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L'usucapione dei beni ereditari da parte del coerede

2019, Giustizia civile

Breve riflessioni sui rapporti tra comunione ereditaria e usucapione

L'USUCAPIONE DEI BENI EREDITARI DA PARTE DEL COEREDE di EMANUELE TEDESCO Approfondimento del 13 marzo 2019 ISSN 2420-9651 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco La Suprema Corte di Cassazione torna con la decisione n. 966, depositata il 16 gennaio 2019, su un tema noto: l'usucapione del bene ereditario indiviso da parte del coerede. Il tema non può di certo dirsi nuovo. E, infatti, già sotto la vigenza del codice civile del 1865 era cospicuo il dibattito sul rapporto tra usucapione dei beni ereditari e interversione del possesso. SOMMARIO: 1. L’usucapione da parte del coerede: la sentenza. - 2. L’usucapione: presupposti e ratio. - 3. L’interversione del possesso. - 4. Compossesso e interversione. - 5. Compossesso ereditario: l’art. 714 c.c. e la giurisprudenza. - 6. Il possesso esclusivo. - 7. Conclusioni. 2 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco 1. L’usucapione da parte del coerede: la sentenza. La Suprema Corte di Cassazione torna con la decisione n. 966, depositata il 16 gennaio 2019 [1],su un tema noto: l’usucapione del bene ereditario indiviso da parte del coerede. Il tema non può di certo dirsi nuovo. E, infatti, già sotto la vigenza del codice civile del 1865 era cospicuo il dibattito [2] sul rapporto tra usucapione dei beni ereditari e interversione del possesso [3]. In merito, la giurisprudenza di legittimità è monolitica nell’affermare che il coerede, rimasto nel possesso del bene ereditario dopo la morte del de cuius, può, prima della divisione, usucapire la quota relativa agli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso [4]. La decisione in esame s’innesta perfettamente in questo trend giurisprudenziale, peraltro ormai consolidato. L’iter processuale e i fatti oggetto di causa sono così sintetizzabili. Aperta la successione ereditaria, uno dei coeredidomanda la divisione giudiziale della comunione ereditaria. Uno dei due convenuti resiste in giudizio proponendo domanda riconvenzionale per l’accertamento dell’intervenuta usucapione del bene ereditario. Accolta in primo grado la domanda riconvenzionale, viene proposto appello avverso la sentenza del tribunale [5]. La corte d’appello rigetta con sentenza non definitiva [6] la domanda di usucapione e, successivamente, provvede con sentenza definitiva [7] allo scioglimento della comunione ereditaria e alla conseguente divisione. Avverso entrambe le sentenze, il coerede rimasto soccombente propone ricorso per cassazione, lamentando, tra gli altri motivi, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 714, 1102, 1141 e 1164 c.c., in quanto – a suo dire – la corte d’appello avrebbe erroneamente rigettato la domanda di usucapione per mancanza di un atto di interversione del possesso. La Corte di Cassazione, però, ricostruito correttamente l’iter logico della sentenza impugnata, rigetta il ricorso. Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la domanda volta all’accertamento dell’usucapione era stata respinta non per mancanza di un atto di interversione del possesso, ma perché il coerede non era riuscito a dimostrare il possesso ad excludendum, ossia l’esistenza di uno specifico rapporto con il bene ereditario tale da escludere gli altri coeredi. 3 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco Nel decidere in tal senso, la Corte ha ritenuto di non discostarsi dal principio, ormai consolidato, secondo cui il coerede, il quale già possiede uti condominus, può usucapire il bene senza necessità di una formale opposizione, purché estenda inequivocabilmente il preesistente possesso in termini di esclusività. La decisione in commento conferma che, ai fini dell’usucapione di un bene ereditario da parte del coerede, il fulcro dell’accertamento, stante l’irrilevanza di una interversione nel possesso, riguarda il carattere esclusivo del possesso. