Annalisa de FRANZONI
Sulle tracce di Attis ad Aquileia
L’attenzione della critica al tema delle cosiddette religioni orientali ad Aquileia si
deve senza dubbio al ruolo del tutto peculiare che la città ha ricoperto, per la posizione
geografica e la natura emporica, nelle dinamiche di assorbimento, elaborazione e diffusione dei culti di matrice orientale in area nord-adriatica. La ricca documentazione
aquileiese, sia per quanto concerne il materiale archeologico, sia per il suo ingente patrimonio epigrafico, ha in seguito contribuito a fare del sito altoadriatico un prezioso osservatorio per coloro che si vogliano occupare di archeologia del sacro e di “culti orientali”
in particolare1.
Per quel che riguarda il culto di Cibele e Attis, tuttavia, a oggi non vi è una sintesi
organica e aggiornata delle testimonianze disponibili. Tale considerazione riguarda soprattutto la documentazione archeologica, poiché il dossier aquileiese relativo al culto
metroaco è stato oggetto solo in parte di revisione negli ultimi trent’anni2. Ben diversa
è la situazione inerente alla documentazione epigrafica, oggetto di una recente disamina
da parte di Claudio Zaccaria, che in più occasioni si è occupato del tema3.
Tra le numerose difficoltà in cui ci s’imbatte nell’affrontare l’argomento, un problema preliminare è costituito dall’articolazione stessa del culto metroaco nelle sue componenti fondamentali: i ruoli ricoperti dalle due divinità coinvolte, Cibele e il suo paredro
divinizzato, Attis, non sono sempre ben definiti o definibili.
Budischovsky 1977; Giovannini 2001; Maselli Scotti 2001; Steuernagel 2001; Fontana
2004; Giovannini 2005; Maselli Scotti 2009; Fontana 2010.
2
Cfr. CCCA IV, pp. 219-238. Un’unica eccezione è rappresentata dal ritrovamento, qualche anno fa,
di una statuetta in marmo attribuita a Mater Magna, rinvenuta in contesto di reimpiego, Maselli Scotti
2005, pp. 24-28; per una sintesi sul problema cfr. Maselli Scotti 2009, p. 53.
3
Zaccaria 2008a e Zaccaria 2008b. Sulla base delle iscrizioni reimpiegate nelle fondazioni del
battistero aquileiese, lo studioso ha avanzato una nuova ipotesi per la localizzazione del luogo di culto; cfr.
Zaccaria 2008b, pp. 756-758. Da ultimo Giovannini 2013, pp. 102-104, sulla questione del riuso intenzionale con funzioni esaugurali degli ex voto a Mater Magna.
1
215
ANNALISA de FRAnZOni
In assenza di informazioni circostanziate, né ad Aquileia, né altrove, è lecito dare per
scontata la presenza di Attis al fianco di Cibele, secondo una visione dogmatica che vuole una coppia divina come un tutt’uno funzionale dal punto di vista storico-religioso.
L’esigenza di non considerare Cibele e Attis come un complesso unitario è stata ribadita,
ormai qualche anno fa, anche da Dario Cosi: le dinamiche che regolano il rapporto
tra queste due divinità sono fluide e risentono di una molteplicità di fattori esterni che
non consentono generalizzazioni. Non è sufficiente la presenza di Cibele per affermare
l’esistenza di un culto ad Attis, né, viceversa, basta un’episodica attestazione di Attis per
accertare la pratica del culto di Cibele. Nel caso di Aquileia, ad esempio, il risultato di un
simile approccio è stato, talvolta, una sorta di errata percezione della fortuna del culto
di Attis: l’impressione che si ricava è che la diffusione di Attis nel centro altoadriatico sia
soprattutto inferita sulla base della disponibilità di testimonianze epigrafiche per il culto
di Mater Magna. Tuttavia, se lo stretto rapporto tra le due divinità è un dato indubitabile, dal punto di vista strettamente metodologico accomunare tutte le testimonianze al
generico culto di Cibele e Attis rischia di portare all’appiattimento e alla perdita d’indizi
sulle possibili sfumature che il culto può aver avuto in contesti diversi4. Da tempo, per
Aquileia, la critica ha messo in evidenza come, su basi epigrafiche, sembri esservi una
sorta di autonomia tra la diffusione delle due divinità, documentabile almeno per quanto riguarda l’età repubblicana dalla nota dedica Atte Papa5.
La presenza di un culto aquileiese ad Attis non è, naturalmente, da porre in discussione, malgrado lo stato attuale delle conoscenze non permetta di aggiungere molto altro
sulle caratteristiche del culto. Se è vero che Attis è epigraficamente noto ad Aquileia fin
dall’età repubblicana6, è altrettanto vero che i riscontri archeologici per quanto concerne
la documentazione cultuale non sono affatto soddisfacenti. La decontestualizzazione dei
pezzi e la stessa ambiguità iconografica della figura di Attis hanno contribuito negli anni
a un’enorme confusione nella lettura dei dati. Nel dossier aquileiese delle attestazioni
4
Cosi 1982, p. 485: «si tratta piuttosto di una vera e propria coppia, formata dall’accostamento e
dalla reciproca relazione di due unità autonome e distinte, non complementari, ciascuna con le sue proprie
caratteristiche».
5
Ghedini 1990, pp. 256-257; Fontana 1997, p. 97, in particolare nt. 429 con rimando bibliografico. Questo aspetto è stato anche messo in relazione con una possibile importazione del culto direttamente
dall’ambiente microasiatico, avvenuta senza l’intermediazione di Roma, almeno per quanto riguarda la dedica aquileiese Atte Papa (cfr. da ultimo Zaccaria 2008, p. 755). Cfr. Fontana 2001, cc. 116-118, che suggerisce l’idea di un’autonomia nella diffusione del culto di Cibele ad Aquileia rispetto alla capitale sulla base
di alcune considerazioni, tra cui l’assenza in ambito greco della conflittualità Ceres – Cibele, apparentemente
confermata ad Aquileia dall’uso dell’epiteto Cereria per la divinità, e tuttavia presente, al contrario, a Roma.
