Tucidide
e l’archaiologhìa di Leontinoi
di Massimo Frasca
Leontinoi compare più volte nella narrazione di Tucidide, quasi sempre in relazione con avvenimenti connessi con le due spedizioni ateniesi in Sicilia, nel corso delle quali, come sappiamo, i Leontini ebbero un ruolo di primo piano.
I passi relativi a Leontinoi sono stati ampiamente trattati e discussi dagli storici e non è il caso di ritornare in dettaglio su di essi, soprattutto da parte di chi
storico non lo è. Nondimeno, vi sono dei casi in cui essi offrono degli spunti utili alla ricostruzione della storia archeologica di Leontinoi, che vale la pena di riconsiderare alla luce delle scoperte archeologiche effettuate nel sito nell’arco di
poco più di un secolo di indagini, da Paolo Orsi fino ai nostri giorni.
Colgo pertanto l’occasione che mi è fornita dagli organizzatori di questo convegno, che ringrazio, per esaminare brevemente, traendo spunto dai passi dello
Storico ateniese, alcuni aspetti non secondari dell’archeologia di Leontinoi.
1) Cominciamo naturalmente dal celebre passo iniziale del sesto libro, la cosiddetta archaiologhìa tucididea, che ci consente di tornare sul problema del primo stanziamento coloniale e dei rapporti con i Siculi già presenti nel sito, che abbiamo avuto modo di trattare in un convegno tenutosi a Milano alla fine dello
scorso anno1. Com’è noto, nel passo si narra come, cinque anni dopo la fondazione di Siracusa, i Calcidesi che avevano appena fondato Naxos, guidati dallo
stesso ecista Teocle, fondassero Leontinoi ai margini della Piana di Catania, dopo aver cacciato dal sito prescelto i Siculi che già vi si trovavano2. La data di fondazione, desunta dalla cronologia tradizionale basata proprio sul testo di Tucidide3, è il 728 a.C.
Il racconto della fondazione di Leontinoi si ritrova in una fonte più tarda, Polieno4, che, in apparente contraddizione con la versione di Tucidide per quel che
riguarda l’immediata cacciata dell’elemento preellenico dal sito prescelto dai coloni, asserisce che gli Indigeni non furono cacciati subito, ma dopo un periodo,
imprecisato, di coabitazione con i Greci, dai Megaresi che erano stati tempora1 M. Frasca, Siculi e Greci a Leontini: un aggiornamento, in cds
2 Thuc. VI, 3,3.
3 Vd. in questo volume il contributo di G.F. La Torre.
4 Polyaen. 5,5.
135
Massimo Frasca
neamente accolti a Leontinoi, prima di essere a loro volta espulsi con l’inganno
dai Calcidesi5.
Nelle due versioni letterarie sono proposti due diversi modi d’insediamento
coloniale da parte dei Greci che sono stati ampiamente discussi e fatti propri dagli storici moderni. Il primo, che possiamo definire tucidideo, prevede che lo
stanziamento dei coloni avvenga attraverso una conquista violenta con la conseguente immediata espulsione dell’elemento nativo, considerato più debole e meno agguerrito. Il secondo modo, sotteso nella versione di Polieno, contempla, invece, la coabitazione dei nuovi arrivati con le genti già stanziate sui luoghi e un’integrazione tra i due gruppi; a una prima fase di coesistenza, farebbe seguito, con
il consolidamento della polis coloniale, tra il VII e il VI secolo a.C., un atteggiamento aggressivo da parte dei Greci, con il conseguente annullamento della cultura indigena.
Il dato tramandato della presenza di Siculi nel sito di Leontinoi ha trovato
conferma nella documentazione raccolta nel corso degli scavi archeologici condotti a partire dal secondo dopoguerra a Leontinoi. Gli scavi hanno confermato
la descrizione di Leontinoi fornita da Polibio (VII, 6, 1-6), che la vuole posta su
due colli dai fianchi scoscesi, il San Mauro e la Metapiccola (fig. 1). Sui due colli gli scavi di G. Rizza hanno rivelato, oltre alle testimonianze relative alla città
greca -case e templi così come indicava Polibio- consistenti tracce della presenza
indigena. La documentazione raccolta, però, ha dato adito a interpretazioni non
univoche, inducendo gli studiosi che si sono occupati di Leontinoi a conclusioni
discordanti.
