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L'officina dei Tarocchi. Tra iperdeterminazione e indeterminazione

2021

Capitolo del libro "Désordre. Futurismi di ieri e di oggi", a cura di Giuliana Adamo, Armando editore, 2021.

L’officina dei Tarocchi. Tra iperdeterminazione e indeterminazione di Bianca Battilocchi Ti chiamo a gestire questo roteante imperversante silenzioso caos la limitata tempesta del nostro indiavolato nascondimento. La ribellione dell’immagine è pronta, preparata da tempo, e non c’è misura che si attesti ad arginarla o a liberarla. (Emilio Villa, Sibylla foedus, foetus) i miei Tarocchi son fatti per uscire da: gabbie labirinti buchi tubi pozzi gallerie circoscrizioni mandamenti e comandamenti circondari Bisogna tirarsene fuori! (Emilio Villa, Tarocchi) L’opera di Emilio Villa (1914 - 2003) muove dalla poesia in lingue moderne e antiche, alla traduzione e commento di testi – tra cui l’Enūma eliš, l’Odissea e la Bibbia – all’interesse per l’interpretazione poetica di pittori e scultori a lui contemporanei, così come di reperti artistici a partire dalla preistoria dell’umanità. Il graduale rifiuto per la lingua italiana nella sua poesia ne fa un auto-esule in patria, dove si fa pubblicare quasi di nascosto, con piccole case editrici e mai attraverso canali di successo; attento a non cadere nelle trappole delle asfissianti tendenze e catalogazioni letterarie. Ogni sua attività ci lascia testimonianza di un misterioso stregone della parola, un viaggiatore dentro la lingua che attinge alle origini e alle più estreme avanguardie per creare forme d’arte nuove per il presente e per il futuro. Non ci si può mai accontentare, né fermare nella creazione artistica che è da intendersi, secondo lui, sempre in movimento, in progress. Questo intervento vuole entrare nel merito dei procedimenti stilistici e linguistici adottati da Villa in sede di elaborazione dell’opera che lasciò inedita, Tarocchi, abbozzata negli anni Cinquanta e ripresa in mano tre decenni più tardi. Il materiale è ospitato principalmente dall’Archivio del poeta presso l’Archimuseo Adriano Accattino di Ivrea e, in minore parte, presso la biblioteca Panizzi di Reggio Emilia. Si tratta di circa due centinaia di carte di natura eterogenea, scritte su quadernetti, foglietti volanti, pagine accartocciate, buste delle lettere ecc., in un pastiche linguistico di francese e italiano, con minori innesti latini, greci e di lingue semitiche. A documentare concretamente questo progetto, un taccuino di diciannove pagine in cui l’autore segnalava le carte da trasformare in poesia e le proprie idee alla base dell’opera. In questi appunti si rintraccia subito una caratteristica fondamentale del modus operandi villiano, ossia il ‘lavoro in espansione’. Ai tradizionali ventidue arcani maggiori seguiti da cinquantasei minori, l’autore ne aggiunge altri trentaquattro di propria invenzione, e ai convenzionali quattro semi (spade, coppe, denari e bastoni) fa corrispondere quattro alfabeti diversi – italico, greco, fenicio e ugaritico – in modo che a ogni carta corrisponda una lettera di un alfabeto. Una selezione di questi testi con un mio commento relativamente ai nuclei tematici e ai principali riferimenti del poeta è stata pubblicata nel 2020 da Argolibri, all’interno del volume Rovesciare lo sguardo. I Tarocchi di Emilio Villa.1 L’officina poetica di Villa, negli anni Ottanta giunta agli ultimi anni di produzione, dischiude nel materiale in analisi tutte le caratteristiche della poetica matura dell’autore, che si gioca innanzitutto tra l’iperdeterminazione e l’indeterminazione. Se questi due concetti sembrano a prima vista distanti e opposti, nei testi villiani si verifica un binomio paradossale e tuttavia coerente con il modo di fare poesia prescelto. Il lavoro sugli arcani offre l’opportunità di dimostrarlo, a partire dall’impossibilità di definire con certezza quante carte, in ultima analisi, l’autore volesse realizzare. Il progetto esposto nel taccuino non viene rispettato, si accumulano nuove serie di tarocchi non previste (Tarots Personnes, Tarots Gastronomiques, ecc.) e si mescolano con altre già esistenti o in parallelo corso di scrittura (Labirinti, Città, Geolatrica, ecc.). L’enigma villiano pare allinearsi a quello della sibilla greco-romana da cui prende in prestito il tono oracolare, svelandone il rimando nella carta L’aveugle Sibylle. È importante rammentare che tra 1980 e 1984 Villa stilò i testi delle Sibyllae, un altro suo fondamentale lavoro poetico. Nel saggio che introduce alcune di queste poesie, Aldo Tagliaferri elenca gli Altri testi utili sull’argomento sono il contributo di Chiara Portesine, ‘Tarocchi’ o ‘variazioni’? La collaborazione tra Emilio Villa e Corrado Cagli, «Letteratura e Arte», Pisa-Roma, Fabrizio Serra editore, 2017, pp.189-200, il mio saggio online introduttivo all’opera, Bianca Battilocchi, Nella fucina dei Tarocchi. Nuovi percorsi inediti del labirinto villiano, «Engramma», 145, maggio 2017 e una mia traduzione disponibile sul web, Bianca Battilocchi, I Tarocchi di Emilio Villa. Giocare e sfidare l’Enigma, «Carte nel vento», anno XIII, numero 30, marzo 2016. 