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto adeguata la motivazione resa dalla corte d’appello, in quanto le prove fornite dal coerede non erano sufficienti a dimostrare il possesso esclusivo. In particolare, il bene in questione, un immobile inizialmente di proprietà del padre dei coeredi, è stato abitato, dapprima, dal coerede che ha reclamato l’intervenuta usucapione e dalla madre di tutti i coeredi (ossia la de cuius) e, dopo la morte di quest’ultima, dal solo coerede. Tuttavia, secondo il giudice di merito, la coabitazione del coerede con la madre, prima, e la successiva possibilità per gli altri coeredi di accedere all’immobile, dopo, hanno dimostrato che il possesso in questione non era tale da escludere quello degli altri coeredi. L’orientamento giurisprudenziale in cui s’innesta la decisione in commento è generalmente condiviso dalla dottrina. Infatti, è pacifico che la situazione possessoria in cui si trova il coerede non “permette” alcun mutamento del titolo, sussistendo già un possesso pieno, sebbene a titolo di comproprietà [8]. Tuttavia, nonostante l’attenzione dedicata e le numerose decisioni giurisprudenziali, restano ancora alcune zone d’ombra. Nella specie, una volta esclusa la necessità di un formale atto di intervisione del titolo possessorio, resta da chiarire quali presupposti debbano sussistere ai fini del possesso ad usucapionem. Infatti, nonostante la granitica giurisprudenza sul punto, non è chiaro il contenuto che il possesso deve assumere per definirsi “esclusivo” [9]. In merito, anche la sentenza in commento afferma che il possesso integrale di un bene ereditario e, dunque, il suo godimento solitario non sono, da soli, sufficienti a determinare il possesso ad excludendum e, per ciò, a far decorrere il termine per l’usucapione. La necessità di definire con esattezza il presupposto in questione è particolarmente rilevante perché, pur non dovendo il coerede porre in essere atti di natura oppositiva (in quanto, come detto, è già possessore, sebbene insieme agli altri coeredi [10]), è 4 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco importante tenere distinte le ipotesi in cui si configura l’esercizio di un vero e proprio possesso esclusivo da quelle in cui, al contrario, vi è una situazione di mera tolleranza da parte degli altri coeredi; tolleranza che, com’è noto, è tutt’altro che “eccezione” nei rapporti familiari. Per chiarire ciò s’impone, però, un passo indietro, essendo necessario partire da una ricostruzione, per quanto sintetica, della ratio e dei presupposti dell’istituto dell’usucapione. 2. L’usucapione: presupposti e ratio. L’usucapione, com’è noto, è un modo di acquisto della proprietà e degli altri diritti reali, avente come presupposto il possesso continuato di un bene per un determinato lasso di tempo [11]. La ratio dell’istituto è quella di dare una risposta alle esigenze di certezza connesse al protrarsi di una situazione di fatto non (più) rispondente alla formale realtà giuridica [12]. Inoltre, alla base di tale modo d’acquisto della proprietà, si può ravvisare una logica di carattere premiale volta a favorire chi utilizza il bene nel tempo, ossia il possessore, a fronte del proprietario, che invece lo trascura [13]. Gli elementi costitutivi dell’usucapio sono, come detto, il possesso [14] e il tempo. Il possesso è la situazione di fatto corrispondente all’esercizio di un potere su una cosa, indipendentemente dal diritto di esercitare tale potere [15]. La tutela di tale signoria di fatto trova fondamento, fin dal diritto romano [], nell’esigenza di salvaguardare la pace tra i consociati. Pertanto, chi ritenga abusivo l’altrui possesso, perché lesivo di un proprio diritto, dovrà necessariamente agire in giudizio, non potendo farsi giustizia da sé []. Il possesso rilevante ai fini dell’usucapione è, ai sensi dell’art. 1163 c.c., quello che non sia stato conseguito in modo violento o clandestino [18]. Tale possesso deve perdurare – dice l’art. 1158 c.c. – in modo «continuato». La continuità implica il costante esercizio dei poteri corrispondenti al possesso ed è, dunque, un attributo che dipende dalla condotta del possessore. Oltre che continuo, il possesso deve essere, ai sensi dell’art. 1167 c.c., «non interrotto» per oltre un anno. L’interruzione, al contrario del precedente attributo, non dipende dal fatto del possessore, ma da eventuali atti, leciti o illeciti, naturali [19] o civili [20], compiuti dai terzi [21]. 5 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco È dibattuto, invece, se, ai fini dell’usucapione, sia necessario anche lo specifico intento del possessore di usucapire la res. Prevalente è la tesi negativa, anche se, in realtà, tale problema si collega alla più generale questione relativa alla presunta necessità del c.d. animus possidendi come elemento costitutivo del possesso. L’idea che la volontà di possedere una cosa come propria sia necessaria per instaurare un valido possesso risale alla Pandettistica tedesca e, nella specie, a Savigny [22], il quale riteneva che tale elemento soggettivo servisse per distinguere il possesso dalla detenzione. Tuttavia, si notò, grazie soprattutto al