Decolonizzazione culturale e nuovi paradigmi locali
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Comitato di Redazione
1 luglio 2021
di Olimpia Niglio
Il XIX secolo, tra il 1808 e il 1833, ha
segnato l’inizio delle guerre di indipendenza
di tanti Paesi dell’America Latina che proprio
in questi anni festeggiano i rispettivi
bicentenari dei processi sociali attraverso i
quali hanno lentamente acquistato
l’indipendenza politica, economica e
tecnologica dai Paesi ex-colonizzatori: la
Spagna e il Portogallo. Molto più incisive le
pagine di storia che hanno riguardato invece
tanti Paesi mediorientali e asiatici che
insieme al continente africano sono stati
scenario di importanti battaglie e lotte sociali
per l’indipendenza dalla Gran Bretagna e
dalla Francia.
Colombia, maggio 2021. Processi di
decolonizzazione (ph. Eduardo Peñaloza)
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale tantissimi infatti sono stati i Paesi interessati
anche dalle decisioni approntate dalla allora nascente Organizzazione delle Nazioni Unite
per affermare la propria indipendenza e libertà sociale, economica e politica. Oggi dei
vasti domini coloniali di un tempo restano solo alcuni territori antartici, pressoché o
totalmente disabitati, e che certamente non possono essere considerati alla stregua degli
altri possedimenti, anche se negli ultimi tempi la geopolitica si è soffermata molto sulla
Groenlandia, colonia del Regno di Danimarca.
Tuttavia risulta molto utile ripercorrere e rileggere le pagine di storia degli ultimi due secoli
per trovare risposte alle intrigate questioni che in questi ultimi mesi stanno interessando
molti Paesi del mondo, dove, seppur sopraffatti dalle questioni pandemiche, sembra che il
virus più difficile da affrontare sia ancora una volta l’ingerenza e la supremazia degli ex
colonizzatori, apparentemente debellati ma che sono tornati in auge più forti di prima, in
quanto le evidenti tracce che hanno lasciato stanno rimettendo in discussione soprattutto
il ruolo culturale di molte delle ex nazioni colonizzate. Se da un lato le colonizzazioni
hanno prodotto ingenti danni alle culture locali in quanto non interessate a stabilire
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dialoghi ma piuttosto a reprimerle e a cancellarle, dall’altro quanto imposto e realizzato
seppure sia sembrato un processo di modernizzazione tale non si è rivelato essendo
stata un’azione non condivisa e pertanto non riconosciuta dalle comunità locali.
Una condizione di chiara sudditanza culturale che nei secoli ha prodotto molta incertezza,
sfiducia nelle potenzialità delle tradizioni locali, incapacità da parte delle comunità di
elaborare pensieri critici in grado di emergere attraverso le proprie identità ed eredità
patrimoniali. Condizioni sociali molto complesse la cui scarsa determinazione e tenacia
hanno condotto sempre questi popoli a cercare soluzioni attraverso la sottomissione e
non l’auto-responsabilità. Tuttavia, questa situazione è frutto proprio di pagine di storia
che non possiamo annullare ma è fondamentale rileggerle con attenzione per trovare le
giuste risposte alle tante domande che soprattutto le giovani generazioni iniziano ad
esprimere.
Intanto quando si indagano le condizioni di processi definiti “evolutivi” che sono il frutto di
azioni irruenti, calate dall’alto, non rispettose delle diversità territoriali e delle differenti
identità culturali, allora è giusto interrogarsi sul problema di come la scarsa conoscenza
sia un’arma letale che produce solo ostacoli, pregiudizi e diseguaglianze. Ovviamente
l’interesse a conoscere l’altro per comprenderne le specifiche esigenze non è nello spirito
della colonizzazione che, al contrario, seppure in termini transitori, minaccia l’altro
mettendo in discussione proprio la sua stessa esistenza, creando così confusioni,
ostacoli e disfunzionalità locali a favore ovviamente degli interessi del colonizzatore.