6
Bandelli 1984, p. 214, n. 75; Ghedini 1990, pp. 256-257; Fontana 1997, pp. 86-98, 187-189,
n. 12 (con ampia bibliografia di riferimento); Fontana 2004, p. 405; da ultimo Zaccaria 2008b, p. 755.
216
sulle tRAcce di Attis Ad AquileiA
riferibili ad Attis rientrano così documenti che non sono stati più rivisti dopo la loro
prima attribuzione.
Come accennato, una prima difficoltà nell’affrontare il tema è rappresentata dal
corretto riconoscimento della figura dell’eroe frigio nell’arte antica: non tutto ciò che
può rientrare nello schema iconografico noto per il pastore orientale va necessariamente
attribuito ad Attis. In secondo luogo, anche nel caso in cui un soggetto possa, a buon
diritto, essere identificato con l’eroe frigio, l’attribuzione della testimonianza alla sfera
del sacro non può avvenire in modo immediato. Questa considerazione è valida, naturalmente, per qualsiasi immagine di divinità, ma nel caso di Attis ha un peso particolare,
se si considera la grande fortuna dello schema del pastore orientale nell’arte romana di
età imperiale in ambito funerario e domestico7.
L’opportunità di riconoscere l'eroe frigio nelle numerosissime rappresentazioni di
giovane dal costume orientale in atteggiamento affranto (cosiddetto “Attis tristis”), che
compaiono nel mondo romano tra I e II secolo d.C., è da tempo al centro di una vivace
discussione in ambito scientifico8. Allo stato attuale della ricerca, la tendenza prevalente
è quella che pone in stretta relazione il cosiddetto “Attis tristis” con il motivo ellenisticoorientale dei due servi o custodi del sepolcro o, ancora, con gli “eroti tristi” portatori di
fiaccola9. In passato, tuttavia, si è voluta stabilire una connessione tra la diffusione del
7
La discussione sul significato dell’“Attis tristis” o “Attis funerario” è, in effetti, ancora sostanzialmente aperta, per Aquileia cfr. Mio, Zenarolla 2005, con bibliografia precedente; inoltre CsiR Buttrio 2007,
pp. 51-53, ST. 2 (P. Maggi), CsiR Buttrio 2007, pp. 86-89, R. 17-R. 18 (L. Zenarolla).
8
Per Aquileia Scrinari 1972, nn. 12-17, 384-387; CsiR Buttrio 2007, pp. 51-53, ST. 2 (P. Maggi),
CsiR Buttrio 2007, pp. 86-89, R. 17-R. 18 (L. Zenarolla). Per la Transpadana centrale il tema era già stato
affrontato da Sena Chiesa 1997, p. 303. Per la bibliografia di riferimento si rimanda a CsiR Buttrio 2007,
p. 87, nntt. 452-456 (L. Zenarolla).
9
Cfr. CsiR Buttrio 2007, pp. 86-87, con ampia bibliografia di riferimento. Secondo alcuni, questi
soggetti alluderebbero ai giovani prigionieri troiani uccisi da Achille sul rogo di Patroclo, con significativi
confronti nella pittura vascolare greca e italiota e nella scultura dell’Asia minore in età ellenistica. In età
romana tali figure ben si adatterebbero ad esprimere mestizia e afflizione (in particolare p. 87, nt. 452).
Secondo Gemma Sena Chiesa, in realtà, i due personaggi rappresenterebbero un’evoluzione del motivo
dei due servi o guardiani del sepolcro, stanti a gambe incrociate, di tradizione ellenistico-orientale. (Sena
Chiesa 1997, p. 303, in particolare nt. 92). La studiosa richiama l’attenzione, inoltre, sull’iconografia degli
“eroti tristi” a gambe incrociate e fiaccola rovesciata (o solo dormienti) che compaiono su numerosi monumenti medioadriatici di età ellenistica (p. 303, nt. 93). Non accoglie l’ipotesi di vedervi una trasposizione
in ambito di celebrazione funeraria privata del motivo dei barbari dolenti posti ai lati di un trofeo, molto
diffuso nell’iconografia propagandistica augustea. Queste posizioni tendono, opportunamente, a non riconoscere una relazione diretta tra il motivo iconografico costituitosi e il culto orientale. Per Marie-Christine
Budischowsky « (…) il s’agit de représentations plus culturelles que cultuelles», Budischowsky 1977, p.
102; cfr. Fontana 1997, p. 98; Verzar Bass 2000, p. 148, secondo cui le tipologie statuarie dell’Attis tristis
e dei Dadofori non autorizzano a stabilire un riferimento diretto al culto di Mater Magna. La duplicazione
simmetrica della figura di pastore orientale sui lati dei monumenti funerari conforta questa ipotesi. Cfr.
Sena Chiesa 1997, p. 303; così anche Cambi 2003, p. 511; cfr. inoltre Dexheimer 2001. Si segnala che
217
AnnAlisA de FRAnZOni
motivo dell’“Attis tristis” e la fortuna del culto10 e perfino suggerire l’ipotesi che questa
specifica scelta iconografica celasse implicazioni religiose11. Un tale approccio può forse
spiegare l’inserimento in blocco dei cosiddetti Attis tristis nel fondamentale lavoro di
Marteen Vermaseren sul culto metroaco12. Nel caso di Aquileia numerosi documenti,
per i quali una destinazione funeraria è altamente probabile, rientrano così nel computo
della documentazione sul culto metroaco, contribuendo a creare una sorta d’imbarazzo
per chi si trovi a valutarne le possibili relazioni con la sfera del sacro13.
Alla luce di quanto detto, è sembrato utile tornare sul tema con qualche osservazione
nella speranza di offrire nuovi spunti di riflessione per alcuni casi di studio.
