Biblioteca di
Il rupestre e l’acqua nel Medioevo
Religiosità, quotidianità, produttività
a cura di
DISTU
UNIVERSITÀ DELLA TUSCIA
COMUNE DI SORIANO NEL CIMINO
All’Insegna del Giglio
Elisabetta De Minicis, Giancarlo Pastura
BIBLIOTECA DI
30
Cultura materiale. Insediamenti. Territorio.
Rivista fondata da Riccardo Francovich
Comitato di Direzione
Sauro Gelichi (responsabile) (Dipartimento Gian Pietro Brogiolo (già Università degli
di Studi Umanistici – Università Ca’ FoStudi di Padova)
scari di Venezia)
Comitato Scientifico
Lanfredo Castelletti (già Direttore dei
Musei Civici di Como)
Rinaldo Comba (già Università degli Studi
di Milano)
Paolo Delogu (Professore emerito, Sapienza
Università di Roma)
Richard Hodges (President of the American
University of Rome)
Antonio Malpica Cuello (Departamento Carlo Varaldo (Dipartimento di antichità,
de Historia – Universidad de Granada)
filosofia, storia, geografia – Università
Ghislaine Noyé (École nationale des chartes)
degli Studi di Genova)
Paolo Peduto (già Università degli Studi Chris Wickham (già Faculty of History –
di Salerno)
University of Oxford)
Juan Antonio Quirós Castillo (Departamento de Geografía, Prehistoria y Arqueología de la Universidad del País Vasco)
Redazione
Andrea Augenti (Dipartimento di Storia Cristina La Rocca (Dipartimento di Scienze
Culture Civiltà – Università degli Studi
storiche, geografiche e dell’antichità – Unidi Bologna)
versità degli Studi di Padova)
Giovanna Bianchi (Dipartimento di Scienze Marco Milanese (Dipartimento di Storia,
Storiche e dei Beni Culturali – Università
Scienze dell’uomo e della Formazione –
degli Studi di Siena)
Università degli Studi di Sassari)
Enrico Giannichedda (Istituto per la Alessandra Molinari (Dipartimento di
Storia della Cultura Materiale di Genova
Storia – Università degli Studi di Roma
[ISCuM])
Tor Vergata)
Corrispondenti
Paul Arthur (Dipartimento di Beni Culturali – Università degli Studi di Lecce)
Volker Bierbrauer (Professore emerito,
Ludwig-Maximilians-Universität München)
Hugo Blake (già Royal Holloway – University of London)
Maurizio Buora (Società friulana di archeologia)
Federico Cantini (Dipartimento di Civiltà
e Forme del Sapere – Università degli
Studi di Pisa)
Gisella Cantino Wataghin (già Università
del Piemonte Orientale)
Enrico Cavada (Soprintendenza per i beni
librari, archivistici e archeologici – Trento)
Neil Christie (School of Archaeology and
Ancient History – University of Leicester)
Mauro Cortelazzo (Archeologo libero
professionista)
Fr ancesco Cuteri (AISB, Associazione
Italiana Studi Bizantini)
Lorenzo Dal Ri (già Direttore ufficio Beni
archeologici – Provincia autonoma di
Bolzano Alto Adige)
Franco D’Angelo (già Direttore del Settore
Cultura e della Tutela dell’Ambiente della
Provincia di Palermo)
Alessandra Frondoni (già Soprintendenza
Archeologia della Liguria)
Caterina Giostra (Dipartimento di Storia,
archeologia e storia dell’arte – Università
Cattolica del Sacro Cuore)
Federico Marazzi (Dipartimento di Scienze
Storiche e dei Beni Culturali – Università
degli Studi Suor Orsola Benincasa)
Roberto Meneghini (Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali)
Egle Micheletto (direttore della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio
per le Province di Alessandria, Asti e
Cuneo)
Massimo Montanari (Dipartimento di
Storia Culture Civiltà – Università degli
Studi di Bologna)
Giovanni Murialdo (Museo Archeologico
del Finale – Finale Ligure Borgo SV)
Claudio Negrelli (Dipartimento di Studi
Umanistici – Università Ca’ Foscari di
Venezia)
Michele Nucciotti (Dipartimento di Storia,
Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo –
Università degli Studi di Firenze)
Gabriella Pantò (Musei Reali di Torino –
Museo di Antichità)
Helen Patterson (già British School at
Rome)
Luisella Pejrani Baricco (già Soprintendenza Archeologia del Piemonte e del
Museo Antichità Egizie)
Sergio Nepoti (responsabile sezione scavi in
Italia) (Archeologo libero professionista)
Aldo A. Settia (già Università degli Studi
di Pavia)
Marco Valenti (Dipartimento di Scienze
Storiche e dei Beni Culturali – Università
degli Studi di Siena)
Guido Vannini (Dipartimento di Storia,
Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo
– Università degli Studi di Firenze)
Philippe Pergola (LAM3 – Laboratoire
d’Archéologie Médiévale et Moderne en
Méditerranée – Université d’Aix-Marseille
CNRS/Pontificio istituto di acheologia
cristiana)
Renato Perinetti (già Soprintendenza per
i Beni e le Attività Culturali della Regione
Autonoma Valle d’Aosta)
Giuliano Pinto (già Università degli Studi
di Firenze)
Marcello Rotili (Seconda Università degli
Studi di Napoli)
Daniela Rovina (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province
di Sassari, Olbia-Tempio e Nuoro)
Lucia Saguì (già Sapienza Università di
Roma)
Piergiorgio Spanu (Dipartimento di Storia,
Scienze dell’uomo e della Formazione –
Università degli Studi di Sassari)
Andrea R. Staffa (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Abruzzo)
Daniela Stiaffini (Archeologa libera professionista)
Stanisław Tabaczyński (Polskiej Akademii
Nauk)
Bryan Ward Perkins (History Faculty –
Trinity College University of Oxford)
Il rupestre e l’acqua nel Medioevo
Religiosità, quotidianità, produttività
a cura di
Elisabetta De Minicis, Giancarlo Pastura
con contributi di
Giorgia Annoscia, Annalisa Biffino, Marco Cadinu, Stefano Calò,
Domenico Caragnano, Angelo Cardone, Beatrice Casocavallo, Ludovico Centola,
Franco Dell’Aquila, Stefano Del Lungo, Elisabetta De Minicis, Giulia Doronzo, Carlo Ebanista,
Francesco Foschino, Carla Galeazzi, Nicoletta Giannini, Massimo Mancini, Giuliana Massimo,
Raffaele Paolicelli, Giancarlo Pastura, Monica Ricciardi, Giuseppe Romagnoli,
Roberto Rotondo, Mariangela Sammarco, Andrea Sasso, Francesca Sogliani,
Irene Venanzini, Francesca Zagari
All’Insegna del Giglio
In copertina: Morgia di Pietravalle in agro di Salcito (CB) (Massimo Mancini).
Quarta di copertina: Masseria del Monte, Gravina di Picciano. Canalette di deflusso (foto R. Paolicelli).
Ove non altrimenti specificato, le fotografie sono degli Autori dei singoli contributi.
Il volume è stato sottoposto alla double-blind peer review.
L’idea del volume nasce dal III Convegno Nazionale di Studi: Il rupestre e l’acqua nel Medioevo. Religiosità, quotidianità, produttività
(Italia centrale, meridionale e insulare), tenutosi a Soriano nel Cimino (VT) nei giorni 18-19 ottobre 2019.
