IN UN
CONTINENTE DIVISO
L’Italia, l’Europa orientale e la discesa
della cortina di ferro
a cura di
Francesco Caccamo
Copyright © 2021 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy. ISBN 9788835125266
Volume stampato con il contributo dell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di ChietiPescara – Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze Sociali.
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Indice
Una premessa: sulle kunderiane rivoluzioni o pseudorivoluzioni
comuniste e sul loro impatto per l’Italia, di Francesco Caccamo
pag.
7
1. Stalin, la Guerra fredda e l’invenzione dell’Europa orientale,
di Fabio Bettanin
»
11
2. Pietro Quaroni e la politica estera sovietica 1944-1947,
di Luciano Monzali
»
45
3. La tattica del salame: la presa di potere comunista in Ungheria,
di Francesco Guida
»
77
4. L’affermazione dei regimi comunisti considerata dagli osservatori
di Praga e Varsavia, di Francesco Caccamo
» 109
5. Italia e Romania, destini opposti all’alba della Guerra fredda,
di Giuliano Caroli
» 159
6. Satelliti nella bufera. Romania e Bulgaria tra sovietizzazione
e purghe: analisi e impressioni della diplomazia italiana,
di Alberto Basciani
» 183
7. Tentativi di Ostpolitik in Adriatico: l’Italia e la trasformazione
socialista della Jugoslavia, di Massimo Bucarelli
» 213
8. L’instaurazione del regime comunista in Albania e il crepuscolo
delle relazioni italo-albanesi, di Antonio D’Alessandri
» 243
Gli autori
» 269
Indice dei nomi
» 271
5
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2. Pietro Quaroni e la politica estera sovietica
1944-1947
di Luciano Monzali
1. Una missione imprevista. L’invio di Pietro Quaroni in Unione
Sovietica
La missione svolta a Mosca fra il 1944 e l’inizio del 1947 segnò la definitiva ascesa di Pietro Quaroni nelle alte sfere della diplomazia italiana1. Essa
seguiva il lungo e oscuro soggiorno in Afghanistan riservatogli per il suo spirito critico verso le direttive di politica estera del regime fascista. Le ragioni
dell’invio di Quaroni a Mosca furono abbastanza casuali. La sua presenza
in Afghanistan rendeva agevole il suo trasferimento nella capitale sovietica,
1. Sulla figura e la carriera di Pietro Quaroni, cfr. P. Quaroni, Ricordi di un ambasciatore, Garzanti, Milano 1954; Id., Valigia diplomatica, Garzanti, Milano 1956; Id., Il mondo di
un ambasciatore, Ferro, Milano 1965; Id., La politica estera italiana, a cura di L. Monzali,
Società editrice Dante Alighieri, Roma 2018; In memoria di Pietro Quaroni, in «Affari
Esteri», vol. 3, n. 11, 1971, pp. 3-4; J. Giusti Del Giardino, Spunti di Memorie, in «Affari
Esteri», vol. 28, n. 115, 1997, p. 628 e ss.; E. Serra, Pietro Quaroni, in Id., Professione: ambasciatore d’Italia, FrancoAngeli, Milano 1999, p. 136 e ss.; L. Monzali, Un Re afghano in esilio a Roma. Amanullah e l’Afghanistan nella politica estera italiana 1919-1943, Le Lettere,
Firenze 2012; Id., Pietro Quaroni e l’Afghanistan, in «Nuova Storia Contemporanea», vol. 18,
n. 1, 2014, pp. 109-122; Id., Pietro Quaroni protagonista e testimone della politica estera italiana del Novecento, in P. Quaroni, La politica estera italiana, cit., pp. 9-53; Id., Riflessioni
sulla cultura della diplomazia italiana in epoca liberale e fascista, in G. Petracchi (a cura di),
Uomini e Nazioni. Cultura e politica estera dell’Italia del Novecento, Gaspari, Udine 2005.
Specificamente sulla sua missione in Unione Sovietica, cfr. P. Quaroni, Le trattative per la
pace: Mosca, Parigi, in Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea Costituente. 1: La
Costituente e la Democrazia italiana, Vallecchi, Firenze 1969, pp. 687-744; B. Arcidiacono,
L’Italia fra sovietici e anglo-americani: la missione di Pietro Quaroni a Mosca (1944-1946),
in E. Di Nolfo, R. Rainero, B. Vigezzi (a cura di), L’Italia e la politica di potenza in Europa
(1945-50), Marzorati, Milano 1990, pp. 93-121; R. Morozzo Della Rocca, La politica estera
italiana e l’Unione Sovietica (1944-1948), La goliardica, Roma 1985. Molto materiale al riguardo è contenuto in I Documenti Diplomatici Italiani [Ddi], Tipografia dello Stato, Roma
1952-, serie X, voll. 1-4.
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in una situazione nella quale il governo italiano era sottoposto a una forte
limitazione della sua sovranità a causa del regime armistiziale e l’iniziativa
della ripresa di rapporti diplomatici diretti con Mosca era vista da Londra e
Washington con grande ostilità2. Quaroni poi, pur iscritto al Partito nazionale fascista, si era dimostrato un diplomatico poco allineato alle direttive del
regime mussoliniano e per questo era stato spedito a Kabul, destinazione ritenuta punitiva.
Eppure Quaroni era particolarmente qualificato per rappresentare l’Italia
in Unione Sovietica. Parlava russo e aveva soggiornato a Mosca negli anni
Venti, fra il 1925 e il 1928, come consigliere di ambasciata, periodo tumultuoso della sua vita durante il quale conobbe e sposò una giovane aristocratica russa, Larissa Cegodaeff. Il rapporto con Larissa Cegodaeff fu particolarmente importante per Quaroni non solo nella vita personale ma anche
in quella professionale, in quanto la moglie, donna con forti interessi intellettuali e politici, sostenne sempre e partecipò attivamente all’azione diplomatica del marito. Ad esempio negli anni difficili della missione moscovita
fra il 1944 e il 1947, in condizioni di lavoro proibitive, costretto a vivere in
albergo fra proibizioni sovietiche e ostracismi anglo-americani, Quaroni fu
validamente aiutato da Larissa, che, come lui stesso scrisse in una lettera al
segretario generale del Ministero degli affari esteri, Renato Prunas, svolse
per molti mesi il compito di “segretaria” e “dattilografa” del rappresentante
italiano a Mosca.
Va quindi sottolineata la profondità del rapporto di Pietro Quaroni con la
cultura russa. La famiglia Quaroni era a tutti gli effetti un’entità italo-russa.
Dopo il matrimonio con Pietro, oltre a Larissa abbandonarono definitivamente l’Unione Sovietica sua madre, il secondo marito di questa e una governante. Il secondo marito morì poco dopo l’espulsione, mentre la madre e
la governante vissero a lungo con Pietro e Larissa nelle loro successive missioni diplomatiche. Nella vita della famiglia Quaroni la lingua russa, bene
appresa anche dai figli, ebbe sempre un posto privilegiato.
I rapporti di Quaroni da Mosca ebbero un profondo impatto sulla diplomazia e sul mondo politico italiani. La corrispondenza di Quaroni – con il
suo crudo realismo, la sua prospettiva globale e la sua capacità di accom2. Ddi, serie X, vol. 1, dd. 169 e 191; M. Toscano, La ripresa delle relazioni diplomatiche fra l’Italia e l’Unione Sovietica nel corso della seconda guerra mondiale, in Id., Pagine
di storia diplomatica contemporanea. II. Origini e vicende della seconda guerra mondiale,
Giuffré, Milano 1963, pp. 299-358; R. Morozzo Della Rocca, La politica estera italiana, cit.;
E. Di Nolfo, M. Serra, La gabbia infranta. Gli Alleati e l’Italia dal 1943 al 1945, Laterza,
Bari-Roma 2010; G. Borzoni, Renato Prunas diplomatico (1892-1951), Rubbettino, Soveria
Mannelli 2004; M. Clementi, L’alleato Stalin. L’ombra sovietica sull’Italia di Togliatti e De
Gasperi, Rizzoli, Milano 2011.
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pagnare un’acuta ricostruzione politica a una profonda riflessione storica e
ideologica – costituì qualcosa di nuovo per la classe politica postfascista, in
gran parte inesperta di politica internazionale e ancora provinciale, e per una
diplomazia uscita malridotta e impoverita culturalmente dall’ultima fase del
regime fascista, nel quale, nonostante i proclami e le ambizioni imperiali,
erano prevalsi una ristretta e rigida visione ideologica della realtà mondiale
e un chiuso eurocentrismo.
Le analisi del diplomatico romano da Mosca fra il 1944 e il 1947 furono
condizionate da alcuni fattori. Vanno sottolineate innanzitutto le difficoltà
materiali di svolgimento della sua missione3. Giunto a Mosca nel maggio
1944, fu costretto con sua moglie a vivere in un albergo, l’Hôtel National.
L’edificio dell’ambasciata italiana, requisito nel 1941, sarebbe stato restituito al governo di Roma solo alla fine degli anni Quaranta. Vi furono non
poche complicazioni iniziali anche nei rapporti con i colleghi occidentali e
con l’ambiente moscovita. Per vari mesi Quaroni fu sostanzialmente privo
di collaboratori. Per molto tempo le comunicazioni fra Quaroni e il governo italiano furono difficilissime, poiché la Commissione alleata di controllo
anglo-americana boicottava la missione di Quaroni ritenuta in violazione degli impegni armistiziali assunti dall’Italia nel settembre 1943 di non svolgere
attività diplomatica autonoma. Per molti mesi Quaroni fu obbligato a consegnare la sua corrispondenza, aperta, agli anglo-americani o, qualche volta,
ai sovietici. Ciò ovviamente condizionò e limitò la libertà di espressione del
diplomatico italiano. Come lui stesso scrisse,
non era certo questo tipo di corrispondenza che mi permetteva di raccontare i pettegolezzi interni degli alleati: sarei stato per lo meno accusato di voler sabotare la
grande alleanza. Dovevo ricorrere ad allusioni così oscure e contorte, che non le
capivo più bene nemmeno io4.
Le fonti d’informazione di Quaroni a Mosca in quegli anni furono i colloqui con i politici e i funzionari sovietici, i contatti con i colleghi delle altre ambasciate straniere e, soprattutto, la lettura, lo studio e l’interpretazione della stampa sovietica. Le analisi del diplomatico romano furono anche
influenzate dalla sua precedente lunga missione in Afghanistan, durata dal
1936 al 1944. Da una parte, Quaroni era stato lontano dall’Italia per oltre otto
anni ed era vissuto immerso nell’Asia centrale, visitando e dedicando molta
attenzione a quanto avveniva in India, Cina, Russia e in Medio Oriente. Sa3. Quaroni a Prunas, 8 agosto 1944, d. 333, Ddi, serie X, vol. 1. Cfr. anche i suoi ricordi
personali: P. Quaroni, Il mondo di un ambasciatore, cit., p. 165 e ss.
4. Ivi, pp. 172-173.
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peva poco di quello che era successo e stava succedendo in Italia e in Europa
occidentale. Era una sorta di emarginato in seno alla diplomazia italiana.