La discussione si è focalizzata soprattutto sul villaggio scoperto sulla sommità del colle Metapiccola negli anni 1954 e 1955; un villaggio composto di capanne a pianta rettangolare o leggermente absidata con l’alzato sostenuto da pali lignei (fig. 2), corredate da un complesso di ceramiche acrome e dipinte analogo
a quello dei villaggi di origine peninsulare, come quello dell’Ausonio II di Lipari e quello della Cittadella di Morgantina6. Il villaggio è stato datato tra i secoli
XI e IX a.C.7; tuttavia, non è stato stabilito con certezza il termine cronologico
inferiore di esso. È così rimasto irrisolto il dubbio se il villaggio fosse già abbandonato al momento dello stanziamento dei coloni calcidesi o se sia stato distrutto proprio dai nuovi arrivati, così come asserisce Tucidide.
Nei suoi scritti, G. Rizza lascia intendere che, al momento dell’arrivo dei Greci, il villaggio della Metapiccola fosse già stato abbandonato, ma, d’altra parte,
sembra non escludere che nei primi momenti di esistenza della colonia sulla Me-
5 Sulle tradizioni letterarie relative alla fondazione di Leontinoi e ai rapporti con i Megaresi
136
e le popolazioni indigene, vd. Sammartano 1994, p. 48 ss.
6 Alle sette capanne messe in luce da G. Rizza si sono aggiunte in anni successivi altre due
capanne scoperte nella stessa area del villaggio e alle pendici ovest del colle, cfr. Frasca 2009, p.
27 ss., con bibliografia precedente.
7 Peroni 1996, p. 371; Albanese Procelli 2003, p. 50.
Tucidide e l’archaiologhìa di Leontinoi
Fig. 1. Il sito della città
di Leontinoi, a Oriente
il colle Metapiccola, a
Occidente il colle San
Mauro (da Rizza 2000).
tapiccola potessero essere ancora stanziati gruppi indigeni. La congettura che il
villaggio “siculo” della Metapiccola coesistesse con il primo stanziamento greco
-secondo l’ipotesi di Rizza ubicato in questa prima fase soltanto sul colle S. Mauro- ha trovato largo seguito presso gli studiosi8. Va però detto che la documentazione raccolta all’interno delle capanne appare omogenea e inquadrabile tutta tra
il Bronzo finale e la prima età del Ferro, vale a dire in un periodo antecedente lo
stanziamento calcidese; mancano, infatti, le ceramiche della facies cultuale indigena contemporanea al movimento coloniale greco (facies di Pantalica Sud) che,
peraltro, sono ben attestate nel vicino colle S. Mauro e nelle vicine necropoli di
Cava Ruccia e S. Aloe9.
8 Finley 1970, p. 35; Cordano 1986, p. 109; Greco 1999, p. 268; Leighton 1999, p. 188.
9 Ceramiche di Pantalica Sud dal colle S. Mauro, vd. Rizza 1962, p. 18, tav. V, 13; nella
necropoli di S. Aloe: Orsi 1900, p. 65, p. 75, figg. 18-19; Lagona 1975-76, p. 132, fig. 30, n. 253;
fig. 45, nn. 336 e 342.
137
Massimo Frasca
Fig. 2. Pianta del villaggio della Metapiccola (da Frasca 2009).
Del tutto diversa è la situazione che è stata riscontrata sul colle S. Mauro, dove i rinvenimenti indicano una frequentazione ininterrotta attraverso tutte le facies della sequenza accertata per la Sicilia sud-orientale, dalla prima età del Bronzo fino all’arrivo dei Greci. Sul colle sono stati individuati anche dei fori per pali di legno, attribuiti a villaggi, dei quali però non è stato possibile riconoscere la
facies di appartenenza10.