Il convegno è stato organizzato con la collaborazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale
e con il contributo di:
Università degli Studi della Tuscia – Dipartimento di Studi linguistico-letterari, storico-filosofici e giuridici
Comune di Soriano nel Cimino
Museo Civico Archeologico di Soriano nel Cimino
Ente Sagra delle Castagne di Soriano nel Cimino
ISSN 2035-5319
ISBN 978-88-9285-010-1
e-ISBN 978-88-9285-011-8
© 2020 All’Insegna del Giglio s.a.s.
via Arrigo Boito, 50-52; 50019 Sesto Fiorentino (FI)
tel. +39 055 6142 675
e-mail
[email protected];
[email protected]
sito web www.insegnadelgiglio.it
Printed in Sesto Fiorentino (FI), novembre 2020
MDF print
INDICE
Elisabetta De Minicis, Giancarlo Pastura
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
Elisabetta De Minicis
Relazione introduttiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Giancarlo Pastura
Archeologia, speleologia e moderne tecnologie. Un dialogo metodologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
Carla Galeazzi, Roberto Bixio, Carlo Germani, Mario Parise
Indagini speleologiche su opere idrauliche correlate a strutture rupestri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
Monica Ricciardi
Casi di riutilizzo di impianti idraulici sotterranei: le catacombe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
ITALIA MERIDIONALE E INSULARE
Carlo Ebanista, Massimo Mancini
Captazione e utilizzo dell’acqua in ambiente rupestre. Alcuni casi in area campana e molisana . . . . . . . . . . . . 39
Francesca Zagari
Il rupestre e l’acqua nel monachesimo italo-greco. Elementi per una classificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
Marco Cadinu
Dalla grotta alla città. Le acque di San Guglielmo a Cagliari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
ITALIA MERIDIONALE
Roberto Rotondo, Annalisa Biffino
La gestione della risorsa idrica negli insediamenti rupestri della Puglia centrale: alcuni contesti a confronto . . . . . . 63
Stefano Calò, Mariangela Sammarco
Gli insediamenti in rupe nell’area costiera salentina. Nota metodologica e dinamiche di sviluppo . . . . . . . . . . . 73
Giuliana Massimo
Acqua e sacralità in rupe: evidenze pittoriche dalle chiese di Altamura e Gravina in Puglia . . . . . . . . . . . . . . 83
Angelo Cardone, Ludovico Centola
Gli eremi della valle di Stignano nel Gargano: il quadro storico-archeologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
Domenico Caragnano, Franco Dell’Aquila
Il culto femminile nella chiesa di Santa Margherita di Mottola (Ta) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103
Francesca Sogliani
Progetto DARHEM Digital Atlas of Rupestrian Heritage of Matera. La forma dell’acqua nei contesti rupestri . . . . 113
Franco Dell’Aquila, Francesco Foschino, Raffaele Paolicelli
Nuove acquisizioni sull’approvvigionamento idrico nel Materano in epoca medievale . . . . . . . . . . . . . . . . 123
ITALIA CENTRALE
Giorgia Maria Annoscia, Giulia Doronzo
Conservare e condurre l’acqua. Il Sacro Speco tra documenti scritti ed evidenze materiali . . . . . . . . . . . . . . 133
Nicoletta Giannini
Water management e organizzazione dell’insediamento. Dalle strutture produttive alla gestione delle risorse idriche
del lago Albano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145
Giuseppe Romagnoli
L’acquedotto delle Pietrare e l’approvvigionamento idrico di Viterbo in età comunale . . . . . . . . . . . . . . . . 153
Irene Venanzini
Gli acquedotti medievali di Montefiascone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163
Beatrice Casocavallo
Acqua luogo sacro. Insediamenti rupestri religiosi dell’Etruria medievale e il loro rapporto con l’acqua . . . . . . . . 171
Stefano Del Lungo, Giancarlo Pastura
L’acqua e la sua dimensione rupestre a Orte nel Medioevo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179
Andrea Sasso
Analisi preliminare di alcune strutture ipogee nelle ignimbriti della caldera vicana e il rapporto
con la batimetria lacustre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189
Franco Dell’Aquila*, Francesco Foschino*, Raffaele Paolicelli*
NUOVE ACQUISIZIONI SULL’APPROVVIGIONAMENTO IDRICO
NEL MATER ANO IN EPOCA MEDIEVALE
1. METODO E OBIETTIVI DELL’INDAGINE
ogni volta che la nostra indagine ha riscontrato elementi
in contraddizione con le stesse. Non si tratta, pertanto, di
teorie diffuse solo in ambito locale e popolare, ma di tesi
che vengono frequentemente citate anche in ambito scientifico ed accademico, rendendo ancora più urgente il loro
superamento sulla base di acquisizioni ottenute seguendo
il metodo scientifico.
Il presente studio si concentra sulla raccolta delle acque
nel Materano in epoca medievale, e in particolar modo
sulle cisterne. Trattandosi di strutture di difficile datazione, inserite in contesti profondamente rimaneggiati, si
è ristretta l’indagine solo a quelle di comprovata datazione
medievale, desunta tramite fonti archeologiche o con il
metodo di comparazione tipologica. In quest’ultimo caso,
gli esemplari oggetto di studio presentano forti affinità con
cisterne in territori limitrofi di certa datazione medievale.
Si sono, inoltre, indagati gli insediamenti rupestri di provata origine medievale, appurata tramite rinvenimenti in
superficie avvenuti durante ricognizioni archeologiche (vedi
insediamento della Loe in Lapadula 2008, pp. 141-160)
oppure tramite l’Archeologia dell’architettura. In entrambi
i casi l’indagine ha riguardato esclusivamente i sistemi idrici
che risultavano incontrovertibilmente integrati e coevi agli
ipogei medievali.
L’approvvigionamento idrico nel Materano è stato oggetto
di diverse pubblicazioni, ma nessuna di queste ha specificatamente trattato il periodo medievale. Imprescindibile al
riguardo è il volume “Matera e l’acqua” (Statuto, Gambetta
2016) che offre una panoramica completa sul tema, cataloga
i diversi sistemi di approvvigionamento, e indaga il quadro
ambientale e il riflesso antropologico del rapporto fra l’uomo
e l’acqua.
Il tema della raccolta delle acque a Matera è fortemente
presente nell’opinione pubblica locale in quanto viene erroneamente ritenuto il motivo principale per il quale i Sassi di
Matera sono stati iscritti nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco nel 1993, nonostante ciò sia smentito dalle
motivazioni ufficiali diffuse dalla Commissione e presenti
sul sito 1. Tale equivoco nasce dalla circostanza che il dossier di candidatura, la cui pubblicazione (Laureano 1993)
gode di larghissima diffusione presso il grande pubblico,
elabora una accattivante impalcatura teorica sui sistemi di
approvvigionamento idrico che ha suggestionato l’immaginario comune, ma che a una semplice analisi risulta tanto
lacunosa di fonti quanto irrealistica e fantasiosa. Proprio la
diffusa notorietà di queste teorie, assurte nei media a verità
assolute, e molto presenti anche in testi scientifici e in atti
convegnistici, obbliga chi scrive a farvi esplicito riferimento
2. L’ACQUA NEL MATER ANO: SORGIVA
NELLE ARGILLE, PIOVANA NEI CALCARI
Nel Materano si alternano altopiani costituiti da calcarenite solcati da profonde gravine ad ampie distese fertili di
argille e conglomerati. Queste ultime, oltre a fornire suolo
agricolo, si presentano ricche di falde acquifere con sorgenti,
ruscelli e piccoli bacini lacustri.
