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L'approvvigionamento idrico nel Materano in epoca medievale

2020, Il rupestre e l'acqua nel medioevo

New findings on water supply in and around Medieval Matera. The rupestrian sites of Matera are located near springs. This is the result of intentional decisions on site location, and is helped by the geological and topographical nature of the local area. This has made it possible to use water from these sources for human consumption, making rainwater available for uses other than drinking. Medieval cisterns have been investigated, exclusively. These are datable on the basis of typological comparisons, or by the fact they are structurally integrated within dwellings that are definitely medieval. The few trench cisterns, and the more common wall cisterns, have been surveyed and described by type and by working mechanism. Also described is the technique of excavation, thanks to the discovery of an unfinished cistern in a medieval context. There follows a description of the mechanism for filtering rainwater, which occurred by manually transferring the water from one cistern to the other, with or without the use of water channels. This contradicts the currently prevalent view that the water was allowed to transfer naturally, when it reached the point of overspill. Decanting was a slow process that involved the primary cistern, connected outside. When the water was found to be clear, it was transferred by hand into the secondary cisterns, excluding the presence of cisterns connected by small channels for the overspill. The article ends with a number of examples from Puglia, with the unique case of Lama d’Antico, that features a cistern inside a place of worship.

Biblioteca di Il rupestre e l’acqua nel Medioevo Religiosità, quotidianità, produttività a cura di DISTU UNIVERSITÀ DELLA TUSCIA COMUNE DI SORIANO NEL CIMINO All’Insegna del Giglio Elisabetta De Minicis, Giancarlo Pastura BIBLIOTECA DI 30   Cultura materiale. Insediamenti. Territorio. Rivista fondata da Riccardo Francovich Comitato di Direzione Sauro Gelichi (responsabile) (Dipartimento Gian Pietro Brogiolo (già Università degli di Studi Umanistici – Università Ca’ FoStudi di Padova) scari di Venezia) Comitato Scientifico Lanfredo Castelletti (già Direttore dei Musei Civici di Como) Rinaldo Comba (già Università degli Studi di Milano) Paolo Delogu (Professore emerito, Sapienza Università di Roma) Richard Hodges (President of the American University of Rome) Antonio Malpica Cuello (Departamento Carlo Varaldo (Dipartimento di antichità, de Historia – Universidad de Granada) filosofia, storia, geografia – Università Ghislaine Noyé (École nationale des chartes) degli Studi di Genova) Paolo Peduto (già Università degli Studi Chris Wickham (già Faculty of History – di Salerno) University of Oxford) Juan Antonio Quirós Castillo (Departamento de Geografía, Prehistoria y Arqueología de la Universidad del País Vasco) Redazione Andrea Augenti (Dipartimento di Storia Cristina La Rocca (Dipartimento di Scienze Culture Civiltà – Università degli Studi storiche, geografiche e dell’antichità – Unidi Bologna) versità degli Studi di Padova) Giovanna Bianchi (Dipartimento di Scienze Marco Milanese (Dipartimento di Storia, Storiche e dei Beni Culturali – Università Scienze dell’uomo e della Formazione – degli Studi di Siena) Università degli Studi di Sassari) Enrico Giannichedda (Istituto per la Alessandra Molinari (Dipartimento di Storia della Cultura Materiale di Genova Storia – Università degli Studi di Roma [ISCuM]) Tor Vergata) Corrispondenti Paul Arthur (Dipartimento di Beni Culturali – Università degli Studi di Lecce) Volker Bierbrauer (Professore emerito, Ludwig-Maximilians-Universität München) Hugo Blake (già Royal Holloway – University of London) Maurizio Buora (Società friulana di archeologia) Federico Cantini (Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere – Università degli Studi di Pisa) Gisella Cantino Wataghin (già Università del Piemonte Orientale) Enrico Cavada (Soprintendenza per i beni librari, archivistici e archeologici – Trento) Neil Christie (School of Archaeology and Ancient History – University of Leicester) Mauro Cortelazzo (Archeologo libero professionista) Fr ancesco Cuteri (AISB, Associazione Italiana Studi Bizantini) Lorenzo Dal Ri (già Direttore ufficio Beni archeologici – Provincia autonoma di Bolzano Alto Adige) Franco D’Angelo (già Direttore del Settore Cultura e della Tutela dell’Ambiente della Provincia di Palermo) Alessandra Frondoni (già Soprintendenza Archeologia della Liguria) Caterina Giostra (Dipartimento di Storia, archeologia e storia dell’arte – Università Cattolica del Sacro Cuore) Federico Marazzi (Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali – Università degli Studi Suor Orsola Benincasa) Roberto Meneghini (Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali) Egle Micheletto (direttore della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Alessandria, Asti e Cuneo) Massimo Montanari (Dipartimento di Storia Culture Civiltà – Università degli Studi di Bologna) Giovanni Murialdo (Museo Archeologico del Finale – Finale Ligure Borgo SV) Claudio Negrelli (Dipartimento di Studi Umanistici – Università Ca’ Foscari di Venezia) Michele Nucciotti (Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo – Università degli Studi di Firenze) Gabriella Pantò (Musei Reali di Torino – Museo di Antichità) Helen Patterson (già British School at Rome) Luisella Pejrani Baricco (già Soprintendenza Archeologia del Piemonte e del Museo Antichità Egizie) Sergio Nepoti (responsabile sezione scavi in Italia) (Archeologo libero professionista) Aldo A. Settia (già Università degli Studi di Pavia) Marco Valenti (Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali – Università degli Studi di Siena) Guido Vannini (Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo – Università degli Studi di Firenze) Philippe Pergola (LAM3 – Laboratoire d’Archéologie Médiévale et Moderne en Méditerranée – Université d’Aix-Marseille CNRS/Pontificio istituto di acheologia cristiana) Renato Perinetti (già Soprintendenza per i Beni e le Attività Culturali della Regione Autonoma Valle d’Aosta) Giuliano Pinto (già Università degli Studi di Firenze) Marcello Rotili (Seconda Università degli Studi di Napoli) Daniela Rovina (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Sassari, Olbia-Tempio e Nuoro) Lucia Saguì (già