Memorie
Accademia Roveretana degli Agiati
Ritmo, parole e musica:
Ettore Romagnoli
traduttore dei poeti
Atti del seminario di studi
Rovereto, 9 aprile 2019
a cura di Patricia Salomoni
Scripta edizioni
Memorie
della Accademia Roveretana degli Agiati
nuova serie, 7
Ritmo, parole e musica:
Ettore Romagnoli
traduttore dei poeti
Atti del seminario di studi
Rovereto, 9 aprile 2019
a cura di Patricia Salomoni
Scripta edizioni
Giorgio Piras
Il Plauto di Ettore Romagnoli
La raffinata arte della traduzione è stata esercitata da Ettore Romagnoli in
diversi campi, oltre a quello dei poeti greci per cui è più noto1. Si cimentò
infatti anche nella versione di alcuni autori latini, tanto che Luca Serianni
ha potuto dedicare un suo saggio a Ettore Romagnoli latinista 2. Le traduzioni dal latino di Romagnoli, e non solo di poeti, apparvero principalmente
nella “Collezione romana” da lui fondata e diretta, il Romanorum scriptorum
corpus Italicum3. Si tratta di tutto Orazio, le Epistole nel 1928, le Satire nel
1929 (ristampate poi assieme a Bologna nel 1937 in una nuova versione) e le
Odi nel 1933. Tradusse inoltre per la stessa collana anche due commedie di
Plauto, l’Aulularia e il Miles gloriosus, nel 1929, e il De bello civili di Cesare
nel 1931 (con la prefazione di Enrico Caviglia). Non si realizzò invece il
progetto, annunciato nel piano dell’opera, di una sua traduzione di Lucrezio.
La Collezione Romana fu pubblicata dal giornalista, editore e scrittore
d’attualità Umberto Notari (Bologna 1878 - Perledo Varsina 1950), noto
soprattutto per essere stato uno «straordinario organizzatore di cultura, vulcanico propugnatore di idee e progetti, capace di sfruttare le enormi potenzialità della propaganda»4. Notari aveva avuto un grande successo con il romanzo
1 Su Romagnoli si veda ora G. Piras, Romagnoli, Ettore, in Dizionario Biografico degli Italiani,
LXXXVIII, Roma 2017, pp. 189-194, con la bibliografia precedente.
2 L. Serianni, Ettore Romagnoli latinista, in Venuste noster. Scritti offerti a Leopoldo Gamberale, a cura
di M. Passalacqua, M. De Nonno, A. M. Morelli, Hildesheim-Zürich-New York 2012, pp. 639-654.
3 Sulla collana cfr. soprattutto G. Traina, Tacito futurista: Marinetti traduttore della “Germania”,
in Scrittori che traducono scrittori. Traduzioni ‘d’autore’ da classici latini e greci nella letteratura italiana del Novecento, a cura di E. Cavallini, Alessandria 2017, pp. 33-46.
4 M. Chiabrando, L’amico dei futuristi. Umberto Notari giornalista, editore e scrittore, «Charta. Antiquariato – Collezionismo – Mercato», CIV, luglio-agosto 2009, pp. 38-43 (a p. 38). Su
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Giorgio Piras
“scandaloso” Quelle signore (processato per oscenità nel 1906)5 e fu vicino
al movimento futurista, in particolare a Filippo Tommaso Marinetti che gli
dedicò anche una biografia6. Tra le varie imprese di Notari va annoverato il
settimanale illustrato Avvenimenti (1915-1917), a cui Ettore Romagnoli collaborò in pieno clima bellico con alcuni articoli che furono poi ripubblicati
nel suo libro di battaglia più celebre, Minerva e lo scimmione (1917), il libro
che gli diede la fama tra il grande pubblico e ne fece uno dei protagonisti del
dibattito culturale italiano. Da ricordare anche il quotidiano L’Ambrosiano
(1922-1944), che cercò di contrastare il dominio del Corriere della Sera, e
a cui anche collaborò con una certa assiduità Romagnoli, in particolare con
articoli di critica teatrale, raccolti poi nei suoi tre volumi di In platea (Bologna 1924-1926). Nel 1904 Notari aveva fondato a Villasanta, vicino a Monza, lo stabilimento tipografico Società Anonima Notari; a lui si deve anche la
casa editrice Istituto Editoriale Italiano, fondata nel 1911 e ceduta nel 1943.
Tra i collaboratori delle imprese di Notari vi fu anche Duilio Cambellotti, il
celebre illustratore che in molte occasioni si occupò dell’apparato grafico dei
libri di Romagnoli, così anche dei costumi e delle scenografie delle rappresentazioni teatrali di Siracusa e contribuì anche ai libri di cui discutiamo.
La Collezione Romana prevedeva traduzioni prosastiche affiancate ai testi
latini e nasceva decisamente con grandi ambizioni. All’iniziativa aveva fatto
riferimento lo stesso Mussolini in occasione del Natale di Roma del 19267 e
i primi volumi uscirono già in quell’anno. Dei cento titoli programmati solo
sessantuno furono effettivamente editi tra 1926 e 1934, mentre i rimanenti
furono soltanto annunciati, ma mai portati alle stampe.
La serie fu inaugurata dal Panegirico di Plinio tradotto nel 1926 dal senatore giolittiano Emilio Faelli (Parma 1866 - Bra 1941, certamente non vicino al
fascismo; fig. 1) e vide all’opera una serie ampia e assai variegata di traduttori,
la maggior parte non specialisti, spesso famosi scrittori o uomini di cultura
e anche uomini politici, in gran parte vicini a Romagnoli. Tra i tanti si posi-
Umberto Notari cfr. B. Wanrooij, Umberto Notari, o dell’ambigua modernità, «Belfagor», XLIV,
1989, pp. 181-193; U. Piscopo, Notari Umberto, in Il dizionario del futurismo, a cura di E. Godoli,
Firenze 2001, pp. 794-796 («uno dei grandi seduttori dell’Italia del primo Novecento», p. 794);
P. Caccia, Editori a Milano (1900-1945). Repertorio, Milano 2013, p. 230.
5 U. Notari, Quelle signore (Scene di una grande città moderna), II edizione, Milano 1908 (I
edizione 1904).
6 Notari scrittore nuovo, Villasanta 1936, p. 58: «io addito questo grande scrittore non soltanto
come un grande italiano, ma come un magnifico collaboratore di tutte le forze che hanno ricostruito l’Italia e preparato il Fascismo».
7 Traina 2017, cit., p. 34, riprendendo una notizia de L’Italia che scrive.
Il Plauto di Ettore Romagnoli
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1. C. Plinii Caecilii Secundi Panegyricus Traiano dictus - Plinio il Giovane, Panegirico di Traiano, versione di E. Faelli, Villasanta 1926, frontespizio. Roma, Biblioteca Universitaria Alessandrina, 217.A.33.
sono citare Massimo Bontempelli (Metamorfosi di Apuleio, 1928), Ugo Fleres (Catullo, 1927 e Vitruvio, 1933), Eugenio Giovannetti (Cicerone, De re
publica, 1928; Tusculanae, 2 voll., 1928; De oratore, 2 voll., 1931-1932; Epistolario, 10 voll., 1927-1928; Orazioni, 2 voll., 1928; Petronio, 1930), Alberto De Stefani (Cornelio Nepote, 1928), Filippo Tommaso Marinetti (Tacito,
Germania, 1928)8, Emilio Bodrero (Livio, 4 voll., 1928), Enrico Corradini
(Sallustio, La congiura di Catilina, 1928). Solo programmate rimasero le traduzioni di Goffredo Bellonci (Boezio e Cassiodoro), Alfredo Rocco (Cicerone, De legibus), Pietro Fedele (Ottavio di Minucio Felice e Annales di Tacito),
Quirino Giglioli (Plinio il Giovane, Lettere), Luigi Federzoni (Sallustio, Iugurtha), Massimo Bontempelli (Quintiliano), Ugo Cavallero (Vegezio).