1 strumenti che il poeta milanese deriva dall’enigma e affiorante anche nei suoi Tarocchi: “la metafora inconciliabile, il pun, l’allitterazione, il paradosso, il Witz, la deformazione e la contaminazione linguistiche, l’invenzione di parole-baule, l’uso indifferente di diverse lingue”.2 A proposito di microstrutture L’iperdeterminazione è data da differenti fattori, sia a livello di macrostruttura che di microstruttura dell’‘opera’. A livello di microstrutture, come affermato da Tagliaferri, Villa gioca sui corpi verbali torturandoli per far loro confessare l’indicibile, “il volto della Perdita, del vero-reale originario da ritrovare e restituire”.3 Il permanente ἀγών tra il poeta e il linguaggio (“se retrouver/ se battre”) verrà reso noto attraverso la catalogazione delle varie pratiche poetiche con un focus particolare sulle invenzioni di parole, le ibridazioni e le omofonie. Gli strumenti in uso da Villa hanno molto in comune con le tecniche delle prime avanguardie, lo smantellamento orale e grafico del linguaggio ordinario attraverso la deformazione, la contaminazione e le associazioni fonetiche (Futurismo, Dada, Poesia concreta, e Surrealismo).4 L’indagine dei testi ha mostrato quanto la lingua villiana si nutra di neologismi e invenzioni di vario tipo, e come nel caso del francese e del latino spesso questi non siano riconoscibili, ma credibili a prima vista. Nodi polisemantici Una pratica molto diffusa nell’opera di Villa è la creazione di nodi polisemantici in stile joyciano dove più parole vengono accorpate creando una pluralità di significati che iperdeterminano l’oggetto rendendolo ambiguo.5 Ne mostro alcune in lingua francese: 2 Vd. Aldo Tagliaferri in Emilio Villa, 12 Sibyllae, Castelvetro Piacentino, Michele Lombardelli editore, 1995. pp. 7-8. 3 Ibidem. Vedi anche nello stesso testo a p. 10: “dalla seconda metà degli anni Cinquanta Villa mira a rendere sempre più tenui i nessi delle metafore, i rapporti tra le immagini, e ad accentuare l’inviolabilità dell’enigma. [...] affidandosi a una pura extratestualità, poiché ciò che conta supremamente, nella sua poetica, è l’ineffabile del quale occorre far pesare l’assenza”. 4 Si legga a proposito Giovanni Tuzet, I soli dadaisti in Italia, in «Atelier», n. 45, Anno XII, (marzo 2007), pp. 78-83. Tuzet sostiene che Emilio Villa e Julius Evola siano i soli dadaisti della poesia italiana, autori di “un anarchismo linguistico, di forme e di significati, giocato sui registri della sconnessione, del remix arbitrario, dell’assurdo, della bomba e della capriola, della rivolta. Naturalmente gli esiti non sono gli stessi e in Villa sono segnati da una maggiore radicalità […] non secondarie sono inoltre le influenze surrealiste in Villa”. 5 Tagliaferri ha precisato che la lettura del Wake giunge tardi nell’esperienza villiana, che già era passata attraverso la frantumazione del linguaggio operata dalle avanguardie storiche qui citate. Pur apprezzando l’ultima opera di Joyce, la struttura e gli artifici linguistici, il poeta italiano si allontanerà presto da questo per assumere una posizione più vicina all’altro irlandese. Come Beckett, Villa si sentiva attratto dal Nulla, dal silenzio, e mirava a una “parola impossibile, precedente rispetto a ogni significante storicamente determinato”, 1. “eclectrique” unisce ‘éclectique’ e ‘électrique’ (eclettico, elettrico); 2. “Rêvale” contiene ‘rêve’ e ‘rival’ (sogno, rivale); 3. “rêvovale” fonde ‘rêve’ con ‘ovale’ (sogno, ovale); 4. “Partourir” – in rima con “parcourir” di due versi prima – connette molto probabilmente l’italiano ‘partorire’ con il francese ‘parturiente’ e ‘partout’ (partoriente, dappertutto); 5. “fafétale” incorpora ‘fatal’ e ‘foetal’ (fatale, fetale); 6. “Taroeil”, ‘Tarot’ e ‘œil’, (tarocco, occhio). In una delle note del poeta conservate a Reggio Emilia si susseguono lunghe parole polisemantiche come in eco a quelle celebri di Finnegans Wake.6 Calchi Molto frequente è l’invenzione di nuovi vocaboli operata attraverso calchi linguistici e solitamente mettendo in comunicazione due lingue. 