Sapienza Università di Roma) Piergiorgio Spanu (Dipartimento di Storia, Scienze dell’uomo e della Formazione – Università degli Studi di Sassari) Andrea R. Staffa (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Abruzzo) Daniela Stiaffini (Archeologa libera professionista) Stanisław Tabaczyński (Polskiej Akademii Nauk) Bryan Ward Perkins (History Faculty – Trinity College University of Oxford) Il rupestre e l’acqua nel Medioevo Religiosità, quotidianità, produttività a cura di Elisabetta De Minicis, Giancarlo Pastura con contributi di Giorgia Annoscia, Annalisa Biffino, Marco Cadinu, Stefano Calò, Domenico Caragnano, Angelo Cardone, Beatrice Casocavallo, Ludovico Centola, Franco Dell’Aquila, Stefano Del Lungo, Elisabetta De Minicis, Giulia Doronzo, Carlo Ebanista, Francesco Foschino, Carla Galeazzi, Nicoletta Giannini, Massimo Mancini, Giuliana Massimo, Raffaele Paolicelli, Giancarlo Pastura, Monica Ricciardi, Giuseppe Romagnoli, Roberto Rotondo, Mariangela Sammarco, Andrea Sasso, Francesca Sogliani, Irene Venanzini, Francesca Zagari All’Insegna del Giglio In copertina: Morgia di Pietravalle in agro di Salcito (CB) (Massimo Mancini). Quarta di copertina: Masseria del Monte, Gravina di Picciano. Canalette di deflusso (foto R. Paolicelli). Ove non altrimenti specificato, le fotografie sono degli Autori dei singoli contributi. Il volume è stato sottoposto alla double-blind peer review. L’idea del volume nasce dal III Convegno Nazionale di Studi: Il rupestre e l’acqua nel Medioevo. Religiosità, quotidianità, produttività (Italia centrale, meridionale e insulare), tenutosi a Soriano nel Cimino (VT) nei giorni 18-19 ottobre 2019. Il convegno è stato organizzato con la collaborazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale e con il contributo di: Università degli Studi della Tuscia – Dipartimento di Studi linguistico-letterari, storico-filosofici e giuridici Comune di Soriano nel Cimino Museo Civico Archeologico di Soriano nel Cimino Ente Sagra delle Castagne di Soriano nel Cimino ISSN 2035-5319 ISBN 978-88-9285-010-1 e-ISBN 978-88-9285-011-8 © 2020 All’Insegna del Giglio s.a.s. via Arrigo Boito, 50-52; 50019 Sesto Fiorentino (FI) tel. +39 055 6142 675 e-mail [email protected]; [email protected] sito web www.insegnadelgiglio.it Printed in Sesto Fiorentino (FI), novembre 2020 MDF print INDICE Elisabetta De Minicis, Giancarlo Pastura Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Elisabetta De Minicis Relazione introduttiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Giancarlo Pastura Archeologia, speleologia e moderne tecnologie. Un dialogo metodologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 Carla Galeazzi, Roberto Bixio, Carlo Germani, Mario Parise Indagini speleologiche su opere idrauliche correlate a strutture rupestri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 Monica Ricciardi Casi di riutilizzo di impianti idraulici sotterranei: le catacombe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 ITALIA MERIDIONALE E INSULARE Carlo Ebanista, Massimo Mancini Captazione e utilizzo dell’acqua in ambiente rupestre. Alcuni casi in area campana e molisana . . . . . . . . . . . . 39 Francesca Zagari Il rupestre e l’acqua nel monachesimo italo-greco. Elementi per una classificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 Marco Cadinu Dalla grotta alla città. Le acque di San Guglielmo a Cagliari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 ITALIA MERIDIONALE Roberto Rotondo, Annalisa Biffino La gestione della risorsa idrica negli insediamenti rupestri della Puglia centrale: alcuni contesti a confronto . . . . . . 63 Stefano Calò, Mariangela Sammarco Gli insediamenti in rupe nell’area costiera salentina. Nota metodologica e dinamiche di sviluppo . . . . . . . . . . . 73 Giuliana Massimo Acqua e sacralità in rupe: evidenze pittoriche dalle chiese di Altamura e Gravina in Puglia . . . . . . . . . . . . . . 83 Angelo Cardone, Ludovico Centola Gli eremi della valle di Stignano nel Gargano: il quadro storico-archeologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 Domenico Caragnano, Franco Dell’Aquila Il culto femminile nella chiesa di Santa Margherita di Mottola (Ta) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 Francesca Sogliani Progetto DARHEM Digital Atlas of Rupestrian Heritage of Matera. La forma dell’acqua nei contesti rupestri . . . . 113 Franco Dell’Aquila, Francesco Foschino, Raffaele Paolicelli Nuove acquisizioni sull’approvvigionamento idrico nel Materano in epoca medievale . . . . . . . . . . . . . . . . 123 ITALIA CENTRALE Giorgia Maria Annoscia, Giulia Doronzo Conservare e condurre l’acqua. Il Sacro Speco tra documenti scritti ed evidenze materiali . . . . . . . . . . . . . . 133 Nicoletta Giannini Water management e organizzazione dell’insediamento. Dalle strutture produttive alla gestione delle risorse idriche del lago Albano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145 Giuseppe Romagnoli L’acquedotto delle Pietrare e l’approvvigionamento idrico di Viterbo in età comunale . . . . . . . . . . . . . . . . 153 Irene Venanzini Gli acquedotti medievali di Montefiascone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 Beatrice Casocavallo Acqua luogo sacro. Insediamenti rupestri religiosi dell’Etruria medievale e il loro rapporto con l’acqua . . . . . . . . 171 Stefano Del Lungo, Giancarlo Pastura L’acqua e la sua dimensione rupestre a Orte nel Medioevo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179 Andrea Sasso Analisi preliminare di alcune strutture ipogee nelle ignimbriti della caldera vicana e il rapporto con la batimetria lacustre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189 Franco Dell’Aquila*, Francesco Foschino*, Raffaele Paolicelli* NUOVE ACQUISIZIONI SULL’APPROVVIGIONAMENTO IDRICO NEL MATER ANO IN EPOCA MEDIEVALE 1. METODO E OBIETTIVI DELL’INDAGINE ogni volta che la nostra indagine ha riscontrato elementi in contraddizione con le stesse. Non si tratta, pertanto, di teorie diffuse solo in ambito locale e popolare, ma di tesi che vengono frequentemente citate anche in ambito scientifico ed accademico, rendendo ancora più urgente il loro superamento sulla base di acquisizioni ottenute seguendo il metodo scientifico. Il presente studio si concentra sulla raccolta delle acque nel Materano in epoca medievale, e in particolar modo sulle cisterne. Trattandosi di strutture di difficile datazione, inserite in contesti profondamente