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Ettore Romagnoli traduttore. L'incontro con Orazio

2019, Rivista di cultura e attualità "Riscontri"

Il lavoro si occupa delle teorie espresse da Ettore Romagnoli in merito alla traduzione dei classici latini e greci. L'analisi di tali teorie permette di gettare un ponte tra la polemica nata sul tema nella seconda metà dell'800 e lo stato attuale degli studi classici, al fine di apprezzare l'importanza e la delicatezza dell'opera di esegesi e, appunto, traduzione. Il concetto centrale è che la traduzione consiste in un procedimento creativo: chi traduce, infatti, non è un mero esecutore di una trasposizione di idee non sue in un'altra lingua, ma un demiurgo che offre un prodotto in parte originale. L'esperienza di collaborazione alla Collezione Romana e soprattutto la traduzione del testo oraziano, offrono degli esempi concreti (alcuni dei quali sono elencati a titolo conclusivo) del modo di procedere e di pensare di Romagnoli; egli, infatti, sperimentò concretamente la necessità di ragionare sulla traduzione nei termini di un procedimento critico e creativo, nonché l'utilità di rivalutare costantemente nel tempo le opere di traduzione già svolte al fine di adattarle alle evoluzioni linguistiche e culturali del momento.

Tutti i diritti di riproduzione e traduzione sono riservati Revisione del testo a cura di Lorena Caccamo sito: servizieditorialiloreca.wordpress.com email: [email protected] Responsabile: Ettore Barra Registrazione presso il Tribunale di Avellino, n. 2 del 15/03/2018 Amazon Media EU S.à.r.l. 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L’incontro con Orazio » 35 Francesca Taranto, Filone e Paolo: Giudei, Cristiani e Pagani. Due momenti difficili dell’incontro................................................................. » 63 Mario Sanseverino, Confessare gli italiani in età moderna. Studi, bilanci e nuove prospettive di ricerca........................................................ » 89 MISCELLANEA Lorenzo Spurio, Cattività e delirio sull’isola. Una lettura de Il signore delle mosche di William Golding............................................................ » 113 Giovanni R. Galaffu, Spartacus, le curiosità di un’epica. Un film reso immortale dalla storia e dalla sua storia................................................ » 145 Mirko Mondillo, Wallace tra Freud, Hoffmann e Wittgenstein. La coesistenza di discorsi della certezza e qualità del perturbante in All that » 159 Carlo Crescitelli, Colonizzatori o eroi? La positiva sfida umana nascosta nella volontà di potenza dei profili salgariani.............................. » 173 ASTERISCHI Francesco D’Episcopo, Resistere per esistere...................................... » 179 RECENSIONI Sabrina Carpentieri, Il buco divora anima. Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino..................................................................................................... » 183 Dario Rivarossa, L’arca di Umberto Saba. Sempre a rischio di naufragio » 186 Valentina Domenici, Blade Runner 1971. Il Prequel, La vita e il genio di Philip K. Dick raccontati da sua moglie Tessa................................... » 189 Francesco D’Episcopo, Il Carteggio Fortini-Giudici. Politica e religione nel confronto tra poeti................................................................... » 191 Dario Rivarossa, Dai diamanti non nasce niente, da Flora nascono i fior » 194 ETTORE ROMAGNOLI TRADUTTORE L’incontro con Orazio Nei domini della pura verità e della pura bellezza, non esistono antichi e moderni nel senso letterale cronologico. Antichi, e da lasciarli ai topi, sono, per difetto d’origine, quanti hanno grame idee e povera arte d’esprimerle. Le menti sideree, le musicali voci fatidiche, varcano i secoli roride di giovinezza perenne1. La traduzione dei classici è un esercizio contraddistinto da una peculiare complessità: l’esercizio di traduzione, in generale e a prescindere dalla lingua di partenza, si fonda sulla predisposizione all’ascolto e sul tentativo di sviscerare e comprendere la tessitura di parole e concetti che costituisce un testo. Alla base di ciò, è l’idea che, nel tradurre, sia necessario recuperare tanto il detto quanto il non detto, dal momento che solo acquisendo consapevolezza anche dei sottintesi di un’opera è possibile restituire non un significato generale, ma il senso profondo. Molti, in varie epoche, hanno sottolineato la difficoltà del tradurre: Ortega y Gasset è noto per la sua definizione dei silenzi del 1 E. Romagnoli, Lo scimmione in Italia, Zanichelli, Bologna, 1919, p. XVI. 36 Roberta Rosselli testo, significativi di tutto quanto