rAsseGne
Ugo Fantasia
Università degli Studi di Parma
[email protected]
L’OMBRA LUNGA DI TUCIDIDE*
Fino a pochi anni fa la ricezione di Tucidide (d’ora in poi T.) era un campo
d’indagine presidiato da pochi studi di un qualche spessore. Per quella antica
si disponeva di una breve dissertazione del 19351 e della densa rassegna,
meno citata di quanto meriterebbe, che le aveva dedicato Otto Luschnat
nella voce ‘Thukydides’ della Paulys Real-Encyclopädie2. L’attenzione a
quella moderna, quando non si risolveva in storia degli studi (un tema che
incrocia inevitabilmente il Nachleben di un autore, ma ne è concettualmente
distinto), rimaneva episodica e frammentaria e per lo più parte di un discorso generale sull’eredità della storiograia classica nella cultura moderna. Il
quadro è profondamente mutato negli ultimi anni sotto la spinta di diversi
fattori; fra questi, l’animato dibattito sullo statuto e i protocolli metodologici
della storiograia come genere letterario, con importanti ricadute sul ruolo
di modello di storiograia ‘scientiica’ che una lunga tradizione di studi ha
assegnato in particolare a T. fra gli storici antichi; il progressivo costituirsi
delle varie forme di ricezione dei classici in autonomo campo di ricerca; il
rinnovato bisogno, in un mondo ‘multipolare’ i cui assetti sono in continua
*
A proposito di Ombres de Thucydide. La réception de l’historien depuis l’Antiquité jusq’au
début du XXe siècle (Actes des colloques de Bordeaux, les 16-17 mars 2007, de Bordeaux, les 3031 mai 2008 et de Toulouse, les 23-25 octobre 2008), textes réunis par V. Fromentin, S. Gotteland
& P. Payen, Ausonius, Bordeaux 2010.
1
H.G. Strebel, Wertung und Wirkung des Thukydideischen Geschichtswerkes in der griechischrömischen Literatur, Speyer a. Rh. 1935.
2
Supplbd. XII 1970, 1266-1311, con i Nachträge in Supplbd. XIV 1974, 773-780.
Incidenza dell’Antico 10, 2012, 209-222
210
UGO FANTASIA
e rapidissima trasformazione, di elaborare eficaci strumenti di analisi della
politica e delle relazioni internazionali e la conseguente rilessione sul contributo che l’opera di T. ha dato nel corso dei secoli e può ancora dare, nel
bene e nel male, su questo terreno3. Il revival di interesse ha dato origine,
oltre che a numerosi contributi parziali e a qualche tentativo di sintesi4, a
iniziative di più ampio respiro, quali la sezione After Thucydides del recente
Brill’s Companion to Thucydides, curato da Antonios Rengakos e Antonis
Tsakmakis5, una monograia di Francisco Murari Pires, concepita dall’autore come primo stadio di un’indagine esaustiva sulla fortuna di T. in età
moderna6, e due corposi progetti di ricerca sulla ricezione antica e moderna
di T. che hanno prodotto una serie di convegni tenutisi fra il 2007 e il 2012.
Il volume qui discusso, ponderoso ma di agevole consultazione grazie
ai tre ottimi indici (delle fonti antiche, degli autori moderni e tematico),
è l’esito di uno di questi progetti e riunisce le relazioni presentate da una
cinquantina di studiosi nel corso di tre convegni, tenutisi fra il 2007 e il
2008 a Bordeaux e Tolosa, che coprono l’intero periodo dall’Antichità ino
al primo Dopoguerra del Novecento. Il concetto di ricezione qui adottato
arriva a comprendere, come scrivono i curatori nella Introduction (pp. 1321), «l’ensemble des “traditions” qu’il est possible de recenser, sur la longue
durée, [...] entre le moment de leur genèse [scil. di un’opera, un’istituzione
o una pratica sociale] et un terminus donnée» (p. 13), e ciò, nel caso di T.,
sul triplice piano della letteratura, della storiograia e della teoria politica7.
Ma vi si aggiunge la consapevolezza che «les manières dont il [T.] a été
lu [...] font partie de l’oeuvre» (p. 14), con l’implicito invito a riaccostarsi
all’autore tenendo conto delle reazioni suscitate dalla sua opera in tutti coloro che l’hanno letta e utilizzata nel corso dei secoli. Siffatto ampliamento
dell’idea di ricezione comunemente intesa, paragonabile nei suoi esiti a ciò
che è stato di recente deinito come «the [...] ‘mainstreaming’ of classical
reception within classics»8, giustiica l’inserimento, fra i due blocchi di
contributi del primo e del terzo convegno ritagliati sul mondo antico e sulla
3
Cfr. R.N. Lebow, ‘International Relations and Thucydides’, in Thucydides and the Modern
World, 197-211.
4
Una ricca bibliograia, con un sintetico sguardo ai principali problemi, è nell’eccellente volume dedicato a Tucidide negli Oxford Readings in Classical Studies curato da Jeffrey S. Rusten
(Oxford 2009, 1-28, 496-500); vd. anche S. Meineke, ‘Thukydidismus’, in Der Neue Pauly, XV
3, 2003, 480-494.
5
Brill’s Companion to Thucydides, 693-837.
6
Murari Pires 2007.