rimaneggiati, si è ristretta l’indagine solo a quelle di comprovata datazione medievale, desunta tramite fonti archeologiche o con il metodo di comparazione tipologica. In quest’ultimo caso, gli esemplari oggetto di studio presentano forti affinità con cisterne in territori limitrofi di certa datazione medievale. Si sono, inoltre, indagati gli insediamenti rupestri di provata origine medievale, appurata tramite rinvenimenti in superficie avvenuti durante ricognizioni archeologiche (vedi insediamento della Loe in Lapadula 2008, pp. 141-160) oppure tramite l’Archeologia dell’architettura. In entrambi i casi l’indagine ha riguardato esclusivamente i sistemi idrici che risultavano incontrovertibilmente integrati e coevi agli ipogei medievali. L’approvvigionamento idrico nel Materano è stato oggetto di diverse pubblicazioni, ma nessuna di queste ha specificatamente trattato il periodo medievale. Imprescindibile al riguardo è il volume “Matera e l’acqua” (Statuto, Gambetta 2016) che offre una panoramica completa sul tema, cataloga i diversi sistemi di approvvigionamento, e indaga il quadro ambientale e il riflesso antropologico del rapporto fra l’uomo e l’acqua. Il tema della raccolta delle acque a Matera è fortemente presente nell’opinione pubblica locale in quanto viene erroneamente ritenuto il motivo principale per il quale i Sassi di Matera sono stati iscritti nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco nel 1993, nonostante ciò sia smentito dalle motivazioni ufficiali diffuse dalla Commissione e presenti sul sito 1. Tale equivoco nasce dalla circostanza che il dossier di candidatura, la cui pubblicazione (Laureano 1993) gode di larghissima diffusione presso il grande pubblico, elabora una accattivante impalcatura teorica sui sistemi di approvvigionamento idrico che ha suggestionato l’immaginario comune, ma che a una semplice analisi risulta tanto lacunosa di fonti quanto irrealistica e fantasiosa. Proprio la diffusa notorietà di queste teorie, assurte nei media a verità assolute, e molto presenti anche in testi scientifici e in atti convegnistici, obbliga chi scrive a farvi esplicito riferimento 2. L’ACQUA NEL MATER ANO: SORGIVA NELLE ARGILLE, PIOVANA NEI CALCARI Nel Materano si alternano altopiani costituiti da calcarenite solcati da profonde gravine ad ampie distese fertili di argille e conglomerati. Queste ultime, oltre a fornire suolo agricolo, si presentano ricche di falde acquifere con sorgenti, ruscelli e piccoli bacini lacustri. Data la conformazione geologica e orografica del territorio, tutti i casali rupestri risultano contigui a sorgenti presenti nelle argille 2. Considerando la prossimità della ben più salutare acqua sorgiva, quest’ultima era destinata al consumo umano, mentre l’acqua piovana era preferibilmente utilizzata per gli scopi non potabili, specie per le molteplici attività produttive che interessavano il casale in ambito agro-pastorale. Nei casi più fortunati, come quello del centro urbano di Matera, sfruttando la semplice gravità l’acqua sorgiva veniva incanalata verso fontane a flusso continuo o in cisterne localmente chiamate palombari. Negli altri casi invece, gli insediamenti disponevano di apposite cisterne prive di canalette di adduzione, nelle quali l’acqua sorgiva veniva trasportata e immessa manualmente 3. Le cisterne medievali oggetto di studio sono realizzate scavando nella calcarenite, e si presentano sia interne ad ambienti ipogei più grandi dei quali risultano accessori, che come strutture a sé stanti. Fra queste ultime, abbiamo indagato le tipologie “a trincea” e “a parete”. 2 Si osservino a titolo esemplificativo i numerosi pozzi sorgivi, molti dei quali perenni (segnati nelle Mappe IGM, serie M891, fogli 189 e 201 della Carta d’Italia, 1949) nei cui pressi sono stati frequenti i rinvenimenti archeologici anche di epoca preistorica, per la «Necropoli di Fontana dei Marroni» cfr. (Lo Porto 1973, pp. 211-215); per i «Ritrovamenti in contrada Rifeccia», cfr. (ibid.); per «Il santuario di età ellenistica alla sorgente di Serra Pollara» cfr. Paolicelli 2019, pp. 94-97; per i rinvenimenti nelle località S Candida e Fontana Cilivestri si veda (Lattanzi 1976, p. 115); per i rinvenimenti presso Fontana dei Marroni si veda anche (ibid., p. 120), per i rinvenimenti sul colle del Lapillo, presso il Castello Tramontano si veda (Bianco 1986, p. 70). 3 Persino in tempi storici più recenti, in circostanze emergenziali, in ambito urbano, fu trasferita nelle cisterne pubbliche l’acqua sorgiva proveniente dall’agro (Archivio di Stato di Potenza, Fondo Pref. Gabinetto, busta n. 286). * Gruppo Mathera – Rivista trimestrale di storia e cultura del territorio – ISSN 2532-8190 – [email protected] – Via Bradano 45, 75100 Matera – t.0835 1975311. 1 https://whc.unesco.org/en/list/670. 123 F. Dell’Aquila, F. Foschino, R. Paolicelli 3. CISTERNE 3.1 Cisterna a trincea Abbiamo individuato a Matera tre cisterne di questa tipologia, che presentano caratteristiche coincidenti con altre di certa origine medievale e presenti in Puglia a Casalrotto (fig. 1) (Dell’Aquila, Caprara 2004), Ostuni presso la Cattedrale (Pavone 2019), Macurano (Sammarco et al. 2008, pp. 273-282), e altre inedite come Villa Cappelli a Terlizzi e quattro a Bari: presso Strada Scanzano, Via S. Giorgio (fig. 2), Misciano, Masseria Maselli. Si configurano come scavi stretti e lunghi, realizzati intercettando trasversalmente la linea di massima pendenza del pendio, con pareti fortemente svasate di modo che a una larga base corrisponda una stretta e lunga apertura sommitale. La copertura era effettuata con lastre megalitiche, di cui una mediana con alloggiamento della bocca. Tale copertura rivestiva la duplice funzione di evitare l’evaporazione e impedire l’ingresso di corpi estranei. L’adduzione delle acque sfruttava la lunghezza della cisterna, ed era agevolata da ulteriori canalette. Il pertugio di immissione dell’acqua era spesso preceduto da una vasca poco profonda e usualmente quadrangolare atta a impedire l’ingresso dei corpi estranei più pesanti. Sono situate nell’agro, ed avevano come principale destinazione l’abbeveraggio degli animali, come testimoniano le cosiddette pile collocate in contiguità. Probabilmente post-medievali sono le cisterne “a tetto”, che si presentano di forma rettangolare e con le pareti a piombo, e che paiono essere l’evoluzione della tipologia “a trincea”. La grande ampiezza del soffitto non poteva essere coperta da lestre