Come accennato, la problematicità dell’identificazione di Attis è alla base delle difficoltà di interpretazione della documentazione archeologica14.
nel caso di una duplicazione motivata da speciale devozione religiosa o legata a dottrine soteriologiche, sarebbe, infatti, molto più plausibile trovare una rappresentazione simmetrica costituita dai due aspetti attidei,
l’Attis tristis e l’Attis hilaris; questo almeno a partire dall’istituzione degli Hilaria, generalmente attribuita
all’imperatore Claudio. Sul simbolismo legato alla tradizione mitico-cultuale relativa a Attis cfr., ad esempio,
Lancellotti 2001, in particolare pp. 128-129 e 137.
10
Cfr. EAA I, s.v. Attis, pp. 907-908 (A. Brelich), p. 908: la presenza di Attis funerari a decorazione
di monumenti sepolcrali è messa in relazione con la natura misterica della divinità.
11
Cfr. Ghedini 1990, p. 256. Secondo la studiosa, la precoce recezione del dio frigio in area adriatica
potrebbe giustificare la grande fortuna di cui godette in area aquileiese (ed anche padana) l’Attis funerario.
Margherita Tirelli sostiene un rapporto diretto tra recezione del modello dell’Attis funerario e attestazione
del culto sulla base della precocità delle figure di Attis funerario ad Altino, Tirelli 1997, p. 203. Cfr. CsiR
Buttrio 2007, p. 53 (P. Maggi) e CsiR Buttrio 2007, p. 86 (L. Zenarolla), in cui non si esclude che il
motivo originario abbia subito un’evoluzione, caricandosi anche delle valenze simboliche ed escatologiche
legate al mito di Attis, incentrato sull’idea di resurrezione e immortalità.
12
CCCA IV, pp. 93-95, nn. 226-233, pp. 95-96, nn. 237-238.
13
La questione investe necessariamente il problema della decodifica delle immagini presenti sui monumenti funerari e la loro attribuzione a un repertorio di genere anziché a scelte consapevoli della committenza; per un quadro generale si veda Ortalli 2005, in particolare pp. 247-248, 258. Ortalli accomuna
i cosiddetti “Attis tristis” ai geni funerari e agli eroti come figure che introducono tematiche introspettive
legate al congedo, alla mestizia e al destino ultraterreno.
14
Cfr. EAA I, s.v. Attis, pp. 907-908 (A. Brelich); Vermaseren 1966; cfr. LiMC III, s.v. Attis, pp.
22-44 (M. J. Vermaseren, M. De Boer). Il punto di partenza per l’indagine dei caratteri salienti di Attis
deve essere costituito dalle testimonianze figurative certe, in genere quelle che ritraggono il giovane in associazione a Cibele. Attis, in effetti, vi compare quasi sempre con le sembianze di un pastore orientale con
exomis, anaxirydes, berretto frigio e pedum. È noto come questi caratteri iconografici siano, di per sé, comuni
a un buon numero di figure maschili dell’arte antica, quali, ad esempio, Mitra, Paride e Ganimede, cfr.
Vermaseren 1966, in particolare p. 54). Sul problema della lettura di figure in costume orientale cfr. anche
Coscia 1999, pp. 12-15, 16-20. Spesso a completamento della figura maschile si aggiungono altri oggetti
riferiti alla vicenda mitica o al rituale metroaco: strumenti musicali, quali la syrinx, che fin dall’epoca omerica assume una connotazione rustica e ha impiego essenzialmente pastorale, cfr. DictAnt IV, II, s.v. syrinx,
p. 1596 (T. Reinach); pigne o un albero di pino. Tra gli elementi ritenuti maggiormente caratterizzanti vi
è, in particolare, il berretto frigio, cosiddetto “pileus” o “tiara”. I due termini, tuttavia, non possono essere
considerati equivalenti, malgrado l’affinità iconografica. In virtù della caratterizzazione etnica del termine
218
sulle tRAcce di Attis Ad AquileiA
Un esempio di tale complessità è rappresentato da una lucerna fittile aquileiese rinvenuta in località Marignane (fig. 1)15. Si tratta di una lucerna di tipo Loeschcke I B con
spalla decorata e figurazione sul disco. Il pezzo si presenta in ottimo stato di conservazione, ad eccezione del becco, sbrecciato nella parte destra. Al centro del disco è raffigurato
un busto maschile di giovane con il viso rivolto a destra; il personaggio porta berretto
frigio sul capo e indossa una tunica. Sulla spalla, grossomodo in asse con il beccuccio, è
incisa la parola “voto”, con le vocali a cerchio umbicato, che riprendono la decorazione
all’altezza dell’innesto tra disco e beccuccio.
Proprio questo elemento permette di fugare ogni dubbio sulla destinazione cultuale
del pezzo. La genericità della raffigurazione è, tuttavia, estremamente marcata rispetto ai
confronti disponibili per lucerne a tema metroaco16: la caratterizzazione sommaria consente di identificare dubitativamente il soggetto con Attis, con Mitra o con uno dei suoi
dadofori. La propensione a riconoscervi Attis viene dall’osservazione di un motivo decorativo, anch’esso inciso sulla spalla, inconsueto per il tipo di lucerna. Si tratterebbe, con
buona probabilità, di una ghirlanda di aghi di pino17, anche se, in assenza di riscontri
per il culto frigio, la resa frettolosa potrebbe far pensare ugualmente a un semplice elemento di riempimento. La decorazione della lucerna aquileiese conta alcuni confronti in
ambito africano: si tratta di due lucerne fittili provenienti da sabratha18 e da Cartagine19,
collocabili entro il II secolo d.C. Il motivo sulle lucerne africane, tuttavia, si differenzia
da quello sul pezzo aquileiese oltre che per lo stile, decisamente più naturalistico, per la
rappresentazione di una syrinx e la presenza del mantello20. Il parallelo più fedele per la
lucerna aquileiese sarebbe, secondo Elena Di Filippo Balestrazzi, un pezzo proveniente
da Veldidena (Wilten). Nondimeno, come ha segnalato la stessa studiosa, nell’esemplare
“tiara” si ribadisce l’opportunità di accogliere questa denominazione per il berretto frigio, già preferita da
Vermaseren 1977. Con il termine tiara, infatti, s’intende il berretto portato tradizionalmente dalle popolazioni della parte nord-occidentale dell’Asia, cfr. DictAnt V, s.v. tiara/tiaras, pp. 296-298 (O. Navarre).