Data la conformazione geologica e orografica del territorio, tutti i casali rupestri risultano contigui a sorgenti
presenti nelle argille 2. Considerando la prossimità della
ben più salutare acqua sorgiva, quest’ultima era destinata al
consumo umano, mentre l’acqua piovana era preferibilmente
utilizzata per gli scopi non potabili, specie per le molteplici
attività produttive che interessavano il casale in ambito
agro-pastorale. Nei casi più fortunati, come quello del centro urbano di Matera, sfruttando la semplice gravità l’acqua
sorgiva veniva incanalata verso fontane a flusso continuo o
in cisterne localmente chiamate palombari. Negli altri casi
invece, gli insediamenti disponevano di apposite cisterne
prive di canalette di adduzione, nelle quali l’acqua sorgiva
veniva trasportata e immessa manualmente 3.
Le cisterne medievali oggetto di studio sono realizzate
scavando nella calcarenite, e si presentano sia interne ad
ambienti ipogei più grandi dei quali risultano accessori,
che come strutture a sé stanti. Fra queste ultime, abbiamo
indagato le tipologie “a trincea” e “a parete”.
2
Si osservino a titolo esemplificativo i numerosi pozzi sorgivi, molti dei
quali perenni (segnati nelle Mappe IGM, serie M891, fogli 189 e 201 della Carta
d’Italia, 1949) nei cui pressi sono stati frequenti i rinvenimenti archeologici anche
di epoca preistorica, per la «Necropoli di Fontana dei Marroni» cfr. (Lo Porto
1973, pp. 211-215); per i «Ritrovamenti in contrada Rifeccia», cfr. (ibid.); per «Il
santuario di età ellenistica alla sorgente di Serra Pollara» cfr. Paolicelli 2019,
pp. 94-97; per i rinvenimenti nelle località S Candida e Fontana Cilivestri si
veda (Lattanzi 1976, p. 115); per i rinvenimenti presso Fontana dei Marroni
si veda anche (ibid., p. 120), per i rinvenimenti sul colle del Lapillo, presso il
Castello Tramontano si veda (Bianco 1986, p. 70).
3
Persino in tempi storici più recenti, in circostanze emergenziali, in ambito urbano, fu trasferita nelle cisterne pubbliche l’acqua sorgiva proveniente
dall’agro (Archivio di Stato di Potenza, Fondo Pref. Gabinetto, busta n. 286).
* Gruppo Mathera – Rivista trimestrale di storia e cultura del territorio
– ISSN 2532-8190 –
[email protected] – Via Bradano 45, 75100
Matera – t.0835 1975311.
1
https://whc.unesco.org/en/list/670.
123
F. Dell’Aquila, F. Foschino, R. Paolicelli
3. CISTERNE
3.1 Cisterna a trincea
Abbiamo individuato a Matera tre cisterne di questa
tipologia, che presentano caratteristiche coincidenti con altre
di certa origine medievale e presenti in Puglia a Casalrotto
(fig. 1) (Dell’Aquila, Caprara 2004), Ostuni presso la
Cattedrale (Pavone 2019), Macurano (Sammarco et al. 2008,
pp. 273-282), e altre inedite come Villa Cappelli a Terlizzi e
quattro a Bari: presso Strada Scanzano, Via S. Giorgio (fig. 2),
Misciano, Masseria Maselli.
Si configurano come scavi stretti e lunghi, realizzati
intercettando trasversalmente la linea di massima pendenza
del pendio, con pareti fortemente svasate di modo che a una
larga base corrisponda una stretta e lunga apertura sommitale. La copertura era effettuata con lastre megalitiche, di cui
una mediana con alloggiamento della bocca. Tale copertura
rivestiva la duplice funzione di evitare l’evaporazione e impedire l’ingresso di corpi estranei. L’adduzione delle acque
sfruttava la lunghezza della cisterna, ed era agevolata da
ulteriori canalette. Il pertugio di immissione dell’acqua era
spesso preceduto da una vasca poco profonda e usualmente
quadrangolare atta a impedire l’ingresso dei corpi estranei più
pesanti. Sono situate nell’agro, ed avevano come principale
destinazione l’abbeveraggio degli animali, come testimoniano
le cosiddette pile collocate in contiguità.
Probabilmente post-medievali sono le cisterne “a tetto”,
che si presentano di forma rettangolare e con le pareti a
piombo, e che paiono essere l’evoluzione della tipologia “a
trincea”. La grande ampiezza del soffitto non poteva essere
coperta da lestre megalitiche e dunque trova spazio una
volta a botte in muratura, sopraelevata rispetto al piano di
calpestio, e con una o più bocche sommitali. Localmente
queste cisterne, insieme ad alcuni grandi serbatoi pubblici,
vengono denominate “palombari”. La caratteristica comune
a entrambe le tipologie sono le pareti verticali, a piombo, e
non svasate. Poiché in dialetto locale la parete verticale viene
denominata “palomba” (letteralmente: “a piombo”) è lecito
supporre che il termine palombaro indicasse una cisterna
con pareti verticali.
Le cisterne a tetto sono sempre situate in posizione utile
alla raccolta delle acque piovane, agevolata dalla presenza di
canalette. Smentiamo l’asserzione secondo la quale l’acqua
si raccogliesse nella camera ipogea per «microinfiltrazioni
dal sottosuolo» (Laureano 1993, p. 140), totalmente assenti
nella calcarenite, e che oltretutto non avrebbero potuto
attraversare la malta impermeabilizzante per immettersi
in cisterna.
Una delle cisterne a trincea meglio conservate di Matera si
trova nella contrada di Bazola o Chiancalata, in un’area che
in epoca medievale era destinata sicuramente all’apicultura,
come testimoniano i caratteristici apiculari cavati nel banco
calcarenitico (Dell’Aquila, Paolicelli 2017, pp. 22-27).
Rinvenimenti archeologici attestano la frequentazione del
sito almeno dal VII sec a.C. (Lo Porto 1973, p. 220), ma
risalgono al Medioevo le più cospicue testimonianze, consistenti in sepolture ad arcosolio in prossimità dei luoghi di
culto, che presentano affreschi databili al XIII secolo. Non
distante dalla chiesa convenzionalmente detta di S. Francesco
fig. 1 – Casalrotto (Mottola), Cisterna “a trincea”, con forma allungata
e la sezione a trapezio con lato minore posto in alto pone quest’opera
nel periodo del XII-XIV secolo. La copertura rifatta nel Seicento (foto
F. Dell’Aquila).
fig. 2 – S. Giorgio (Bari), Cisterna “a trincea” (foto S. Chiaffarata).
a Chiancalata, è presente una cisterna “a trincea” cavata nel
banco calcarenitico, che si estende parallelamente a una
gravinella ai piedi di un pendio (fig. 3). In corrispondenza
delle due estremità sono presenti, ma poco visibili a causa
della vegetazione infestante, le canalette di adduzione che dal
pendio convogliavano l’acqua nel serbatoio. A una delle due
estremità è presente una vasca rettangolare che fungeva da
filtro trattenendo le impurità più consistenti, caratteristica
riscontrata di frequente e di cui riportiamo a titolo dimostrativo il caso della Masseria del Cristo (fig. 4).