La scelta dei curatori, oltre a rispecchiare l’ambito politico e culturale di
riferimento di Romagnoli e Notari, è anche il risultato dell’ambizione di cre8
Ivi, p. 35: Gramsci con sarcasmo allude a questa traduzione in una lettera dal carcere.
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Giorgio Piras
are una collana ampiamente diffusa. Un’attenzione particolare è rivolta alla
qualità della traduzione, che doveva essere non solo corretta, ma rendere pienamente fruibile il testo ad un lettore colto contemporaneo, secondo riflessioni che Romagnoli aveva già fatto in più occasioni, pubblicamente almeno
dal celebre intervento del 1911 al IV Convegno della Società italiana per la
diffusione e l’incoraggiamento degli studi classici «Atene e Roma», intitolato
in maniera significativa La diffusione degli studi classici 9.
Indubbiamente l’operazione ebbe un certo successo, amplificato nella
stampa coeva, e ottenne i complimenti pubblici di uomini politici e ministri. Il futurista Paolo Buzzi, che per la Collezione Romana tradusse il De
re coquinaria di Apicio, così scrive su «Il giornale di Genova»: «il nome di
Ettore Romagnoli è garanzia dottrinale ed estetica dell’ardua, incomparabile impresa. Difficile trovare, nel mondo dei dotti, un temperamento più
geniale, più spregiudicato, più antiaccademico, più moderno o – meglio a
dirittura – più novecento di Ettore Romagnoli. Quest’uomo delizioso, che
sembra cresciuto fra la bottega di Plauto e gli orti del Belli, trasteverino ed
ateniese insieme, signore dei due più illustri idiomi della terra e della Storia,
scrittore italico dalle forbitezze di tutte le rinascenze, musicista distinto e
di penetrazione, régisseur di spettacoli classici in faccia alle meraviglie della
natura: insegnante più dal tufo fiammeggiante delle cose che dal legno tarlato della cattedra: amico dei giovani e difensore dei futuristi: Ettore Romagnoli, insomma, non poteva che essere il vivificatore di tutta questa grandezza nazionale mandata un po’ agli archivi per colpa degli antichi metodi
d’insegnamento e di traduzione»10.
Nel manifesto introduttivo, che compare anonimo in tutti i volumi (riprodotto in Appendice), scritto secondo idee e terminologia romagnoliana, si
rivendica all’Italia l’eredità della letteratura di Roma antica, universale nei
valori ma da cui discendono gli attuali italiani senza soluzione di continuità,
e si sostiene la piena prosecuzione della lingua e letteratura latina nella lingua
e letteratura italiana: «La letteratura latina ha carattere universale: essa ha
offerto modelli ed impulsi spirituali a tutto il mondo civile. Di qui la sensazione che sia come un possesso di tutte le genti: sensazione diffusa e falsa. La
terra diviene di pubblico dominio solo quando mancano eredi; ma gli eredi
legittimi dei Latini sono ben vivi: siamo noi Italiani: la letteratura latina è
patrimonio nostro». Come già in altri scritti Romagnoli difende infatti, con
9 «Acropoli», aprile 1911, pp. 309-333, rist. in Vigilie italiche, Milano 1917, pp. 65-140, e in
Lo scimmione in Italia, Bologna 1919, pp. 177-229.
10 «Il Giornale di Genova», 25 febbraio 1928.
Il Plauto di Ettore Romagnoli
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toni certamente anche nazionalistici, la continuità tra romanità e italianità
dal punto di vista culturale: designare la letteratura dei Romani «com’è uso
tradizionale, col nome di “latina” implica e suggerisce un equivoco… fra il
mondo latino e l’italiano non c’è soluzione di continuità; e la letteratura latina è in realtà la prima luminosa giornata della letteratura italiana».
È un “patrimonio nostro”, vivo e attivo, che però non è accessibile a tutti,
vista la difficoltà della lingua: «la lingua latina… non è se non la prima fase
della lingua italiana; ma il corso dei secoli l’ha trasformata in guisa, che gl’Italiani d’oggi non riescono più ad intendere la loro lingua di venticinque secoli
fa». Di qui il bisogno di traduzioni, ma di traduzioni adeguate alla “sensibilità
moderna”: «renderla accessibile non può significare se non tradurla. E tradurla vuol dire, oggi, non solo renderla meccanicamente intelligibile, bensì
farne la fedele trasposizione nella sensibilità moderna. Impossibile, dunque,
giovarsi delle antiche versioni, che nei migliori casi – rarissimi – effettuarono
tale trasposizione verso sensibilità di tempi trascorsi, e oggi vertiginosamente
allontanati dall’incalzare fulmineo della vita moderna. Occorrono trasposizioni moderne». Per far questo i volumi della Collezione Romana sono curati
da scrittori, capaci pienamente di comunicare alla sensibilità contemporanea,
«che nel cimento della viva letteratura hanno appunto appreso l’arte di parlare agli animi moderni».
Interessante che il progetto comprenda anche opere frammentarie, di
cui si riconosce l’importanza per la letteratura latina: «Insieme con le opere integre si offrono anche quelle frammentarie, che anch’esse hanno tanta
importanza nella generale configurazione della letteratura latina. Si vedono
così concretarsi, e prendere consistenza e forma autori che adesso, anche per
le persone di molta cultura, non sono altro che mèri nomi, sia pur gloriosissimi: Ennio, per esempio, Cecilio, Lucilio, Laberio, Novio, Pomponio».
Questa parte del progetto non ebbe però seguito: di questi importanti autori
frammentari nessuno fu poi effettivamente pubblicato e, nei vari prospetti
della collana esistenti, i loro nomi sono sì presenti, ma mai in associazione a
possibili curatori, a testimonianza dello stato embrionale dell’idea.
Si vogliono fornire testi latini affidabili, anche se questo obiettivo sarà
raggiunto solo parzialmente, per una certa debolezza filologica dei curatori,
che appunto non erano antichisti in senso stretto. A fronte di testi integrali, senza censure, si hanno scarne notizie sulla biografia degli autori e solo
poche note esplicative, conformemente all’intento di concentrare il lettore sulla fruizione diretta del testo, mediata solo dalla traduzione d’autore.
Come introduzione valgono le prefazioni, di valore diseguale, che i curatori
premettevano alle traduzioni.
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Giorgio Piras
Il fine è quello di rendere disponibile «in edizioni accessibili e maneggevoli, quel corpus italiano di scrittori latini, tante volte auspicato ed invocato,
e sempre con sì poco effetto», anche questo un tema su cui Romagnoli aveva
discusso in più occasioni (e molto se ne era parlato tra i classicisti, in particolare intorno agli anni ’10 del Novecento). Il taglio nazionalistico è indubbio.
La conoscenza diretta dei testi latini deve contribuire a sfatare il pregiudizio
nei confronti della letteratura latina (si sentono echi di polemica antigermanica): «Oltre ai benefici influssi e agl’impulsi ideali, la diffusa conoscenza
degli autori latini servirà a distruggere una quantità di calunniosi pregiudizi
che per opera di maligni e di saccenti si sono andati accumulando intorno
alla letteratura latina, e che si accordano nel dichiararla poco originale e poco
profonda, più di forma che di sostanza. La diretta e precisa conoscenza convincerà ogni spirito libero che la letteratura latina non è soltanto la più eloquente e la più speciosa, bensì una delle più originali e profonde fra quante
mai ne fiorirono al mondo».
Si tratta in sostanza di un “programma di italianità assoluta”: «Il nome
scelto per la Collezione è di per sé un programma. Programma d’italianità
assoluta, che va dalla scelta del direttore e dei traduttori, alla veste dei volumi,
che non arieggeranno in nulla veruna delle consimili collezioni straniere».
L’italianità è ben evidente sin dalla veste grafica, affidata a Duilio Cambellotti, collaboratore di Romagnoli già da tempo. In particolare nelle controguardie
della serie campeggiava un’aquila imperiale affiancata da fasci littori (un’aquila
si trovava anche sulla rilegatura), con la caratteristica ‘firma’ di Cambellotti,
una spiga con accanto le lettere “DC” di forma quasi circolare che si affacciano
dai fasci, firma messa in evidenza grazie al contrasto coloristico (fig. 2).