15
Di Filippo Balestrazzi 1988, p. 50, I. c. 2.1 (n. 485), tav. 85; Roma sul Danubio 2002, p. 274, Vb
44. Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, n. inv. 7728. Dimensioni: lungh. cm 9,1; larg. 6,8; diam.
disco 4,5.
16
Per la figura isolata di Attis a figura intera cfr. CCCA IV, n. 3 (Cuma: Attis con cesto di frutta, genitali scoperti); CCCA V, n. 55 (sabratha: Attis, albero di pino, syrinx e pedum); per il busto della divinità cfr.
CCCA IV, n. 147 (Catania: busto di Attis, doppio flauto, torcia, cembali e timpano); CCCA V, nn. 54, 58
(sabratha: busto di Attis con syrinx), 108 (Cartagine: busto di Attis con syrinx); CCCA VI, nn. 27, 28, 34
(Colonia Claudia Ara Agrippinensis e Rodenkirchen: testa di Attis con berretto frigio e conchiglia).
17
Cfr. Roma sul Danubio 2002, p. 247.
18
Cfr. CCCA V, p. 23, n. 54, con bibliografia di riferimento.
19
Cfr. CCCA V, p. 39, n. 108, con bibliografia di riferimento.
20
Sulle lucerne a tema metroaco si veda anche Marani 2011, pp. 115-126. Attis è in genere rappresentato assieme a Cibele; la raffigurazione del solo busto maschile è in genere poco attestata rispetto ad altri
schemi (Attis disteso, stante accanto ad un albero, su carro), ancora Marani 2011, pp. 122-123.
219
AnnAlisA de FRAnZOni
austriaco manca proprio la decorazione sulla spalla, caratteristica che, in questo caso,
sembra dirimente per la corretta identificazione del soggetto.
Il documento appena presentato costituisce un caso emblematico sia per la peculiarità della classe di materiale alla quale appartiene, sia per l’assenza di confronti vicini
in ambito nord-adriatico. Accanto alla questione strettamente iconografica, esso consente di introdurre anche il problema della destinazione d’uso di tali manufatti, qui
resa esplicita dal termine “voto” graffito sulla spalla. Proprio la tecnica di esecuzione di
questo elemento, in effetti, induce a considerare la lucerna aquileiese come l’esito di una
produzione seriale su vasta scala, non necessariamente destinata all’uso votivo, ma particolarmente versatile. In questa circostanza, soltanto l’ottimale stato di conservazione
del pezzo ha permesso di coglierne appieno il valore documentario. La genericità della
figura del pastore orientale poteva andare incontro sia al gusto per l’oggetto domestico
sia alla “moda” del cosiddetto “Attis tristis” di ambito funerario sia, infine, alle esigenze
di ambito più strettamente cultuale. In quest’ultima eventualità la scelta di rappresentare
soltanto un busto di giovane con berretto frigio e tunica, privo di altre caratterizzazioni,
avrebbe reso legittime più letture.
Un caso di un certo interesse è quello di una testa di piccole dimensioni (ca 12 centimetri) rinvenuta in località Beligna e edita da Irene Favaretto (fig. 2)21. Il pezzo si presenta
franto all’altezza delle spalle e conserva il capo di un giovane con berretto frigio dai capelli
riccioluti, che ricadono ai lati del volto. Malgrado lo stato di conservazione non ottimale
della superficie, l’impiego del marmo bianco fine e la qualità di lavorazione hanno suggerito alla studiosa una destinazione diversa rispetto a quella delle numerose figurine a
carattere funerario, realizzate in calcare locale e dallo stile grossolano rinvenute nel sito22:
l’assegnazione del pezzo al dossier aquileiese delle testimonianze di Attis è avvenuta, così,
in maniera quasi automatica23. Dal punto di vista metodologico, tuttavia, si ritiene che
lo stato di conservazione, fortemente frammentario, non consenta di esprimersi in modo
esclusivo a favore di una identificazione con Attis. Nulla vieterebbe di immaginare, per
esempio, che la parte mancante della statuetta fosse completa di torcia o di attributi propri
a figure diverse dall’eroe frigio24. L’assenza di informazioni circostanziate sul contesto di
provenienza e sulla collocazione originaria del pezzo, inoltre, non consente l’attribuzione
21
Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, n. inv. 9760 (?), cfr. Favaretto 1970, pp. 183-186,
fig. 17a-b; CCCA IV, p. 92, n. 223. La datazione al principio del II secolo d.C. si basa su considerazioni
stilistiche, tra le quali l’assenza nel pezzo di purezza e linearità stilistica proprie dell’età giulio-claudia.
22
Favaretto 1970, p. 185.
23
Il pezzo è inserito nel dossier di Vermaseren (cfr. CCCA IV, p. 92, n. 223).
24
Questa indeterminatezza è poi accresciuta dal fatto che si tratta visibilmente di un pezzo non-finito
come evidenziato dall’analisi di Favaretto 1970, p. 185: in particolare sono alcuni tratti del volto a essere
solo delineati (occhio sinistro) o privi di contorno netto (naso e bocca).