1. Diagnoste ad esempio è coniato prendendo in prestito la forma italiana ‘diagnosta’, mentre in francese corretto sarebbe ‘diagnostician’; 2. Enigmeur mostra invece un caso differente, dato che inventa un termine non esistente in francese, ispirandosi dall’italiano ‘enigmista’, al sostantivo francese accentato ‘énigme’ e al finale francese ‘–eur’. Similmente nascono i titoli di due Tarots Personnes, l’Enténébreur e le Chaoseur. 3. Nel primo caso Villa inventa un termine non esistente nemmeno in italiano, che si potrebbe tradurre come il ‘Portatore di tenebre’; 4. nel secondo il poeta aggiunge una sua personale traduzione di ‘casinista’ – reso in francese da ‘bordélique’ o ‘gueulard’ – per portare attenzione a una parola chiave della sua poetica sul Nulla, il ‘Chaos’. non più a una “parola sovrana” come quella di Joyce, sempre ancorato a presupposti naturalistici. Cfr. Tagliaferri, Agone, in AA.VV, Una musa indiscreta. Quattro testi su Emilio Villa, Ivrea, Archimuseo Adriano Accattino, 2017, p. 34. 6 Jacob Korg, Polyglotism in Rabelais and Finnegans Wake, «Journal of Modern Literature 26», n.1, Indiana University Press, autunno 2002, pp. 58-65: “Fragonard observed that in the list of hybrid names of weapons in Gargantua and Pantagruel, ‘tous les peuples et tous les temps se sont mobilisés pour créer ce vocabulaire de la guerre totale...’. Her observation applies even more appropriately to Finnegans Wake, except that its vocabulary is not “guerre totale,” but “langue totale,” an idiom that carries on and advances Rabelaisʼ linguistic craftsmanship”. 7 Forme ibridate È stata resa nota da differenti studiosi la predilezione di Villa per la versione latinizzata dei lemmi o la preferenza per forme arcaiche o obsolete, spesso -y- al posto di -i-. Altrove si può trovare ad esempio “Ytalia”, “Sybilla” e “sybillini”, “mystica”. Nel corpus in analisi: 1. “objurgate” anziché la forma latina ‘obiurgate’; 2. “heremita” in luogo di ‘eremita’ ; 3. “Gnôme” invece del francese ‘gnome’; 4. “déployements” che muta il francese ‘déploiement’; 5. “rep-rexive” invece che l’italiano ‘repressive’. Chiara Portesine commenta sull’argomento che le “forme ibridate tra italiano e latino producono un effetto di arcaismo desueto, che ricorda un certo tono salmodiato delle messe di campagna (con frequenti contaminazioni tra lingua della Scrittura e idioma locale) e di straniamento visivo, venendo a cozzare con il modello grafico consueto in cui il lettore è abituato a incontrare il termine.”8 Parole composte Tra le parole composte di stampo villiano si sottolinea la tendenza a un fitto impiego di prefissi con valore decrescitivo con o senza trattino. Nel caso dei Tarocchi questa tecnica è 7 Trascrizione della carta LE DIAGNOSTE, in Villa, Rovesciare lo sguardo, cit., p. 103. Chiara Portesine, Un “Orfeo robot”. Zanzotto a contatto con lo sperimentalismo laterale di Villa, in Aldo Tagliaferri e Chiara Portesine, Emilio Villa e i suoi tempi. Finestre per la monade, Milano, Mimesis, 2016, p. 170. 8 adottata spesso, a mio avviso, in direzione gnostica: 1. “mi-marée”; 2. “mi-marais”; 3. “Demie-Vie”; 4. “demi-plongée”, 5. “deminimonde”, 6. “microsemita”, 7. “quasi -emi-semidemi-mini”. Meno in uso in questa raccolta sono i prefissi di valore accrescitivo come nel caso di “Surimpuissances Génétiques” e “ultratemps du Vain”, che seguono ad ogni modo la stessa prospettiva di svalutazione della realtà umana. Altri lemmi composti seguono la regola del trattino o del ‘non’ seguito da trattino: 1. “extase-sueur”; 2. “ex-Sens”, 3. “NON-NATO”; 4. “seuver-aureolas”; 5. “vite-anneau”. Ripetizioni Vi sono coppie in cui si ripetono le stesse parole, “langue-langue”, “linge-linge”, “gloute gloute”, “pot pot” o composti di sinonimi: “Semisegni”, “taciturnesilencieuse”, “tableaubarème”. In altri casi viene ripetuta la prima sillaba “ananaliser”, “l’é é lément”, “l’ é é lém osyne”. Ripetizione con variazione “LE JEU DIEU JEU YEUXJEU”. In una delle Diciassette variazioni (1955) questa pratica iniziava a essere sperimentata come motore energizzante, in questo caso sfruttando le vibrazioni della vibrante alveolare sonora /r/: “pincer les shrapnelles enterrés/ entrainer sur les bancs du noir du zéro tous/ les monstresrameaux du blafard/ exploisoisifs trironiques engèndrés par l’illustre/ communion des communions des gros sexes anonymes et/ tous les sexes de genre […] genrgenre”. Negli stessi anni, i testi composti sul tema dei tarocchi mostrano la stessa pratica: 1. “Bagatto Bagatto Baga pregare il Bagatto prega”; 2. “Eremita eremita eremita ere phone boontosente eremo euth”, 3. “Ruota ruota ruota lume vivo alta quota”, 4. “Sette spade sette spade tre s’alza quattro cade”. Secondo Giovanni Solinas la ripetizione ricopre un primario ruolo energetico. Si veda innanzitutto l’esempio di “exploisoisifs” dalle Diciassette variazioni. Il poeta parte