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Il plauto di Ettore Romagnoli

2021, Ritmo, parole e musica: Ettore Romagnoli traduttore dei poeti. Atti del seminario di studi Rovereto, 9 aprile 2019, a cura di P. Salomoni, Rovereto 2021, 45-71

The classical scholar Ettore Romagnoli (1871-1938), well-known for his translations of Greek poems, also distinguished himself in Latin versions. Particularly, he translated Horace (“Letters”, 1928; “Satires”, 1929; “Odes”, 1933), the “Aulularia” and the “Miles gloriosus” by Plautus (1929) and “De bello civili” by Caesar (1931). All these works were issued in the “Collezione romana” series which he founded and directed, alias the “Romanorum scriptorum corpus Italicum” printed by the publisher Umberto Notari (Bologna 1878 - Perledo Varsina 1950). The series was inaugurated in 1926 and consisted of editions of Latin texts with italian translations. The numerous volumes were assigned to famous coeval intellectuals and meant to produce a collection designed to disseminate Classical culture, attempting – also with ideological goals – to claim Roman literature’s legacy to Italy, asserting its continuity with Italian language and literature. In this contribution, a detailed analysis of the translation of the “Miles gloriosus” by Romagnoli is provided. Such a translation was intended for the theatre performance that occurred in 1928 and was republished in the subsequent year after a textual revision based on the most recent critical editions. The translation, coherent with the general principles usually applied by Romagnoli, is marked by a high degree of originality and aims to ensure the full enjoyment of the work by the contemporary audience, with linguistic and lexical solutions trying to reproduce in Italian the expressiveness and the creative verve of Plautus. The contribution also gives account of the handwritten notes preserved in Romagnoli's copy of the 1928 translation preserved in the Civic Library of Rovereto.

Memorie Accademia Roveretana degli Agiati Ritmo, parole e musica: Ettore Romagnoli traduttore dei poeti Atti del seminario di studi Rovereto, 9 aprile 2019 a cura di Patricia Salomoni Scripta edizioni Memorie della Accademia Roveretana degli Agiati nuova serie, 7 Ritmo, parole e musica: Ettore Romagnoli traduttore dei poeti Atti del seminario di studi Rovereto, 9 aprile 2019 a cura di Patricia Salomoni Scripta edizioni Giorgio Piras Il Plauto di Ettore Romagnoli La raffinata arte della traduzione è stata esercitata da Ettore Romagnoli in diversi campi, oltre a quello dei poeti greci per cui è più noto1. Si cimentò infatti anche nella versione di alcuni autori latini, tanto che Luca Serianni ha potuto dedicare un suo saggio a Ettore Romagnoli latinista 2. Le traduzioni dal latino di Romagnoli, e non solo di poeti, apparvero principalmente nella “Collezione romana” da lui fondata e diretta, il Romanorum scriptorum corpus Italicum3. Si tratta di tutto Orazio, le Epistole nel 1928, le Satire nel 1929 (ristampate poi assieme a Bologna nel 1937 in una nuova versione) e le Odi nel 1933. Tradusse inoltre per la stessa collana anche due commedie di Plauto, l’Aulularia e il Miles gloriosus, nel 1929, e il De bello civili di Cesare nel 1931 (con la prefazione di Enrico Caviglia). Non si realizzò invece il progetto, annunciato nel piano dell’opera, di una sua traduzione di Lucrezio. La Collezione Romana fu pubblicata dal giornalista, editore e scrittore d’attualità Umberto Notari (Bologna 1878 - Perledo Varsina 1950), noto soprattutto per essere stato uno «straordinario organizzatore di cultura, vulcanico propugnatore di idee e progetti, capace di sfruttare le enormi potenzialità della propaganda»4. Notari aveva avuto un grande successo con il romanzo 1 Su Romagnoli si veda ora G. Piras, Romagnoli, Ettore, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXXXVIII, Roma 2017, pp. 189-194, con la bibliografia precedente. 2 L. Serianni, Ettore Romagnoli latinista, in Venuste noster. Scritti offerti a Leopoldo Gamberale, a cura di M. Passalacqua, M. De Nonno, A. M. Morelli, Hildesheim-Zürich-New York 2012, pp. 639-654. 3 Sulla collana cfr. soprattutto G. Traina, Tacito futurista: Marinetti traduttore della “Germania”, in Scrittori che traducono scrittori. Traduzioni ‘d’autore’ da classici latini e greci nella letteratura italiana del Novecento, a cura di E. Cavallini, Alessandria 2017, pp. 33-46. 4 M. Chiabrando, L’amico dei futuristi. Umberto Notari giornalista, editore e scrittore, «Charta. Antiquariato – Collezionismo – Mercato», CIV, luglio-agosto 2009, pp. 38-43 (a p. 38). Su 46 Giorgio Piras “scandaloso” Quelle signore (processato per oscenità nel 1906)5 e fu vicino al movimento futurista, in particolare a Filippo Tommaso Marinetti che gli dedicò anche una biografia6. Tra le varie imprese di Notari va annoverato il settimanale illustrato Avvenimenti (1915-1917), a cui Ettore Romagnoli collaborò in pieno clima bellico con alcuni articoli che furono poi ripubblicati nel suo libro di battaglia più celebre, Minerva e lo scimmione (1917), il libro che gli diede la fama tra il grande pubblico e ne fece uno dei protagonisti del dibattito culturale italiano. Da ricordare anche il quotidiano L’Ambrosiano (1922-1944), che cercò di contrastare il dominio del Corriere della Sera, e a cui anche collaborò con una certa assiduità Romagnoli, in particolare con articoli di critica teatrale, raccolti poi nei suoi tre volumi di In platea (Bologna 1924-1926). Nel 1904 Notari aveva fondato a Villasanta, vicino a Monza, lo stabilimento tipografico Società Anonima Notari; a lui si deve anche la casa editrice Istituto Editoriale Italiano, fondata nel 1911 e ceduta nel 1943. Tra i collaboratori delle imprese di Notari vi fu anche Duilio Cambellotti, il celebre illustratore che in molte occasioni si occupò dell’apparato grafico dei libri di Romagnoli, così anche dei costumi e delle scenografie delle rappresentazioni teatrali di Siracusa e contribuì anche ai libri di cui discutiamo. La Collezione Romana prevedeva traduzioni prosastiche affiancate ai testi latini e nasceva decisamente con grandi ambizioni. All’iniziativa aveva fatto riferimento lo stesso Mussolini in occasione del Natale di Roma del 19267 e i primi volumi uscirono già in quell’anno. Dei cento titoli programmati solo sessantuno furono effettivamente editi tra 1926 e 1934, mentre i rimanenti furono soltanto annunciati, ma mai portati alle stampe. La serie fu inaugurata dal Panegirico di Plinio tradotto nel 1926 dal senatore giolittiano Emilio Faelli (Parma 1866 - Bra 1941, certamente non vicino al fascismo; fig. 1) e vide all’opera una serie ampia e assai variegata di traduttori, la maggior parte non specialisti, spesso famosi scrittori o uomini di cultura e anche uomini politici, in gran parte vicini a Romagnoli. Tra i tanti si posi- Umberto Notari cfr. B. Wanrooij, Umberto Notari, o dell’ambigua modernità, «Belfagor», XLIV, 1989, pp. 181-193; U. Piscopo, Notari Umberto, in Il dizionario del futurismo, a cura di E. Godoli, Firenze 2001, pp. 794-796 («uno dei grandi seduttori dell’Italia del primo Novecento», p. 794); P. Caccia, Editori a Milano (1900-1945). Repertorio, Milano 2013, p. 230. 5 U. Notari, Quelle signore (Scene di una grande città moderna), II edizione, Milano 1908 (I edizione 1904). 6 Notari scrittore nuovo, Villasanta 1936, p. 58: «io addito questo grande scrittore non soltanto come un grande italiano, ma come un magnifico collaboratore di tutte le forze che hanno ricostruito l’Italia e preparato il Fascismo». 