U A
Maurizio Buora
D
alla sommità del castello di Udine si
vede molto bene, nelle giornate serene, la
cerchia delle alture che circondano la pianura
friulana. Vi è un buon contatto visivo con le
colline della zona di Attimis, in particolare con
quella di S. Giorgio su cui sorgeva un abitato
nella prima metà del VI secolo d.C.1. Pertanto il controllo della piana interposta si sarebbe
potuto assicurare da entrambi i punti. In questo breve contributo cercheremo di dimostrare
che questa ipotetica possibilità venne effettivamente a concretarsi al tempo dei Goti.
Un rinvenimento famoso
Nel luglio dell’anno 1855 nell’ambito dei
lavori di trasformazione del castello nel forte di
San Biagio, previsti subito dopo la sollevazione
del 1848, progettati nel 1850 e avviati cinque
anni dopo, si fece una importante scoperta. La
apprendiamo nella parole di Giovanni Domenico Ciconi, che ne scrisse più volte. «Avendo
l’I. R. Genio militare Austriaco intrapresa la
fortificazione del Castello di Udine, e volendo approfittare in molti luoghi delle solide e
grosse fondamenta che sostenevano la mura-
glia dell’antichissimo recinto intorno il rialto
del colle, demolì in alcuni punti il logoro muro
che sovra quello era stato in più tempi costrutto. Avvenne che nel luglio 1855, dopo atterrato un pezzo di questo vecchio muro eretto
sopra le vetuste fondamenta predette nel lato
settentrionale, e precisamente dove il recinto
sporge angolare sopra il giardino Jurizza, ed
eravi una costruzione esterna forse una torre,
addossata al fianco della casa detta del Tesoriere, poi Orgnani, edificata sull’antico recinto e
tuttor sussistente, il manovale Antonio Codutti spazzando le rovine cadute disseppellì tra i
ruderi una moneta d’oro e la diede tosto al sig.
Giambattista Nardini, uno degli imprenditori
del lavoro. Il capitano del Genio sig. Guglielmo
Neumann, che dirigeva l’opera, desiderò acquistarla, e il Nardini gliela cesse. Io ho avuta in
mano questa moneta, avendomela gentilmente
comunicata il predetto capitano per richiesta
fattagli in mio nome dal Sig. Antonio Vannini,
e la riconobbi appartenere all’imperatore Giustiniano, ed essere appunto quella descritta e
delineata nel Banduri (Numism. Imp. Rom.
-- Lutet. Paris. 1718, Moutalant) nel tomo II,
pagina 6322, che nel diritto ha l’effigie di Giustiniano con elmo e lorica, la cui mano destra
Particolare della moneta
emessa a nome
di Giustiniano,
cfr. fig. 2.
49
Giardino e la demolizione della fonda di una
antica torre (opera di sassi e di mattone di non
lodevole lavoro) si rinvenne una moneta d’oro
di Giustino (corretto in Giustiniano)… Il pezzo era ben conservato».
1
Fig. 1 - La moneta emessa
a nome di Giustiniano
come appare nel volume
del Banduri citato
dal Ciconi.
Fig. 2 - Diritto e
rovescio della moneta.
sostiene un globo sormontato dalla croce, e la
sinistra tiene uno scudo portante un cavaliere,
con intorno le parole D N IVSTINIANVS PP
NG; e nel rovescio una vittoria alata in piedi
che nella destra tiene il lituo con croce, nella
sinistra un globo pur colla croce, avendo una
stella nel campo sinistro, al dissotto la parola
CONOB., e all’intorno VICTORIA AVGGG
A.»3 (figg. 1 e 2). Una sintesi della descrizione
del rinvenimento apparve poi nel 1861 nella
Grande illustrazione del Lombardo Veneto nella
parte dedicata al Friuli4.
Un appunto ottocentesco conservato nella
biblioteca civica di Udine5 anticipa il rinvenimento al 1854, quando «il Genio Militare
Austriaco fece recingere la sommità del colle
del Castello di Udine con una muraglia in cui
vennero praticate le fuciliere per difesa essendosi convertito il castello ad uso di caserma
e di forte. Imprenditore dei lavori fortificatori fu Ant.o Nardini di Torsa, domiciliato in
Udine.