Tra i materiali rinvenuti sul S. Mauro, e pubblicati da Rizza, vi sono alcuni
frammenti con decorazione incisa, tra i quali si riconoscono gli scodelloni con tre
o quattro anse applicate sull’orlo (fig. 3a) tipici della facies del Finocchito, contemporanea alle prime fasi della colonia (730-650 a.C.)11, uno dei quali con decorazione impressa (fig. 3b), simile a quella della coeva facies di S. Angelo Muxaro-Polizzello, tipica della Sicilia occidentale. Oltre a questi frammenti ceramici, tra i materiali provenienti dai saggi effettuati sulla sommità del colle per l’individuazione dei muri di fortificazione della colonia greca, vi sono frammenti di
scodelle e di anfore con decorazione dipinta geometrica, riferibili alla facies indigena del Finocchito e del tutto simili a quelle presenti nei corredi delle vicine necropoli di S. Aloe e di Cava Ruccia12.
138
10 Rizza 1980, p. 33; Basile 1996, p. 384; cfr. Frasca 2009, p. 26.
11 Rizza 1962, tav. V,14. Per gli scodelloni, cfr. Frasca 1981, p. 88 s.
12 Cfr., ad esempio, le anfore, Lagona 1975-76, p. 76, fig. 24, nn. 142-144, o la scodella, ib.,
n. 146, dalla stessa tomba I/B della necropoli di S.Aloe (ma gli esempi si potrebbero moltiplicare).
Tucidide e l’archaiologhìa di Leontinoi
A
B
Fig. 3. a) Scodelloni con decorazione incisa; b) con decorazione impressa (da Rizza 1962).
Queste ceramiche lasciano pensare a una presenza indigena sul S. Mauro anche dopo lo stanziamento dei coloni, avvalorando l’ipotesi di una possibile coabitazione tra Greci e Indigeni a Leontinoi. A questi dati si possono aggiungere
quelli provenienti dalle necropoli di Cava Ruccia e di S. Aloe. Le necropoli, che
si aprono con le loro tombe a grotticella artificiale sul fianco est dei colli Ciricò e
Metapiccola, furono indagate alla fine del secolo scorso da Francesco Saverio Cavallari, che nel 1887 diede notizia di tre tombe nella Cava Ruccia13 e da Paolo
Orsi che esplorò 26 tombe della necropoli della valle S. Aloe, assegnandole al
Terzo Periodo Siculo (IX-VIII secolo a.C.). Più di recente indagini nelle due necropoli sono state condotte dall’Università di Catania14.
L’utilizzo delle necropoli, iniziato nel IX secolo a C., prosegue anche dopo lo
stanziamento dei coloni calcidesi, fino ai primi decenni del VII secolo a.C., almeno. Le ceramiche presenti nei corredi rivelano una marcata influenza delle produzioni vascolari tardo geometriche ed orientalizzanti greche, che va senz’altro
attribuita al contatto tra le due comunità. Tra i motivi decorativi dipinti sui vasi
ricorrono quelli derivati dal repertorio euboico, come i cerchi concentrici in serie sul collo o sul corpo di anfore15 e le raffigurazioni di animali, come la teoria
di uccelli su un’anfora e su una pisside dalla necropoli di S. Aloe (fig. 4)16, gli ucÈ in corso da parte di chi scrive una ricognizione dei materiali provenienti dagli scavi effettuati
nei primi anni ’50 e conservati nei depositi del Museo di Lentini, per definire la consistenza dei
materiali riferibili alla fase di “coabitazione” tra i coloni calcidesi e gli indigeni. Ringrazio la
dott.ssa M. Musumeci responsabile del Servizio Parco Archeologico di Leontinoi per la piena
disponibilità dimostrata nel favorire la ricerca.