megalitiche e dunque trova spazio una volta a botte in muratura, sopraelevata rispetto al piano di calpestio, e con una o più bocche sommitali. Localmente queste cisterne, insieme ad alcuni grandi serbatoi pubblici, vengono denominate “palombari”. La caratteristica comune a entrambe le tipologie sono le pareti verticali, a piombo, e non svasate. Poiché in dialetto locale la parete verticale viene denominata “palomba” (letteralmente: “a piombo”) è lecito supporre che il termine palombaro indicasse una cisterna con pareti verticali. Le cisterne a tetto sono sempre situate in posizione utile alla raccolta delle acque piovane, agevolata dalla presenza di canalette. Smentiamo l’asserzione secondo la quale l’acqua si raccogliesse nella camera ipogea per «microinfiltrazioni dal sottosuolo» (Laureano 1993, p. 140), totalmente assenti nella calcarenite, e che oltretutto non avrebbero potuto attraversare la malta impermeabilizzante per immettersi in cisterna. Una delle cisterne a trincea meglio conservate di Matera si trova nella contrada di Bazola o Chiancalata, in un’area che in epoca medievale era destinata sicuramente all’apicultura, come testimoniano i caratteristici apiculari cavati nel banco calcarenitico (Dell’Aquila, Paolicelli 2017, pp. 22-27). Rinvenimenti archeologici attestano la frequentazione del sito almeno dal VII sec a.C. (Lo Porto 1973, p. 220), ma risalgono al Medioevo le più cospicue testimonianze, consistenti in sepolture ad arcosolio in prossimità dei luoghi di culto, che presentano affreschi databili al XIII secolo. Non distante dalla chiesa convenzionalmente detta di S. Francesco fig. 1 – Casalrotto (Mottola), Cisterna “a trincea”, con forma allungata e la sezione a trapezio con lato minore posto in alto pone quest’opera nel periodo del XII-XIV secolo. La copertura rifatta nel Seicento (foto F. Dell’Aquila). fig. 2 – S. Giorgio (Bari), Cisterna “a trincea” (foto S. Chiaffarata). a Chiancalata, è presente una cisterna “a trincea” cavata nel banco calcarenitico, che si estende parallelamente a una gravinella ai piedi di un pendio (fig. 3). In corrispondenza delle due estremità sono presenti, ma poco visibili a causa della vegetazione infestante, le canalette di adduzione che dal pendio convogliavano l’acqua nel serbatoio. A una delle due estremità è presente una vasca rettangolare che fungeva da filtro trattenendo le impurità più consistenti, caratteristica riscontrata di frequente e di cui riportiamo a titolo dimostrativo il caso della Masseria del Cristo (fig. 4). Una seconda cisterna “a trincea” è presente in contrada S. Angelo (più a sud della Grotta dei Pipistrelli) su un pianoro sovrastante svariati ipogei 4. Lo scavo è più lungo del precedente (supera infatti i 15 m alla base mentre in altezza non supera i 1,70 m, anche a causa dei detriti presenti sul fondo). Qui non sono presenti lastre di copertura, probabilmente reimpiegate per altri usi. Un’altra cisterna “a trincea” è ubicata all’interno del bosco Selva Malvezzi, a circa duecento metri dall’omonima masseria (Statuto, Gambetta 2016, pp. 147-148). In superficie, lungo 4 124 Coordinate: 40°37’56,63’’N; 16°38’08,29’’E. Nuove acquisizioni sull’approvvigionamento idrico nel Materano in epoca medievale fig. 3 – Cisterna “a trincea” Coordinate: 40°38’40,03’’N; 16°36’42,79’’E – (A) foto aerea (Archivio Antros); (B) foto interna che evidenzia le pareti svasate (Archivio Antros); (C) Pianta della copertura (Elaborato grafico D. Gallo); (D) Sezione trasversale (Rilievo R. Paolicelli e F. Foschino, elaborato grafico D. Gallo). La cisterna ha forma di piramide, a base rettangolare, troncata. Base 11×4,60 m. Sui lati lunghi, le pareti sono fortemente svasate (formano un angolo di 50º) rispetto al fondo e sono ancora presenti parti rivestite di malta impermeabile. Taglio sommitale 9,10×0,60 m; Profondità 2,38 m. La copertura della cisterna è costituita da lastre megalitiche di dimensioni variabili (il lato lungo varia da 1 m a 1,32 m mentre il lato corto varia da 0,50 m a 0,70 m), alcuni a forma di parallelepipedo e altri irregolari, tra di essi, in posizione mediana, è collocata la bocca in pietra calcarea, a dado con risega per copertura e foro circolare per l’inserimento dei secchi. illustrazione forma e dimensioni a esemplificazione della tipologia (figg. 5, 6). Sono molto diffuse all’interno degli insediamenti rupestri in quanto era possibile sfruttare la naturale pendenza delle pareti rocciose per la captazione delle acque. Se raramente si sono riscontrate canalette perfettamente verticali, in linea con l’asse della cisterna, più comunemente la raccolta era agevolata da canalette che tagliavano trasversalmente la parete, che ricoprivano anche la funzione di grondaia per impedire l’indesiderato ingresso di acqua in altri ipogei (fig. 7). Solitamente le canalette trasversali erano due, provenienti da direzioni opposte. Vi erano poi canalette secondarie, meno larghe e l’asse della trincea, sono presenti due colonne, ai lati della bocca, che sostenevano in alto una trave nella quale trovava alloggio una carrucola con fune per l’andirivieni dei secchi. Disposte in maniera perpendicolare a esse vi sono tre pile calcaree che consentivano agli animali di abbeverarsi. 3.2 Cisterne a parete Sono state oggetto di questo studio le cisterne “a parete” presso S. Michele all’Ofra, Murgia Timone, il Casale del Vitisciulo (erroneamente noto come Villaggio Saraceno, cfr. Fontana 2019, pp. 46-55), e il Casale della Loe. Si situa in quest’ultimo insediamento la cisterna di cui riportiamo in 125 F. Dell’Aquila, F. Foschino, R. Paolicelli fig. 4 – Masseria del Cristo, Gravina di Picciano. Vista aerea della vasca quadrangolare che tratteneva i corpi estranei (“purgatoio”), posta lungo una della canalette di adduzione che alimentava la cisterna posta nella parte più bassa del pendio (Archivio Antros). di calpestio, ed è raggiungibile grazie a rudimentali gradini cavati nella calcarenite. L’adesione della cisterna allo spalto roccioso impediva alla parete prossima all’esterno di essere particolarmente svasata. Le cisterne, pertanto, generalmente risultavano a forma cilindrica come nella tipologia “a bottiglia”. Non mancano esempi che presentano la parete più interna maggiormente svasata, donando una forma asimmetrica, o con una improvvisa discontinuità dell’inclinazione, che allarga la sezione della cisterna spostando verso l’interno il centro geometrico. 