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LAJME NOTIZIE
EPARCHIA DI LUNGRO
DEGLI ITALO-ALBANESI DELL’ITALIA CONTINENTALE
ANNO XXXI - Numero 3
Settembre-Dicembre 2019
Il Segretario di Stato di Sua Santità
Cardinale PIETRO PAROLIN
conclude le celebrazioni del
I Centenario dell’Eparchia di Lungro
5 dicembre 2019
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IN NOME DEI SANTI NICOLA E DONATO
LA STORICA VISITA DEL PATRIARCA BARTOLOMEO I
ALL’EPARCHIA DI LUNGRO
Pier Giorgio Taneburgo*
1. «Vi annuncio con gioia…»
Grande partecipazione dopo una grande attesa è stata quella che si è avuta a
Lungro, cuore dell’Eparchia degli Italo-albanesi dell’Italia continentale, il 18
settembre 2019. Nella circolare del mese di luglio 2019 il Vescovo Donato scriveva
al clero e ai fedeli della sua Chiesa:
Vi annuncio con gioia che Sua Santità il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli
Bartolomeo I visiterà la nostra Eparchia il 18-19 settembre p.v. Rendiamo
lodi, benedizioni e ringraziamenti alla Panaghía Triàs che per la prima volta
un Patriarca Ecumenico visita la nostra Eparchia. Diversi avvenimenti hanno
miracolosamente dischiuso questo nuovo e singolare cammino ecumenico
tra Lungro e Costantinopoli. Si aprono nuove piste dirette di conoscenza e di
rapporti personali, che prospettano anche nuove forme di fruttuose e fraterne
collaborazioni in vari campi.
L’azione ecumenica è opera di Dio. Richiede fede in Dio, pazienza, umiltà, fiducia
tra le persone e, nello stesso tempo, amicizia, proposte semplici con soluzioni
immediate e concrete. L’Eparchia di Lungro, come la sua genesi storica, è un
fulgido anello di congiunzione ed un modello unico ed incontestabile di fedeltà
alla spiritualità orientale ed alle direttive della Santa Sede1.
I festeggiamenti per il centenario della fondazione della stessa Eparchia possono
dirsi importanti e solenni, anche perché chi li ha organizzati ha ricordato un’antica
promessa. Quando il Patriarca Bartolomeo accolse l’Eparca al Fanar, il 4 giugno
2013, gli assicurò che avrebbe fatto il possibile per giungere a Lungro. Così è
stato in questo anno benedetto del centenario. Nel 2001 il Patriarca era già stato
in Calabria, il 23 marzo, in seguito all’invito di S.E. Mons. Antonio Cantisani,
Arcivescovo di Catanzaro. Ebbe modo di visitare la Calabria bizantina ed incontrò
gli ellenofoni, che hanno a Bova, vicino Reggio Calabria, il cuore della loro cultura
e lingua minoritaria.
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Gli studiosi sono attualmente divisi in due opinioni differenti riguardo l’origine
di questo nucleo. Alcuni credono sia giusto far risalire la prima presenza dei parlanti
greco in territorio calabrese all’epoca delle colonie della Magna Grecia. Altri,
invece, mediante fonti storiche differenti, fanno riferimento all’epoca bizantina, a
noi più vicina. Nel 2019, dopo la Calabria greca, Sua Santità il Patriarca è arrivato
nella Calabria del nord, quindi nei confini dell’Eparchia, che non ha una continuità
territoriale fra le sue zone.
2. Un evento di Chiese in terra calabrese
La Conferenza Episcopale Calabra ha inteso esprimersi come fraternità di Chiese
in cammino nella ricorrenza del primo centenario dell’istituzione dell’Eparchia di
Lungro. Perciò è stata diffusa a gennaio 2019 una Lettera augurale. Si compone di
quattro paragrafi complessivi, provvisti di titoli teologicamente densi. Sono colmi
di citazioni sia dei documenti del concilio Vaticano II, sia dal Magistero dei Papi.
Questa partecipazione sentita e solenne alla gioia dell’Eparchia effettivamente
mette in comunione fra loro delle Chiese sorelle. La prima unità che si dovrebbe
ricercare è quella fra i pastori e i greggi diversi a loro affidati. Vincere la mancanza
d’informazione e di sensibili scambi fra circoscrizioni che confinano e hanno tanto
in comune.
Così i Vescovi calabresi hanno voluto salutare, anzitutto, in Mons. Donato
Oliverio «il Pastore di una Chiesa diffusa in trenta Parrocchie di centri dislocati a
macchia di leopardo sul territorio di ben sei diocesi del centro-sud Italia, in piena
comunione con Roma e, per via liturgica, ininterrottamente in comunione con la
Tradizione Bizantina dei Padri»2.