contributo di Jhering [23], che la distinzione tra possesso e detenzione non dipende dalla volontà del soggetto, ma è oggettivamente individuata dal titolo della situazione possessoria e, in particolare, dalla norma giuridica su cui il titolo si fonda. Nonostante tale riflessione e malgrado non si faccia alcuna menzione dello stato soggettivo del possessore nel codice civile, gran parte della dottrina [24] e della giurisprudenza [25] aderisce ancora oggi alla tesi soggettiva dell’animus possidendi. Tuttavia, è bene rilevare che ciò che distingue il possesso dalla detenzione non è tanto l’animus, possidendi o detinendi, quanto, piuttosto, il titolo in base al quale il soggetto ha la disponibilità della cosa [26]. Argomentare diversamente, dando rilievo al c.d. animus, significherebbe ammettere che un soggetto, che ha già la disponibilità di una cosa a titolo di detenzione, possa automaticamente diventare possessore per il solo fatto che egli intenda tenere tale cosa come propria [27]. Oltre al possesso, l’altro requisito rilevante ai fini dell’usucapione è il tempo. Di regola, ai sensi dell’art. 1158 c.c., la proprietà e gli altri diritti reali sui beni immobili si usucapiscono in venti anni. Il medesimo tempo è necessario, ex art. 1160 c.c., per usucapire le universalità di mobili. Inoltre, fuori dall’ambito di operatività della regola del «possesso vale titolo» di cui all’art. 1153 c.c., i beni mobili acquistati in mala fede si usucapiscono in venti anni, mentre quelli acquistati in buona fede in dieci. Peculiari sono poi le ipotesi di usucapione decennale (recte: abbreviata), ai sensi dell’art. 1159 c.c. [28]. Al ricorrere dei presupposti, aggiuntivi rispetto al possesso e al tempo, previsti da tale disposizione, il tempo necessario per usucapire si riduce a dieci anni. Tali presupposti sono: i) l’acquisto di un bene immobile da parte di un soggetto non legittimato ad alienare tale bene; ii) la buona fede soggettiva dell’acquirente; iii) 6 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco l’esistenza di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà (o di altro diritto reale) e, da ultimo, iv) la trascrizione del titolo. Precisati i requisiti necessari ai fini dell’usucapione – i quali, chiaramente, devono ricorrere anche nel caso di usucapione di un bene ereditario da parte del coerede –, occorre definire gli effetti che l’usucapione produce. Anzitutto, bisogna rammentare che l’usucapione è un modo d’acquisto della proprietà (e degli altri diritti reali) a titolo originario [29]. Ciò comporta che al nuovo titolare non sono opponibili gli atti dispositivi eventualmente compiuti dal precedente proprietario durante il periodo di tempo in cui il primo ha posseduto il bene. [30] La natura originaria dell’acquisto importa, inoltre, che l’usucapione, al ricorrere dei presupposti di cui supra, si verifichi automaticamente ex lege. Il che significa che un eventuale giudizio instaurato per far dichiarare l’intervenuta usucapione sarà di accertamento mero e la relativa sentenza avrà, dunque, natura dichiarativa. Ferma la natura originaria e automatica dell’acquisto, più controverso, sia in dottrina che in giurisprudenza, è il problema relativo all’efficacia liberatoria dell’usucapione. La giurisprudenza [31] e una parte della dottrina [32] propendono per la soluzione negativa, argomentando dal rilievo che l’effetto liberatorio è preso in considerazione esclusivamente dall’art. 1153 c.c. in materia di «possesso vale titolo». Tuttavia, tale argomento non è sufficiente per escludere l’effetto liberatorio dell’usucapione. Più propriamente, in mancanza di un chiaro dato normativo, il problema deve essere risolto in base al principio per cui il contenuto dell’acquisto per usucapione si determina in ragione del possesso. Pertanto, deve concludersi che, una volta perfezionato l’acquisto per usucapione, si estingueranno i diritti che non limitavano, durante il precedente periodo, il possesso pieno dell’usucapente. Al contrario, non si estingueranno i diritti, come le servitù, che già in precedenza limitavano il possesso [33]. 3. L’interversione del possesso. «Nemo sibi causam possessionis mutare potest» è l’antico brocardo, ripreso dall’art. 1141, secondo comma e, per quello che a noi interessa, dall’art. 1164 c.c., secondo cui chi ha la detenzione di una cosa, o possiede in base a un determinato titolo, non può mutare il titolo del suo possesso, se non al verificarsi di determinate circostanze di fatto [34]. 