art. 4 del D.L. n. 44/2021, convertito in L. n. 76/2021, proprio nella “prevenzione del contagio da SARS-CoV-2” Conformemente, il D.L. n. 172/2021, parla esclusivamente di “vaccinazione antiSARS-CoV-2”, di “vaccinazioni contro il SARS-CoV-2” e di “obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2” non facendo mai nessun riferimento alla vaccinazione anti-COVID-19. Stando invece a quanto dichiarato nella predetta Nota informativa - che costituisce allegato al modulo di consenso alla vaccinazione anti-COVID-19 e non anti-SARS-CoV-2 - e confermato anche dalle FAQ presenti sul portale dell’AIFA, i quattro vaccini in uso prevengono soltanto la COVID-19, la malattia infettiva che si può verificare solo a infezione già in atto. Esiste dunque una lampante discordanza tra l’obiettivo dell’obbligo vaccinale enunciato dal Legislatore – prevenzione del contagio o dell’infezione dal virus SARS-CoV-2 – e l’obiettivo dei vaccini – prevenzione della malattia COVID-19 - dichiarato nella Nota informativa che viene consegnata e sottoscritta dal vaccinando per esprimere il proprio consenso informato. Lo stesso Governo, l’AIFA e l’OMS hanno precisato che sono obiettivi diversi, afferenti a fenomeni diversi – il virus e la malattia – che non sono identificabili e non vanno di conseguenza confusi. Ne discende che diventa inammissibilmente incerto e ambiguo proprio il fine stesso del trattamento rispetto al quale si dovrebbe esprimere un consenso informato: l’obbligo vaccinale si dichiara diretto alla prevenzione del contagio, i vaccini alla prevenzione della malattia che può verificarsi solo a contagio già avvenuto. Qual è la natura del trattamento, allora? Anche relativamente all’effetto dichiarato nella Nota informativa, poi, è precisato, per tutti e quattro i vaccini, che «La durata della protezione offerta dal vaccino non è nota: sono tuttora in corso studi clinici volti a stabilirla», e che non tutti i soggetti vaccinati potrebbero essere protetti. 5 In pratica, non si fornisce alcuna informazione non solo riguardo alla durata della protezione, ma anche circa l’effettività della protezione stessa, risultando assente ogni dato o parametro idoneo a consentire all’avente diritto una valutazione verosimile o probabilistica del beneficio derivante dalla vaccinazione secondo i dati più aggiornati, come da art. 1, L. n. 219/2017. Non si dimentichi che, com’è risaputo, il SARS-CoV-2 è un virus a RNA che muta in continuazione, presentando sempre nuove varianti, mentre i vaccini in uso sono stati sviluppati per la variante che era in circolazione nel 2020, non quella circolante a fine 2021 o addirittura nel 2022. La Nota informativa potrebbe essere aggiornata pressoché quotidianamente, essendo stampata al momento della vaccinazione o qualche giorno prima, e potrebbe dunque fornire dati molto più precisi e recenti al paziente, relazionandosi alle varianti più diffusamente in circolazione nei mesi vicini alla somministrazione anziché a quelle in circolazione nel 2020, rispettando il dettato di cui all’art. 1, L. n. 219/2017. Sostenere in maniera generica e astratta che non tutti potrebbero essere protetti dalla vaccinazione, e che, per coloro che lo sono, non si sa per quanto tempo, non è certo considerabile una “informazione dettagliata e la più esauriente possibile” in merito all’efficacia del trattamento: anche qui la Nota informativa è gravemente omissiva di quelle informazioni che è obbligo di Legge fornire e che sono essenziali al perfezionamento di un consenso definibile informato (vedasi ampia giurisprudenza in premessa). Attraverso la Nota informativa in questione, il paziente non è messo in grado di valutare quale beneficio attendersi dal vaccino – se prevenire il contagio o la malattia - quale sia la probabilità di ottenere l’unico beneficio dichiarato della prevenzione della malattia, nonché in quale misura e per quanto tempo: come si può considerare vagamente esauriente una siffatta informativa? Analoga, gravissima carenza di informazioni riguardo ai rischi del trattamento vaccinale, affetti inoltre da palesi contraddizioni. La Nota informativa dei vaccini Comirnaty e Spikevax riferisce che «dopo la vaccinazione (…) sono stati segnalati casi molto rari di miocardite e pericardite » Di seguito, però, elencando i possibili effetti indesiderati, quelle stesse miocarditi e pericarditi non risultano ascritte all’elenco degli effetti indesiderati con frequenza “rara”, dove dovrebbero trovarsi in base a quanto in precedenza dichiarato , ma nell’elenco degli effetti la cui frequenza «non può essere definita sulla base dei dati disponibili». In altri termini, la Nota informativa prima definisce molto rara la frequenza di questi effetti che possono causare la morte, poi, alla pagina successiva, precisa che la stessa frequenza non può essere definita perché non ci sono dati. È evidente che questa informativa, lungi dall’essere esaustiva e coerente, si contraddice e nega da sola, ingenerando confusione anziché consapevolezza nell’avente diritto. 