L’agente suo il Sig. Ant. Valsecchi di Venezia mi raccontò che nell’eseguire uno spianamento dalla parte prospiciente il pubblico
2
50
Le vecchie mura
Paolo Fistulario, morto nel 1779, ci lasciò
un manoscritto dedicato alla storia di Udine6.
Esso contiene una serie di ipotesi e di ragionamenti per noi non più credibili, tuttavia in un
passo descrive il recinto più antico del castello,
quale si poteva vedere ai suoi tempi. «Veggonsi
… reliquie molte delle vecchie mura, o sia del
recinto antico del nostro Castello, e sono elleno come ognun può vedere, di antichità non
ordinaria. Ma poco anche da queste potremo
noi argomentare, senza pericolo di equivoci e
di abbagli; imperocché semplici mura, ancor
che vecchie sieno e vecchie assai, applicar si
possono per lo più a tutte indifferentemente le
remote età, e ben di rado vi si scorge in esse il
secolo della lor costruzione».
La localizzazione del rinvenimento
Il punto preciso del rinvenimento è indicato con chiarezza dal Ciconi e corrisponde,
grosso modo, al muro che si trova oggi immediatamente a nord della Casa della Contadinanza, oppure, come pare più probabile, entro
un muro posto a livello più basso, sporgente
(fig. 3).
Il punto era particolarmente importante
perché da qui scendeva un altro tracciato murario che si dirigeva verso l’attuale via Antonini, dove è stata rimessa in vista parte della
superfetazione del medesimo muro. Il punto
di incontro, o di snodo, era pertanto particolarmente importante e corrispondeva, in alto,
ad altro incrocio murario opposto in diagonale segnato dalla torre, in basso, poi trasformata in torre dell’orologio nel Cinquecento. In
questa parte del piazzale si vede, nella veduta
Fig. 3 - Localizzazione
del rinvenimento (dalla
pianta di Udine del
Lavagnolo, 1843-1850).
3
di Udine eseguita intorno alla metà del Seicento, una costruzione alquanto bassa nella
zona interessata dalle demolizioni alla metà
dell’Ottocento (fig. 4).
Come altre parti delle antiche fortificazioni anche quest’area fu ripristinata e rimodernata dagli interventi austriaci. Lo vediamo
molto bene in due foto di Augusto Agricola,
che possiamo datare pressoché ad annum 7.
La prima mostra lo stato delle costruzioni
nell’angolo nord occidentale del castello, prima degli interventi austriaci del luglio 1855
(o 1854) (fig. 5). Il punto di vista è da casa
Agricola, nell’attuale via Giovanni da Udine.
La seconda foto, del 1856, mostra gli inter-
venti già eseguiti, con un poderoso taglio della vegetazione (fig. 6).
Nella prima foto si vedono al posto dell’attuale Casa della Contadinanza due edifici, di
altezza diversa, che nelle mappe catastali portano i nn. 1656 e 1658: la prima era di proprietà
Comencini e la seconda di proprietà Orgnani.
Tutte le case, dal n. 1652 al n. 1659 furono
acquistate già nel 1849 dall’erario, per includerle nella cinta fortificata del castello. La casa
n. 1656, vicina al luogo di rinvenimento della
nostra moneta, nel luglio 1848 ricevette una
stima alquanto bassa per «remota posizione e
luce alquanto bassa dei locali terreni in onta al
buon stato dei materiali».8 Nella foto si vede
51
Fig. 4 - L’angolo
nordorientale del piazzale
come appare nella veduta
di Udine eseguita intorno
al 1650.
al di sotto, su un piano più basso, un muro
continuo.
Nella seconda foto all’angolo vediamo costruita una specie di casamatta con una decina
di piccole aperture verso la piazza, probabilmente per i fucilieri.
Dietro, le due case accostate sono state unificate in un unico edificio, in cui la parte più
bassa è stata sopraelevata.
Conosciamo dunque l’area di rinvenimento e sappiamo che la moneta d’oro, un solido
emesso a nome di Giustiniano, era nascosta
presso la muratura. La moneta è scomparsa,
ma l’accurata descrizione del Ciconi e il riferimento all’immagine pubblicata dal Banduri
(fig. 1), ci permettono di averne un’idea molto
precisa.