Prima del “manifesto” (p. viii) si menzionano nelle edizioni i vari collaboratori della collana. Tra i revisori compaiono Luigi Filippi, traduttore per la
serie di alcune orazioni ciceroniane11, forse da identificare con il roveretano
biografo di Pascoli che raccolse gli scritti di Cesare Battisti12 e fondò a Milano
la piccola casa editrice «Volturno»13. Troviamo all’opera anche Sergio Giliber11 Per il comando di Pompeo, La legge agraria, Le provincie consolari, Contro Pisone, Per Marcello
(1929); Orazioni sulla legge agraria (1930).
12 Rispettivamente La vita e le opere di Giovanni Pascoli, Livorno 1915 e Nella terra di Battisti,
Ferrara 1919, quest’ultimo dal chiaro intento irredentista, dedicato «Alla sacra memoria di Cesare
Battisti la cui grande ombra penzola ancora invendicata lassù» (il volume è finito di stampare il 30
settembre 1918). Tradusse anche Il giardino di Epicuro di Anatole France per la Notari nel 1929.
13 Nato a Rovereto nel 1888 e morto a Milano nel 1964, studiò a Firenze, insegnò nella scuola
media ed ebbe anche una certa produzione letteraria. Fu nominato socio corrispondente dell’Accademia degli Agiati nel 1926.
Il Plauto di Ettore Romagnoli
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2. Collezione Romana, antiporta in latino e italiano. Roma, Biblioteca Universitaria Alessandrina, 217.A.49.
ti, Marino Venturi14 e il sacerdote Carlo Vitali, traduttore tra l’altro anche di
Livio e delle Confessioni di S. Agostino15.
Come si è visto Romagnoli curò in prima persona per la Collezione tutto
Orazio, il De bello civili di Cesare e due commedie di Plauto, l’Aulularia e
il Miles gloriosus stampate assieme nel 1929 (fig. 3)16. La veste grafica che
accompagna i titoli delle singole opere è costante in tutti i volumi della Collezione Romana: nel frontespizio troviamo ancora fasci come nell’antiporta,
ma affiancati ad allori, un seggio curule, con rotoli di papiro e lira. Lo sovrasta una piccola lupa che allatta i gemelli, del tipo assai diffuso con la testa
rivolta verso di loro (diverso quindi dalla celebre scultura del Campidoglio).
Il disegno è sempre di Cambellotti, con la spiga e le iniziali poste tra la base
14 Un maestro riformista, autore anche di L’Insegnamento sessuale. Sua pratica attuazione nelle
scuole, Firenze 1913.
15 Rispettivamente Bologna 1965-1968 e Milano 1958.
16 Plauti comoediae. Aulularia, Miles gloriosus - Commedie di Plauto. La pentola, Il capitano
spaccone, versione di E. Romagnoli, I, Villasanta 1929.
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Giorgio Piras
3. Plauti Comoediae. Aulularia - Miles gloriosus - Commedie di Plauto. La pentola - Il capitano
spaccone, versione di E. Romagnoli (volume primo), Villasanta 1929, frontespizio. Roma,
Biblioteca Universitaria Alessandrina, 217.A.49.
del seggio e il fascio di destra. Questo era destinato a essere il primo volume
dedicato a Plauto, ma rimase in realtà l’unico.
Nella prefazione (pp. xv-xli) Romagnoli si sofferma sull’arte plautina e
ribadisce i criteri seguiti nella sua traduzione. Di fronte ai giudizi discordi
degli antichi sul valore di Plauto, per Romagnoli è necessario che ci si formi
una propria idea per mezzo della lettura diretta del testo, secondo lo spirito
che informa – come si è visto – l’idea stessa della Collezione, ma anche tutta
la sua pratica traduttiva. Certo nel teatro di Plauto non c’è troppa varietà: «i
soggetti e i caratteri, elementi essenziali, sono, su per giù, sempre i medesimi… anche se ad una prima lettura sembra che ogni commedia abbia una
fisionomia propria, dopo breve tempo i singoli contorni sfumano e si perdono entro una nebbia uniforme» (p. xix). Ben diversi sono però i caratteri
rispetto alla commedia greca, o meglio i tipi, se non le maschere («per carattere s’intende la trasposizione, nel clima dell’arte, d’una figura direttamente
Il Plauto di Ettore Romagnoli
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osservata nella vita», ibidem). In Plauto compaiono sempre le stesse figure,
che mantengono inalterato da commedia a commedia profilo, linguaggio,
costume e maschera, descritti da Romagnoli con una certa finezza. Troviamo
il “giovanotto”, innamorato e in cerca di denaro, il “servo furbo” («un altro
piatto forte di queste comiche imbandigioni… la sua intelligenza è superiore a quella di tutti gli altri personaggi, ed egli domina sostanzialmente
ogni situazione», p. xx), il “vecchio genitore”, per lo più severo e tirchio, ma
talvolta scapestrato anch’egli e rivale del figlio. La “ragazza”, il perno attorno
al quale ruota tutto, è una «cortigianella spudorata» o «una brava ragazza
perseguitata dal destino»: «non è, no, l’ingenua, la Rosaura della commedia
moderna; ma s’avvicina a Margherita Gauthier», non la figlia di Pantalone
della commedia dell’arte perciò, ma la protagonista della Signora delle Camelie di Dumas (p. xxi). Si aggiungono poi personaggi minori: la consigliera
della ragazza, il parassita, il fanfarone, il cuoco, il medico ciarlatano. Ma non
mancano rovesciamenti dei tipi consueti, come ad esempio il vecchio Periclomeno del Miles gloriosus.
I caratteri sono appena sbozzati, spesso incoerenti, forse già del resto nei
modelli greci, ma la capacità di osservazione e la vivacità comica sono notevoli. L’intreccio è sempre in sostanza lo stesso, con un repertorio di motivi
comici ricorrenti, un po’ come nella commedia dell’arte, a prescindere anche
dalla coerenza. Centrale è la beffa, ordita anche per puro capriccio (p. xxxii),
in una sorta di “pulcinellismo” esasperato. La verisimiglianza non è un fine del
commediografo ed è frequente la «infrazione all’illusione comica» (p. xxxiii).
Nel teatro plautino secondo Romagnoli si trova la vita: il suo non è teatro
originale nel senso moderno, ma i modelli greci erano per lui una sorta di
disegno schematico, un telaio. I dialoghi li traeva dalla concreta vita romana,
quella del foro, delle strade, dei bordelli: «così avviene che noi sentiamo per
tutto il suo teatro il cicaleccio continuo del popolo romano del suo tempo.
Cioè tutta Roma… la Roma di tutti i giorni, degli omuncoli e delle donnicciuole, che somigliavano maledettamente, e non c’è da farne meraviglia, agli
omuncoli e alle donnicciuole di tutti i tempi. E dunque, anche dei nostri» (p.
xxxviii). Certo il cicaleccio da solo non basta, ma è la sua qualità che conta.
Plauto cercava la letteratura sulle labbra del popolo: e il miele raccolto “a
casaccio” sui campi può essere più illustre di quello dei più raffinati poeti alessandrini. Lo paragona a Aristofane, Rabelais, Belli (p. xxxix). Il suo è teatro
essenzialmente di stile e, pur essendo un traduttore, risulta paradossalmente
uno degli autori più originali della letteratura latina (ibidem).
Il quadro è abbastanza vicino a quello prevalente nella critica di Plauto, ma
la prefazione è interessante perché («contro il mio solito», p. xxxix) ci fornisce
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Giorgio Piras
qualche notizia preziosa sui criteri seguiti nella traduzione e sul contesto da
cui è nata. Romagnoli ricorda che il Miles era stato rappresentato a Taormina. Si tratta certamente della rappresentazione avvenuta nel maggio del 1928
con la direzione artistica dello stesso Romagnoli, i costumi di Cambellotti e
la compagnia di Gualtiero Tumiati (1876-1971), il celebre attore che aveva
interpretato Agamennone nello spettacolo che inaugurò la ripresa delle rappresentazioni classiche a Siracusa nel ’14 e aveva recitato anche in altri spettacoli
siracusani su testi e con la direzione artistica di Romagnoli. Nel ’28, assieme al
Miles gloriosus, sempre con la direzione artistica di Romagnoli, era stato rappresentato anche il Giulio Cesare di Enrico Corradini, che peraltro si è visto
tradusse per la collezione romana la Congiura di Catilina di Sallustio proprio
nel 1928, ed era tra i nazionalisti più attenti al mito di Roma17.
