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Alcune voci romanesche nei romanzi di Antonio Bresciani

LA฀LINGUA ITALIANA r i v i s ta ฀ a n n ua l e ฀ d i r e t ta ฀ d a ฀ m a r i a ฀ l u i s a ฀ a lt i e r i ฀ b i a g i m au r i z i o ฀ d a r d a n o pietro฀trifone g i a n luc a ฀ f r e n g u e l l i c o m i tat o ฀ d i ฀ r e d a z i o n e e l i s a ฀ d e ฀ ro b e rto g i a n luc a ฀ co l e l la c o m i tat o ฀ s c i e n t i f i c o z y g m u n t ฀ b a r a ń s k i gaston฀gross christopher฀kleinhenz franz฀rainer LA฀LINGUA ITALIANA sto ria, ฀ strutture, ฀ te sti r i vi sta฀i nt e r naz ional e iii฀·฀2007 pi s a฀ ·฀ roma fabr i z i o฀ s er r a฀ ·฀ ed i tor e mmvi i Amministrazione e abbonamenti Accademia editoriale Casella postale n. , succursale n. 8, I 5623 Pisa Tel. +39 050542332 · Fax +39 050574888 Abbonamenti (2007) : Italia : Euro 85,00 (privati) · Euro 40,00 (enti, con edizione Online) Abroad : Euro 25,00 (Individuals) · Euro 65,00 (Institutions, with Online Edition) Prezzo del fascicolo singolo : Euro 60,00 I pagamenti possono essere effettuati tramite versamento su c.c.p. n. 754550 o tramite carta di credito (American Express, Visa, Eurocard, Mastercard) Uffici di Pisa: Via Santa Bibbiana 28 i 5627 Pisa · E-mail: [email protected] Uffici di Roma: Via Ruggiero Bonghi /b i 0084 Roma · E-mail: [email protected] * La Casa editrice garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne la rettifica o la cancellazione previa comunicazione alla medesima. 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Riflessioni in prospettiva funzionale Marco Mazzoleni, Arricchimento inferenziale, polisemia e convenzionalizzazione nell’espressione della causalità tra il fiorentino del ’200 e l’italiano contemporaneo Elisa De Roberto, Le relative predicative rette da verbo di percezione in italiano antico Emiliano Picchiorri, Alcune voci romanesche nei romanzi di Antonio Bresciani Salvatore Claudio Sgroi, Il marchionimo Bagnoschiuma® s.m.: composto ‘unicefalo’ a destra o ‘acefalo’? con etimo sincronico o diacronico? Gianluca Colella, A proposito dei costrutti condizionali 9 33 45 65 83 05 29 37 47 osservatorio linguistico Adam Ledgeway, La sintassi dei dialetti meridionali 6 recensioni Pier Vincenzo Mengaldo, Tra due linguagi. Arti figurative e critica (Gianluca Colella) Luca Serianni, Un treno di sintomi. I medici e le parole: percorsi linguistici nel passato e nel presente (Elisa De Roberto) Giuseppe Patota, Poiché tra causa, tempo e testo (Gianluca Frenguelli) Ilde Consales, La concessività nella lingua italiana (secoli xiv-xviii) (Elisa De Roberto) Elisabetta Mauroni, L’ordine delle parole nei romanzi storici italiani dell’Ottocento (Emiliano Picchiorri) La formazione delle parole. Atti del xxxvii Congresso Internazionale di Studi della Società di Linguistica Italiana (L’Aquila, 25-27 settembre 2003), a cura di Maria Grossmann e Anna M. Thornton (Paola Dardano) Rilievi. Le gerarchie semantico-pragmatiche di alcuni tipi di testo, a cura di Angela Ferrari (Carlo Enrico Roggia) Lessicografia e onomastica. Atti delle Giornate Internazionali di Studio, Università degli Studi Roma Tre, 16-17 febbraio 2006 / Lexicography and Onomastics. Proceedings from the International Study Days, University of Roma Tre, February 16th and 17th, 2006, a cura di / Editors Paolo D’Achille, Enzo Caffarelli (Elisa De Roberto) Abstracts 73 8 88 96 203 207 22 26 22 ALCUNE VOCI ROMANESCHE NEI ROMANZI DI ANTONIO BRESCIANI Emiliano Picchiorri T re romanzi del padre gesuita trentino Antonio Bresciani sono ambientati – totalmente o parzialmente – nella città di Roma, dove l’autore visse per molti anni : L’Ebreo di Verona (850-5), La Repubblica Romana (85-52), Edmondo o dei costumi del popolo romano (859).  