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1579.2.19 - C. TOGLIANI (a cura di) - La civiltà del fiume
Il Parco del Mincio è l’ente che custodisce l’habitat fluviale dell’emissario del Garda, da Peschiera sino alla foce in Po. Un comprensorio fortemente tutelato che, al di là dell’innegabile valore naturalistico, offre
un ricco panorama culturale dalle potenzialità ancora parzialmente inespresse. Il territorio del Mincio viene indagato – spingendosi talvolta oltre i confini giuridici del Parco – sottoponendolo a un’indagine articolata e multidisciplinare. I saggi, tutti specialistici, affrontano temi diversi
con il comune obiettivo di leggere la stratificazione dell’intervento umano su un’area che ha vissuto per secoli in stretta simbiosi col fiume. Alberto Crosato, archeologo, in un viaggio a ritroso nel tempo, documenta
l’insediamento dell’uomo dalla Preistoria all’Alto Medioevo. Alberto
Grandi (Università degli Studi di Parma) ricostruisce, per il Medioevo e
l’Età Moderna, l’economia delle comunità attestate sull’acqua. Fernanda Incoronato (Politecnico di Milano) indaga gli stretti rapporti fra la
geografia del territorio e le architetture che di queste comunità sono
state il simbolo più intimo e sentito: gli edifici di culto. Eugenio Camerlenghi (Accademia Nazionale Virgiliana di Scienze, Lettere e Arti di
Mantova) descrive il rapporto esistente fra caratteristiche dei suoli,
geografia del territorio e pratica agricola, evidenziando i reciproci condizionamenti, le trasformazioni e la diversa natura dei paesaggi agrari
del bacino del Mincio. Sara Protasoni (Politecnico di Milano) conduce
un’operazione analoga, concentrandosi sui giardini, da quelli architettonici, a quelli “inglesi”, approdando al Bosco della Fontana, prezioso residuo dell’antica foresta planiziale. Carlo Togliani (Politecnico di Milano) espone la straordinaria complessità idraulica del territorio, costruita dall’uomo, ed oggi, dopo secoli, al culmine della sua articolata evoluzione. Claudia Bonora Previdi (Politecnico di Milano) racconta come il
fiume sia stato una preziosa linea militare, lungo la quale si sono attestati torri, castelli e forti facendo di Mantova e del Mantovano un territorio straordinariamente presidiato e da ultimo un caposaldo del celebre Quadrilatero. Laura Pierantoni (Politecnico di Milano), secondo le
strategia del cultural planning, analizza le potenzialità di un territorio
anche in previsione dell’ormai prossima Expo 2015.
Il tutto è raccontato anche con le immagini, grazie agli scatti di un
maestro della fotografia di architettura: Marco Introini (Politecnico di
Milano).
Carlo Togliani
(a cura di)
La civiltà del fiume
Un paesaggio complesso
Carlo Togliani è ricercatore in Storia dell’Architettura presso il Politecnico di Milano. Ha dedicato parte della sua attività ad un settore
poco frequentato, la storia dell’ingegneria idraulica, partecipando a
convegni nazionali e internazionali.
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La passione per le conoscenze
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Storia dell’architettura e della città
FrancoAngeli
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Carlo Togliani
(a cura di)
La civiltà del fiume
Un paesaggio complesso
Storia dell’architettura e della città
FrancoAngeli
Indice
Uomini e insediamenti
Le sponde degli avi. Archeologia e storia, dal Neolitico all’Altomedioevo, di Alberto Crosato
Paesaggi sociali. Uomini, comunità e mestieri fra Medioevo ed
Età Moderna, di Alberto Grandi
Geografia del Sacro. Chiese, oratori, capitelli, di Fernanda
Incoronato
Natura e artificio
Colture e paesaggi agrari. Geografie rurali nel bacino del fiume,
di Eugenio Camerlenghi
Giardini e paesaggi. Dall’hortus conclusus alla riserva naturalistica, di Sara Protasoni
Difese liquide, difese murate
Seguendo la corrente. Assetti fluviali e manufatti idraulici,
dall’Antichità alla contemporaneità, di Carlo Togliani
Sentinelle del fiume. Castelli, forti, opere di difesa, di Claudia
Bonora Previdi
5
Verso l’Expo 2015 (e oltre)
Prospetti e prospettive nel territorio del Parco, di Laura Pierantoni
Bibliografia e sitografia
6
Sentinelle del fiume.