da un termine base, exploisif, e da questo fa germogliare delle sillabe dando l’impressione di un processo naturale e creando alterazioni rivelatrici. La ripetizione del suono /ois/ raccoglie i “suoi frutti” nell’invenzione di un’“esplosione del sé-soi”.9 9 Cfr. Giovanni Solinas, Modèles et fonctions de la répétition dans la poésie de Emilio Villa, in Lindenberget J. et Vegliante J. C (sous la direction de), La répétition à l’épreuve de la traduction, Paris, Chemins de tr@verse, 2011. Si veda sempre dalle Diciassette variazioni il caso di ripetizione in climax “noirmère noirpère noirfou noirsuie/ noirnue noirnoyau noirpluie/ noirsoit noirsouffle noirsoul/ noirneige noirsuitefuite noirnul”. Con esiti di ritmica eco, dalla radice noir si creano legami cromatici come il binomio bianco-nero di “noirneige”, sino ad esasperare il già filosofico “noirnul” evocativo del nero abisso, del buco nero, e chiudere ancora una volta nel segno villiano del “NUL”. Parole scomposte Anche la tecnica della scomposizione di parole in distanti elementi si mostra di frequente e crea disorientamento e ambiguità: 1. “désor ientation” 2. “re monter”; 3. “le lait au cer v eau”; 4. “le mi me jeu vial”; 5. “é ternelle”; 6. “I solée”. In molti casi separando le sillabe si creano doppie letture come per “(in)conoscibile”, e negli amatissimi giochi omofonici su cui tornerò più avanti: 1. “verte tige” (parola d’origine ‘vertige’) ; 2. “Je Ongle Heure” (‘jongleur’); 3. “l’être ernité” (étérnité), 4. “rêve élation” (‘révélation’); 5. “Ma Melle” (‘mamelle’); 6. “Nu dit È” (‘nudité’); 7. “l’an c(h)ien” (‘ancien’ o ‘chien’). Chiasmi e opposizioni Tra le figure di parole e di pensiero sono ricorrenti le antitesi, in particolare i chiasmi e gli ossimori. Quello di Villa è un tipo di discorso che ama nutrirsi di paradossi dove gli opposti convivono di norma sulla stessa pagina. Jane Goodall li mette in relazione al discorso gnostico affermando che l’esperienza della Gnosi è la rivelazione della duplicità della coscienza e dell’essere umano.10 Offro qualche esempio di chiasmo in francese e italiano e faccio notare che spesso il poeta disegnava chiasmi come nelle due immagini che ho riportato qui sotto: 1. “l’Insuffisence Rêvale/ rêvovale des Joues”; 2. “giocosa immobilità del Seno Giocondo”; 3. “incontro è/ legare per slegare/ e insieme/ slogarsi per logarsi”; 4. “subrêmes verrues/ verrous blasphèmes”. Cfr. Jane Goodall, The Gnostic Drama, Oxford, Claredon Press, 1994, p. 15: “The experience of the Gnosis is the revelation of the doubleness of consciousness and the doubleness of human being itself”. 10 Fig. 1 Emilio Villa, chiasmo disegnato in una lettera a Gianfranco Contini del 1982, in Ugo Fracassa, Per Emilio Villa. 5 Referti tardivi, Roma, Lithos Editrice, 2014. Fig. 2 Emilio Villa, chiasmo realizzato in un testo del 1937 per Lucio Fontana, in E. Villa, Attributi dell’arte odierna, Milano, Feltrinelli, 1970. Segnalo alcune coppie di opposti: 1. “immane e semplice gara”, “consolidarsi e dissimularsi”, 2. “legare x slegare, slogarsi x logarsi”, 3. “Naître, c.à.d, du N’Être”, “naître et n’être pas” 4. “sistema-malgama”, 5. “morte-vita”, 6. “passato-futuro”, 7. “MutevoleImmutabile”. Tra i numerosi enunciati paradossali: 1. “tutte le cose distinte allegate all’Indistinto Eventuale, annodate alla giocosa immobilità del Seno Gioco”; 2. “l’éternité instable”; 3. “l’impact entre/ signalation et tentateur/ produit une/ métaphore-métamorphose”; 4. “incriminazione/ della propria esistenza/ che si contagia di futuro/ sarà un contagio reciproco/ il futuro è solo una malattia/ dell’enigma”; 5. “limitrofa e perennale distanza dell’Abisso Vivente”. Figure di suono Le figure di suono sono senza dubbio sfruttate con abbondanza dal poeta che talvolta piega il senso dei propri versi a fini meramente fonetici, lasciando la libertà alla propria penna di riprodurre le più o meno spontanee associazioni. È forse questo il caso del testo le Diagnoste dove è chiara la ricercata insistenza sulla nasale palatale /gn/ (“Diagnoste”, “Gnon”, “Gnôme”, “gnomiques”, “gnose”, “diagnose”) ma dove rimane ardua l’interpretazione dei versi. Accanto alle associazioni mentali, Villa potrebbe inoltre aver utilizzato semplicemente le opzioni proposte da un vocabolario cartaceo. Non sono rare ad esempio le concatenazioni di parole legate da prossimità fonetica: 1. “l’Insurrection-Resurrection”, 2. “métaphore-métamorphose […] métamythose”, 3. “Tarot, Tarlot, Tarail, Taroeil […] ”; 4. “edera – ulcero – utero – etere – entero –idra – irto – erta – edra – retro ordine – orda – ordigno – ordito – ordalis”, 5. “Echos/Echeaux”, 6. “CEREBROCERBERO”. Tra i calembours e i giochi di parole con omofoni