7
Ma quest’ultimo aspetto è appena siorato nel volume, mentre è ampiamente dibattuto in
Thucydides and the Modern World, che rappresenta il primo risultato dell’altro progetto di ricerca
cui poc’anzi si è fatto cenno, diretto dal Professor Neville Morley dell’Università di Bristol.
8
A Companion to Classical Receptions, ed. by L. Hardwick and C. Stray, Malden 2008, 2.
L’OMBRA LUNGA DI TUCIDIDE
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modernità, di una sezione intermedia di natura assai composita dedicata
all’ombra (rassicurante o inquietante a seconda dei casi) che T. ha inito
per proiettare sulla ricostruzione della storia del V secolo ad opera dei suoi
successori antichi e moderni9.
Il risultato complessivo rimane lontano da una copertura sistematica
dell’argomento; per esempio, nessuno dei contributi si occupa della documentata presenza di T. in Sallustio o della sua ricezione nel mondo bizantino
o nell’Inghilterra della prima Età moderna, mentre solo marginalmente è
trattata l’età dell’Umanesimo e del Rinascimento10. In compenso ve ne sono
molti che illuminano percorsi meno battuti: uno di questi è la relazione fra
T. e Livio, studiata da Mathilde Simon-Mahé in un saggio (pp. 83-92) che
è indicativo delle dificoltà che si presentano quando si cerca di individuare
la precisa modalità (diretta o mediata, consapevole o tralatizia, etc.) delle
riprese di T. Nuovo, e di sicuro interesse, è il puntuale censimento delle
presenze di T. negli scoli alle opere teatrali del V secolo a.C. (Monique
Trédé-Boulmer, pp. 375-379), nonché nei grammatici e nei retori greci e
nei commentatori e grammatici latini (Frédéric Lambert, Catherine Sensal,
Pierre Chiron: pp. 209-251): una rete di rimandi che sono governati, a quanto
sembra, più dalle esigenze imposte dalle rispettive costruzioni teoriche che
dalla effettiva fortuna dell’autore. Sul versante moderno grande attenzione
viene dedicata, con ben tre contributi (autori ne sono Francisco García
Jurado, pp. 495-507; Mirella Romero Recio, pp. 509-520; Jaime Alvar e
Alexandro Ruiz, pp. 733-742), alla ricezione di T. nella cultura spagnola del
XIX secolo, peraltro caratterizzata da un sostanziale disinteresse per la storia
e la storiograia greca – un fatto paradossale, come viene sottolineato (p. 741),
per il paese che aveva conosciuto la più antica traduzione di T. a noi nota,
quella aragonese di 38 discorsi commissionata alla ine del XIV secolo da
Juan Fernández de Heredia; fa eccezione la ripresa alla ine dell’Ottocento
di un’antica traduzione in Castigliano, risalente al 1564 (e piena di errori),
elaborata da Diego Gracián a partire dalla versione latina di Lorenzo Valla
e da quella francese di Claude de Seyssel. Un caso interessante e poco noto
di lettura eminentemente politica di T. nell’Ottocento è nella sezione de9
I titoli dei tre convegni, e quindi delle sezioni del volume qui discusso, sono: Thucydide
dans l’Antiquité: emprunts, imitations, interprétations; Écrire l’histoire du Ve siècle: l’ombre
de Thucydide; “Un acquis pour toujours”? Thucydide chez les modernes (XVe-XXe siècles). Per
ragioni di economia espositiva i contributi saranno qui discussi in un ordine parzialmente diverso
da quello in cui si succedono nel volume.
10
Un periodo, quest’ultimo, che ha forse ricevuto maggiore attenzione degli altri: vd., oltre
a Murari Pires 2007, i numerosi contributi di Marianne Pade, ripresi in Ead., ‘Thucydides’ Renaissance Readers’, in Brill’s Companion to Thucydides, 779-810, e ancora U. Klee, Beiträge zur
Thukydides-Rezeption während des 15. und 16. Jahrhunderts in Italien und Deutschland, Frankfurt
a. M. 1990; Cambiano 2000, 22-132.
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UGO FANTASIA
dicata all’Antichità della Historia tou Hellenikou ethnous di Constantinos
Paparrigopoulos, pubblicata ad Atene nel 1860 (ne tratta il saggio di Mélina
Tamiolaki, pp. 521-537): all’interno di una storia greca vista «comme une
série de tentatives de création d’une unité politique» (p. 530), l’autore giudica positivamente l’impero ateniese come una tappa di questo processo e,
nonostante l’ammirazione per T., critica Pericle per aver determinato con
la guerra il fallimento di quella esperienza.
Ma torniamo all’Antichità11. In apertura di volume (pp. 27-33), Simon
Hornblower discute, ma poi inisce giustamente per scartare, la possibilità che già alcuni passi delle Storie di Erodoto documentino una sorta di
instant reception di presunte pubbliche letture di T. Roberto Nicolai (pp.
279-289) studia la relazione fra T. e Senofonte prescindendo volutamente
dalle Elleniche e analizzando piuttosto alcuni elementi chiave del discorso
politico – arche, stasis, politeia – in quelle opere senofontee, prima fra tutte
la Ciropedia, che solo una visione ristretta dei generi letterari porta a ritenere
non pertinenti dal punto di visto storiograico. Ne emerge una ricezione ‘in
negativo’ il cui fulcro è la visione senofontea del potere non di tipo istituzionale, ma come arte del comando esercitato da un individuo su altri uomini.