220
sulle tRAcce di Attis Ad AquileiA
sine dubio alla sfera del sacro, né, tantomeno, al solo culto di Attis25. La pertinenza della
scultura a una produzione seriale26, suggerita dalla traccia di un punto di copiatura sul
mento già individuata da Favaretto, induce a considerare anche altri ambiti di collocazione, quali l’arredo domestico o quello funerario. Nel caso, molto probabile, in cui la testa
appartenesse ad una figura intera, stante27, le dimensioni del frammento farebbero pensare
ad un'altezza complessiva di circa 1 metro, dimensione del tutto compatibile anche con
una destinazione domestica28.
Veniamo, infine, ad un controverso caso aquileiese per il quale è stato escluso da tempo ogni riferimento cultuale. Si tratta del celebre ciclo aquileiese di imagines clipeatae,
oggetto di un recente riesame da parte di Giulia Mian, tra le quali è stato individuato
anche un busto di Attis (fig. 3)29.
Allo stato attuale degli studi, la serie è stata interpretata come una raffigurazione del
Dodekatheon30: malgrado alcune identificazioni restino incerte, la composizione del consesso divino sarebbe la seguente: Minerva, Giove, Vulcano, Marte, Mercurio, Giunone,
Venere, Ercole, Cerere (?), Attis/Mitra, divinità femminile (Vesta o Cibele?). A queste
25
La questione della provenienza della piccola testa marmorea s’inserisce in una problematica di più
ampio respiro che concerne la natura e le modalità di formazione del dono Ritter-Záhony, di cui essa farebbe parte. La donazione, la cui composizione è considerata generalmente un gruppo omogeneo proveniente
dallo scavo del 1881-1882 in località Beligna e riferibile al materiale di un’unica bottega, potrebbe in realtà
essere costituita anche da materiale di precedente acquisizione e di diversa provenienza. Per la questione cfr.
Favaretto 1970, pp. 134-136. Alla luce delle osservazioni della studiosa sembra senz’altro più persuasiva
l’idea di un mescolamento di materiale di provenienza eterogenea, in cui ad un primo gruppo di sculture,
realmente riferibili allo scavo sopraindicato, vanno sommati rinvenimenti coevi, soltanto dubitativamente
ascrivibili alla stessa area topografica, entrati a far parte della collezione Ritter-Záhony (cfr. Favaretto
1970, p. 134, nt. 38, n. 820).
26
Favaretto 1970, p. 185.
27
Si segnalano due frammenti aquileiesi di figura maschile nel consueto schema del cosiddetto “Attis
tristis” eseguiti in marmo bianco e greco, le cui proporzioni risultano grossomodo compatibili con il pezzo
presentato; cfr. CCCA IV, p. 95, nn. 235 e 236. Naturalmente lo schema figurativo adottato non è in alcun
modo determinabile, perciò l’appartenenza della testa ad una figura stante è una delle ipotesi.
28
Si ricordano, ad esempio, i cosiddetti “Attis” trapezofori dall’area vesuviana, cfr. Mio, Zenarolla
2005, pp. 656-657. Vedi anche Moss 1988, pp. 394, 399-400, 405-407, 411, 413, 419; Bacchetta 2002,
Marmora Pompeiana 2008, pp. 273-373 con una sintesi sullo stato dell’arte in cui si sviluppa anche una discussione sul significato da attribuire alla scelta del soggetto in ambito domestico; vi sono, inoltre, alcuni interessanti confronti disponibili per l’impiego della “maschera” di pastore orientale nella classe dell’oscillum,
cfr. Bacchetta 2005, p. 414, T31, tav. VII, 5; p. 561, R18, tav. L, 2. Nondimeno, si ricorda che il soggetto,
di per sé, introduce in modo generico la tematica bucolico-pastorale, risultando adatto anche all'arredo da
giardino.
29
Mian 2004, in particolare pp. 470-494; Mian, Rigato 2005; Cfr. Sperti 2004, il quale avanza per
primo l’ipotesi che i medaglioni superstiti appartengano a due serie distinte di clipei. Da ultimo Costantino
e teodoro 2013, pp. 225-231, nn. 34-39.
30
Cfr. Mian, Rigato 2005 (con bibliografia precedente).
221
AnnAlisA de FRAnZOni
va poi aggiunta una tredicesima figura extra ordinem, costituita dall’immagine della Dea
Roma. Se questa ipotesi fosse confermata, si tratterebbe, tuttavia, di una formulazione
non convenzionale del gruppo di divinità31: rispetto all’elenco canonico vi sarebbero
Ercole32, talvolta presente nel consesso in sostituzione di Nettuno, e la presunta coppia
Attis-Cibele al posto della coppia Apollo-Diana. Generalmente in letteratura ci si limita
ad ammettere quest’ultima anomalia ritenendo che l’inserimento di queste ultime divinità all’interno del gruppo sia giustificato dalla grande fortuna del culto metroaco in età
tardoantica33.
Il frammento in questione, realizzato in marmo proconnesio34, conserva la testa e
una piccola parte del collo di una divinità maschile in giovane età, dai capelli mossi,
con lieve anastolé centrale35 (h. max conservata 41 centimetri)36. La parte superiore del
capo è costituita da una calotta liscia che presenta un foro quadrangolare con tracce di
piombatura nella parte centrale anteriore (fig. 4)37; leggermente arretrati rispetto a queIl gruppo canonico delle dodici divinità greche, così come codificato sia dalle fonti letterarie, sia
in riferimento alla rappresentazione del Partenone, risulta così composto: Zeus-Hera, Poseidon-Demeter,
Apollon-Artemis, Ares-Aphrodite, Hermes-Athena, Hephaistos-Hestia. Alla cosiddetta sequenza “ionico-attica”
si aggiungerebbe una seconda sequenza olimpica, di cui rimane notizia in Pausania, sensibilmente differente: Zeus, Poseidon, Hera, Athena, Hermes, Apollon, Charites, Dionysos, Artemis, Alpheios, Kronos e Rhea (cfr.
Röscher VI, s.v. Zwölfgötter, cc. 764-848, in particolare per la composizione cc. 785-786 (O. Weinreich).