Si intuisce, quindi, che anche la festa dei primi cento anni di vita ha radici assai
più lontane. E ancor più chiede ai cristiani d’Occidente e d’Oriente di riuscire a
camminare insieme, alla ricerca di progetti e vie concrete di unità. I greco-cattolici
ovunque nel mondo assolvono a questo specifico ruolo: mettere la propria tradizione
liturgica, simbolica, cultuale, artistica a servizio della Chiesa Una, coltivando il
sogno di un dialogo più fecondo tra fedeli cattolici e ortodossi.
Il secondo paragrafo della Lettera si intitola «Un felice evento centenario» e ha
un impianto pressoché storico. Si considerano alcuni ritratti di figure importanti per
gli Italo-albanesi. Si incomincia con Giorgio Castriota Scanderbeg (1405-1468),
da tutti considerato un vero patriota, difensore dell’unità nazionale albanese. È
passata alla storia la frase che egli avrebbe pronunciato per incitare allo spirito
dell’albanesità: «La libertà non l’ho donata io a voi, ma l’ho trovata scritta nei
vostri occhi».
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Un poeta e intellettuale albanese, Pashko Vasa (1825-1892), circa quattro
secoli più tardi, avrebbe ripreso lo stesso spirito nazionalistico per propagare il
Risorgimento albanese, scrivendo un celebre verso, che in lingua albanese ha in sé
la rima: «Non guardate a chiese e moschee / la fede degli albanesi è l’albanesità»
(Mos shikoni kisha e xhamia / feja e shqiptarit është shqiptaria).
Dal Papa spagnolo Callisto III e dal successore Pio II (Enea Silvio Piccolomini),
Scanderbeg fu definito «athleta Christi» e «defensor fidei», per aver combattuto
l’avanzata dei Turchi, sia in territorio albanese sia in Puglia, a Trani. Molte battaglie
vinte fin quando rimase in vita, la rapida capitolazione dei Balcani occidentali non
appena morto.
Scrivono i Vescovi calabresi ai fedeli di Lungro, alla fine di questo paragrafo:
«Costituite, con il vostro antico patrimonio linguistico ed ecclesiale bizantino, una
vera e propria isola orientale nel cuore della Chiesa Cattolica»3.
3. La Chiesa cattolica ha due polmoni
Si sa che la stessa Madre Chiesa respira con due polmoni, come viene ricordato
nel terzo paragrafo. Già Clemente VIII nella Perbrevis Instructio (31 agosto 1595)
aveva sottolineato l’esistenza di un’unica Chiesa, manifestatasi all’esterno con due
diverse comunità di cattolici, provviste di tradizioni proprie, il rito orientale e il rito
latino.
Ma la metafora dei due polmoni si adatta molto bene anche alle confessioni nei
secoli distinte e purtroppo separate. San Giovanni Paolo II, a Parigi, il 31 maggio
1980, disse ai rappresentanti delle comunità cristiane non cattoliche, ricordando la
visita fraterna al Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli: «Non si può respirare
come cristiani, direi di più, come cattolici, con un solo polmone; bisogna avere due
polmoni, cioè quello orientale e quello occidentale»4.
Assai più di recente, il 14 giugno 2018, S.Em. il Card. Angelo Bagnasco a Lungro
ha tenuto un intervento in qualità di Presidente del Consiglio delle Conferenze
Episcopali d’Europa, durante il 21° Incontro dei Vescovi cattolici orientali, sul tema
«Il volto di una Chiesa orientale». Nella cattedrale lungrese di San Nicola di Mira
ha fatto riferimento anche al tema classico dei due polmoni5. In verità, chi conosce i
rudimenti della chirurgia toracica sa che è possibile respirare anche con una parte di
un solo polmone, ma si tratta sempre e soltanto di situazioni patologiche serie, che
hanno richiesto un intervento senza ritorno ed esigono la necessaria riabilitazione.
E ora una considerazione di tipo teologico-spirituale, che potrebbe dare ragione
della dialettica fra unità e duplicità. Già al principio del concilio Vaticano II si
collezionarono molti interventi in aula riguardo lo schema che portava il titolo
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generale De Ecclesiae unitate. Il 27 novembre 1962, Mons. Elias Zoghby, Vicario
in Egitto e Sudan di Sua Beatitudine il Patriarca greco-melkita Maximos IV, in un
contributo sull’«unità cristiana dal punto di vista orientale e ortodosso» si curò di
riprendere il dogma della santissima Trinità.