Queste opere contengono una vasta gamma di parole romanesche, che Bresciani attinse con tutta probabilità direttamente dalla lingua parlata e che compaiono soprattutto nelle frequenti descrizioni degli ambienti popolari cittadini. Le voci dialettali, quasi sempre contrassegnate dall’uso del corsivo, vengono spesso illustrate nel testo o glossate per mezzo di note : in particolare, nell’Edmondo l’autore documenta con attenzione alcune parole legate a festività e usanze romane, 2 coniugando il suo interesse per l’etnografia, già testimoniato dalle passate esperienze di scrittore di viaggi (Dei costumi dell’isola di Sardegna, Lettere sopra il Tirolo tedesco, ecc.), con quello per la lessicografia, coltivato soprattutto attraverso il Sagio di alcune voci toscane di arti e mestieri e cose domestiche. 3 Oltre ad alcune voci molto comuni nel romanesco di metà Ottocento, come mannaggia, minente, paino, passatella e rugantino (tutte già presenti nei sonetti belliani, peraltro all’epoca ancora inediti), Bresciani può offrire informazioni interessanti su parole meno documentate, consentendo anche, in tre casi, una retrodatazione della loro prima attestazione. Quella dell’autore è infatti una posizione privilegiata : è un parlante settentrionale che risiede a Roma da molti anni. Ciò gli garantisce un’ottima conoscenza del romanesco e allo stesso tempo gli consente di mantenere il distacco necessario per coglierne e registrarne alcune particolarità : sono frequenti, nei suoi romanzi, osservazioni esplicite sulla semantica o sulla diffusione di espressioni locali. Ad esempio, a proposito di accidenti, il commento di Bresciani in nota alle edizioni in volume dell’Ebreo di Verona è interessante per verificare come la parola fosse divenuta, già negli anni Cinquanta del xix secolo, particolarmente rappresentativa del dialetto romanesco agli occhi di un osservatore esterno ; illustrando la notevole diffusione dell’esclamazione taramtete nell’ungherese, l’autore traccia un parallelismo con il romanesco : « come i Romani con quel loro perpetuo accidente ! con questo imprecano, s’adirano, esclamano e talora accarezzano e salutano. Buon dì, accidente, dicono all’amico – quell’accidente de mi moglie – dicono per celia ragionandone col compare, te saluta ecc. ». 4 Anche a un’altra parola tipicamente romanesca come bagarino è dedicato molto spazio ; un intero brano dell’Edmondo illustra la pratica diffusa nei mercati cittadini : « A Roma chiamansi Bagarini gli incettatori, che comperano di prima mano all’ingrosso, e poi vendono al miI romanzi apparvero a puntate sulla rivista quindicinale « Civiltà Cattolica » (d’ora in poi « CC »), fondata nello stesso 850 e della cui redazione Bresciani fece parte fin dagli esordi, e vennero ripubblicati più volte in volume negli anni successivi. Per la biografia di Antonio Bresciani (Ala 798-Roma 862) cfr. Coviello Leuzzi (972). 2 La ricchezza di documentazione su tradizioni e usanze romane ottocentesche offerta dall’Edmondo è 3 stata sottolineata da Volpicelli (978). Sul quale cfr. Zolli (s.d.). 4 Bresciani (852, ii, p. 32). Su accidenti e altri mots-témoins del romanesco cfr. Serianni (2002, pp. 89-09).  « la lingua italiana » · iii, 2007 130 emiliano picchiorri nuto ai rivenduglioli, facendo i prezzi della piazza, e non di rado scorticando la gente ».  L’autore, deprecando tali speculazioni commerciali e ironizzando sulla notevole perizia necessaria per esercitare questa attività, crea anche il sostantivo derivato bagarinato ‘investitura alla carica di bagarino’. 