Nella prefazione al volume della Collezione Romana Romagnoli ci tiene
particolarmente a giustificare la sua resa dei nomi dei personaggi della commedia, non italianizzando gli originali latini, ma creando piuttosto veri e propri equivalenti italiani. E questo vale a partire dal titolo stesso: Miles gloriosus
viene tradotto infatti “Capitano spaccone”. Qualcuno aveva sollevato dubbi dopo la rappresentazione di Taormina sulla resa di miles con “capitano”:
«qualche sapientone mi fece osservare che miles in latino vuol dire soldato,
e non già capitano. Assai lo ringrazio dell’ammaestramento, saturo d’arcana
dottrina etimologica» (p. xl); ma Romagnoli ribatte che «lo spaccone, in Italia è, per diritto di nascita, capitano; e dire “soldato spaccone” è quasi quanto
dir nulla» (ibidem). Per una traduzione efficace è necessario rendere anche i
nomi dei personaggi in maniera pregnante: Pirgopolinice non ha alcun significato per chi non sa il greco e renderlo in tal modo significa non rispettare
la reale volontà dell’autore, che contava invece sull’impatto che aveva questo
nome sul suo pubblico, per il quale la etimologia greca doveva essere immediatamente evidente. Così il plautino Pyrgopolynices, lett. ‘eversore di torri
e di città’, viene reso da Romagnoli con “Scavezzalarocca”, che peraltro nel
pubblico romano coevo poteva evocare la maschera comica romanesca di
“Mannaggia la Rocca”18. Artotrogo, il parassita ‘roditore di pane’, che compare nella scena iniziale, diviene “Strozzapagnotte”. Il protagonista, il servo
del soldato Palestrione, viene tradotto “Forzanello”, Periplecòmeno, il vecchio compiacente, da periplècomai, viene interpretato come ‘raggiratore’ e
quindi “Rigiramìno” (ma propriamente è colui che abbraccia). Sceledro è il
17 Su di lui cfr. F. Gaeta, Corradini, Enrico, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXIX, Roma
1983, pp. 342-349.
18 Sul personaggio cfr. Enciclopedia di Roma, a cura di C. Rendina, Roma 2005, p. 691.
Il Plauto di Ettore Romagnoli
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servo stupido, di incerta etimologia: Romagnoli lo traduce “Ciancaribella”,
un altro personaggio del mondo teatrale romanesco della sua epoca (spalla
del cantastorie Sor Capanna). Filocomasio, la meretrice, ‘amante dei kòmoi’
(‘banchetti’), è “Pranzolina”; Pleusicle, il suo giovane innamorato che porterà
infine per mare l’amata, da plèo ‘navigare’, è “Vogasodo”. Lo schiavetto Lucrio
(da alcuni corretto in Lurcio) è tradotto “Buschino”. La meretrice Acroteleuzio è “Cimafina”, la sua ancella Milfidippa “Lippicella”, Cario (probabilmente in Plauto da intendere ‘della Caria’) “Nòcciola”. I nomi sono quindi
concepiti da Romagnoli per poter evocare immediatamente al suo pubblico
personaggi caratterizzati, a prescindere dalla aderenza all’originale plautino e
al di là di qualsiasi scrupolo etimologico.
Nulla viene detto nella prefazione a proposito del testo latino stampato,
come del resto avviene solitamente nelle edizioni della Collezione Romana.
Questo non significa però che il testo non sia l’esito di una valutazione ponderata e per certi versi originale. Romagnoli ha tenuto conto delle principali e
più recenti edizioni critiche di Plauto. Egli si basa in particolare sull’edizione
corrente più autorevole, quella di Goetz e Schoell del 189619, esito finale del
lavoro critico attorno alle commedie di Plauto di Friedrich Ritschl, modificata quanto possibile – soprattutto ai fini della leggibilità – con il testo dell’edizione commentata di Enrico Cocchia del 189320. In alcuni casi segue il
testo del rappresentante della filologia tedesca per eccellenza, Friedrich Leo21,
e dell’edizione oxoniense di Lindsay22. Non è azzardato osservare come tale
comportamento mostri una certa attenzione per l’aspetto critico-testuale e
una considerazione per la filologia tedesca che si allontana nella pratica da
certe celebri dichiarazioni “antifilologiche” o “antigermaniche” avanzate da
Romagnoli in sedi e contesti polemici ben diversi.
Nella prefazione non viene detto che il testo della traduzione utilizzata
per lo spettacolo di Taormina del 1928 era stato pubblicato nello stesso anno
dalle Edizioni d’Arte D’Anna di Messina (fig. 4)23. Cambellotti aveva collaT. Macci Plauti Comoediae, ex recensione G. Goetz et Fr. Schoell, IV, Lipsiae 1896.
M. Acci Plauti Miles gloriosus, edizione critica con introduzione e commento di E. Cocchia,
Torino 1893. Come Cocchia, alquanto personale nelle scelte, accoglie p. es. la congettura fartum (8) e
poi 65 illo, 657 tui… valent, 1333 sg. attribuiti a Pleusicle (ma non nella traduzione), 1344 salvos sum.
21 Plauti Comoediae, recensuit et emendavit Fr. Leo, II, Berolini 1896. P. es.: 609 ultumam est,
799-799a ne me surdum esse arbitrare, si audes. Ergo recte meis auribus utor * Pal. *, 1274 sed quid
‹illa› volt me facere?, 1319 impietas sit.
22 T. Macci Plauti Comoediae, recognovit brevique adnotatione critica instruxit W. M. Lindsay,
II, Oxford 1905. P. es.: 1006 tum haec celocla autem illa apsente (celocula… absente R.), 1023 pedetemptim (tu haec scis) tractare soles hasce huiius (huius R.) modi mercis; 1255 de olefactu.
23 Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928 (rist. an. ibid. 1988,
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4. Plauto, Il capitano spaccone. Versione
di Ettore Romagnoli, Messina 1928. Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti»,
Fondo Romagnoli.
borato anche a quel volume, con il disegno della copertina e delle illustrazioni
tra un atto e l’altro, tutte firmate (figg. 5-9). Tale traduzione è ripresa nella
edizione della Collezione Romana del ’29, con l’aggiunta del testo latino,
ma – come si vedrà più avanti – presenta modifiche in più punti. La versione
è accompagnata da sintetiche indicazioni sceniche (secondo una consuetudine diffusa nelle traduzioni non scientifiche dei testi teatrali antichi), come
ad es. all’inizio della commedia: «Entra Scavezzalarocca, seguito dal parasita
Strozzapagnotte e da un codazzo di soldatacci: dopo parecchie evoluzioni, si
ferma». Solo nella traduzione per Taormina le scene sono anche numerate,
mentre nel testo latino del ’29, come consueto nelle edizioni plautine moderne, il cambio di scena è indicato semplicemente dall’elenco dei personaggi
che parleranno di seguito. Solamente i versi latini sono numerati e a tale
numerazione ci riferiamo quando necessario.
per celebrare i sessant’anni di uno dei primi libri stampati dalle Edizioni d’Arte D’Anna di Messina).
Il Plauto di Ettore Romagnoli
57
5. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, illustrazioni del I atto.
Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli.
6. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, illustrazioni del II atto.
Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli.
7. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, illustrazioni del III atto.
Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli.
58
Giorgio Piras
8. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, illustrazioni del IV atto.
Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli.
9. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, illustrazioni del V atto.
Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli.
L’originale latino è tradotto in maniera abbastanza fedele, compatibilmente con l’intenzione di rendere in buon italiano il testo plautino: la traduzione
letterale è infatti per Romagnoli un’«esercitazione per principianti» che fa
credere che gli autori tradotti «siano quando oscuri, quando incomprensibili,
quando dissennati» (p. xli).