6 Identica aberrazione informativa anche per i vaccini Vaxzevria e Janssen, relativamente ai quali è prima dichiarato che «in seguito alla vaccinazione (…) sono stati segnalati casi molto rari di sindrome da perdita capillare (CLS). La CLS è una condizione che può portare alla morte» poi, nell’elenco degli effetti indesiderati, che la frequenza di questa grave condizione di sindrome da perdita capillare – che anche qui, si badi, non è inclusa nell’elenco degli effetti indesiderati “molto rari”, in cui dovrebbe coerentemente ritrovarsi - «non può essere definita sulla base dei dati disponibili». Si dichiara altresì che «in seguito alla somministrazione (…) sono stati osservati molto raramente coaguli di sangue, spesso in siti insoliti (ad es. cervello, intestino, fegato, milza), in associazione a bassi livelli di piastrine (…) La maggior parte di questi casi si è verificata nelle prime tre settimane successive alla vaccinazione e si è verificata principalmente in donne sotto i 60 anni di età. In alcuni casi questa condizione ha provocato morte.»: anche qui, una condizione dichiarata potenzialmente mortale, viene riferita senza alcun dato relativo al sito – un conto è un coagulo al cervello, un conto alla milza – alla fascia di età più a rischio – sotto i 60 comprende sia 11enni che 50enni – e alla frequenza dell’esito fatale. È pertanto di palmare evidenza che la Nota informativa di cui all’allegato 1 al modulo del consenso alla vaccinazione anti-COVID-19 non informa «in modo completo, aggiornato e comprensibile riguardo (...) ai benefici e ai rischi (...) dei trattamenti sanitari indicati» come previsto dall’art. 1, co. 3, Legge 22 dicembre 2017, n. 219, ed è del tutto inidonea a rendere edotto il paziente circa il trattamento rispetto al quale si richiede il consenso, riuscendo inevitabilmente pregiudizievole del diritto all’autodeterminazione del soggetto al quale viene proposta. A conferma di ciò si riporta uno stralcio dell’ordinanza n. 11112/20 con la quale la Corte di Cassazione ha ribadito che la sostanziale incompletezza delle informazioni complessivamente trasmesse al paziente, e «della relativa specifica inidoneità a porre la paziente nell'effettiva condizione di apprendere con compiutezza la peculiare natura dell'intervento è sempre pregiudizievole della facoltà di “maturare e raggiungere una consapevole scelta» (Cass., ord. n. 11112/20)  Che la Corte Costituzionale ha più volte precisato, in ultimo nella sentenza n. 5/2018, che «la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri», nonché che «un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato» (Corte Cost., sentt. nn. 307/90 e 258/94). 7 Ne deriva che l’obbligo vaccinale in questione può considerarsi costituzionalmente compatibile solo ove diretto a prevenire la circolazione del SARS-CoV-2, e dunque il contagio, non solo a prevenire la malattia COVID-19 nel soggetto vaccinato – che sarebbe l’unico a trarne diretto vantaggio - come odiernamente dichiarato nella Nota informativa di cui all’allegato 1 al modulo di consenso vaccinazione anti-COVID-19 in uso e nelle AIC.  Che, allineandosi alla dottrina unanime, la giurisprudenza costituzionale ha costantemente ribadito la prelazione del diritto individuale alla salute rispetto all’interesse della collettività, stabilendo che nessun interesse di carattere pubblicistico potrà mai essere invocato per imporre trattamenti suscettibili di arrecare danno al singolo; così il bene salute «è tutelato dall’art. 32 Costituzione non solo come interesse della collettività, ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell’individuo, sicché si configura come un diritto primario ed assoluto» (Corte Cost., sent. n. 88/1979); «la lettera del primo comma dell’art. 32 Cost., che non a caso fa precedere il fondamentale diritto della persona umana alla salute all’interesse della collettività alla medesima, ed i precedenti giurisprudenziali, inducono a ritenere sicuramente superata l’originaria lettura in chiave esclusivamente pubblicistica del dettato costituzionale in materia» (Corte Cost., sent. n. 184/1986); «il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo […] non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri» (Corte Cost., sent. n. 307/1990); «nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri» (Corte Cost., sent. n. 118/1996); e ancora «le esigenze di tutela della collettività non potrebbero mai giustificare misure tali da recare danno, anziché vantaggio, alla salute del paziente» (cfr. Corte Cost., sent n. 307/ 1990; Corte Cost., sent. n. 258/1994, e Corte Cost., sent. n. 118/1996, ma vedi anche sentt. nn. 218/1994; 27/1998; 226/2000; 423/2000 e 107/2012). L’art. 2 della Convenzione di Oviedo, ratificata in Italia con la L. n. 145/01, afferma a chiare lettere la prevalenza «dell’interesse e del valore dell’essere umano» sul «solo interesse della società o della scienza», ed è principio ormai acquisito anche della Corte di Cassazione che l’azione amministrativa finalizzata alla realizzazione dell’interesse della collettività è subordinata al diritto individuale alla salute: «a ben vedere, neppure all’Autorità che operi a tutela specifica della sanità pubblica è dato il potere di sacrificare o di comprimere la salute dei privati» (Cass. civ., SS UU., sent. n. 5172/79). Ne consegue che l’istante deve essere messo nella condizione di valutare anche la legittimità del trattamento obbligatorio, comprendendo la reale natura dello stesso al di là di ogni dubbio o propaganda.  Che la presente va considerata, oltre che alla luce dell’esposto diritto di autodeterminazione, anche in base ai principi costituzionali di trasparenza, imparzialità, correttezza e buona amministrazione, che impongono agli enti destinatari di fornire una risposta necessaria al 8 cittadino per tutelare diritti meritevoli: «indipendentemente dall'esistenza di specifiche norme che impongano ai pubblici uffici di pronunciarsi su ogni istanza (…) non può dubitarsi che, in regime di trasparenza e partecipazione, il relativo obbligo sussiste ogniqualvolta "esigenze di giustizia sostanziale impongano l'adozione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione" (Cons. St., sez. III, n. 5601/14 e cfr., inter multas, Cons. St., sez. IV, n. 7975/2004; Cons. St., sez. VI, n. 2318/2007; Cons. St., sez. IV, n. 6183/2012)». A tal proposito merita segnalazione, altresì, anche il disposto di cui