7 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco Sebbene sia stato rilevato che le due disposizioni si riferiscono a due situazioni differenti, riguardando l’art. 1141 c.c. il mutamento della detenzione in possesso e l’art. 1164 c.c. il mutamento del possesso relativo a un diritto reale nel possesso pieno o nel possesso di un diritto reale maggiore [35], le circostanze che permettono il mutamento del titolo possessorio sono le medesime. E cioè: i) un atto di opposizione, ovvero ii) una causa proveniente da un terzo. Il legislatore, dunque, ammette che possa mutare la situazione di fatto relativa al rapporto tra un soggetto e un determinato bene, ma, affinché ciò avvenga, richiede un quid pluris rispetto al mutamento volitivo interno (il c.d. animus) [36]; e ciò a conferma del fatto che, ai fini dell’instaurazione di un valido possesso, rilevano esclusivamente gli elementi oggettivi [37]. Tale quid pluris può essere, anzitutto, un atto di opposizione al legittimo titolare, o al legittimo possessore, del bene. Ad esempio, chi è detentore di un bene a titolo di locazione non può limitarsi a non pagare i canoni di locazione al fine di acquistare il possesso; al contrario, è necessario che la nuova situazione di fatto risulti da un atto che renda giuridicamente – e, soprattutto, socialmente – riconoscibile il mutamento del titolo. L’atto di opposizione è, infatti, al contempo atto di affermazione del possesso proprio e atto di negazione del possesso o del diritto altrui [38]. Tale contenuto deve risultare in modo inequivoco da una dichiarazione [39], non necessariamente resa in forma orale [40]. Al riguardo, la giurisprudenza [41] ha affermato che l’opposizione può altresì constare da un’attività materiale che valga a manifestare in modo indubbio il nuovo stato di fatto. L’altra circostanza idonea a consentire l’interversione del possesso è la c.d. «causa proveniente dal terzo», ossia un titolo astrattamente idoneo a trasferire il possesso. Non è necessario che l’atto in questione sia valido ed efficace e sia, per ciò, effettivamente idoneo a trasferire la proprietà (o un altro diritto reale), potendo anche provenire da un non dominus. Ciò che conta, infatti, è che vi sia un titolo, ancorché viziato, idoneo a giustificare l’acquisto della situazione di fatto de qua. Le considerazioni sopra svolte confermano che la dimensione in cui si inquadra la tutela del possesso è essenzialmente oggettiva. Pertanto, solo qualora intervenga un atto esteriore ed inequivocabile che valga a negare il titolo preesistente, il soggetto, precedentemente detentore (o possessore minore), diventa possessore (o possessore 8 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco pieno) [42]. La ragione per cui si richiede un atto esteriore ed inequivocabile è evidente. Infatti, così come l’ordinamento tutela le situazioni di fatto indipendentemente dall’effettiva titolarità di un corrispondente diritto, allo stesso modo, affinché possa aversi la tutela di una (nuova) situazione di fatto, è necessario che tale (nuova) situazione venga resa socialmente riconoscibile. E ciò soprattutto ai fini dell’usucapione. 4. Compossesso e interversione. Parlando di compossesso e, in particolare, di compossesso ereditario, è necessario svolgere alcune considerazioni ulteriori in merito al tema dell’interversione del possesso. Infatti, per costante dottrina [43] e giurisprudenza [44], la regola dell’interversione del possesso, di cui all’art. 1141, comma 2, c.c. (e, dunque, anche all’art. 1164 c.c.) non trova applicazione nei casi di compossesso. E ciò perché, nei rapporti tra comproprietari (o compossessori), affinché uno di essi possa estendere il proprio possesso in danno degli altri, non è necessaria una formale interversione del titolo possessorio, bastando che colui che invoca il possesso esclusivo (solitamente proprio ai fini dell’usucapione) abbia goduto del bene con modalità tali da escludere gli altri contitolari. La ragione per cui, nei casi di compossesso, non vi è la necessità di una formale interversione del titolo del possesso è intuitiva. Infatti, se, come detto, è vero che l’ordinamento riconosce tutela alla nuova situazione possessoria purché tale situazione sia formalmente esteriorizzata in modo tale da rendere riconoscibile il mutamento del titolo del possesso, allora è altrettanto vero che, nel caso di compossesso, è sufficiente che sia resa manifesta la volontà di estendere, in modo esclusivo, il possesso sul bene, fino ad allora com-posseduto. È evidente che, in caso di instaurazione del possesso esclusivo su un bene da parte di uno dei compossessori, non vi sarà formalmente alcun mutamento del titolo del possesso. Infatti, il compossessore