L’inizio, identico tra le due versioni, è piuttosto roboante: «sfolgori un
vampo» (1 sg.), «abbacini la pupilla» (5 sg.), «imperocché» (6), «brando» (7),
«accidia» (9), «agogna» (10). Si usano termini del linguaggio italiano alto,
epicheggiante, con evidente intenzione di rendere efficacemente la descrizione plautina del miles nella scena di esordio. Lo stesso linguaggio usa il
parassita per deridere il soldato: «nerboruto e prode» (10, fortem et fortuna-
Il Plauto di Ettore Romagnoli
59
tum in Plauto). Le fantasiose creazioni onomastiche plautine Bumbomachides
e Clutomestoridysarchides (14) sono rese con formazioni italiane che dovevano suonare altrettanto comiche, “Schiamazzalazuffa” e “Trionfabuscarle”
(“Trionfabatoste” nella traduzione del ’28). Lo stesso tono sarcasticamente
solenne si ritroverà nel dialogo tra Scavezzalarocca e Forzanello all’inizio del
IV atto con espressioni come «favella» (954, 978, e poi 1008 «favellarle»),
«specula intorno» (955, circumspicedum), «uccellatore delle nostre parole»,
«imperocché» (956), «codesto» «donde» «dama» (958), «agogna» (959), «con
ciò sia cosa che» (966), «pronunciar menzogna» (967), «beltà» «affè d’Ercole»
(968; anche 972, 1004, cfr. 988 «affè di Polluce»), «esecra», (970), «brama»
(972, 1037), «concupisce» (973), «veruna menzione» (993).
Un’altra caratteristica peculiare della traduzione della scena iniziale è che si
tratta di endecasillabi sciolti. Sono frequenti sin dal principio gli endecasillabi
sdruccioli, tradizionalmente ritenuti come particolarmente adatti a rendere il
senario giambico24. Il primo verso finisce infatti con “sfolgori” che dà quindi
subito alla traduzione l’impressione del ritmo giambico25. In endecasillabi
risponde anche il parassita Strozzapagnotte, che in tutta la scena prenderà in
giro la vanagloria del soldato. Ma solo questo primo atto, sia nella versione
del ’28 che in quella del ’29, è in versi. Il resto della traduzione è in prosa.
Difficile dire quali siano state le motivazioni di tale scelta, anche se va notato
che sono prosastiche le traduzioni destinate alla Collezione Romana. Anche
l’Orazio tradotto da Romagnoli è in prosa ed è significativo che la nuova
traduzione delle Satire e delle Epistole stampata nel 1937 per la Zanichelli sia
invece in versi italiani, secondo una pratica per lui molto più comune.
Tendenzialmente Romagnoli non stravolge il testo di Plauto. Talvolta però
lo arricchisce con elementi che mostrano le sue capacità linguistico-espressive,
sempre con l’intento di rispettare la volontà comunicativa e comica dell’autore. In generale la resa in italiano è abbastanza letterale, ma laddove serva
Romagnoli non esita a discostarsi dal testo latino. Già al principio, anche per
esigenze metriche, quella che in latino è una comparazione (splendor meo sit
clupeo clarior, quam…) è tradotta con «il mio scudo sfolgori un vampo tal,
quale… » (1 sg.). Oppure il semplice dimostrativo hunc (310), riferito a se
stesso da Sceledro, è tradotto «a cominciare dal figlio di mio padre». Una
24 Cfr. E. Romagnoli, Il verso, «Atene & Roma», XI, 1908, pp. 141-183: 180: «dal trimetro
giambico si forma l’endecasillabo sdrucciolo». Per la norma che vede l’endecasillabo di dodici
sillabe se sdrucciolo e di dieci se tronco cfr. G. Berengo, Della versificazione italiana, I, Venezia
1854, pp. 696 sg.
25 Si noti che Cocchia traduceva «abbagli», che avrebbe reso il ritmo piano.
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Giorgio Piras
necessità fondamentale è infatti quella della comprensibilità e della efficacia
sul suo pubblico, anche quando ci si deve allontanare in maniera più o meno
consistente dall’originale, per lo più in direzione di una lingua comica colloquiale. Tra i molti esempi possibili: la salsa epityrum (24) è tradotta «ulive
in salamoia»; moechus è «cacciator di gonnelle» «cacciagonnelle» (775, 1131,
1390 etc.); hodie (1030) «prima che annotti»; regnum in caelo (1083) «regno
dei cieli»; caeca amorest (‘è ceca per amore’ 1259) «perché amore l’acceca»;
hercle (1396) «per amore d’Ercole»; si harunc Baccharum es (‘se sei di queste
Baccanti’ 1016), inteso come metafora dell’appartenenza a coloro che stanno
complottando contro il soldato, diviene «se sei della lega»; talentum Philippi… auri (‘un talento di Filippi d’oro’ 1061) «cinquemilacinquecentocinquantacinque piastre d’oro» («cinquemilacentocinquantasei lire d’oro» nella
versione del 1928); meri bellatores (1077) «fulmini di guerra»; ut tu inclutu’s
apud mulieres (1227) «tu sei proprio benedetto fra le donne!»; mulier profecto
natast ex ipsa Mora (1292) «chi disse donna disse ritardo»; propalam fiat nimis
(‘diventi troppo chiaro’ 1348) «la facciano troppo sporca»; ubi lubet (1407)
«fallo anche subito»; fio miser (1337) «oggi mi tocca il malanno»; per epistulam (1225) «con una supplica»; animus… defit (1261) «l’animo mi svapora»;
quemvis (1322) «chi ti bazzica»; operae non parcam meae (1380) «non farò
economia di gambe»; patiar (1227) «pigliamola in santa pace»; oratio alio
mihi demutandast mea (1291) «qui bisogna cambiar musica».
Un caso interessante è rappresentato dal v. 648, Ephesi sum natus, noenum
in Apulis, noenum Animulae (sconosciuta città della Puglia): nella traduzione
del 1928 diviene «sono nato ad Efeso, e non in Puglia e non a Carropèpe»,
con riferimento a Valguanera Carropepe (EN), che poteva suonare bene per
il pubblico siciliano come città dal nome buffo. Nella traduzione della Collezione Romana è poi trasformato in «sono nato ad Efeso, e non in Puglia e non
a Roccacannuccia», che doveva risultare più famigliare nell’Italia centrale26.
Un espediente stilistico abbastanza utilizzato è quello della reduplicazione
o amplificazione espressiva: iam non possum (1360) «non posso, non posso»;
dum lubitumst mihi (1221) «finché m’è parso e piaciuto («mi è p. e p.» 1928)»;
quod ego hic hodie vapularim (1415) «per le busse che oggi avrò ricevute o riceverò» (con ripresa di 1412); pictura (1189) «il quadro come tu lo dipingi («il
quadro come lo dipingi» 1928)»; tuomst principium (1219) «sta a te, attacca»;
ut ipsa se contemnit (1236) «sentila, come si butta giù»; hariolatur (1256) «ma
che odore, ma che naso!»; armati (1273) «coperti d’arme da capo a piedi».
26
Cfr. Serianni 2012, cit., pp. 645 sg.
Il Plauto di Ettore Romagnoli
61
Frequente è il ricorso a modi di dire e locuzioni del parlare comune, inclusi diminutivi e vezzeggiativi, che dànno un quadro interessante e vivo della
lingua d’uso medio-alto del tempo27.