all’art. 8 dello stesso D.L. n. 172/2021 che, avvertendo l’esigenza di promuovere una degna campagna di informazione sulla vaccinazione anti-SARS-CoV-2 (sic!), ne impone la relativa pianificazione al Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, qui interpellato proprio per tale motivo. Tutto ciò premesso e considerato, la sottoscritta , u.s. generalizzato, in ossequio all’art. 1, L. n. 219/2017 e agli obblighi di trasparenza, imparzialità e buon andamento della P.A., al fine di tutelare i propri diritti inviolabili, nonché allo scopo di poter esprimere con adeguata cognizione il proprio consenso informato in merito all’obbligo vaccinale come previsto dalla normativa vigente – rispetto al quale la presente costituisce esplicita richiesta ex D.L. n. 172/2021 - poiché attualmente codeste informazioni non sono rinvenibili nella Nota Informativa di cui all’allegato 1 al modulo del consenso alle vaccinazioni anti-COVID-19, né in altra fonte informativa ufficiale dell’amministrazione - , CHIEDE di ottenere preventivamente, in forma scritta e con la massima sollecitudine, ma anche con completezza e precisione tali affinché siano le più esaurienti possibile, le seguenti informazioni - fondamentali e indispensabili per maturare ed esprimere il proprio consenso informato ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1, co. 3, L. n. 219/17, agli artt. 3, 35 e 38 CARTA UE, nonché all’art. 5 della Convenzione di Oviedo, ratificata in Italia con la L. n. 145/01: • Qual è la finalità del trattamento per il quale si richiede di prestare il consenso? Attese le suesposte incongruenze tra quanto dichiarato nell’AIC e nella Nota informativa offerta in sede di consenso e quanto riportato, invece, sia nelle disposizioni di legge che nelle definizioni ministeriali, è assolutamente indispensabile che venga chiarito all’istante qual è, o quale dovrebbe essere, l’obiettivo che si intende ottenere attraverso il trattamento sanitario in questione: prevenire la malattia COVID-19 – come dichiarato nel modulo del consenso informato – o prevenire il contagio da SARS-CoV-2, cioè l’infezione – come invece indicato nei DD. LL. n. 44/2021 e n. 172/21? 9 In parole povere, il vaccino protegge dalla malattia che può derivare dal virus – e dunque si tratta di vaccinazione anti-COVID19 – o dal virus, proteggendo quindi proprio dall’infezione – e dunque si tratta di vaccinazione anti-SARS-CoV-2? Nel primo caso, il modulo del consenso informato alla vaccinazione anti-COVID19 corrisponderebbe al vero, ma risulterebbe in contrasto con la finalità dell’obbligo ex artt. 1 e 2, D.L. n. 172/21, che a sua volta risulterebbe ictu oculi incompatibile con l’art. 32 Cost. secondo la lettura costituzionalmente orientata offerta dalla Corte Costituzionale: il vaccino sarebbe diretto soltanto a preservare il singolo dalla malattia COVID-19, senza rivestire utilità alcuna a immediato vantaggio della collettività, come del resto esplicitamente dichiarato anche da AIFA nel suo portale asserendo che «I vaccini proteggono (solo) la persona vaccinata». Onde evitare ambiguità, si consideri che lo scopo della campagna vaccinale – diretta a tutelare la salute della intera collettività e non di un singolo – non coincide necessariamente con lo scopo del trattamento che si somministra nel corso della campagna stessa – che in tal caso è un farmaco diretto a proteggere solo il vaccinato. La Corte Costituzionale è stata cristallina nell’affermare che il trattamento vaccinale, per poter essere obbligatorio, deve essere diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri. Ciò avverrebbe senza dubbio nel secondo caso, ma il modulo del consenso informato – nulla riportando circa la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 – risulterebbe così viziato da una gravissima omissione informativa, che comporterebbe l’indefettibile ed improrogabile esigenza di un’informazione suppletiva tesa a spiegare l’autentica efficacia del trattamento nella prevenzione dal contagio da SARSCoV-2, che rappresenta appunto l’oggetto della presente istanza. Sulla base delle informazioni attualmente fornite, quindi, l’istante non può sapere se, vaccinandosi, potrà proteggere dal contagio i propri cari – soprattutto i più fragili - o dovrà invece comunque evitare di intrattenervi uno stretto contatto, consigliando loro di continuare ad osservare le misure di prevenzione anche nei propri confronti. L’ambiguità ingenerata dalle informazioni ufficiali può causare, tra l’altro, una diminuzione di attenzione dei vaccinati rispetto all’uso dei presidi di protezione individuale, contribuendo così a favorire anziché ridurre la circolazione del virus, ed è pertanto doppiamente importante far chiarezza sul punto. Si chiede, quindi, che venga resa ogni informazione necessaria a spiegare e dimostrare se il vaccino anti-COVID-19 possegga efficacia nel prevenire l’infezione da SARS-CoV-2, proteggendo il paziente dal contagio, e, nell’eventualità, in che misura e con quale durata, al fine di conoscere la natura del trattamento obbligatorio al quale si richiede di prestare consenso. 