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Il Lido di Giovanni Comisso: una rilettura

2020, Lido di oggi, lido di allora, 36, pp.131-135

Giovanni Comisso (1895-1969) was one of the most important Italian, and Venetian writers of his generation. In this short article, I re-examine some of the pages, in his vast output, he devoted to the Lido of Venice, one of the most spectacular places in the world, now in desperate need of resurrection. In general, I deem that Comisso would be worth of a comprehensive re-appraisal, in particular as for his relation(s) with Veneto.

135 LIDO DI OGGI LIDO DI ALLORA Il Lido di Giovanni Comisso: una rilettura di Dr. Paolo Bernardini Di Giovanni Comisso si è celebrato, l’anno passato, il cinquantenario della morte. Scrittore di terraferma, nacque e morì in quella Treviso che aveva cantato tante volte, che gli aveva ispirato romanzi felici, a cui si sentì legato visceralmente, la “gentilissima struttura medievale”, “un parco d’incantesimi”. Vi nacque nel 1895, vi morì – in condizioni economiche e morali non felici – nel 1959. A lui è dedicato, tra le altre cose, un importantissimo premio letterario, e il suo ricordo è ben vivo anche al di fuori delle cerchie accademiche ed erudite, tra la gente, veneta e non solo, che ancora legge i suoi romanzi e i suoi racconti di viaggio. E, leggendoli, s’emoziona e si perde in momenti affatto lontani, ormai del tutto tramontati, anche se è passato meno di un secolo o perfino meno di mezzo dalla loro scomparsa, con la civiltà industriale e poi post-industriale. Poiché se è vero che egli visse per decenni a Zero Branco dove fece l’agricoltore, e che Treviso suggella i termini estremi di una vicenda se non inimitabile, quantomeno mirabile, è altrettanto vero che Comisso viaggiò a lungo. In Italia, in Oriente, in molte parti del mondo. Ma come il proto-viaggiatore veneto, Marco Polo, decise di posare le ossa ove era nato. E al Veneto dedicò pagine stupende – in quella prosa che sembra essere una miniatura medievale, ove ogni frase ogni sillaba ogni lettera occupa caselle precise, rendendosi indispensabile nella struttura del testo, sicché, una sola ne cadesse, tutto crollerebbe, come un castello di carte cui si sottragga per malizia o imprudenza anche solo il due di picche –; pagine in parte raccolte da Nico Naldini in Veneto felice, pubblicato per la prima volta postumo da Longanesi, nel 1984 e poi ripubblicato nel 2005. Naldini vi premette uno scritto introduttivo molto denso, ove compaiono giudizi di Zanzotto, Parise, Pasolini, Piovene, quasi il pantheon letterario di una generazione o due, veneto in senso ampio, comprendendo anche l’elemento friulano (che in fondo storicamente veneto è, eccome). Giudizi gustosi, con una diatriba – forse inessenziale – sulla “veneticità” o sua assenza nell’opera di Comisso, tema alla Illustrazione da L’uomo galleggiante di O. De Bernardi, Napoli 1794. LIDO DI OGGI LIDO DI ALLORA 136 fine non peregrino, anche dal punto di vista della conoscenza della lingua veneta, nei suoi vari dialetti, ovvero le sue diverse varianti, mai esibita in modo eccessivo, ma presente e sfoderata all’occasione dallo scrittore, Uomo di terraferma, come si è detto (uomo prima di scrittore, con passioni legate al terroir, davvero, radicalmente) con una vita costellata da puntate marine (da Genova alla Fiume dannunziana) egli seppe, e non occasionalmente, ritrarre Venezia e la Laguna con estrema precisione, e notevoli soprattutto sono le sue pagine su Chioggia, ove egli distingue ampiamente, accortamente, tra Chioggia e Sottomarina, due vere città distinte – anche se non distanti, una attaccata all’altra – con i pescatori che provengono proprio da Chioggia, e non da Sottomarina, e col mondo dei turisti che comincia a giungere in questa Venezia in miniatura ai limiti della Laguna, appunto. E il Lido? In Veneto felice – raccolta postuma di scritti un po’ impressionisticamente messa insieme da Naldini (che non cita fonti e soprattutto date, peccato non veniale se pensiamo che Comisso cominciò gio- Magistrati. Sala Dell’Avogaria, PalazzoDucale. vane a scrivere, e non smise mai, e dunque la sua scrittura si snoda per mezzo secolo almeno) – il Lido fa una comparsa brevissima, ma molto significativa. Si tratta del sesto paragrafo dello scritto che apre la raccolta, “Un’ape a Venezia”, tutto dedicato alla Serenissima appunto, “grande pesce galleggiante sul verde