Non c’è dubbio che la conoscenza approfondita della realtà richiede un approccio
positivo, costruttivo, una chiara disponibilità a mettersi nei panni dell’altro e quindi a
mettere in discussione quelle che sono le proprie certezze, le proprie convinzioni e
convenzioni. Un esercizio articolato che necessita anche una certa maturità,
predisposizione al dialogo e soprattutto una base formativa e scientifica che possa
essere di supporto alle azioni umane.
In questi ultimi anni molti studiosi si stanno occupando approfonditamente del tema e in
particolare istituzioni culturali internazionali come UNESCO, ICOMOS, ICCROM che
attraverso le rispettive direzioni culturali e comitati internazionali stanno esaminando la
questione. Purtroppo, le manifestazioni sempre più ricorrenti, in particolare nei Paesi del
continente americano, dal nord al sud, hanno rimesso al centro del dibattito
internazionale il ruolo della colonizzazione culturale e di come questa interferisca oggi
con le volontà delle culture locali.
Non c’è alcun dubbio nel riconoscere che la questione post-coloniale ovunque ha lasciato
delle ampie ferite aperte e la incapacità di trovare forme autoctone di “rimarginazione” ha
solo favorito ingiustizie e guerriglie interne che ovviamente hanno messo in forte
discussione proprio il patrimonio culturale ereditato da queste colonie.
Le numerose ingiustizie a cui stiamo assistendo che colpiscono fisicamente le comunità e
le loro eredità sono soprattutto frutto di “ostacoli epistemologici”, come afferma il filosofo
francese Gastón Bachelard (1884-1962) che in un libro tradotto anche in lingua spagnola
(La Formación del Espíritu Científico. Contribución a un Psicoanálisis del Conocimiento
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Objetivo) rimette al centro il valore della conoscenza del
reale che si manifesta come luce, ma che a sua volta
proietta sempre un’ombra e proprio questa ombra va
indagata.
Quest’ombra non è altro che la verità di ciò che avremmo
dovuto pensare per evitare gli ostacoli. Ma dietro un
passato di errori non c’è sempre la verità di un pentimento
intellettuale ed è quanto avviene proprio se analizziamo i
processi di decolonizzazione in atto in tanti Paesi del
mondo. Questi processi sono il frutto proprio di una
incapacità di lettura critica della realtà, sempre esito di
intrecci e connessioni di antecedenti storici che, se
opportunamente maturati, possono produrre anche dei
risultati significativi e positivi. È molto interessante infatti
rileggere le pagine della storia dei diversi Paesi del mondo
ed attivare dei percorsi comparativi in grado di farci intendere come le differenti comunità
abbiano reagito di fronte alle azioni colonizzatrici. Non c’è Paese al mondo che non sia
stato in qualche modo intaccato da un’azione colonizzatrice, le cui conseguenze sono
state però del tutto differenti. Basta osservare semplicemente l’articolata storia della
penisola italiana per capire come le differenti colonizzazioni siano state il frutto di quella
stratificazione culturale che ci caratterizza ma che ci rende anche particolarmente creativi
e innovativi in diversi ambiti di competenza, facendo così della “colonialità” una
opportunità.
Non c’è dubbio, però che una grande confusione a livello internazionale è stata creata da
una forte visione di tipo “eurocentrico”, ovviamente marcata proprio dai colonizzatori che
partivano dal continente europeo per poi giungere in terre lontane e qui “dettare leggi”.
Una “razionalità occidentale” – come affermato da Shahid Vawda dell’Università di Città
del Capo in Sud Africa e che da anni si occupa di scienze umanistiche critiche e
decoloniali – che viene considerata come cultura della modernitàe come tale è stata ed è
imposta, assimilata e accolta in maniera indiscussa. Purtroppo, questa visione
“eurocentrica” continua a mietere vittime e a creare ostacoli e ingiustizie e per questo
motivo è corretto rimettere al centro dei nostri interessi scientifici un tema che va riletto
secondo nuovi canoni e nuove prospettive.