2 Molte espressioni romanesche, già attestate nei sonetti di Belli, trovano nell’Edmondo la loro prima definizione in rapporto alla lingua italiana : rivolgendosi al pubblico dell’intera penisola, l’autore ha infatti la necessità di illustrare l’oggetto della sua descrizione con il maggior numero possibile di particolari e senza dare per scontati riferimenti ovvi per un romano dell’epoca. Si incontrano glosse di questo tipo per parole come caccerella (« così a Roma diconsi le cacce clamorose » 3), fochetti (« dobbiamo di notte entrare nel teatro Corea […]. Ivi dentro nelle dolci e limpide notti della state i Romani s’accolgono allo spettacolo, ch’essi chiamano dei Fochetti, e son giochi notturni di luminarie a disegno operate colla polvere d’artiglieria acconcia con polveri di zolfo a varii colori […] » 4), gatta cieca, gioco del quale Bresciani descrive, con dovizia di particolari, il regolamento e tutte le possibili variazioni (interessante, in questo caso, l’uso del toscano come termine di paragone : « il gioco si è quello che i Toscani dicono fare a Mosca cieca e i Romani a Gatta cieca […] » 5), parrocchietta (« In Roma dicesi Parrocchietta quella stanza ove il Curato dà le udienze e spaccia i negozii comuni del suo popolo » 6) e scagnozzo (« Li Romani chiamano scagnozzi que’ pretazzuoli venuti dalle provincie, i quali campano dell’elemosine della messa e de’ funerali » 7). Su altre voci già attestate in epoca belliana le osservazioni di Bresciani possono fornire un utile supplemento di documentazione. CANOFIENA. Tutti i repertori registrano la parola (attestata in Micheli, Belli, Pascarella, ecc.) nella semplice accezione di ‘altalena’. Nell’Edmondo Bresciani attribuisce a questo termine un significato più specifico, seppur rientrante nella stessa tipologia di gioco : si tratterebbe di un gioco collettivo femminile che, secondo l’autore, si svolgeva soprattutto nella stagione della vendemmia. Può essere interessante riportare l’accurata descrizione che ne viene fatta : Quelle poi che non hanno danaro da unirsi in brigata, hanno cotai lor giochi in sulla via e nell’andito della casa : perocché le giovinette di quindici e sedici anni si raunano dal vicinato, levano un mezz’uscio dai gangheri, v’acconciano quattro cavi di fune che raccolgono in uno, l’attaccano al ferro della mezza luna del sovra porta, vi salgon suso a sedere in sei ed otto : e due lo dondolano a muta, il che in Roma si chiama la Canofiena. La capitana siede in testa e picchia il cembalo a battuta mentre tutte l’altre incoronate cantano certe loro canzoni con un gusto, e con un batter di mani, e con un’esultanza maravigliosa. La gente trae a vedere ; le inquiline delle case di rincontro son tutte alla finestra, e fanno un cicalio, un passeraio, uno schiamazzo, animando le dondolone, e spesso portando giù le bambine, che lanciano loro in grembo, e godono a vederle dondolare. 8 (S)TRASCINATO ‘ripassato in padella’. La prima attestazione della parola in questa accezione (nella forma strascinato) compare in Alessandro Barbosi, Discurso de padron Lisandro de la Regola (840), come registra il Dizionario romanesco di Fernando Ravaro. 8 L’esempio che si legge in Bresciani, benché in una veste italianizzata, 0 si segnala per la 2 Edmondo, « CC », 859 iii, p. 452. Ivi, p. 454. 4 Ivi, ii, p. 674. Ivi, iv, p. 458. 5 6 Ivi, iv, pp. 455-458. Ivi, ii, p. 33. 7 8 La Repubblica Romana, « CC », 852 iv, p. 420. Edmondo, «CC», 859 i, pp. 442-443. 9 Ravaro (994, s.v. strascinare). 0 Lo stesso avviene per altre parole romanesche, come foglietta invece di fujetta. In alcuni casi non si può dire con certezza se l’autore sia responsabile dell’italianizzazione, come per la forma caccerella : come è noto, infatti, nel romanesco di metà Ottocento coesistevano forme originarie in -ar- e forme toscanizzate in  3 alcune voci romanesche nei romanzi di antonio bresciani 131 sua precocità, anche in considerazione dell’estrema esiguità di documentazioni ottocentesche (è assente in Belli e quello di Barbosi è l’unico esempio riportato da Ravaro ; altri repertori, quando registrano la voce, non riportano esempi) : Di certo hanno anch’essi per Santa Croce le salite della Scala Santa, e poscia se n’escono a una buona merenda di cavoli trascinati, in sulle osterie del Laterano : hanno le visite delle Sette Chiese, e a mezzo il viaggio, chi n’ha, fa di buoni pranzetti lungo la via […].  