Per l’iconografia dei Dodici Dei, LiMC III, s.v. Dodekatheoi, pp. 646-658 (G. Berger-Doer), Will 1951;
Long 1987. Nel pantheon latino le divinità che costituiscono il gruppo degli Dei Consentes sono: iuppiter–iuno, Neptunus-Ceres, Mars-Venus, Apollo-Diana, Mercurius-Minerva, Volcanus-Vesta; il gruppo compare
per la prima volta così codificato in Ennio. Anche qui vi sarebbero delle variazioni, sia nel numero delle
divinità, sia nella composizione del gruppo. Si ricordano le composizioni “bucoliche” degli Dei Consentes
nella versione di Varro rust.1.1.4-6 e di Verg. georg. 1.5-35.
32
La presenza di Ercole nel Dodekatheon si riscontra, ad esempio, in un affresco pompeiano e nel
fregio del Tempio di Adriano a Efeso; cfr. Long 1987, pp. 308-310. Il confronto è particolarmente interessante, poiché anche qui vi sarebbe Roma come figura di amazzone extra ordinem. Si ricorda che in questo
caso, tuttavia, si tratta di un contesto pubblico. Nell'opinione di Giulia Mian, Ercole andrebbe escluso dalla
serie (cfr. Costantino e teodoro 2013, p. 226).
33
Un impulso in tal senso sarebbe stato dato dalle dottrine neoplatoniche e dalla larga diffusione del
rito del taurobolio, Bergmann 1999, pp. 169-171; secondo la studiosa, esito del neoplatonismo fu la sublimazione delle due divinità orientali rispettivamente come madre di tutti gli dei e come divinità cosmica.
Bergmann è tra coloro che sostengono inoltre che, nella delicata fase di passaggio tra paganesimo e cristianesimo, l’interpretazione delle figure antiche del mito poteva convergere facilmente a valori cristiani.
34
La provenienza del marmo è stata verificata tramite analisi di laboratorio su un campione del clipeo
con Dea Roma (Mian 2004, p. 470, nt. 173); in precedenza Fogolari aveva supposto si trattasse di marmo
italico (Fogolari 1953, p. 141).
35
Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, n. inv. 48627. Il pezzo era murato nella stalla di proprietà Cassis Gortani a Terzo di Aquileia.
36
Per una sintesi completa delle misurazioni delle singole parti anatomiche del volto si rimanda a
Mian, Rigato 2005, p. 666.
37
Le tracce di piombatura furono già viste da Brusin (Brusin 1930, pp. 439-440, n. 23), ma non
31
222
sulle tRAcce di Attis Ad AquileiA
sto, vi sono poi due segni minori, di forma circolare, interpretati come fori laterali per
il fissaggio di un elemento metallico da Brusin38. Più che dei veri e propri alloggiamenti
per la saldatura di un elemento metallico, tuttavia, essi sembrano piuttosto l’esito di una
impressione o di una scalfittura.
La calotta è stata interpretata, pressoché univocamente, come la porzione inferiore
di un pileo: ciò ha inevitabilmente condizionato ogni successiva proposta di riconoscimento del personaggio, identificato con Attis, con Mitra o con uno dei Dioscuri39.
La preferenza accordata ad Attis si basa principalmente sul confronto del pezzo con un
clipeo di divinità maschile con pileo e anastolé appartenente alla serie di medaglioni con
divinità dalla villa di Chiragan, nella Francia meridionale (fig. 5).
La testa francese costituirebbe l’unico esempio finora noto di inclusione della divinità orientale nel consesso dei Dodici Dei40; l’identificazione con Attis del giovane dio con
pileo da Chiragan sarebbe avvalorata, inoltre, dalla presenza di una divinità femminile
con corona turrita, interpretata con Cibele, all’interno della serie41.
Senza volere entrare nel merito della discussione sull’identità delle divinità rinvenute
a Chiragan, sarebbe utile, tuttavia, riconsiderare l’importanza del confronto da sempre
istituito con il ciclo di imagines clipeatae da Aquileia. Se, infatti, è innegabile una stretta
relazione dal punto di vista tecnico, stilistico e cronologico per quanto concerne le due
serie, vanno rilevate delle significative differenze dal punto di vista contenutistico: entrambe le opere rappresentano dei consessi divini, ma è importante sottolineare come,
allo stato delle conoscenze, non vi sia prova di una identità tra le divinità scelte nell’uno
e nell’altro caso. In particolare, nel ciclo francese la coppia “Attis-Cibele” non sarebbe
risultano nell’analisi più tarda di Giulia Fogolari, che considera il foro come la cicatrice d’attacco della punta
del pileo (Fogolari 1953, pp. 155-156 «breve rottura a cerchio un po’ irregolare»); così anche Mian 2004,
p. 480. È doveroso precisare che la collocazione museale di alcuni medaglioni della serie, murati nella parte
alta di una delle sale al piano terra del Museo Archeologico Nazionale, ha per lungo tempo precluso un riesame completo dei pezzi. La presenza di queste tracce cospicue di piombatura risulta confermata dall’esame
autoptico del pezzo; vedi anche Giulia Mian in Costantino e teodoro 2013, p. 230, n. 38. Si ringrazia per la
disponibilità e la gentilezza la dott.ssa Paola Ventura, direttrice del Museo Archeologico Nazionale.
38
Ipotesi accolta anche in Mian 2004, p. 480, oggi ormai abbandonata (Costantino e teodoro 2013, p.
230, n. 38). Alla luce del recente riesame del pezzo (vedi nt. precedente) la studiosa ritiene il foro centrale e
i due laterali funzionali all'aggancio della punta del pileo, lavorato a parte.