La lunga permanenza in Afghanistan permise a Quaroni di superare una
prospettiva analitica eurocentrica e di adottarne una globale e mondiale, consapevole dei mutamenti in atto nell’Estremo e Medio Oriente e del crescente ripudio del colonialismo europeo da parte dei popoli asiatici. Prima di
molti altri in Italia, Quaroni percepì che i popoli asiatici e africani, anche
quelli più tradizionalisti e conservatori come gli islamici, cominciavano a
mobilitarsi politicamente e si avviavano verso forme d’indipendenza e di
autogoverno sempre maggiori5. Grave errore della politica estera dell’Italia
fascista era stato il volere fare una politica imperialistica mantenendo un’impostazione eurocentrica e provinciale, non comprendendo che l’Oriente, sia
Medio che Estremo, era destinato ad avere una parte sempre più grande nelle relazioni internazionali6. A suo avviso, era un’illusione pensare che gli
anglo-americani e i sovietici avrebbero consentito la sopravvivenza dell’impero coloniale italiano. Peraltro l’insieme degli imperi coloniali europei,
in primis quelli di Gran Bretagna e Francia, si stava progressivamente indebolendo e sgretolando poiché molti popoli anelavano all’autogoverno e
all’indipendenza. Il sistema coloniale europeo aveva i giorni contati e
in breve ordine di anni lo vedremo sostituito dai nuovi sistemi coloniali degli Stati
Uniti e della Russia. Resta da vedere se, all’atto pratico, i nuovi sistemi coloniali
avranno la solidità e la forza di resistenza degli antichi7.
In Quaroni vi era poi la visione dello stato sovietico come grande potenza
militare e politica e del comunismo come ideologia avente un forte richiamo
e molta attrazione sui popoli asiatici. Il popolo russo aveva sopportato e vis5. Un tema caro a Pietro Quaroni era la necessità di superare “il complesso di Maratona”,
ovvero l’idea che la battaglia di Maratona fosse stata la vittoria della civiltà sulla barbarie.
In realtà quella persiana era una civiltà altrettanto raffinata di quella greca e un viaggio fra le
rovine di Persepoli, fatta incendiare da Alessandro il Grande, e lo studio delle culture medioorientali fecero capire al diplomatico italiano queste importanti verità: P. Quaroni, Oriente
e Occidente, in Id., Aspetti della diplomazia contemporanea: Oriente e Occidente, Carlo
Ferrari, Venezia 1956, pp. 48-49.
6. Quaroni a De Gasperi, 14 luglio 1945, Ddi, serie X, vol. 2, d. 339.
7. Quaroni a De Gasperi, 30 settembre 1945, ivi, d. 589. Se il periodo coloniale era finito,
l’Italia, non più stato coloniale e non più potenza che poteva nemmeno sognare di crearsi un
impero, doveva accettare la nuova situazione. A parere di Quaroni, più che cercare di riavere il controllo delle vecchie colonie, l’Italia doveva adeguarsi ai mutamenti in atto nel mondo
adattando progressivamente la sua proiezione esterna alle necessità di sostegno allo sviluppo
economico-sociale perseguito dai paesi latino-americani, asiatici e africani. Bisognava poi diventare un centro culturale di riferimento per i popoli asiatici e africani.
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suto sacrifici indicibili per resistere e vincere l’aggressione della Germania
nazista. Ora la classe dirigente sovietica desiderava ottenere un riconoscimento politico e territoriale dei sacrifici compiuti. Per il diplomatico romano,
Stalin era un leader politico acuto e realista, abilissimo tattico, superiore alle
sue controparti occidentali. Da tutto ciò egli deduceva che l’ascesa dell’Unione Sovietica quale grande potenza europea e mondiale fosse un evento
ineluttabile.
Questa percezione della potenza dell’Unione Sovietica coesisteva in
Quaroni con la consapevolezza della stanchezza del popolo russo, decimato
e massacrato dall’esercito tedesco e dalla fame durante la guerra, e del suo
desiderio di pace e di ottenimento di migliori condizioni di vita. Vi erano
anche la fragilità dell’economia russa e le sue difficoltà nella ricostruzione e
nello sviluppo. Erano questi elementi che inducevano il diplomatico italiano
a ritenere che l’Unione Sovietica desiderasse perseguire una politica di pace
dopo la vittoria su Germania e Giappone.
Nonostante fosse un liberale italiano, cattolico e anticomunista, Quaroni
s’impegnò per favorire il miglioramento dei rapporti fra Italia e Unione Sovietica. In questo fu spinto e incoraggiato anche dalla leadership politica
e diplomatica italiana, in primis De Gasperi e Prunas, fra il 1944 e il 1947
desiderosi di un forte miglioramento dei rapporti con l’Unione Sovietica, al
fine di ottenere un trattamento dell’Italia non troppo duro nel trattato di pace.
2. Pietro Quaroni e le direttive della politica estera sovietica 19441945
Arrivato a fine maggio a Mosca, Quaroni si sforzò innanzitutto di capire quale fossero le linee generali della politica estera sovietica8. Nei mesi di
agosto e settembre 1944 in alcuni lunghi rapporti egli tentò di delineare le
8. Sulla politica estera sovietica guidata da Stalin, cfr.: F. Bettanin, Stalin e l’Europa. La
formazione dell’impero esterno sovietico (1941-1953), Carocci, Roma 2006; C. Pinzani, Da
Roosevelt a Gorbaciov. Storia delle relazioni fra Stati Uniti e Unione Sovietica nel dopoguerra, Ponte alle Grazie, Firenze 1990; V.M. Zubok, C. Pleshakov, Inside the Kremlin’s Cold
War: From Stalin to Khruschev, Harvard University Press, Cambridge 1996; V.M. Zubok, A
Failed Empire: The Soviet Union in the Cold War from Stalin to Gorbacev, University of North
Carolina Press, Chapel Hill 2007; V. Mastny, Russia’s Road to the Cold War: Diplomacy,
Warfare and Politics of Communism, 1941-1945, Columbia University Press, New York 1979;
Id., Il dittatore insicuro. Stalin e la guerra fredda, Tea, Milano 1998; A. Graziosi, L’Urss
dal trionfo al degrado. Storia dell’Unione Sovietica 1945-1991, il Mulino, Bologna 2008;
A.B. Ulam, Storia della politica estera sovietica (1917-1967), Rizzoli, Milano 1972; S. Pons,
A. Romano (a cura di), Russia in the Age of Wars 1914-1945, Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli, Milano 2000.
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sue prime analisi delle direttive della politica estera sovietica9. A suo avviso,
la politica estera dell’Unione Sovietica era stata per decenni ispirata dalla
percezione di essere l’unico stato socialista e per questa ragione di essere
minacciata dalle potenze capitaliste, con le quali presto o tardi era inevitabile un conflitto armato. In questo eventuale conflitto la Germania era stata
costantemente considerata come «il pugno armato potenziale del mondo capitalistico» contro l’Urss.
La guerra contro la Germania hitleriana aveva prodotto il parziale superamento di questo schema classista della visione sovietica della politica internazionale. L’Unione Sovietica era stata attaccata dalla Germania e i principali pilastri del capitalismo mondiale, Gran Bretagna e Stati Uniti, invece che
riconciliarsi con i tedeschi avevano continuato la guerra contro il nazismo e
avevano «abbastanza onestamente appoggiato l’Urss prima con aiuti in mezzi e materiali, poi con la guerra aerea e poi con operazioni militari terrestri in
Italia e in Francia»10. La Terza Internazionale si era rivelata uno strumento
inutile nei piani militari sovietici in quanto «una serie di stati capitalisti si
sono trovati in guerra contro l’Unione Sovietica senza che le classi lavoratrici si siano sollevate all’interno per impedire l’attacco contro lo stato socialista». Infine era emerso il dubbio nella leadership comunista sovietica se la
meravigliosa resistenza del popolo russo contro l’invasione hitleriana fosse
stata prodotta dalla fede socialista o dalla passione nazionalista: «il soldato al
fronte, l’operaio nell’officina, la popolazione tutta, nel gettare se stessi senza
riserva nella lotta hanno inteso difendere lo stato socialista o semplicemente
la patria?»11.
Certamente permaneva un fondo di diffidenza verso gli occidentali capitalisti, ma, a parere di Quaroni, come conseguenza della comune collaborazione bellica Mosca desiderava sinceramente la collaborazione con gli Stati
Uniti e,
pur non intendendo transigere sugli interessi essenziali sovietici, si è decisi a procedere nelle principali questioni col necessario spirito di comprensione, a mettere, in
una parola, bene in chiaro che se la collaborazione dovesse, all’atto pratico, mostrarsi irrealizzabile, non sarà stato per colpa dell’Unione Sovietica.
I rapporti con la Gran Bretagna erano invece improntati a «molto maggiore riserbo». Pesava qui certo il retaggio di antichi e lunghi contrasti anglorussi, ma anche il fatto che per i sovietici la Gran Bretagna era una potenza in
9. Ddi, serie X, vol. 1, dd. 331, 332, 333.
10. Quaroni a Bonomi, 8 agosto 1944, d. 331, Ddi, serie X, vol. I.
11. Ibidem.
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declino e che «regolando i rapporti con Washington quasi automaticamente
si regolano anche quelli con Londra»12.
Al primo posto fra gli obiettivi di guerra dell’Unione Sovietica vi era
la completa distruzione della Germania. Stalin, il governo e il popolo non
volevano dimenticare né perdonare l’aggressione del 1941 e le distruzioni
e i massacri senza parallelo che i tedeschi avevano perpetrato sul territorio
sovietico:
Qui si vogliono – rilevava Quaroni nell’agosto 1944 – le truppe russe a Berlino, lo
schiacciamento completo della Germania, si appoggiano le rivendicazioni polacche,
ceche e francesi contro la Germania, si vuole, una volta per tutte, togliere alla Germania ogni possibilità di aggressione: allo stesso tempo, si vuole togliere alla internazionale capitalista ogni possibilità di puntare in futuro sulla Germania per un blocco
antisovietico. E questo schiacciamento completo della Germania lo si vuole presto.
Per garantire la propria sicurezza, dopo la guerra l’Unione Sovietica desiderava essere circondata da una catena di stati europei a lei legati da una politica di amicizia: Finlandia, Polonia, Romania, Ungheria, Cecoslovacchia,
Jugoslavia e Bulgaria. In tutti questi stati, occupati o sconfitti dai sovietici,
Mosca voleva che la sua influenza fosse preponderante. A parere di Quaroni,
in quel momento non sembrava che Stalin intendesse seguire una politica che
direttamente o indirettamente portasse questi stati a darsi un governo comunista o a essere incorporati nell’Unione Sovietica. Ciò non significava ovviamente che il governo di Mosca non vedesse con piacere in Polonia e in altri
stati dell’Europa orientale l’affermazione politica di partiti che desideravano
profonde riforme sociali, la riforma agraria e la nazionalizzazione della grande industria, «l’eliminazione insomma dell’influenza politica di quelle classi
sociali che per legge di origine potrebbero essere portate, domani, a farsi gli
strumenti dell’internazionale capitalista contro l’Unione Sovietica».
A parere di Quaroni, i sovietici erano in buona fede quando dichiaravano
di volere in Polonia e negli stati vicini governi liberi e indipendenti, purché
non fascisti e filomoscoviti. Naturalmente questo atteggiamento sovietico sarebbe cambiato se un domani si fosse cercato di portare al potere in quei
paesi forze reazionarie desiderose di perseguire una politica anti-sovietica.