4. TECNICA DI SCAVO DI CISTERNE A SEZIONE CIRCOLARE Nel rione Civita di Matera, in un’area archeologicamente ricca di rinvenimenti, a poca distanza dalla necropoli di S. Nicola dei Greci e al di sopra della chiesa rupestre medievale di Madonna delle Virtù, vi è un complesso di strutture costruite e ipogee, allo stato attuale in abbandono, rese visibili a seguito di una recente rimozione di detriti pluviali. Se di tali lavori non sono disponibili pubblicazioni, gli ipogei immediatamente contigui e strutturalmente connessi sono stati oggetto di scavo nel 1977, con restituzione anche di materiale tardomedievale 5. A seguito di un fig. 5 – Casale della Loe. Cisterna “a parete” con canalette primarie alle due estremità superiori e canaletta secondaria, al centro in alto, che confluisce in quella primaria a destra (foto R. Paolicelli). meno profonde, che contribuivano a convogliare l’acqua in quelle primarie per ottimizzare i volumi raccolti. Nei casi in cui lo spessore del masso tufaceo prossimo al pianoro era minimo e non consentiva uno sviluppo in altezza, troviamo la sommità delle cisterna al livello del piano di calpestio, pur se ciò determinava maggiore rischio di immissione di corpi estranei (fig. 8). Più frequentemente, la sommità della cisterna, dove è alloggiata la bocca, si trova ad un’altezza che arriva a raggiungere anche i 2 m dal piano 5 All’interno di un profondo fosso, nell’autunno del 1977, negli strati più profondi si rinvenne gran parte di ceramica della Prima età del Ferro, databile all’VIII sec. a.C. ma anche di VII e VI a.C., invece negli strati superficiali si rinvenne ceramica databile a partire dal tardo Medioevo, si veda (Canosa 1986, p. 110). 126 Nuove acquisizioni sull’approvvigionamento idrico nel Materano in epoca medievale fig. 7 – Chiesa anonima di Murgia di S. Andrea. Canaletta con la duplice funzione di adduzione e grondaia (foto R. Paolicelli). fig. 6 – Casale della Loe. Cisterna “a parete” di fig. 5, Sezione della cisterna e Pianta del sistema di adduzione (rilievo R. Paolicelli e F. Foschino, elaborazione grafica D. Gallo). sopralluogo in situ, è emersa la presenza di una escavazione interrotta di una cisterna a sezione circolare, della tipologia “a campana”. La cessazione improvvisa dell’opera, dovuta a cause non determinabili, consente oggi di apprezzare le tecniche di scavo (fig. 9). In quanto prive di intonaco, le pareti mostrano i segni di cava, con i livelli distanziati in altezza di 25 cm fra di loro, dimensione compatibile con le misure usuali dei conci impiegati nell’edilizia locale. Sul fondo sono visibili alcuni conci già cavati ma non ancora estratti. Le direttrici dei tagli seguono la linea dei raggi dividendo il fondo “a spicchi”. Come è noto, l’esigenza fig. 8 – Murgia Timone, S. Agnese. Cisterna “a parete” con canaletta di adduzione verticale proveniente dal pianoro (foto R. Paolicelli). di estrarre conci durante l’escavazione era strettamente connessa all’utilizzo degli stessi nell’edilizia costruita. Le volte a botte tipiche dell’architettura locale, e ancor di più gli archi dei grandi portali di ingresso e le basi dei frantoi, richiedevano conci che assecondassero la curvatura desiderata (fig. 10). Difatti la forma e le dimensioni dei conci cavati in tale cisterna risultano compatibili con quelli adoperati in tali costruzioni. 127 F. Dell’Aquila, F. Foschino, R. Paolicelli fig. 10 – Casale della Madonna dell’Abbondanza. Vasca di macinazione costituita da basamento cilindrico, privo di pietra molare, di un antico frantoio realizzato con conci analoghi a quelli estratti durante lo scavo di una cisterna (foto R. Paolicelli). fig. 9 – Civita di Matera nei pressi di S. Nicola dei Greci. Scavo, non ultimato, di una cisterna “a campana”. Sul fondo sono presenti i conci cavati ma non ancora estratti. La profondità della cisterna incompiuta risulta di 2,60 m, la sezione risulta ellittica (3,47×3,30 m). I conci hanno una forma di trapezio isoscele, con base adiacente alla circonferenza e misure comprese fra 0,47 m e 0,54 m, i lati lunghi sono di 0,77 m e il lato corto varia da 0,27 a 0,38 m. La distanza tra i conci è di 3,5 cm (foto R. Paolicelli). meteorica – ci informa – veniva fatta fluire verso le cisterne, dal tetto, solo dopo che quest’ultimo era stato già lavato da una prima pioggia, la cui acqua pertanto non veniva raccolta. All’interno delle cisterne della città francese era comunque presente un dispositivo che utilizzava la sabbia per filtrarla ulteriormente. Nei casi in cui non si aveva alternativa all’uso di acqua torbida, o comunque impura, per gli usi potabili, vi erano accorgimenti attuati dall’utilizzatore finale, come comprovato da scavi archeologici effettuati a Pisa (Gattiglia 2013, p. 156) laddove sono stati rinvenuti utensili di epoca medievale, quali brocche con filtro (allo scopo di eliminare le impurità) e boccali con copiose incrostazioni di calcare, che attestano il loro impego per la bollitura dell’acqua al fine di igienizzarla. Nel Materano, nonostante le canalette di adduzione fossero costantemente pulite e manutenute, l’acqua piovana nel suo corso verso la cisterna raccoglieva impurità, tali da renderla torbida, impura e non immediatamente disponibile. Con lo scopo di grossolano filtro a volte una vasca poco profonda, e non impermeabilizzata, precede la cisterna, di modo che le impurità più consistenti possano precipitare sul fondo della vasca senza giungere in cisterna. L’acqua che veniva raccolta in tal modo non presentava grossi corpi estranei, ma si presentava comunque torbida e inservibile. Solo dopo un lungo processo di decantazione naturale, a distanza di qualche giorno o settimana, l’acqua sarebbe risultata limpida, quando anche le impurità più sottili sarebbero precipitate. Si è avuta 5. IL FILTR AGGIO DELLE ACQUE PIOVANE: L’EQUIVOCO DEL “TROPPO PIENO” E LE CISTERNE SECONDARIE In epoca medievale l’acqua intorbidita era ritenuta impura, e pertanto era destinata ad usi potabili solo se opportunamente filtrata; in caso contrario era adoperata per utilizzi diversi dal consumo umano. Si prenda ad esempio la Nova Cronica del Villani (1348), che ci informa di come nel 1335 l’acqua dell’Arno, divenuta torbida a causa di una frana «a neuno buono servigio si poteva operare, né cavalli ne voleano bere». Ancora una deliberazione del Consiglio di Orvieto del 1325 (Riccetti 2008, p. 24) che destina l’acqua torbida ad alimentare gli abbeveratoi degli animali, mentre destina agli usi potabili «aqua clara» proveniente da