39
In passato non vi è stato accordo circa la determinazione della figura ritratta in questo clipeo: Attis o
Dioscuro (Fogolari 1953, p. 156; cfr. anche Scrinari 1972, p. 195; Budischowsky 1977, p. 102), Mitra
(Winkes 1969, pp. 77; 133-134, h; 252, d), Apollo (Brusin 1930, pp. 439-440, n. 23). Maurizio Buora
parla genericamente di “testa maschile”, Buora 1988, fig. 8. Da ultimo Mian 2004, pp. 479-480; Mian,
Rigato 2005, p. 664, nt. 17; p. 666; Sperti 2004, p. 163. Lo studioso, pur con cautela, ritiene che tra le
diverse ipotesi d’identificazione quella con Attis sia la meno gratuita.
40
Sperti 2004, p. 163.
41
Per la corona turrita come attributo divino cfr. Deonna 1940, pp. 119-236.
223
AnnAlisA de FRAnZOni
l’unico elemento di novità rispetto ad un Dodekatheon di matrice classica, del quale, di
norma, non fanno parte, in effetti, nemmeno Esculapio ed Igea, pur presenti a Chiragan42. Nel caso di Aquileia, al contrario, a oggi le divinità sicuramente individuate rimandano tutte alla composizione canonica dei Dodici Dei; inoltre, la presenza di Roma,
come divinità extra ordinem, conferisce un’impronta spiccatamente ufficiale all’opera.
Com’è già stato sottolineato da coloro che si sono occupati del tema, la scelta aquileiese
di inserire un Dodekatheon nell’apparato decorativo di un complesso residenziale “privato” di alto livello43, rientrerebbe in quel clima di conservazione e valorizzazione delle
memorie storiche artistiche cittadine tipico del mondo romano di IV secolo d.C.44.
Di recente Luigi Sperti ha ribadito come il ciclo di Aquileia si distingua proprio per la
forte impronta classicista, ravvisabile tanto nel tema rappresentato, quanto nello stile
adottato45. Alla luce di ciò, pertanto, nel ciclo aquileiese apparentemente non si comprende appieno la volontà di “attualizzare” il Dodekatheon classico con l’introduzione
di figure extra ordinem senza un preciso riferimento ad un coevo modello letterario o
artistico colto46. La possibilità di mettere in relazione l’inserimento della presunta coppia
Cibele-Attis con la fortuna delle due divinità in età tardoantica, sulla scia delle dottrine
neoplatoniche, non tiene in dovuto conto il recupero e l’elaborazione delle stesse teorie
platoniche sull’origine del Dodekatheon che avviene in ambiente filosofico più o meno
nel medesimo periodo47. Sulla base di tali considerazioni si ritiene che un esame più
42
Nel caso di Chiragan, inoltre, la presenza di Ercole sarebbe facilmente giustificabile dal momento
che i medaglioni dovevano fare da pendant alla rappresentazione delle fatiche di Ercole; cfr. Bergmann
1999, pp. 169-171.
43
Per un quadro delle proposte di collocazione della serie si veda Mian 2004, pp. 490-493; Mian,
Rigato 2005, p. 663. Sulla questione da ultimo Mian, Villa 2013, pp. 76-77.
44
In merito alla datazione della serie, si veda Verzar Bass 1991, p. 272, Mian 2004, pp. 493-494.
45
Sperti 2004, p. 186.
46
Secondo Giulia Mian vi sarebbe una piena consapevolezza da parte del committente nel rappresentare il pantheon pagano nella sua interezza, Mian 2004, p. 494. Inoltre, preme sottolineare come, in linea
generale, le anomalie alla composizione canonica si traducano spesso in scelte consapevoli, legate a realtà locali o momenti storici particolari. Nel già citato caso del tempio di Adriano a Efeso, ad esempio, la presenza
di Androklos come eroe eponimo, così come quella di Ercole e Roma, vanno ricondotte, infatti, al carattere
civico del monumento. Nel caso dell’inserimento di Iside nel Dodekatheon, inoltre, spesso si è di fronte ad
una rappresentazione dei Dodici Dei intesi come numi tutelari dei mesi e, dunque, Iside prende il posto di
Diana come divinità protettrice del mese di novembre, cfr. Long 1989, p. 590.
47
Per il IV secolo si segnala l'opera di Sallustio, esponente della scuola neoplatonica pergamena (cfr.
Long 1987, pp. 114-115). Il gruppo dei Dodici corrisponderebbe così alla moltiplicazione delle quattro
funzioni divine (creazione, vita, armonia, protezione) per il numero tre (ciascuna nel suo inizio, sviluppo e
fine) e ogni divinità occuperebbe un posto ben preciso all’interno della sequenza, assolvendo una funzione
precipua per il mantenimento dell’ordine cosmico. Anche in questo caso, tuttavia, le fonti letterarie non
riporterebbero la presenza della coppia Cibele-Attis; d’altra parte, anche una sostituzione puramente funzionale di Apollo e Diana con le due divinità orientali non sembra essere soddisfacente. Significativamente
224
sulle tRAcce di Attis Ad AquileiA
approfondito del significato del tema e delle sue variazioni nel IV secolo d.C. potrebbe
forse dare ragione di alcune scelte artistiche in linea con la tradizione, come nel caso di
Aquileia, o divergenti da essa, come nel caso di Chiragan48.
Queste valutazioni preliminari inducono a considerare con qualche riserva la legittimità dell’accostamento tra l’Attis di Chiragan ed il frammento aquileiese con divinità
maschile in giovane età e berretto frigio49.
Anche sotto il profilo formale, inoltre, vanno osservate alcune sensibili differenze tra
le due opere proprio nell’elemento dirimente per l’identificazione del personaggio, ovvero il berretto frigio: nel medaglione francese la superficie del pileo è lavorata a onde, allo
scopo di rendere la morbidezza del tessuto; nel caso aquileiese la calotta è ben lisciata,
soprattutto nella parte anteriore. Il copricapo dell’Attis di Chiragan, infine, non sembra
affatto lavorato in due parti50, a differenza di quanto comunemente ammesso per il pezzo aquileiese51. Sulla base del confronto francese, pertanto, non vi è ragione di credere
che l’incasso quadrangolare nella parte frontale della testa aquileiese fosse funzionale
all’alloggiamento della porzione terminale del pileo. Le dimensioni di questo foro con
tracce di piombatura sembrerebbero adatte, piuttosto, all’alloggiamento di un elemento
lavorato a parte con dimensioni e peso di un certo rilievo52.