Il caso speciico della descrizione dei rivolgimenti del 411 e del 404 è al
centro dell’analisi di Jeannine Boëldieu-Trevet (pp. 291-305): le reminiscenze tucididee in Senofonte non occultano la profonda differenza esistente
fra la descrizione del colpo di stato del 411 «tout de forces en mouvement»
(p. 303) e il racconto senofonteo degli eventi del 404/3, caratterizzato dalla
personalizzazione del conlitto e dalla insistenza sui dettagli rivelatori delle
qualità morali degli individui. Due contributi prendono in esame i rapporti
fra T. e Teopompo. Gabriella Ottone (pp. 307-326) affronta il problema attraverso il iltro dei giudizi che di Teopompo hanno dato Polibio e Dionigi
di Alicarnasso, ed essi parlano a favore di una assimilazione della lezione
di metodo di T., ma con un rafforzamento in direzione della empeiria e del
ponos che preigura un allargamento dell’orizzonte della ricerca storica.
Antonio Luis Chávez Reino (pp. 327-342), dal canto suo, si interroga con
giustiicato scetticismo sui criteri utili ad accertare l’eventuale debito di
uno storico frammentario come Teopompo nei confronti di T. (i possibili
punti di contatto fra i due sono elencati in un’appendice) e, attraverso un’esemplare analisi del più ampio contesto del frammento 395 di Teopompo,
proveniente dai Progymnasmata di Teone, dimostra l’impossibilità di leggere
quest’ultimo come prova della familiarità di Teopompo con T. Valérie Fro11
Per uno sguardo complessivo alla fortuna di T. ino all’età ciceroniana vd. l’importante
articolo di S. Hornblower, ‘The Fourth-Century and Hellenistic Reception of Thucydides’, JHS
115, 1995, 47-65 (ora anche in Id., Thucydidean Themes, Oxford 2011, 286-322).
L’OMBRA LUNGA DI TUCIDIDE
213
mentin (pp. 105-118) smonta i passi di Dionigi di Alicarnasso che parlano
del rapporto T.-Filisto per mostrare come sia in gioco la somiglianza fra i
due storici piuttosto che la consapevole imitazione che altre testimonianze
sembrerebbero suffragare. La conoscenza di T. da parte di Demostene è
invece fuori discussione, e Sophie Gotteland (pp. 35-50) si sofferma sulle
sue analisi delle relazioni internazionali, notando come, dietro i frequenti
appelli alle ragioni del diritto e della giustizia e in apparente contrasto con
una visione edulcorata dell’impero ateniese del V secolo, emerga sempre la
consapevolezza, tipica degli oratori tucididei, che il fattore decisivo sono i
rapporti di forza. Una notoria crux è la ricezione di T. in Polibio, che cita
il suo predecessore una sola volta (VIII 11,3) e in modo non signiicativo.
Éric Foulon (pp. 141-154) cerca di dimostrare, attraverso l’analisi di sette
passi – uno dei quali è la critica a Timeo in relazione al discorso tenuto da
Ermocrate a Gela nel 424 (XII 25k,5-26,9) – che in realtà T. è per Polibio
«le canon et le modèle implicites en matière d’historiographie» (p. 153);
tuttavia il grossolano errore commesso da Polibio quando fa partecipare
Ermocrate alla battaglia di Egospotami (XII 25k,11, su cui Foulon non si
sofferma) suscita qualche dubbio sull’effettivo grado della sua familiarità
con T. al di fuori dei passi metodologici.
Il revival di T. nella cultura romana del I secolo a.C. e il suo successo
presso i retori atticisti sono fenomeni ben documentati attraverso gli stessi
autori, Cicerone e Dionigi di Alicarnasso, che con l’indirizzo atticista polemizzano. Ne deriva un’ambivalenza in forza della quale in entrambi T. è
lodato per il suo culto della verità, ma criticato dal punto di vista stilistico
e narrativo e come modello di eloquenza12. Per quanto riguarda Cicerone,
Cyril Binot (pp. 253-273) traccia la mappa dei suoi riferimenti a T. e osserva che, se nel De oratore egli aderisce a principî metodologici generali di
stampo tucidideo, nell’epistola a Lucceio si pronuncia invece per un modo
di fare storia più vicino alla propaganda politica e nelle opere retoriche più
tarde accorda il primato agli storici di scuola isocratea. Mélina Lévy (pp.
51-61) trasferisce questa ambivalenza all’interno delle Antichità romane di
Dionigi: a dispetto delle numerose riprese e imitazioni di T. (la stasis in VII
66, la peste in X 53, la descrizione del combattimento fra Orazi e Curiazi,
in III 19, sulla falsariga dell’ultima battaglia navale a Siracusa), lo storico
di Alicarnasso afianca alle critiche di ordine stilistico-letterario delle opere
retoriche una implicita critica morale del mondo rafigurato ne La guerra
del Peloponneso come «modèle obsolète» (p. 60) rispetto al mondo romano
che pure della Grecità è erede.
Cfr. L. Canfora, ‘Thucydides in Rome and Late Antiquity’, in Brill’s Companion to
Thucydides, 746.