4
52
La moneta d’oro e la sua datazione
Un fortunato rinvenimento, avvenuto nel
2003 durante scavi archeologici sul colle di
S. Giorgio ad Attimis, entro un abitato di età
gota, ha prodotto una seconda moneta dello
stesso tipo9.
Ermanno Arslan, nel suo studio sulle monete ostrogote del Museo di Udine10, l’ha riesaminata attribuendola ad Atalarico (527-534)
o, meno probabilmente, a Teodato (534-536)
o successori.
L’iconografia è identica come pure la legenda. Si tratta di una moneta coniata a Roma,
probabilmente in un ampio numero di esemplari. La sua emissione deve necessariamente
essere datata entro il 536, quando Roma cadde
in mano bizantina.
Benché i Goti fossero in guerra con Giustiniano, continuavano a collocare sul diritto
delle monete la sua effigie per legittimare la
loro presenza e autorità. Quindi la lettura data
dal Ciconi è sostanzialmente corretta, però la
moneta non fu emessa dal governo bizantino,
bensì da quello dei Goti. Quando Giustiniano
riconquistò l’Italia, mise fuori corso le monete
emesse dopo Atalarico.
Ora la moneta di Attimis è stata rinvenuta addossata a un muro di fortificazione. Ciò
significa che almeno una parte dell’abitato era
cinta da un muro di difesa. Lo stesso sembra
essere accaduto a Udine, dove dobbiamo immaginare che nei punti più esposti o più adatti
alla difesa della sommità del colle del castello
potessero essere stati costruiti tratti di muri
(“antichissimi” dice il Ciconi) poi demoliti nel
XIX secolo quando furono sostituiti da murature moderne.
Possiamo supporre che entrambe le monete fossero frutto di donativi o stipendi elargiti dall’autorità centrale dei Goti ai capi delle
diverse piazzaforti. Immaginare che due pezzi
uguali di grande valore siano stati perduti nello
stesso tempo in luoghi diversi è fuori discussione. Anche secondo Grazia Facchinetti11, che si
è occupata più volte della deposizione di monete entro costruzioni antiche, si tratterebbe
5
nei due casi di una deposizione intenzionale.
Pur trattandosi di una singola moneta, ma di
grande valore, si tratterebbe comunque di un
ripostiglio, accantonato evidentemente in un
momento di grave pericolo. Se questo è vero,
come incliniamo a credere, allora si ricaverebbe
una singolare coincidenza tra gli abitati di Udine e di Attimis.
La datazione che ricaviamo dalla monete
rinvenuta all’angolo NE del colle del castello
corrisponde a quella della fibula rinvenuta nella necropoli di Planis, verso la fine dell’Ottocento12 (fig. 7). Come a Lubiana, l’abitato dei
Goti, probabilmente stabilito nelle due città
sulla sommità dei due colli, disponeva di un’area funeraria – forse riservata alle persone della
nobiltà – posta molto lontano, a circa un paio
di chilometri dall’abitato. La necropoli di Planis, per quanto possiamo sapere, non sorgeva
presso un luogo di culto la cui memoria si sia
conservata nel tempo. Possiamo immaginare
che lo stesso sia avvenuto anche ad Attimis,
dove gli archeologi del futuro potranno trovare
la relativa necropoli, ovviamente sul piano.
Nel caso di Attimis siamo certi che l’abitato
venne abbandonato dopo la fine della seconda
guerra gotica, quando i Bizantini occuparono
saldamente la regione e costruirono la piazzaforte di Aquileia unita al porto di Grado13: a
Udine, data la sua posizione centrale, l’insediamento poté avere una vicenda diversa.
Dalla narrazione del Ciconi – oltre che
dalla foto dell’Agricola – ricaviamo poi che la
sommità del colle del castello aveva effettivamente, almeno in alcuni punti, dei muri, proprio come ad Attimis. Essi erano massicci. Possiamo immaginare che già al tempo dei Goti
alcune abitazioni fossero addossate ad essi,
Fig. 5 - Veduta del colle
del castello da casa Agricola
(1854 o 1855).
53
6
Fig. 6 - Dettaglio della
veduta del colle del castello
da casa Agricola (1856)
(Archivio Società Alpina
Friulana).