10 • Quali sono i benefici offerti dal vaccino? Nella Nota informativa del modulo di consenso alla vaccinazione si dichiara, per tutti e quattro i vaccini, che «La durata della protezione offerta dal vaccino non è nota: sono tuttora in corso studi clinici volti a stabilirla», e che «la vaccinazione (…) potrebbe non proteggere tutti coloro che lo ricevono. I soggetti potrebbero non essere completamente protetti (...)» (vaccini Comirnaty e Spikevax), oppure «la vaccinazione (…) potrebbe non proteggere tutti i soggetti vaccinati.» (vaccini Vaxzevria e Janssen). In altre parole, dichiarando genericamente soltanto l’efficacia dei vaccini ai fini della prevenzione della malattia COVID-19, nella Nota informativa è completamente assente ogni minimo riferimento alla percentuale e alla durata di tale efficacia. Non è fornito alcun tipo di informazione che consenta al paziente di valutare i benefici della vaccinazione, considerando, ad esempio, la percentuale di immunizzazioni sulle dosi somministrate, il perdurare della protezione nel caso in cui il vaccinato si accinga ad un lungo viaggio all’estero, la probabilità di doversi sottoporre entro un certo lasso di tempo ad una dose addizionale o ad una dose booster – come di fatto è già accaduto con sconcerto generale. In proposito, l'Istituto Superiore di Sanità, nel bollettino aggiornato al 7 dicembre che riporta i dati della sorveglianza integrata dei casi di infezione in Italia, sostiene che “dopo cinque mesi dal completamento del ciclo vaccinale, l’efficacia del vaccino nel prevenire la malattia – si badi: si riferisce alla malattia COVID-19, non al contagio -, sia nella forma sintomatica che asintomatica, scende dal 74% a 39%”, ma nulla riporta in relazione alla prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. Per definire il quadro in maniera davvero precisa e affidabile agli occhi di chi intende misurare oggettivamente il beneficio della vaccinazione, è necessario comprendere se tali dati sono attendibili, o possono condurre a conclusioni ambigue, fuorvianti e dunque errate, difettando sia di una opportuna stratificazione per età che di una corretta caratterizzazione dei pazienti. Le considerazioni più logiche sull’attendibilità dei dati offerti dall’ISS sono così sintetizzabili. 1. Attendibilità dei dati relativi alle Diagnosi di Positività Attualmente, in Italia, gli unici assoggettati ad un tracciamento sufficientemente spinto sono gli individui non vaccinati, in quanto costretti a sottoporsi costantemente a test antigenici ovvero PCR al fine d’ottenere il Green Pass di cui al D. L. n. 105/2021, che invece esonera i vaccinati dal predetto tracciamento. La crescita dei contagi occulti tra questi ultimi è però stata talmente imponente da non poter essere più trascurata: il recente DPCM 17 dicembre 2021 ha dovuto prevedere la revoca del Green Pass ai vaccinati positivi, confermando che, i vaccinati sono largamente sfuggiti al tracciamento negli ultimi mesi, alterando irreversibilmente le statistiche sui contagi a sfavore dei non vaccinati. 2. Attendibilità dei dati relativi ai Ricoveri, in specie in Terapia Intensiva Il Rapporto ISS COVID–19 n.49/2020, alla pag. 4, definisce il “caso confermato di COVID-19” come “un caso con una conferma di laboratorio per infezione da SARS-CoV-2, effettuata presso il laboratorio di 11 riferimento nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) o da laboratori regionali di riferimento, indipendentemente dai segni e dai sintomi clinici”. In altri termini, il “caso confermato di COVID-19” non si riferisce al caso del soggetto con malattia clinicamente conclamata – quella che il vaccino dovrebbe prevenire - ma alla sola positività al patogeno – l’infezione da SARS-CoV-2 – determinando il paradosso di definire “Caso confermato di COVID-19” anche il caso del tutto asintomatico, quando è assente la malattia COVID-19 ed è presente soltanto l’infezione. Ne consegue che un “ricovero COVID” (in degenza ordinaria o in intensiva) può interessare un paziente che, sebbene risultato positivo in fase di triage, non manifesti alcuna sintomatologia. Anche relativamente al “paziente in intensiva” è doveroso fare alcune precisazioni: è noto che, nella comunicazione dei dati, non viene effettuata alcuna distinzione tra terapie “intensive” e “sub-intensive”. Il numero degli “ospedalizzati in intensiva”, quindi, comprende quello dei ricoverati in sub-intensiva. Come precisato nel blog ufficiale della SIMEU (Società Italiana dei Medici di Emergenza-Urgenza), a differenza dell’intensiva, la terapia sub–intensiva non è soggetta ad alcuna standardizzazione, sia per quanto attiene alle dotazioni delle unità, sia per quanto relativo ai protocolli di gestione dei pazienti. Un paziente in sub–intensiva può quindi anche necessitare esclusivamente di un monitoraggio costante delle funzioni vitali, magari per un breve periodo, senza essere necessariamente sottoposto a ventilazione meccanica che, qualora indispensabile, in sub-intensiva è sempre non invasiva. Pertanto, il numero degli ospedalizzati in intensiva comprende anche pazienti ricoverati in sub-intensiva, alcuni dei quali non necessitanti di alcuna ventilazione meccanica. I dati ISS relativi alle terapie intensive risultano di conseguenza piuttosto corrotti, perché un “ricovero in intensiva COVID” potrebbe anche rappresentare, in realtà, un ricovero - ovvero un breve “transito” in sub-intensiva di un paziente positivo asintomatico e non malato, non sottoposto ad alcuna ventilazione meccanica e tradotto in nosocomio per motivazioni che con la COVID-19 nulla hanno a che fare: ipotesi tutt’altro che infrequente in ospedale. 3. Attendibilità dei dati relativi ai “Decessi COVID” Nei report “EPICENTRO” dell’ISS si fa esplicito riferimento a “pazienti deceduti e positivi al SARS-CoV-2”: precisamente, il titolo assegnato ai fascicoli, assai più che esplicativo, è “Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia”, riferendosi dunque a pazienti deceduti e risultati positivi al SARS-CoV-2, ma – si badi - non necessariamente “malati di COVID-19”. La positività può infatti essere stata riscontrata anche a valle del decesso, a mezzo tampone post mortem, stabilendo successivamente la causa di morte. Non a caso, il 16 luglio 2020 veniva pubblicato il primo report ISTAT-ISS intitolato: “Impatto dell’epidemia COVID sulla mortalità: cause di morte nei deceduti positivi a SARS-CoV-2”. È ovvio che, qualora i “pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2” fossero tutti morti a causa del COVID-19, non ci sarebbe alcun bisogno di stabilirne le cause di decesso. 