13 Cavallari 1887, p. 301 ss.
14 Lagona 1975-76.
15 Sulla scorta di alcune suggestioni di Orsi, si è pensato ad un influsso cipriota su queste
anfore con corpo decorato da file di cerchi concentrici, cfr. Blakeway 1932-1933, p. 185 fig. 9.
16 Orsi 1900, fig. 21; Blakeway 1932-1933, p. 187 fig. 11.
139
Massimo Frasca
Fig. 4. Pisside con decorazione figurata dalla necropoli di S. Aloe (da Orsi 1900).
celli isolati entro metope o il cavallo pascente, presenti su due anfore pubblicate
da S. Lagona17.
Riguardo all’ubicazione dei villaggi relativi alle due necropoli dovremmo supporre che essi si trovassero sulle sommità dei colli Ciricò e Metapiccola. Non sono però state trovate tracce di villaggi riferibili ad essi su nessuno dei due colli.
Prende corpo pertanto la seducente ipotesi che Siculi e Greci avessero le loro
abitazioni entrambi sul colle S. Mauro, dove, come abbiamo visto, accanto a ceramiche di produzione greca sono testimoniate ceramiche riferibili a facies culturali indigene successive alla data di fondazione della colonia.
2) Il secondo passo che vogliamo qui commentare riguarda il territorio di Leontinoi, in particolare i confini di esso. La chora leontina doveva senz’altro comprendere la maggior parte della fertilissima piana di Catania, che i Greci indicavano come Campi Leontini18. Tuttavia, non è facile definirne con precisione i
confini rispetto alle città vicine. L’unico dato certo viene proprio da un passo di
Tucidide (VI, 65,1), in cui si asserisce che i Siracusani, in marcia alla volta di Catania, si attendarono sulle rive del Simeto, nel territorio di Leontini.
Dunque alla fine del V secolo a.C. il confine di Leontinoi verso Nord doveva
essere segnato in parte dal basso corso del fiume Simeto. Non abbiamo però elementi per affermare che questo fosse il confine tra i territori delle due città anche
in epoche diverse. È probabile che il limite settentrionale del territorio leontino
si attestasse anche lungo il corso del fiume Gornalunga, affluente da Ovest del
140
17 Lagona 1975-76, p. 137 s. figg. 71 (metope con uccello e quadrifoglio) e 73 (cavallo
pascente con volatile sotto il corpo).
18 Hansen-Nielsen 2004, p. 209.
Tucidide e l’archaiologhìa di Leontinoi
Fig. 5. Carta del territorio di Leontinoi (da Frasca 2009).
Simeto, che attraversa tutta la Piana, e che costituiva nell’antichità la principale
via di collegamento tra la costa e le alture su cui sorge Morgantina (fig. 5).
Verso Ovest la chora doveva essere delimitata dal fiume dei Monaci, affluente del Gornalunga, e doveva senz’altro comprendere il tratto della Piana ad occidente della polis, caratterizzato dai rilievi collinari su cui sorgono Francofonte
e Militello. A Sud, il territorio di Leontinoi doveva attestarsi sulle propaggini degli Iblei, lungo la dorsale tra le cittadine moderne di Sortino e Buccheri19. Il confine tra i territori di Leontinoi e di Megara Iblea, secondo ipotesi recenti (Voza,
Vallet, De Angelis)20, era segnato dal corso del fiume Porcaria e più ad Ovest dal
torrente Margi, affluente del S. Leonardo. La Leontine da qui si sarebbe estesa
verso Sud fino ad incontrare il territorio di Siracusa.
Non è chiaro se la regione collinare tra l’alto corso del Gornalunga e il fiume
dei Margi, da Ramacca fino ad Aidone-Morgantina, e, più a Sud, la valle del Margi, fossero direttamente comprese nella chora leontina, ma certamente esse ricadevano entro la sfera di influenza commerciale e politica dei Leontini. In queste
aree si assiste dalla fine del VII secolo a.C. alla rapida formazione sulle colline di
grossi abitati indigeni, quali Monte Catalfaro presso Mineo, Terravecchia di
Grammichele, la Montagna di Ramacca, Monte Iudica che si dotano di cinte murarie e adottano strutture abitative, edifici sacri, rituali e tipologie funerarie di tipo greco. Il fenomeno può essere messo in relazione con la crescita economica e
demografica di Leontinoi che si ripercuote negli assetti territoriali, innescando
dinamiche complesse nell’hinterland, alle quali va probabilmente ricollegata an19 Confini della chora leontine: Columba 1891, p. 103; Dunbabin 1948, p. 121 ss.; HansenNielsen 2004, p. 210.