delle sue acque”, figurazione antica poi ripresa spesso, ad esempio (l’esempio più noto) da Tiziano Scarpa in un fortunato libretto del 2002 poi spesso ri- Coronelli. Forte di Malamocco, 1690. stampato. Come talvolta accade in Comisso, in questo caso il riferimento è storico, è molto preciso, perché riporta il contenuto di un documento ai Frari. Vediamolo. “Tra il vasto incartamento delle denunce dei confidenti degli Inquisitori di Stato, ad interrompere l’assiduità delle osservazioni politiche e sui costumi, ve n’è una tutta pittorica che tratta del Lido di Venezia, come spiaggia balneare. Il Lido del Settecento. In quell’isola appartata, lontana dalla città, la vita si svolgeva poco controllata e nell’estate del 1762 gli Inquisitori vi mandano in missione l’informatore G. B. Manuzzi per vedere un po’ cosa si faccia. In quell’epoca i nobili patrizi se volevano ristorarsi nei giorni di grande caldo andavano a bagnarsi in certi stabilimenti galleggianti situati verso la Giudecca, dai quali erano naturalmente escluse le donne”. Questo l’incipit dello scritto (Veneto felice, cit., p. 30). Da cui apprende che– cosa non sempre abbastanza nota – l’abitudine al bagno marino non è ottocentesca, anzi tardo-ottocentesca, ma risale perlomeno al Settecento, se non prima. L’occhio lungo degli Inquisitori doveva vigilare sia sui costumi sessuali, sia soprattutto sull’eventuale commistione carnale tra patrizi e gente del volgo, 137 LIDO DI OGGI LIDO DI ALLORA o tra patrizi e borghesi. Preoccupazione somma è tenere differenziati i ceti (anche maggiore di quella verso la promiscuità sessuale). Anzi si può parlare proprio di “promiscuità cetuale”. Dunque Manuzzi va da vero voyeur prezzolato a vedere cosa in effetti succeda fuori e dentro l’acqua, e qualche incontro licenzioso, o non troppo chiaro, lo trova pure, per quanto ci si bagni rigorosamente vestiti. Poi nello stile di Comisso ecco affiorare il parallelo con la pittura, Giandomenico Tiepolo che dipinge nobili appunto licenziosi, e in generale gaudenti, in tutto il suo crudo realismo, così lontano dalle movenze pittoriche dell’illustrissimo genitore. E I bagni di De Chirico, con tutto il loro mistero. Strano non evochi Morte a Venezia, Thomas Mann avrebbe fatto volentieri capolino tra pagine che alludono piaceri proibitissimi nel già proibito e pericoloso (non mancano gli squali, anche bianchi), del bagno marino (distinto da quello in laguna, ovvero alla Giudecca, dove gli squali certamente non bazzicavano, anche per motivi di salinità). Manuzzi individua un non ben chiaro circuito di prostituzione, legati a quei bagni senza veri e propri “stabilimenti”; essa peraltro era talmente diffusa in città che forse non v’era ragione di preoccuparsi troppo delle sue propaggini al Lido. Il personaggio, poi, era uno spione di tutto rispetto, che già s’era occupato delle torbide attività in Frezzeria, denunciando il nobiluomo Marco Donà agli stessi Inquisitori di Stato nel 1758, “ateista e sodomita che magna sempre di grasso” e invita nel suo casino “gente di costumi libertini” (su questo c’erano pochi dubbi, viste le premesse sulle inclinazioni sessuali e culinarie del signore!), come lo stesso Comisso altrove narra. Manuzzi era un gioielliere, attento ai particolari e delle pietre durissime e delle molli carni degli uomini, per vent’anni fece la cronaca rosa, talora a luci rosse, della Venezia al crepuscolo, informando gli Inquisitori che ogni tanto agivano, molto più spesso no. A ben altro c’era da pensare, allora. Abbiamo quindi un “Lido balneare” ante litteram, dove, peccato mortale, i ceti si mischiano. L’attenzione verso la “promiscuità cetuale” di cui ho detto è all’origine anche Coronelli. Lido. Forte di San Pietro, 1690. del Magistrato alle Pompe, gloriosa magistratura suntuaria studiata da Giulio Bistort in un classico studio del 1912 (Il magistrato alle pompe nella Repubblica di Venezia: studio storico). Bistort – mi piace ricordarlo – non era storico professionista, bensì impiegato nell’allora ancora attivo Mulino Stucky – e da “dilettante” scrisse opere notevoli di storia veneziana, oltre a questa citata, una poderosa sintesi storica su Venezia dalle origini all’ “epocale” 1453: La Repubblica di Venezia: dalle trasmigrazioni nelle lagune fino alla caduta di Costantinopoli, 1453, pubblicata dall’Ateneo Veneto nel 1916. Per riassumere il concetto: il Magistrato alle Pompe – magistratura suntuaria tipica