12 Giova qui sottolineare che, invece, nelle statistiche comunicate alla popolazione, sono considerati “decessi COVID” anche quelli relativi ad individui del tutto asintomatici, morti per tutt’altra causa (la stampa nazionale riporta casi d’infarto del miocardio, sinistro stradale, annegamento). Le metodologie adoperate nel confezionamento delle statistiche a finalità non scientifiche, tra l’altro, sono state svelate alla popolazione a più riprese, talvolta con estrema dovizia di particolari. Tra le varie dichiarazioni ufficiali sul merito, ne spiccano alcune come quella rilasciata da Walter Ricciardi al The Telegraph (23 Marzo 2020), di cui si riporta la traduzione in italiano: “Il modo in cui codifichiamo i decessi nel nostro Paese è molto generoso, nel senso che tutte le persone che muoiono negli ospedali con il Coronavirus sono considerate morte per il Coronavirus. Su rivalutazione da parte dell'Istituto Superiore di Sanità, solo il 12% dei certificati di morte ha mostrato una causalità diretta da Coronavirus, mentre l'88% dei pazienti deceduti ha almeno una pre-morbilità, molti ne hanno avute due o tre.” O la più recente del Prof. Massimo Clementi, Ordinario di Microbiologia e Virologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, che il 22 Giugno 2021 affermò: “L’anno scorso, un giovane motociclista ebbe un incidente davanti al mio ospedale. Fu ricoverato al pronto soccorso, gli fecero il tampone e risultò positivo. Il giorno dopo morì perché le sue condizioni erano gravissime ma venne messo nel computo dei decessi per COVID.”, e della stessa Avvocatura dello Stato (“Il Giornale”, 10 Luglio 2021): “Gli stessi dati [relativi al numero dei decessi COVID], riferiti all’Italia, devono essere valutati con le dovute precauzioni, perché classificano tra i deceduti tutti coloro i quali avevano il virus al momento del decesso e non (…) soltanto coloro i quali sono deceduti a causa del virus stesso.” Alla luce di quanto sinora considerato, un’analisi sufficientemente attendibile dei benefici offerti dalla vaccinazione può basarsi sui dati presentati dall’ISS affetti dagli elencati gravami di corruzione e ambiguità? Si chiede pertanto che le amministrazioni interpellate chiariscano se i predetti dati possono ritenersi completi, affidabili e veritieri, o vanno rettificati e integrati e, nel caso, con quali. • Quali sono i rischi della vaccinazione? Come sopra esposto, la Nota informativa di cui all’allegato 1 al modulo del consenso per la vaccinazione anti-COVID-19 contiene, per tutti i vaccini, una palese contraddizione in merito alla frequenza di taluni effetti avversi – miocarditi e pericarditi causate dai vaccini Comirnaty e Spikevax; sindrome da perdita capillare causata dai vaccini Vaxzevria e Janssen. È quindi fondamentale che siano fornite informazioni precise su questi rischi del trattamento, anche perché entrambe le patologie possono determinare la morte e pertanto sono ascrivibili agli effetti indesiderati gravi. Va evidenziato che la misura verificata e verificabile, per ciascun vaccino, della percentuale di effetti avversi gravi in rapporto alla percentuale di immunizzazione post-vaccinale – anche questa purtroppo 13 non dichiarata - è indispensabile alla valutazione compiuta e razionale del rapporto rischi/benefici del trattamento per il quale si chiede il consenso: il conseguimento dell’effettiva immunizzazione del vaccinando, a prescindere dalla somministrazione, è infatti il dato al quale prestare maggiore attenzione giacché, se da un lato non ha senso alcuno rischiare un evento avverso ancorché minimo e transitorio a fronte di un’inefficacia completa o parziale del vaccino, che d’altronde inficerebbe insanabilmente la completezza del consenso informato, dall’altro, si incorrerebbe in un’inconcludente quanto evitabile diseconomia in danno del SSN, con un aggravio di spesa per ogni vaccino inefficace o foriero di ospedalizzazione, di indennità ex L. n. 210/92 , ovvero di richiamo pretermine (cfr. sent. Corte Cost. n. 268/17). In generale, in merito all’occorrenza di effetti avversi, è cruciale sottolineare come il numero dei suddetti, frutto d’una farmacovigilanza pressoché del tutto passiva (almeno per quanto attiene al nostro paese), possa risultare sottostimato anche di due ordini di grandezza. Pertanto, si potrebbe approssimativamente affermare come il numero delle segnalazioni vada moltiplicato almeno per 100. (Bellavite, P. and Donzelli, A., 2021: https://doi.org/10.12688/f1000research.26523.2) Per quanto attiene all’incidenza di miocarditi e pericarditi nei soggetti vaccinati, nel Report “COVID-19 Vaccine Safety Updates” (Shimabukuro, T., COVID-19 Vaccine Task Force, 23 Giugno) del Center for Disease Control (CDC) vengono presentati i dati sulle incidenze di miocarditi/pericarditi a valle della seconda dose (vaccino a mRNA) con finestre di rischio a 7 e a 21 giorni: i dati indicano che l’incidenza di miocarditi/pericarditi post vaccinazione, per i soggetti di sesso maschile, si dimostri fino a 34 volte superiore al valore atteso nella fascia d’età 25 – 29, fino a 116 volte per la fascia 18 – 24, e fino a ben a 132 volte per la fascia 12 – 17. Per essere più chiari, per un maschio vaccinato tra i 18 e i 24 anni il rischio di miocardite/pericardite risulterebbe fino a ben 132 volte superiore rispetto a quello di un coetaneo non vaccinato. Valutando le probabilità di miocardite/pericardite post vaccinazione, considerando l’incidenza