Comunque il diplomatico italiano si dichiarava fiducioso:
La mia impressione è che oggi l’Urss, in quanto stato socialista, offre un armistizio
ai principali stati capitalisti sul fronte interno dei terzi stati ed è decisa a mantenerlo
almeno fintanto che anche l’altra parte si terrà a questo armistizio13.
12. Ibidem.
13. Ibidem.
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Circa l’organizzazione internazionale della pace e della sicurezza Quaroni
ammetteva di non essere in grado di fare un’analisi precisa sulle intenzioni
sovietiche. In quella fase i leader sovietici sembravano puntare fortemente
sulla continuazione della stretta collaborazione fra le tre principali grandi
potenze alleate per il mantenimento della pace mondiale. I leader moscoviti erano ostili ai blocchi regionali e propendevano per un’organizzazione
mondiale della sicurezza: ciò derivava probabilmente dall’antica tendenza di
Mosca a «vedere in ogni blocco una punta potenziale contro l’Urss». Per il
rappresentante italiano, negli ultimi anni era innegabile lo svilupparsi di un
carattere nettamente nazionale e nazionalistico russo di tutta la concezione
di vita sovietica, ma egli non aveva dubbi che terminata la guerra lo scopo
fondamentale della politica estera di Mosca sarebbe stato il mantenimento
della pace e non il perseguimento di avventure imperialistiche. Ma l’Unione
Sovietica usciva dalla guerra con una accresciuta consapevolezza della propria forza e con una decisa aspirazione al riconoscimento internazionale del
suo ruolo di grande potenza mondiale, e ciò avrebbe potuto creare problemi:
Tre anni di guerra – scriveva Quaroni nell’estate del 1944 – sostenuta e vinta contro
tutta la potenza militare tedesca, la coscienza profonda di essere stati loro a vincere
la guerra, la coscienza di avere mostrato al mondo l’efficienza militare e sociale
del nuovo stato socialista, fanno sì che la Russia uscirà da questa guerra con una
profonda e fiera sensazione della sua potenza. Mentre è disposta, sinceramente e
onestamente, a tener conto del punto di vista delle altre Potenze grandi e piccole,
vuole che tutti gli altri tengano ugualmente conto del posto che l’Urss si è affermato:
se è disposta a condividere con altri la responsabilità di dirigere gli affari del mondo
e a risolvere in via amichevole e comprensiva le questioni d’interesse generale, non
è certo disposta a lasciarsi imporre da nessuno e intende che la sua voce sia sentita14.
Nel corso dei mesi di agosto e settembre 1944 l’avanzata dell’Armata
Rossa e l’occupazione sovietica di Bulgaria, Romania e Polonia e di parte
di Ungheria e Jugoslavia posero al centro dei rapporti fra le grandi potenze
alleate il tema del futuro assetto di quei territori e dei Balcani. A parere di
Quaroni, questa era una questione vitale per l’Unione Sovietica. La politica
sovietica sembrava puntare alla creazione di una sorta di «grande federazione politica dei popoli slavi» dominata e guidata dal più grande di questi,
l’Urss, mirante ad impedire qualsiasi ritorno offensivo del mondo germanico15. Due stati non slavi, l’Ungheria e la Romania, si sarebbero trovati inclusi
in questa sorta di confederazione slava. Era difficile prevedere la futura politica sovietica verso Ungheria e Romania, ma essendo l’Urss un’entità plu14. Ibidem.
15. Quaroni a Bonomi, 16 settembre 1944, d. 409, Ddi, serie X, vol. 1.
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rinazionale, sicuramente non avrebbe tollerato una politica di slavizzazione
di questi due stati;
d’altra parte, vorrà però essere sicura che sia l’uno che l’altro non siano in grado di
divenire, per il loro carattere nazionale non slavo, la base di una politica, da qualsiasi
parte essa abbia origine, diretta a mettere in pericolo il mondo slavo16.
L’Unione Sovietica aveva la volontà, la forza e la capacità di condurre
a termine questo suo piano politico e, a parere di Quaroni, lo avrebbe sicuramente attuato. Ogni speranza britannica di salvare proprie posizioni d’influenza in questi stati occupati dai sovietici era senza senso e irrealizzabile17.
Con il passare dei mesi e l’evoluzione dei rapporti fra le grandi potenze
alleate, segnate per esempio dal tentativo di Churchill di disegnare in accordo con Stalin una divisione dei Balcani in zone d’influenza, ma anche da
crescenti tensioni fra anglo-americani e sovietici riguardo l’assetto politico
interno di Polonia, Romania e Bulgaria18, la visione di Quaroni della politica
russa cominciò lentamente a mutare e a divenire più pessimistica.
Egli giudicò l’esito della conferenza di Jalta come la conferma delle volontà delle grandi potenze alleate di continuare a collaborare anche nel dopoguerra19. Nel corso della conferenza non vi erano stati né vinti né vincitori,
le varie potenze si erano fatte concessioni reciproche, la tendenza a dividere
l’Europa in due zone d’influenza pareva essersi frenata. L’Unione Sovietica
sembrava aver rinunciato a regolare autonomamente da sola la situazione interna in Polonia e Jugoslavia, mentre gli anglo-americani avevano ammesso
implicitamente l’interesse sovietico all’assetto dell’Europa occidentale:
Non sono naturalmente con ciò solo eliminate tutte le difficoltà: restano resistenze e
tendenze agenti periferici che, molto meno nel caso russo assai più per quanto concerne anglo-americani, possono cercare continuare antichi sistemi. Capi hanno però
dato prova loro decisa volontà collaborare. Particolarmente evidente e importante
da parte russa massimo sforzo fatto per dissipare preoccupazioni tuttora largamente
esistenti che essa intenda profittare situazione creatasi per imporre soprattutto ai
paesi vicini regimi comunisti20.
16. Ibidem.
17. Quaroni a Bonomi, 16 settembre 1944, Ddi, serie X, vol. 1, dd. 407 e 408.
18. B. Arcidiacono, Alle origini della divisione europea: armistizi e commissioni di controllo alleate in Europa orientale 1944-1946, Ponte alle Grazie, Firenze 1993; F. Bettanin,
Stalin e l’Europa, cit., p. 142 e ss.
19. Quaroni a De Gasperi, 15 febbraio 1945, Ddi, serie X, vol. 2, d. 59.
20. Ibidem. Sulla conferenza di Jalta, cfr. L. Riccardi, Yalta. I tre Grandi e la costruzione
di un nuovo sistema internazionale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2021.
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I mesi successivi a Jalta, però, con le tensioni crescenti nei rapporti fra
i tre Grandi, convinsero Quaroni che, nonostante affermassero il contrario,
i sovietici sembravano avere una visione pessimistica delle relazioni con
gli occidentali e puntavano alla creazione di zone d’influenza esclusive in
Europa orientale. In un importante rapporto del 22 aprile 1945, il diplomatico italiano constatò che i rapporti fra gli anglo-americani e i sovietici
oscillavano pericolosamente fra il riconoscimento da parte di tutti della necessità di collaborare e un’intima convinzione che alla lunga andare d’accordo non era possibile: «e andare d’accordo, è realmente difficile, perché
in fondo, con qualche sfumatura d’intransigenza, da parte della Russia, le
due parti in causa intendono per collaborazione il prevalere del proprio punto di vista»21.
Se nelle grandi conferenze internazionali sembrava che la collaborazione
prevalesse, appena queste erano terminate riesplodevano le differenze e le
diffidenze reciproche, che diventavano sempre più numerose e forti, nonché
difficili da superare. Se il viaggio di Churchill a Mosca nell’ottobre 1944
aveva avuto l’obiettivo di chiarire il limite delle zone d’amicizia dell’Unione
Sovietica, a Jalta Roosevelt aveva cercato di superare il sistema delle zone
d’influenza, perlomeno per quanto riguardava le conseguenze sui regimi
interni, elaborando una formula comune circa la maniera in cui avrebbero
dovuto essere organizzati i governi dei paesi liberati. Questa dichiarazione
sull’Europa liberata aveva fatto sorgere grandi speranze, ma «all’atto pratico si è rivelato che l’accordo si basava su di un equivoco, ossia su di una
differente interpretazione dell’espressione “governo democratico”». Per gli
anglo-americani nei paesi liberati bisognava creare un governo di larga coalizione includente tutti i partiti dall’estrema sinistra alla destra, con la sola
esclusione dei fascisti; tale esecutivo avrebbe dovuto astenersi da qualsiasi
modificazione profonda dell’organizzazione del paese in attesa di libere elezioni che avrebbero accertato la volontà popolare:
Invece la concezione russa del governo democratico è quella del “fronte patriottico”,
ossia una coalizione tipo fronte popolare dei partiti dal centro sinistra alla estrema
sinistra e che la “eliminazione del fascismo” quale premessa essenziale per la possibilità di avere elezioni libere e sincere, deve essere intesa come eliminazione dell’influenza politica delle radici del fascismo, ossia degli elementi grandi capitalisti e
feudali-agrari. Ossia primo atto di un governo democratico, e premessa della sua
consolidazione, deve essere la riforma agraria e la nazionalizzazione, o per lo meno
il controllo statale, delle industrie chiavi22.
21. Quaroni a De Gasperi, 25 aprile 1945, Ddi, serie X, vol. 2, d. 141.
22. Ibidem.
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Da questa diversa interpretazione del concetto di governo democratico
era sorta la disputa fra i tre Grandi sul governo polacco e quella sugli assetti
politici in Romania, con gli anglo-americani che accusavano Mosca di avere
violato gli accordi di Jalta e i sovietici che sostenevano di averli scrupolosamente osservati.
Nei circoli sovietici prevaleva la tendenza a ritenere che sul lungo periodo il conflitto con gli stati capitalisti era inevitabile e che gli anglo-americani
avrebbero cercato di ricostituire uno stato tedesco per fare guerra all’Unione
Sovietica:
I russi – rilevava Quaroni – sono sempre stati estremamente sospettosi di loro natura:
alla loro diffidenza naturale è venuta ad aggiungersi la diffidenza, diciamo così, di
classe: il risultato è che di fronte a cento manifestazioni da parte anglo-sassone che
mostrino che essi non hanno nessuna intenzione seria di preparare la guerra all’Urss,
e una in senso contrario essi non esiteranno a scartare le cento come fallaci, e considerare l’una come la manifestazione vera della politica anglo-sassone. Che poi
questa teoria della sicurezza socialista serva a coprire un vero e proprio imperialismo
russo, è anche questo, almeno negli altissimi dirigenti, in parte una manifestazione di
un’altra caratteristica russa, la tendenza ad auto-ingannarsi23.
Da parte anglo-americana, a parere di Quaroni, coesistevano insieme le antiche e nuove paure del comunismo internazionale e dell’imperialismo russo.
Come compromesso fra queste reciproche diffidenze e ostilità, che consentisse
il sopravvivere di rapporti pacifici fra i tre Grandi, l’unica possibile soluzione
diveniva la creazione di sfere d’influenza, che tutti negavano di volere costituire, che in conferenze come quella della Crimea si era cercato anche di superare, ma nelle quali alla fine inevitabilmente si ricadeva: «la teoria delle zone
d’influenza è qui negata recisamente: però in pratica è applicata e rispettata integralmente». Fin dal 1941 l’Unione Sovietica aveva rivendicato che, per tutelare la propria sicurezza, doveva ottenere alla fine della guerra una sistemazione politica che le riconoscesse frontiere strategiche, ovvero i confini che Stalin
aveva conquistato applicando i patti Molotov-Ribbentrop, e la garanzia di essere circondata da stati amici. Non avendo raggiunto accordi stringenti e precisi a
tale proposito nel corso della guerra, con il progressivo crollo militare tedesco,
gli anglo-americani hanno visto con preoccupazione la serie degli stati, diciamo così
“amici” estendersi a dismisura, e con non minore preoccupazione la politica interna
di questi stati evolversi in modi e forme da far nascere il sospetto – secondo me assolutamente a torto – che i russi volevano impiantarvi il comunismo24.