Fig. 7 - La fibula
rinvenuta a Planis.
54
forse per risparmiare una parete oltre che per
rinforzare la difesa del complesso.
Si sarebbe così stabilito un modello insediativo che sarebbe proseguito per secoli e secoli.
In effetti durante gli scavi eseguiti a nord della
chiesa di S. Maria alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso si rinvenne una abitazione e parte di una seconda, proprio addossate
al muro. Di esse si sono viste più fasi, tra cui
anche una databile al V-VI secolo14.
I rinvenimenti hanno confermato la presenza di abitanti di etnia romana e la presenza,
successiva, di ceramiche di età longobarda.
Immaginiamo poi che i Bizantini siano
intervenuti qui, come del resto anche altrove,
in maniera molto decisa e per certi aspetti distruttiva dello status quo. Potrebbe appartenere
proprio a questo periodo la costruzione della
chiesa di S. Maria di Castello, o se non altro il
rinnovo del suo apparato decorativo interno,
di cui sarebbero prova almeno una colonnina
rinvenuta negli scavi del 1929 e altro frammento, di probabile architrave15.
Essi poterono essere portati da Aquileia
quando al tempo dei Bizantini la città era tutta
un cantiere per la costruzione delle mura e gli
interventi nelle chiese cittadine.
Non possiamo peraltro escludere che siano giunti sempre da Aquileia, ma in un periodo posteriore alla dominazione bizantina,
come materiale di recupero per essere reimpiegato.
Infine un dettaglio, per così dire folcloristico. La leggenda degli Unni che al comando di
Attila stazionavano sul colle del Castello, che ci
è stata tramandata da Ottone di Frisinga nell’XI secolo16, potrebbe avere effettivamente un
fondamento storico, se nella memoria popolare si fosse conservata qualche tradizione che si
ricollegava ai Goti – visti come barbari, quindi
ipso facto Unni (i barbari per eccellenza) – sul
colle del Castello.
Conclusioni
La reinterpretazione di un preciso e ben
noto rinvenimento (il solido emesso a nome
di Giustiniano) avvenuto alla metà del XIX
secolo sul colle di Udine e il confronto con
analogo ritrovamento del 2003 sul colle di S.
Giorgio, presso Attimis, permette di supporre
la contemporaneità dei due insediamenti. Si
ipotizza che la deposizione delle monete sia
stata intenzionale, quando si appressava un
grande pericolo, per tutte e due le comunità.
Il che poté avvenire durante la fase terminale
della seconda guerra gotica o al più tardi alla
fine di essa.
La datazione delle monete – fine terzo o
inizio quarto decennio del VI secolo d. C. –
corrisponde a quella di una famosa fibula gota,
1
Per questo, e i relativi rinvenimenti, si rimanda a M. Buora, L. Villa (a cura di), Goti nell’arco alpino orientale, Archeologia di frontiera, 5, Trieste 2006; M. Buora, L. Villa (a
cura di), Goti dall’Oriente alle Alpi, Archeologia di frontiera,
6, Trieste 2008.
2
Numismata imperatorum Romanorum a Trajano Decio ad
Palaeologos Augustos, accessit Bibliotheca Nummaria, Opera
& Studio D. ANSELMI BANDURI, tomus secundus, Lutetia Parisiorum, Sumptibus MONTALANT, MDCCXVIII.
3
La vicenda è narrata da G. Ciconi, Cenni sull’origine ed incremento della regia città di Udine, in Strenna friulana a benefizio degli orfanelli raccolti dal canonico monsignor Tomadini
in Udine, Udine 1856, pp. 43-80, part. pp. 61-62. Successivamente è ripresa dallo stesso G. Ciconi, Udine e la sua
provincia, Udine 1862, pp. 444-445.