7 Traina 2017, cit., p. 34, riprendendo una notizia de L’Italia che scrive. Il Plauto di Ettore Romagnoli 47 1. C. Plinii Caecilii Secundi Panegyricus Traiano dictus - Plinio il Giovane, Panegirico di Traiano, versione di E. Faelli, Villasanta 1926, frontespizio. Roma, Biblioteca Universitaria Alessandrina, 217.A.33. sono citare Massimo Bontempelli (Metamorfosi di Apuleio, 1928), Ugo Fleres (Catullo, 1927 e Vitruvio, 1933), Eugenio Giovannetti (Cicerone, De re publica, 1928; Tusculanae, 2 voll., 1928; De oratore, 2 voll., 1931-1932; Epistolario, 10 voll., 1927-1928; Orazioni, 2 voll., 1928; Petronio, 1930), Alberto De Stefani (Cornelio Nepote, 1928), Filippo Tommaso Marinetti (Tacito, Germania, 1928)8, Emilio Bodrero (Livio, 4 voll., 1928), Enrico Corradini (Sallustio, La congiura di Catilina, 1928). Solo programmate rimasero le traduzioni di Goffredo Bellonci (Boezio e Cassiodoro), Alfredo Rocco (Cicerone, De legibus), Pietro Fedele (Ottavio di Minucio Felice e Annales di Tacito), Quirino Giglioli (Plinio il Giovane, Lettere), Luigi Federzoni (Sallustio, Iugurtha), Massimo Bontempelli (Quintiliano), Ugo Cavallero (Vegezio). La scelta dei curatori, oltre a rispecchiare l’ambito politico e culturale di riferimento di Romagnoli e Notari, è anche il risultato dell’ambizione di cre8 Ivi, p. 35: Gramsci con sarcasmo allude a questa traduzione in una lettera dal carcere. 48 Giorgio Piras are una collana ampiamente diffusa. Un’attenzione particolare è rivolta alla qualità della traduzione, che doveva essere non solo corretta, ma rendere pienamente fruibile il testo ad un lettore colto contemporaneo, secondo riflessioni che Romagnoli aveva già fatto in più occasioni, pubblicamente almeno dal celebre intervento del 1911 al IV Convegno della Società italiana per la diffusione e l’incoraggiamento degli studi classici «Atene e Roma», intitolato in maniera significativa La diffusione degli studi classici 9. Indubbiamente l’operazione ebbe un certo successo, amplificato nella stampa coeva, e ottenne i complimenti pubblici di uomini politici e ministri. Il futurista Paolo Buzzi, che per la Collezione Romana tradusse il De re coquinaria di Apicio, così scrive su «Il giornale di Genova»: «il nome di Ettore Romagnoli è garanzia dottrinale ed estetica dell’ardua, incomparabile impresa. Difficile trovare, nel mondo dei dotti, un temperamento più geniale, più spregiudicato, più antiaccademico, più moderno o – meglio a dirittura – più novecento di Ettore Romagnoli. Quest’uomo delizioso, che sembra cresciuto fra la bottega di Plauto e gli orti del Belli, trasteverino ed ateniese insieme, signore dei due più illustri idiomi della terra e della Storia, scrittore italico dalle forbitezze di tutte le rinascenze, musicista distinto e di penetrazione, régisseur di spettacoli classici in faccia alle meraviglie della natura: insegnante più dal tufo fiammeggiante delle cose che dal legno tarlato della cattedra: amico dei giovani e difensore dei futuristi: Ettore Romagnoli, insomma, non poteva che essere il vivificatore di tutta questa grandezza nazionale mandata un po’ agli archivi per colpa degli antichi metodi d’insegnamento e di traduzione»10. Nel manifesto introduttivo, che compare anonimo in tutti i volumi (riprodotto in Appendice), scritto secondo idee e terminologia romagnoliana, si rivendica all’Italia l’eredità della letteratura di Roma antica, universale nei valori ma da cui discendono gli attuali italiani senza soluzione di continuità, e si sostiene la piena prosecuzione della lingua e letteratura latina nella lingua e letteratura italiana: «La letteratura latina ha carattere universale: essa ha offerto modelli ed impulsi spirituali a tutto il mondo civile. Di qui la sensazione che sia come un possesso di tutte le genti: sensazione diffusa e falsa. La terra diviene di pubblico dominio solo quando mancano eredi; ma gli eredi legittimi dei Latini sono ben vivi: siamo noi Italiani: la letteratura latina è patrimonio nostro». Come già in altri scritti Romagnoli difende infatti, con 9 «Acropoli», aprile 1911, pp. 309-333, rist. in Vigilie italiche, Milano 1917, pp. 65-140, e in Lo scimmione in Italia, Bologna 1919, pp. 177-229. 10 «Il Giornale di Genova», 25 febbraio 1928. Il Plauto di Ettore Romagnoli 49 toni certamente anche nazionalistici, la continuità tra romanità e italianità dal punto di vista culturale: designare la letteratura dei Romani «com’è uso tradizionale, col nome di “latina” implica e suggerisce un equivoco… fra il mondo latino e l’italiano non c’è soluzione di continuità; e la letteratura latina è in realtà la prima luminosa giornata della letteratura italiana». È un “patrimonio nostro”, vivo e attivo, che però non è accessibile a tutti, vista la difficoltà della lingua: «la lingua latina… non è se non la prima fase della lingua italiana; ma il corso dei secoli l’ha trasformata in guisa, che gl’Italiani d’oggi non riescono più ad intendere la loro lingua di venticinque secoli fa». Di qui il bisogno di traduzioni, ma di traduzioni adeguate alla “sensibilità moderna”: «renderla accessibile non può significare se non tradurla. E tradurla vuol dire, oggi, non solo renderla meccanicamente intelligibile, bensì farne la fedele trasposizione nella sensibilità moderna. Impossibile, dunque, giovarsi delle antiche versioni, che nei migliori casi – rarissimi – effettuarono tale trasposizione verso sensibilità di tempi trascorsi, e oggi vertiginosamente allontanati dall’incalzare fulmineo della vita moderna. Occorrono trasposizioni moderne». Per far questo i volumi della Collezione Romana sono curati da scrittori, capaci pienamente di comunicare alla sensibilità contemporanea, «che nel cimento della viva letteratura hanno appunto appreso l’arte di parlare agli animi moderni». Interessante che il progetto comprenda anche opere frammentarie, di cui si riconosce l’importanza per la letteratura latina: «Insieme con le opere integre si offrono anche quelle frammentarie, che anch’esse hanno tanta importanza nella generale configurazione della letteratura latina. Si vedono così concretarsi, e prendere consistenza e forma autori che adesso, anche per le persone di molta cultura, non sono altro che mèri nomi, sia pur gloriosissimi: Ennio, per esempio, Cecilio, Lucilio, Laberio, Novio, Pomponio». Questa parte del progetto non ebbe però seguito: di questi importanti autori frammentari nessuno fu poi effettivamente pubblicato e, nei vari prospetti della collana esistenti, i loro nomi sono sì presenti, ma mai in associazione a possibili curatori, a testimonianza dello stato embrionale dell’idea. Si vogliono fornire testi latini affidabili, anche se questo obiettivo sarà raggiunto solo parzialmente, per una certa debolezza filologica dei curatori, che appunto non erano antichisti in senso stretto. A fronte di testi integrali, senza censure, si hanno scarne notizie sulla biografia degli autori e solo poche note esplicative, conformemente all’intento di concentrare il lettore sulla fruizione diretta del testo, mediata solo dalla traduzione d’autore. Come introduzione valgono le prefazioni, di valore diseguale, che i curatori premettevano alle traduzioni. 