23. Ibidem.
24. Ibidem.
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A parere di Quaroni, ancora recentemente i sovietici avevano proceduto con molta determinazione nello sviluppo della loro zona d’influenza in
Europa orientale disinteressandosi della reazione occidentale, ma ora iniziava a comparire un certo nervosismo a Mosca a causa del crollo del fronte
tedesco occidentale e della rapida avanzata anglo-americana nel cuore della
Germania. Gli anglo-americani stavano occupando la parte più ricca e prospera della Germania e ciò faceva risorgere i timori della rinascita di uno
stato tedesco potenzialmente antirusso legato a Londra e Washington, timori
aggravati dalla morte di Roosevelt, sostenitore di una stretta intesa con l’Unione Sovietica, e dalle incognite che ciò suscitava nell’evoluzione dei rapporti americano-sovietici. Tutti questi sviluppi facevano prevedere a Quaroni
l’inevitabile rafforzamento della politica sovietica di costruzione di una zona
d’influenza esclusiva in Europa orientale:
È mia convinzione che […] la politica delle zone d’influenza è una realtà di cui tener
conto. Le sue conseguenze, a lungo andare, possono essere disastrose per chi la fa e,
peggio ancora per chi è costretto a subirla. Ma la triste realtà è che, man mano che
la guerra volge al suo fine tutte le belle parole della Carta Atlantica, delle quattro
libertà e simili vanno sfumando e cedendo il posto al conflitto brutale degli opposti
imperialismi. È uno stato di cose che noi e con noi molti altri stati europei possiamo
deplorare, ma che purtroppo siamo impotenti a cambiare25.
La costituzione di zone d’influenza, secondo il diplomatico italiano, serviva a creare un equilibrio fra i tre Grandi in Europa e a evitare una guerra
aperta fra sovietici e anglo-americani; era quindi utile per il mantenimento
della pace:
L’alternativa oggi è o conflitto più o meno immediato o compromesso sotto forma di
zone d’influenza. Siccome il conflitto non lo vuole nessuno e probabilmente nessuno
è in grado di sopportarlo non resta che l’altra alternativa. Tutto questo, per qualche
anno almeno: cosa accadrà più in là sarebbe troppo presuntuoso anche azzardarsi
a prevederlo. In ogni modo di questo stato di cose, per poco gradito che ci possa
essere, noi non possiamo non tener conto nel formulare quella che possa essere la
nostra politica estera26.
Prendere atto della realtà significava per Quaroni che l’Italia doveva accettare la creazione e l’esistenza di una zona d’influenza sovietica in Europa
centrale e orientale. Da qui il favore del diplomatico romano a che il governo
italiano instaurasse rapporti e riconoscesse formalmente i nuovi governi filo25. Ibidem.
26. Ibidem.
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sovietici in tale parte d’Europa. Tenendo conto dell’importanza della Polonia
nella politica estera sovietica, Quaroni s’impegnò perché l’Italia iniziasse
rapporti politici con il cosiddetto Comitato nazionale polacco filosovietico di
Lublino, sorto nel 1944 in contrapposizione con l’esecutivo polacco in esilio a Londra: comitato che si trasformò in governo polacco provvisorio nel
gennaio 1945 e si trasferì a Varsavia nello stesso mese. Fu una politica che il
ministro degli Esteri De Gasperi fece progressivamente propria e che portò
alla conclusione di un accordo con il governo di Varsavia sul ritorno in patria
degli internati italiani il 28 aprile 1945 – «il primo impegno internazionale
contratto da un paese occidentale con le autorità di Varsavia»27 – e al riconoscimento italiano del governo provvisorio di unità nazionale filosovietico
il 6 luglio 1945, con la conseguente rottura delle relazioni diplomatiche con
l’esecutivo polacco in esilio a Londra28.
Pur cattolico praticante, Quaroni si manifestò critico verso la politica della Santa Sede fondata sull’antagonismo assoluto contro l’Unione Sovietica
nella questione polacca. Il Vaticano era una delle bestie nere della stampa e
della propaganda sovietiche, ma Quaroni si chiedeva se i vertici della Santa
Sede fossero consapevoli che tutta l’insistenza anti-vaticana di Mosca era
conseguenza in primo luogo della politica pontificia nella questione polacca:
La Santa Sede, meno ancora di tanti altri governi e persone, non si è ancora resa conto di come le cose siano cambiate e di come la Russia faccia non la politica mondiale
del comunismo, ma la politica estera mondiale e imperiale della Russia. Essa pensa
quindi, in buona fede, che osteggiando la Russia, combatte il comunismo, quale
elemento distruttore della religione29.
Secondo Quaroni, i sovietici e i polacchi filomoscoviti erano perfettamente consapevoli dell’importanza della religione cattolica in Polonia e avevano fatto di tutto perché non scoppiasse uno scontro aperto con la chiesa
cattolica polacca, poiché volevano «evitare che agli altri guai della Polonia si
dovesse aggiungere una lotta religiosa». Un eventuale sostegno vaticano alle
posizioni del governo polacco in esilio a Londra, con il mantenimento del
riconoscimento diplomatico, avrebbe significato una vera e propria dichiarazione di guerra della Santa Sede all’Unione Sovietica, con gravi pericoli e
conseguenze per il cattolicesimo in Polonia:
27. F. Caccamo, L’instaurazione del regime a democrazia popolare in Polonia. Le mutevoli prospettive della diplomazia italiana, in «Storia e diplomazia», vol. 2, nn. 1-2, 2014, pp.
85-112: p. 93.
28. Ibidem.
29. Quaroni a De Gasperi, 12 luglio 1945, Ddi, serie X, vol. 2, d. 331.
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Il governo polacco di Londra, e i suoi elementi in Polonia, si sono irrigiditi su di
una linea politica che, quali che ne siano le ragioni e i principi, è una politica antirussa. Se la Santa Sede si schiera a favore del governo di Londra, il clero polacco
dovrà seguirla. Il clero cattolico in Polonia diventerà, quindi, un elemento, forse un
elemento principale, della lotta contro la politica di amicizia verso l’Urss. I russi,
quindi, e il governo polacco con loro, dovranno iniziare la lotta a fondo contro il
clero polacco30.
Ciò avrebbe avuto effetti disastrosi e drammatici non solo per i cattolici
in Polonia, ma anche per quelli di tutta l’Europa orientale nella zona d’influenza sovietica.
Quaroni consigliò anche prudenza nell’azione italiana in Bulgaria e
Romania. A Mosca vi era diffidenza verso l’Italia e la passata influenza di
questa nei Balcani, e la politica estera italiana doveva essere attenta a non
urtare la suscettibilità e gli interessi sovietici in quella regione, per esempio
assecondando o sostenendo l’azione antirussa dei rappresentanti periferici
statunitensi e britannici31.
Va detto che Quaroni non nutriva illusioni sulla benevolenza politica
dell’Unione Sovietica verso l’Italia. A suo avviso, Mosca manifestava un forte disinteresse verso le questioni italiane. La forte reazione anglo-americana
alla ripresa di relazioni italo-sovietiche nel marzo 1944 e, con l’invasione
russa degli stati satelliti della Germania, il crearsi di un parallelismo d’interessi fra Mosca, Londra e Washington nella gestione senza interferenze
esterne delle proprie zone d’occupazione, avevano dissuaso i sovietici dallo
sviluppare una propria politica d’ampio respiro in Italia:
Per quanto ci riguarda, oggi, intanto, quello che importa è di constatare questo stato
di fatto. Noi siamo nella sfera di interessi anglo-americani e ci resteremo per del
tempo almeno: i russi lo ammettono, lo riconoscono, e non sono disposti a fare nulla
per farcene uscire. […] Né, a mio avviso, questo stato di cose è suscettibile di essere
modificato da simpatie di partito o diciamo così di classe: se per esempio domani,
liberata l’Italia del nord, dovesse crearsi uno stato di cose per cui gli anglo-americani
procedessero contro i partigiani italiani come hanno proceduto contro l’ELAS in
Grecia, la stampa sovietica strillerà più o meno secondo lo stato delle polemiche fra
alleati, ma il governo russo non muoverà un dito per impedirlo32.
Questa accettazione sovietica dell’appartenenza dell’Italia alla sfera d’interessi anglo-americana spiegava il sostegno di Mosca alle rivendicazioni
30. Ibidem.
31. Ddi, serie X, vol. 2, dd. 78, 154, 156, 194, 286, 321.
32. Quaroni a De Gasperi, 23 aprile 1945, ivi, d. 144.
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jugoslave nell’Adriatico orientale, le quali, in nome della politica della fratellanza slava, godevano di forti simpatie nell’opinione pubblica russa33.
Un aspetto della visione di politica estera di Quaroni che va sottolineato è
che negli anni 1944-1945, il diplomatico romano, percependo il progressivo
deterioramento dei rapporti fra le potenze vincitrici della guerra e il delinearsi di un crescente antagonismo sovietico-americano, sembrò propendere per
un’azione internazionale che consentisse all’Italia l’assunzione di una posizione di neutralità politica. Nell’aprile 1945 Quaroni scrisse al segretario
generale Prunas che di fronte al crescere della diffidenza e delle tensioni fra
sovietici e anglosassoni, la scelta migliore per l’Italia sarebbe stata la neutralità. Il bilancio della politica estera italiana degli ultimi trent’anni, con la
partecipazione a due guerre mondiali, era stato disastroso: a parere del diplomatico romano, la terza guerra mondiale era una seria possibilità e l’unica
speranza per l’Italia di evitare di esservi coinvolta era assumere una posizione di neutralità, cercando di «tenere una onesta politica equidistante fra i due
gruppi contendenti»34.
Per Quaroni, bisognava accettare di fare parte della zona d’influenza occidentale, ma rifiutarsi di stringere nuove alleanze politiche e militari. Il governo di Roma non doveva farsi strumentalizzare da Londra e Washington e
divenire parte di una coalizione antisovietica35. Da qui l’importanza di evitare che i molti profughi anticomunisti presenti in Italia provocassero incidenti
e tensioni nei rapporti fra Italia e Unione Sovietica. Era un grande errore di
molti politici e giornalisti italiani il confondere la propaganda anticomunista con la polemica antisovietica. Secondo Quaroni, l’Unione Sovietica non
voleva diffondere il comunismo in Italia e vedeva il nostro paese in un’ottica
puramente di politica estera. Analizzando la situazione dell’estate e dell’autunno 1945 Quaroni riteneva che vi fosse grande incertezza nella situazione
internazionale e poca chiarezza sulle intenzioni sovietiche. Con Mosca bisognava cercare di creare rapporti di amicizia, ma era da rifiutarsi ogni idea di
concludere un patto di alleanza e collaborazione politica, imitando il modello di accordo che De Gaulle aveva concluso con Stalin nel 1944. L’Italia doveva condurre una politica estera sincera e onesta, di neutralità politica, che
puntasse ad intensificare le relazioni economiche con Mosca, conciliandole
con l’appartenenza alla zona d’influenza occidentale.