francese: 1. “Dans le Non/ du Pair/ du Vice et des Sexes Ex pris”, 2. “dans le Noos du Pire/ du Fluxe/ et du Sense Prix” ; 3. “dans le Nom/ des Pierres/ des Fesses/ et de la/ In Saine Trespite” (‘Au Nom du Père, et du Fils, et du Saint-Esprit’); 4. “reconnaître : re con ȇtre” ; 5. “feu n’être” (‘fenȇtre’, ‘feu’, ‘faut n’ être’), 6. “Cru El”, 7. “nues âge” (‘nuages’), 8. “LAK RHO BÂTE” (‘l’acrobate’), 9. “Sais ir) (Sais Sons) (Ses Ires / Sex Ires)” (‘saisir’, ‘saisons’). L’elezione della lingua francese come una delle principali della produzione villiana può essere giustificata non solo dalla vicinanza all’italiano (sfruttata attraverso calchi) e alla sua diffusione come seconda lingua dall’Italia illuminista fin oltre la prima metà del Novecento, ma dalla sua versatilità in merito alle omofonie, amatissime da Villa, così come dal ‘sodale’ Marcel Duchamp.11 Riporto un sintagma didascalico su questa tematica per sottolineare l’importanza generativa e creativa attribuitagli dall’autore: “ogni omofono è ghiandola, è artiglio, è mascella è cerniera è mammella”12. 11 Cfr. Lyn Merrington, The substantial Ghost: Towards an exegesis of Duchamp's artful wordplays, «TOUTFAIT the Marcel Duchamp Studies Online Journal»: http://www.toutfait.com/issues/volume2/issue_4/letters/merrington/merrington.html. 12 Emilio Villa nel catalogo della mostra di Maria Grazia Bertacci, Universe stanze, Comune di Copparo, Galleria comunale Oreste Marchesi, gennaio 1985. Fig. 3 Clip dal film Anémic Cinéma (1926), con giochi omofonici di Marcel Duchamp, regia di Man Ray. Fig. 4 Emilio Villa, Tarocchi, Archimuseo Adriano Accattino, Ivrea. Se la pronuncia o performance delle poesie diventa fondamentale accanto alla dimensione visiva della pagina poetica, non si fanno mancare le onomatopee, i giochi di rima e allitterazione, dal potere quasi ipnotico, talvolta quasi in eco alle sperimentazioni di Antonin Artaud: 1. “le Taratata cria Tarototot”13 come fosse il suono proveniente da una tromba; 2. “dont la pensée sans routes/ lui pissepisse/ dans les l’orifices/ de la tête au crâne/ de la rate oligophane/ à bouillon et cailloutis/ à aiguilles liquides” giocata sul suono sibilante della fricativa alveolare e su quello liquido della laterale alveolare, per restituire un’immagine di emissione e circolazione di fluidi all’interno del corpo. Alle pp. 8-9 della sua prefazione a Rovesciare lo sguardo, così Tagliaferri: [i] testi dei tarocchi realizzati da Villa formano un insieme che precipita come una valanga inglobando ogni significante in una massa di rimandi che li depotenzia, sfigurandoli, creando gorghi semantici senza via d’uscita, ma anche li potenzia, riplasmandoli nel proprio moto accelerato e sfruttando le potenzialità di un continuo rifacimento combinatorio. Interventi secondari sui testi Nel corpus Tarocchi si osserva in generale un’oscillazione tra testi che sembrano scritti di getto e in forma di appunti, e altri più distesi, spesso accompagnati da interventi secondari anche cospicui. Molte carte non sono mai state ritoccate, alcune non hanno cancellature ma solo aggiunte in un altro colore di penna. Qui di seguito ho elencato le differenti operazioni in uso, molte delle quali coincidono con le pratiche linguistiche appena esposte innanzi. Integrazioni Tra i diversi tipi di interventi, si trovano aggiunte senza correzioni, visibili grazie al cambio di penna, dal nero al blu ad esempio nel caso del titolo ampliato nella carta 33 del seme Coppe, dove a fianco de “L’UCCELLO CADUTO” viene aggiunto “DAL PLEROCENE”, o alla numero 36, “IL VIAGGIO (LSD) è integrato in penna blu con “NEL CORPORALE”. Si consideri ad esempio la traduzione che Artaud fa dei versi di non-sense di Lewis Carroll: “ratara ratara/ atara tatara rana”. Ricordo anche la lingua inventata nel Théâtre de la Cruauté: “o pedana/ na komev/ tau dedana/ tau komev/ na dedanu/ na komev/ tau komev/ na come”. In Artaud, Pour en finir avec le jugement de dieu, Paris, Gallimard, 2003, p. 72. 13 Traduzioni Sono numerose le cancellature di termini in italiano a cui si sostituisce la loro versione in francese, lingua che ho individuato come quella prescelta per la raccolta Tarocchi. I campioni possono essere tanti: “qualche” – “quelque”, “si disancorano” – “se déchaînent”, “l’arancio a stella” – “l’orange en étoile”, “sette scintilli”, “sept éclats” e così via. Ricicli Talvolta alcuni termini sono cancellati per essere riutilizzati pochi versi dopo. Altre volte sono cancellati e riscritti tali e quali nella stessa posizione. Vi sono casi, inoltre, in cui si tratta di interi versi riproposti in altre carte ma in variazione: “un Compas Opaque, désolant/ que ca oscille au centre Mappe” si trasforma in “un Campus désolant/ que ça oscille/ au centre Mappe”; oppure “le lait au cer veau/ le mi me jeu vial muet /sous les mammes de sautillantes/ [?juantes]/ en pot/ de sa nourrice/ jouot” diventa “le lait au cer v eau/ le mi me jeu vial/ sous les [(serf) surf] mammales/ de sa nourrice en pot pot”. Varianti sinonimiche Operazioni successive, sempre a livello contenutistico, sono le numerose varianti poste a fianco delle cancellature villiane. Si tratta in primo luogo di forme sinonimiche, per evitare ripetizioni, la preferenza di termini più astratti, desueti o più specifici. Nel taccuino ad esempio, alla parola “Tarocco” viene più volte sostituita quella di “Seno”, o al plurale “Tarocchi” può diventare anche “Semisegni”; a sua volta “segni” è alternato a “seni”. Si nota così un gioco di variazione su tema che amplifica l’alone di mistero già piuttosto denso in quelle che dovrebbe essere solo note programmatiche. Più semplici casi di sinonimia possono essere i modelli di “plantes”, soppiantato per “arbres” forse per richiami consonantici con il successivo vocabolo “pierres”, e “uomini” scartato per la seconda opzione “esseri dominanti umani”. La scelta di vocaboli meno usati nella lingua comune viene rivelata dalla sostituzione di “Felice” con “Giocondo”, “battaglie” con “entonomachie”, “lampo” con lampaneggio”, “turbine” con “turbinio”, “infinita” con “ineasusta”, “fossile” con “filogenetico”. Un’altra eventualità può essere quella di “blessure” (‘ferita’) depennata in favore di “fêlure” (‘crepa’) per meglio sposarsi con il sostantivo di riferimento, ovvero “Croml” identificabile con le millenarie pietre megalitiche Cromlech. Precisazioni o facilitazioni di lettura possono anche essere quelle della carta in cui “stravagantemente” sostituisce “incertamente” o quando “insenature di eclisse” è preferito a “zone di eclisse”. Varianti ambigue In direzione opposta sembrano invece dirigersi le varianti ambigue in cui versi “prossimamente noti o per/ sempre ignoti” vengono resi ancora più oscuri nella versione “prossimamente noti o per/ sempre noti-ignoti”. Un altro caso di complicazione polisemantica è quello di “Tutélaires” che viene scomposto in “Toute A L’Heure”, operazione spesso presente in Villa. Varianti arcaicizzanti Si palesano inoltre le varianti di gusto arcaico come “exanguité” che muta in “exsanguité” usando la forma latina exsanguis, “quatre” (‘quattro’) che dal francese viene tradotto in latino con “quattuor” e “astral” che si veste di consonanti più esotiche in “axtral”. Mutamenti di maggior rilievo Cambiamenti più importanti possono invece consistere nella fusione di “et une roue de Chouette/ tout alentour/ dans l’aire de son Memmbres” in “un Labyrembre d’Alouettes”, dove la ‘strada della Civetta tutta intorno nell’aria dei suoi Membri’ diventa condensata in ‘un Labirinto-membro di Allodole’. Ma già a partire dal taccuino, si noti il numero degli arcani massimi diminuire da 17 a 14 e quello dei minimi accrescere da 15 a 20, così come “le mummie” mutano in “Orchidee”, “la proprietà della destinazione” da “assoluta” diventa “reversibile” e “un soleil […] de confort” diventa un sole d’ira (“courroux”). Accanto a questi, vi sono anche mutamenti di tempo verbale: “saranno aggiunti” > “vengono aggiunti” o “s’il est contraire” > “soit-il contraire”. Possibili attenuazioni e censure Si può altresì notare l’attenuazione di alcuni termini forti, sostituiti in certi contesti ma presenti in altri. In [TN2], si preferisce “IL PENE” e si depenna “CAZZO” e, similmente, “IL TRANSFERT” ha la meglio su “L’ETERNITÀ CAZZO”. In [TC47], “les sentiers qui mènent/ à la mort” diventa più velato con “les sentiers qui mènent/ à la Source Aveugle/ Intégrale” e in [TP75], “fouttre” è sostituito da “outrer” (‘forzare’). In alcuni versi Villa vuole forse cancellare la traccia di fonti a cui attinge, come quella di “orphique” o di “Lacan”. Varianti fonetiche e metriche In altri casi sembra che l’intervento autoriale sia principalmente interessato alla tenuta fonetica dei versi, più che ai contenuti, e la sua attenzione sembrerebbe principalmente posarsi sulle rime, i richiami consonantici e assonantici. L’aggettivo di invenzione “abortices” ad esempio in “de fièvres précipices/ abreuvés abortices” è preferito all’esistente “abortifs”, evidentemente per la rima baciata che si va a creare con “précipices”. Lo stesso discorso può essere valido in “panoplie” che sostituisce “panneau” per rimare con la fine di verso precedente (“pépie”). Alternative vicine foneticamente sono invece il cassato “foncés” in favore di “fiancées”, o “hure” per “urée”. Varianti ortografiche Vi sono infine varianti di interesse ortografico, cambi di proposizione o