In altri casi la testimonianza di Bresciani appare particolarmente preziosa perché documenta voci attestate finora solo in epoca successiva. CENONE. L’origine romana della parola è segnalata fin dalla sua prima apparizione lessicografica, nell’edizione del 935 del Dizonario moderno di Panzini (« Voce romanesca : la cena notturna la vigilia di Natale (di magro). Nell’Italia centrale quest’agape è molto osservata »), 2 mentre i repertori dialettali non la registrano mai ; anche dei ne indica l’origine romana, datandola però al xx secolo. deli2 segnala soltanto l’attestazione panziniana, sebbene la forma fosse già stata registrata in un sonetto di Zanazzo pubblicato nel 884 e intitolato appunto Er cenone, come ha segnalato Ivinich ricostruendo le vicende della diffusione della parola in italiano. 3 L’Edmondo, che, come si è visto, documenta con particolare attenzione usi e costumi diffusi a Roma alla metà del xix secolo, permette di retrodatare cenone di 25 anni grazie a due passi. Nel primo la parola non appare in corsivo, ma l’autore specifica tra parentesi la peculiarità dell’uso romano : Vi ricorda la vigilia di Natale quando vi condussi in pescheria, in piazza Navona, in quella del Panteon e della Pace ? […] Non v’è famigliuola sì minuale e sì poveretta che in quella notte non faccia il suo cenone (come lo dicono i Romani). 4 In un brano successivo cenone compare in corsivo : Or dunque avvenne, coll’andare dei giorni, che s’approssimavano le feste del Natale del Signore, e Pippetto cominciò a struggersi dentro per la voglia di goderle ; e ciò che non poté in lui la brama di rivedere l’amante sua, fu d’acutissimo stimolo il pensiero del cenone della vigilia. 5 La grande fortuna conosciuta dalla voce in tutta la penisola può senz’altro essere stata alimentata anche dalla sua presenza in un romanzo di consumo di larga diffusione come l’Edmondo. La Civiltà Cattolica, distribuita sull’intero territorio nazionale e all’estero, vantava infatti in quegli anni più di 0.000 abbonati e i romanzi di Bresciani che apparivano sulle sue colonne venivano immediatamente pubblicati anche in volume (dell’Edmondo si contano almeno sei edizioni tra il 860 e il 890). GRAMICCIARO. Benché la forma gramiccia ‘gramigna’ appartenga al patrimonio del romanesco fin dalla Cronica dell’Anonimo Romano, l’attestazione più antica di gra-er- (cfr. Serianni, 985). Nei sonetti di Belli, ad esempio, la parola è attestata una sola volta nella veste romanesca originaria cacciarella (cfr. Vaccaro, 969, s.v.) ; d’altro canto, la presenza di questo allotropo potrebbe ulteriormente testimoniare, se ce ne fosse bisogno, l’indipendenza del romanesco di Bresciani dal modello letterario belliano, fatto non del tutto scontato per un autore trentino alle prese con la rappresentazione del dialetto di Roma.  Edmondo, « CC », 859 iv, p. 692. 2 Panzini (9357, p. xxii). La parola è assente nelle precedenti edizioni del Dizionario moderno ed è inserita nella sezione « Aggiunte e correzioni » solo nel 935, cfr. Zevi (in stampa). 3 Ivinich (985). La studiosa raccoglie anche altre attestazioni della parola tra fine Ottocento e primo Novecento, che testimoniano la precoce diffusione di cenone a livello nazionale e documentano la trasformazione semantica da ‘cena della vigilia di Natale’ a ‘cena dell’ultimo dell’anno’. Cfr. anche Zolli (986, p. 08). 4 5 Edmondo, « CC », 859 i, p. 308. Ivi, ii, p. 62. 