12
214
UGO FANTASIA
Una serie di contributi documenta in dettaglio la fortuna di T. in età imperiale. Il modello tucidideo della descrizione della stasis è rimasto sempre
operante, anche là dove, come in Giuseppe Flavio, il termine subisce uno
slittamento semantico, visibile già in età ellenistica, verso il senso di «insurrezione» o «sedizione» (Lada Sementchenko, pp. 63-70). Peraltro, come
osserva Jean Yvonneau (pp. 155-165), il debito contratto dallo storico ebreo
nei confronti di T. – esemplare è l’imitazione del proemio tucidideo nell’incipit de La guerra giudaica – non toglie che T. rimanga coinvolto nell’aspra
critica della storiograia greca contenuta nel Contro Apione. Cassio Dione
mostra di averne assimilato la lezione ancora più intimamente di quanto non
si possa ricavare dalle sue numerose riprese e imitazioni, per esempio nella
connotazione negativa del termine philotimia nei libri relativi al periodo
delle guerre civili che si chiude nel 31 a.C. (Estelle Bertrand, pp. 71-81). La
grande familiarità di Luciano con T. emerge dalla itta trama di riferimenti e
allusioni che punteggiano le sue opere (Alain Billault, pp. 199-207). Secondo
Monique Trédé-Boulmer (pp. 191-198), tuttavia, il trattato lucianeo Come si
scrive la storia non va letto esclusivamente come esaltazione di T. in quanto
modello inarrivabile di storiograia: il rilievo conferito al suo amore per la
verità e alla sua libertà di pensiero sarebbe funzionale all’intenzione nascosta
di Luciano di preparare la strada a un elogio di Lucio Vero.
Due contributi ci riportano al problema centrale della ricezione del modello storiograico. Suzanne Saïd (pp. 167-189) mostra come T. non abbia
avuto veri eredi per ciò che riguarda la radicale espulsione dal racconto
storico degli elementi favolosi e mitico-leggendari, il mythodes di I 21,1 e
22,4. Questa conclusione si ricollega alle considerazioni svolte da Guido
Schepens (pp. 121-140) in uno dei saggi più importanti del volume, i cui
risultati vanno ad arricchire la rilessione che lo studioso da tempo conduce
sull’importanza dei modelli non tucididei. Attraverso una serrata critica
della dicotomia fra storiograia e antiquaria tracciata da Arnaldo Momigliano, Schepens osserva come la Zeitgeschichte, che la visione classicistica
dello sviluppo della storiograia greca ha voluto accreditare come modello
vincente da T. in poi, appaia a uno sguardo più ravvicinato piuttosto come
una anomalia all’interno di una produzione assai variegata e tradisca, nella
sua stessa deinizione, il ricorso a categorie di analisi estranee alla cultura
antica13.
Di qui si passa agevolmente, nella seconda sezione del volume, all’indagine su ciò che la storiograia di tipo tucidideo ci fa guadagnare, e più
spesso perdere, per la comprensione della realtà oppure, più semplicemenNello stesso senso vanno le considerazioni di Antonio Luis Cháves Reino, pp. 334-338, a
proposito di quello che egli chiama pregiudizio «classiciste» o «génériste».
13
L’OMBRA LUNGA DI TUCIDIDE
215
te, sulla afidabilità di T. come storico. Nick Fisher (pp. 411-425) osserva
che il silenzio di T. sulle forme ritualizzate della religione civica e sulle
pratiche liturgiche come fattori di coesione sociale rappresenta un drastico
impoverimento per la comprensione degli stessi eventi da lui narrati. La
ricostruzione del passato su base indiziaria condotta nell’Archeologia è
messa sotto accusa da Francis Prost (pp. 427-439) a proposito della scoperta
di tombe carie in occasione della puriicazione di Delo del 426/5, segno
per T. dell’antica pratica della pirateria nelle isole egee (I 8,1; III 104): la
mancata conferma archeologica di questo dato appare all’autore una ragione
suficiente per sospettare che sia qui all’opera, ammantata di razionalismo,
una qualche forma di manipolazione ideologica (il cui scopo rimane però
insondabile) simile a quella messa in atto in occasione della ‘scoperta’ dei
resti di Teseo a Sciro (Plut. Thes. 36). Per Alain Bresson (pp. 383-402), la
presentazione della Pentekontaetia da parte di T. come di un semplice periodo
intermedio fra le Guerre Persiane e la Guerra del Peloponneso fa parte di
una consapevole strategia inalizzata a isolare il conlitto del 431-404 come
il più grande evento della storia greca; ne discende, ed è un’affermazione
che non può lasciare indifferenti, che «as a temporal unit and the scene of an
unparalleled confrontation between Athena and Sparta, the “Peloponnesian
War” from 431 to 404 is thus a rhetorical construction» (p. 396). Bresson
prende le distanze dal radicale relativismo che questa conclusione sembra
suggerire, sostenendo che la storia, a differenza di tutti i discorsi che fanno
ipotesi sulla realtà, è suscettibile di falsiicazione (la realtà esterna al discorso
perciò esiste e serve da metro di valutazione, a dispetto dell’affermazione,
p. 399, che la verità non risiede nei fatti). Le questioni teoriche sollevate da
questo stimolante contributo sono dunque di cruciale importanza. Il dubbio,
sul piano storico, è che forse noi non possediamo suficienti elementi per
falsiicare la ricostruzione offerta nella Pentekontaetia di T., mentre un’attenta analisi del discorso tucidideo sulle cause del conlitto potrebbe fornire
una differente e più eficace chiave di lettura14.