che diventa possessore esclusivo del bene cambia esclusivamente il modus possidendi, ma non anche il titolo del suo possesso, che rimane il medesimo. Più in particolare, il compossessore, possedendo in nomine proprio, è già titolare di un possesso pieno, sebbene uti condominus, ossiacondiviso con altri compossessori. Divenendo possessore esclusivo, egli continua a possedere in nomine proprio (il titolo 9 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco rimane per l’appunto lo stesso), ma uti dominus (e non più uti condominus). Pertanto, non mutando il titolo del possesso, non vi è la necessità che ricorra una delle circostanze indicate nell’art. 1141, comma 2, c.c. per l’interversione. Tale conclusione è frutto dell’elaborazione dottrinale maturata negli anni antecedenti all’entrata in vigore dell’attuale codice civile; e, non a caso, trova conferma nella Relazione del Guardasigilli allo stesso codice civile [45]. In particolare, in tale Relazione si dice espressis verbis che, ai fini dell’instaurazione delle possesso ad usucapionem da parte di uno dei comunisti, non è necessario che questi proceda ad un formale atto di opposizione nei confronti degli altri partecipanti alla comunione [46]. Di diverso ordine di idee, era invece la dottrina sotto la vigenza del codice civile del 1865 [47]. L’assenza di una matura elaborazione in merito alla distinzione tra detenzione e possesso aveva, infatti, portato a sviluppare la tesi della c.d. natura mista del compossesso ultra quota [48]. In particolare, si riteneva che il compartecipe che eccedeva i limiti del suo possesso instaurasse una detenzione in nomine alieno per gli atti ultra quota. Oggigiorno, tale tesi non è più sostenibile perché, una volta inquadrata la detenzione tra i rapporti di diritto [49], il compossesso ultra quota non può essere ricostruito in termini di detenzione; con la conseguenza che il compossessore, per usucapire il bene comune, non è costretto a tenere alcuna delle condotte di cui all’art. 1141, comma 2, c.c. [50]. 5. Compossesso ereditario: l’art. 714 c.c. e la giurisprudenza. La considerazioni svolte valgono anche nel caso di instaurazione del possesso esclusivo da parte di uno dei coeredi. Al riguardo, l’art. 714 c.c. detta una specifica disciplina, che è, per l’appunto, derogatoria rispetto alla disciplina generale dell’interversione del titolo del possesso, di cui agli artt. 1141, comma 2, e 1164 c.c. [51]. Nella specie, tale disposizione esplicita, rispetto al possesso instaurato sui beni ereditari da parte dei coeredi, quanto appena detto in termini generali, chiarendo alcuni profili. L’art. 714 c.c., anzitutto, contrappone al possesso esclusivo dei beni ereditari il c.d. godimento separato degli stessi. Il c.d. godimento separato non impedisce agli altri coeredi di chiedere la divisione dell’asse ereditario; inoltre, non eliminando il regime di compossesso, non vale ad instaurare un valido possesso ad usucapionem. Il possesso esclusivo invece, corrispondendo al possesso ad usucapionem, preclude la divisione del 10 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco compendio ereditario qualora, al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge, si sia già compiuta l’usucapione. Per consolidata giurisprudenza, il coerede si limita a un godimento separato quando il suo rapporto con il bene ereditario non è tale da escludere gli altri coeredi. E ciò può verificarsi anche qualora il coerede amministri e utilizzi il bene ereditario provvedendo alla manutenzione e all’anticipazione delle spese. Infatti, si ritiene che in tali ipotesi il coerede si limiti ad amministrare e utilizzare il bene nell’interesse comune di tutti i coeredi, assumendo la veste di mandatario tacito degli altri compartecipi [52]. Inoltre, poiché la comunione ereditaria si svolge tra persone legate da vincoli familiari, occorre considerare che molte situazioni, in apparenza idonee a instaurare un possesso esclusivo, in realtà, restano nell’alveo della mera tolleranza. Per questo motivo, la giurisprudenza precisa che gli atti consentiti al singolo per mera gestione o, comunque, familiarmente tollerati non sono idonei a dar luogo al possesso esclusivo sul bene [53]. Tale principio è ripreso anche dalla sentenza in commento, nella quale, i giudici di Cassazione affermano che il possesso integrale dei beni ereditari non è di per sé sufficiente a fondare un valido possesso ad usucapionem qualora manchi la prova che tale possesso escluda in concreto gli altri coeredi [54]. Alla luce di ciò, la questione principale in materia di usucapione dei beni