Una seconda cisterna “a trincea” è presente in contrada S.
Angelo (più a sud della Grotta dei Pipistrelli) su un pianoro
sovrastante svariati ipogei 4. Lo scavo è più lungo del precedente (supera infatti i 15 m alla base mentre in altezza non
supera i 1,70 m, anche a causa dei detriti presenti sul fondo).
Qui non sono presenti lastre di copertura, probabilmente
reimpiegate per altri usi.
Un’altra cisterna “a trincea” è ubicata all’interno del bosco
Selva Malvezzi, a circa duecento metri dall’omonima masseria
(Statuto, Gambetta 2016, pp. 147-148). In superficie, lungo
4
124
Coordinate: 40°37’56,63’’N; 16°38’08,29’’E.
Nuove acquisizioni sull’approvvigionamento idrico nel Materano in epoca medievale
fig. 3 – Cisterna “a trincea” Coordinate: 40°38’40,03’’N; 16°36’42,79’’E – (A) foto aerea (Archivio Antros); (B) foto interna che evidenzia le
pareti svasate (Archivio Antros); (C) Pianta della copertura (Elaborato grafico D. Gallo); (D) Sezione trasversale (Rilievo R. Paolicelli e F. Foschino, elaborato grafico D. Gallo). La cisterna ha forma di piramide, a base rettangolare, troncata. Base 11×4,60 m. Sui lati lunghi, le pareti sono
fortemente svasate (formano un angolo di 50º) rispetto al fondo e sono ancora presenti parti rivestite di malta impermeabile. Taglio sommitale
9,10×0,60 m; Profondità 2,38 m. La copertura della cisterna è costituita da lastre megalitiche di dimensioni variabili (il lato lungo varia da 1 m
a 1,32 m mentre il lato corto varia da 0,50 m a 0,70 m), alcuni a forma di parallelepipedo e altri irregolari, tra di essi, in posizione mediana, è
collocata la bocca in pietra calcarea, a dado con risega per copertura e foro circolare per l’inserimento dei secchi.
illustrazione forma e dimensioni a esemplificazione della
tipologia (figg. 5, 6). Sono molto diffuse all’interno degli
insediamenti rupestri in quanto era possibile sfruttare la
naturale pendenza delle pareti rocciose per la captazione
delle acque. Se raramente si sono riscontrate canalette
perfettamente verticali, in linea con l’asse della cisterna,
più comunemente la raccolta era agevolata da canalette
che tagliavano trasversalmente la parete, che ricoprivano
anche la funzione di grondaia per impedire l’indesiderato
ingresso di acqua in altri ipogei (fig. 7). Solitamente le
canalette trasversali erano due, provenienti da direzioni
opposte. Vi erano poi canalette secondarie, meno larghe e
l’asse della trincea, sono presenti due colonne, ai lati della
bocca, che sostenevano in alto una trave nella quale trovava
alloggio una carrucola con fune per l’andirivieni dei secchi.
Disposte in maniera perpendicolare a esse vi sono tre pile
calcaree che consentivano agli animali di abbeverarsi.
3.2 Cisterne a parete
Sono state oggetto di questo studio le cisterne “a parete”
presso S. Michele all’Ofra, Murgia Timone, il Casale del
Vitisciulo (erroneamente noto come Villaggio Saraceno, cfr.
Fontana 2019, pp. 46-55), e il Casale della Loe. Si situa in
quest’ultimo insediamento la cisterna di cui riportiamo in
125
F. Dell’Aquila, F. Foschino, R. Paolicelli
fig. 4 – Masseria del Cristo, Gravina di Picciano. Vista aerea della vasca quadrangolare che tratteneva i corpi estranei (“purgatoio”), posta lungo
una della canalette di adduzione che alimentava la cisterna posta nella parte più bassa del pendio (Archivio Antros).
di calpestio, ed è raggiungibile grazie a rudimentali gradini
cavati nella calcarenite.
L’adesione della cisterna allo spalto roccioso impediva alla
parete prossima all’esterno di essere particolarmente svasata.
Le cisterne, pertanto, generalmente risultavano a forma
cilindrica come nella tipologia “a bottiglia”. Non mancano
esempi che presentano la parete più interna maggiormente
svasata, donando una forma asimmetrica, o con una improvvisa discontinuità dell’inclinazione, che allarga la sezione
della cisterna spostando verso l’interno il centro geometrico.
4. TECNICA DI SCAVO DI CISTERNE
A SEZIONE CIRCOLARE
Nel rione Civita di Matera, in un’area archeologicamente ricca di rinvenimenti, a poca distanza dalla necropoli
di S. Nicola dei Greci e al di sopra della chiesa rupestre
medievale di Madonna delle Virtù, vi è un complesso di
strutture costruite e ipogee, allo stato attuale in abbandono,
rese visibili a seguito di una recente rimozione di detriti
pluviali. Se di tali lavori non sono disponibili pubblicazioni, gli ipogei immediatamente contigui e strutturalmente
connessi sono stati oggetto di scavo nel 1977, con restituzione anche di materiale tardomedievale 5. A seguito di un
fig. 5 – Casale della Loe. Cisterna “a parete” con canalette primarie alle
due estremità superiori e canaletta secondaria, al centro in alto, che
confluisce in quella primaria a destra (foto R. Paolicelli).
meno profonde, che contribuivano a convogliare l’acqua in
quelle primarie per ottimizzare i volumi raccolti.
Nei casi in cui lo spessore del masso tufaceo prossimo
al pianoro era minimo e non consentiva uno sviluppo in
altezza, troviamo la sommità delle cisterna al livello del
piano di calpestio, pur se ciò determinava maggiore rischio
di immissione di corpi estranei (fig. 8). Più frequentemente,
la sommità della cisterna, dove è alloggiata la bocca, si trova
ad un’altezza che arriva a raggiungere anche i 2 m dal piano
5
All’interno di un profondo fosso, nell’autunno del 1977, negli strati più
profondi si rinvenne gran parte di ceramica della Prima età del Ferro, databile
all’VIII sec. a.C. ma anche di VII e VI a.C., invece negli strati superficiali si rinvenne ceramica databile a partire dal tardo Medioevo, si veda (Canosa 1986, p. 110).
126
Nuove acquisizioni sull’approvvigionamento idrico nel Materano in epoca medievale
fig. 7 – Chiesa anonima di Murgia di S. Andrea. Canaletta con la duplice
funzione di adduzione e grondaia (foto R. Paolicelli).
fig. 6 – Casale della Loe. Cisterna “a parete” di fig. 5, Sezione della
cisterna e Pianta del sistema di adduzione (rilievo R. Paolicelli e F.
Foschino, elaborazione grafica D. Gallo).
sopralluogo in situ, è emersa la presenza di una escavazione
interrotta di una cisterna a sezione circolare, della tipologia
“a campana”. La cessazione improvvisa dell’opera, dovuta
a cause non determinabili, consente oggi di apprezzare le
tecniche di scavo (fig. 9). In quanto prive di intonaco, le
pareti mostrano i segni di cava, con i livelli distanziati in
altezza di 25 cm fra di loro, dimensione compatibile con
le misure usuali dei conci impiegati nell’edilizia locale. Sul
fondo sono visibili alcuni conci già cavati ma non ancora
estratti. Le direttrici dei tagli seguono la linea dei raggi
dividendo il fondo “a spicchi”. Come è noto, l’esigenza
fig. 8 – Murgia Timone, S. Agnese. Cisterna “a parete” con canaletta
di adduzione verticale proveniente dal pianoro (foto R. Paolicelli).
di estrarre conci durante l’escavazione era strettamente
connessa all’utilizzo degli stessi nell’edilizia costruita. Le
volte a botte tipiche dell’architettura locale, e ancor di più
gli archi dei grandi portali di ingresso e le basi dei frantoi,
richiedevano conci che assecondassero la curvatura desiderata (fig. 10). Difatti la forma e le dimensioni dei conci
cavati in tale cisterna risultano compatibili con quelli
adoperati in tali costruzioni.