Vedete dunque, venerabili padri, […] che vi sono nella cristianità, dalle origini,
due correnti principali che incanalano le ricchezze della redenzione in due
direzioni parallele, che possono completarsi, arricchirsi reciprocamente, senza
confondersi. Finché l’Oriente rimarrà Oriente e finché l’Occidente rimarrà
Occidente, vi saranno sempre, come vi sono sempre state, due Chiese in Una. Con
l’aiuto di Dio, esse possono unirsi ma mai fondersi; possono coesistere nell’unità
ma mai nell’uniformità. Ognuna delle due Chiese manterrà necessariamente il
suo carattere proprio, la sua fisionomia, la sua personalità. Nostro Signore ha
detto ai suoi: Siate uno come il Padre mio e Io siamo Uno. Ora, uniti nella stessa
Natura, il Padre, il Figlio e lo Spirito santo mantengono ciascuno la propria
personalità distinta. Un Dio in tre Persone. È allo stesso modo che Cristo vuol
vedere realizzata l’unità cristiana: delle Chiese che rimangono distinte ma
consustanzialmente unite nella Chiesa, veramente Una nella sua sovranatura,
nella sua società ordinata gerarchicamente6.
Si tratta di una conferma del fatto che la pluriformità, in genere, dovrebbe avere
la meglio sull’uniformità. E che sono accuratamente da evitare quei movimenti o
processi di fusione tra le Chiese, in cui si potrebbero perdere le peculiarità proprie,
le caratteristiche rituali, i respiri più tipici di ciascuna di esse. Incontro dei diversi,
dei fedeli altri, avvicinamento delle tradizioni e dei riti per una migliore conoscenza
vicendevole.
4. La Bolla Catholici fideles
L’anno del centenario della fondazione dell’Eparchia è stato preparato da più
eventi, fra cui anche il suddetto Incontro dei Vescovi orientali cattolici d’Europa,
a Lungro, a giugno 2018. Ma il documento che in varie sedi è stato necessario
riprendere e approfondire nella sua portata storica è la Costituzione Apostolica
Catholici fideles graeci ritus del 13 febbraio 19197.
L’artefice di questo pronunciamento ufficiale è Papa Benedetto XV (Giacomo
della Chiesa, 1854-1922). Egli «è passato alla storia come il pontefice dell’“inutile
strage”, per aver così definito la Prima Guerra mondiale nella nota inviata il 1°
agosto 1917 ai capi dei Paesi belligeranti. Nello stesso contesto il pontefice definiva
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la guerra “suicidio dell’Europa civile”. Purtroppo quegli sforzi non valsero a niente
e si dovette registrare un’ulteriore mortificazione, perché la posizione imparziale
del papa venne considerata a sostegno delle potenze nemiche. Per irriderlo
pesantemente, in Italia alcuni lo chiamavano Maledetto XV»8.
In realtà a Papa Benedetto XV bisogna riconoscere una grandissima attenzione
verso la Chiesa cattolica in Oriente e il mondo che ruotava e tuttora ruota e dipende
dal suo buono stato di salute. Il 15 ottobre 1917 col “Motu proprio” Orientis catholici
il Pontefice aveva voluto la fondazione del Pontificio Istituto Orientale, a Roma,
«per il felice successo del cristianesimo in Oriente». Appena pochi mesi prima, a
maggio, aveva istituito la Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale. E dunque,
la Catholici fideles fa parte di un progetto molto più ampio, col quale si continuava
ad assicurare ai fratelli orientali non solo protezione e paterna sollecitudine, ma
anche consolidamento e slancio di vita nuova per le future attività. Si legge in una
lapide sulla controfacciata della cattedrale di San Nicola, a Lungro:
A Benedetto Papa XV che onorò la città di Lungro erigendovi la nuova diocesi di
rito greco restaurando elevando alla dignità di cattedrale questa chiesa.
Al suo degno Successore Pio Papa XI che ne proseguì l’abbellimento in segno di
gratitudine e a perenne memoria il Vescovo e il Popolo di Lungro posero - XVI
luglio MCMXXII
Nella Catholici fideles del 1919 il riferimento alla Costituzione Apostolica Etsi
pastoralis (1742), promulgata da Papa Benedetto XIV, era necessario per capire
le grandi sofferenze che gli Italo-albanesi avevano dovuto affrontare. Già in quel
documento si parlava di «porre a questi mali un opportuno rimedio e rimuovere
ogni causa di liti, contese, dissidi, lotte, discussioni e controversie»9. Lo sforzo
compiuto in un tempo così lontano, però, non aveva portato frutto e Benedetto XV
lo sapeva assai bene.