20 De Angelis 2003, p. 77, fig. 27. Per il Porcaria, confine tra i territori di Leontinoi e
Megara, vd. inoltre Vallet-Voza 1984, p. 57; Gras-Tréziny 1999, p. 252; Veronese 2006, p. 181.
141
Massimo Frasca
Fig. 6. Il sistema dei colli Tirone-Castellaccio identificato con Focea (da Frasca 2009).
che la fondazione della subcolonia leontina di Euboia, da ubicare ai confini occidentali della chora21.
3) Il terzo passo delle Storie di Tucidide che sottoponiamo all’attenzione dei
convegnisti riguarda l’esistenza, denominazione e ubicazione di due luoghi riferibili a Leontinoi.
Il passo in discussione è quello (V, 4,4) in cui si tratta degli avvenimenti successivi alla pace di Gela del 424 a.C. In esso Tucidide racconta che, dopo la partenza degli Ateniesi dalla Sicilia, i Leontini concessero la cittadinanza a molti
nuovi cittadini. In quell’occasione il demos lentinese si adoperò per una ridistribuzione delle terre; ma i dynatoi (cioè gli oligarchi che possedevano le terre) si
opposero, facendo intervenire i Siracusani, e dopo aver cacciato la parte avversa,
abbandonarono la città, stabilendosi a Siracusa dove ottennero la cittadinanza.
Successivamente, alcuni degli oligarchi, scontenti della nuova sistemazione, lasciarono Siracusa e occuparono Focea, un quartiere della città di Leontinoi, e
Bricinnie, una fortezza nel territorio leontino. Allora venne ad unirsi a loro la
maggior parte del demos, che in precedenza era stato cacciato; stanziatisi nei due
luoghi fortificati, i Leontini combatterono contro i Siracusani22
Abbiamo così rispettivamente l’indicazione e la denominazione di una fortezza posta nel territorio, Bricinnie e di un quartiere fortificato nella città stessa, Focea. Per quel che riguarda Bricinnie sappiamo dallo stesso Tucidide che il phrourion si trovava lungo il percorso che da Gela conduceva a Catane. Infatti, riferi-
142
21 Vd. Frasca 2009, p. 48 ss.
22 Thuc. V, 4, 2-4. Cfr. Dreher 1986, p. 638.
Tucidide e l’archaiologhìa di Leontinoi
sce Tucidide che Feace fu inviato dagli Ateniesi per convincere i Sicelioti ad effettuare una spedizione comune contro Siracusa. Fallita la sua missione, Feace da
Gela si diresse a Catania e nel corso del suo viaggio si spinse fino a Bricinnie per
incoraggiare i combattenti23.
Bricinnie è stata identificata con il colle di Monte San Basilio presso Scordia.
Il sito già naturalmente difeso, fu reso ancora più forte alla fine del VI secolo a.C.
da una cinta muraria a doppio paramento24. La vocazione militare del sito è ribadita dal ritrovamento, all’interno della monumentale cisterna che ha reso famoso
il luogo, di una tomba denominata da Paolo Orsi “del Duce Ignoto”. Il corredo
funerario, databile poco dopo la metà del IV secolo a.C., includeva due punte di
lance, una spada ricurva di ferro e una corazza anatomica di bronzo25, che ha indotto a riconoscere in essa la probabile sepoltura di un cavaliere campano giunto
in Sicilia come mercenario, probabilmente il comandante stesso del phrourion26.