Castelli, forti, opere di difesa
di Claudia Bonora Previdi
Premessa illustrativa
La difesa del territorio ha sempre rappresentato una delle principali preoccupazioni dell’uomo e la storia delle fortificazioni è in parte la storia
di sistemi, metodi e soluzioni sviluppati per rispondere a questa necessità. L’analisi e lo studio delle strutture difensive non si esaurisce però nella
semplice indagine dei mezzi, di volta in volta più sofisticati, adottati e costruiti dall’uomo per la propria difesa. Un luogo fortificato, un castello, un
forte, vere barriere tra il difensore e l’attaccante, assumono, infatti, anche
un ruolo deterrente, dissuasivo nei confronti di un potenziale aggressore, o
una valenza politica, per garantire il controllo di un territorio conquistato o
addirittura per imporre un sistema di governo.
Collocate in posizione strategica, le fortificazioni hanno sempre rapportato la definizione dei propri assetti alla conformazione e alla morfologia
territoriale. Del resto gli elementi naturali sono sempre stati variabili determinanti nella condotta e nella valutazione di una qualsiasi azione bellica.
La storia dello sviluppo delle fortificazioni è quindi anche storia dell’ingegno e delle capacità con cui l’uomo ha messo a frutto le conoscenze tecniche della propria epoca per rafforzare e aumentare il potenziale difensivo
messo a disposizione dalla natura1.
In particolare, se le strade hanno rappresentato le arterie necessarie a
convogliare gli eserciti, i fiumi, gli sbocchi sui mari, i bacini e gli specchi d’acqua, hanno invece costituito elementi di ostacolo, divenendo di frequente veri e propri crocevia della storia. Esemplari, in questo senso, sono
il fiume Mincio e i territori attraversati dal suo corso, tra i principali protagonisti delle vicende che nei secoli sconvolsero l’Italia settentrionale. Per
1. Più in generale per approfondimenti sulla storia delle fortificazioni cfr. Cassi Ramelli, 1964; Hogg, 1982.
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Fig. 1 - Ponti sul Mincio, Castello (foto di M. Introini)
lungo tempo il fiume ha, infatti, rivestito un fondamentale e inequivocabile
ruolo difensivo, in quanto confine naturale di domini ed entità statali che,
in base a differenti e rinnovate esigenze difensive, determinarono la realizzazione di numerose opere fortificate: torri, mura, ponti, recinti fortificati,
rocche, castelli, forti, cinte bastionate, organizzati in opposti scacchieri che
nel corso dei secoli diedero vita a sistemi difensivi sempre più complessi,
sempre più aggiornati ai progressi e all’evolversi dell’arte della guerra. Essi raggiunsero la loro massima configurazione nella seconda metà del XIX
secolo con la realizzazione del Quadrilatero, uno dei maggiori sistemi difensivi su scala territoriale dell’epoca moderna, che coniugava le potenzialità difensive delle linee fluviali di Mincio e Adige con quelle delle fortezze di Peschiera, Mantova, Verona e Legnago.