una lingua non esplicita ed una traduzione non può restituire, pur essendo tuttavia necessario tentare un riempimento, che è l’essenza stessa delle possibilità creative concesse ad un traduttore; Benedetto Croce, in L’intraducibilità della rievocazione, limitò il concetto di “traducibilità” alla prosa «che sia meramente prosa», escludendo dunque non solo la poesia, ma qualsiasi opera di vocazione letteraria. È evidente che la restituzione del senso profondo di un testo o di una sua porzione si contraddistingue per una complessità tanto maggiore quanto più è difficile ricostruire e conoscere quell’insieme di fattori culturali, sociali, politici ed economici che costituiscono l’impalcatura di quella stessa esperienza testuale. La frammentarietà della tradizione dei testi antichi, dunque, frappone notevoli ostacoli sul cammino del traduttore, dell’esegeta, del filologo. Detto ciò, perché tradurre i classici? L’interesse nei confronti del reale significato del tradurre i classici delle letterature latina e greca è frequentemente messo in forse da certi semplicistici tentativi di proporre, ad esempio, di abbandonare la pratica della versione scolastica. La rinuncia aprioristica a tale esercizio e agli studi classici in generale (che in tanta parte si fondano sull’approccio ai testi), in virtù di una presunta inutilità pratica e vista la difficoltà di offrire delle ricostruzioni oggettive dei contesti originari, coincide con una vile, nonché pericolosa, rinuncia alla complessità che soggiace al nostro stesso pensiero critico e alla nostra stessa capacità di produrre del nuovo, di creare. Non è la vana erudizione che deve spingere alla riflessione sul testo antico, ma un genuino e umanistico desiderio di rievocare e conservare; e tale conservazione, a sua volta, non è certo finalizzata ad un accantonamento di nozioni (che poco si distanzia dall’oblio), ma ad una riscoperta del valore dell’indagine storica, dell’analisi che l’uomo da sempre fa di e su se stesso, al fine di contestualizzare il proprio agire e pensare in una linea ben più lunga della propria vita individuale. La reale sfida degli studiosi di cose classiche, specie nell’attuale società liquida, coi suoi ritmi frenetici e con la sua attenzione per i singoli punti di vista e la relatività degli approcci individuali, Ettore Romagnoli traduttore. L’incontro con Orazio 37 risiede nel farsi osservatori dinamici, ri-scopritori attivi, menti aperte ad orizzonti che non si concludono mai con l’hic et nunc. Nello svolgere una versione dal latino o dal greco, ancor più che nel tradurre un testo da una lingua moderna, lo studente o lo studioso verificano quanto, in quell’esercizio, la conservazione della prospettiva individuale e l’approccio critico-creativo siano fondamentali e in nessun caso sostituibili o computerizzabili: la traduzione invita a prendere una posizione, alla concentrazione e all’attesa. Il senso del testo si scopre parola dopo parola; e su ciascun termine si applica un’analisi, un ragionamento che può essere poi, andando avanti, di nuovo oggetto di riflessione, eventualmente di ripensamento. Si analizza il singolo vocabolo senza che esso possa essere tradotto prescindendo dal contesto, e viceversa. Traducendo, si “trasporta” un testo in un’altra lingua ma quel testo non è un oggetto passivo di tale trasferimento; anzi, il preverbo trans- esplicita tutti gli ostacoli, i sottintesi già citati, i silenzi e le ombre, i presupposti e i corollari, che devono essere oggetto di un’interpretazione mai definitiva, di fatto mai univoca. D’altro canto, nel comprendere ciò che si traduce, si valorizza il peso del tempo: «Perché la vita è breve, et l’ingegno paventa a l’alta impresa»2, scriveva il Petrarca, richiamando un’idea già ampiamente rappresentata nella letteratura latina; l’acquisizione del sapere si scontra con lo scorrere indifferente del tempo; e l’attualità è connotata dalla tentazione di velocizzare i tempi dello studio – che rischia quindi di perdere la sua natura di attività graduale e solo progressivamente tesa a risultati stabili – specie tramite il supporto degli strumenti tecnologici. Se è vero, tuttavia, che essi arrecano notevoli e innegabili vantaggi al vivere quotidiano, abbattendo barriere e facilitando la comunicazione e il movimento, è altrettanto vero che nessun cervello elettronico potrà mai sostituire il vivo, plurivoco e intenso sentire della mente umana. Il secondo ’800 vide accendersi un vivo dibattito circa i temi della traduzione e F. Petrarca, Canzoniere 71, 1; cfr. Orazio, Od. I, 4, 15 (vitae summa brevis spem nos vetat inchoare longam); Seneca, De brev. vitae 1,1 (vitam brevem esse, longam artem). 2