127
F. Dell’Aquila, F. Foschino, R. Paolicelli
fig. 10 – Casale della Madonna dell’Abbondanza. Vasca di macinazione
costituita da basamento cilindrico, privo di pietra molare, di un antico
frantoio realizzato con conci analoghi a quelli estratti durante lo scavo
di una cisterna (foto R. Paolicelli).
fig. 9 – Civita di Matera nei pressi di S. Nicola dei Greci. Scavo, non
ultimato, di una cisterna “a campana”. Sul fondo sono presenti i conci
cavati ma non ancora estratti. La profondità della cisterna incompiuta
risulta di 2,60 m, la sezione risulta ellittica (3,47×3,30 m). I conci hanno una forma di trapezio isoscele, con base adiacente alla circonferenza
e misure comprese fra 0,47 m e 0,54 m, i lati lunghi sono di 0,77 m
e il lato corto varia da 0,27 a 0,38 m. La distanza tra i conci è di 3,5
cm (foto R. Paolicelli).
meteorica – ci informa – veniva fatta fluire verso le cisterne,
dal tetto, solo dopo che quest’ultimo era stato già lavato da
una prima pioggia, la cui acqua pertanto non veniva raccolta.
All’interno delle cisterne della città francese era comunque
presente un dispositivo che utilizzava la sabbia per filtrarla
ulteriormente. Nei casi in cui non si aveva alternativa all’uso
di acqua torbida, o comunque impura, per gli usi potabili,
vi erano accorgimenti attuati dall’utilizzatore finale, come
comprovato da scavi archeologici effettuati a Pisa (Gattiglia
2013, p. 156) laddove sono stati rinvenuti utensili di epoca
medievale, quali brocche con filtro (allo scopo di eliminare
le impurità) e boccali con copiose incrostazioni di calcare,
che attestano il loro impego per la bollitura dell’acqua al fine
di igienizzarla.
Nel Materano, nonostante le canalette di adduzione
fossero costantemente pulite e manutenute, l’acqua piovana
nel suo corso verso la cisterna raccoglieva impurità, tali da
renderla torbida, impura e non immediatamente disponibile.
Con lo scopo di grossolano filtro a volte una vasca poco profonda, e non impermeabilizzata, precede la cisterna, di modo
che le impurità più consistenti possano precipitare sul fondo
della vasca senza giungere in cisterna. L’acqua che veniva
raccolta in tal modo non presentava grossi corpi estranei, ma
si presentava comunque torbida e inservibile. Solo dopo un
lungo processo di decantazione naturale, a distanza di qualche
giorno o settimana, l’acqua sarebbe risultata limpida, quando
anche le impurità più sottili sarebbero precipitate. Si è avuta
5. IL FILTR AGGIO DELLE ACQUE PIOVANE:
L’EQUIVOCO DEL “TROPPO PIENO”
E LE CISTERNE SECONDARIE
In epoca medievale l’acqua intorbidita era ritenuta impura,
e pertanto era destinata ad usi potabili solo se opportunamente filtrata; in caso contrario era adoperata per utilizzi diversi
dal consumo umano. Si prenda ad esempio la Nova Cronica
del Villani (1348), che ci informa di come nel 1335 l’acqua
dell’Arno, divenuta torbida a causa di una frana «a neuno
buono servigio si poteva operare, né cavalli ne voleano bere».
Ancora una deliberazione del Consiglio di Orvieto del 1325
(Riccetti 2008, p. 24) che destina l’acqua torbida ad alimentare gli abbeveratoi degli animali, mentre destina agli usi
potabili «aqua clara» proveniente da altre fonti. S. Bernardo,
per opporsi ai cultori delle scienze profane, chiederà loro
retoricamente: “Perché vi dà tanto piacere bere l’acqua torbida
delle cisterne?” (Davy 1988, p. 152), sottolineandone l’assurdità dell’azione. Sulla necessità di filtrare l’acqua piovana si
consideri la testimonianza cinquecentesca di Thomas Platters
(Ladurie 1995, p. 24) con riferimento a Montpellier. L’acqua
128
Nuove acquisizioni sull’approvvigionamento idrico nel Materano in epoca medievale
acqua intorbidita nella seconda. Oltretutto alcune cisterne
secondarie sono prive di qualsivoglia canaletta di adduzione,
risultando incoerenti con tale ipotesi di funzionamento.
In realtà il trasferimento delle acque da una cisterna all’altra
non era affatto lasciato alla natura, ma richiedeva l’intervento
umano e si svolgeva manualmente. L’acqua piovana veniva
infatti convogliata dall’esterno tramite canalette in una “cisterna primaria”, a volte preceduta da una piccola vasca che
impedisse l’ingresso di consistenti corpi estranei. In cisterna
le impurità si sarebbero lentamente sedimentate sul fondo.
Quando l’acqua appariva limpida, veniva manualmente
travasata in una “cisterna secondaria”. Si prelevava l’acqua
limpida dalla prima con l’aiuto di un secchio, e la si riversava
nella seconda. A volte, tale operazione si svolgeva coprendo a
piedi la distanza fra le due cisterne (in questo caso la cisterna
secondaria è totalmente sprovvista di canalette di adduzione);
in altri casi ad agevolare il travaso vi è una canaletta, a collegare le due cisterne. Senza la necessità di spostarsi dalla
prima cisterna, l’acqua veniva manualmente immessa nella
canaletta di collegamento, giungendo nella seconda senza
alcuno sforzo. La cisterna primaria purificava l’acqua per
decantazione, e questa era quindi manualmente trasferita
nella cisterna secondaria con o senza l’aiuto di una canaletta.
La parte sommitale delle cisterne primarie, in prossimità della
bocca per i secchi e dell’inizio della canaletta di collegamento,
risulta sprovvista di intonaco impermeabilizzante, a conferma
che non era previsto che l’acqua giungesse a quel livello della
cisterna al fine di tracimare naturalmente.
Tale meccanismo di travaso spiega coerentemente alcune
caratteristiche finora ritenute enigmatiche, come le numerose cisterne prive di collegamenti adduttivi o con canalette
apparentemente troncate. Nel primo caso, si vedano le numerose cisterne poste nei piani bassi delle cantine (di difficile
datazione) o ancora la cisterna “a parete” del medievale Casale
del Vitisciulo (Moliterni 1991, p. 33) che pur trovandosi
in un contesto integro, non reca alcun segno di canalette di
adduzione. Ancora più celebre è il caso di S. Pellegrino all’Ofra (Lionetti, Pelosi 2018, pp. 38-55) dove una canaletta
collega ipogei posti a livelli differenti, a mo’ di corrimano
lungo una scala ricavata internamente (fig. 11; Moliterni
1996, pp. 55-56). Tale canaletta termina in una cisterna, ma
nasce a mezza altezza lungo la parete delle scale, a qualche
metro di distanza da un’altra cisterna, posta inoltre più in
basso. Tale circostanza sarebbe inspiegabile immaginando il
meccanismo di tracimazione naturale per “troppo pieno”, ma
risulta totalmente coerente con il travaso manuale, secondo il
quale si prelevava l’acqua dalla prima, e dopo pochi passi, la
si immetteva nella canaletta in modo di giungere agilmente
alla seconda, posta al livello inferiore.