altre fonti. S. Bernardo, per opporsi ai cultori delle scienze profane, chiederà loro retoricamente: “Perché vi dà tanto piacere bere l’acqua torbida delle cisterne?” (Davy 1988, p. 152), sottolineandone l’assurdità dell’azione. Sulla necessità di filtrare l’acqua piovana si consideri la testimonianza cinquecentesca di Thomas Platters (Ladurie 1995, p. 24) con riferimento a Montpellier. L’acqua 128 Nuove acquisizioni sull’approvvigionamento idrico nel Materano in epoca medievale acqua intorbidita nella seconda. Oltretutto alcune cisterne secondarie sono prive di qualsivoglia canaletta di adduzione, risultando incoerenti con tale ipotesi di funzionamento. In realtà il trasferimento delle acque da una cisterna all’altra non era affatto lasciato alla natura, ma richiedeva l’intervento umano e si svolgeva manualmente. L’acqua piovana veniva infatti convogliata dall’esterno tramite canalette in una “cisterna primaria”, a volte preceduta da una piccola vasca che impedisse l’ingresso di consistenti corpi estranei. In cisterna le impurità si sarebbero lentamente sedimentate sul fondo. Quando l’acqua appariva limpida, veniva manualmente travasata in una “cisterna secondaria”. Si prelevava l’acqua limpida dalla prima con l’aiuto di un secchio, e la si riversava nella seconda. A volte, tale operazione si svolgeva coprendo a piedi la distanza fra le due cisterne (in questo caso la cisterna secondaria è totalmente sprovvista di canalette di adduzione); in altri casi ad agevolare il travaso vi è una canaletta, a collegare le due cisterne. Senza la necessità di spostarsi dalla prima cisterna, l’acqua veniva manualmente immessa nella canaletta di collegamento, giungendo nella seconda senza alcuno sforzo. La cisterna primaria purificava l’acqua per decantazione, e questa era quindi manualmente trasferita nella cisterna secondaria con o senza l’aiuto di una canaletta. La parte sommitale delle cisterne primarie, in prossimità della bocca per i secchi e dell’inizio della canaletta di collegamento, risulta sprovvista di intonaco impermeabilizzante, a conferma che non era previsto che l’acqua giungesse a quel livello della cisterna al fine di tracimare naturalmente. Tale meccanismo di travaso spiega coerentemente alcune caratteristiche finora ritenute enigmatiche, come le numerose cisterne prive di collegamenti adduttivi o con canalette apparentemente troncate. Nel primo caso, si vedano le numerose cisterne poste nei piani bassi delle cantine (di difficile datazione) o ancora la cisterna “a parete” del medievale Casale del Vitisciulo (Moliterni 1991, p. 33) che pur trovandosi in un contesto integro, non reca alcun segno di canalette di adduzione. Ancora più celebre è il caso di S. Pellegrino all’Ofra (Lionetti, Pelosi 2018, pp. 38-55) dove una canaletta collega ipogei posti a livelli differenti, a mo’ di corrimano lungo una scala ricavata internamente (fig. 11; Moliterni 1996, pp. 55-56). Tale canaletta termina in una cisterna, ma nasce a mezza altezza lungo la parete delle scale, a qualche metro di distanza da un’altra cisterna, posta inoltre più in basso. Tale circostanza sarebbe inspiegabile immaginando il meccanismo di tracimazione naturale per “troppo pieno”, ma risulta totalmente coerente con il travaso manuale, secondo il quale si prelevava l’acqua dalla prima, e dopo pochi passi, la si immetteva nella canaletta in modo di giungere agilmente alla seconda, posta al livello inferiore. Appare chiaro dunque come ogni cisterna risultava scollegata dalle altre, fino all’intervento umano di travaso. Si badi come tale circostanza differisca dalla visione di Laureano non solo per l’equivoco del troppo pieno, ma specie perché nel suo testo le cisterne dei Sassi fanno parte di un’unica grande rete, dove ciascuna è una pedina di un unico grande sistema idrico. Secondo l’autore, l’acqua precipitava a cascata dalle grandi cisterne del Piano verso le cisterne inferiori, ramificandosi in innumerevoli canalette e purificandosi col passaggio da una cisterna all’altra. In realtà le grandi cisterne del Piano erano fig. 11 – S. Pellegrino all’Ofra. A sinistra si può notare la canaletta ricavata nella parete della scalinata che alimenta una cisterna ubicata nell’ipogeo più basso; la canaletta non ha origine da una precedente cisterna ma direttamente nella parete, a mezza altezza (foto R. Paolicelli). recentemente prova di tale circostanza quando nell’agosto 2017 durante un cantiere che ha interessato Piazza Vittorio Veneto a Matera, un violento temporale ha immesso notevoli quantità di acqua piovana all’interno della cisterna del cosiddetto Palombaro Lungo. Nonostante all’interno fosse già presente una notevole quantità di acqua cristallina, solo a distanza di 15 giorni l’acqua è tornata limpida, con la caduta delle impurità sul fondo. Sono state realizzate per tali motivi le “cisterne secondarie” di raccolta. Queste non sono collegate a canalette di adduzione dell’acqua piovana provenienti dall’esterno ma o ne sono totalmente prive, o queste le collegano ad altre cisterne. La presenza di canalette di collegamento fra cisterne ha fatto erroneamente ipotizzare (Laureano 1993, pp. 71; 116; 120; 151) 6 che le acque si trasferissero da una cisterna all’altra per tracimazione naturale per “troppo pieno”. Secondo tale ipotesi, al riempimento della prima cisterna, l’acqua in eccesso sarebbe naturalmente tracimata passando tramite la canaletta alla seconda cisterna, e da questa allo stesso modo ad una presunta terza cisterna, e così via. Di passaggio in passaggio l’acqua si sarebbe naturalmente purificata, con il processo di decantazione. In realtà tale sistema si sarebbe rivelato totalmente inefficace, proprio perché la decantazione dell’acqua richiede tempi lunghi. Pertanto l’arrivo di grandi masse di acqua torbida nella prima cisterna avrebbe fatto tracimare acqua ancora torbida nella seconda. E anche nell’ipotesi di una cisterna primaria piena di acqua già decantata e ormai limpida, l’immissione di acqua torbida avrebbe avuto l’effetto di inquinare l’acqua limpida presente nella prima, e avrebbe lasciato tracimare 6 Laureano 1993, p. 71: «Allo stesso modo è organizzato un importante sistema di cisterne che dal ciglio del pianoro alimenta una ramificata tramite di canalizzazioni e bacini che discende entro tutti i Sassi»; p. 116: «Si arriva a oltre dieci piani di grotte sovrapposte con decine di cisterne a campana riunite fra loro da canali e sistemi di filtro dell’acqua. Come un sistema di enormi alambicchi, esse permettono al liquido, passando dall’una all’altra, di purificarsi progressivamente»; p. 120: «I flussi idrici che provengono dal Piano e dalla colline argillose, sono captati, incanalati e ripartiti verso le grotte e i gradoni di erosione»; p. 151: «Le cisterne raccolgono le acque, le filtrano e le indirizzano in modo controllato nei Sassi, tramite una rete di scorrimento per gravità su cui si modella la trama urbana». 