53 «se la spada non ti faceva cilecca», 70 «cucito sempre alle gonnelle loro»,
92 «è la favola di tutti», 184 «andiamo a far compagnia alle croci», 185b
«non si diparta un ette» (‘un nulla’), 242 «rifischiare», 248 «una trappola da
professore» (cfr. 907 «tiro… da professore»), 250 «scavizzolare» (‘cercare dappertutto’), 324 «mi pigli pel bavero» (anche 467), 443 «citrulla», 461 «ne
faccio carne da salsiccia», 471 «una gran brutta gatta a pelare», 473 «m’entra
addosso una gran tremarella», 495 «hai scorbacchiata» (da corvo, corbacchio,
‘deridere’, anche 1161), 538 «menar pel naso», 576 «m’ha pasciuto d’erba
trastulla» (‘illudere’), 627 «ti pare che io sia già con la bocca alla fossa», 632
«(indole) tirata a fil di squadra», 649 «che boccetto spassoso» (‘vecchietto’ in
romanesco), 661 «un ragazzetto», 665 «più blandicelletto d’uno zefirettino»,
668 «zànzero» (‘compagno di baldoria’)28, 673 «quattrini buttati», 675 «chi ha
sale in zucca», 715 «tirano il ròccolo alla mia sostanza» (il roccolo è l’‘appostamento per la cattura di uccelli’), 742 «non venga in uggia», 747 «legar l’asino
dove vuole il padrone», 751 «discorso fritto e rifritto», 755 «sei uscito pazzo»,
757 «per filo e per segno. Che pozzo di scienza, che cervello fino!», 768 «fare
il pelo e il contropelo», 789 e 872 «sgualdrinella», 802 «mariti da far becchi»,
814 «ganza», 833 «hai trincato», 847 «fa’ cuore», 890 «scorda le cose dal naso
alla bocca», 895 «il più conosce il meno» (ritorsione di un’accusa, tipo ‘senti
chi parla’), 905 «non ci ho messo né sale né pepe», 908 «far le viste», 927 «non
t’impacci d’altro», 979 «in quattro e quattr’otto», 984 «vai cercando il pelo
nell’uovo», 989 «cutrettolaccia», 1003 «vezzosa», 1004 «piaciucchiare», 1006
«staffettinetta», 1007 «incapricciare», 1015 «fedelone», 1029 «tira il laccio»,
1040 sg. «altre dimolte hanno il medesimo uzzolo, e non se lo posson cavare», 1044 «corvaccio», 1050 «non tenga a vile», 1071 «questa donnetta non è
una rapa», 1080 «dicevo una panzana», 1098 e 1200 «d’amore e d’accordo»,
1106 «un bel tocco di ragazza» e 1111 «un bel tocco di giovincello» «fammi il piacere», 1133 «servottina», 1141 «che chiacchiera si rimpasta questa
briccona», 1153 «non si caverà un ragno da un buco», 1154 «gherminelle»,
27 Cfr. ivi, p. 644: «non c’è dubbio che la bussola della navigazione tra le due lingue porti
Romagnoli verso un risultato fortemente sbilanciato dalla parte del ricevente, col proposito di
avvicinare il più possibile il lettore del XX secolo al testo antico».
28 La traduzione di 666-668 è anticipata dopo il v. 654 sulla scorta dei dubbi degli editori sulla
collocazione di tali vv. a questo punto (ma nel latino è rimasta la successione tradizionale).
62
Giorgio Piras
1162 «m’inviti a nozze», 1174 «un lavoretto così fino», 1212 «farò abboccare
con te», 1214 «ho la fregola addosso», 1215 «non esser smanioso», 1221 «a
mio bell’agio», 1250 «è uscita di cervello», 1253 «siamo pari e patta», 1335
«poco mi garba», 1376 «ho fatta una corbelleria», 1412 «per le busse che hai
ricevuto e che riceverai», 1424 «gliene appioppo», 1434 «m’hanno corbellato»
«pezzo di brigante».
Come già emerso da qualche sparso esempio, la traduzione del 1928 per
lo spettacolo di Taormina e quella apparsa l’anno successivo nella Collezione
Romana non sono identiche. Già una prima differenza si può notare nell’elenco dei personaggi premesso al testo: i principali sono gli stessi, ma nel
1928, dopo l’ultimo personaggio con un nome proprio, il cuoco Nòcciola,
troviamo “un aguzzino”, “servi”, “ragazzi”, mentre nella Collezione Romana
“servi di Scavezzalarocca”, “un servo di Rigiramino”, “aguzzino”, “cantore”29.
Quest’ultima presenza è il risultato dell’attribuzione del segnale di chiusura
della commedia (plaudite) a un ‘cantore’ che si trova nel solo Cocchia tra gli
editori: nel testo latino del ’29 il verbo plaudite è presente, ma non è tradotto
in nessuna delle due versioni italiane di Romagnoli. Nella traduzione del ’28
mancano poi naturalmente i due argumenta, tradotti in prosa nella Collezione Romana e superflui per un testo destinato solo alla scena. Quasi identiche
sono le didascalie sceniche tra le due traduzioni (in parte mancano però nel
IV atto di quella del 1928).
Qualche modifica è stata effettuata nel testo tra la traduzione del 1928 e
quella del 1929. La prima versione è in generale più letterale e sembra probabile che sia stata condotta in particolare sul testo di Leo e Lindsay, mentre
la seconda, frutto della necessità di affiancarvi il testo latino, risente delle
edizioni di Goetz-Schoell e Cocchia.
14 «Trionfabatoste»: «Trionfabuscarle»; 24 «mi fanno perder la testa»: «mi
mandano in visibilio!»; 28 «per Polluce»: «te lo credo!»; 285 «degna caccia…
l’uomo da nulla, e la bestia dispettosa»: «degna caccia… a bestia dispettosa, uomo da nulla» (la prima segue l’ordine latino); 648 (vd. sopra, p. 60);
788 «allegrotta e ragazzetta»: «ragazzetta e allegrotta» (la prima segue l’ordine
29 Romagnoli segue la successione di Goetz-Schoell e Cocchia fino ad Acroteleuzio (caratterizzata rispetto alle altre edizioni dall’inversione tra Milfidippa e Acroteleuzio), ma poi menziona
il cocus (chiamato Cario nel testo latino) che dagli editori è posto di solito in penultima o ultima
posizione (così Leo e Lindsay): forse ha voluto elencare prima tutti i personaggi con nome proprio.
Eccezionale è la presenza del lorarius, l’aguzzino, che interviene solo al v. 1424 e non da tutti gli
editori è mantenuto come personaggio parlante in quel luogo.
Il Plauto di Ettore Romagnoli
63
latino); 926 «non è possibile»: «non c’è verso»; 936 «di’ un po’»: «senti»; 939
«che regalo ti devo mandare?»: «vedrai che regalo ti manderò!» (il testo latino è interrogativo, come in Lorenz30 e Goetz-Schoell, mentre l’espressione è
intesa come esclamativa in Leo, Cocchia e Lindsay); 942 «congiungimento»:
«collegamento»; 944 «per pensare»: «per riflettere»; 1029 «secondo»: «a seconda»; 1034 «s’appressi»: «s’approssimi»; 1061 vd. sopra, p. 60; 1087 manca
nella prima versione la traduzione della seconda parte del v. con gli interventi
di Palestrione e Milfidippa («For. Perché te ne stai impalata? Perché non te
ne vai? Lip. Vado»: sembra una omissione di una coppia di battute); 1142
«come se l’è lavorato di fino»: «con che garbo se l’è lavorato»; 1181 nel ’29
è aggiunto «ai fianchi un pallio e una cintura», sicuramente sulla base della
nota di Cocchia ad loc.31; 1189 «come»: «come tu»; 1205 «regalato per soprassello»: «elargito, di soprassello»32; 1209 «riuscì a soverchiarmi»: «lei prese
il sopravvento» (lat. obpressit); 1222 «senti che roba – sento»: «senti come la fa
lunga – lo credo » (lat. audin quae loquitur? – audio); 1242 «per nulla affatto»:
«ma nemmen per sogno» (lat. minume); 1255 sg. «dall’odorato… all’odore»:
«al fiuto… al profumo» (lat. olefactu… odore); 1257 «mi ama»: «mi ama, mi
ama» (lat. me amat); 1258 «il profumo»: «l’olezzo»; 1260 «reggimi… e come
mai?»: «ah, ah! Reggimi, reggimi… e perché dovresti cadere?» (lat. tene me…
quid ita?); 1269 «pregato»: «scongiurato»; 1275 «che tu l’avvicini»: «che tu
entri in casa sua» (lat. ad se ut eas); 1278 «ingiungile»: «impartiscile l’ingiunzione» (lat. iube); 1310 «ma mi secco troppo ad aspettare»: «ma ad aspettare, davvero mi secco» (la prima segue l’ordine latino); 1332 «porta acqua»:
«adduci acqua»; 1360 «di portarti»: «di condurti»; 1409 «parla – Non l’ho
fatto a cuor leggero»: «parla; ancora non sei castrato» (la traduzione del ’28 è
basata sul testo di Leo, quella del ’29 su testo e traduzione di Cocchia); 1410
«e tale mi disse che era la servetta che fece la mezzana»: « la servetta che fece
la mezzana mi disse che era una vedova» (lat. itaque ancilla conciliatrix quae
erat dicebat mihi); 1423 «non verranno più teco»: «non li vedrai più al tuo
seguito»; 1435-1437 attribuiti nel ’28 a Pirgopolinice come in tutti gli editori, a Sceledro nel 1929 come solamente in Goetz-Schoell, con la conseguente
variazione «Ma dico che me la sono meritata… la razza»: «e io dico che se l’è
Ausgewählte Komödien des T. Maccius Plautus, erklärt von A.O.Fr. Lorenz, III, Berlin 18862.