Ancora oggi il Mincio costituisce una sorta di cerniera tra il Veneto e
la Lombardia e, seguendone il tragitto, si possono ancora scorgere molte delle fortificazioni che attestano la plurisecolare vocazione militare di
questi territori. Partendo da Peschiera, dove il fiume nasce dalle acque
del Lago di Garda, è possibile ammirare la cinquecentesca Cittadella bastionata dal possente impianto pentagonale, potenziata nel corso del XIX
151
Fig. 2 - Monzambano, Castello (foto di M. Introini)
secolo secondo la più moderna concezione dei campi trincerati. Il Forte Ardietti, in particolare, ne esemplifica l’evoluzione e i modelli adottati. Proseguendo, il territorio assume un profilo ondulato, caratteristico delle colline moreniche e in cima alle alture si possono scorgere i profili di
numerosi castelli medievali. Sulla destra si incontrano quelli di Ponti sul
Mincio e di Monzambano, fortilizi che furono di grande importanza quali estremi avanzati del sistema difensivo scaligero. Poco oltre si distingue
l’antico borgo murato di Castellaro Lagusello, affacciato su un piccolo lago di origine morenica, e ancora le linee della Rocca di Cavriana, trasformata a metà del XV secolo, grazie all’intervento dell’ingegnere Giovanni
da Padova, in una struttura architettonico-residenziale tra le più importanti dello stato gonzaghesco. Lo sfondo è invece disegnato dagli inconfodibili tratti dell’antica Rocca di Solferino definita durante il Risorgimento
– per la sua posizione strategica – ‘La spia d’Italia’. Attorno ad essa rimane traccia del castello di Orazio Gonzaga, marchese di Solferino, costruito verso la metà del XVI secolo come roccaforte e residenza del principe.
Sull’ultima propaggine dei colli sorge Volta Mantovana, centro caratterizzato dai resti dell’antico castello medioevale che si erge nella parte più al152
ta del centro abitato. Proseguendo si giunge a Borghetto luogo che conserva i resti di un’antica cinta fortificata, dominato dalla possente Diga-ponte
Viscontea, approntata alla fine del XIV secolo dall’ingegnere militare fiorentino Domenico dei Benintendi per volere di Giangaleazzo Visconti e
che un tempo completava la cerniera fortificata tra il Mincio e Serraglio
Scaligero. Sul Monte Ogheri svetta il Castello di Valeggio sul Mincio, per
un lungo periodo importante presidio di confine tra i territori Veronesi e
Mantovani. Il viaggio prosegue nella grande pianura dove si possono riconoscere i luoghi che nei secoli furono teatro di scontri e battaglie. Superata Pozzolo si arriva a Goito che purtroppo non conserva traccia del
grande recinto fortificato duecentesco, ristrutturato nel corso del XV secolo dall’ingegnere Giovanni da Padova. Il borgo è però anche conosciuto come ‘paese dei bersaglieri’ e una scultura bronzea, posta nei pressi del
Ponte della Gloria, celebra l’eroica azione del 1848. Esso è l’unico abitato interamente attraversato dal Mincio che in questo tratto non è navigabile. Già Ludovico Gonzaga trovò una soluzione attraverso la realizzazione
di un canale, il celebre Naviglio, per consentire il passaggio delle imbarcazioni. Proseguendo, le acque iniziano a scorrere più lentamente, cominciano ad impaludarsi, si è ormai prossimi al Lago Superiore. Si arriva a
Mantova, città che nelle acque del Mincio ha trovato fin dalle origini la
sua principale forma di difesa. I laghi che la circondano, i ponti e le dighe, i frammenti della cinta muraria, il Castello di San Giorgio, i resti
della bastionata Cittadella di Porto, assieme ai sedimi dell’antico Serraglio, rievocano l’immagine della città-fortezza e le ottocentesche lunette
Fossamana e Frassino assieme all’imponente Forte di Pietole, documentano il grandioso disegno che trasformò la città in una moderna piazzaforte al centro di un complesso sistema idraulico. Una piazzaforte che nel
suo impianto si estese fino a Borgoforte sul Po, dove rimangono il Forte Centrale e i resti del Forte Noyeau, brani della doppia testa di ponte
qui realizzata del genio militare asburgico poco prima della Terza Guerra
d’Indipendenza. Il viaggio continua, lasciata Mantova alle spalle e superata la Vallazza, il corso del Mincio prosegue con andamento tortuoso fino a gettarsi in Po presso Governolo, a lungo nodo essenziale del sistema
idraulico mantovano e teatro nei secoli di importanti scontri e battaglie.