Quanto detto induce a orientare le ricerche nell’ambito della formulazione tradizionale del Dodekatheon, come fece Brusin negli anni Trenta del secolo scorso proponendo
queste teorie tengono conto di divinità estranee al pantheon tradizionale, come Asclepio che, tuttavia, funzionalmente è ricondotto ad Apollo, Dioniso a Zeus (Long 1987, pp. 317-319).
48
Allo stesso modo, andrebbe elaborata anche l’idea, in genere ammessa, ma mai sviluppata, che il
ciclo possa rappresentare un consesso allargato di divinità e non i Dodici Dei. Tale soluzione, in effetti,
semplificherebbe notevolmente i tentativi di giustificare la presenza di divinità non canoniche all’interno
del gruppo: anche in questa eventualità, tuttavia, Attis andrebbe considerato al pari di un buon numero di
altri personaggi.
49
Cfr. Mian 2004, p. 479, nt. 215, con bibliografia di riferimento. Benché la presenza di Cibele nel
novero dei dodekatheoi trovi una ragionevole spiegazione anche a livello concettuale sulla base delle fonti
letterarie (nella sovrapposizione tra le figure di Rhea e Cibele), nel passo letterario in cui si annovera Rhea nel
gruppo dei Dodici, infatti, il pendant ideale sembrerebbe piuttosto Kronos, cfr. Röscher VI, s.v. Zwölfgötter,
c. 786 (O. Weinreich).
50
Espérandieu 1907, pp. 31-32, n. 892, 4; più recentemente Bergmann 1999, p. 35, taf. 10, 3. Si
segnala che, di per sé, la realizzazione di un berretto frigio non sembra richiedere generalmente una lavorazione in più parti del copricapo.
51
Se, infatti, l’incasso quadrangolare con piombatura costituisse effettivamente la cicatrice d’attacco
per la punta del pileo, allora di necessità bisognerebbe immaginare una lavorazione a parte per l’estremità
del copricapo. Questa, sostanzialmente, la posizione espressa da ultimo in Costantino e teodoro 2013, p.
230, n. 38. Pure, l'autrice della scheda segnala che si tratterebbe di una anomalia (vedi nt. precedente).
52
In alternativa si potrebbe pensare a un intervento di restauro in antico o a seguito di una rilavorazione del pezzo; in entrambe le eventualità, ad ogni modo, non vi sarebbero elementi per sostenere una
precedente identificazione con Attis della divinità ritratta.
225
AnnAlisA de FRAnZOni
l’identificazione del pezzo con Apollo. L’ipotesi venne quasi subito abbandonata a causa
dell’assenza di confronti puntuali; in via del tutto ipotetica, tuttavia, si potrebbe forse
suggerire che l’incasso quadrangolare alla sommità del capo fosse funzionale all’alloggiamento di una ricca corona lapidea con elementi vegetali e frutta del tipo portato da
alcuni esemplari dell’Apollo citaredo53, aspetto con cui la divinità è in genere compresa
nel Dodecatheon. Al di là di questa suggestione sembra, in ogni caso, evidente come sia
necessario ripensare all’identificazione del pezzo all’interno del ciclo scultoreo nel suo
complesso.
Cfr. Flashar 1992, in particolare figg. 106-109 (per un confronto con calotta e tre fori di fissaggio
disposti a triangolo); questa proposta non può contare sul conforto di confronti puntuali e resta dunque a
livello di ipotesi. L’identificazione con Apollo è stata respinta da Mian in assenza di confronti disponibili per
la figura di Apollo con berretto orientale, cfr. Mian 2004, p. 480, in particolare nt. 217. Vi sarebbe, infine, il
problema di spiegare come mai, tra le divinità della serie, soltanto in questa si ricorra a una siffatta soluzione,
che prevede la lavorazione a parte dell’attributo. Vero è che, rispetto ad alcune altre, quali ad esempio Roma,
Zeus, Mercurio e Vulcano, la divinità maschile considerata doveva avere un aggetto maggiore rispetto al
clipeo di sfondo (riscontrabile nella lavorazione laterale e superiore della testa) e, dunque, una soluzione ad
hoc avrebbe potuto rispondere a un problema strutturale, che gli altri clipei non presentavano.
53
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sulle tRAcce di Attis Ad AquileiA
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marzo 2009, Cinisello Balsamo, 192-195.
Zaccaria 2008b
C. Zaccaria, iscrizioni inedite del culto di Cibele rinvenute nelle fondazioni del Battistero di Aquileia, in
M. L. Caldelli, G. L. Gregori, S. Orlandi (a cura di) Epigrafia 2006. Atti della XiVe Rencontre sur
l’épigrafie in onore di silvio Panciera con altri contributi di colleghi, allievi e collaboratori, Roma, 741-772.
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ILLUSTRAZIONI
Fig. 1 Lucerna fittile Loeschke Ib con busto di Attis (?) (da Di Filippo Balestrazzi 1988, tav. 85,
fig. 485, a).
Fig. 2 Testina marmorea di Attis (?) (da Favaretto 1970, p. 184, fig. 17, a).
Fig. 3 Clipeo marmoreo con busto di divinità, cosiddetto Attis/Mitra (da Mian 2004, p. 473,
fig. 26b, n. 8).
Fig. 4 Particolare della parte superiore del clipeo con cosiddetto Attis da Aquileia (foto di C.
Tiussi).
Fig. 5 Particolare del clipeo con busto di Attis da Chiragan (foto di C. L. Becker, http://commons.wikimedia.org/Niki/File:Bust_of_Attis,_villa_Chiragan,_profil.jpg).
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