Difatti, seppure il processo di decolonizzazione sembri intaccare solamente il patrimonio
costruito come manifestato in molte città del mondo, in realtà questo processo non fa
altro che creare “ingiustizie epistemiologiche”, quindi “ostacoli epistemiologici” – come
afferma Gastón Bachelard – che sfociano in azioni violente all’interno della società civile.
Queste violenze ed atti vandalici trovano origine nelle politiche coloniali e postcoloniali
che hanno minimizzato, ma in moltissimi casi oscurato del tutto, i territori occupati al fine
di perseguire obiettivi finanziari elitari e non collettivi, e quindi abbandonando le comunità
locali al proprio triste destino. Da qui i tanti disordini sociali che, oggi più che mai,
affliggono tante parti del mondo. Infatti la colonizzazione ha creato società volutamente
“inconsapevoli” della loro storia e delle loro origini tanto da modificare anche il loro
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linguaggio e quindi il loro pensiero. Ma i
nodi tornano sempre al pettine ed è arrivato
il tempo di fare i conti con la storia.
A tutto questo poi vanno aggiunte altre
importanti osservazioni. L’impronta
coloniale sui territori ha prodotto forti
discontinuità con le culture originarie locali,
se non addirittura la loro totale
cancellazione. Pensiamo a quanto è
accaduto in Messico con la colonizzazione
spagnola o nelle colonie francesi in Africa,
o ancora all’ingerenza della ex Unione
Sovietica nei Paesi dell’Europa Orientale o
degli Stati Uniti in Medio Oriente, solo per
citare alcuni casi.
Cile. Valparaiso. Edificio Bar Inglés nel centro
storico della città mentre viene demolito.
L’incuria per il patrimonio coloniale è molto forte
e nessuna norma locale ne precede la tutela e
la valorizzazione, 8 maggio 2021 (ph. El
Mercurio”).
In realtà l’impronta coloniale ha sempre
lasciato delle tracce indelebili che hanno fatto fatica a
dialogare con le tracce precoloniali che identificano
chiaramente la cultura locale delle comunità e dei
rispettivi territori. Così in nome di una “presunta
modernità” la colonizzazione non ha stabilito dialoghi,
non ha letto la realtà né ha messo in atto un’azione
conoscitiva, ma, al contrario, ha soffocato le diversità,
ha mortificato i patrimoni culturali viventi, le autonomie
indigene, ha ostacolato i rispettivi progressi negli
standard di vita delle aree colonizzate, imponendo
anche sistemi di riferimento valoriali e quindi nuovi
patrimoni e paradigmi formativi del tutto in
contraddizione con le tradizioni storiche e culturali dei
territori.
Bogotá (Candelaria) Statua di
A tutto questo poi va aggiunto che queste forme di
Jiménez de Quesada (1496-1579),
colonizzazione politica ed economica hanno interferito
conquistatore spagnolo del nord
non poco sui valori patrimoniali ed ereditari locali,
Latino America, nella “plazoleta del
accentuando le disparità e le disuguaglianze di
Rosario” nel centro storico della
economia e potere, e imponendo anche distorti
capitale colombiana, 2014 (ph.
Olimpia Niglio)
modelli di pensiero rispetto ai significati dello stesso
patrimonio culturale e di come questo deve essere
inteso, finendo con l’“ordinare” criteri e metodi teorici e pratici per meglio interpretare le
eredità del passato. Un’azione destinata a sfociare nell’assurda pretesa di far credere che
la cultura dei Paesi colonizzatori sia l’emblema dell’universalità capace di incarnare gli
ideali del mondo e di saper affrontare qualsiasi sfida per la corretta protezione del
patrimonio culturale di cui i colonizzatori finirebbero con l’essere gli unici detentori e savi
conoscitori delle teorie e delle pratiche più idonee.