50 Giorgio Piras Il fine è quello di rendere disponibile «in edizioni accessibili e maneggevoli, quel corpus italiano di scrittori latini, tante volte auspicato ed invocato, e sempre con sì poco effetto», anche questo un tema su cui Romagnoli aveva discusso in più occasioni (e molto se ne era parlato tra i classicisti, in particolare intorno agli anni ’10 del Novecento). Il taglio nazionalistico è indubbio. La conoscenza diretta dei testi latini deve contribuire a sfatare il pregiudizio nei confronti della letteratura latina (si sentono echi di polemica antigermanica): «Oltre ai benefici influssi e agl’impulsi ideali, la diffusa conoscenza degli autori latini servirà a distruggere una quantità di calunniosi pregiudizi che per opera di maligni e di saccenti si sono andati accumulando intorno alla letteratura latina, e che si accordano nel dichiararla poco originale e poco profonda, più di forma che di sostanza. La diretta e precisa conoscenza convincerà ogni spirito libero che la letteratura latina non è soltanto la più eloquente e la più speciosa, bensì una delle più originali e profonde fra quante mai ne fiorirono al mondo». Si tratta in sostanza di un “programma di italianità assoluta”: «Il nome scelto per la Collezione è di per sé un programma. Programma d’italianità assoluta, che va dalla scelta del direttore e dei traduttori, alla veste dei volumi, che non arieggeranno in nulla veruna delle consimili collezioni straniere». L’italianità è ben evidente sin dalla veste grafica, affidata a Duilio Cambellotti, collaboratore di Romagnoli già da tempo. In particolare nelle controguardie della serie campeggiava un’aquila imperiale affiancata da fasci littori (un’aquila si trovava anche sulla rilegatura), con la caratteristica ‘firma’ di Cambellotti, una spiga con accanto le lettere “DC” di forma quasi circolare che si affacciano dai fasci, firma messa in evidenza grazie al contrasto coloristico (fig. 2). Prima del “manifesto” (p. viii) si menzionano nelle edizioni i vari collaboratori della collana. Tra i revisori compaiono Luigi Filippi, traduttore per la serie di alcune orazioni ciceroniane11, forse da identificare con il roveretano biografo di Pascoli che raccolse gli scritti di Cesare Battisti12 e fondò a Milano la piccola casa editrice «Volturno»13. Troviamo all’opera anche Sergio Giliber11 Per il comando di Pompeo, La legge agraria, Le provincie consolari, Contro Pisone, Per Marcello (1929); Orazioni sulla legge agraria (1930). 12 Rispettivamente La vita e le opere di Giovanni Pascoli, Livorno 1915 e Nella terra di Battisti, Ferrara 1919, quest’ultimo dal chiaro intento irredentista, dedicato «Alla sacra memoria di Cesare Battisti la cui grande ombra penzola ancora invendicata lassù» (il volume è finito di stampare il 30 settembre 1918). Tradusse anche Il giardino di Epicuro di Anatole France per la Notari nel 1929. 13 Nato a Rovereto nel 1888 e morto a Milano nel 1964, studiò a Firenze, insegnò nella scuola media ed ebbe anche una certa produzione letteraria. Fu nominato socio corrispondente dell’Accademia degli Agiati nel 1926. Il Plauto di Ettore Romagnoli 51 2. Collezione Romana, antiporta in latino e italiano. Roma, Biblioteca Universitaria Alessandrina, 217.A.49. ti, Marino Venturi14 e il sacerdote Carlo Vitali, traduttore tra l’altro anche di Livio e delle Confessioni di S. Agostino15. Come si è visto Romagnoli curò in prima persona per la Collezione tutto Orazio, il De bello civili di Cesare e due commedie di Plauto, l’Aulularia e il Miles gloriosus stampate assieme nel 1929 (fig. 3)16. La veste grafica che accompagna i titoli delle singole opere è costante in tutti i volumi della Collezione Romana: nel frontespizio troviamo ancora fasci come nell’antiporta, ma affiancati ad allori, un seggio curule, con rotoli di papiro e lira. Lo sovrasta una piccola lupa che allatta i gemelli, del tipo assai diffuso con la testa rivolta verso di loro (diverso quindi dalla celebre scultura del Campidoglio). Il disegno è sempre di Cambellotti, con la spiga e le iniziali poste tra la base 14 Un maestro riformista, autore anche di L’Insegnamento sessuale. Sua pratica attuazione nelle scuole, Firenze 1913. 15 Rispettivamente Bologna 1965-1968 e Milano 1958. 16 Plauti comoediae. Aulularia, Miles gloriosus - Commedie di Plauto. La pentola, Il capitano spaccone, versione di E. Romagnoli, I, Villasanta 1929. 52 Giorgio Piras 3. Plauti Comoediae. Aulularia - Miles gloriosus - Commedie di Plauto. La pentola - Il capitano spaccone, versione di E. Romagnoli (volume primo), Villasanta 1929, frontespizio. Roma, Biblioteca Universitaria Alessandrina, 217.A.49. del seggio e il fascio di destra. Questo era destinato a essere il primo volume dedicato a Plauto, ma rimase in realtà l’unico. Nella prefazione (pp. xv-xli) Romagnoli si sofferma sull’arte plautina e ribadisce i criteri seguiti nella sua traduzione. Di fronte ai giudizi discordi degli antichi sul valore di Plauto, per Romagnoli è necessario che ci si formi una propria idea per mezzo della lettura diretta del testo, secondo lo spirito che informa – come si è visto – l’idea stessa della Collezione, ma anche tutta la sua pratica traduttiva. Certo nel teatro di Plauto non c’è troppa varietà: «i soggetti e i caratteri, elementi essenziali, sono, su per giù, sempre i medesimi… anche se ad una prima lettura sembra che ogni commedia abbia una fisionomia propria, dopo breve tempo i singoli contorni sfumano e si perdono entro una nebbia uniforme» (p. xix). Ben diversi sono però i caratteri rispetto alla commedia greca, o meglio i tipi, se non le maschere («per carattere s’intende la trasposizione, nel clima dell’arte, d’una figura direttamente Il Plauto di Ettore Romagnoli 53 osservata nella vita», ibidem). In Plauto compaiono sempre le stesse figure, che mantengono inalterato da commedia a commedia profilo, linguaggio, costume e maschera, descritti da Romagnoli con una certa finezza. Troviamo il “giovanotto”, innamorato e in cerca di denaro, il “servo furbo” («un altro piatto forte di queste comiche imbandigioni… la sua intelligenza è superiore a quella di tutti gli altri personaggi, ed egli domina sostanzialmente ogni situazione», p. xx), il “vecchio genitore”, per lo più severo e tirchio, ma talvolta scapestrato anch’egli e rivale del figlio. La “ragazza”, il perno attorno al quale ruota tutto, è una «cortigianella spudorata» o «una brava ragazza perseguitata dal destino»: «non è, no, l’ingenua, la Rosaura della commedia moderna; ma s’avvicina a Margherita Gauthier», non la figlia di Pantalone della commedia dell’arte perciò, ma la protagonista della Signora delle Camelie di Dumas (p. xxi). Si aggiungono poi personaggi minori: la consigliera della ragazza, il parassita, il fanfarone, il cuoco, il medico ciarlatano. Ma non mancano rovesciamenti dei tipi consueti, come ad esempio il vecchio Periclomeno del Miles gloriosus. I caratteri sono appena sbozzati, spesso incoerenti, forse già del resto nei modelli greci, ma la capacità di osservazione e la vivacità comica sono notevoli. L’intreccio è sempre in sostanza lo stesso, con un repertorio di motivi comici ricorrenti, un po’ come nella commedia dell’arte, a prescindere anche dalla coerenza. Centrale è la beffa, ordita anche per puro capriccio (p. xxxii), in una sorta di “pulcinellismo” esasperato. La verisimiglianza non è un fine del commediografo ed è frequente la «infrazione all’illusione comica» (p. xxxiii). Nel teatro plautino secondo Romagnoli si trova la vita: il suo non è teatro originale nel senso moderno, ma i modelli greci erano per lui una sorta di disegno schematico, un telaio. I dialoghi li traeva dalla concreta vita romana, quella del foro, delle strade, dei bordelli: «così avviene che noi sentiamo per tutto il suo teatro il cicaleccio