A nostro parere, il neutralismo di Quaroni derivava da vari fattori. Da
una parte, egli era impressionato dalla forza militare e dal vigore politico e
33. Quaroni a De Gasperi, 23 aprile 1945, ivi, d. 143. Utile anche L. Monzali, Gli Italiani
di Dalmazia e le relazioni italo-jugoslave nel Novecento, Marsilio, Venezia 2015, p. 427 e ss.
34. Quaroni a Prunas, 24 aprile 1945, Ddi, serie X, vol. 2, d. 145.
35. Ivi, dd. 374, 439, 542, 608.
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ideologico di cui l’Unione Sovietica aveva dato prova nel corso della guerra
e riteneva Mosca la futura potenza dominante in Europa: a suo avviso, era in
fondo interesse dell’Italia evitare di attirarsi l’inimicizia sovietica schierandosi apertamente con gli occidentali in una fase in cui il trattato di pace era
ancora in definizione. Dall’altra, Quaroni aveva dubbi sulle qualità politiche
della leadership statunitense e sulla volontà di Londra e Washington di difendere gli interessi vitali dell’Italia. In quei mesi per Quaroni l’opzione neutralista valeva non solo per l’Italia, ma per l’intera Europa occidentale. Nel
1945 gli sembrava un’opzione plausibile la creazione di un blocco europeo
occidentale indipendente dagli Stati Uniti quale garanzia di potere rimanere
neutrali di fronte al possibile scontro militare fra sovietici e americani.
Nella primavera e nell’estate 1945 Quaroni segnalò ripetutamente a Roma
i crescenti segnali di nervosismo da parte della leadership sovietica e l’aggravarsi delle tensioni fra Mosca e gli occidentali. Una grande preoccupazione
sovietica era la possibilità di un avvento al potere di un governo laburista
in Gran Bretagna. A parere di Quaroni, Stalin preferiva come interlocutori
i conservatori britannici perché questi accettavano la logica delle sfere d’influenza e con loro sarebbe stato più semplice raggiungere un compromesso
a tale riguardo. Il timore di Stalin era che un esecutivo laburista avrebbe abbandonato la politica di Churchill delle zone d’influenza e sostenuto piuttosto la politica americana della porta aperta, una politica che i sovietici «appoggiano a parole, ma che non possono accettare in realtà e che male si presta, per il suo stesso carattere, a una soluzione di compromesso»36.
Pure l’evoluzione della situazione in Estremo Oriente appariva ai sovietici estremamente insoddisfacente. Nell’estate 1945 Mosca era intervenuta
nel conflitto contro il Giappone non per avere una vittoria diplomatica, ma
per conseguire un forte successo militare e occupare vasti territori cinesi e
giapponesi37. La rapidissima resa giapponese aveva frustrato i disegni sovietici ed era avvenuta prima che i tre Grandi definissero precisamente un’intesa politica sul futuro della regione, lasciando agli americani e ai britannici
una posizione assai più favorevole e forte in Estremo Oriente che in Europa
orientale.
Progressivamente nelle sue analisi dell’azione internazionale sovietica
Quaroni cominciò a sottolineare sempre più il crescente peso della tradizione
della politica estera russa. A suo avviso, l’azione sovietica verso la Turchia,
il Giappone e l’Europa orientale mirava alla riconquista delle antiche posizioni della Russia zarista. Dopo gli incredibili sacrifici compiuti contro la
36. Quaroni a De Gasperi, 17 giugno 1945, ivi, d. 270.
37. Un’analisi della politica sovietica in Estremo Oriente si trova in Quaroni a De Gasperi,
20 luglio e 21 agosto 1945, ivi, dd. 352 e 439.
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Germania nazista vi era una forte volontà non solo dell’élite sovietica ma anche dell’opinione pubblica russa, che secondo Quaroni esisteva, di cogliere
questa occasione storica per unire sotto la propria guida tutti i popoli slavi e
far divenire l’Unione Sovietica una grande potenza mondiale38.
Di fatto nelle sue analisi Quaroni rimase sempre attento ad interpretare
la politica estera di Stalin tenendo conto delle due prospettive, quella di una
politica estera che perseguiva i tradizionali obiettivi di potenza della Russia,
e quella di uno stato guidato da una classe dirigente d’ispirazione marxistaleninista. Ma, a suo avviso, la logica prevalente nell’azione internazionale
sovietica non era più quella ideologica, come nei primi anni Venti, ma quella
della politica di potenza e della forza:
C’è ancora molta, troppa gente in Europa – scriveva Quaroni nel dicembre 1945 – e
nel resto del mondo che crede che la politica russa sia mossa da motivi ideologici,
che essa viva, cresca e combatta per dei principi nuovi da far trionfare e che dovrebbero assicurare all’umanità una vita più felice. In realtà la politica russa è puramente e semplicemente una politica di espansione imperiale, che non comprende altro
modo di risolvere le questioni che la forza, e che non riconosce alla sua volontà che
una forza capace e decisa di opporlesi. […] Quando noi parliamo ai russi, quando
esponiamo loro la nostra situazione, le nostre aspirazioni, i fini della nostra politica,
bisogna che teniamo sempre presente questa brutalità realistica della concezione
politica russa, per non farci illusioni su quello che possono essere le reazioni russe.
Noi parliamo di giustizia, di democrazia, di amicizia, di mediazione: tutte cose di cui
i russi non sanno assolutamente che farsene39.
3. Pietro Quaroni, il deteriorarsi delle relazioni fra sovietici e
anglo-americani e le origini della Guerra fredda
Nei mesi che andarono dalla conferenza di Potsdam a quella di Mosca
vi fu una difficoltà di Quaroni a interpretare la politica occidentale verso i
sovietici. Da una parte, gli parve che nei negoziati internazionali i sovietici fossero in grado di prevalere sugli anglo-americani, i quali, per salvare la
collaborazione fra i tre Grandi, tendevano a cedere alle richieste di Mosca.
Dall’altra, però, cresceva l’importanza della controversia circa i governi filosovietici in Bulgaria e Romania, la cui legittimità era contestata da Londra e
Washington. La dura repressione contro le forze anticomuniste in quei paesi
suscitava crescenti proteste anglo-americane, che provocavano irritazione e
38. Cfr. ad esempio Quaroni a De Gasperi, 25 settembre e 14 ottobre 1945, ivi, dd. 572
e 621.
39. Quaroni a De Gasperi, 13 dicembre 1945, ivi, vol. 3, d. 15.
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ostilità da parte sovietica. In occasione della conferenza di Londra del settembre 1945, con cui partì la preparazione dei trattati di pace degli stati alleati della Germania, vi furono duri scontri verbali fra il segretario di Stato americano Byrnes, il ministro degli Esteri britannico Bevin e la sua controparte
sovietica Molotov a tale proposito. Quaroni colse l’importanza di tale questione ma non riuscì a bene interpretarla. Egli stesso ammetteva di non capire le motivazioni anglo-americane nel contestare la situazione in Bulgaria e
Romania: ragioni ideali e di principio, o ricerca di fare pressione su Mosca
per ottenere concessioni su altre questioni, oppure ancora volontà di creare
un test case per dare un segnale a Mosca che doveva frenare le proprie mire e
accettare compromessi più soddisfacenti per tutte le parti? Per Quaroni l’insistenza anglo-americana su questo tema, concernente paesi della zona d’influenza sovietica, portava alla rottura con Mosca. Era quello che volevano gli
anglo-americani o agivano in maniera inconsapevole?
In lungo rapporto del dicembre 1945, Quaroni riaffermò la sua visione
della politica estera dell’Unione Sovietica come politica fondata non tanto su
principi ideologici quanto sulla logica di potenza. Certamente l’Urss era più
debole militarmente ed economicamente degli occidentali. Ma Mosca conduceva una guerra diplomatica fondata sui bluff, nella quale non era tanto il potenziale militare a contare, quanto la volontà di servirsene sul piano politico, e
si stava dimostrando molto abile a tale riguardo. Avrebbe continuato con una
politica dei fatti compiuti fino a che non avesse percepito che la pazienza americana era esaurita e che il compimento di un passo ulteriore avrebbe potuto
significare la guerra, non voluta da Stalin e dai leader sovietici:
Questa è la ragione per cui, almeno fino a che Stalin è vivo e vegeto, io non credo
alla guerra. Credo però, invece, non solo al mantenimento di tutti i fatti compiuti
russi, ma anche che di fatti compiuti ne vedremo ancora parecchi, perché i russi sono
convinti di avere ancora davanti a loro un vasto margine di possibilità40.
In questa prospettiva sovietica, l’Italia non aveva importanza e utilità. La
Jugoslavia, invece, sì, in quanto costituiva la «posizione russa più avanzata nell’Europa sud-orientale»: da qui il sostegno russo alle rivendicazioni
territoriali di Tito contro l’Italia. Pure inutile era pensare a un futuro ruolo
dell’Italia quale mediatrice fra occidentali e sovietici:
Noi, e non solo noi – la Francia specialmente – dobbiamo persuaderci che la Russia
non vuole dei mediatori, ma dei vassalli; che non ammette posizioni intermedie; che
riconosce nel mondo una sola potenza pari, gli Stati Uniti; che ai suoi occhi tutti gli
40. Ibidem.
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altri non contano niente; che cogli Stati Uniti vogliono trattare, intendersi, discutere
direttamente, da soli, senza nessun intermediario. Stanno facendo tutto quello che è
umanamente possibile per togliere di mezzo anche l’Inghilterra: come si può sperare
che consentano a introdurre nel gioco la Francia, l’Italia, la Cecoslovacchia o chi
che sia?41.
Sul piano politico mondiale futuro forse Mosca e Washington avrebbero
trovato un’intesa globale fondata sull’equilibrio e sulle zone d’influenza, e in
una situazione di pace l’Unione Sovietica sarebbe evoluta verso concezioni
meno totalitarie consentendo uno scongelamento dei rapporti con l’Europa
occidentale e un avvicinamento. Oppure, se non si fosse riusciti a raggiungere una situazione di equilibrio, la competizione americano-sovietica si sarebbe spostata verso l’Asia. In tal caso, a parere di Quaroni, l’unico modo
per gli europei di evitare di tornare a essere campo di battaglia sarebbe stata
la creazione di un blocco dell’Europa occidentale realmente indipendente da
Washington e abbastanza forte da convincere i russi che la sua distruzione
non sarebbe stata «una passeggiata militare». Secondo Quaroni, la neutralità
in una futura guerra mondiale era l’opzione migliore non solo per l’Italia ma
per tutta l’Europa occidentale:
Mi sembra che di fronte ai risultati tragici, per noi, per la Francia, per tutta l’Europa
occidentale, di due guerre mondiali, l’unica politica seria e ragionevole che vale la
pena di tentare, non è quella di sperare da una nuova guerra la possibilità di riguadagnare qualche chilometro quadrato di territorio in Europa o in Africa, ma quella
di restare neutrali il giorno in cui i due aspiranti all’egemonia mondiale decidessero
a tentare le sorti delle armi. Separati, nessuno dei paesi dell’Europa occidentale può
sperare di riuscire a evitare di essere, con o contro la sua volontà, uno dei campi di
battaglia: insieme, e facendo insieme una politica saggia, prudente, realista, senza
vani sogni di grandezze ci possono riuscire42.