In queste opere, componenti determinanti il disegno del paesaggio, simboli silenziosi e testimoni di un passato ormai indistinto, si possono ancora leggere i caratteri dell’evoluzione dell’arte fortificatoria, la capacità e il talento degli ingegneri militari e ancora l’eco e la memoria di fatti d’arme che
hanno scritto alcune tra le più significative pagine della storia europea2.
2. Più in generale sulla storia militare dei territori lungo e a ridosso del Mincio cfr.
in particolare a Perbellini, 1993; Bonora Previdi, 2003.
153
Fig. 3 - Castellaro Lagusello (Monzambano), borgo murato (foto di M. Introini)
Mura, torri, rocche e castelli: la Valle del Mincio tra Medioevo e
Rinascimento
All’interno del sistema politico-militare dei territori compresi tra Lombardia e Veneto, la Valle del Mincio ha sempre rappresentato un limite
all’influenza veronese, definendo in particolare i confini occidentale e meridionale, entro cui, ancora nell’Alto Medioevo, si procedeva all’asservimento del territorio. Operazione il cui esito implicava però il superamento
delle resistenze di quelle entità locali che, pur partecipando alla lotta che
Papato e Impero stavano conducendo per il dominio della Pianura Padana,
tenacemente difendevano la loro sopravvivenza. Fu, infatti, attorno a Papato e Impero che si trovarono a ruotare i centri del Nord Italia, in una realtà che andava aggregando ogni alleanza attorno alle città più importanti,
come ad esempio Venezia, Milano e Firenze. Verona e Mantova si mossero con ambizioni di gran lunga superiori al ruolo loro assegnato. Verona, in
particolare, passata dal dominio di Ezzelino a quello degli Scaligeri, astuti e sapienti signori della guerra, da signoria cercava di diventare principato. Un disegno riproposto, alla fine del XIV secolo, dalla grande espansio154
ne viscontea che, assunta la dimensione di un vero e proprio stato, fu però
improvvisamente azzerata dalla morte di Giangaleazzo e dalle lotte interne
all’inizio del Quattrocento. Mantova invece, al cui governo, con l’aiuto veronese, ai Bonacolsi erano subentrati i Gonzaga, affidava la propria autonomia
più al pragmatismo che alla forza delle armi. All’interno di questo contesto
il Garda e l’alta Valle del Mincio rappresentarono quindi una vera e propria
cerniera tra Veronese e Mantovano, una porta alternativamente aperta alle
penetrazioni verso la Lombardia o da quest’ultima verso il Veneto3.
Sotto il profilo strategico, per la signoria scaligera si trattò, nello specifico, di preservare il confine meridionale: se il bacino del Garda rappresentava, infatti, per se stesso una protezione delle aree situate a meridione
del lago, il corso del Mincio e le paludi del Tione avrebbero costituito, invece, se non ben custodite, la porta che avrebbe canalizzato ogni incursione tanto milanese quanto mantovana4. Non a caso il complesso sistema dei
castelli scaligeri, esteso anche alla ‘linea del Mincio’ con i castelli-recinto
di Ponti e Monzambano5, fu rafforzato con la realizzazione del Serraglio
Scaligero, un’unica muraglia, fiancheggiata da un centinaio di torri con
fossato alimentato dalle acque del Tione che raccordava i castelli di Nogarole Rocca, Villafranca, Gherla e Valeggio, nonché il borgo fortificato di
Borghetto. Un’opera dalle dimensioni straordinarie, un percorso impenetrabile ad ogni influenza esterna, un sistema sicuro e ben controllabile, capace di assicurare la saldatura tra il Mincio e il Tione, iniziata sotto Mastino
II nel 1345 e terminata da Cangrande II nel 13556. Successivamente alla signoria viscontea, una volta conquistato il Veneto, rimase la necessità di garantirne permanentemente l’accesso, avendo ben presente che le aspirazioni
mantovane miravano a garantirsi uno sbocco sul Garda. Questo giustificò
la realizzazione di un’opera dai caratteri eccezionali come la Diga-ponte
Viscontea di Borghetto. Costruito tra il 1393 e il 1395 per volere di Giangaleazzo Visconti duca di Milano, sotto la direzione dell’ingegnere militare
Domenico dei Benintendi di Firenze, il ponte venne a costituire uno sbarramento di oltre mezzo chilometro di lunghezza, 24 metri di larghezza e 9
di altezza con al centro un sistema di paratie mobili. Un’opera mai completata che avrebbe dovuto inerpicarsi fino a mezza costa del Monte Ogheri ed ancora essere collegata al Castello di Valeggio, a sua volta connesso
al grande muro scaligero. Consentendo l’allargamento del solco vallivo fino
a Peschiera, il ponte veniva a completare la cerniera fortificata tra il Min3. Cfr. Perbellini, 1993, pp. 91-92.