continuo del popolo romano del suo tempo. Cioè tutta Roma… la Roma di tutti i giorni, degli omuncoli e delle donnicciuole, che somigliavano maledettamente, e non c’è da farne meraviglia, agli omuncoli e alle donnicciuole di tutti i tempi. E dunque, anche dei nostri» (p. xxxviii). Certo il cicaleccio da solo non basta, ma è la sua qualità che conta. Plauto cercava la letteratura sulle labbra del popolo: e il miele raccolto “a casaccio” sui campi può essere più illustre di quello dei più raffinati poeti alessandrini. Lo paragona a Aristofane, Rabelais, Belli (p. xxxix). Il suo è teatro essenzialmente di stile e, pur essendo un traduttore, risulta paradossalmente uno degli autori più originali della letteratura latina (ibidem). Il quadro è abbastanza vicino a quello prevalente nella critica di Plauto, ma la prefazione è interessante perché («contro il mio solito», p. xxxix) ci fornisce 54 Giorgio Piras qualche notizia preziosa sui criteri seguiti nella traduzione e sul contesto da cui è nata. Romagnoli ricorda che il Miles era stato rappresentato a Taormina. Si tratta certamente della rappresentazione avvenuta nel maggio del 1928 con la direzione artistica dello stesso Romagnoli, i costumi di Cambellotti e la compagnia di Gualtiero Tumiati (1876-1971), il celebre attore che aveva interpretato Agamennone nello spettacolo che inaugurò la ripresa delle rappresentazioni classiche a Siracusa nel ’14 e aveva recitato anche in altri spettacoli siracusani su testi e con la direzione artistica di Romagnoli. Nel ’28, assieme al Miles gloriosus, sempre con la direzione artistica di Romagnoli, era stato rappresentato anche il Giulio Cesare di Enrico Corradini, che peraltro si è visto tradusse per la collezione romana la Congiura di Catilina di Sallustio proprio nel 1928, ed era tra i nazionalisti più attenti al mito di Roma17. Nella prefazione al volume della Collezione Romana Romagnoli ci tiene particolarmente a giustificare la sua resa dei nomi dei personaggi della commedia, non italianizzando gli originali latini, ma creando piuttosto veri e propri equivalenti italiani. E questo vale a partire dal titolo stesso: Miles gloriosus viene tradotto infatti “Capitano spaccone”. Qualcuno aveva sollevato dubbi dopo la rappresentazione di Taormina sulla resa di miles con “capitano”: «qualche sapientone mi fece osservare che miles in latino vuol dire soldato, e non già capitano. Assai lo ringrazio dell’ammaestramento, saturo d’arcana dottrina etimologica» (p. xl); ma Romagnoli ribatte che «lo spaccone, in Italia è, per diritto di nascita, capitano; e dire “soldato spaccone” è quasi quanto dir nulla» (ibidem). Per una traduzione efficace è necessario rendere anche i nomi dei personaggi in maniera pregnante: Pirgopolinice non ha alcun significato per chi non sa il greco e renderlo in tal modo significa non rispettare la reale volontà dell’autore, che contava invece sull’impatto che aveva questo nome sul suo pubblico, per il quale la etimologia greca doveva essere immediatamente evidente. Così il plautino Pyrgopolynices, lett. ‘eversore di torri e di città’, viene reso da Romagnoli con “Scavezzalarocca”, che peraltro nel pubblico romano coevo poteva evocare la maschera comica romanesca di “Mannaggia la Rocca”18. Artotrogo, il parassita ‘roditore di pane’, che compare nella scena iniziale, diviene “Strozzapagnotte”. Il protagonista, il servo del soldato Palestrione, viene tradotto “Forzanello”, Periplecòmeno, il vecchio compiacente, da periplècomai, viene interpretato come ‘raggiratore’ e quindi “Rigiramìno” (ma propriamente è colui che abbraccia). Sceledro è il 17 Su di lui cfr. F. Gaeta, Corradini, Enrico, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXIX, Roma 1983, pp. 342-349. 18 Sul personaggio cfr. Enciclopedia di Roma, a cura di C. Rendina, Roma 2005, p. 691. Il Plauto di Ettore Romagnoli 55 servo stupido, di incerta etimologia: Romagnoli lo traduce “Ciancaribella”, un altro personaggio del mondo teatrale romanesco della sua epoca (spalla del cantastorie Sor Capanna). Filocomasio, la meretrice, ‘amante dei kòmoi’ (‘banchetti’), è “Pranzolina”; Pleusicle, il suo giovane innamorato che porterà infine per mare l’amata, da plèo ‘navigare’, è “Vogasodo”. Lo schiavetto Lucrio (da alcuni corretto in Lurcio) è tradotto “Buschino”. La meretrice Acroteleuzio è “Cimafina”, la sua ancella Milfidippa “Lippicella”, Cario (probabilmente in Plauto da intendere ‘della Caria’) “Nòcciola”. I nomi sono quindi concepiti da Romagnoli per poter evocare immediatamente al suo pubblico personaggi caratterizzati, a prescindere dalla aderenza all’originale plautino e al di là di qualsiasi scrupolo etimologico. Nulla viene detto nella prefazione a proposito del testo latino stampato, come del resto avviene solitamente nelle edizioni della Collezione Romana. Questo non significa però che il testo non sia l’esito di una valutazione ponderata e per certi versi originale. Romagnoli ha tenuto conto delle principali e più recenti edizioni critiche di Plauto. Egli si basa in particolare sull’edizione corrente più autorevole, quella di Goetz e Schoell del 189619, esito finale del lavoro critico attorno alle commedie di Plauto di Friedrich Ritschl, modificata quanto possibile – soprattutto ai fini della leggibilità – con il testo dell’edizione commentata di Enrico Cocchia del 189320. In alcuni casi segue il testo del rappresentante della filologia tedesca per eccellenza, Friedrich Leo21, e dell’edizione oxoniense di Lindsay22. Non è azzardato osservare come tale comportamento mostri una certa attenzione per l’aspetto critico-testuale e una considerazione per la filologia tedesca che si allontana nella pratica da certe celebri dichiarazioni “antifilologiche” o “antigermaniche” avanzate da Romagnoli in sedi e contesti polemici ben diversi. Nella prefazione non viene detto che il testo della traduzione utilizzata per lo spettacolo di Taormina del 1928 era stato pubblicato nello stesso anno dalle Edizioni d’Arte D’Anna di Messina (fig. 4)23. Cambellotti aveva collaT. Macci Plauti Comoediae, ex recensione G. Goetz et Fr. Schoell, IV, Lipsiae 1896. M. Acci Plauti Miles gloriosus, edizione critica con introduzione e commento di E. Cocchia, Torino 1893. Come Cocchia, alquanto personale nelle scelte, accoglie p. es. la congettura fartum (8) e poi 65 illo, 657 tui… valent, 1333 sg. attribuiti a Pleusicle (ma non nella traduzione), 1344 salvos sum. 21 Plauti Comoediae, recensuit et emendavit Fr. Leo, II, Berolini 1896. P. es.: 609 ultumam est, 799-799a ne me surdum esse arbitrare, si audes. Ergo recte meis auribus utor * Pal. *, 1274 sed quid ‹illa› volt me facere?, 1319 impietas sit. 22 T. Macci Plauti Comoediae, recognovit brevique adnotatione critica instruxit W. M. Lindsay, II, Oxford 1905. P. es.: 1006 tum haec celocla autem illa apsente (celocula… absente R.), 1023 pedetemptim (tu haec scis) tractare soles hasce huiius (huius R.) modi mercis; 1255 de olefactu. 23 Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928 (rist. an. ibid. 1988, 19 20 56 Giorgio Piras 4. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928. Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli. borato anche a quel volume, con il disegno della copertina e delle illustrazioni tra un atto e l’altro, tutte firmate (figg. 5-9). Tale traduzione è ripresa nella edizione della Collezione Romana del ’29, con l’aggiunta del testo latino, ma – come si vedrà più avanti – presenta modifiche in più punti. La versione è accompagnata da sintetiche indicazioni sceniche (secondo una consuetudine diffusa nelle traduzioni non scientifiche dei testi teatrali antichi), come ad es. all’inizio della commedia: «Entra Scavezzalarocca, seguito dal parasita Strozzapagnotte e da un codazzo di soldatacci: dopo parecchie evoluzioni, si ferma». Solo nella traduzione per Taormina le scene sono anche numerate, mentre nel testo latino del ’29, come consueto nelle edizioni plautine moderne, il cambio di scena è indicato semplicemente dall’elenco dei personaggi che parleranno di seguito. Solamente i versi latini sono numerati e a tale numerazione ci riferiamo quando necessario. per celebrare i sessant’anni di uno dei primi libri stampati dalle Edizioni d’Arte D’Anna di Messina). Il Plauto di Ettore Romagnoli 57 5. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, illustrazioni del I atto. Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli. 6. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, illustrazioni del II atto. Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli. 7. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, illustrazioni del III atto. Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli. 58 Giorgio Piras 8. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, illustrazioni del IV atto. Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli. 9. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, illustrazioni del V atto. Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli. L’originale latino è tradotto in maniera abbastanza fedele, compatibilmente con l’intenzione di rendere in buon italiano il testo plautino: la traduzione letterale è infatti per Romagnoli un’«esercitazione per principianti» che fa credere che gli autori tradotti «siano quando oscuri, quando incomprensibili, quando dissennati» (p. xli). L’inizio, identico tra le due versioni, è piuttosto roboante: «sfolgori un vampo» (1 sg.), «abbacini la pupilla» (5 sg.), «imperocché» (6), «brando» (7), «accidia» (9), «agogna» (10). Si usano termini del linguaggio italiano alto, epicheggiante, con evidente intenzione di rendere efficacemente la descrizione plautina del miles nella scena di esordio. Lo stesso linguaggio usa il parassita per deridere il soldato: «nerboruto e prode» (10, fortem et fortuna- Il Plauto di Ettore Romagnoli 59 tum in Plauto). Le fantasiose creazioni onomastiche plautine Bumbomachides e Clutomestoridysarchides (14) sono rese con formazioni italiane che dovevano suonare altrettanto comiche, “Schiamazzalazuffa” e “Trionfabuscarle” (“Trionfabatoste” nella traduzione del ’28). Lo stesso tono sarcasticamente solenne si ritroverà nel dialogo tra Scavezzalarocca e Forzanello all’inizio del IV atto con espressioni come «favella» (954, 978, e poi 1008 «favellarle»), «specula intorno» (955, circumspicedum), «uccellatore delle nostre parole», «imperocché» (956), «codesto» «donde» «dama» (958), «agogna» (959), «con ciò sia cosa che» (966), «pronunciar menzogna» (967), «beltà» «affè d’Ercole» (968; anche 972, 1004, cfr. 988 «affè di Polluce»), «esecra», (970), «brama» (972, 1037), «concupisce» (973), «veruna menzione» (993). Un’altra caratteristica peculiare della traduzione della scena iniziale è che si tratta di endecasillabi sciolti. Sono frequenti sin dal principio gli endecasillabi sdruccioli, tradizionalmente ritenuti come particolarmente adatti a rendere il senario giambico24. Il primo verso finisce infatti con “sfolgori” che dà quindi subito alla traduzione l’impressione del ritmo giambico25. In endecasillabi risponde anche il parassita Strozzapagnotte, che in tutta la scena prenderà in giro la vanagloria del soldato. Ma solo questo primo atto, sia nella versione del ’28 che in quella del ’29, è in versi. Il resto della traduzione è in prosa. Difficile dire quali siano state le motivazioni di tale scelta, anche se va notato che sono prosastiche le traduzioni destinate alla Collezione Romana. Anche l’Orazio tradotto da Romagnoli è in prosa ed è significativo che la nuova traduzione delle Satire e delle Epistole stampata nel 1937 per la Zanichelli sia invece in versi italiani, secondo una pratica per lui molto più comune. Tendenzialmente Romagnoli non stravolge il testo di Plauto. Talvolta però lo arricchisce con elementi che mostrano le sue capacità linguistico-espressive, sempre con l’intento di rispettare la volontà comunicativa e comica dell’autore. In generale la resa in italiano è abbastanza letterale, ma laddove serva Romagnoli non esita a discostarsi dal testo latino. Già al principio, anche per esigenze metriche, quella che in latino è una comparazione (splendor meo sit clupeo clarior, quam…) è tradotta con «il mio scudo sfolgori un vampo tal, quale… » (1 sg.). Oppure il semplice dimostrativo hunc (310), riferito a se stesso da Sceledro, è tradotto «a cominciare dal figlio di mio padre». Una 24 Cfr. E. Romagnoli, Il verso, «Atene & Roma», XI, 1908, pp. 141-183: 180: «dal trimetro giambico si forma l’endecasillabo sdrucciolo». Per la norma che vede l’endecasillabo di dodici sillabe se sdrucciolo e di dieci se tronco cfr. G. Berengo, Della versificazione italiana, I, Venezia 1854, pp. 696 sg. 25 Si noti che Cocchia traduceva «abbagli», che avrebbe reso il ritmo piano. 60 Giorgio Piras necessità fondamentale è infatti quella della comprensibilità e della efficacia sul suo pubblico, anche quando ci si deve allontanare in maniera più o meno consistente dall’originale, per lo più in direzione di una lingua comica colloquiale. Tra i molti esempi possibili: la salsa epityrum (24) è tradotta «ulive in salamoia»; moechus è «cacciator di gonnelle» «cacciagonnelle» (775, 1131, 1390 etc.); hodie (1030) «prima che annotti»; regnum in caelo (1083) «regno dei cieli»; caeca amorest (‘è ceca per amore’ 1259) «perché amore l’acceca»; hercle (1396) «per amore d’Ercole»; si harunc Baccharum es (‘se sei di queste Baccanti’ 1016), inteso come metafora dell’appartenenza a coloro che stanno complottando contro il soldato, diviene «se sei della lega»; talentum Philippi… auri (‘un talento di Filippi d’oro’ 1061) «cinquemilacinquecentocinquantacinque piastre d’oro» («cinquemilacentocinquantasei lire d’oro» nella versione del 1928); meri bellatores (1077) «fulmini di guerra»; ut tu inclutu’s apud mulieres (1227) «tu sei proprio benedetto fra le donne!»; mulier profecto natast ex ipsa Mora (1292) «chi disse donna disse ritardo»; propalam fiat nimis (‘diventi troppo chiaro’ 1348) «la facciano troppo sporca»; ubi lubet (1407) «fallo anche subito»; fio miser (1337) «oggi mi tocca il malanno»; per epistulam (1225) «con una supplica»; animus… defit (1261) «l’animo mi svapora»; quemvis (1322) «chi ti bazzica»; operae non parcam meae (1380) «non farò economia di gambe»; patiar (1227) «pigliamola in santa pace»; oratio alio mihi demutandast mea (1291) «qui bisogna cambiar musica». Un caso interessante è rappresentato dal v. 648, Ephesi sum natus, noenum in Apulis, noenum Animulae (sconosciuta città della Puglia): nella traduzione del 1928 diviene «sono nato ad Efeso, e non in Puglia e non a Carropèpe», con riferimento a Valguanera Carropepe (EN), che poteva suonare bene per il pubblico siciliano come città dal nome buffo. Nella traduzione della Collezione Romana è poi trasformato in «sono nato ad Efeso, e non in Puglia e non a Roccacannuccia», che doveva risultare più famigliare nell’Italia centrale26. Un espediente stilistico abbastanza utilizzato è quello della reduplicazione o amplificazione espressiva: iam non possum (1360) «non posso, non posso»; dum lubitumst mihi (1221) «finché m’è parso e piaciuto («mi è p. e p.» 1928)»; quod ego hic hodie vapularim (1415) «per le busse che oggi avrò ricevute o riceverò» (con ripresa di 1412); pictura (1189) «il quadro come tu lo dipingi («il quadro come lo dipingi» 1928)»; tuomst principium (1219) «sta a te, attacca»; ut ipsa se contemnit (1236) «sentila, come si butta giù»; hariolatur (1256) «ma che odore, ma che naso!»; armati (1273) «coperti d’arme da capo a piedi». 