ereditari è la dimostrazione che il coerede abbia instaurato un valido possesso esclusivo sul bene ereditario, senza limitarsi a un mero godimento separato dello stesso. Problema, quest’ultimo, non di poco conto, anche in considerazione degli orientamenti ormai consolidati in materia. E, infatti, in tema di usucapione dei beni ereditari, vi è un diffuso filone giurisprudenziale che, ai fini dell’instaurazione del possesso esclusivo sui beni comuni, richiede che sia dimostrata l’inequivoca volontà del coerede di possedere uti dominus, e non più uti condominus [55]. Non a caso, anche la decisione della Cassazione, 16 gennaio 2019, n. 966 del fa riferimento alla necessità di provare «l’inequivoca volontà del coerede di possedere uti dominus e non più uti condominus». Tuttavia, tale orientamento, oltre ad essere ingiustificatamente gravoso nei confronti del coerede usucapente [56], non trova alcun riscontro nei dati normativi. Infatti, come già detto supra in termini generali per il possesso, allo stesso modo, l’art. 714 c.c., ai fini dell’instaurazione del possesso esclusivo, non richiede alcun accertamento rispetto all’animus e, più in genere, allo stato soggettivo del coerede. Conta esclusivamente che 11 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco vi sia un possesso esclusivo del bene ereditario e che tale possesso esclusivo sia riscontrabile ab externo. 6. Il possesso esclusivo. ereditari riguarda principalmente la prova che il coerede è tenuto a fornire per dimostrare la sussistenza del possesso esclusivo. Come detto, è necessario che il coerede dimostri di aver effettivamente instaurato un possesso esclusivo sul bene ereditario e di non essersi limitato, ai sensi dell’art. 714 c.c., a un mero godimento separato dello stesso. Sul punto, però, il confine tra possesso esclusivo e godimento separato è più labile di quanto si possa pensare. E, molto spesso, quello che sembra possesso esclusivo, in realtà non lo è. Ad esempio, la nostra giurisprudenza ritiene che il mero pagamento delle utenze domestiche non sia di per sé sufficiente a dimostrare il possesso ad usucapionem [57]. Allo stesso modo, non è ritenuta decisiva neppure l’esecuzione di lavori di ristrutturazione di un immobile; e ciò, sempre secondo la nostra giurisprudenza, anche qualora il coerede domandi personalmente il rilascio della relativa autorizzazione amministrativa e, poi, sostenga le spese dei lavori [58]. È bene riflettere sul fatto che tali condotte, se poste in essere da un terzo estraneo, sarebbero idonee a dimostrare l’instaurazione del possesso ad usucapionem. Tuttavia, la rigidità della prova richiesta ai fini dell’usucapione da parte del coerede ha una ragionevole spiegazione. Infatti, come già detto, qualora il coerede utilizzi ed amministri un bene ereditario (provvedendo, ad esempio, ad eseguirvi lavori od opere), sussiste una presunzione iuris tantum che egli agisca quale mandatario degli altri coeredi, anticipando le spese [59]. Affinché il coerede possa provare l’instaurazione del possesso esclusivo è, dunque, necessario vincere tale presunzione, fornendo un quid pluris rispetto alla prova richiesta al terzo possessore non compartecipe. Al riguardo, la giurisprudenza ha sottolineato che, ai fini dell’usucapione dei beni comuni a discapito degli altri coeredi, è necessario che il compossessore adduca una prova «ridondante e diversa»da quella richiesta per l’usucapione da parte del terzo. Infatti, è evidente che il terzo estraneo, che usucapisce, già manifesta, attraverso l’estromissione del vero proprietario, il suo inequivoco rapporto con il bene. Al 12 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco contrario, nell’usucapione a favore dei coeredi si ha una situazione equivoca; sicché, in questo caso, non possono considerarsi sufficienti né il godimento separato da parte di uno dei coeredi né l’astensione degli altri partecipanti dall’uso della cosa comune, essendo altresì necessario che chi usucapisce manifesti il proprio dominio esclusivo sulla res mediante attività contrastanti e incompatibili con il possesso degli altri compartecipi [60]. Tale quid pluris è solitamente individuato dalla giurisprudenza [61], così anche nella decisione della Cassazione, 16 gennaio 2019, n. 966, nella prova di elementi che rendano evidente all’esterno « l’inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus». Tuttavia, come già detto, il riferimento allo stato soggettivo (recte: all’animus) del coerede non è condivisibile. Infatti, come sottolineato da attenta dottrina [62], coerentemente con la disciplina generale in materia di