Anche in Albania, la madrepatria, si era dovuto fare i conti con la latinizzazione
forzata del rito delle comunità cristiane, specie nella parte centro-settentrionale,
delimitata dal corso del fiume Mat, e poi con l’islamizzazione successiva alla
scomparsa di Scanderbeg, divenuta norma della vita sociale e religiosa. Una
sofferenza dopo l’altra per gente che, pur temprata dai sacrifici, sembrava non
trovare né stabilità né pace.
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5. 1919, anno di mutamenti
Dopo la fine della Prima Guerra mondiale l’Europa, e anche Stati più lontani
dalle nostre latitudini, sentivano il bisogno di ricostruirsi sulla solida roccia della
pace. La Conferenza di Parigi avrebbe dovuto dare corpo a queste attese, ma i Paesi
vincitori stabilirono un cumulo di sanzioni troppo pesanti, impossibili da onorare.
John Maynard Keynes (1883-1946) spiegò assai bene le sue perplessità nel saggio
The Economic Consequences of the Peace, di cui ricordiamo il primo centenario,
come per la nostra Eparchia. A proposito del Consiglio dei Quattro ebbe a scrivere
così:
«Il lettore mi scuserà: considerando quanto il mondo, se vuole comprendere il
suo destino, abbia bisogno di luce, sia pure incerta e parziale, riguardo alla lotta
complessa e non ancora conclusa di volontà umane e di propositi che, concentrata
nelle persone di quattro individui in una misura senza precedenti, li rese nei primi
mesi del 1919 il microcosmo dell’umanità»10. Il riferimento è a Georges Clemenceau,
Primo Ministro francese; il Primo Ministro italiano Orlando, il Premier britannico
Lloyd George e il Presidente degli Stati Uniti Wilson.
Il trattato multilaterale, firmato il 28 giugno 1919 nella Galleria degli specchi
della reggia di Versailles, non dava grandi rassicurazioni, anzi agli occhi di gran
parte degli osservatori di tutto il mondo appariva adatto a risvegliare antichi rancori,
innescando – prima o poi – nuovi conflitti11.
In questo clima di forti contrapposizioni, di perdite umane e materiali ingenti, si
colloca la Costituzione Catholici fideles per l’istituzione dell’Eparchia di Lungro.
Si potrebbe forse anche definire clima del “giorno dopo”, quando alla rovina totale
bisogna comunque opporre la capacità di ripartire dalle piccole realtà positive, che
fanno germogliare nuovi sogni di ricostruzione e di pace. È l’esperienza del piccolo
gregge, che dona speranza a contesti più grandi e complessi, già in sofferenza, per
segnare un passo diverso, finalizzato alla guarigione delle ferite e alla purificazione
della memoria.
Allo stesso identico modo ci si domanda: quale ricordo avrebbe potuto
accompagnare i discendenti degli Albanesi fuggiti dalla loro madrepatria, se non
la tremenda contrapposizione coi Turchi e con la loro voglia d’imporsi in Europa?
Nel 1961, in un giardino pubblico di Lungro, nel centenario dell’unità d’Italia,
fu realizzato un monumento ai Caduti di tutte le guerre, a forma di obelisco, con
iscrizioni su tre facce e una corona d’alloro in rilievo sul prospetto principale,
«perché perenne sia il ricordo degli eroi». Sicuramente anche Lungro ha pianto i
suoi figli soldati, sacrificatisi per la Patria. E in tutti i Lungresi mai si è spento il
desiderio di una pace duratura, un progresso sociale ed economico, che soltanto
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condizioni minime di dialogo e convivenza potrebbero assicurare. Sentimenti di
unità e riconciliazione che la visita del Patriarca Bartolomeo è giunta a rinfocolare.
6. Il saluto iniziale di Mons. Oliverio
Dopo aver atteso un lasso di tempo maggiore del previsto, con grande concorso
di popolo, di Vescovi e di Sindaci dei dintorni, è entrato in cattedrale Sua Santità il
Patriarca. Erano circa le ore 18 di mercoledì 18 settembre. L’Eparca, dopo averlo
accolto nel palazzo vescovile, gli ha rivolto un saluto di benvenuto dinanzi al trono
preparato sul presbiterio. Nelle ultime cinque file di posti hanno potuto accomodarsi
i fedeli laici. La maggior parte delle poltrone, invece, erano riservate agli invitati
e altri ospiti che avevano preventivamente comunicato di voler intervenire. Nel
transetto laterale erano accomodati i Vescovi e il clero di varie Diocesi, in particolare
quelle calabresi.