dei soli casi aggiuntivi (dai casi diagnosticati vengo sottratti quelli attesi, ottenendo il tal modo l’eccesso) si scopre, ad esempio, come per i soggetti di sesso maschile l’incidenza di miocarditi/pericarditi post vaccinazione vada dai 13 ai 18 casi per Milione per la fascia 25 – 29, dai 48 ai 53 casi per Milione per la fascia 18 – 24, e dai 59 ai 64 casi per Milione per la fascia 12 – 17. Si chiede, in relazione ai dati suesposti, se possono dunque considerarsi veritieri e affidabili. In alternativa, si chiede che l’amministrazione fornisca informazioni dettagliate, veritiere ed attendibili sulla frequenza degli effetti avversi de quibus, al fine di integrare una corretta ed esaustiva informazione per la prestazione del consenso informato. Inoltre, come sopra illustrato ed esplicitamente dichiarato, taluni effetti indesiderati possono causare la morte del vaccinato. 14 Dall’ultimo Rapporto sorveglianza vaccini pubblicato dall’AIFA e aggiornato al 26 settembre 2021, risultano 16 decessi correlabili alla vaccinazione (3,7%) su 435 valutati e 608 segnalazioni, per un ammontare di 0,2 casi ogni milione di dosi somministrate, e un tasso di segnalazione di decessi postvaccinali pari a 0,72/100.000 dosi somministrate, indipendentemente dalla tipologia di vaccino. Per di più, nel citato Rapporto AIFA è altresì precisato che «continuano a non essere segnalati i decessi a seguito di shock anafilattico o reazioni allergiche importanti, mentre è frequente che il decesso si verifichi a seguito di complicanze di malattie o condizioni già presenti prima della vaccinazione» Alla luce di ciò, costituisce una informazione basilare e impreteribile l’enunciazione del rischio di morte in cui il paziente può incorrere a seguito della vaccinazione: la Nota informativa nulla precisa a tale riguardo, pur dovendo fornire al paziente informazioni complete, aggiornate e comprensibili a norma dell’art. 1, co. 3, L. n. 219/17. Per una valutazione veritiera del rapporto rischi/benefici, l’istante deve necessariamente sapere, senza ambagi e approssimazioni, se il trattamento a cui prestare il proprio consenso può fargli rischiare la morte, e quali sono con precisione le non meglio specificate “malattie e le condizioni già presenti” che rendono l’evento più frequente e dunque più probabile. Si chiede pertanto alle amministrazioni interpellate di chiarire se i vaccini di cui al D.L. n. 172/2021 possono causare la morte oppure no, e, in caso affermativo, qual è la attuale percentuale di rischio di morte per ciascun vaccino, in base alle fasce d’età e alle condizioni soggettive predisponenti. • Quale rischio si corre non vaccinandosi? Considerando la finalità del trattamento come dichiarata nella Nota informativa, un altro elemento indispensabile al perfezionamento di un consenso informato attiene alla letalità della malattia che il vaccino dovrebbe prevenire, la COVID-19, rispetto alla quale occorrono informazioni veritiere e precise, non generiche ed agglomerate per fasce d’età oltremodo ampie e dunque scarsamente rappresentative in concreto. Occorre cioè informare il paziente circa il rischio reale che si corre non vaccinandosi, e dunque la possibilità che ha di morire nell’ipotesi in cui contragga la malattia. In proposito, nel totale silenzio della Nota informativa, occorre anzitutto effettuare una distinzione preliminare tra la letalità cruda, quella comunicata dall’ISS, e letalità vera. Il CFR (acronimo per Case Fatality Ratio) corrisponde alla cosiddetta letalità “cruda” (ovvero anche “apparente”), offerta dal rapporto tra il numero dei decessi e quello dei contagi, entrambi confermati. L’IFR (acronimo per Infection Fatality Ratio) rappresenta la cosiddetta la letalità “effettiva”, valutata come rapporto tra il numero dei decessi confermati e quello dei contagi totali (stimato ricorrendo, ad esempio, a campagne di siero-prevalenza). 15 Siccome il numero dei contagi confermati non può che risultare inferiore a quello dei contagi totali (a meno che la verifica della positività al patogeno non venga effettuata sull’intera popolazione), l’IFR (la letalità effettiva) deve risultare necessariamente minore del CFR (la letalità apparente). Di conseguenza, la letalità effettiva (IFR) è di certo inferiore, per ogni età, a quella comunicata dall’ISS. Per completezza, si specifica che la mortalità, spesso confusa con la letalità, rappresenta il rapporto tra il numero dei decessi confermati e la dimensione della popolazione. Volendo eseguire una stima dell’IFR (la letalità effettiva) è possibile avvalersi della meta-regressione proposta da Levin et al. e pubblicata sull’European Journal of Epidemiology, modificando i coefficienti caratteristici nei limiti consentiti dagli errori standard indicati dagli stessi autori. (Levin et al., 2020: https://doi.org/10.1007/s10654-020-00698-1) Evitando di calcolare i valori dell’IFR (la letalità effettiva) applicando al CFR medio (la letalità apparente media) il cosiddetto “CFR to IFR Ratio” proposto da Levin et al. - un fattore di correzione finalizzato a stimare la letalità vera partendo da quella apparente, che determina però probabilità di decesso addirittura troppo basse per alcune categorie - si preferisce operare in regime di sovrastima, e pertanto il più pessimisticamente possibile, in modo che i rapporti tra CFR (la letalità apparente) e IFR (la letalità effettiva) risultino assai più che modesti: per la fascia 40 – 49, addirittura, l’IFR medio (la letalità effettiva media, per la particolare fascia considerata) viene fatto coincidere con il CFR medio (la letalità apparente media, sempre per la particolare fascia considerata). Per evitare ogni tipo di dubbio, si considera esclusivamente la