Appare chiaro dunque come ogni cisterna risultava scollegata dalle altre, fino all’intervento umano di travaso. Si badi
come tale circostanza differisca dalla visione di Laureano non
solo per l’equivoco del troppo pieno, ma specie perché nel suo
testo le cisterne dei Sassi fanno parte di un’unica grande rete,
dove ciascuna è una pedina di un unico grande sistema idrico.
Secondo l’autore, l’acqua precipitava a cascata dalle grandi
cisterne del Piano verso le cisterne inferiori, ramificandosi in
innumerevoli canalette e purificandosi col passaggio da una
cisterna all’altra. In realtà le grandi cisterne del Piano erano
fig. 11 – S. Pellegrino all’Ofra. A sinistra si può notare la canaletta
ricavata nella parete della scalinata che alimenta una cisterna ubicata
nell’ipogeo più basso; la canaletta non ha origine da una precedente cisterna ma direttamente nella parete, a mezza altezza (foto R. Paolicelli).
recentemente prova di tale circostanza quando nell’agosto
2017 durante un cantiere che ha interessato Piazza Vittorio
Veneto a Matera, un violento temporale ha immesso notevoli quantità di acqua piovana all’interno della cisterna del
cosiddetto Palombaro Lungo. Nonostante all’interno fosse
già presente una notevole quantità di acqua cristallina, solo a
distanza di 15 giorni l’acqua è tornata limpida, con la caduta
delle impurità sul fondo.
Sono state realizzate per tali motivi le “cisterne secondarie” di raccolta. Queste non sono collegate a canalette
di adduzione dell’acqua piovana provenienti dall’esterno
ma o ne sono totalmente prive, o queste le collegano ad
altre cisterne. La presenza di canalette di collegamento
fra cisterne ha fatto erroneamente ipotizzare (Laureano
1993, pp. 71; 116; 120; 151) 6 che le acque si trasferissero da
una cisterna all’altra per tracimazione naturale per “troppo
pieno”. Secondo tale ipotesi, al riempimento della prima
cisterna, l’acqua in eccesso sarebbe naturalmente tracimata
passando tramite la canaletta alla seconda cisterna, e da questa
allo stesso modo ad una presunta terza cisterna, e così via.
Di passaggio in passaggio l’acqua si sarebbe naturalmente
purificata, con il processo di decantazione. In realtà tale
sistema si sarebbe rivelato totalmente inefficace, proprio
perché la decantazione dell’acqua richiede tempi lunghi.
Pertanto l’arrivo di grandi masse di acqua torbida nella
prima cisterna avrebbe fatto tracimare acqua ancora torbida
nella seconda. E anche nell’ipotesi di una cisterna primaria
piena di acqua già decantata e ormai limpida, l’immissione
di acqua torbida avrebbe avuto l’effetto di inquinare l’acqua
limpida presente nella prima, e avrebbe lasciato tracimare
6
Laureano 1993, p. 71: «Allo stesso modo è organizzato un importante
sistema di cisterne che dal ciglio del pianoro alimenta una ramificata tramite di
canalizzazioni e bacini che discende entro tutti i Sassi»; p. 116: «Si arriva a oltre
dieci piani di grotte sovrapposte con decine di cisterne a campana riunite fra loro
da canali e sistemi di filtro dell’acqua. Come un sistema di enormi alambicchi, esse
permettono al liquido, passando dall’una all’altra, di purificarsi progressivamente»;
p. 120: «I flussi idrici che provengono dal Piano e dalla colline argillose, sono
captati, incanalati e ripartiti verso le grotte e i gradoni di erosione»; p. 151: «Le
cisterne raccolgono le acque, le filtrano e le indirizzano in modo controllato nei
Sassi, tramite una rete di scorrimento per gravità su cui si modella la trama urbana».
129
F. Dell’Aquila, F. Foschino, R. Paolicelli
cisterne pubbliche autonome e indipendenti, totalmente
scollegate dalle cisterne dei Sassi, e queste ultime erano di
esclusiva pertinenza dei loro proprietari, senza alcun tipo di
collegamento fra di loro, se si escludono i piccoli raggruppamenti di poche unità di cisterne primarie e secondarie appena
discusse, sempre afferenti al medesimo ipogeo.
L’esistenza diffusa di cisterne prive di canalette di adduzione, incompatibile con l’ipotesi della tracimazione naturale,
ha spinto Laureano a immaginare inesistenti cisterne “a condensazione”. Il loro funzionamento sarebbe basato sulla condensazione naturale dell’umidità dell’aria. Laureano prende a
esempio dei grandi fossi presenti negli altipiani e sormontati
da cumuli di pietra con l’ipotetica funzione di condensatori,
che creerebbero miracolosamente l’acqua dall’aria (Laureano
1993, p. 64) 7. Smentiamo categoricamente che siano mai
esistite cisterne a condensazione, spesso individuate in quelle
che qui abbiamo definito cisterne secondarie o in strutture
che presentano caratteristiche incontrovertibili di tombe a
tumulo di epoca preistorica, e che tali sono.
fig. 12 – Jazzo Nunziatella. Canaletta di deflusso per impedire l’allagamento del casale sottostante (foto R. Paolicelli).
6. CANALETTE DI DEVIAZIONE E DEFLUSSO
Per evitare indesiderati allagamenti l’acqua piovana veniva
regimentata a partire già dai pianori sovrastanti i casali, e se
una parte veniva raccolta, la parte eccedente veniva deviata
e dispersa. Apposite canalette, consistenti in tagli regolari e
poco profondi cavati nel banco calcarenitico, erano realizzate
in maniera perpendicolare rispetto alla direzione dell’acqua
(che per gravità scendeva dai pendii sovrastanti) con l’intento
di deviarne il flusso (fig. 12), sia a monte dell’intero insediamento, sia nei suoi livelli intermedi, come accade per il Casale
del Vitisciulo. Per evitare l’ingresso di acqua all’interno di
singoli ipogei venivano invece realizzate grondaie perimetrali
lungo gli ingressi più esposti (si vedano Loe e Vitisciulo) e
in sommità, attorno ai fori del soffitto. Questi, realizzati per
la dispersione dei fumi o come caditoie per l’immissione di
derrate negli ipogei, costituivano un potenziale ingresso di
acqua piovana, che veniva in tal modo scongiurato (fig. 13).
Sorprendentemente, a volte, tali canalette sono state ritenute
di adduzione, conseguentemente scambiando comignoli per
bocche di cisterne (fig. 14; Laureano 1993, p. 89).
7. COMPAR AZIONI
CON GLI INSEDIAMENTI PUGLIESI
fig. 13 – Masseria del Monte, Gravina di Picciano. Canalette di deflusso,
cavate sul pianoro in prossimità del ciglio della gravina, impediscono
all’acqua di entrare nella canna fumaria collegata all’ipogeo sottostante
(foto R. Paolicelli).