Mons. Oliverio, presentando la realtà da lui animata e servita, ha subito fatto un
cenno alla tradizione costantinopolitana accolta e rivissuta nella diaspora. Si tratta
di un esempio di fedeltà a Roma e insieme a Costantinopoli, tipico delle comunità
albanofone calabresi di rito bizantino. Papa Francesco in visita in Calabria nel
2014 ebbe a sottolineare «la varietà dei doni che arricchiscono la Chiesa di carismi
diversi», riferendosi ai diversi riti e tradizioni esistenti nella regione Calabria.
L’Eparca ha proseguito asserendo che l’occupazione ottomana di Costantinopoli
del 1453 è un ricordo lontano ma vivo. In Calabria si prega anche in lingua greca e in
lingua albanese. Su ogni altare vive e viene osservato il Typicon di Costantinopoli.
Nella cattedrale di Lungro è presente l’iconografia bizantina sia negli affreschi sia
nei mosaici. Come il volto di Dio si rende visibile attraverso le sante icone, così l’arte
ovunque parla della grandiosità divina. Insieme alle migrazioni dei padri del XV
secolo si debbono ricordare necessariamente il concilio di Firenze, l’occupazione
turca di Costantinopoli e la morte di Giorgio Castriota Scanderbeg12.
Mons. Oliverio, dunque, ha tracciato una sintesi della storia dei fedeli di rito
greco-bizantino. Dopo il concilio di Trento essi furono posti sotto il rito latino,
sottraendoli alla giurisdizione dell’Arcivescovo ortodosso di Ocrida. Vi fu un
periodo in cui i Vescovi orientali, inviati dall’Arcivescovo di Ocrida, venivano
regolarmente accolti, sotto lo sguardo vigile e paterno del Vescovo di Roma. Per
questo gli Italo-albanesi hanno ricevuto un’eredità teologica e patristica, un prezioso
patrimonio spirituale, caratterizzante e specifico dell’identità orientale, formatasi
grazie ai flussi migratori.
Durante e dopo il XV secolo le comunità albanofone in territorio occidentale,
nella giurisdizione del Papa di Roma, sono un fatto unico. La santità originaria
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greco-costantinopolitana è rimasta sempre la stessa. In questo solco si collocano i
vari sforzi di dialogo e comunione con gli altri greco-cattolici residenti in Italia. Nel
1940 si tenne il primo Sinodo intereparchiale a Grottaferrata. Poi ancora una volta
nel 2004-2005 con gli Orientamenti pastorali e le Norme canoniche promulgate
nel 2010. È già capitato che i Metropoliti ortodossi giunti in visita nell’Eparchia
abbiano scoperto negli Italo-albanesi dei fratelli di cui ignoravano l’esistenza.
L’Eparca ha ricordato ai presenti che Cosenza, Castrovillari, Cantinella di
Corigliano Calabro, Bari e Lecce sono città con comunità greco-cattoliche inserite
in un tessuto latino, come fossero parrocchie extra-territoriali. L’occasione della
venuta del Patriarca ha motivato anche la visita a Lungro del Presidente della
Conferenza Episcopale Italiana, S.Em. il Card. Bassetti, prima volta nella storia per
un Presidente della CEI in carica.
Proseguendo nei ringraziamenti, è stata la volta di Mons. Andrea Palmieri,
Sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani,
particolarmente dedito al dialogo con i greco-ortodossi e sempre presente ai convegni
celebrati nell’Eparchia. Poi il Dr. Virgilio Avato, apostolo laico dell’ecumenismo
nell’Eparchia, grande amico del Patriarca. Tutto ha concorso al solo fine di giungere
alla sospirata e necessaria unità visibile della Chiesa di Cristo.
Mons. Oliverio ha concluso dicendo che grazie alla visita del Patriarca, ricca di
doni celesti, l’Eparchia ha vissuto un grande momento. Manca soltanto la gioia di
celebrare insieme la Divina Liturgia sotto lo sguardo del Cristo Pantocrator, nella
cupola della cattedrale, e della Vergine Platytera, che genera sempre figli nell’unica
Chiesa. Dunque, bisogna restare appesi alla croce, in attesa della risurrezione che
potremo vivere il giorno dell’unità.