Per quel che riguarda Focea si è discusso se si trattasse di un quartiere interno alla città o di un sobborgo e se il suo nome fosse un toponimo di origine locale o greca27. In questo secondo caso è stata vista una relazione con la città della Ionia. Il toponimo è stato, infatti ricollegato al probabile arrivo in Sicilia di profughi da Focea, dopo la distruzione persiana del 540 a.C. ca.28, anche se è probabile che sia da connettere piuttosto con la presenza di una componente minoritaria di origine microasiatica che aveva partecipato alla fondazione della città29,
come nel caso di Gela, la cui acropoli assunse un proprio nome, Lindioi, derivato dalla componente rodia del contingente coloniale30.
Il riferimento di Tucidide a Focea come quartiere fortificato prescelto dai cittadini leontini, lascia supporre che si trattasse di uno dei luoghi chiave per il controllo della città. Secondo lo storico Columba31 esso va identificato con l’acropoli di Leontinoi, riconosciuta nel sistema delle alture Tirone-Castellaccio (fig. 6) che
chiude la valle S. Mauro, restringendone l’imboccatura ed assicurando il controllo settentrionale della valle e della sottostante area fluviale. Il colle denominato Castellaccio32, che deve il suo nome alla presenza di resti monumentali di età medie23 Thuc. V, 4, 1; V, 4, 5-6.
24 Lagona 1992, p. 480 s.
25 Orsi 1922, p. 1 ss.
26 Tagliamonte 1994, p. 149 s.
27 Cfr. Manganaro 2003, p. 148, che propone un’origine dal latino focus (focolare) o una
connessione con il greco phoke (foca), “forse per la configurazione topografica”.
28 Gras 1997, p. 67; Albanese Procelli 2003, p. 236 s.
29 Cfr. Asheri 1968, p. 343. Sulla connessione con il leone “foceo” raffigurato sulle monete,
che giustificherebbe tale interpretazione, vd. Veronese 2006, p. 178 s., nota 15.
30 Thuc. VI, 4, 3. Cfr. Panvini 1996, p. 25.
31 Columba 1891, p. 123.
32 Il Columba allega alla descrizione del complesso dei colli Tirone-Castellaccio-Lastrichello
una cartina con lo schizzo delle strutture esistenti (Columba 1891, pp. 123-132). La descrizione
è ripresa da Orsi 1930, con nuova carta redatta da Rosario Carta, ripubblicata da Agnello 1935,
pp. 251-297.
143
Massimo Frasca
vale, nel suo aspetto attuale si presenta come un’imponente “piramide quadrangolare”33 delimitata da profondi scoscendimenti, in parte naturali e in parte artificiali, soprattutto ad Ovest ed ad Est, dove due profondi fossati lo isolano dalle
alture vicine. I fossati sono stati attribuiti all’opera di Dionisio I per le analogie nella tecnica del taglio della roccia con il Castello Eurialo di Siracusa34.
Anche se non è possibile al momento attribuire con certezza parti delle strutture del Castellaccio a Dionisio I, va sottolineato come il dinasta siracusano abbia dato vita ad un rafforzamento delle difese di Leontinoi, che non poteva essere limitato alle acropoli, come sembra suggerire Diodoro Siculo e come si è supposto finora, ma che doveva, invece, interessare tutta la città. Dopo averla conquistata nel 403 a.C. e averne abbattute le fortificazioni, Dionisio I, nel 396 a.C.,
intervenne su Leontinoi costruendo i granai, fortificandone le acropoli e, a nostro avviso, ridisegnando l’intero sistema difensivo della città. È probabile che le
opere difensive fossero articolate su più linee: una bassa che chiudeva gli accessi
alla valle S. Mauro e una linea alta che circondava le alture, analogamente a quanto progettato a Siracusa, dove Dionisio costruì le lunghe mura di Epipoli e due
cinte ad Ortigia, una esterna a difesa dell’intera isola e l’altra più interna35. Una
conferma che la città di Leontinoi a partire dagli inizi del IV secolo dovesse essere dotata di un sistema difensivo articolato su diversi livelli (acropoli, circuito
basso), viene dal racconto diodoreo delle vicende del 356 a.C., in cui si narra come il generale Filisto, pur essendo penetrato all’interno delle mura, fosse riuscito ad occupare solo una parte della città36.