Se Matera si trova ai margini delle Murge, avvantaggiandosi delle fonti d’acqua della Fossa Bradanica, la situazione geologica è diversa per la contigua Puglia, dove l’acqua piovana
rivestiva un’importanza maggiore. Si prenda il caso dell’insediamento di Petruscio (Dell’Aquila 1974, pp. 60-61;
Parezan 1989), a Mottola. Risalta qui una distinzione
fra cisterne a uso collettivo e a uso privato. Le prime sono
situate sui pianori, in prossimità delle pareti verticali della
gravina, con una capienza fino a 100 m cubi, di probabile
utilizzo saltuario in quanto collocate a distanza dall’abitato.
Le cisterne private sono collocate nei pressi delle abitazioni,
o nei pressi di stalle, se per gli animali (fig. 15).
Segnaliamo qui il particolare caso di Lama d’Antico a
Fasano (Chionna 1973, 1975; Semeraro, Semeraro 1996;
Dell’Aquila, Messina 1998, pp. 154-157; Bertelli et al.
2004, pp. 159-188), dove sono presenti due cisterne in un
7
Laureano 1993, p. 64: «Monumenti tuttora enigmatici potrebbero essere
elaborati sistemi per condensare l’umidità e raccogliere la brina notturna. (…) È
possibile ipotizzare che, in mancanza di una grotta o di una sorgente, fosse proprio
il cumulo di sassi a produrre miracolosamente il liquido vitale. Durante la notte
la brina depositata sulle pietre defluisce nella fossa sottostante dove si raccoglie
e si conserva al riparo del calore del giorno. Di giorno l’umidità contenuta nei
venti che si insinuano fra le pietre si condensa per la minore temperatura della
camera piena d’acqua, determinando un ulteriore apporto idrico. All’origine della
struttura dei trulli pugliesi potrebbero esserci proprio tecniche di questo tipo».
130
Nuove acquisizioni sull’approvvigionamento idrico nel Materano in epoca medievale
fig. 14 – Vitisciulo. Canalette che deviano il percorso dell’acqua per
impedire l’ingresso all’interno della cucina rupestre tramite il comignolo
(foto R. Paolicelli).
fig. 17 – Ricostruzione della sezione della chiesa con la cisterna
(F. Dell’Aquila).
fig. 15 – Petruscio Mottola. Cisterna a servizio di un’abitazione con
stalla (rilievo F. Dell’Aquila).
fig. 18 – Petruscio, Mottola. Lungo una cengia si trova un nicchione
con alla base la bocca della cisterna e in alto gli alloggiamenti per un
asse ligneo con argano per tirare su un contenitore per attingere l’acqua
(F. Dell’Aquila).
luogo di culto. Le forme planovolumetriche dell’interno la
inseriscono nella tipologia di chiese a croce greca inscritte, che
vedono le prime realizzazioni nella seconda metà del IX secolo.
Il prospetto esterno schematicamente prevedeva un portale
composto a formare una croce egizia (fig. 16). Agli estremi
delle braccia della croce, alla loro base, sono state realizzate
due cisterne che raccolgono le acque meteoriche provenienti
dal pianoro soprastante la stessa chiesa tramite due canalette,
una per lato (fig. 17). Le cisterne hanno forma a campana. Le
due cisterne portano il pensiero all’acqua in esse contenute e
questo si collega al battesimo cristiano. Possiamo ipotizzare che
avvicinandosi all’ingresso della chiesa, si potessero ricordare le
fig. 16 – Fasano, Prospetto esterno della chiesa di Lama d’Antico prima
del 2003 (da M. Semeraro, R. Semeraro, Arte medievale nelle lame di
Fasano, Fasano 1998).
131
F. Dell’Aquila, F. Foschino, R. Paolicelli
parole di Giovanni (4, 13-14) «chiunque beve di quest’acqua,
avrà ancora sete, ma chi beve dell’acqua che gli darò io non
avrà mai più sete: anzi l’acqua che io gli darò diverrà in lui una
fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna». Un’educazione al
passaggio da terreno a ultraterreno: è così che la dottrina si
fa escatologia. Questo caso, come detto, è unico nel quadro
pugliese e materano. Si conosce la presenza di cisterne poste
nelle vicinanze delle chiese ma non direttamente inserite
nel complesso architettonico delle chiese, se si escludono
quelle da riferire ad interventi tardi o eseguiti all’abbandono
dell’uso religioso 8, o un paio di casi del materano (Cripta
del Cristo e la chiesa convenzionalmente nota come Acito S.
Campo, contigua alla Madonna della Croce) per le quali non
si può aver certezza della contemporaneità dell’esecuzione.
Segnaliamo infine la modalità di prelievo dell’acqua come
rinvenuta a Petruscio e dedotta dai segni presenti sulle pareti
laterali prossime alla cisterna (fig. 18).
F. Sogliani B. Gargiulo, E. Annunziata, Vitale (a cura di), VIII
Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Matera 2018), Vol.
III, Firenze, pp. 187-192.
Gattiglia G., 2013, Mappa, Pisa medievale: archeologia, analisi spaziali
e modelli predittivi, Roma, p. 156.
Ladurie E. 1995, Le Siecle des Platters (1499-1628), Paris, p. 24.
Lapadula E., 2008, Il villaggio della Loe nella murgia materana, organizzazione degli spazi e sfruttamento delle risorse, in E. De Minicis (a
cura di), Insediamenti rupestri di età medievale: Abitazioni e strutture
produttive, Spoleto, pp. 141-160.
Lattanzi E., 1976, Suppellettili bronzee di età romana da Matera e
dintorni, «Il museo Ridola di Matera», Matera, p. 115.
Lattanzi E., 1976, Insediamenti e necropoli a nord e ovest di Matera,
«Il museo Ridola di Matera», Matera, p. 120.
Laureano P., 1993, Giardini di Pietra, i Sassi di Matera e la civiltà
mediterranea, Torino.
Lionetti G., Pelosi M., 2018, Il complesso rupestre di San Pellegrino
in contrada Ofra a Matera, «Mathera», anno II, n. 5, pp. 38-55.
Lo Porto F.G., 1793, Necropoli di Fontana dei Marroni, in Civiltà
indigena e penetrazione greca nella Lucania orientale, Roma.
Moliterni F., 1991, Guida al villaggio saraceno, Matera, p. 33.
Moliterni F., 1996, Civiltà rupestre a Matera, escursioni guidate sulla
Murgia materana, Matera, pp. 55-56.
Paolicelli R., 2019, Il santuario di età ellenistica alla sorgente di Serra
Pollara, «Mathera», Anno III, n. 7, pp. 94-97.
Parezan P., 1989, Petruscio. La gravina di Mottola. Natura e Civiltà
rupestre, Galatina.
Pavone G., 2019, L’esplorazione della cisterna della Cattedrale di Ostuni,
«Lo Scudo», n. 5.
Sammarco M, Parise M., Donno G.P., Inguscio S., Rossi E., 2008,
Il sistema rupestre di località Macurano presso Montesardo (Lecce,
Puglia), «Opera Ipogea», pp. 273-282.
Riccetti L., 2008, Acqua e vino in una città medievale: Orvieto secoli
XII-XVI, Foligno, p. 24.
Semeraro M.H., Semeraro R., 1996, Arte medievale nelle lame di
Fasano, Fasano.
Statuto A., Gambetta G., 2016, “Matera e l’acqua”, Collana Parcomurgia, Matera.