Il ritratto di Pericle in T., passaggio obbligato nello studio della ricezione
dello storico, è il tema dell’ottimo contributo di Christophe Pébarthe (pp.
463-490), fra i cui meriti vi è una rassegna della sua contrastata fortuna nella
cultura europea, soprattutto francese, a partire dalla prima Età moderna.
Secondo Pébarthe, T. costruisce il ritratto di Pericle retrospettivamente, con
l’intenzione di difendere lo statista dall’accusa a lui rivolta dopo il 404 di
essere il principale responsabile della sconitta; ma l’apologia è costruita
con sottigliezza, per esempio non tacendo l’importanza che i contempoMagari sottolineando il ruolo di cerniera che riveste la Pace dei Trent’anni nel lungo processo
di avvicinamento alla guerra: cfr. U. Fantasia, La guerra del Peloponneso, Roma 2012, 49-59.
14
216
UGO FANTASIA
ranei attribuivano al decreto contro Megara come causa di guerra oppure
lasciando intravedere il collegamento operato da una parte dei suoi concittadini fra l’impurità di cui Pericle era portatore in quanto alcmeonide e
lo scoppio della peste. T. stesso è così «une source indispensable pour en
proposer une biographie qui ne soit pas une hagiographie» (p. 488). Non
vi è invece nessuna traccia di apologia nel ritratto dello statista delineato
da Plutarco, a cui Anton Powell dedica il suo contributo nella prima parte
del volume (pp. 93-104): esso rispecchia in primo luogo le preoccupazioni
politiche del suo autore (l’insistenza sulla praotes discende dalla convinzione che il leader debba padroneggiare le proprie passioni come premessa
per ammansire le masse che insidiano il potere), ma è in netto contrasto su
un punto decisivo con quello di T., proprio perché Plutarco, sull’onda del
giudizio di Platone e delle fonti usate per colmare i vuoti della biograia
di Pericle – da Stesimbroto a Ione e alla commedia – addossa a Pericle la
responsabilità di aver precipitato la Grecia nella guerra. Anche interrogarsi
su T. e la nascita del logos oikonomikos, come fa Raymond Descat (pp.
403-409), è un modo per parlare di Pericle: egli sottolinea come il rilievo
conferito, sia nell’Archeologia che nella strategia di Pericle, ai temi della
riserva di denaro (periousia chrematon) e della gestione delle entrate sveli
«une vraie conception oikonomique du pouvoir de la cité» (p. 406), una
politica razionale della arche, il cui abbandono, dopo la morte di Pericle,
ne accompagna il declino; la stessa razionalità, ma applicata alla sfera privata, ricompare nell’aneddoto, la cui fonte è probabilmente Antistene, sulla
gestione dell’oikos dello statista (in Plut. Per. 16).
La seconda sezione del volume è completata da altri due contributi di
taglio più tradizionale. Uno di questi è l’ampia indagine di Luisa Breglia
(pp. 343-373) sulla presenza di T. nel racconto delle vicende di Temistocle
che leggiamo in Diodoro e possiamo ricostruire in Eforo, le cui conclusioni
evidenziano il peso «del modello narrativo imposto dal grande storico» (p.
369). Un altro dei silenzi tucididei, quello relativo alle igure femminili, è
analizzato da Gabriella Vanotti (pp. 441-462), che osserva come le donne
citate per nome dallo storico si addensino in contesti lontani, nel tempo e
nello spazio, dall’asse narrativo principale; fra queste è Archedice, la iglia di
Ippia di cui si parla nell’excursus sui Pisistratidi, ad assumere un particolare
rilievo per le ragioni inemente analizzate dall’autrice.
Nella terza sezione, la fase più antica della ricezione di T. nell’Età moderna è studiata nei due contributi di Giuseppe Cambiano (pp. 651-663) e
di Francisco Murari Pires (pp. 665-677). Il primo formula l’acuta ipotesi
che nelle due orazioni indirizzate da Giovanni Della Casa nel 1547 a Carlo
V e al Senato di Venezia, ricche di rilessioni sul rapporto fra ragione civile
L’OMBRA LUNGA DI TUCIDIDE
217
e ragion di Stato nelle relazioni internazionali, si colga l’eco dei discorsi
di T. di cui lo stesso Della Casa aveva dato una traduzione latina pubblicata postuma nel 1564, ma risalente probabilmente agli anni 1544-1549.
Cambiano, inoltre, sottolinea l’importanza che l’opera di T., e in particolare
l’Archeologia, hanno rivestito per la formulazione ad opera di Jean Bodin
della teoria, ripresa in seguito da Thomas Hobbes, che lo Stato trae la sua
origine dal monopolio dell’uso della forza e della violenza. Murari Pires
ripercorre in modo assai originale le differenti strategie messe in atto per
accreditare veridicità e imparzialità delle loro opere da T. (lo sforzo immenso
della ricerca della verità), da Niccolò Machiavelli nelle Istorie iorentine
(la dissimulazione del soggetto dietro i fatti narrati), da Lancelot Voisin de
La Popelinière nella Histoire de France (lo spogliarsi di qualsiasi slancio
passionale), notando come esse presuppongano il possesso, da parte dello
storico, di qualità di stampo ‘eroico’. Ciò consente di tracciare una linea di
continuità con le rappresentazioni del vero storico come genio o della indagine storica sul passato come atto di divinatio accennate rispettivamente da
Leopold von Ranke e da Barthold Georg Niebuhr. Quest’ultima rilessione di
Murari Pires, da integrare con altri suoi recenti interventi15, è utile a chiarire
che il canone storiograico che si viene deinendo da Niebuhr a Ranke, da
Wilhelm H. Roscher a Eduard Meyer, nel quale il modello tucidideo rappresenta un ideale e costante punto di riferimento, lungi dall’appiattirsi su
una concezione positivistica16, non si è mai discostato dall’idea dell’opera
storica come risultato della combinazione fra l’esatto resoconto dei fatti e
la loro interpretazione soggettiva e come binomio di scienza e arte17.