26 Cfr. Serianni 2012, cit., pp. 645 sg. Il Plauto di Ettore Romagnoli 61 Frequente è il ricorso a modi di dire e locuzioni del parlare comune, inclusi diminutivi e vezzeggiativi, che dànno un quadro interessante e vivo della lingua d’uso medio-alto del tempo27. 53 «se la spada non ti faceva cilecca», 70 «cucito sempre alle gonnelle loro», 92 «è la favola di tutti», 184 «andiamo a far compagnia alle croci», 185b «non si diparta un ette» (‘un nulla’), 242 «rifischiare», 248 «una trappola da professore» (cfr. 907 «tiro… da professore»), 250 «scavizzolare» (‘cercare dappertutto’), 324 «mi pigli pel bavero» (anche 467), 443 «citrulla», 461 «ne faccio carne da salsiccia», 471 «una gran brutta gatta a pelare», 473 «m’entra addosso una gran tremarella», 495 «hai scorbacchiata» (da corvo, corbacchio, ‘deridere’, anche 1161), 538 «menar pel naso», 576 «m’ha pasciuto d’erba trastulla» (‘illudere’), 627 «ti pare che io sia già con la bocca alla fossa», 632 «(indole) tirata a fil di squadra», 649 «che boccetto spassoso» (‘vecchietto’ in romanesco), 661 «un ragazzetto», 665 «più blandicelletto d’uno zefirettino», 668 «zànzero» (‘compagno di baldoria’)28, 673 «quattrini buttati», 675 «chi ha sale in zucca», 715 «tirano il ròccolo alla mia sostanza» (il roccolo è l’‘appostamento per la cattura di uccelli’), 742 «non venga in uggia», 747 «legar l’asino dove vuole il padrone», 751 «discorso fritto e rifritto», 755 «sei uscito pazzo», 757 «per filo e per segno. Che pozzo di scienza, che cervello fino!», 768 «fare il pelo e il contropelo», 789 e 872 «sgualdrinella», 802 «mariti da far becchi», 814 «ganza», 833 «hai trincato», 847 «fa’ cuore», 890 «scorda le cose dal naso alla bocca», 895 «il più conosce il meno» (ritorsione di un’accusa, tipo ‘senti chi parla’), 905 «non ci ho messo né sale né pepe», 908 «far le viste», 927 «non t’impacci d’altro», 979 «in quattro e quattr’otto», 984 «vai cercando il pelo nell’uovo», 989 «cutrettolaccia», 1003 «vezzosa», 1004 «piaciucchiare», 1006 «staffettinetta», 1007 «incapricciare», 1015 «fedelone», 1029 «tira il laccio», 1040 sg. «altre dimolte hanno il medesimo uzzolo, e non se lo posson cavare», 1044 «corvaccio», 1050 «non tenga a vile», 1071 «questa donnetta non è una rapa», 1080 «dicevo una panzana», 1098 e 1200 «d’amore e d’accordo», 1106 «un bel tocco di ragazza» e 1111 «un bel tocco di giovincello» «fammi il piacere», 1133 «servottina», 1141 «che chiacchiera si rimpasta questa briccona», 1153 «non si caverà un ragno da un buco», 1154 «gherminelle», 27 Cfr. ivi, p. 644: «non c’è dubbio che la bussola della navigazione tra le due lingue porti Romagnoli verso un risultato fortemente sbilanciato dalla parte del ricevente, col proposito di avvicinare il più possibile il lettore del XX secolo al testo antico». 28 La traduzione di 666-668 è anticipata dopo il v. 654 sulla scorta dei dubbi degli editori sulla collocazione di tali vv. a questo punto (ma nel latino è rimasta la successione tradizionale). 62 Giorgio Piras 1162 «m’inviti a nozze», 1174 «un lavoretto così fino», 1212 «farò abboccare con te», 1214 «ho la fregola addosso», 1215 «non esser smanioso», 1221 «a mio bell’agio», 1250 «è uscita di cervello», 1253 «siamo pari e patta», 1335 «poco mi garba», 1376 «ho fatta una corbelleria», 1412 «per le busse che hai ricevuto e che riceverai», 1424 «gliene appioppo», 1434 «m’hanno corbellato» «pezzo di brigante». Come già emerso da qualche sparso esempio, la traduzione del 1928 per lo spettacolo di Taormina e quella apparsa l’anno successivo nella Collezione Romana non sono identiche. Già una prima differenza si può notare nell’elenco dei personaggi premesso al testo: i principali sono gli stessi, ma nel 1928, dopo l’ultimo personaggio con un nome proprio, il cuoco Nòcciola, troviamo “un aguzzino”, “servi”, “ragazzi”, mentre nella Collezione Romana “servi di Scavezzalarocca”, “un servo di Rigiramino”, “aguzzino”, “cantore”29. Quest’ultima presenza è il risultato dell’attribuzione del segnale di chiusura della commedia (plaudite) a un ‘cantore’ che si trova nel solo Cocchia tra gli editori: nel testo latino del ’29 il verbo plaudite è presente, ma non è tradotto in nessuna delle due versioni italiane di Romagnoli. Nella traduzione del ’28 mancano poi naturalmente i due argumenta, tradotti in prosa nella Collezione Romana e superflui per un testo destinato solo alla scena. Quasi identiche sono le didascalie sceniche tra le due traduzioni (in parte mancano però nel IV atto di quella del 1928). Qualche modifica è stata effettuata nel testo tra la traduzione del 1928 e quella del 1929. La prima versione è in generale più letterale e sembra probabile che sia stata condotta in particolare sul testo di Leo e Lindsay, mentre la seconda, frutto della necessità di affiancarvi il testo latino, risente delle edizioni di Goetz-Schoell e Cocchia. 14 «Trionfabatoste»: «Trionfabuscarle»; 24 «mi fanno perder la testa»: «mi mandano in visibilio!»; 28 «per Polluce»: «te lo credo!»; 285 «degna caccia… l’uomo da nulla, e la bestia dispettosa»: «degna caccia… a bestia dispettosa, uomo da nulla» (la prima segue l’ordine latino); 648 (vd. sopra, p. 60); 788 «allegrotta e ragazzetta»: «ragazzetta e allegrotta» (la prima segue l’ordine 29 Romagnoli segue la successione di Goetz-Schoell e Cocchia fino ad Acroteleuzio (caratterizzata rispetto alle altre edizioni dall’inversione tra Milfidippa e Acroteleuzio), ma poi menziona il cocus (chiamato Cario nel testo latino) che dagli editori è posto di solito in penultima o ultima posizione (così Leo e Lindsay): forse ha voluto elencare prima tutti i personaggi con nome proprio. Eccezionale è la presenza del lorarius, l’aguzzino, che interviene solo al v. 1424 e non da tutti gli editori è mantenuto come personaggio parlante in quel luogo. Il Plauto di Ettore Romagnoli 63 latino); 926 «non è possibile»: «non c’è verso»; 936 «di’ un po’»: «senti»; 939 «che regalo ti devo mandare?»: «vedrai che regalo ti manderò!» (il testo latino è interrogativo, come in Lorenz30 e Goetz-Schoell, mentre l’espressione è intesa come esclamativa in Leo, Cocchia e Lindsay); 942 «congiungimento»: «collegamento»; 944 «per pensare»: «per riflettere»; 1029 «secondo»: «a seconda»; 1034 «s’appressi»: «s’approssimi»; 1061 vd. sopra, p. 60; 1087 manca nella prima versione la traduzione della seconda parte del v. con gli interventi di Palestrione e Milfidippa («For. Perché te ne stai impalata? Perché non te ne vai? Lip. Vado»: sembra una omissione di una coppia di battute); 1142 «come se l’è lavorato di fino»: «con che garbo se l’è lavorato»; 1181 nel ’29 è aggiunto «ai fianchi un pallio e una cintura», sicuramente sulla base della nota di Cocchia ad loc.31; 1189 «come»: «come tu»; 1205 «regalato per soprassello»: «elargito, di soprassello»32; 1209 «riuscì a soverchiarmi»: «lei prese il sopravvento» (lat. obpressit); 1222 «senti che roba – sento»: «senti come la fa lunga – lo credo » (lat. audin quae loquitur? – audio); 1242 «per nulla affatto»: «ma nemmen per