7. La risposta del Patriarca Bartolomeo
La celebrazione del Vespro è stata agevolata da un libretto in tre lingue: greco,
albanese e italiano. Si trattava della Metheortia dell’Esaltazione della Santa Croce
con la memoria dei Santi Martiri Trofimo, Sabatio e Dorimedonte. Alcuni versi sono
stati cantati un’altra volta nella cattedrale di San Nicola, come quelli del celebre
Inno vespertino chiamato Phos ilaròn:
O Luce gioiosa della gloria santa del Padre, immortale, celeste, beato, o Cristo
Gesù, noi, giunti al tramonto del sole e vista la luce della sera, inneggiamo a Dio
Padre, Figlio e Spirito Santo. È giusto che Tu sia lodato con voci convenienti in
ogni tempo, o Figlio di Dio, datore di vita, perciò il mondo ti dà gloria13.
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Prendendo poi la parola, il Patriarca ha subito spiegato che la grazia proveniente
dal Vescovo Nicola santifica tanto la Diocesi di Mira, quanto la città di Bari con
le reliquie che grondano il santo myron e i Lungresi, che gli hanno dedicato un
tempio così splendido. Il Vescovo pastore e modello sia in quest’occasione e
sempre aiuto e intercessore.
Il Vescovo Donato – ha proseguito il Patriarca – porta il nome di un santo
Padre, grande taumaturgo, uno dei centocinquanta Padri teofori. Il nome di san
Donato si trova nell’elenco dei partecipanti al secondo Concilio di Costantinopoli,
nel 381. Essi completarono il sacro Simbolo della fede e nel terzo Canone si
pronunciarono sul fatto che la Chiesa di Costantinopoli avesse la precedenza
sulle altre come nuova Roma. Donato non fu martire, ma vescovo di Evorea14.
Il Patriarca, poi, ha compiuto un salto per richiamare la presenza dei greci in
terra calabrese. La Calabria era terra ortodossa, caratterizzata da un monachesimo
filocalico. Si potrebbe affermare, allora, che le relazioni di parentela e di sangue
non cambiano. La madre pensa ogni giorno ai suoi figli e, per quanto lontani,
prega sempre per loro. Così la Chiesa Madre di Costantinopoli ha per l’Eparchia
di Lungro questi stessi sentimenti. Si rallegra nel vedere che sono mantenute le
tradizioni e la lingua, riconosciuti non solo come fatti esteriori, ma prova di una
sete, una nostalgia, un amore forte come la morte.
Il Patriarca ha constatato un nuovo, particolare periodo di sviluppo della
Chiesa ortodossa in Italia con le parrocchie per i fedeli ortodossi che di fatto vi
si sono stabiliti. Riprendono vita anche alcuni monasteri ortodossi in rovina o in
semi-rovina, ridestati da un lungo sonno, grazie alla spinta e alla buona volontà
di S.Em. il Metropolita Gennadios e con l’aiuto delle autorità civili. Sicuramente
nessuno vorrebbe considerarli avversari della fede cattolica.
A Sua Santità Francesco i greco-ortodossi sono uniti da un amore sincero. Il
Patriarca ha spiegato di averlo incontrato a Roma il giorno precedente alla visita.
Con lui ha avuto un caloroso colloquio ed è stato significativo potergli inviare
anche da Lungro un affettuoso saluto. I cattolici latini e gli ortodossi hanno in
piedi un dialogo teologico alquanto progredito. A dividerli, ovviamente, ci sono
dati di primaria o secondaria importanza. Bisogna augurarsi che spunti il santo
giorno in cui si troveranno alla stessa mensa.
Bartolomeo ha incoraggiato i fedeli lungresi a continuare a custodire gli
elementi che hanno ricevuto dai loro avi. Ha voluto, infine, congratularsi per i
cento anni dell’Eparchia. Ha auspicato di mantenere sempre forte il legame di
pace con gli ortodossi, «per le preghiere dei Santi Nicola e Donato e di tutti i
Santi della Calabria».
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8. Esiti dell’incontro
La visita del Patriarca ha toccato non solo Lungro, ma anche Rossano Calabro
e San Demetrio Corone, il giorno 19 settembre 2019. Un esito ulteriore e positivo
è rappresentato dalla riunione della Conferenza Episcopale Calabra (CEC), a
Lungro, dal 30 settembre al 2 ottobre. Si ribadisce così quanto sopra detto, ovvero
che si è trattato di un evento di Chiese sorelle in terra di Calabria. Il pellegrinaggio
di tutta l’Eparchia a Bari, presso la Basilica di San Nicola, sabato 9 novembre,
ha segnato un altro momento importante e di coesione tra i partecipanti nel
nome, per affetto e devozione al Santo della Chiesa indivisa. La visita del Card.