Cocchia 1893, p. 155 «II Lambino interpreta praecinctus… “col pallio stretto nei fianchi,
per mezzo di una cintura”».
32 La seconda espressione si trova anche altrove in Romagnoli: p. es. nel suo dramma satiresco
Polifemo del 1913 («La lettura», XIII, 1913, p. 243 = Drammi satireschi, Milano 1914, p. 16; Bologna 1928, p. 20) o nella traduzione di Aristofane, Nuvole, v. 1023, Bologna 1924, p. 99.
30
31
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meritata… la razza loro» (ma, probabilmente per una svista di Romagnoli,
non si torna a Pirgopolinice per l’ultima battuta); 1437 «ritorniamocene a
casa»: «e adesso, torniamocene a casa» (lat. eamus ad me).
Oltre i cambiamenti dovuti all’affiancamento del testo latino e ad un suo
nuovo esame nonché ad una rielaborazione della traduzione che comporta
spesso un progressivo allontanamento dalla lettera plautina, qualche errore
di uniformazione tra originale latino e versione italiana è comunque rimasto
nella versione a stampa del 1929.
I vv. 624 sg., che nel testo latino sono attribuiti a Palestrione come fanno
normalmente gli editori, sono assegnati invece nelle due traduzioni a Rigiramino; i vv. 649 sg., nel testo latino assegnati a Palestrione, sono attribuiti a
Pleusicle/Vogasodo nella traduzione del 192933; i vv. 657-658 sono assegnati
a Palestrione nelle traduzioni, come in Leo e Lindsay, ma nel testo latino il
657 è di Pleusicle, come per lo più negli editori plautini; i vv. 666-668 sono
tradotti dopo il 654, anche se presenti nel latino nella loro collocazione tradizionale34; in entrambe le versioni è saltata la traduzione di 929 sg., benché
presente nel latino35; al v. 1049 è collocato per errore nel testo latino il v. 1053
(certamente per il fatto che entrambi iniziano con nam), che comunque è
presente anche nel luogo giusto (la traduzione è corretta); non è stata tradotta
la seconda frase dell’intervento di Pirgopolinice a 1095 sg. (nam nullo pacto
potest prius haec in aedis recipi quam illam amiserim) pure presente nel testo
latino; 1154-1157 nella traduzione sono assegnati a Pleusicle e la battuta di
1157 sg. a Palestrione, come in Goetz-Schoell, ma nel testo latino 1156-1158
sono attribuiti completamente a Palestrione, come fa Cocchia (da cui pure
deriva il legame nel latino tra dolis di 1157 e date operam di 1158, che non era
in Goetz-Schoell); 1250, sana non es, è reso in terza persona, probabilmente
perché è sfuggita l’espunzione es[t] accolta da tutti gli editori e pure nel testo
latino; nel v. 1289 manca nel testo civis, comunque tradotto («compatrioti»); 1328 quam è errore per quom (giusta la traduzione); i vv. 1333 sg. sono
attribuiti nel testo a Pleusicle (come Cocchia), ma a Palestrione nelle due
traduzioni (come gli altri editori); il v. 1341 non è stato tradotto e così il
33 Forse a indurre in equivoco è stato il rinvio nell’apparato critico di Leo al v. 725, dove a
parlare è Pleusicle.
34 Cfr. nota 28.
35 insistite hoc negotium sapienter. AC. alia cura. PAL. Age, Periplecomene, has nunciam duc intro,
certamente per ‘saut du même au même’ tra il primo intro di fine 928 e quello di 930.
Il Plauto di Ettore Romagnoli
10. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di
Ettore Romagnoli, Messina 1928, p. 152,
silhouette, forse autografa di Romagnoli.
Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti»,
Fondo Romagnoli.
65
11. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, pp. 10-11 (vv.
36-42). Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli.
1370 (certamente per ‘salto da eguale a eguale’ da dicant a dicant); a 1372
nel testo latino viene accolta la suddivisione delle battute tra Pirgopolinice e
Palestrione proposta da Leo (PY. abi iam. PA. patiar quidquid est), ed è quindi
mantenuto al soldato il doppio saluto nel v. 1373, mentre nella traduzione è
presente la suddivisione tradizionale; 1385 era, accolto nel testo latino come
il solo Cocchia, non è tradotto; 1437 (vd. sopra, p. 64).
Nella Biblioteca Civica di Rovereto, tra i libri di Ettore Romagnoli donati dagli eredi e attualmente in fase di catalogazione, è presente una copia
della traduzione del Capitano Spaccone del 1928 con annotazioni autografe
dell’autore che, come si vedrà più avanti, sono il frutto del lavoro di messa
in scena: l’edizione è quindi da datare entro la fine di aprile del 1928, in un
periodo precedente alla rappresentazione a Taormina di quell’anno.
66
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12. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, pp. 20-21 (vv.
160-179). Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli.
Le annotazioni sono a matita, di vario colore, e sono di mano di Romagnoli. Dopo l’indice, a p. 152, c’è una silhouette che potrebbe anche risalire
a lui (fig. 10). Gli interventi effettuati sul testo della commedia sono spesso indicazioni registiche: p. es. dopo la battuta di Scavezzalarocca al v. 19
aggiunge «riprende le evoluzioni» (p. 8), dopo quella del v. 31 «evoluzione»
(p. 9). Talvolta le correzioni sembrano volte ad eliminare quelle porzioni di
testo che potessero rendere più pesante la messa in scena: sono cancellati p.
es. i vv. 98 «State attenti che comincio», 101 «amor reciproco, il migliore
che ci sia» (p. 18). In molti casi passi più o meno lunghi sono cassati, probabilmente con lo scopo di ottenere una riduzione per la scena. P. es. alle pp.
10-11, dopo il v. 37 («me lo ricordo: fu proprio così»), si depenna il testo
Il Plauto di Ettore Romagnoli
13. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore
Romagnoli, Messina 1928, p. 19 (vv. 142-155).
Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli.
67
14. Plauto, Il capitano spaccone. Versione
di Ettore Romagnoli, Messina 1928, p. 9
(vv. 21-27). Rovereto, Biblioteca Civica
«G. Tartarotti», Fondo Romagnoli.
fino al v. 41 (fig. 11)36 per proseguire con la traduzione di 42 («te ne ricordi»,
con evidente intenzione di ripresa immediata da parte di Pirgopolinice della
battuta del v. 37 di Artotrogo). Per lo più sono eliminate battute intere, o
coppie di battute, rispettando in un certo modo la compattezza delle parti
pronunciate dai diversi personaggi (fig. 12).