A parere di Quaroni, la conferenza di Mosca del dicembre 1945 segnò un
pieno successo dei sovietici, che ottennero la riorganizzazione del Consiglio
dei Cinque nella forma da loro richiesta (con il ridimensionamento del ruolo
di Francia e Cina nei trattati di pace europei), il riconoscimento occidentale
dei governi di Bulgaria e Romania e la simultaneità di tutti i trattati di pace
fra gli ex stati satelliti della Germania43. Vi erano state forti concessioni statunitensi e il superamento della tensione presente alla conferenza di Londra
perché gli anglo-americani ritenevano ancora importante mantenere buoni
41. Ibidem.
42. Ibidem.
43. Ddi, serie X, vol. 3, dd. 40, 46, 78.
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rapporti con Mosca. Volendo il segretario di Stato statunitense Byrnes un
successo della conferenza a qualsiasi costo, si era presentato in una posizione di debolezza di fronte ai sovietici. Ma nonostante il successo finale della
conferenza i grossi problemi nei rapporti fra le grandi potenze non erano stati
risolti, ma solo messi da parte. Il superamento della tensione fra i vincitori
era solo temporaneo.
L’aggravarsi delle tensioni fra i tre Grandi nei mesi successivi alla conferenza di Mosca fu debitamente segnalato da Quaroni nelle sue comunicazioni a Roma. Il diplomatico romano notò la forte impressione suscitata
nelle élite sovietiche dal discorso che Churchill aveva tenuto, in presenza del
presidente statunitense Truman, all’Università Fulton in Missouri all’inizio
di marzo44, con il quale il politico britannico aveva esaltato l’alleanza angloamericana e invitato a una forte resistenza e opposizione alle mire espansionistiche sovietiche. La stampa russa aveva dato ampio risalto al discorso e
aveva iniziato una dura campagna di attacchi contro Churchill. Lo stesso Stalin aveva ritenuto opportuno rispondere al politico britannico dando un’intervista al riguardo. Secondo Quaroni, era evidente la preoccupazione dei
leader sovietici per il deterioramento dei rapporti con Londra e Washington:
Churchill, indipendentemente dalla circostanza che non è attualmente al governo,
è uno degli uomini politici più in vista del mondo e la posizione nettamente antisovietica, che egli ha preso da alcuni mesi a questa parte, non può non preoccupare
questi dirigenti. Dopo sei anni di guerra – e di dura guerra – tutti anelano alla pace,
ma allo stesso tempo tutti non possono non rilevare che Urss continua la politica del
sic volo si iubeo a cui gli anglo-americani hanno dovuto, volenti o nolenti, sottostare
durante comune guerra contro Hitler. Stalin teme quindi che Churchill possa diventare l’iniziatore di una campagna anti-russa e corre quindi ai ripari, non difendendosi, ma, secondo la tattica sovietica, attaccando decisamente il suo avversario. Stato
dei rapporti fra Alleati comincia preoccupare anche opinione pubblica sovietica e si
parla abbastanza apertamente stanchezza guerra grande maggioranza popolazione45.
Nelle settimane successive il governo sovietico lanciò una forte campagna propagandistica che presentava l’Unione Sovietica come stato pacifico e
amante della pace, sostenitore della più completa eguaglianza fra gli stati e
dei diritti dei paesi più piccoli; contemporaneamente si denunciava l’imperialismo britannico e il tentativo di costituire un grande blocco antisovietico
sul piano mondiale46. A parere di Quaroni, l’obiettivo di Mosca era dividere
e contrapporre gli inglesi agli americani, attaccando duramente solo i primi:
44. Tarchiani a De Gasperi, 5 marzo 1946, ivi, d. 230.
45. Quaroni a De Gasperi, 15 marzo 1946, ivi, d. 264.
46. Quaroni a De Gasperi, 26 marzo 1946, ivi, d. 293.
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L’Urss cerca di separare l’Inghilterra dagli Stati Uniti. Mosca sa che il blocco anglosassone rappresenta non solo di per sé un compatto e fortissimo nucleo, militarmente
ed economicamente parlando, ma altresì un “quid” che “politicamente” finirà sempre per riunire o per lo meno polarizzare tutte le forze mondiali intorno a sé. Se ai
dirigenti sovietici riuscisse di separarli, ciò significherebbe per loro un successo di
una portata immensa, in quanto che, una volta isolati, né l’Inghilterra avrebbe la
forza di opporsi all’Urss, né gli Stati Uniti potrebbero facilmente competere con
l’Unione Sovietica. Che Mosca faccia ogni sforzo per riuscire su questa strada non
vi è dubbio47.
D’altra parte, a parere del diplomatico italiano, Mosca sembrava volere
ancora trattare con gli anglo-americani ed evitare uno scontro aperto. L’annuncio del ritiro delle truppe sovietiche dalla Manciuria e dall’Iran e l’apertura del governo bulgaro a negoziati con le forze di opposizione sembravano
indicare il desiderio di Stalin di cercare una conciliazione con gli alleati. Ma,
secondo Quaroni, Stalin non era pronto a rinunce e concessioni sostanziali48.
Ciò poteva provocare grossi problemi nella preparazione del trattato di pace
dell’Italia. Sulla Bulgaria e sulla Romania i sovietici erano intransigenti. Se
gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non rinunciavano a contestare i governi
bulgaro e romeno in carica vi era il rischio di un ostruzionismo sovietico riguardo al trattato di pace dell’Italia. Per Mosca era importante consolidare
questi governi filosovietici prima dell’applicazione dei trattati di pace e del
conseguente ritiro delle truppe russe occupanti49.
Momento significativo nel processo di migliore conoscenza e comprensione delle direttive della politica estera americana da parte di Quaroni fu
l’arrivo a Mosca del nuovo ambasciatore statunitense, il generale Walter
Bedell Smith, nell’aprile 1946 e il sorgere di un rapporto di collaborazione
fra i due. Smith era stato vice di Eisenhower durante la campagna di Tunisia
e l’invasione dell’Italia e aveva simpatia verso gli italiani, il che lo rese interessato a stringere uno stretto rapporto con Quaroni. A metà aprile Smith
ebbe un lungo colloquio con l’ambasciatore italiano, al quale spiegò la nuova
politica americana verso l’Unione Sovietica, fondata sulla ferma volontà di
resistere alle pretese sovietiche e all’espansionismo di Mosca50. I negoziati
47. Ibidem.
48. Quaroni a De Gasperi, 1° aprile 1946, ivi, d. 308.
49. Quaroni a De Gasperi, 5 aprile 1946, ivi, d. 324.
50. Quaroni a De Gasperi, 18 aprile 1946, ivi, d. 363. Sulla genesi del containment: G.F.
Kennan, Memoirs 1925-1950, Little, Brown & Co., Boston 1967, p. 271 e ss.; J.L. Gaddis,
The United States and the Origins of the Cold War, Columbia University Press, New York
1972; Id., The Long Peace: Inquiries into the History of the Cold War, Oxford University
Press, Oxford-New York 1987; Id., La guerra fredda: rivelazioni e riflessioni, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2002.
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sull’Iran, secondo Smith, erano stati il primo caso in cui Washington aveva
applicato questo nuovo approccio. Per Smith, come per Quaroni, l’Unione
Sovietica non voleva una nuova guerra, ma le vittorie contro i tedeschi avevano dato a Mosca una sensazione sproporzionata della propria potenza militare. In realtà gli Stati Uniti erano molto più forti militarmente ed economicamente, e i sovietici ne erano ormai consapevoli:
[Smith] non nega che la Russia, col tempo, possa essere in grado di sviluppare
la sua produzione in modo da avvicinarla a quella americana: comunque ci vorrà
molto tempo e quando questo sarà avvenuto si vedrà: per il momento l’America è
di gran lunga la più forte: essa non ha nessuna intenzione di fare uso di questa forza né per minacciare l’indipendenza della Russia né per impedirle di raggiungere
le sue giuste aspirazioni: ma non ha nemmeno l’intenzione di lasciarsi pestare i
piedi51.
Secondo Quaroni, Smith aveva ragione quando affermava che i leader sovietici erano perfettamente consapevoli di non essere in grado di affrontare
una guerra moderna contro gli Stati Uniti. Altro forte elemento di freno di
eventuali velleità belliciste era l’atteggiamento dell’opinione pubblica sovietica. Il popolo russo, autentico protagonista, con il suo spirito di sacrificio e
il suo sforzo tenace e costante, della vittoria contro Hitler, era stanco, non
voleva una nuova guerra e avrebbe boicottato passivamente un conflitto contro gli Usa:
Nello stato attuale dell’opinione pubblica, molto più vocal in questo senso, di quanto si desidererebbe, se Stalin domani volesse dichiarare la guerra, non c’è oggi in
Russia nessuno che sia in grado d’impedirgli di farlo, ma sarei molto sorpreso se il
popolo russo mettesse in questa nuova guerra anche una piccola frazione dell’entusiasmo già mostrato. E ho buone ragioni di ritenere che, in altissimo loco, di questo
si rendono perfettamente conto52.
Secondo Quaroni, l’analisi di Smith delle relazioni Usa-Urss era corretta,
e se quella che lui gli aveva presentato era veramente la politica che volevano
perseguire gli americani nei confronti di Mosca, se ne sarebbero visti i frutti
in non molto tempo: «Devo dire, però, che due anni di esperienza di politica
americana, vista da Mosca, mi rendono piuttosto scettico»53.
51. Quaroni a De Gasperi, 18 aprile 1946, cit.
52. Ibidem.
53. Ibidem.
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4. Quaroni e la questione tedesca nella politica dell’Unione Sovietica
Nel corso della sua missione a Mosca Quaroni dedicò sempre molta attenzione alla questione tedesca. Sua madre era di origine bavarese e lui
era un raffinato e profondo conoscitore della lingua e della cultura tedesca.
Come egli stesso ha ricordato in un suo libro di ricordi, il tema del futuro
della Germania dopo la seconda guerra mondiale lo interessava e angosciava moltissimo. Fin dalla sua permanenza in Afghanistan aveva cercato di
comprendere quale fossero le vere direttive della politica sovietica verso
la Germania dopo l’aggressione hitleriana del 1941. La costituzione di un
Comitato della Germania libera in Russia nel 1943, formato da ufficiali tedeschi di estrazione prussiana prigionieri dei sovietici, che invocava la distruzione del nazismo, la pace immediata e il ritorno ai confini del 193854,
sembrò indicare a Quaroni la volontà di Stalin di giocare la carta della ricerca della riconciliazione con la Germania come elemento decisivo della sua
politica europea55.
Ma giunto a Mosca nella primavera del 1944, come abbiamo visto, Quaroni
si rese conto che, svanita la possibilità di un colpo di stato anti-hitleriano a
opera dei militari tedeschi con il fallito attentato di Stauffenberg, Stalin aveva deciso di sposare la politica della distruzione totale della Germania, della
vendetta contro l’aggressione nazista e dell’affermazione di un’egemonia dei
popoli slavi guidati dalla Russia sovietica sul mondo germanico e sull’Europa centrale.