Segretario di Stato, S.Em. Pietro Parolin, a chiusura del centenario, cade il 5
dicembre 2019, con la sfida a passare dalle solenni celebrazioni e dai numerosi
discorsi all’operatività di un impegno fattivo, sempre più fecondo di frutti.
Ancor oggi in Albania si usa festeggiare un evento o un santo della Chiesa
cattolica esattamente nel giorno della vigilia. Perciò la sera del 5 dicembre - në
prag të Shën Kollës - si colora di preghiera ed emozioni forti. Ha scritto l’Eparca
Mons. Donato nella Lettera circolare al clero, religiose e fedeli laici (5 novembre
2019):
«In un giorno solenne come quello della vigilia del Santo Patrono “San Nicola
di Mira” desidero invitare tutta l’Eparchia ad onorare la memoria di San Nicola,
segno di unità tra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente. Abbiamo posto il
primo centenario sotto la protezione del Santo Patrono, e siamo certi di contare
sulla sua spirituale presenza tra di noi e sulla intercessione potente davanti al
Signore».
Mons. Zef Simoni, Vescovo ausiliare di Scutari, nel nord dell’Albania,
dopo il 1993, al ristabilimento della gerarchia cattolica nella nazione, scrisse
un libro-testimonianza sulle sofferenze subite durante la dittatura comunista. Si
esprimeva così:
All’anagrafe, era una continua lotta, riguardo al nome da mettere ai neonati
poiché avevano proibito i nomi che avessero un riferimento religioso e a nulla
approdavano le rimostranze dei genitori che vantavano il loro diritto di dare
il nome dei loro antenati ai figli. Ancor più esposti alle rappresaglie erano
quei coraggiosi che, alla vigilia di San Nicola, facevano lunghe code davanti
agli spacci per procurarsi del vino e che tenevano accese le luci fino all’alba
inneggiando al Santo con il canto tradizionale “Quanti prodigi e miracoli”15.
In tutta l’Albania del XX secolo, come pure in tempi remoti, per la ricorrenza
di San Nicola si usava – e si usa – comprare un gallo, e dopo averlo ucciso,
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prepararlo per la tavola della festa. Si tratta spesso di famiglie anche di tradizione
musulmana, per cui nel nome di San Nicola si avvicinano le religioni e i fedeli
percorrono strade già asfaltate di dialogo e armonia. Si procede alla scoperta di
un’inedita mappa del sacro, i cui frequentatori hanno da testimoniare qualcosa di
importante, un tesoro di tradizione e speranze inimmaginabili, anche alla gente
di Calabria e dell’Italia intera.
9. Auspici e preghiere conclusive
La visita del Patriarca Bartolomeo all’Eparchia di Lungro, in senso più largo
alla Calabria settentrionale, potrà di certo restare nella storia delle buone e sante
relazioni, intessute fra i cattolici latini, quelli di rito greco-bizantino e i fedeli
ortodossi. Tutti, però, auspicano un ulteriore, mirabile effetto, che solamente la
pietà diffusa e tangibile verso San Nicola di Mira potrebbe ottenere.
I più numerosi a pregare nella cripta della basilica di San Nicola a Bari sono
esattamente i fedeli ortodossi russi e ucraini. La stessa fede potrà riavvicinare i
russi ai greci, perché il corso degli eventi li ha portati - a cicli alterni e ripetuti - a
salutarsi da lontano, non riuscendo ogni volta ad abbracciarsi con affetto sincero,
né rimanendo immuni da pesanti giudizi vicendevoli.
La storia ci stimola a non commettere gli stessi errori e a voler dimenticare
il più presto possibile i motivi di divisione. Dovremmo desiderare di saltare con
disinvoltura dal mondo dell’ortodossia greca a quella slava, suggendo da queste
infiorescenze tutto il nettare possibile, per addolcire e trasformare l’esperienza
degli umani, spesso oggi così amara nell’Europa orientale e nel mondo.
Al Moleben si avvicina nella tradizione greco-ortodossa il servizio della
Paràklesis, rendendo in uno e nell’altro caso la Liturgia uno specchio della Divina
Presenza in mezzo ai fedeli. Per questo ci piace concludere con una supplica
a San Nicola, ricavata dal libro Preghiere dei Moleben (Petrograd, 1915), una
«preghiera letta davanti all’icona miracolosa dello ierarca Nicola nel villaggio di
Promzina nella diocesi di Simbir»:
O padre Nicola, degno di ogni lode, grande taumaturgo, ierarca di Cristo! Ti
preghiamo, sii speranza di tutti i cristiani e protettore dei fedeli. Nutri gli affamati,
sii allegrezza di coloro che piangono, medico degli ammalati, guida dei naviganti
sul mare. Cura i poveri e gli orfani, aiuta prontamente e soccorri tutti, affinché
possiamo vivere una vita pacifica qui e siamo resi degni di vedere la gloria degli
eletti di Dio nei cieli e con loro incessantemente inneggiare a Dio, uno e trino e
degno di adorazione, nei secoli dei secoli16.