4
G. Ciconi, Udine e la sua provincia, in Grande illustrazione
del Lombardo-Veneto, vol. V, parte seconda, Milano 1861,
pp. 241-599, part. p. 287: “una fortunata scoperta dimostrò
l’esistenza di Udine nel VI secolo. Avendo il governo austriaco intrapresa la fortificazione nel castello di Udine, e volendo
approfittare in molti luoghi delle solide e grosse fondamenta
dell’antichissimo recinto intorno al rialto del colle fece demolire in alcuni punti il logoro muro che sovra quelle era stato
in più tempi costrutto. Nel luglio 1855 si rinvenne tra ruderi
una moneta d’oro, comunicatami dal capitano del genio Guglielmo Neumann che dirigeva i lavori, e riconobbi appartenere all’imperatore Giustiniano ed essere appunto quella
descritta e delineata dal Banduri nel tomo II, pag. 632 dell’edizione parigina 1718. Nel diritto ha Giustiniano con elmo e
lorica la cui mano destra sostiene un globo sormontato dalla
croce e la sinistra tiene uno scudo portante un cavaliere, con
intorno le parole: D . N . IVSTINIANVS . PP . NG . e nel
rovescio una vittoria alata in piedi che nella destra tiene il lituo con croce, nella sinistra un globo pur colla eroce, avendo
una stella nel campo sinistro, al disotto la parola CONOB. e
all’intorno VICTORIA . AVGG . A.”
di tipo Udine-Planis, rinvenuta nel 1874 nella
necropoli di Planis, ove era sepolta, probabilmente insieme con altre, una dama della nobiltà gota. Si tratta dunque di isolati, ma significativi, rinvenimenti che gettano un po’ di luce
su un periodo altrimenti poco noto.
Il presente contributo è predisposto per festeggiare l’ottantesimo compleanno di Giuseppe Bergamini, ma intende anche ricordare Adalberto
Burelli, che proprio nel giorno in cui scrivo (9
settembre) ci ha lasciati. Il tema del castello di
Udine, che è stato condiviso con entrambi ed è
stato argomento di lunghe e intense discussioni,
è ancora lungi dall’essere esaurito e questa breve
nota intende solo proporre un piccolo passo per la
conoscenza delle sue vicende.
5
Ms. Joppi 308, citato da G. di Caporiacco, Udine e il suo
territorio dalla preistoria alla latinità, Udine 1977, p. 50.
6
Intorno alla origine della città di Udine. Ragionamento postumo di Paolo Fistulario, Udine 1835 stampato come dono per
Francesco di Toppo, “moderatore” del liceo cittadino, a cura
dei professori dello stesso, in occasione delle sue nozze con
Antonietta dei Wassermann. Esso apparve poi nelle Monografie friulane offerte a monsignor Zaccaria Bricito arcivescovo
di Udine, a cura di F. Tomadini e G. Bonturini, Udine
1847, pp. 4-35.
7
Si tratta di due calotipi, di cui uno, il più vecchio, si conserva nella Fototeca dei Civici Musei, mentre l’altro appartiene
all’Archivio della Società alpina friulana. Ne ho trattato in M.
Buora, Immagini poco note del castello di Udine, “Udine. Bollettino delle civiche istituzioni culturali”, 11, 2009, pp. 53-62.
8
Tutte queste notizie sono riportate in V. Masutti (a cura
di), G. B. della Porta, Memorie su le antiche case di Udine,
II, Udine 1983, pp. 569-570.
9
L. Villa, San Giorgio (Attimis - UD). Campagna di scavo
2003, “Quaderni Friulani di Archeologia”, 13, 2003, pp.
297-309, part. p. 305, fig. 6.
10
E. A. Arslan, Le monete ostrogote del museo di Udine, in
M. Buora, L. Villa 2006, op. cit., pp. 123-146, part. pp.
144-145.
11
Con parere comunicato con mail del 10 agosto u.s. per cui
si ringrazia sentitamente.
12
Essa ha amplissima bibliografia, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso. Rimane fondamentale V. Biebrauer,
Die ostgotische Grab-und Schatzfunde in Italien, Spoleto
1975, pp. 89-91 e 328-330; in seguito Michel Kazanski se
ne è occupato più volte ad es. M. Kazanski, Les Barbares à
Chersonèse (Ve-Ve s.), in EYPsiXIA, Mélanges offerts à Helène
Ahrweiler, Paris 1998, pp. 330-344, edizione elettronica
(2016) in http//books.openedition.org/psorbonne/4251 (visitato in data 10 settembre 2019) e inoltre M. Kazanski, A.