Pure il riavvicinamento franco-sovietico, culminato nella visita di De
Gaulle a Mosca e nella firma di un trattato di alleanza nel dicembre 1944,
fu letto da Quaroni in un’ottica prevalentemente anti-tedesca56. Non essendo
ipotizzabile per molti anni che la Germania ritornasse a essere una minaccia
militare per Unione Sovietica e Francia, le stipulazioni del patto concernenti
la repressione dell’aggressione tedesca non significavano altro che «un impegno da parte delle due potenze a opporsi concordemente a qualsiasi politica
di terzi stati diretta al risollevamento della Germania». I sovietici volevano
impedire la costituzione di un blocco atlantico guidato dagli inglesi inglobante la Francia. Con l’accordo del dicembre 1944 De Gaulle aveva sostanzialmente preso l’impegno di non partecipare a coalizioni anti-sovietiche ottenendo in cambio l’accettazione di Mosca che le frontiere francesi a ovest si
spostassero fino alla riva sinistra del Reno, inglobando anche parte del Baden
54. V. Mastny, Russia’s Road to the Cold War, cit.; A. Beevor, Stalingrado, Rizzoli, Milano
1998.
55. P. Quaroni, Il mondo di un ambasciatore, cit., pp. 177-179.
56. Quaroni a De Gasperi, 21 aprile 1945, Ddi, serie X, vol. 2, d. 140.
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e con il diritto francese di espellere eventualmente le popolazioni tedesche
non assimilabili:
La Russia vuole la morte definitiva della Germania – affermava Quaroni nell’aprile
1945 –, quindi chi vuole qualche parte della Germania, con relativa espulsione dei
tedeschi, si faccia avanti, è il benvenuto. Così si è cercato di convincere l’ambasciatore del Belgio a reclamare Aquisgrana, e al rappresentante danese è stato ricordato
che un tempo la Danimarca arrivava fino ad Altona, e che l’Urss avrebbe appoggiato
qualsiasi reclamo danese ai danni della Germania (ambedue queste proposte non
sembra abbiano incontrato molto favore, né in Belgio né in Danimarca). In ogni
modo nei riguardi della Francia, con le promesse di appoggio “per quanto li concerne” ossia con riserva dell’approvazione anglo-americana, i russi hanno fatto un
ottimo affare diplomatico: se la Francia avrà quello che richiede, sarò merito dei
russi, se non lo avrà sarà colpa degli anglo-americani57.
Nella primavera del 1945 non era però chiaro a Quaroni quanto fosse definita e determinata la politica sovietica verso la questione tedesca58. In un
telespresso del 20 maggio 1945 l’ambasciatore italiano notò che il problema del futuro assetto della Germania turbava i politici sovietici. Le modalità
della capitolazione tedesca avevano irritato Mosca poiché la parte più grande
della Germania era rimasta in mano agli anglo-americani. Il governo russo
temeva che inglesi e americani volessero ricreare una forte Germania in funzione anti-sovietica e si rendeva conto che la dura e feroce politica anti-tedesca condotta per realizzare la distruzione del regime nazionalsocialista era
stata eccessiva e in parte controproducente:
Il problema del futuro della Germania, è, oggi, per i russi il problema centrale. Si
accorgono oggi di essere andati troppo in là colla propaganda dell’odio, della distruzione della Germania e di avere ottenuto questo risultato. Ancora nel 1943, nella Germania vecchia scuola, nell’esercito specialmente, c’erano almeno molti che
pensavano che il grande errore di Hitler era stato quello di gettarsi contro la Russia
e, probabilmente, il caso Seydlitz ne è un chiaro esempio, ritenevano che la salvezza della Germania potesse essere un ritorno alla politica tradizionale prussiana di
amicizia con la Russia. Oggi la situazione sembra capovolta: tutta la Germania, per
salvarsi dai russi, si precipita ad arrendersi agli anglo-americani59.
57. Ibidem.
58. Circa la politica dell’Unione Sovietica verso la questione tedesca rimandiamo a F.
Bettanin, Stalin e l’Europa, cit.; V. Mastny, Il dittatore insicuro, cit.; Id., Russia’s Road to
the Cold War, cit.; N.M. Naimark, The Russians in Germany: A History of the Soviet Zone of
Occupation, 1945-1949, Belknap Press, Cambridge 1995.
59. Quaroni a De Gasperi, 20 maggio 1945, Ddi, serie X, vol. 2, d. 211.
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A partire dall’autunno 1945 crebbe ulteriormente l’attenzione di Quaroni
verso la questione tedesca. In un importante rapporto del novembre 194560
egli ricostruì le oscillazioni della politica tedesca dell’Unione Sovietica dal
1941 in avanti. Ricordò l’evoluzione dalla politica della ricerca dell’amicizia
tedesca manifestatasi con la costituzione del Comitato per una libera Germania, guidato da ufficiali prussiani russofili – politica che terminò di fatto con
il fallimento dell’attentato contro Hitler del 1944 –, alla politica panslavista
di distruzione totale della Germania. Dopo la sconfitta hitleriana, al diplomatico romano sembrava che i sovietici puntassero a un’azione che, dopo
l’occupazione dei territori tedeschi, mirava a presentare l’Urss come potenza favorevole all’esistenza di una Germania unitaria e indipendente e che
sconfessava le rivendicazioni francesi. Secondo Quaroni, questa strategia sovietica era sterile e perdente, in quanto ormai, dopo le violenze delle truppe
sovietiche e dei loro alleati cechi e polacchi, l’odio dei tedeschi contro i sovietici era troppo forte e profondo. Con preveggenza Quaroni notava che vi
era il rischio che con il fallimento di questa politica sovietica di ricerca delle
simpatie tedesche, Mosca decidesse di cautelarsi e tutelare i propri interessi
creando una propria zona d’influenza in Germania, spaccando lo stato tedesco e creando un satellite filo sovietico.
Era in atto a Mosca una forte polemica contro il pericolo della costituzione di un blocco occidentale. Qualsiasi blocco di cui l’Urss non facesse parte era per Mosca antisovietico. L’alleanza con la Francia del 1944
era stata il tentativo d’impedirne la formazione, ma tale disegno era fallito
perché la Francia non era più in grado di fare una politica indipendente dagli anglo-americani. Se il nascente blocco occidentale avesse inglobato la
Germania sarebbe diventato per Mosca fortemente antisovietico. Suscitava preoccupazione l’evoluzione della politica tedesca della Francia. Dopo
l’ascesa al potere dei socialisti di Blum, bestia nera dei sovietici insieme a
Bevin, Parigi aveva abbandonato la richiesta del confine sul Reno e sembrava più aperta alla futura collaborazione con la Germania. I sovietici erano convinti che gli americani stessero ispirando la svolta moderata della
Francia nella questione tedesca e ritenevano i socialisti più antisovietici e
pericolosi dei conservatori.
Per il diplomatico italiano, la questione chiave nelle relazioni fra i tre
Grandi era il futuro assetto della Germania, riguardo al quale vi erano visioni diverse fra occidentali e sovietici. I leader sovietici non credevano alla
possibilità di un vero accordo con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. La loro
visione ideologica marxista-leninista li induceva a credere che la logica dello sviluppo economico capitalista spingesse gli americani a una politica di
60. Quaroni a De Gasperi, 22 novembre 1945, ivi, d. 708.
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espansione imperialista che si sarebbe inevitabilmente diretta contro l’Unione Sovietica61. La posizione della Germania era cruciale nel determinare i
futuri rapporti di forza in Europa. Mosca aveva il timore che l’unione delle
capacità militari tedesche con la potenza industriale degli Stati Uniti potesse
costituire un grave pericolo per l’Urss:
La situazione, per i russi, è tanto più seria in quanto gli americani sono riusciti a
mettere saldamente la mano sull’altro solo popolo le cui qualità militari sono qui
prese sul serio, i giapponesi. In Giappone, pensano – e dicono – i russi, gli americani
stanno mantenendo in piedi i quadri della antica organizzazione militare e imperialistica, per servirsene, un giorno, contro la Russia. Se dovesse riuscire all’America
di fare lo stesso scherzo con la Germania, ecco la Russia presa fra due morse, senza
avere più l’America alle spalle per distrarre in parte le forze tedesche e giapponesi,
ma anzi là, per aiutarli, se non con una assistenza militare diretta almeno con tutto il
peso della loro produzione industriale62.
I sovietici avevano pensato di potere forgiare e formare una nuova coscienza tedesca eliminando quelle classi sociali che per interesse erano orientate verso l’America e procedendo a profonde riforme economiche e sociali.
Ma le possibilità d’azione sovietica in Germania erano limitate da alcuni fattori. Il primo era che l’Unione Sovietica non era la sola potenza a occupare la
Germania e gli occidentali potevano agire a loro volta per plasmare il profilo
politico e ideologico del futuro stato tedesco. La grande sfida per i sovietici
era poi conquistare simpatie in Germania e orientare i tedeschi verso Mosca.
A tal fine, secondo Quaroni, non bastava l’esistenza di un governo tedesco
filosovietico, bisognava avere con sé l’opinione pubblica germanica:
Resta quindi a vedere – e i russi sono ben lontani dal vederci chiaro – fino a che punto la Germania democratizzata alla russa sarà poi realmente filo-russa. Ossia, fino a
che punto i tagli generosi nel territorio germanico a oriente, l’eradicazione in massa,
fatta più che con il consenso, dietro l’istigazione russa, di tanti milioni di tedeschi
dalla loro terra natale, la generosa spoliazione della Germania, che non è stata limitata alle industrie di guerra, ma si è spinta abbondantemente fino alle proprietà private
e personali dei tedeschi, e non solo dei tedeschi abbienti, abbia scavato fra Russia e
Germania un abisso impossibile da colmare63.
Di queste difficoltà i sovietici si rendevano conto e stavano cercando di
prendere contromisure al riguardo, frenando i saccheggi e sostenendo la ri61. Quaroni a De Gasperi, 18 maggio 1946, ivi, vol. 3, d. 459.
62. Ibidem.
63. Ibidem.
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presa dell’industria tedesca dei beni di consumo per la popolazione locale.
Ma vi era una reticenza russa a sostenere la ripresa di forme di patriottismo
germanico e una reale rinascita di un forte stato tedesco, così come a difendere alcuni confini della Germania. Per Quaroni era quindi probabile che
l’Urss avrebbe scelto un’altra opzione, quella della «delenda est Germania»,
ovvero di distruggere definitivamente uno stato germanico unitario. La freddezza sovietica verso la proposta del segretario di Stato Byrnes di esaminare
presto il trattato di pace con la Germania era una prima avvisaglia di questo
orientamento. I sovietici erano sull’Elba, e
più il tempo passa, più mi vado convincendo che, alla fine dei conti, i russi cercheranno di fare il possibile per rendere definitiva l’attuale separazione della Germania
nelle due zone d’occupazione, la russa e l’occidentale64.
Con che successo e con che conseguenze restava da vedersi, ma i sovietici
avrebbero fatto il possibile per arrivarci.
5. Epilogo di una missione. L’evoluzione di Quaroni da neutralista
a sostenitore della scelta occidentale
Nel corso del 1946 divenne centrale nell’attività di Quaroni l’analisi delle
posizioni sovietiche di fronte all’elaborazione dei trattati di pace degli stati ex alleati della Germania. L’ambasciatore italiano ebbe a lungo una posizione di critica verso l’atteggiamento arrendevole degli anglo-americani
nelle trattative con i sovietici a tale riguardo. A suo avviso vi era contraddittorietà fra la contestazione anglo-americana della legittimità dei governi in
Romania e Bulgaria e il cedimento alle richieste sovietiche nella preparazione dei trattati, ad esempio l’accettazione occidentale della tesi sovietica che
la conferenza della pace di Parigi non avesse peso e influenza sostanziali sulle decisioni territoriali e politiche prese dalle grandi potenze.