Un blocco relativamente omogeneo di contributi studia la ricezione di
T. in Francia, paese nel quale, come ricorda Pascal Payen (p. 614), la crisi
della cultura umanistica a partire dalla ine del XVI secolo aveva determinato
un declassamento degli studi sulla Grecia antica di cui fecero le spese tutti
gli storici greci (assenti negli statuti dei Collegia della Faculté des Arts di
Parigi promulgati nel 1598); inoltre, come osserva Chantal Grell nel suo
15
‘Thucydidean Modernities’, in Brill’s Companion to Thucydides, 811-825; ‘Thucydide et
Machiavel: le(s) regard(s) de l’histoire et les igurations de l’historien’, CEA 47, 2010, 263-281.
16
Come spesso si tende a credere sulla base del fraintendimento della celebre formula rankiana
«bloß sagen, wie es eigentlich gewesen»: cfr. J. Süssmann, Geschichtsschreibung oder Roman?,
Stuttgart 2000, 248.
17
Cfr. D. Piovan, ‘Tucidide in Germania: tra storicismo e ilologia’, Patavium 5, 1995, 35-63,
e la bella antologia di testi in traduzione italiana Tucidide nella storiograia moderna. G.B. Niebuhr, L. v. Ranke, W. Roscher, E. Meyer, a cura di C. Montepaone, G. Imbruglia, M. Catarzi, M.L.
Silvestre, Napoli 1994. Per Roscher vd. ora N. Morley, ‘Thucydides, History and Historicism in
Wilhelm Roscher’, in Thucydides and the Modern World, 115-139. La profonda differenza esistente
fra questa idea di soggettività e il relativismo delle recenti tendenze narrativiste è ben evidenziata
da M. Pani, Le ragioni della storiograia in Grecia e a Roma. Una introduzione, Bari 2001, 9-16.
218
UGO FANTASIA
contributo (pp. 587-600), le traduzioni francesi anteriori alla fortunata versione pubblicata da Pierre-Charles Lévesque nel 1795 – quelle di Claude de
Seyssel (1527), Jean-Louis de Jaussaud (1600) e Nicolas Perrot d’Ablancourt
(1662) – erano di basso livello; per di più in Francia, diversamente da quanto
avvenne in Inghilterra con la traduzione di Hobbes (1629), la lettura di T.
rimase a lungo del tutto «dépolitisée» (p. 595). Proiettata su questo sfondo
acquista grande risalto la ricezione di T. nella fortunata Histoire ancienne
di Charles Rollin (1730-1738), ottimo conoscitore del Greco ed estimatore
della storiograia greca. Payen (pp. 613-633) redige un’accurata rassegna,
classiicandoli tipologicamente, degli usi che Rollin fa di T. nei libri relativi
alla storia del V secolo, dalla citazione esplicita e letterale alla preterizione
che presuppone il testo, passando per le parafrasi e i riassunti. Ne emerge
un atteggiamento nel complesso poco critico, ma che, attraverso il rispetto
della pluralità delle fonti, segna una presa di distanza dai principî della storiograia umanistica. Rollin ebbe anche un’importanza decisiva nel preparare
il successo, nel lungo periodo, del paradigma ateniese, visto come superiore
al modello spartano perché caratterizzato da un governo popolare, sia pure
corretto dalla leadership di grandi uomini, e aperto alle arti e al commercio:
è qui, secondo Payen, che si colgono le radici della ‘Athènes bourgeoise’.
Per rimanere nello stesso ambito cronologico, anche la ricezione di T. in
Voltaire, che fu salutato come ‘novello Tucidide’ da Federico II di Prussia in
una lettera del 1738, può essere considerata un segnale della ripresa dell’interesse per la cultura greca dopo il periodo di regressione di cui s’è detto;
ma lo studio che le dedica David Bouvier (pp. 693-706) dimostra che quel
complimento è privo di qualsiasi riferimento a una volontà di imitazione: T.
è sì per Voltaire il primo storico degno di questo nome per aver cominciato a
dissipare le tenebre della nostra conoscenza dell’Antichità, ma è da dubitare
che egli avesse grande familiarità con La guerra del Peloponneso. In ogni
caso, la percezione della ‘modernità’ di T. è un aspetto molto importante
della sua ricezione in età moderna. Come dimostra il pregevole contributo
di Adriana Zangara (pp. 679-691), l’accostamento operato in dalla ine del
XVI secolo fra T. e il Guicciardini della Storia d’Italia, che può sembrare
paradossale se si pensa all’atteggiamento dello storico iorentino nei confronti
dei modelli classici18, si spiega appunto con la discontinuità rispetto alla tradizione umanistica che Guicciardini incarna e che segnala un ‘nuovo inizio’
della storiograia. Alla metà del Settecento, e qui rientra in gioco Voltaire,
l’accostamento viene ripreso, sempre sotto il segno della modernità, per la
tendenza presente in entrambi a sceverare il vero dal falso nelle narrazioni
18
Cambiano 2000, 93-116.