articolo, correzioni di concordanze in genere e numero, per errori derivanti da sviste o per mutamento di elementi all’interno dei versi: “dans cette nuit” > “à cette nuit”, “niveau aux Enigme” > “niveau à Enigme”, “dans toute sa extension” > “dans toute son extension”, “annéantir” > “anéantir”, “parmi les angles” > “entre les angles” e tante altre ancora. Questioni di macrostruttura Que diable de langaige est cecy? […] ne scavez-vous parler Francoys? (Rabelais, Pantagruel) Nell’opera poliglotta villiana molteplici lingue coesistono e si concentrano in una di nuovo conio, sempre in metamorfosi e fusione alchemica, aspirante all’inedito, al non prescritto, come tendente al grado zero di scrittura indicato da Roland Barthes, al di fuori di codici e tradizioni. Su un registro affine si trova la glossolalia in Artaud, così commentata da Jacques Derrida: alcune lettere trascrivono dei fenomeni che non apparterrebbero ad alcuna «lingua naturale»; esse forzano la lingua cosiddetta naturale, a ritornare, come se diventasse folle, verso uno stato precedente la sua nascita, verso l’in-nato della proposizione.14 Se l’italiano sembra palesarsi solo per una prima fase per poi essere tradotto in francese, il latino, il greco e le lingue semitiche partecipano come cammei sacrali-dissacranti e più in generale come contatto con il mito.15 Il poeta si serve di questo per accedere alle origini della cultura, seguendo la direzione già indicata da Carl Jung verso le Immagini del Principio (gli archetipi). Nel materiale si evidenziano a questo proposito i frammenti “Serpent en Action Mythuelle” (‘mythe’+‘mutuelle’), “métamythose” (meta+mito+mitosi) che fanno luce su un percorso sinuoso nel mito e volto alla trasformazione, alla generazione di un nuovo scenario da offrire al lettore. Nuovi elementi che ci informano sulla complessità dei Tarocchi sono le fonti eterogenee, i differenti registri e terminologie in uso, in un montaggio sempre diverso e imprevedibile. Villa si appropria dei vocabolari semitici, di quello ecclesiastico, gnostico, apocalittico, del lessico della sublimità così come di quello scientifico, della fisica contemporanea, della medicina, talvolta include segni matematici (caratteristica che si rivela già dagli anni Cinquanta, con le Diciassette variazioni), geroglifici e ideogrammi semitici. 14 Jacques Derrida, Antonin Artaud. Forsennare il soggettile, a cura di Alfonso Cariolato, Milano, Abscondita Aesthetica, 2014, p. 32. 15 Cfr. Tagliaferri, Emilio Villa e la riscoperta dell’America, in Emilio Villa e i suoi tempi, cit., p. 42: «Quanto alle macrostrutture del mito, passato e futuro, più che mai presenti nei testi villiani degli anni Ottanta, esse possono a loro volta essere tramutate, o concepite, come cornici per il nulla, in quanto predisposte a includere l’ineffabile nel racconto della sua perdita, e già nell’ambizione prospettica retrograda che le costituisce». Contro “l’illusorietà di ogni ottimismo descrittivo”,16 il poeta risponde con un linguaggio germinativo, anche triviale, in continua fioritura e stratificazione, dove i significati sembrano diventare inesauribili e dove gli organi sessuali fanno spesso capolino (“mamelles”, “vulva”, “utero”, “ideocazzo”, “pene”, “cunicolo seminale”, “Subtelluricā Glandē”). La distribuzione dei versi sulla pagina insegue il criterio della plurileggibilità, abolendo quello della linearità e proponendo un dettato labirintico e vorticoso, dove si fa ricorso all’aleatorietà e all’extratestualità, indicando un al di là della pagina e invitando a proseguire il viaggio nel linguaggio e nei suoi archetipi.17 Frammenti e caos La comprensione dei Tarocchi, e in generale delle ultime opere di Villa, è resa ancora più problematica dalla perseguita dispersione o frammentarietà (“poesia è se-parare sé dal/ sé”18), riproduzione anche visiva della perduta unità originaria del linguaggio di cui si è parlato più volte innanzi. In contesto gnostico lo si può leggere come il disseminarsi delle particelle divine imprigionate nel mondo, e quindi la mescolanza di luce e tenebre, la pluralità del mondo contro la pienezza del Pleroma. Sulla mescolanza, gli intrecci e l’opera di dissipazione in Villa si può suggerire una correlazione con quanto, in ambito artistico, è stato osservato da Frédéric Lambert, su come la genealogia delle immagini non risalga il tempo in maniera lineare: Vd. Tagliaferri, Prolegomeni villiani, in AA.VV, Emilio Villa. La scrittura della Sibilla, all’interno della sezione Floema della rivista online «Dia.foria», maggio 2014. 