A partire dall’agosto 1946 Quaroni fu richiamato da Mosca per svolgere
l’attività di esperto della delegazione italiana per le trattative di pace a Parigi,
e poi di capo della delegazione per i negoziati finali a New York65. Il diplomatico romano si occupò molto del problema del confine orientale, della visione sovietica della questione adriatica, dei rapporti fra Mosca e la Jugoslavia.
Partecipò in prima persona al tentativo di negoziato diretto italo-jugoslavo
64. Ibidem.
65. Al riguardo: P. Quaroni, Le trattative per la pace, cit. Molto materiale documentario
si trova in Ddi, serie X, voll. 2-4.
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sulla questione dei confini e per la ripresa delle relazioni bilaterali che si sviluppò senza risultati concreti nell’estate e nell’autunno 194666.
Il suo atteggiamento critico verso gli occidentali cominciò a cambiare a
partire dall’estate 1946, quando egli iniziò a comprendere e percepire meglio
l’evoluzione della politica estera americana verso il containment antisovietico.
Nel luglio 1946, ad esempio, egli percepì che la fretta degli anglo-americani
nel volere concludere rapidamente e a ogni costo i trattati di pace aveva una
sua logica politica, in quanto serviva a far ritirare le truppe d’occupazione sovietiche dagli stati sconfitti dell’Europa orientale e poteva fornire l’occasione
dell’apertura di spazi politici in tali paesi67.
Nel fargli superare i suoi pregiudizi anti-yankee di diplomatico della
vecchia Europa fu comunque importante la lunga permanenza di Quaroni
negli Stati Uniti in occasione della conferenza dei ministri degli Esteri a
New York. Nel corso di quel lungo viaggio Quaroni scoprì e capì meglio
l’America e la sua classe dirigente. Egli divenne maggiormente consapevole
della forza degli americani, della loro simpatia per l’Italia e della viscerale
ostilità dell’opinione pubblica statunitense verso i sovietici e il comunismo.
La politica del containment anti-sovietico godeva di forte consenso popolare, aumentato dagli errori psicologici e politici dei sovietici nei confronti
degli americani68.
Comunque la propensione neutralista di Quaroni continuò anche nel corso del 194669 e fu in parte all’origine della sua proposta al governo di Roma
di non firmare il trattato di pace. A suo parere, la mancata firma del trattato
di pace sarebbe stata tollerata dagli Stati Uniti, avrebbe evitato all’esecutivo
di attirarsi il rancore di vasti settori dell’opinione pubblica italiana di fronte
al carattere punitivo di alcune clausole e avrebbe manifestato la protesta morale dell’Italia contro il trattamento ingiusto ricevuto dalle potenze vincitrici.
Ma il rifiuto della firma proposto dal diplomatico romano era ipotizzabile
solo in un contesto politico in cui l’Italia decideva di assumere una posizione di neutralità internazionale70. A parere di Quaroni, sarebbe stato, invece,
un errore firmare il trattato di pace e poi assumere una politica revisionista
riguardo il suo contenuto. Da parte sovietica, sentire il governo di Roma parlare di revisione dei trattati di pace suscitava irritazione e ostilità. I sovietici
temevano che se l’Italia si fosse posta sul piano della revisione dei trattati di
66. Ivi, vol. 4, dd. 259, 272, 280, 334.
67. Quaroni a De Gasperi, 31 luglio 1946, ivi, d. 88.
68. Quaroni a Nenni, 27 dicembre 1946, ivi, d. 628. Circa il sostegno di Quaroni alla politica di De Gasperi di avvicinamento agli Stati Uniti: Quaroni a Nenni, 26 e 27 gennaio 1947,
ivi, dd. 704 e 710.
69. Ad esempio Quaroni a De Gasperi, 16 settembre 1946, ivi, d. 314.
70. Quaroni a Nenni, 27 dicembre 1946, ivi, d. 627.
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pace, chiedendo mutamenti territoriali, avrebbe alimentato tendenze revisionistiche in tutta Europa, mettendo in pericolo il sistema politico internazionale creato da Stalin71.
Ritornato a Mosca per poche settimane nel gennaio del 1947 per congedarsi dal governo sovietico in quanto nominato nel novembre 1946 nuovo
ambasciatore italiano in Francia, Quaroni riferì di aver percepito una crescente preoccupazione russa circa lo sviluppo della politica statunitense in
Germania. Gli americani sembravano decisi a procedere nell’organizzazione autonoma della zona d’occupazione occidentale della Germania ed erano
pronti a investire forti risorse economiche e finanziarie per renderla in grado
di funzionare e rilanciare l’economia tedesca. Secondo il diplomatico italiano, in Germania era in atto una lotta economica fra statunitensi e sovietici,
ma ciò avveniva in condizioni molto difficili e sfavorevoli per la Russia, colpita da gravi difficoltà interne con un raccolto disastroso e scarsità di risorse
finanziarie disponibili72.
Il 6 febbraio Quaroni scrisse uno degli ultimi suoi rapporti da Mosca cercando di delineare un’analisi generale della situazione politica ed economica in Unione Sovietica73. I primi risultati del piano quinquennale erano stati
negativi, con una bassa produttività dell’operaio russo e risultati pessimi in
campo agricolo a causa di un raccolto disastroso per cause naturali. Ciò aveva contribuito a creare un’atmosfera generale di sfiducia, di pessimismo e
stanchezza nella popolazione, per Quaroni «mortalmente» stanca dopo tanti
anni di guerra e privazioni. Ciò non voleva dire che il regime sovietico fosse
in difficoltà, al contrario era politicamente saldissimo:
il regime è forte, fortissimo: nessuno è in grado di organizzare una rivolta, probabilmente nemmeno di pensarci: le forze necessarie per reprimere qualche piccola o
grande sommossa possibile anche se improbabile, ci sono in abbondanza. L’unica
cosa che il governo può temere, e realmente teme, è non una rivolta attiva ma lasciarsi andare, un immenso sciopero bianco, o rilasciamento generale, di cui, tra l’altro,
non mancano primi segni avvertitori74.
Il governo sovietico si era reso conto di questo stato d’animo e cercava
di porvi rimedio potenziando la produzione di beni di consumo per la po71. «Politica russa verso Germania, Polonia, Romania e Cecoslovacchia» rilevò Quaroni
«è tutta basata su appoggio persone e partiti che accettano come definitiva sistemazione territoriale voluta da russi e che rinunciano qualsiasi revisione»: Quaroni a Nenni, 27 gennaio 1947, cit.
72. Quaroni a Nenni, 31 gennaio 1947, Ddi, serie X, vol. 4, d. 730.
73. Quaroni a Sforza, 6 febbraio 1947, ivi, vol. 5, d. 27.
74. Ibidem.
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polazione. Ma questi erano provvedimenti temporanei e Quaroni dubitava
che Stalin avrebbe rinunciato al suo progetto di sviluppo dell’industria pesante. Del resto tutto quello che era stato fatto negli ultimi mesi non faceva
prevedere «un rilassamento dei principii sia sociali che economici e amministrativi che reggono questo paese: piuttosto il contrario». L’Unione Sovietica, secondo Quaroni, stava vivendo una grave crisi, ma di tipo economico,
non certo politico, provocata essenzialmente da un raccolto disastroso. Non
era la prima volta che i piani quinquennali sovietici conoscevano crisi, ma
anche in caso di aggiustamenti e deviazioni strategiche, il balzo in avanti dell’industrializzazione sarebbe stato realizzato, anche se magari in un
periodo più lungo del previsto. Era la permanenza al potere di Stalin che
lasciava prevedere che si sarebbe continuato con la linea politica ed economica tracciata:
Per la fame, se fame vera ci sarà, come tutti prevedono, e nella misura in cui ci sarà,
il governo sovietico adotterà il sistema classico di tutti i Governi asiatici, isolare
l’area della fame e lasciare che le popolazioni si sbroglino come possono: può essere
che il Governo sia costretto a fare qua e là delle concessioni, ma saranno concessioni
tattiche; la struttura fondamentale del regime e gli scopi suoi fondamentali restano
gli stessi. Stalin – ed è questo un elemento che non bisogna mai dimenticare – crede
ostinatamente alle sue teorie, alle sue idee: e non ci sarà forza al mondo che lo farà
deviare; quindi nessun cambiamento strutturale dello stato sovietico è da attendersi.
[…] C’è un solo fattore che può forse, un giorno, cambiare il corso dello sviluppo
dello stato russo; e questo fattore è la morte di Stalin; finché lui è in vita, e finché è
in vita, sarà lui a reggere il timone dello stato, la Russia andrà avanti sulle linee da
lui tracciate75.
Fu solo nel corso del 1947 e del 1948 che Quaroni sposò e si fece sostenitore di un’impostazione di politica estera nettamente filo-occidentale.
La sua frequentazione del mondo politico e diplomatico anglo-americano
nel corso della seconda metà del 1946 e il suo spostamento all’ambasciata
italiana a Parigi produssero un suo più stretto e intenso contatto con gli ambienti politici e diplomatici francesi e occidentali e lo convinsero dell’ineluttabilità per l’Italia della scelta dell’integrazione nel blocco occidentale.
Ebbe su di lui molta influenza l’assistere in prima persona alla crisi della politica estera francese ispirata da De Gaulle, che cercava di restaurare il rango della Francia quale grande potenza seguendo la tradizionale impostazione nazionalista e puntando a un’ormai difficile autonomia ed equidistanza
fra Stati Uniti e Unione Sovietica, e alla successiva svolta filo-occidentale
impressa da Bidault all’azione internazionale di Parigi, fondata sull’accet75. Ibidem.
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tazione del processo d’integrazione europea e sull’intensificazione dei rapporti con Washington76. A partire da quel momento Quaroni giocò un ruolo
importante e da protagonista nello spingere la classe dirigente italiana a sposare la scelta occidentale ed europeista77.
76. A tale proposito si vedano i tanti rapporti di Quaroni da Parigi: ad esempio Ddi, serie
X, vol. 6, d. 463; vol. 7, dd. 17 e 341.
77. Riguardo all’azione diplomatica di Quaroni vi è ampia traccia documentaria, ivi, serie X, voll. 5-7; serie XI, voll. 1-5. Fra la letteratura ricordiamo solo M. Toscano, L’Italia e
la nascita delle alleanze collettive post-belliche, in «Nuova Antologia», vol. 182, nn. 1927 e
1928, 1961, pp. 311-342 e 439-468; Id., Appunti sui negoziati per la partecipazione dell’Italia al Patto Atlantico, in Id., Pagine di storia diplomatica, cit.; P. Pastorelli, La politica estera
italiana del dopoguerra, il Mulino, Bologna 1987; B. Bagnato, Storia di un’illusione europea. Il progetto di unione doganale italo-francese, Lothian Foundation Press, London 1995;
B. Vigezzi, l’Italia unita e le sfide della politica estera. Dal Risorgimento alla Repubblica,
Unicopli, Milano 1997.
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