possesso e di usucapione, «il carattere dell’esclusività del possesso richiesto dall’art. 714 c.c. non dipende da un animus domini o possidendi di chi esercita il potere sulla cosa, bensì dalle caratteristiche oggettive del suo rapporto con il bene, che potrebbe non limitarsi al godimento separato dei beni, e così non contrastare con la volontà e gli interessi degli altri coeredi, e deve invece essere tale da escluderli da ogni possibilità di intervento e di godimento (se anche questi ultimi lo volessero) del bene». Non a caso, la stessa giurisprudenza che, ai fini della dimostrazione del possesso esclusivo, fa riferimento all’animus del coerede, finisce poi per porre l’attenzione non tanto sulla volontà del coerede (la cui prova, in realtà, risulterebbe impossibile), quanto piuttosto sullo specifico rapporto tra il coerede e il bene. Alcune decisioni possono chiarire meglio quanto appena rilevato. Ad esempio, con riferimento alla domanda di usucapione di un fondo coltivato da parte di uno dei coeredi, è stato ritenuto che sono elementi utili ad integrare un possesso pieno ed esclusivo (non riconducibile, quindi, all’uso uti condominus): i) una missiva contenente le doglianze degli altri coeredi esclusi materialmente dal compossesso, ii) l’attività di coltivazione autonomamente esercitata, iii) l’apprendimento di ogni frutto, e iv) tutti gli atti di piena disponibilità sul bene, tra l’installazione di una recinzione sul fondo [63]. In modo coerente con quanto appena detto, sono stati ritenuti idonei a provare il possesso esclusivo del coerede anche la stipula di contratti e la realizzazione di opere di 13 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco ristrutturazione o di bonifica, purché espressione di dominio singolo e non, al contrario, compiuti nell’interesse comune [64]. Inoltre, la Corte di Cassazione [65] ha rilevato che, se è vero, per costante giurisprudenza, che non sono idonei a dimostrare il possesso esclusivo del coerede né l’espletamento delle pratiche inerenti alla successione né l’amministrazione e la manutenzione del bene, dall’altro lato, un diverso valore può assumere la sostituzione della serratura, qualora si dimostri che la stessa sia stata effettuata al fine di escludere gli altri coeredi dal possesso e non per ragioni di ordinaria amministrazione ovvero di migliore custodia del bene comune. Dagli esempi sopra riportati emerge con chiarezza che la prova che il coerede è tenuto a fornire è particolarmente rigorosa. Probabilmente, è per tale ragione che, in pieno contrasto con quanto detto fino ad ora, un orientamento giurisprudenziale [66], tuttavia sempre minoritario e ormai superato, richiedeva al coerede, ai fini dell’usucapione, una formale interversione del titolo possessorio. È bene ribadire, però, che per quanto il possesso esclusivo debba risultare in modo rigoroso, il coerede non è mai tenuto a compiere alcuno degli atti di interversione del titolo del possesso, di cui all’art. 1141, comma 2, c.c. Al contrario, l’attuale orientamento della giurisprudenza è nel senso di richiedere al coerede la (seppur rigorosa) dimostrazione di una relazione socialmente riscontrabile con i beni ereditari e, più propriamente, lo svolgimento di una specifica attività materiale idonea a escludere gli altri coeredi. A conferma di ciò, la Suprema Corte [67] ha affermato che non è necessario provare il possesso esclusivo qualora sia già intervenuta una divisione amichevole (ossia, in fatto) tra i coeredi. In tal caso, infatti, il possesso esclusivo risulta già dall’attribuzione di fatto del bene e, dunque, ai fini dell’usucapione, è sufficiente che il coerede continui a esercitare il possesso per il tempo necessario. La decisione da ultimo riportata conferma che, ai fini dell’usucapione del bene ereditario da parte del coerede, non occorre alcun atto formale (ad esempio, un’opposizione rivolta agli altri coeredi); al contrario, è necessario che il coerede svolga una specifica attività materiale che renda evidente, in modo molto più rigoroso rispetto a quanto richiesto per l’usucapione da parte di un terzo estraneo, l’instaurazione di un possesso esclusivo in danno degli altri compartecipi. 