L’OMBRA LUNGA DI TUCIDIDE
219
storiche. I presupposti di questa comparazione verranno invece meno nel
secolo seguente per ragioni non facili da individuare, ma che almeno per l’Italia hanno a che fare con la crescente difidenza della cultura risorgimentale
nei confronti dello storico che aveva impassibilmente descritto le tragedie
all’origine della decadenza italiana.
Indicazioni di un certo interesse si ricavano dai ritratti di Cleone elaborati in Francia fra Sei e Settecento e studiati da Charalampos Orfanos (pp.
601-612), il più antico dei quali, contenuto in una dissertazione sul tema
del machiavellismo di Jean-Louis Guez de Balzac (1664), sorprende per
il giudizio positivo che ne viene dato valorizzando la parte positiva di una
notizia di Plutarco (Mor. 806F); quelli che emergono da due romanzi epistolari, le Lettres athéniennes di Claude de Crébillon (1771) e le Athenian
Letters, opera a più mani di un gruppo di amici dell’Università di Cambridge
(1741-1743), sono invece modellati sulla valutazione negativa che ne diede
T.: alla vigilia della Rivoluzione, conclude Orfanos, la paura del nuovo era
esorcizzata attraverso la demonizzazione del campione del popolo. Da Cleone
si passa facilmente a George Grote, e la ricezione in Francia della History
of Greece, oggetto del contributo di Pierre Pontier (pp. 635-648), può dirci
indirettamente qualcosa sulla ricezione di T. dopo il 1848. Le riserve di
Grote sull’imparzialità di T. riscuotono in genere scarso consenso e c’è chi
si serve di T. per criticare in un colpo solo, facendo largo uso dell’analogia
(i massacri della guerra civile di Corcira equiparati a quelli del 1793), sia la
simpatia di Grote per la democrazia ateniese sia gli spiriti rivoluzionari del
tempo. Fanno in parte eccezione Prosper Mérimée, che ne condivide uno
degli aspetti qualiicanti, il giudizio su Cleone, mentre se ne distanzia per
la valutazione negativa della democrazia ateniese (in quanto basata sull’esistenza di una massa di lavoratori privi di diritti e di libertà), e Victor Duruy
nella prima edizione (Paris 1851) della sua Histoire grecque, che segue lo
storico inglese nell’attenuare il giudizio negativo sull’imperialismo ateniese
suggerito dal dialogo melio-ateniese.
Le fasi più recenti della ricezione moderna di T. sono coperte in primo
luogo dai contributi dedicati a Eduard Schwartz (Bruno Bleckmann, pp.
539-549) e a Karl Julius Beloch e Gaetano De Sanctis (Eugenio Lanzillotta
e Virgilio Costa, pp. 551-570). I tre studiosi erano accomunati dalla reazione
a quella acritica esaltazione dell’infallibilità di T. che un’espressione corrente
alla ine dell’Ottocento deiniva sprezzantemente ‘teologia tucididea’19 – ma
19
Può essere interessante osservare che il primo a parlare di «Thukydidestheologen» sembra
sia stato Hermann Müller-Strübing, non a caso menzionato in modo cautamente elogiativo da
Beloch: cfr. F. Rühl, ‘Hermann Müller-Strübing’, Biographisches Jahrbuch für Altertumskunde
20, 1897, 101.
220
UGO FANTASIA
per vie molto differenti. Bleckmann osserva acutamente che, se la ‘questione tucididea’ ha rappresentato una cesura nella ricezione di T. in quanto
ha contribuito a farlo scendere dal piedistallo di «ein klassischer oder gar
normativer Autor» (p. 539), è stato Schwartz, anticlassicista per eccellenza,
a fornire l’impulso decisivo in quella direzione postulando nella sua monograia del 1919 una stratigraia compositiva dell’opera tucididea talmente
complessa da distruggere la coerenza del testo. Bleckmann ne ricava che la
critica iperanalitica di Schwartz ha favorito l’insorgere di tendenze decostruttiviste nell’analisi del testo di T.; in realtà questo indirizzo, almeno nelle sue
declinazioni narratologiche, sembra aver trovato una humus feconda proprio
nell’affermazione di una visione ‘unitaria’ della composizione dell’opera.
La radicale critica di Beloch si nutriva della sua dichiarata avversione alla
lettura della storia come campo d’azione delle grandi personalità: i contemporanei di Pericle avevano visto quella verità che il suo apologeta ha cercato
di oscurare, e cioè che lo statista scatenò il conlitto per rafforzare la sua
traballante posizione in patria. Quanto a De Sanctis, è probabilmente nello
studio sui precedenti della spedizione in Sicilia20 che egli cercò di mettere a
nudo nel modo più netto, e in in dei conti poco persuasivo, la parzialità del
resoconto tucidideo, sostenendo che l’iniziativa era condivisa da Nicia e che
T. offre una versione deformata dei fatti per scagionarlo da qualsiasi colpa.
Nel volume occupano grande spazio gli effetti che il trauma del 1918 ebbe
sulla ricezione di T. nella Altertumswissenschaft. Anthony Andurand (pp.