Oltre ad un consistente abbreviamento del testo, certamente dovuto alle
esigenze di rappresentabilità della commedia che è tra le più lunghe di Plauto,
sembra ci sia stata anche la volontà di renderlo più efficace per il pubblico
contemporaneo. Ad esempio nel caso della fine della prima scena del secondo
atto (p. 19) Romagnoli espunge i vv. 145-153 con un segno di matita che
collega un punto ad un altro del testo, un uso frequente nel volume. Egli
sostituisce inoltre i vv. 154-155, «Ma scricchiola la porta del vecchio: ecco,
esce lui stesso: è questo il vecchio piacevole ch’io dissi», traduzione del segnale
di ingresso in scena per gli attori, con un più comprensibile «E adesso non vi
racconto più nulla: quello che seguirà lo vedrete coi vostri occhi» aggiunto in
margine (fig. 13).
In altre occorrenze Romagnoli varia il testo della traduzione: al v. 58 (p.
12), «di te son tutte quante innamorate», l’aggettivo è sostituito con «pazze»;
il v. 65 (p. 13), «Beate quelle che ci vanno a letto!», è cancellato, forse per cen36 «Scavezzalarocca Che cosa? Strozzapagnotte Quella. Sc. Hai teco… Str. Il taccuino? Eccolo. Ed ecco qui lo stilo. Sc. Interpreti l’animo mio con sottigliezza grande. Str. È giocoforza ch’io
conosca per filo e per segno i tuoi costumi, ch’io mi dia da fare, per capire al fiuto quello che vuoi».
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Giorgio Piras
15. Plauto, Il capitano spaccone. Versione di Ettore Romagnoli, Messina 1928, pp. 24-25 (vv.
209-241). Rovereto, Biblioteca Civica «G. Tartarotti», Fondo Romagnoli.
sura. La semplificazione e riduzione del testo prosegue per tutta la commedia
tramite tratti obliqui di matita. Solo un paio di correzioni effettuate nel testo
sono state poi accolte a stampa nella Collezione Romana. Si tratta del v. 24
(trad. di estur insanum bene, scil. epityrum), «mi fanno perder la testa», che
è corretto in «mi mandano in visibilio», e del v. seguente, «son qui io», con
l’eliminazione del pronome di prima persona (p. 9; fig. 14). Invece la correzione immediatamente successiva nel v. 27 di «Un» in «Il» non compare nella
edizione bilingue.
Dalla p. 24 dell’esemplare ora a Rovereto della traduzione del ’28 iniziano
le correzioni a penna, effettuate probabilmente da un’altra mano e comunque
con una scrittura più incerta, sempre con ogni verisimiglianza a fini scenici.
Tali correzioni non sono state però mai accolte nell’edizione della Collezione
Il Plauto di Ettore Romagnoli
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Romana. Ad es. al v. 218 dopo «E ci sento!» è aggiunto «Taci che adesso»,
collegato direttamente al v. 233, «t’introduco nel campo chiuso delle mie
trappolerie…», detto sempre da Forzanello (fig. 15). A p. 26 il v. 255 «Dici
bene, mi va» di Rigiramino è corretto in «Mi va quello che dici», più aderente
al latino (placet ut dicis), e inteso come risposta alla battuta di Forzanello di
252 («Non può»), mentre i vv. intermedi («Convinciamolo di primo acchitto
a creder vere le nostre pastocchie, e otterrai tutte le dilazioni che brami») sono
cassati col consueto segno. A p. 133, prima del v. 1317 «Ti pregano di andare…», è aggiunto «Tua madre e tua sorella» perché la loro menzione era stata
cassata con l’eliminazione dei vv. 1315-1316 («Vogasodo E salute mi dissero
di augurarti tua madre e tua sorella. Pranzolina Salute anche a loro»). Si
tratta insomma anche per questa seconda serie di interventi di una revisione che mira ad una messa in scena. E così prima della scena ottava del IV
atto (v. 1311, p. 132) troviamo l’indicazione «Musica». Se anche non è stato
Romagnoli in prima persona ad eseguirli in un periodo successivo e magari
un collaboratore, e se anche fossero il frutto di una più tarda ripresa e rielaborazione della sua traduzione, si tratta comunque di ulteriori testimonianze
della sensibilità per il mondo vivo del teatro che è una delle caratteristiche più
evidenti del suo approccio ai testi greci e latini antichi.
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Giorgio Piras
Appendice
‘Manifesto’ della Collezione Romana
(Romanorum scriptorum corpus Italicum, pp. ix-xi)
La letteratura latina ha carattere universale: essa ha offerto modelli ed impulsi
spirituali a tutto il mondo civile.
Di qui la sensazione che sia come un possesso di tutte le genti: sensazione
diffusa e falsa. La terra diviene di pubblico dominio solo quando mancano
eredi; ma gli eredi legittimi dei Latini sono ben vivi: siamo noi Italiani: la
letteratura latina è patrimonio nostro.
Anzi, già il designarla, com’è uso tradizionale, col nome di “latina” implica
e suggerisce un equivoco. Nella vita d’un popolo, le distinzioni per epoche
sono puramente empiriche: fra il mondo latino e l’italiano non c’è soluzione
di continuità; e la letteratura latina è in realtà la prima luminosa giornata
della letteratura italiana.
Patrimonio nostro; e patrimonio vivo ed attivo, che ad alcuni poté e può
sembrare inerte e passivo solo perché occorre metterlo in valore. Si può ripetere per la lingua latina quello che dicemmo per la letteratura; essa non è se
non la prima fase della lingua italiana; ma il corso dei secoli l’ha trasformata
in guisa, che gl’Italiani d’oggi non riescono più ad intendere la loro lingua di
venticinque secoli fa. Gli anni rendono dura e sterile la terra: perché divenga
fertile e fruttuosa, bisogna dissodarla e coltivarla. Perché la letteratura latina
divenga elemento e fattore veramente efficace nella vita intellettuale d’Italia,
bisogna renderla facilmente accessibile a tutti gl’Italiani.
Renderla accessibile non può significare se non tradurla. E tradurla vuol
dire, oggi, non solo renderla meccanicamente intelligibile, bensì farne la
fedele trasposizione nella sensibilità moderna. Impossibile, dunque, giovarsi
delle antiche versioni, che nei migliori casi – rarissimi – effettuarono tale
trasposizione verso sensibilità di tempi trascorsi, e oggi vertiginosamente
allontanati dall’incalzare fulmineo della vita moderna. Occorrono trasposizioni moderne.
La “Società Anonima Notari” (Istituto Editoriale Italiano) s’è accinta a
quest’arduo còmpito, intraprendendo a pubblicare le versioni di tutti quanti
gli scrittori latini, e affidandole a scrittori moderni che nel cimento della viva
letteratura hanno appunto appreso l’arte di parlare agli animi moderni.
Il Plauto di Ettore Romagnoli
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Insieme con le opere integre si offrono anche quelle frammentarie, che
anch’esse hanno tanta importanza nella generale configurazione della letteratura latina. Si vedono così concretarsi, e prendere consistenza e forma autori
che adesso, anche per le persone di molta cultura, non sono altro che mèri
nomi, sia pur gloriosissimi: Ennio, per esempio, Cecilio, Lucilio, Laberio,
Novio, Pomponio.
Di fianco alle versioni si è voluto che apparissero i testi latini in lezioni
correttissime, sicché esista infine, in edizioni accessibili e maneggevoli, quel
corpus italiano di scrittori latini, tante volte auspicato ed invocato, e sempre
con sì poco effetto.
Oltre ai benefici influssi e agl’impulsi ideali, la diffusa conoscenza degli
autori latini servirà a distruggere una quantità di calunniosi pregiudizi che
per opera di maligni e di saccenti si sono andati accumulando intorno alla
letteratura latina, e che si accordano nel dichiararla poco originale e poco profonda, più di forma che di sostanza. La diretta e precisa conoscenza convincerà ogni spirito libero che la letteratura latina non è soltanto la più eloquente
e la più speciosa, bensì una delle più originali e profonde fra quante mai ne
fiorirono al mondo.
Il nome scelto per la Collezione è di per sé un programma. Programma
d’italianità assoluta; che va dalla scelta del direttore e dei traduttori, alla veste
dei volumi, che non arieggeranno in nulla veruna delle consimili collezioni
straniere.