I CENTENARIO
Settembre-Dicembre 2019
LAJME/NOTIZIE
137
* Docente di Teologia ecumenica presso la Facoltà Teologica Pugliese (Bari - Molfetta); piergt@
tiscali.it
Note di chiusura
1 Eparchia di Lungro, ed., Vespro nella Cattedrale San Nicola di Mira (stampato in proprio),
Lungro 2019, 2. Sulla copertina è da intendere “Mercoledì 18” al posto di “Giovedì 19 settembre
2019”.
2
Conferenza Episcopale Calabra, Lettera per il Primo Centenario dell’Istituzione
dell’Eparchia di Lungro. 13 febbraio 1919-2019, Grafiche Simone, Catanzaro 2019, 1.
3 Conferenza Episcopale Calabra, Lettera per il Primo Centenario, 2.
4 AAS 72 (1980) 704.
5 Una breve cronaca dell’Incontro è stata scritta da A. Talarico, «Il volto di una Chiesa Orientale.
Teologia - Diritto particolare - Liturgia. XXI Incontro dei vescovi orientali cattolici d’Europa
(Lungro, 14-17 giugno 2018)», Colloquia Mediterranea 8 (2018/1) 157-159.
6 Discorsi di Massimo IV al Concilio. Discorsi e note del Patriarca Massimo IV e dei Vescovi
della sua Chiesa al Concilio Ecumenico Vaticano II, Dehoniane, Bologna 1968, 366-367.
7 Il testo integrale della Costituzione, nella traduzione in lingua italiana, si trova in: AAS (1919)
222-226; A. Vaccaro, Italo-albanensia, Bios, Cosenza 1994, 220-230; P. Lanza - D. Guzzardi,
edd., Eparchia di Lungro, una piccola Diocesi Cattolica Bizantina per i fedeli Italo-Albanesi
«precursori del moderno ecumenismo», Progetto 2000, Cosenza 2019, 30-35.
8 P.G. Taneburgo, «Interazioni mediterranee in vista dell’incontro di Bari (19-23 febbraio 2020)»,
in E. Albano – P.G. Taneburgo, edd., Mediterraneo, «sorgente inestinguibile di creatività» [=
Apulia Theologica 6 (2020/1)], EDB, Bologna 2020, in corso di stampa.
9 P. Lanza - D. Guzzardi, edd., Eparchia di Lungro, 32.
10 J.M. Keynes, Le conseguenze economiche della pace, Adelphi, Milano 2007, 37. L’interesse
mai sopito verso il fondatore della macroeconomia è sfociato nella recente ripubblicazione di
una biografia del 2007: A. Minc, Diavolo di un Keynes. Una vita di John Maynard Keynes,
UTET, Milano 2019.
11 Cfr. F. Cardini - S. Valzania, La pace mancata. La Conferenza di Parigi e le sue conseguenze,
Mondadori, Milano 2018.
12 Il concilio unionista, iniziato nel 1438 a Ferrara, si risolse l’anno seguente a Firenze, alla
presenza di Vescovi ortodossi di Grecia e di Russia, nel complesso di Santa Maria Novella. Cfr.
il contributo di R. Burigana, «Firenze in Calabria. Una pagina sempre viva del Concilio di
Firenze», in Id. – P. Piatti, edd., Un Concilio di oggi. La memoria, la recezione e il presente del
Concilio di Firenze (1439-2019), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020, in corso di
stampa. Si tratta degli Atti del Convegno tenuto a Firenze nei giorni 21-23 ottobre 2019.
13 Eparchia di Lungro, ed., Vespro nella Cattedrale, 18.
14 Dopo la sua morte, avvenuta verso il 387, san Donato divenne patrono dell’Epiro, nell’attuale
Grecia. Dunque, la diocesi è quella detta anche di Eurea di Epiro, suffraganea dell’arcidiocesi di
Nicopoli. Donato ne fu vescovo al tempo dell’imperatore Teodosio.
15 Z. Simoni, Luci nella tenebra. La persecuzione della Chiesa in Albania, Ed. At Gjergj Fishta,
Scutari 1997, 87.
16 V. Polidori, ed., Libro di preghiere ortodosse. Molitvoslov, Dehoniane, Bologna 2019, 67.
1919 - 2019