573-585) analizza i differenti modi in cui fu letto l’epitaio di Pericle nella
cultura tedesca dalla seconda metà dell’Ottocento, quando dal classicismo
senza ombre di Ernst Curtius si passa al pessimismo di Jacob Burckhardt
critico della democrazia, al periodo postbellico: Schwartz e Meyer vi vedono
l’apologia di un’Atene sconitta nella quale si specchia la Germania sconitta,
Max Pohlenz e Werner Jäger lo interpretano come luogo di composizione
dei conlitti politici e sociali e quindi perfetto contraltare della democrazia
parlamentare. Nelle reazioni a caldo nella Germania del primo Dopoguerra,
come mostra Paolo Butti de Lima (pp. 709-721), la comprensione del presente
alla luce dei precedenti antichi di una ‘guerra mondiale’ non si sottrae al
rischio di spericolate analogie (nelle quali Cartagine entra in gioco accanto
ad Atene). Friedrich Meinecke, riprendendo un paragone usato già nel 1918
dall’ex-cancelliere Theobald von Bethmann Hollweg, richiamò T. e l’errore
della spedizione in Sicilia per criticare da un punto di vista liberale la gestione
del conlitto; ancora T., insieme alla democrazia radicale di cui egli denunciò
la degenerazione, fu evocato da Meyer (nel 1919) per sottolineare le cause
20
G. De Sanctis, ‘I precedenti della grande spedizione in Sicilia’, RFIC 57, 1929, 433-456.
L’OMBRA LUNGA DI TUCIDIDE
221
interne della disfatta; nel 1920, inine, Pohlenz additava alla gioventù tedesca il modello della democrazia periclea descritta da T. come prototipo del
Volksstaat. Ma uno dei prodotti più interessanti e godibili di quegli anni è
sicuramente La campagne avec Thucydide (Paris 1922), il libro che Albert
Thibaudet, studioso di letteratura francese innamorato e competente di cose
greche, scrisse durante il suo periodo di servizio nella milizia territoriale francese (ne tratta il saggio di Jacques Cantier, pp. 723-732). La comparazione
dell’Europa del presente con la Grecia della ine del V secolo suggerisce
anche qui più o meno ardite analogie (ne compare una del tutto inedita fra
la stasis di Corcira e la Russia del 1917), ma vi si trova anche un’indagine
non supericiale su problemi quali le radici del fenomeno dell’imperialismo e
le conseguenze che la conlittualità diffusa e prolungata tipica di una guerra
totale provoca nel comportamento dei singoli e delle comunità.
Non si può che essere grati ai promotori di questo progetto per aver ampliato in misura così signiicativa l’orizzonte degli studi sulla ricezione di T.
È auspicabile che una indagine così approfondita venga presto prolungata
oltre la soglia temporale del primo Dopoguerra ed estesa da un lato alle tematiche di cui all’inizio abbiamo segnalato la mancata copertura, dall’altro
alla storia delle traduzioni, un aspetto di centrale importanza per le dificoltà
poste dal testo di T. e per il problema che ne deriva delle modalità della sua
fruizione nelle differenti cerchie di lettori21. Il libro consegue i risultati forse
più signiicativi sul terreno della deinizione, in età antica e moderna, delle
regole di scrittura del genere storiograico e del ruolo che vi ha ricoperto
T., e si può prevedere che esso darà ulteriore impulso allo sforzo, visibile
in molti studi recenti, di liberarsi dalla tirannia del modello tucidideo come
canone normativo della storiograia. Che da questo processo di revisione
esca poi scalita anche l’autorevolezza di T. come storico del V secolo a.C. è,
ad avviso di chi scrive, un effetto non necessario e largamente indesiderato.
Ma al di là delle convinzioni personali, va riconosciuto che fra le ragioni
del successo di questa impresa scientiica vi sono la profonda coerenza del
progetto che ha animato i tre convegni, la chiarezza con cui emergono le sue
linee portanti e la congruenza dei risultati raggiunti con i presupposti che
i curatori enunciano limpidamente nella Introduction, soprattutto là dove
insistono (p. 16) sulle rotture e sugli scarti, piuttosto che sulle continuità,
che segnano l’accidentato percorso che porta dallo ktema es aiei tucidideo
all’affermarsi, fra Ottocento e primo Novecento, di un certo modo di fare
storia che è parso a un certo punto vincente. Ma, come sappiamo, si trattava
di un’illusione.
È, questo, un aspetto sottolineato da K. Harloe e N. Morley, ‘Introduction’, in Thucydides
and the Modern World, 13-18.
21
222
UGO FANTASIA
Abbreviazioni bibliograiche
Brill’s Companion to Thucydides
Brill’s Companion to Thucydides, ed. by A. Rengakos & A. Tsakmakis, Leiden Boston 2006.
Cambiano 2000
G. Cambiano, Polis. Un modello per la cultura europea, Roma - Bari 2000.
Murari Pires 2007
F. Murari Pires, Modernidades Tucidideanas. Ktema es Aei, I. No tempo dos
Humanistas, 1. (Re)surgimento(s), São Paulo 2007.
Thucydides and the Modern World
Thucydides and the Modern World. Reception, Reinterpretation and Inluence
from the Renaissance to the Present, ed. by K. Harloe and N. Morley, Cambridge 2012.