132 emiliano picchiorri micciaro finora documentata dai repertori sembra essere quella presente nell’edizione postuma del 945 del Vocabolario romanesco di Chiappini : « raccoglitore e venditore di gramigna. Vi sono in Roma molti contadini che vivono unicamente di questa industria […] ».  La voce compare due volte nell’Ebreo di Verona (« CC », 850 ii, p. 22 ; ivi, p. 33), dove si parla di « gramicciari dei monti » che vengono contattati in qualità di fornitori di « mortelle » (mirti) e allori per decorare il corso della città in occasione dei festeggiamenti pubblici in onore di Pio ix. Nelle edizioni in volume del romanzo si legge in nota : « In Roma si chiamano gramicciari quelli che vanno a coglier pe’ campi la gramigna da rinfrescare i cavalli ». 2 Nell’Ottocento esisteva inoltre a Roma un vicolo dei Gramicciari, successivamente scomparso. 3 OTTOBRATA. La prima attestazione finora conosciuta della parola risale alla fine del xix secolo e si trova nel commediografo siciliano Enrico Onufrio (av. 885 : gdli). Il primo dizionario a registrare la voce, testimoniandone la precoce diffusione nazionale, è il Nòvo dizionario universale di Petrocchi, che la definisce dapprima « Scampagnata nel mese d’ottobre » senza fare riferimento a Roma, ma aggiunge poi « Fière romane di tutti i giovedì d’ottobre. Le ottobrate a Roma del sècolo scorso ». 4 La voce è registrata anche da Chiappini (9452) (« scampagnata fatta nel mese d’ottobre ») e da Panzini (905), che osserva più precisamente : « Così chiamano a Roma le scampagnate che si fanno in quel mese ai vicini castelli, ove l’aureo vino brilla ». La diffusione in altre aree geografiche è testimoniata anche dalla notazione conclusiva dello stesso Panzini : « anche a Genova è voce usata ». La parola, che si caratterizza per un suffisso molto produttivo nel romanesco, è ampiamente usata nell’Edmondo, dove un intero capitolo, intitolato proprio « Le ottobrate », è dedicato alla consuetudine romana delle gite fuori porta. 5 Nello stesso capitolo la parola è presente altre due volte : in un passo che documenta come queste scampagnate si svolgessero soprattutto nei « giovedì d’Ottobre », quando anche le donne « escono di città, e tutte si rimbucano nelle taverne suburbane, ove s’apparecchian loro le tavole sotto le pergole », 6 e in riferimento alle celebri incisioni di Pinelli « ove son disegnate le ottobrate in carrozza, le danze e le buglie a monte Testaccio » ; 7 in un brano successivo, mentre illustra il grande attaccamento dei romani alle proprie usanze, Bresciani spiega : Di qui si può intendere perché la Nunziatina era sì desolata nell’orto di Piscinula perché non aveva potuto far l’ottobrata. Era buona, era pia, godea in sommo d’aver salvato il fratello ; ma bisogna esser Romano a penetrare adequatamente quanto le costasse quella privazione. 8 Infine, un altro passo aggiunge particolari sul carattere goliardico assunto solitamente da questo tipo di scampagnate : Canta con una voce da rossignuolo ; ma canzonacce da quella gola non escon mai, e la non vuole che le sue fattorine le cantino ; che guai ! Persino nelle ottobrate (in cui talora s’odono certe strofette un po’ troppo grassoccie) la Nunziatina canta le Glorie di Roma. In somma per compiuta fanciulla è dessa.9 Il fatto che la parola sia contrassegnata dal corsivo soltanto una volta e che l’autore – pur usando il termine come titolo di un capitolo – non avverta mai la necessità di glossarlo esplicitamente indica peraltro che la voce doveva avere una certa diffusione  2 4 6 8 Chiappini (9452). Questa è segnalata come prima attestazione anche in Cortelazzo / Marcato (2005). 3 Bresciani (852, i, p. 37). Romano (949, s.v.). 5 Petrocchi (887-89). Edmondo, « CC », 859 i, p. 435. 7 Ivi, i, pp. 440-44. Ivi, i, p. 445. 