La grande cura riservata a Leontinoi dal dinasta siracusano è motivata dalla
posizione della città in relazione alla Piana di Catania. Dionisio I si preoccupò,
infatti, della raccolta e immagazzinamento dei prodotti della Piana con la costruzione di granai nella stessa Leontinoi, che dobbiamo immaginare posti in luogo
protetto, quasi certamente all’interno della cinta muraria, così come avviene a
Morgantina, dove i granai costruiti da Ierone II sono collocati all’interno delle
mura, nei pressi della porta urbica.
Nell’intento di Dionisio di fare di Leontinoi un luogo fortificato a difesa di
una delle aree più fertili della Sicilia, ritroviamo lo stesso disegno programmato
che indusse dei Calcidesi a muoversi da Naxos37 per occupare la parte più fertile della Sicilia orientale, e a insediarsi, diversamente dalla consuetudine, in un sito collinare, difficile da abitare, distante dal mare e segnato dalla presenza di una
consistente comunità indigena, in grado di condizionarne lo sviluppo.
33 Agnello 1935, p. 270.
34 Columba 1891, p. 130 s.; Agnello 1935, p. 271.
35 Aiosa 2001, p. 95, nota 30, con riferimenti ai passi di Diodoro (Diod. XIV, 10,4; XVI,
144
11,5), in cui si accenna ad una doppia cinta muraria in Ortigia.
36 Diod. XVI, 16,1.
37 Si può supporre che il numero dei coloni fosse limitato e non superiore a circa 200 individui, sulla base anche dei dati desumibili da Erodoto e Stefano Bizantino; vd. in proposito De
Angelis 2003, p. 49.
Tucidide e l’archaiologhìa di Leontinoi
4) Un ultimo spunto di riflessione, che si può ricavare dalla lettura di Tucidide, riguarda Leontinoi nel suo rapporto con il mare. Leontinoi ha la peculiarità
di essere l’unica colonia primaria greca non fondata direttamente sul mare. La
città si trovava, infatti, in un sito collinare distante circa 10 km dall’attuale linea
di costa.
Ma poteva una fondazione coloniale greca rinunciare ad aver un collegamento diretto con il mare che le garantisse, oltre ai collegamenti con la madrepatria,
di intrattenere relazioni con le principali aree produttive del Mediterraneo? Poteva in altre parole la nuova fondazione essere del tutto priva di un insediamento portuale? La risposta non può che essere negativa.
In effetti, Leontinoi, ancorché non situata sulla costa, era collegata ad essa attraverso la via d’acqua costituita dal fiume S. Leonardo, antico Terias, e dai suoi
affluenti, uno dei quali, il Lisso, scorre, così come affermava Polibio, ai piedi di
una delle due alture su cui era posta la città antica.
Attraverso il sistema fluviale del Teria e dei suoi affluenti, imbarcazioni di piccola stazza potevano arrivare con le loro mercanzie fin nelle immediate vicinanze
del sito antico. Lo stesso avveniva ancora in età medievale nella descrizione di
Lentini del geografo Edrisi come posta sulle sponde del fiume omonimo, secondo la quale le imbarcazioni da carico attraccavano fin dentro la città giungendo
dalla parte di Levante38. Lo stesso avveniva ancora fino agli inizi dell’Ottocento39.
È logico supporre che lungo il corso dei fiumi Terias e Lissos fossero predisposti apprestamenti per il carico e lo scarico delle merci dalle barche che risalivano dal mare.