categoria dei NON VACCINATI, calcolando il CFR medio (la letalità apparente media) avvalendosi dei dati riportati nell’Aggiornamento Nazionale del 7 Dicembre (versione 3 del 17/12/2021). Recependo quanto dichiarato da Levin et al., la relazione tra IFR (la letalità effettiva) ed età è stata rappresentata con la seguente curva, riportando l’età anagrafica sull’asse orizzontale, espressa in anni, e l’IFR (la letalità effettiva) su quello verticale, in forma di percentuale. Nella formula a piè di figura, x rappresenta l’età del soggetto non vaccinato, e k1 e k2 i due parametri di regressione: IFR (%) Età (anni) 𝐼𝐹𝑅 = 10(𝑘1 +𝑘2 ∙𝑥) 16 Come del resto evidenziato anche dall’ISS nei Report periodici “EpiCentro”, ci si rende conto di come la COVID-19 rappresenti un pericolo prevalentemente per gli anziani: recependo i dati ISS, l’età media dei “pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2” è infatti pari a 80 anni (mediana 82). Poco meno del 70% dei deceduti, inoltre, sembra presentare 3 o più patologie pregresse di particolare severità. Applicando la relazione suggerita da Levin et al. si ottiene il sottostante prospetto: Fascia d’Età CFRmedio Letalità Apparente MEDIA IFRmin Letalità Effettiva MINIMA IFRmax Letalità Effettiva MASSIMA IFRmedio Letalità Effettiva MEDIA 12 –39 40 – 59 60 – 79 Over80 0.016% 0.16% 2.23% 12.62% 0.0019% 0,05% 0.53% 5,59% 0.045% 0,46% 4.97% / 0.013% 0.16% 1.98% / Ad esempio, interpretando la prima riga della tabella precedente (fascia 12 – 39), si rileva che: La stima PESSIMISTICA dell’IFR (la letalità effettiva) per un 12enne non vaccinato ammonterebbe allo 0,0019%: in altre parole, AMMESSO CHE SI CONTAGI, le probabilità di decesso per un 12enne non vaccinato ammonterebbero, nel peggiore dei casi, a 19 su 1Milione, 19/1.000.000. Per fornire una misura dell’esiguità del suddetto rapporto, si rammenti che gli effetti indesiderati dei vaccini sono considerati molto rari qualora l’incidenza sia pari a circa 1/10.000 (vale a dire 100/1Milione, valore oltre 5 volte superiore alla probabilità di decesso per un 12enne non vaccinato, in caso di contagio). La stima PESSIMISTICA dell’IFR (la letalità effettiva) per un 39enne è lo 0,045%: sempre AMMESSO CHE SI CONTAGI, le probabilità di decesso per un 39 enne non vaccinato ammonterebbero, nel peggiore dei casi, a 45/100.000. La stima pessimistica dell’IFR MEDIO (la letalità effettiva media) per la categoria 12 – 39 non vaccinati è pari 0,013%: in altre parole, le probabilità di decesso per un soggetto non vaccinato d’età compresa tra i 12 e i 39 anni ammonterebbero, MEDIAMENTE, UNA VOLTA CONTAGIATO, a 13/100.000. Nonostante la natura pessimistica della stima, avvalendosi della relazione proposta da Levin et al., per la fascia 0 – 63 si ottiene un IFR medio pari allo 0,1%, e pertanto esattamente identico al valore di riferimento per la comune influenza stagionale. Avvalendosi della stessa relazione, per la fascia 0 – 73,5 anni si ottiene un IFR medio (la letalità effettiva media) pari allo 0,46%, e pertanto identico al valore dell’influenza stagionale del 2016 /2017, deducibile avvalendosi di uno studio condotto da Rossano et al., apparso sull’International Journal of Infectious Diseases (tra gli autori dell’articolo figura anche il prof. Walter Ricciardi), e del Rapporto Epidemiologico “InfluNet” n. 27 del 3 maggio 2017 (a cura dell’ISS) per i contagi (il numero di ILI). (Rossano et al, 2019: https://doi.org/10.1016/j.ijid.2019.08.003) 17 Al fine di garantire una migliore PERCEZIONE DEL RISCHIO di decesso a causa del COVID, in caso di contagio, per un individuo NON vaccinato, si forniscono alcuni utilissimi termini di paragone. In Italia, l’aliquota di TABAGISTI varia dal 22% al 25% della popolazione (fonte: Ministero della Salute): pertanto, su una popolazione di 60 Milioni di abitanti, si contano dai 13,2Milioni ai 15Milioni di tabagisti. Sempre in Italia, il fumo miete, ogni anno, dalle 70Mila alle 83Mila vittime. In sintesi, l’incidenza annuale dei decessi tra i tabagisti varia dallo 0,5% allo 0,6%. Nel 2014, sempre in Italia, si sono verificati 177.031 SINISTRI STRADALI con lesioni a persone, cui è conseguito il decesso di 3.381 individui, limitandosi ai casi accertati entro il trentesimo giorno (fonti: EpiCentro ed ACI). L’incidenza dei decessi è approssimativamente pari al 2%. Ipotizzando una media di 4 individui per sinistro, otteniamo un’incidenza pari allo 0,5%. Nel 2008, i morti stimati per INCIDENTE DOMESTICO in Italia sono stati 5.783; ogni anno, gli accessi al pronto soccorso certificati a causa di incidente domestico sono circa 1,7Milioni (fonte: Ministero della Salute). L’incidenza dei decessi è circa pari allo 0,3%. (valore sottostimato, in quanto il fenomeno è sembrato essere in considerevole aumento, in specie tra donne e anziani, in epoca pre-pandemica). È dunque sostenibile che, applicando le predette stime, l’istante – non vaccinandosi e ammalandosi di COVID-19 - avrebbe all’incirca le medesime probabilità di morire che avrebbe in un sinistro stradale o in un incidente domestico? Si chiede pertanto che, al fine della corretta valutazione del rischio occorrente non sottoponendosi alla vaccinazione, le amministrazioni chiariscano se le riportate stime scientifiche circa l’effettiva letalità della malattia COVID-19 nei soggetti non vaccinati sono realistiche e veritiere – facendo dunque dubitare della convenienza di sottoporsi al trattamento - o se vanno invece rettificate, e in che misura. • I vaccini anti-COVID-19 attualmente in uso sono farmaci sperimentali ai sensi dell’art. 59, lett. a), D. Lgs. n. 219/06? L'art. 59, lett. a) del D. lgs. n. 219/2006, in attuazione della direttiva 2001/83/CE, definisce medicinale