129 F. Dell’Aquila, F. Foschino, R. Paolicelli cisterne pubbliche autonome e indipendenti, totalmente scollegate dalle cisterne dei Sassi, e queste ultime erano di esclusiva pertinenza dei loro proprietari, senza alcun tipo di collegamento fra di loro, se si escludono i piccoli raggruppamenti di poche unità di cisterne primarie e secondarie appena discusse, sempre afferenti al medesimo ipogeo. L’esistenza diffusa di cisterne prive di canalette di adduzione, incompatibile con l’ipotesi della tracimazione naturale, ha spinto Laureano a immaginare inesistenti cisterne “a condensazione”. Il loro funzionamento sarebbe basato sulla condensazione naturale dell’umidità dell’aria. Laureano prende a esempio dei grandi fossi presenti negli altipiani e sormontati da cumuli di pietra con l’ipotetica funzione di condensatori, che creerebbero miracolosamente l’acqua dall’aria (Laureano 1993, p. 64) 7. Smentiamo categoricamente che siano mai esistite cisterne a condensazione, spesso individuate in quelle che qui abbiamo definito cisterne secondarie o in strutture che presentano caratteristiche incontrovertibili di tombe a tumulo di epoca preistorica, e che tali sono. fig. 12 – Jazzo Nunziatella. Canaletta di deflusso per impedire l’allagamento del casale sottostante (foto R. Paolicelli). 6. CANALETTE DI DEVIAZIONE E DEFLUSSO Per evitare indesiderati allagamenti l’acqua piovana veniva regimentata a partire già dai pianori sovrastanti i casali, e se una parte veniva raccolta, la parte eccedente veniva deviata e dispersa. Apposite canalette, consistenti in tagli regolari e poco profondi cavati nel banco calcarenitico, erano realizzate in maniera perpendicolare rispetto alla direzione dell’acqua (che per gravità scendeva dai pendii sovrastanti) con l’intento di deviarne il flusso (fig. 12), sia a monte dell’intero insediamento, sia nei suoi livelli intermedi, come accade per il Casale del Vitisciulo. Per evitare l’ingresso di acqua all’interno di singoli ipogei venivano invece realizzate grondaie perimetrali lungo gli ingressi più esposti (si vedano Loe e Vitisciulo) e in sommità, attorno ai fori del soffitto. Questi, realizzati per la dispersione dei fumi o come caditoie per l’immissione di derrate negli ipogei, costituivano un potenziale ingresso di acqua piovana, che veniva in tal modo scongiurato (fig. 13). Sorprendentemente, a volte, tali canalette sono state ritenute di adduzione, conseguentemente scambiando comignoli per bocche di cisterne (fig. 14; Laureano 1993, p. 89). 7. COMPAR AZIONI CON GLI INSEDIAMENTI PUGLIESI fig. 13 – Masseria del Monte, Gravina di Picciano. Canalette di deflusso, cavate sul pianoro in prossimità del ciglio della gravina, impediscono all’acqua di entrare nella canna fumaria collegata all’ipogeo sottostante (foto R. Paolicelli). Se Matera si trova ai margini delle Murge, avvantaggiandosi delle fonti d’acqua della Fossa Bradanica, la situazione geologica è diversa per la contigua Puglia, dove l’acqua piovana rivestiva un’importanza maggiore. Si prenda il caso dell’insediamento di Petruscio (Dell’Aquila 1974, pp. 60-61; Parezan 1989), a Mottola. Risalta qui una distinzione fra cisterne a uso collettivo e a uso privato. Le prime sono situate sui pianori, in prossimità delle pareti verticali della gravina, con una capienza fino a 100 m cubi, di probabile utilizzo saltuario in quanto collocate a distanza dall’abitato. Le cisterne private sono collocate nei pressi delle abitazioni, o nei pressi di stalle, se per gli animali (fig. 15). Segnaliamo qui il particolare caso di Lama d’Antico a Fasano (Chionna 1973, 1975; Semeraro, Semeraro 1996; Dell’Aquila, Messina 1998, pp. 154-157; Bertelli et al. 2004, pp. 159-188), dove sono presenti due cisterne in un 7 Laureano 1993, p. 64: «Monumenti tuttora enigmatici potrebbero essere elaborati sistemi per condensare l’umidità e raccogliere la brina notturna. (…) È possibile ipotizzare che, in mancanza di una grotta o di una sorgente, fosse proprio il cumulo di sassi a produrre miracolosamente il liquido vitale. Durante la notte la brina depositata sulle pietre defluisce nella fossa sottostante dove si raccoglie e si conserva al riparo del calore del giorno. Di giorno l’umidità contenuta nei venti che si insinuano fra le pietre si condensa per la minore temperatura della camera piena d’acqua, determinando un ulteriore apporto idrico. All’origine della struttura dei trulli pugliesi potrebbero esserci proprio tecniche di questo tipo». 130 Nuove acquisizioni sull’approvvigionamento idrico nel Materano in epoca medievale fig. 14 – Vitisciulo. Canalette che deviano il percorso dell’acqua per impedire l’ingresso all’interno della cucina rupestre tramite il comignolo (foto R. Paolicelli). fig. 17 – Ricostruzione della sezione della chiesa con la cisterna (F. Dell’Aquila). fig. 15 – Petruscio Mottola. Cisterna a servizio di un’abitazione con stalla (rilievo F. Dell’Aquila). fig. 18 – Petruscio, Mottola. Lungo una cengia si trova un nicchione con alla base la bocca della cisterna e in alto gli alloggiamenti per un asse ligneo con argano per tirare su un contenitore per attingere l’acqua (F. Dell’Aquila). luogo di culto. Le forme planovolumetriche dell’interno la inseriscono nella tipologia di chiese a croce greca inscritte, che vedono le prime realizzazioni nella seconda metà del IX secolo. Il prospetto esterno schematicamente prevedeva un portale composto a formare una croce egizia (fig. 16). Agli estremi delle braccia della croce, alla loro base, sono state realizzate due cisterne che raccolgono le acque meteoriche provenienti dal pianoro soprastante la stessa chiesa tramite due canalette, una per lato (fig. 17). Le cisterne hanno forma a campana. Le due cisterne portano il pensiero all’acqua in esse contenute e questo si collega al battesimo cristiano. Possiamo ipotizzare che avvicinandosi all’ingresso della chiesa, si potessero ricordare le fig. 16 – Fasano, Prospetto esterno della chiesa di Lama d’Antico prima del 2003 (da M. Semeraro, R. Semeraro, Arte medievale nelle lame di Fasano, Fasano 1998). 