Villani G, 1348, Nova Cronica, Libro XII, Capitolo XXVI, vol. 3, p. 71.
BIBLIOGR AFIA
Asm, Archivio di Stato di Potenza, Fondo Pref. Gabinetto, busta n. 286.
Bertelli G., Tedeschi L., Lepore G., 2004, La chiesa rupestre di Lama
d’Antico e alcune proposte per una catalogazione degli insediamenti in
rupe, in E. Menestò (a cura di), Quando abitavamo in grotta, Atti
del I conv. Inter. Sulla civiltà rupestre (Savelletri di Fasano – BR
2003), CISAM, Spoleto, pp. 159-188.
Bianco S., 1986, Rinvenimenti preistorici nell’area urbana di Matera, in
AA.VV., Matera. Piazza San Francesco d’Assisi, origine ed evoluzione
di uno spazio urbano, Matera, p. 70.
Canosa M.G., 1986, “Area Urbana” in AA.VV., Matera. Piazza San
Francesco d’Assisi, origine ed evoluzione di uno spazio urbano, Matera, p. 110.
Caprara R., 1979, La chiesa rupestre di San Marco a Massafra, Firenze,
pp. 33-35.
Chionna A., 1973, Il villaggio rupestre di Lama d’Antico, Fasano.
Chionna A., 1975, Insediamenti rupestri nel territorio di Fasano,
Azienda autonoma di cura soggiorno e turismo Fasano, Fasano.
Davy M., 1988, Il simbolismo medievale, Roma, p. 152.
Dell’Aquila F., 1974, L’insediamento rupestre di Petruscio, Bari, pp.
60-61.
Dell’Aquila F. – Messina A., 1998, Le chiese rupestri di Puglia e
Basilicata, Bari, pp. 154-157.
Dell’Aquila F., Caprara R., 2004, Per una tipologia delle abitazioni
rupestri, «Archeologia Medievale», XXXI, pp. 457-472.
Dell’Aquila F., Caragnano D., 2012, S. Gerolamo a Palagianello,
«Umanesimo della Pietra», n. 35, pp. 145-152.
Dell’Aquila F. – Paolicelli R., 2017, La chiesa rupestre del Crocefisso
a Chiancalata – Matera, «Mathera», Anno I, n. 1, pp. 22-27.
Fontana A., 2019, Il casale rupestre del Vitisciulo e la chiesa di Santa
Maria, «Mathera», Anno III, n. 9, pp. 46-55.
Gargiulo B., Sogliani F., Vitale V., 2018, Ricerche archeologiche
sulla Murgia materana. Il complesso rupestre di San Falcione, in
Summary
New findings on water supply in and around Medieval Matera.
The rupestrian sites of Matera are located near springs. This is the
result of intentional decisions on site location, and is helped by the
geological and topographical nature of the local area. This has made
it possible to use water from these sources for human consumption,
making rainwater available for uses other than drinking. Medieval
cisterns have been investigated, exclusively. These are datable on the
basis of typological comparisons, or by the fact they are structurally
integrated within dwellings that are definitely medieval. The few trench
cisterns, and the more common wall cisterns, have been surveyed and
described by type and by working mechanism. Also described is the
technique of excavation, thanks to the discovery of an unfinished cistern
in a medieval context. There follows a description of the mechanism for
filtering rainwater, which occurred by manually transferring the water
from one cistern to the other, with or without the use of water channels.
This contradicts the currently prevalent view that the water was allowed
to transfer naturally, when it reached the point of overspill. Decanting
was a slow process that involved the primary cistern, connected outside.
When the water was found to be clear, it was transferred by hand into
the secondary cisterns, excluding the presence of cisterns connected
by small channels for the overspill. The article ends with a number of
examples from Puglia, with the unique case of Lama d’Antico, that
features a cistern inside a place of worship.
Keywords: cisterns, trenches, Matera, filter, excavation techniques.
8
È il caso della chiesa di S. Marco a Massafra ove, nel nartece, una tomba
posta alla base di un arcosolio è stata trasformata in cisterna, profonda circa
3 m e con forma ovoidale, cfr. (Caprara 1979, pp. 33-35). Nel caso di S.
Girolamo a Palagianello la cisterna, sempre a forma ovoidale e profonda circa
2,70 m, fu ricavata dopo l’abbandono, utilizzando la preesistenza di una fovea
e aggiungendo una canaletta che convogliava l’acqua dall’esterno della chiesa,
cfr. (Dell’Aquila, Caragnano 2012, pp. 145-152).
132
Elisabetta De Minicis è Professore Associato in Archeologia Medievale presso l’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo. Ha condotto
numerose ricerche sull’ Archeologia dell’ Architettura, l’Archeologia
delle Strade, l’Archeologia della Produzione. Nell’ultimo ventennio si
è occupata in maniera prevalente dello studio degli abitato rupestri
medievali. Ha al suo attivo oltre cento pubblicazioni.
Giancarlo Pastura è Ricercatore in Archeologia Cristiana e Medievale presso l’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo. Conduce
ricerche prevalentemente sul territorio della Tuscia settentrionale
e partecipa a diversi progetti internazionali, anche con incarichi di
responsabilità. I suoi temi di ricerca sono l’Archeologia del Rupestre,
l’Archeologia dell’Architettura e la Topografia cristiana e medievale;
temi ai quali sono dedicati numerosi contributi scientifici.
€ 45,00
BAM-30
ISSN 2035-5319
ISBN 978-88-9285-010-1
e-ISBN 978-88-9285-011-8
Il rupestre e l’acqua nel Medioevo
Dopo due Convegni dedicati agli insediamenti rupestri di età medievale dove è stato avviato un necessario quanto interessante
confronto scientifico tra gli studi dell’Italia centrale e quelli dell’Italia meridionale e insulare, le aree maggiormente interessate dal
fenomeno rupestre si è ritenuto utile, con un terzo incontro a cui
questo volume si riferisce, focalizzare l’attenzione sul tema dell’acqua, qui volutamente distinto rispetto alle strutture costruite. Tale
decisione matura, in primo luogo, dalla necessità di chiarire come
il fenomeno rupestre sia parte fondante della ricerca archeologica
e non un aspetto accessorio, come troppo spesso è stato ritenuto.
Appare qui logico il ruolo fondamentale del rapporto con l’acqua
che assume diverse valenze nella sacralizzazione di un luogo, oppure
una continuità devozionale mai interrotta che ha proprio nell’acqua
il suo elemento caratterizzante. L’importanza di uno studio specifico
è ulteriormente accentuata nelle ricerche sui cosiddetti “contesti
rurali”. L’analisi di uno specifico sistema idraulico caratterizzato da
articolati insiemi di canalizzazioni a cielo aperto, cisterne e punti
di raccolta che si distribuiscono su più livelli, spesso utilizzando le
caratteristiche orografiche dei siti, messo in relazione con elementi
di cronologia assoluta trasforma anche questi impianti in indicatori
cronologici attendibili. Da qui l’importanza di mettere l’accento sul
maggior numero di esempi così da fornire un apporto decisivo all’analisi dei contesti rupestri trasformandoli in complessi storicamente
rilevanti. I temi della produttività assumono contorni diversi, a volte
promiscui con quelli della quotidianità; invece, negli acquedotti
urbani, dove si ha una convivenza tra l’approvvigionamento idrico
delle fontane e l’alimentazione delle attività produttive.
a cura di Elisabetta De Minicis, Giancarlo Pastura
30