Da un punto di vista archeologico si è tentato di ricollegare alle attività portuali alcune strutture murarie di epoca romana che sono emerse in diverse occasioni in più punti dell’attuale centro di Lentini. Così è stato per la struttura, formata da muri di blocchi squadrati di tecnica greca probabilmente riutilizzati in
epoca romana, rinvenuta in Piazza Vittorio Veneto, per la quale è stata ipotizzata l’appartenenza a una “modesta opera portuale” posta appena fuori le mura
della città antica40. Così è stato proposto anche per i muri, anch’essi di riuso in
epoca romana, rinvenuti nella via Conte Alaimo, lungo le sponde del fiume Carrunchio41. Tuttavia, quale che sia l’interpretazione che si voglia dare a queste
strutture, di dubbia pertinenza e d’incerta cronologia, scoperte lungo il corso dei
fiumi Lisso e Carrunchio, esse paiono tali da non potere essere attribuite ad un
vero e proprio porto in grado di consentire l’approdo e il ricovero di imbarcazione di grande e media stazza.
38 Frasca 2009, p. 53.
39 Caffi 2004, p. 74 ss.
40 Ciancio 1964, p. 11. Cfr. anche Rizza 1990, p. 536.
41 Cfr. Rizza 2004, p. 82; in quest’area pianeggiante, oggi occupata dalla Piazza Umberto I,
dove confluivano le acque del fiume Carrunchio proveniente dalla Cava Ruccia, e del Lisso proveniente dalla Cava Sant’Eligio, B. Basile ha proposto l’ubicazione di un quartiere portuale risalente al VII secolo a.C. (Basile 1996, p. 384).
145
Massimo Frasca
Ma torniamo a Tucidide.
Lo storico greco nel trattare gli avvenimenti relativi alla spedizione ateniese del
415 a.C. riferisce che la flotta ateniese proveniente da Reggio e diretta alla volta di
Siracusa, per il rifiuto dei Catanesi di accoglierla, fu costretta a fermarsi sul fiume
Terias42. Si trattava di una flotta consistente, formata da ben sessanta triremi.
Alla notizia di Tucidide Columba ha accostato un passo di Livio (XXIV, 27,4)
in cui si afferma che dopo la morte di Ierone II, nel 214 a C., cento navi romane
gettarono l’ancora nella località chiamata Murgantia, in attesa dell’evolversi degli
eventi a Siracusa43. La località di Murgantia è stata identificata con la rada di
Agnone, dove è documentato fino agli inizi dell’Ottocento un caricatore di merci, soltanto per la presenza nelle vicinanze di un feudo di nome Murgo44.
Il Columba riteneva che un numero di navi così grande non poteva trovare
posto nella baia di Agnone, “se non allineandosi lungo la spiaggia a settentrione,
o dividendosi in piccole squadre per le rade vicine, come l’attuale Porto dei Turchi o la Bruca”. Allo scopo poteva servire anche la foce del Teria45.
Il S. Leonardo, ancora oggi in piccola parte navigabile, lo era certamente ancor
di più nell’antichità. Secondo lo Pseudo-Scilace (Per. 13), infatti, la navigazione lungo il Terias verso Leontinoi copriva una lunghezza di 20 stadi (circa 3,5 km). All’incirca alla distanza indicata dallo Pseudo Scilace, nella località detta Vuccafoggia si
apre un’ampia ansa del fiume, oggi interrata, che poteva fornire nell’antichità lo
spazio necessario per l’ancoraggio di una flotta consistente. Piccole imbarcazioni
potevano scaricare le mercanzie dalle navi che sostavano in questa località e da qui
risalire il corso del fiume e raggiungere la città antica, distante pochi km.
Naturalmente, l’ipotesi dell’esistenza del porto di Leontinoi presso la foce del
S. Leonardo, asserita con convinzione da studiosi locali ottimi conoscitori dei
luoghi46, va verificata attraverso indagini mirate, che diano la prova geologica e
archeologica della presenza di un’area portuale nel sito e dare, così, conferma alla notizia tramandata da Tucidide.
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42 Thuc., VI, 50, 3.
43 Columba 1906, p. 102.
44 Agnello 1935, p. 234 e note 1-4.
45 Ibid.
46 Cardillo 2010.
Tucidide e l’archaiologhìa di Leontinoi
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