9 Ivi, ii, p. 6. Ivi, iii, pp. 39-320. alcune voci romanesche nei romanzi di antonio bresciani 133 extra-romana già a metà Ottocento. Ad ogni modo, come nel caso di cenone, la presenza di ottobrata in un romanzo di consumo pubblicato in un periodico a diffusione nazionale può aver contribuito alla sua rapida affermazione nella lingua italiana.  I romanzi di Bresciani, infine, possono aiutare a chiarire le vicende della diffusione di una parola di origine non romana, ma la cui notevole diffusione in italiano nel corso dell’Ottocento potrebbe aver avuto il suo centro di irradiazione nella città di Roma. SCALINATA. Le prime attestazioni risalgono al Seicento e non si concentrano in un’area ben delimitata : si va dal nizzardo A. Berardo, al fiorentino F. Rondinelli, al perugino L. P. Scaramuccia (cfr. gdli). 2 Le uniche testimonianze settecentesche risultano, dall’interrogazione di liz4, nella commedia Il genio buono e il genio cattivo di Goldoni (768) ; la diffusione della voce in area veneta è confermata anche dall’indicazione del dei e dalla presenza di scalinada nei dizionari dialettali veneti sette-ottocenteschi. 3 Fino all’inizio dell’Ottocento scalinata è scarsamente attestato ed è fortemente minoritario rispetto a scalea, voce ininterrottamente attestata fin dal Trecento. Nella seconda metà del xix secolo avviene l’improvviso capovolgimento dei rapporti di forza tra le due parole, fino alla quasi completa scomparsa di scalea. 4 Non è da escludere che la repentina diffusione di scalinata sia legata alla fortuna della parola nella città di Roma e sia da connettere, in particolare, alla celebrità acquisita dalla scalinata monumentale di piazza di Spagna, costruita nel 725 su progetto dell’architetto Francesco De Sanctis. 5 Il monumento, che collega Trinità dei Monti a piazza di Spagna, divenne presto una tappa immancabile nelle visite dei viaggiatori nella Città eterna : è presente non solo nelle celebri opere di Goethe e Standhal, ma anche nella quasi totalità delle numerose relazioni di viaggio raccolte dall’Archivio dei viagiatori a Roma e nel Lazio nell’Otto e Novecento. 6 In tutte le opere italiane che descrivono la città, al monumento è legata, senza eccezioni, la parola scalinata. Due indizi potrebbero testimoniare che la diffusione di scalinata in italiano nell’Ottocento ebbe Roma come centro di irradiazione : il trattamento della voce nei dizionari puristici e il particolare uso che Bresciani fa della parola. Il Vocabolario domestico del lessicografo romano Tommaso Azzocchi 7 inserisce scalinata tra le parole da bandire, proponendo la sua sostituzione con scalea. Tale esclusione non è accettata dagli altri repertori, come quelli di Ugolini, 8 Valeriani 9 (che si domanda esplicitamente, senza potersi rispondere, il motivo dell’esclusione) e Viani, che nel Dizionario dei pretesi francesismi commenta così : « Signori padroni, la sapete la nuova sbalorditoja ? L’ottimo Monsig. Azzocchi ha fatto sacco un’altra volta. Io non so che cosa debba dirmi del sig. Rodinò : quanto sono per la più parte buone ed utili le sue osservazioni sopra l’Ugolini, tanto sono poco osservabili, false ed inutili le più del suo repertorio ». 0 Com’è noto, Azzocchi bandisce, oltre a francesismi, voci tecniche e burocratiche, anche alcuni romaneschismi, come dindarolo o pedalino : la notevole diffusione di scalinata a Roma potrebbe aver indotto il lessicografo purista a considerarla voce romanesca, anche in virtù del suffisso -ata molto produttivo nel dialetto di Roma. Ciò Sulla fortuna novecentesca di voci romane in italiano cfr. P. Trifone (992, pp. 92-94). Un’altra attestazione seicentesca, in Placido Carafa, è segnalata da Bergantini (745). 3 Si vedano, ad esempio, Patriarchi (775), Paoletti (85), Boerio (856). 4 In liz4 compaiono 25 occorrenze di scalea contro 7 di scalinata nel primo Ottocento, mentre nella seconda parte del secolo risultano 2 occorrenze di scalea contro 60 di scalinata. 