131 F. Dell’Aquila, F. Foschino, R. Paolicelli parole di Giovanni (4, 13-14) «chiunque beve di quest’acqua, avrà ancora sete, ma chi beve dell’acqua che gli darò io non avrà mai più sete: anzi l’acqua che io gli darò diverrà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna». Un’educazione al passaggio da terreno a ultraterreno: è così che la dottrina si fa escatologia. Questo caso, come detto, è unico nel quadro pugliese e materano. Si conosce la presenza di cisterne poste nelle vicinanze delle chiese ma non direttamente inserite nel complesso architettonico delle chiese, se si escludono quelle da riferire ad interventi tardi o eseguiti all’abbandono dell’uso religioso 8, o un paio di casi del materano (Cripta del Cristo e la chiesa convenzionalmente nota come Acito S. Campo, contigua alla Madonna della Croce) per le quali non si può aver certezza della contemporaneità dell’esecuzione. Segnaliamo infine la modalità di prelievo dell’acqua come rinvenuta a Petruscio e dedotta dai segni presenti sulle pareti laterali prossime alla cisterna (fig. 18). F. Sogliani B. Gargiulo, E. Annunziata, Vitale (a cura di), VIII Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Matera 2018), Vol. III, Firenze, pp. 187-192. Gattiglia G., 2013, Mappa, Pisa medievale: archeologia, analisi spaziali e modelli predittivi, Roma, p. 156. Ladurie E. 1995, Le Siecle des Platters (1499-1628), Paris, p. 24. 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This is the result of intentional decisions on site location, and is helped by the geological and topographical nature of the local area. This has made it possible to use water from these sources for human consumption, making rainwater available for uses other than drinking. Medieval cisterns have been investigated, exclusively. These are datable on the basis of typological comparisons, or by the fact they are structurally integrated within dwellings that are definitely medieval. The few trench cisterns, and the more common wall cisterns, have been surveyed and described by type and by working mechanism. Also described is the technique of excavation, thanks to the discovery of an unfinished cistern in a medieval context. There follows a description of the mechanism for filtering rainwater, which occurred by manually transferring the water from one cistern to the other, with or without the use of water channels. This contradicts the currently prevalent view that the water was allowed to transfer naturally, when it reached the point of overspill. Decanting was a slow process that involved the primary cistern, connected outside. When the water was found to be clear, it was transferred by hand into the secondary cisterns, excluding the presence of cisterns connected by small channels for the overspill. The article ends with a number of examples from Puglia, with the unique case of Lama d’Antico, that features a cistern inside a place of worship. Keywords: cisterns, trenches, Matera, filter, excavation techniques. 8 È il caso della chiesa di S. Marco a Massafra ove, nel nartece, una tomba posta alla base di un arcosolio è stata trasformata in cisterna, profonda circa 3 m e con forma ovoidale, cfr. (Caprara 1979, pp. 33-35). Nel caso di S. Girolamo a Palagianello la cisterna, sempre a forma ovoidale e profonda circa 2,70 m, fu ricavata dopo l’abbandono, utilizzando la preesistenza di una fovea e aggiungendo una canaletta che convogliava l’acqua dall’esterno della chiesa, cfr. (Dell’Aquila, Caragnano 2012, pp. 145-152). 132 Elisabetta De Minicis è Professore Associato in Archeologia Medievale presso l’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo. Ha condotto numerose ricerche sull’ Archeologia dell’ Architettura, l’Archeologia delle Strade, l’Archeologia della Produzione. Nell’ultimo ventennio si è occupata in maniera prevalente dello studio degli abitato rupestri medievali. Ha al suo attivo oltre cento pubblicazioni. Giancarlo Pastura è Ricercatore in Archeologia Cristiana e Medievale presso l’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo. Conduce ricerche prevalentemente sul territorio della Tuscia settentrionale e partecipa a diversi progetti internazionali, anche con incarichi di responsabilità. I suoi temi di ricerca sono l’Archeologia del Rupestre, l’Archeologia dell’Architettura e la Topografia cristiana e medievale; temi ai quali sono dedicati numerosi contributi scientifici. € 45,00 BAM-30 ISSN 2035-5319 ISBN 978-88-9285-010-1 e-ISBN 978-88-9285-011-8 Il rupestre e l’acqua nel Medioevo Dopo due Convegni dedicati agli insediamenti rupestri di età medievale dove è stato avviato un necessario quanto interessante confronto scientifico tra gli studi dell’Italia centrale e quelli dell’Italia meridionale e insulare, le aree maggiormente interessate dal fenomeno rupestre si è ritenuto utile, con un terzo incontro a cui questo volume si riferisce, focalizzare l’attenzione sul tema dell’acqua, qui volutamente distinto rispetto alle strutture costruite. Tale decisione matura, in primo luogo, dalla necessità di chiarire come il fenomeno rupestre sia parte fondante della ricerca archeologica e non un aspetto accessorio, come troppo spesso è stato ritenuto. Appare qui logico il ruolo fondamentale del rapporto con l’acqua che assume diverse valenze nella sacralizzazione di un luogo, oppure una continuità devozionale mai interrotta che ha proprio nell’acqua il suo elemento caratterizzante. L’importanza di uno studio specifico è ulteriormente accentuata nelle ricerche sui cosiddetti “contesti rurali”. L’analisi di uno specifico sistema idraulico caratterizzato da articolati insiemi di canalizzazioni a cielo aperto, cisterne e punti di raccolta che si distribuiscono su più livelli, spesso utilizzando le caratteristiche orografiche dei siti, messo in relazione con elementi di cronologia assoluta trasforma anche questi impianti in indicatori cronologici attendibili. Da qui l’importanza di mettere l’accento sul maggior numero di esempi così da fornire un apporto decisivo all’analisi dei contesti rupestri trasformandoli in complessi storicamente rilevanti. I temi della produttività assumono contorni diversi, a volte promiscui con quelli della quotidianità; invece, negli acquedotti urbani, dove si ha una convivenza tra l’approvvigionamento idrico delle fontane e l’alimentazione delle attività produttive. a cura di Elisabetta De Minicis, Giancarlo Pastura 30