sogno» (lat. minume); 1255 sg. «dall’odorato… all’odore»: «al fiuto… al profumo» (lat. olefactu… odore); 1257 «mi ama»: «mi ama, mi ama» (lat. me amat); 1258 «il profumo»: «l’olezzo»; 1260 «reggimi… e come mai?»: «ah, ah! Reggimi, reggimi… e perché dovresti cadere?» (lat. tene me… quid ita?); 1269 «pregato»: «scongiurato»; 1275 «che tu l’avvicini»: «che tu entri in casa sua» (lat. ad se ut eas); 1278 «ingiungile»: «impartiscile l’ingiunzione» (lat. iube); 1310 «ma mi secco troppo ad aspettare»: «ma ad aspettare, davvero mi secco» (la prima segue l’ordine latino); 1332 «porta acqua»: «adduci acqua»; 1360 «di portarti»: «di condurti»; 1409 «parla – Non l’ho fatto a cuor leggero»: «parla; ancora non sei castrato» (la traduzione del ’28 è basata sul testo di Leo, quella del ’29 su testo e traduzione di Cocchia); 1410 «e tale mi disse che era la servetta che fece la mezzana»: « la servetta che fece la mezzana mi disse che era una vedova» (lat. itaque ancilla conciliatrix quae erat dicebat mihi); 1423 «non verranno più teco»: «non li vedrai più al tuo seguito»; 1435-1437 attribuiti nel ’28 a Pirgopolinice come in tutti gli editori, a Sceledro nel 1929 come solamente in Goetz-Schoell, con la conseguente variazione «Ma dico che me la sono meritata… la razza»: «e io dico che se l’è Ausgewählte Komödien des T. Maccius Plautus, erklärt von A.O.Fr. Lorenz, III, Berlin 18862. Cocchia 1893, p. 155 «II Lambino interpreta praecinctus… “col pallio stretto nei fianchi, per mezzo di una cintura”». 32 La seconda espressione si trova anche altrove in Romagnoli: p. es. nel suo dramma satiresco Polifemo del 1913 («La lettura», XIII, 1913, p. 243 = Drammi satireschi, Milano 1914, p. 16; Bologna 1928, p. 20) o nella traduzione di Aristofane, Nuvole, v. 1023, Bologna 1924, p. 99. 30 31 64 Giorgio Piras meritata… la razza loro» (ma, probabilmente per una svista di Romagnoli, non si torna a Pirgopolinice per l’ultima battuta); 1437 «ritorniamocene a casa»: «e adesso, torniamocene a casa» (lat. eamus ad me). Oltre i cambiamenti dovuti all’affiancamento del testo latino e ad un suo nuovo esame nonché ad una rielaborazione della traduzione che comporta spesso un progressivo allontanamento dalla lettera plautina, qualche errore di uniformazione tra originale latino e versione italiana è comunque rimasto nella versione a stampa del 1929. I vv. 624 sg., che nel testo latino sono attribuiti a Palestrione come fanno normalmente gli editori, sono assegnati invece nelle due traduzioni a Rigiramino; i vv. 649 sg., nel testo latino assegnati a Palestrione, sono attribuiti a Pleusicle/Vogasodo nella traduzione del 192933; i vv. 657-658 sono assegnati a Palestrione nelle traduzioni, come in Leo e Lindsay, ma nel testo latino il 657 è di Pleusicle, come per lo più negli editori plautini; i vv. 666-668 sono tradotti dopo il 654, anche se presenti nel latino nella loro collocazione tradizionale34; in entrambe le versioni è saltata la traduzione di 929 sg., benché presente nel latino35; al v. 1049 è collocato per errore nel testo latino il v. 1053 (certamente per il fatto che entrambi iniziano con nam), che comunque è presente anche nel luogo giusto (la traduzione è corretta); non è stata tradotta la seconda frase dell’intervento di Pirgopolinice a 1095 sg. (nam nullo pacto potest prius haec in aedis recipi quam illam amiserim) pure presente nel testo latino; 1154-1157 nella traduzione sono assegnati a Pleusicle e la battuta di 1157 sg. a Palestrione, come in Goetz-Schoell, ma nel testo latino 1156-1158 sono attribuiti completamente a Palestrione, come fa Cocchia (da cui pure deriva il legame nel latino tra dolis di 1157 e date operam di 1158, che non era in Goetz-Schoell); 1250, sana non es, è reso in terza persona, probabilmente perché è sfuggita l’espunzione es[t] accolta da tutti gli editori e pure nel testo latino; nel v. 1289 manca nel testo civis, comunque tradotto («compatrioti»); 1328 quam è errore per quom (giusta la traduzione); i vv. 1333 sg. sono attribuiti nel testo a Pleusicle (come Cocchia), ma a Palestrione nelle due traduzioni (come gli altri editori); il v. 1341 non è stato tradotto e così il 33 Forse a indurre in equivoco è stato il rinvio nell’apparato critico di Leo al v. 725, dove a parlare è Pleusicle. 34 Cfr. nota 28. 35 insistite hoc negotium sapienter. AC. alia cura. PAL. Age, Periplecomene, has nunciam duc intro, certamente per ‘saut du même au même’ tra il primo intro di fine 928 e quello di 930. Il Plauto di Ettore Romagnoli 10. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, p. 152, silhouette, forse autografa di Romagnoli. Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli. 65 11. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, pp. 10-11 (vv. 36-42). Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli. 1370 (certamente per ‘salto da eguale a eguale’ da dicant a dicant); a 1372 nel testo latino viene accolta la suddivisione delle battute tra Pirgopolinice e Palestrione proposta da Leo (PY. abi iam. PA. patiar quidquid est), ed è quindi mantenuto al soldato il doppio saluto nel v. 1373, mentre nella traduzione è presente la suddivisione tradizionale; 1385 era, accolto nel testo latino come il solo Cocchia, non è tradotto; 1437 (vd. sopra, p. 64). Nella Biblioteca Civica di Rovereto, tra i libri di Ettore Romagnoli donati dagli eredi e attualmente in fase di catalogazione, è presente una copia della traduzione del Capitano Spaccone del 1928 con annotazioni autografe dell’autore che, come si vedrà più avanti, sono il frutto del lavoro di messa in scena: l’edizione è quindi da datare entro la fine di aprile del 1928, in un periodo precedente alla rappresentazione a Taormina di quell’anno. 66 Giorgio Piras 12. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, pp. 20-21 (vv. 160-179). Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli. Le annotazioni sono a matita, di vario colore, e sono di mano di Romagnoli. Dopo l’indice, a p. 152, c’è una silhouette che potrebbe anche risalire a lui (fig. 10). Gli interventi effettuati sul testo della commedia sono spesso indicazioni registiche: p. es. dopo la battuta di Scavezzalarocca al v. 19 aggiunge «riprende le evoluzioni» (p. 8), dopo quella del v. 31 «evoluzione» (p. 9). Talvolta le correzioni sembrano volte ad eliminare quelle porzioni di testo che potessero rendere più pesante la messa in scena: sono cancellati p. es. i vv. 98 «State attenti che comincio», 101 «amor reciproco, il migliore che ci sia» (p. 18). In molti casi passi più o meno lunghi sono cassati, probabilmente con lo scopo di ottenere una riduzione per la scena. P. es. alle pp. 10-11, dopo il v. 37 («me lo ricordo: fu proprio così»), si depenna il testo Il Plauto di Ettore Romagnoli 13. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, p. 19 (vv. 142-155). Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli. 67 14. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, p. 9 (vv. 21-27). Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli. fino al v. 41 (fig. 11)36 per proseguire con la traduzione di 42 («te ne ricordi», con evidente intenzione di ripresa immediata da parte di Pirgopolinice della battuta del v. 37 di Artotrogo). Per lo più sono eliminate battute intere, o coppie di battute, rispettando in un certo modo la compattezza delle parti pronunciate dai diversi personaggi (fig. 12). Oltre ad un consistente abbreviamento del testo, certamente dovuto alle esigenze di rappresentabilità della commedia che è tra le più lunghe di Plauto, sembra ci sia stata anche la volontà di renderlo più efficace per il pubblico contemporaneo. Ad esempio nel caso della fine della prima scena del secondo atto (p. 19) Romagnoli espunge i vv. 145-153 con un segno di matita che collega un punto ad un altro del testo, un uso frequente nel volume. Egli sostituisce inoltre i vv. 154-155, «Ma scricchiola la porta del vecchio: ecco, esce lui stesso: è questo il vecchio piacevole ch’io dissi», traduzione del segnale di ingresso in scena per gli attori, con un più comprensibile «E adesso non vi racconto più nulla: quello che seguirà lo vedrete coi vostri occhi» aggiunto in margine (fig. 13). In altre occorrenze Romagnoli varia il testo della traduzione: al v. 58 (p. 12), «di te son tutte quante innamorate», l’aggettivo è sostituito con «pazze»; il v. 65 (p. 13), «Beate quelle che ci vanno a letto!», è cancellato, forse per cen36 «Scavezzalarocca Che cosa? Strozzapagnotte Quella. Sc. Hai teco… Str. Il taccuino? Eccolo. Ed ecco qui lo stilo. Sc. Interpreti l’animo mio con sottigliezza grande. Str. È giocoforza ch’io conosca per filo e per segno i tuoi costumi, ch’io mi dia da fare, per capire al fiuto quello che vuoi». 68 Giorgio Piras 15. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, pp. 24-25 (vv. 209-241). Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli. sura. La semplificazione e riduzione del testo prosegue per tutta la commedia tramite tratti obliqui di matita. Solo un paio di correzioni effettuate nel testo sono state poi accolte a stampa nella Collezione Romana. Si tratta del v. 24 (trad. di estur insanum bene, scil. epityrum), «mi fanno perder la testa», che è corretto in «mi mandano in visibilio», e del v. seguente, «son qui io», con l’eliminazione del pronome di prima persona (p. 9; fig. 14). Invece la correzione immediatamente successiva nel v. 27 di «Un» in «Il» non compare nella edizione bilingue. Dalla p. 24 dell’esemplare ora a Rovereto della traduzione del ’28 iniziano le correzioni a penna, effettuate probabilmente da un’altra mano e comunque con una scrittura più incerta, sempre con ogni verisimiglianza a fini scenici. Tali correzioni non sono state però mai accolte nell’edizione della Collezione Il Plauto di Ettore Romagnoli 69 Romana. Ad es. al v. 218 dopo «E ci sento!» è aggiunto «Taci che adesso», collegato direttamente al v. 233, «t’introduco nel campo chiuso delle mie trappolerie…», detto sempre da Forzanello (fig. 15). A p. 26 il v. 255 «Dici bene, mi va» di Rigiramino è corretto in «Mi va quello che dici», più aderente al latino (placet ut dicis), e inteso come risposta alla battuta di Forzanello di 252 («Non può»), mentre i vv. intermedi («Convinciamolo di primo acchitto a creder vere le nostre pastocchie, e otterrai tutte le dilazioni che brami») sono cassati col consueto segno. A p. 133, prima del v. 1317 «Ti pregano di andare…», è aggiunto «Tua madre e tua sorella» perché la loro menzione era stata cassata con l’eliminazione dei vv. 1315-1316 («Vogasodo E salute mi dissero di augurarti tua madre e tua sorella. Pranzolina Salute anche a loro»). Si tratta insomma anche per questa seconda serie di interventi di una revisione che mira ad una messa in scena. E così prima della scena ottava del IV atto (v. 1311, p. 132) troviamo l’indicazione «Musica». Se anche non è stato Romagnoli in prima persona ad eseguirli in un periodo successivo e magari un collaboratore, e se anche fossero il frutto di una più tarda ripresa e rielaborazione della sua traduzione, si tratta comunque di ulteriori testimonianze della sensibilità per il mondo vivo del teatro che è una delle caratteristiche più evidenti del suo approccio ai testi greci e latini antichi. 70 Giorgio Piras Appendice ‘Manifesto’ della Collezione Romana (Romanorum scriptorum corpus Italicum, pp. ix-xi) La letteratura latina ha carattere universale: essa ha offerto modelli ed impulsi spirituali a tutto il mondo civile. Di qui la sensazione che sia come un possesso di tutte le genti: sensazione diffusa e falsa. La terra diviene di pubblico dominio solo quando mancano eredi; ma gli eredi legittimi dei Latini sono ben vivi: siamo noi Italiani: la letteratura latina è patrimonio nostro. Anzi, già il designarla, com’è uso tradizionale, col nome di “latina” implica e suggerisce un equivoco. Nella vita d’un popolo, le distinzioni per epoche sono puramente empiriche: fra il mondo latino e l’italiano non c’è soluzione di continuità; e la letteratura latina è in realtà la prima luminosa giornata della letteratura italiana. Patrimonio nostro; e patrimonio vivo ed attivo, che ad alcuni poté e può sembrare inerte e passivo solo perché occorre metterlo in valore. Si può ripetere per la lingua latina quello che dicemmo per la letteratura; essa non è se non la prima fase della lingua italiana; ma il corso dei secoli l’ha trasformata in guisa, che gl’Italiani d’oggi non riescono più ad intendere la loro lingua di venticinque secoli fa. Gli anni rendono dura e sterile la terra: perché divenga fertile e fruttuosa, bisogna dissodarla e coltivarla. Perché la letteratura latina divenga elemento e fattore veramente efficace nella vita intellettuale d’Italia, bisogna renderla facilmente accessibile a tutti gl’Italiani. Renderla accessibile non può significare se non tradurla. E tradurla vuol dire, oggi, non solo renderla meccanicamente intelligibile, bensì farne la fedele trasposizione nella sensibilità moderna. Impossibile, dunque, giovarsi delle antiche versioni, che nei migliori casi – rarissimi – effettuarono tale trasposizione verso sensibilità di tempi trascorsi, e oggi vertiginosamente allontanati dall’incalzare fulmineo della vita moderna. Occorrono trasposizioni moderne. La “Società Anonima Notari” (Istituto Editoriale Italiano) s’è accinta a quest’arduo còmpito, intraprendendo a pubblicare le versioni di tutti quanti gli scrittori latini, e affidandole a scrittori moderni che nel cimento della viva letteratura hanno appunto appreso l’arte di parlare agli animi moderni. Il Plauto di Ettore Romagnoli 71 Insieme con le opere integre si offrono anche quelle frammentarie, che anch’esse hanno tanta importanza nella generale configurazione della letteratura latina. Si vedono così concretarsi, e prendere consistenza e forma autori che adesso, anche per le persone di molta cultura, non sono altro che mèri nomi, sia pur gloriosissimi: Ennio, per esempio, Cecilio, Lucilio, Laberio, Novio, Pomponio. Di fianco alle versioni si è voluto che apparissero i testi latini in lezioni correttissime, sicché esista infine, in edizioni accessibili e maneggevoli, quel corpus italiano di scrittori latini, tante volte auspicato ed invocato, e sempre con sì poco effetto. Oltre ai benefici influssi e agl’impulsi ideali, la diffusa conoscenza degli autori latini servirà a distruggere una quantità di calunniosi pregiudizi che per opera di maligni e di saccenti si sono andati accumulando intorno alla letteratura latina, e che si accordano nel dichiararla poco originale e poco profonda, più di forma che di sostanza. La diretta e precisa conoscenza convincerà ogni spirito libero che la letteratura latina non è soltanto la più eloquente e la più speciosa, bensì una delle più originali e profonde fra quante mai ne fiorirono al mondo. Il nome scelto per la Collezione è di per sé un programma. Programma d’italianità assoluta; che va dalla scelta del direttore e dei traduttori, alla veste dei volumi, che non arieggeranno in nulla veruna delle consimili collezioni straniere.