Mastykova, P. Périn, Westgoten in Nordgallien aus Sicht der
55
Archäologie. Zum Stand der Forschung, in S. Brather (a cura
di), Zwischen Spätantike und Frühmittelalter, Ergänzungsbände zum Reallexikon der Germanischen Altertumskunde, 57,
Berlin-New York 2008, pp. 149-192, part. p. 174; si veda
anche U. Trenkmann, Fibule di età altomedievale, in M.
Buora, S. Seidel (a cura di), Fibule antiche del Friuli, Roma
2008, pp. 73-78, part. pp. 73-77. Rimangono sostanzialmente aperte alcune questioni. La prima è la data: già fine V
o prima metà del VI secolo? Oggi si tende a dare più credito
alla seconda ipotesi. La seconda questione, connessa, è legata all’area di origine. Secondo I. Gürçay Damm, Huns and
Goths: Jewelry from the Ukraine and Southern Russian, in The
Metropolitan Museum Art Symposia, From Attila to Charlemagne, New York 2000, pp. 102-119, part. p. 111, si tratterebbe di un prodotto italo-ostrogota, realizzato in Italia. La
terza, e più complicata questione, riguarda l’area di diffusione
che comprende mezza Europa, dalla Gallia settentrionale alla
Crimea. A. Haralambieva, East Germanic Heritage on the
Western Littoral of the Black Sea. Bow-brooches of the Types
Szekszárd-Palánk and Udine-Planis as archaeological evidence.
In T. Vida (ed.), Romania Gothica II, The Frontier World.
Romans, Barbarians and Military Culture, Proceedings of the
International Conference at the Eötvös Loránd University,
Budapest, 1-2 October 2010, Budapest 2015, pp. 577-583,
sulla base anche di nuovi rinvenimenti effettuati nel primo
decennio di questo secolo in Bulgaria, ipotizza che fibule di
questo tipo siano state portate per un lungo periodo, anche
per più generazioni e che esse fossero prodotte sulla costa
occidentale del Mar Nero, come dimostra un modello in
piombo (p. 579). In ogni caso il rinvenimento di Udine molto probabilmente appartiene a una sepoltura databile prima
della venuta dei Bizantini, quindi nella prima metà del VI
secolo. Per un nuovo ritrovamento in Transilvania si rimanda
a S. Nemeti, Une fibule de type Udine-Planis en Transylvanie,
in Ad finem imperii romani. Studies in honour of Coriolan H.
Opreanu, edited by S. Cociş, V.A. Lazarescu, M. Gui, D.
A. Deac, Cluj-Napoca 2015, pp. 311-314.
Per la localizzazione della necropoli udinese si rinvia a M.
Buora, Per l’individuazione del sito di Planis, in M. Buora,
S. Seidel 2008, op. cit., pp. 87-88.
13
Non conosciamo la data dell’insediamento bizantino in
Aquileia e di conseguenza nel suo territorio. Ampia discussione in C. Sotinel, Identité civique et christianisme. Aquilée
du IIIe au VIe siècle, BEFAR 324, Rome, pp. 298-306, part.
pp. 304-305, con l’ipotesi di uno stanziamento di soldati in
città ben prima della fine della guerra.
14
M. Buora, M. Fasano, Udine romana-altomedievale e la
grezza terracotta del castello di Udine, “Arheoloski veštnik”,
45, 1994, pp. 175-185.
15
Ampio esame della questione in L. Villa, I frammenti
scultorei della chiesa di Santa Maria in Castello a Udine nel
panorama della cosiddetta rinascenza liutprandea; “Quaderni
friulani di archeologia”, XVI, 2006, pp. 199-236.
16
Ottonis episcopi Frisingensis Chronica sive Historia de
duabus civitatibus, in A. Hofmeister, Monumenta Germaniae historica. Scriptores. Scriptores rerum Germanicarum in
usum scholarum separatim editi, Hannoverae-Lipsiae 1912,
IV, 27, p. 219.
Referenze fotografiche:
Fig. 2 - Archivio M. Buora
Fig. 4 - da: G. Bergamini, M. Buora, Il castello di Udine, Udine 1990
Fig. 5 - da: M. Buora, L’invenzione del castello, Udine 2009
Fig. 6 - da: M. Buora, L’invenzione del castello, Udine 2009
Fig. 7 - da: M. Buora, S. Seidel, Fibule antiche del Friuli, Roma 2008
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