sperimentale «i medicinali che hanno già ottenuto un'AIC ma che sono utilizzati (...) per ottenere ulteriori informazioni sulla forma autorizzata». Tutti i vaccini anti-COVID-19 in uso sono stati autorizzati dalla Commissione Europea all’immissione in commercio sub condicione di monitoraggio addizionale per “l’identificazione di nuove informazioni” – ved. Allegati alle decisioni di autorizzazione - ai sensi del Regolamento CE 507/2006, in particolare dell’art. 4, lett. b). Sembrerebbe, quindi, che tali farmaci rientrino a pieno titolo nella definizione di cui all’art. 59, lett. a), D. Lgs. n. 219/2006. A tanto si aggiunga che, come pubblicato su una delle più autorevoli riviste al mondo di medicina evidence-based, il British Medical Journal, nell’articolo Transparency of COVID-19 vaccine trials: decisions 18 without data (Doshi et al.), precisamente alla tabella n.2, i dati dei trials di fase 3 per i quattro vaccini attualmente in uso non sono ancora disponibili perché gli studi sono in corso o comunque non sono stati resi disponibili: Pfizer li renderà disponibili nell’aprile 2025, Moderna avrebbe dovuto farlo per ottobre 2021, AstraZeneca per dicembre 2021, Johnson avrebbe dovuto renderli disponibili da aprile 2021. La predetta supposizione parrebbe inoltre confermata anche dalla circostanza che, benché il trial di sperimentazione del vaccino sui bambini dai 5 agli 11 anni, iniziato il 24/3/2021, preveda come data di conclusione il 23/7/2024 e dunque non sia ancora terminato, la vaccinazione per i bambini in questa fascia d’età è iniziata il 16 dicembre u.s., somministrando dunque ai minori un farmaco evidentemente in sperimentazione per altri due anni. Sorge perciò l’ineludibile esigenza di capire se i vaccini attualmente in uso siano o meno farmaci sperimentali ai sensi della normativa citata: la cognizione di tale informazione è un punto cardine ai fini dell’esercizio del diritto all’autodeterminazione dell’istante che possa definirsi consapevole, edotto e massimamente garantito nei limiti del possibile. Va altresì tenuto in debita considerazione che, ove nella discordanza tra gli effetti ai quali è diretto il vaccino e quelli ai quali è diretta la vaccinazione obbligatoria consegua l’affermazione di un effetto del vaccino ulteriore e coincidente con quello dell’obbligo – ossia la prevenzione dal contagio di SARS-CoV2 – il farmaco in questione risulterebbe somministrato per un utilizzo diverso da quello indicato nella relativa scheda tecnica e nell’AIC, integrando un off-label use di un farmaco autorizzato solo in via condizionata (!). È pertanto assolutamente imprescindibile, anche in ossequio al dovere di trasparenza, che l’amministrazione escluda, oltre ogni ragionevole dubbio, che i vaccinandi possano essere resi ignari strumenti di una sperimentazione non conclamata o camuffata, e che il loro consenso al trattamento possa essere surrettiziamente confuso con un consenso alla sperimentazione. Si chiede pertanto che le amministrazioni interpellate chiariscano se, a norma dell’art. 59, lett. a), D. Lgs. n. 219/06, i vaccini anti-COVID-19, relativamente ai quali occorre ottenere ulteriori informazioni sulla forma autorizzata, sono definibili medicinali sperimentali oppure no, ovvero sono finalizzati ad un effetto diverso da quello dichiarato e dunque in off label use. Inoltre, in relazione alla terza dose cd. Booster, si chiede che l’amministrazione chiarisca se la variazione della quantità delle dosi previste dagli studi clinici, e per le quali è stata concessa l’AIC, rispetti l’autorizzazione stessa o ne esuli, necessitando di nuova e specifica autorizzazione. All’uopo, va evidenziato che, nel parere del 9/9/21 del CTS dell’AIFA in merito all’opportunità della dose booster nella popolazione in generale, è dichiarato che « la CTS ritiene che al momento non ci siano sufficienti evidenze per raccomandare in via prioritaria la somministrazione di una terza dose di vaccino nella popolazione generale.», aggiungendo, di seguito, che tale considerazione si applica in linea di 19 principio anche agli operatori sanitari – e, a maggior ragione, a tutte le altre categorie soggette all’obbligo vaccinale con la dose booster di cui al D. L. n. 172/21. È dunque indispensabile, e formalmente si invoca a tutti i sensi ed effetti di Legge, l’intervento urgente del Ministero della Salute, del Commissario Straordinario all’Emergenza COVID e dell’Azienda Sanitaria competente – nonché del personale medico incaricato o convenzionato che dovrà fisicamente effettuare la somministrazione all’istante - affinché, nell’osservanza del vigente ordinamento, nonché del principio primum non nocere e degli artt. 30 e 32 del Codice Deontologico del medico, rendano – ciascuno per quanto di competenza, dovere e responsabilità le informazioni sopra richieste, attualmente non contenute nella Nota informativa di cui all’allegato 1 al modulo di consenso alla vaccinazione anti-COVID-19, gravemente omissiva, al fine di porre l’istante nelle condizioni di esprimere il proprio consenso informato - maturato e perfezionato ai sensi di legge e pedissequa giurisprudenza, costituzionale e di legittimità - in ottemperanza all’obbligo di vaccinazione disposto dagli artt. 1 e 2, D. L. n. 172/21. Si precisa che, fino a quando non verrà dato opportuno riscontro alla presente, fornendo le informazioni richieste di cui si ribadisce ancora il carattere di massima urgenza, all’istante non sarà possibile esprimere alcun consenso informato alla vaccinazione anti-COVID-19 a causa della inammissibile ed oggettiva carenza informativa della Nota Informativa di cui all’allegato 1 al modulo di consenso alla vaccinazione anti-COVID-19 offerta all’uopo. , firma leggibile 20