dell’Antico Regime, a partire dal Medioevo, si pensi solo a Siena – era incaricato di vigilare fondamentalmente su una cosa: che i borghesi o la gente del popolo, arricchitasi in qualche modo, non imitasse nel vestiario, nei mezzi di trasporto, nelle frequentazioni, i nobili, per vari motivi, tra cui quello del pubblico interesse: i veneziani dovevano identificare la loro classe dirigente, il patriziato, in modo certo, e le commistioni non erano gradite, ovvero il fatto che un borghese si atteggiasse come un nobile, o che un nobile, al contrario, frequentasse (magari anche per scopi amorosi) borghesi e plebe cittadina (per quanto di vera e propria “plebe” è difficile parlare a Venezia). Così Comisso si interessa del caso di un giovinotto focoso, nel medesimo periodo del Manuzzi inviato dagli Inquisitori a calmare i propri ardori al convento di Praglia. Si era innamorato di una popolana, e la sua passione lo stava portando alla follia. Storia ben nota, almeno dalla nascita della novellistica italiana, e poi veneziana. Ne parla poco più avanti in Veneto felice. Peraltro Manuzzi ricorda nel cognome – che ne sia una forma alterata, che si tratti di un suo parente? – il notevolissimo Niccolò Manucci (con doppia “c”), (1638-1717), viaggiatore alla corte LIDO DI OGGI LIDO DI ALLORA 138 del gran Mogol e autore di una descrizione accurata di quell’immenso impero inedita nella sua vasta versione originaria, custodita alla Marciana (ms. It. Z. 44) e tuttora in cerca di studioso che si prenda la briga di pubblicarla, come meriterebbe. Il Lido così ha una propria, ricca pre-istoria, il “Lido prima del Lido” ovvero prima dell’invenzione del turismo balneare a metà Ottocento. Cosa ben nota, anzi notissima, si pensi solo all’antichissima Malamocco, ove viene ospitata la flotta olandese nella Guerra dei Trent’anni, che si porta in America il primo “italiano” che negli (attuali) USA abbia mai messo piede, Pietro Cesare Alberti (16081655); al cimitero degli ebrei a San Nicolò, e molto altro. A questo si aggiunge il tassello comissiano, quanto dallo scrittore portato alla luce su Manuzzi e le sue ispezioni. Già nel Seicento peraltro naturalisti non veneziani di nascita ma di formazione e cattedra (patavina)– come Vallisneri – vi si recavano in cerca di qualcosa di “esotico” alle porte di casa: la flora. “Egli – scrive Gino Benzoni nel capitolo “Venezia barocca” della Storia di Venezia della Treccani (1997) -- preferisce viottoli campestri, saliscendi d’impervi sentieri. Non turista urbano, ma escursionista, camminatore praticante naturalistiche passeggiate. E fruttuose queste. Basta una ricognizione tra le dune del ‘Lido di Malamocco’ per trovarvi il ‘finocchio marittimo’ e il ‘crisantemo marittimo’. Quanto alla ‘salvia baccifera’ - che si propaga ‘per seme’ checché si dica a vanvera in contrario -, essa abbonda, come apprende nel 1686 da Giacomo Grandi, nella ionica isola di S. Maura.” Insomma il Lido come esotismo, da orientalismo dietro l’angolo (ma a Oriente di Venezia intesa come isole realtine davvero sta, alla fine): rifugio di naturalisti in cerca di strane erbe, di nobili libertini in cerca di piaceri (relativamente) proibiti, e naturalmente dei primi bagnanti, rigorosamen- te maschi, rigorosamente vestiti. E proprio in quegli anni – non a Venezia ma a Napoli – Oronzio De Bernardi scrive il primo manuale di nuoto della storia, L’uomo galleggiante, e lo pubblica, ora chicca per bibliofili, nella Stamperia Reale nel 1794 (venne perfino tradotto in tedesco nel 1797, e pubblicato a Weimar, a casa di Goethe ma lontano dal mare, in verità); dedicato niente meno che a Ferdinando IV di Borbone e alla moglie Maria Carolina d’Austria. E vi pone in limine – scelta non molto originale, peraltro – l’emistichio virgiliano “apparent rari nantes in gurgite vasto” (I, 118 – erroneamente il medico De Bernardi lo indica come verso 122), Chissà se quei pochi – o “scelti”, secondo una possibile interpretazione del “rari” (in fondo “scelti” erano davvero in quanto rimasti a galla dopo un naufragio, e dunque o bravi nuotatori o particolarmente fortunati o ambedue le cose) – nuotatori al Lido del tardo Settecento mettevano in pratica il goffo “crawl” suggerito dal De Bernardi; forse no. Ma la gioia della libera traversata a nuoto dell’Adriatico pescoso e (talora) limpido era iniziata. E continua fino ad ora. Solo le spie sono (forse) scomparse. Chioggia. Scena Ottocentesca.