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Nonostante alcuni contesti accademici continuino,
caparbiamente, a considerarsi “custodi” di uniche
saggezze e condizionino lo sviluppo dei processi
evolutivi culturali, è pur vero che il mondo non è più
proiettato verso questa finta “universalità del sapere”
ma diversamente rivolge l’attenzione sulle comunità
locali per trarne le necessarie esperienze e
conoscenze e aprirsi a nuovi paradigmi in grado di
valorizzare le culture originarie dei luoghi. Capire tutto
questo significa essere disposti a conoscere e a
confrontarsi in una più ampia prospettiva decoloniale
che prepari un’era completamente nuova, basata sul
rispetto dei diritti umani, sulla centralità delle persone e
quindi delle comunità indigene e pertanto sui diritti
universali incarnati nella carta fondante
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Su questi temi,
importanti iniziative in tutto il mondo sono messe in atto
da numerosi artisti, soprattutto con la “street art” che
gioca un ruolo anche come “libro” di comunicazione
con le comunità
Bogotá, maggio 2021. Distruzione
della statua di Jiménez de
Quesada (1496-1579), opera dello
scultore Juan de Ávalos GarcíaTaborda (1911–2006), inaugurata il
6 agosto 1960 ph. (Rubén
Hernández Molina)
Non è necessario adesso ripartire da zero per rifondare
e far crescere le comunità secondo ideali e principi più sani e confacenti alle proprie
aspettative; differentemente dobbiamo fare tesoro degli errori, di quegli “ostacoli
epistemiologici” di cui parla Gastón Bachelard e rispetto a questi dobbiamo essere in
grado di rimetterci in discussione per individuare nuovi paradigmi in grado di far parlare le
persone, di farle dialogare tra loro e da tutto questo trarre le azioni più idonee per la
valorizzazione del “patrimonio vivente”.
Quando le trasformazioni dei luoghi non sono determinate da un’approfondita
conoscenza delle reali necessità della collettività, allora questa stessa si trasforma solo in
un oggetto di utilità la cui condizione è fondamentale per il colonizzatore, ma danneggia
ovviamente il colonizzato. Infatti, nel momento in cui si realizza questa condizione di
“oggetto” della collettività allora qualsiasi azione di conoscenza del reale sarà sempre
considerata superflua se non inutile. Pensiamo, ad esempio, anche alle forme di neocolonizzazione economica e finanziaria o alla mercificazione delle vite umane.
Non è difficile intendere che è fondamentale abbattere gli ostacoli epistemologici che
incorporano in sé una conoscenza non formulata, per attivare invece progetti che
stabiliscano punti di tangenza tra le diversità culturali perché, come affermava il premio
Nobel per la fisica Werner Heisenberg, «è probabilmente vero in generale che nella storia
del pensiero umano gli sviluppi più fruttuosi avvengono frequentemente nei punti in cui si
incontrano due diverse linee di pensiero. Queste linee possono avere le loro radici in parti
abbastanza diverse della cultura umana, in tempi diversi o ambienti culturali diversi o
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tradizioni religiose diverse: quindi se si
incontrano effettivamente, cioè se sono
almeno così tanto legate tra loro che una
vera interazione può avvenire, quindi si può
sperare che seguano sviluppi nuovi e
interessanti».
Un cammino dell’umanità per la messa in
atto di nuove prospettive in grado – come
afferma Gustavo Araoz già presidente
emerito ICOMOS – di «decolonizzare la
visione del patrimonio culturale rimettendo
Canada. Vancouver. York Theatre Mural by Ariel
al centro le comunità e la funzionalità dei
Martz-Oberlander, 2021 (ph. Ted McGrath)
luoghi e non i suoi valori precostituiti da
logiche centralizzate». Non è dubbio, infatti, che sono ormai maturi i tempi per cui le
comunità di tutto il mondo devono riconoscere ed essere consapevoli dell’importanza del
proprio patrimonio culturale.