14 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco 7. Conclusioni. Al termine di queste brevi considerazioni, è possibile evidenziare gli aspetti positivi e le criticità dell’orientamento giurisprudenziale a cui aderisce la decisione della Cassazione, 16 gennaio 2019, n. 966. In linea di massima, il trend assunto dalla nostra giurisprudenza in materia di usucapione dei beni ereditari appare condivisibile. Infatti, la superfluità di un formale atto di interversione del possesso, ai sensi degli artt. 1141, secondo comma, e 1164 c.c., ai fini dell’usucapione del bene ereditario, è pacifica. E ciò perché, essendo il coerede già possessore pieno del bene ereditario (sebbene in maniera condivisa con gli altri coeredi), qualora egli intenda instaurare un possesso esclusivo su tale bene, non vi sarà (recte: potrà essere) alcun mutamento del titolo possessorio. Ciò che muta, invece, è il modo con cui il coerede possiede. Se, infatti, prima, possedeva il bene ereditario infra quota, e dunque uti condominus, dopo, egli possiederà tale bene in modo esclusivo, ossia uti dominus. Tuttavia, pur non essendo necessario che il coerede tenga uno dei comportamenti previsti dall’art. 1141, comma 2, c.c. per l’interversione del titolo possessorio, egli è comunque tenuto a provare, unitamente agli altri elementi costitutivi dell’usucapione, il possesso esclusivo. E, come visto, la nostra giurisprudenza è al riguardo particolarmente rigida. Infatti, sulla base del rilievo che l’art. 714 c.c. distingue il c.d. godimento separato dei beni ereditari dal possesso esclusivo degli stessi, si ritiene che gli atti compiuti dal coerede sulla res commune, anche se ultra quota, siano more solito tollerati dagli altri compossessori. Al riguardo, infatti, sempre secondo la nostra giurisprudenza, sussiste una vera e propria presunzione iuris tantum per cui, di regola, ogni atto relativo ai beni ereditari si considera compiuto nell’interesse di tutti i coeredi [68]. Pertanto, affinché il coerede dimostri di aver instaurato il possesso esclusivo sul bene che intende usucapire, è necessario vincere tale presunzione. In merito, la prova richiesta al coerede è, come rilevato, particolarmente rigorosa. Infatti, proprio a causa della presunzione suddetta, non sono sufficienti quelle condotte che, se poste in essere da un terzo estraneo, integrerebbero il possesso esclusivo e consentirebbero, per ciò, l’usucapione. Il coerede è, invece, tenuto a un quid pluris. Secondo la nostra giurisprudenza, tale quid pluris è rappresentato dalla sussistenza di uno specifico rapporto, incompatibile col permanere del compossesso degli altri 15 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco coeredi, che sia tale da vincere la presunzione di mera tolleranza degli altri compossessori. Tuttavia, per quanto rigida sia la prova del rapporto tra il coerede e il bene, non è richiesto un formale atto di opposizione nei confronti degli altri compossessori, essendo sufficiente un’attività materiale che renda evidente il possesso esclusivo. Il che comporta che, a differenza degli atti di interversione, aventi natura recettizia, l’attività (recte: gli atti) da cui risulta il possesso esclusivo può anche essere ignorata dagli altri coeredi [69]. Su quanto rilevato fin qui, non si può che essere concordi con la nostra giurisprudenza. Al contrario, l’orientamento giurisprudenziale in parola – e a cui aderisce la decisione della Cassazione, 16 gennaio 2019, n. 966 – non convince totalmente nella parte in cui richiede, ai fini dell’usucapione dei beni ereditari, una valutazione dello stato soggettivo (il c.d. l’animus) del coerede. Infatti, nonostante i continui riferimenti all’animus del coerede, deve essere chiaro che ciò che rileva ai fini dell’usucapione del bene ereditario è esclusivamente la sussistenza di una specifica attività materiale che renda evidente, per altro in modo molto più rigoroso rispetto a quanto richiesto per l’usucapione da parte di un terzo estraneo, l’instaurazione di un possesso esclusivo in danno degli altri coeredi [70]. Dunque, pur condividendo, in termini generali, l’orientamento giurisprudenziale a cui aderisce la decisione in commento, è necessario ribadire, se ancora ve ne fosse la necessità, che la volontà del coerede di estendere il proprio possesso in termini di esclusività non ha (recte: può avere), di per sé, alcun valore ai fini dell’usucapione dei beni ereditari. E, pertanto, non si può che auspicare che, in coerenza con alcune isolate decisioni [71], la nostra giurisprudenza riconosca maggiore rilievo alla relazione materiale tra il coerede e il bene, e alle modalità con cui è esercitato il possesso, piuttosto che al concetto “sfuggente” di animus possidendi. 16 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156 Approfondimento di Emanuele Tedesco 17 Utente: GIUSTIZIA CIVILE UTENZA EDITOR giustiziacivile.com - n. 3/2019 © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2019. 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