5 Sulla storia di piazza di Spagna e della sua scalinata cfr. Di Mauro (967). 6 L’archivio è consultabile al sito www.avirel.it. In piazza di Spagna, tra l’altro, erano situati gran parte degli alberghi che ospitavano i turisti stranieri in visita a Roma. 7 Azzocchi (8462), sul quale cfr. Serianni (98). Anche il successivo repertorio del napoletano Rodinò (858) bandisce la parola, forse proprio per influsso dell’Azzocchi. 8 9 0 Ugolini (8552). Valeriani (854). Viani (858, s.v. scalinata).  2 134 emiliano picchiorri potrebbe spiegare, inoltre, l’incomprensione di Valeriani, il quale, non essendo romano, non poteva avvertire la voce come dialettalismo, né poteva ricondurla al francese, dove non esistono forme analoghe. Nei romanzi di Bresciani scalea e scalinata convivono. Se scalea compare più volte senza particolari connotazioni (indica genericamente una larga scala di pietra di fronte a un edificio), scalinata è usata sempre e soltanto in riferimento a precisi toponimi romani. I luoghi in questione sono la « scalinata delle Tre Cannelle »,  nei pressi dei mercati di Traiano, la « scalinata di S. Agnese » 2 e, in due casi, la scalinata di Trinità dei Monti. Mentre nei primi due esempi le parole non sono contrassegnate dal corsivo, questo segno paragrafematico è presente nei due passi che si riferiscono alla scalinata di piazza di Spagna : Ma l’uno avea sparlato della guerra e detto male di Ciceruacchio all’osteria della scalinata di Trinità de’ Monti, e l’altro alla bettola di Monserrato ; 3 Giovinotti, oggi all’un’ora siate tutti sulla piazza del Popolo ; vi si pagherà l’intera giornata e un paolo giunta : stassera poi ci rivedremo parte alla scalinata in piazza di Spagna, parte sotto al Collegio Greco e parte a Ripetta, e staremo allegri. 4 Il valore del corsivo in questa circostanza non è del tutto chiaro : l’autore potrebbe voler evidenziare la parola in quanto voce romanesca, come fa in altri passi che abbiamo osservato, oppure potrebbe voler sottolineare che quella di piazza di Spagna è la scalinata per eccellenza. In entrambi i casi, è certo che nella percezione linguistica del trentino Bresciani esisteva un particolare legame tra il termine e questo preciso sito monumentale romano. Le due circostanze analizzate possono permetterci di ipotizzare, per lo meno, la crescente diffusione della voce nella Roma di metà Ottocento. Nei decenni seguenti, l’Unità d’Italia e la successiva promozione di Roma a capitale del Regno avranno probabilmente contribuito alla sua definitiva affermazione in italiano : nei testi di ogni provenienza geografica, infatti, alle sporadiche attestazioni dei secoli precedenti fa riscontro una notevole quantità di occorrenze a fine Ottocento, quando scalinata sostituisce quasi definitivamente la concorrente scalea. La storia di scalinata potrebbe dunque essere analoga a quella di largo ‘piazzetta irregolare’, voce proveniente dall’area napoletana che nel corso dell’Ottocento si diffuse, proprio attraverso Roma, in tutta la penisola. 5 Bibliografia 2 Azzocchi, Tommaso (846 ), Vocabolario domestico della lingua italiana, Roma, Monaldi. Bergantini, Giovanni Pietro (745), Voci italiane d’autori approvati dalla Crusca nel Vocabolario d’essa non registrate, Venezia, Battaglia. Boerio, Giuseppe (8562), Dizionario del dialetto veneziano, Venezia, Cecchini. Bresciani, Antonio (852), L’Ebreo di Verona. Racconto storico dall’anno 1846 al 1849, Roma, Stamperia di Propaganda. Chiappini, Filippo (9452), Vocabolario romanesco, con aggiunte e postille a cura di Ulderico Rolandi, Roma, Leonardo Da Vinci. Cortelazzo, Manlio / Marcato, Carla (2005), Dizionario etimologico dei dialetti italiani, Torino, utet. 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