17 Può essere utile un confronto con le arti visive e il concetto di ‘sovradeterminazione’ nella riflessione di Georges Didi-Huberman, La condizione delle immagini. Intervista con Frédéric Lambert e François Niney, «Doppiozero» online: www.doppiozero.com/materiali/anteprime/la-condizione-delle-immagini: «Warburg e Benjamin, prossimi […] al concetto di ‘sovradeterminazione’ caro alla psicoanalisi freudiana, fanno letteralmente scoppiare la storia lineare dell’arte. Immagine-sintomo, immagine in movimento. Un simbolo in movimento è un simbolo che subisce una modificazione, una crisi di rapporto con ciò che simbolizza. Il sintomo […] mette in crisi i regimi abituali della rappresentazione e del simbolo. Inoltre conferisce all’atlante di Warburg il suo carattere enigmatico o, a volte, surrealista, alla maniera dei Documents di Georges Bataille o dei montaggi di S.M. Eisenstein. In questi esempi c’è qualcosa che produce un effetto sulla nostra conoscenza: l’accostamento delle immagini, per quanto differenti siano, produce sempre una modificazione, un’apertura del nostro sguardo. I montaggi sensibili servono spesso a porre nuove questioni d’intellegibilità. Ciò avviene più spesso quando riescono a comporre un ritmo particolare mostrandoci il “battito vitale” all’opera – il ritmo antropologico – del mondo delle immagini». 18 Villa, Poesia è, in Emilio Villa, L’opera poetica, a cura di Cecilia Bello Minciacchi, Roma, L’Orma Editore, 2014, p. 691. Si legga anche Tagliaferri, Agone, cit., p. 24: «Villa poggia la propria poetica su presupposti diversi: un processo di de-segnificazione che disperde gli elementi costitutivi di ogni lingua sfruttando le potenzialità della polisemia e dell’energia semantica scoperte dal poeta dedicandosi agli studi biblici». 16 La radice di un albero è sempre complessa, si biforca fino al caso estremo del rizoma, come è stato ben spiegato da Gilles Deleuze e Félix Guattari. Pensi alla parola impiegata da tutti gli storici dell’arte e da quelli di letteratura, la parola fonte: una fonte è un percorso fortemente complesso, essa non “inizia” in un solo punto della montagna, è il risultato di molteplici flussi, biforcazioni e sedimentazioni; si tratta quindi di una entità erratica e fluida, una molteplicità da cui nasce il fiume. Essa non determina direttamente, ma “sovradetermina” la singolarità che ne deriva.19 Sul piano filologico-linguistico questo discorso può interessarsi alla moltiplicazione degli idiomi, il loro avvicinarsi, contagiarsi, allontanarsi, ovvero a una storia intricatissima, sempre in movimento e frequentata da Villa con passione, soprattutto quella attinente le prime civiltà umane. Il poeta vuole attingere a queste fonti per avvicinarsi a quelle più vicine al cuore dell’arte e al suo etimo. Tuttavia il suo non è un lavoro di tipo scientifico, è uno studio continuo della lingua e al contempo una ricerca che si nutre anche delle più libere associazioni mentali. I versi dei Tarocchi ne riproducono l’azione di scavo, la labilità e la molteplicità delle ipotesi, i dubbi e i silenzi. La poesia si gioca così sul binomio paradossale della pluralità e della perdita: “poesia è l’esserci moltiplicato per/ il nonesserci”.20 In ultima analisi, il poeta sembra mirare a una poetica del flusso continuo, a una ricerca di suoni nuovi e inauditi per superare la diretta comunicatività e rappresentare l’Eternità, punto d’arrivo e punto di partenza. Riporto, in conclusione, le parole di Mario Diacono tratte da un suo contributo, 21 intitolato Villalogos e scritto in occasione dell’evento Perfomative Arts Today, avvenuto il 2 febbraio 2018 presso Trinity College Dublin e dedicato al suo antico amico e sodale: Il rapporto di Villa con il libro, con la stampa in genere, è stato accidentato e incidentale. La scrittura è per lui un flusso ininterrotto di metalinguaggio in continua dilatazione, trova riposo in un libro o foglio di rivista solo per caso e temporaneamente. L’ideologia fonetica comporta un distacco progressivo dalla scrittura-letteratura istituzionalizzata, carrierizzata in editoria di consumo. La dizione poetica poteva aver luogo nel libro, ma il libro non doveva dar luogo a una commercialità. La sua provvisorietà, oscurità era programmatica. La parola non poteva essere che occulta e occultata. 19 Didi-Huberman, La condizione delle immagini, cit. Villa, Poesia è, cit., p. 692. 21 Mario Diacono accompagnò Villa in diverse imprese, tra cui ricordo la co-creazione del periodico d’arte internazionale «EX», (1961-1968), la visita alle grotte di Lascaux (da cui nacque L’arte dell’uomo primordiale), la pubblicazione di opere dell’amico di Affori in periodici o edizioni da lui curate, come «Quaderno». Presso l’Archivio del ‘900 al Mart di Rovereto è possibile recuperare alcune di queste preziose tracce, consultando la sezione riviste d’artista. 20