La comunità al centro. Patrimonio
culturale partecipato
Questa consapevolezza include l’emergere
di nuove categorie del patrimonio, una
crescente convergenza del patrimonio
materiale e immateriale nel “living heritage”
e una domanda sempre più urgente di
specialisti della conservazione tradizionale
del locale, ovvero del vernacolare, per
condividere quei forti legami che rendono
possibile l’esistenza stessa dei differenti
Nuova Zelanda. OccupyOakland General
patrimoni, ossia il dialogo tra uomo e
Assembly: Occupy or DeColonize, 2011 ( ph.
creazione. Siamo però tutti consapevoli che
Daniel Araus)
queste esigenze sono ulteriormente
complicate dal fenomeno della globalizzazione culturale ed economica,
dell’urbanizzazione esplosiva, dei movimenti ampi e diasporici, della distribuzione
ineguale delle risorse e quindi dello sviluppo dei territori.
Intanto sarà possibile attuare nuove prospettive solo se saremo in grado di aprirci a
differenti paradigmi interpretativi dai quali sperare di attivare percorsi inclusivi, partecipati
e rispettosi delle diversità e delle molteplicità culturali e quindi di recuperare quelle pagine
di storia indebitamente sottratte a tanti Paesi del mondo la cui eredità locale è
straordinariamente affascinante e merita di essere conosciuta, conservata e valorizzata.
Tutto questo consentirà di attivare nuove Politiche Culturali in grado di rimettere al centro
la Cultura attraverso le Comunità locali. È quanto auspicato dalla Convenzione di Faro
del 2005 ma già chiaramente ribadito dalla Convenzione di Città del Messico nel 1982
dove si afferma che «Tutte le culture fanno parte del patrimonio comune dell’umanità.
L’identità culturale di un popolo si rinnova e si arricchisce a contatto con le tradizioni e i
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valori altrui. La cultura è dialogo, scambio di idee ed esperienze, apprezzamento di altri
valori e tradizioni, ma questa si esaurisce e muore se si favorisce l’isolamento o
l’annientamento». Intanto i documenti e le Convenzioni costituiranno certamente
un’importante guida di riferimento ma non saranno certo questi a rendere possibili i
cambiamenti ma solo la determinazione e la tenacia nell’attuare concretamente le azioni
senza lasciarsi imbrigliare dalle nozioni.
Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021
Riferimenti bibliografici
Bachelard G. (2000, 23ª ed.), La Formación del Espíritu Científico. Contribución a un Psicoanálisis del
Conocimiento Objetivo, Buenos Aires.
Bénit-Gbaffou C., Charlton S., Didier So, Dormann K. (2019), Politics and Community-Based
Research: Perspectives from Yeoville Studio, Johannesburg, Wits University Press
Heisenberg W. (2007), Physics and Philosophy:The Revolution in Modern Science, HarperCollins.
Negussie E., ed. (2010), Changing World, Changing Views of Heritage: heritage and social change,
ICOMOS Proceedings of the ICOMOS Scientific Symposium, Dublin.
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Olimpia Niglio, architetto, PhD e Post PhD in Conservazione dei Beni Architettonici, è docente di
Storia dell’Architettura comparata. È professore presso la Hokkaido University, Faculty of Humanities
and Human Sciences e Follower researcher presso la Kyoto University, Graduate School of Human
and Environmental Studies in Giappone. È stata full professor presso l’Universidad de Bogotá Jorge
Tadeo Lozano (Colombia) e Visiting Professor in numerose università sia americane che asiatiche. Dal
2016 al 2019 è stata docente incaricato svolge i corsi di Architettura sacra e valorizzazione presso la
Pontificia Facoltà Teologica Marianum ISSR, con sede in Vicenza, Italia. È membro ICOMOS –
International Council on Monuments and Sites – e ACLA – Asian Cultural Landscape Association. È
Vice Presidente dell’ISC PRERICO, Places of Religion and Ritual, ICOMOS – International Council on
Monuments and Sites – e Vice Presidente ACLA – Asian Cultural Landscape Association.
https://orcid.org/0000-0002-5451-0239.
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