4. Cfr. Perbellini, 1982, p. 106.
5. Sul sistema dei castelli scaligeri cfr. in particolare Perbellini, 1982. Per approfondimenti sui castelli di Ponti sul Mincio e Monzambano cfr. i più recenti studi di Agostini,
2004 e di Brogiolo, Cervigni e Zandonella Maiucco, 2008.
6. Sul Serraglio Scaligero si segnala il recente studio di Venturelli, 2011-12.
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Fig. 4 - Valeggio sul Mincio, Diga-ponte viscontea (foto di M. Introini)
cio e il Serraglio7. Quando il Veronese passò nelle mani della Serenissima,
Venezia non dimostrò però alcun interesse alla conservazione di tale opera.
Dopo aver sistemato le paratie, la mantenne in efficienza fino alla metà del
XVI secolo, quando la difesa del grande vertice con il Mantovano fu affidata alla Fortezza di Peschiera. Quest’ultima, di origine medioevale, posta
a cavallo tra il Mincio e il Garda, integrata dagli Scaligeri da Sirmione, di
cui costituiva la copertura sud orientale, a lungo costituì la chiave del basso Garda. A metà del XVI secolo, su progetto di Guidobaldo d’Urbino, fu
rinnovata con impianto pentagonale regolare bastionato, secondo le più aggiornate teorie delle trattatistica cinquecentesca, inglobando il castello di
epoca altomedievale sorto su un precedente tracciato romano8.
Al contrario degli Scaligeri, i Gonzaga, desiderosi di potersi garantire
uno sbocco sul Garda, praticarono la via delle alleanze politiche parteci7. Sulla Diga-ponte viscontea si rimanda in particolare a Cassi Ramelli, 1977B;
Decò, 1983; Filippi, 1994. Per ulteriori approfondimenti si veda anche il saggio di Carlo
Togliani contenuto nel presente volume.
8. Per approfondimenti cfr. in particolare Bozzetto, 1997, pp. 27-134.
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Fig. 5 - Valeggio sul Mincio, Castello (foto di M. Introini)
pando attivamente ed in campi alterni ad ognuna delle coalizioni che, dalla
metà del XIV secolo a quella del XVI secolo, si proponevano la spartizione del territorio veneto. Dai Bonacolsi essi ereditarono un sistema di difesa del territorio caratterizzato da castelli, fin dai tempi più antichi, preposti
a difendere il territorio mantovano lungo il corso dei suoi fiumi, che assunsero anche funzioni di marcatura, pedaggio e custodia9. Un sistema che i
Gonzaga, durante i quasi quattro secoli del loro governo, seppero consolidare ed ampliare, mantenendone sostanzialmente immutata la dislocazione
sul territorio, trasformandone piuttosto l’assetto e le funzioni a seconda degli eventi, della politica e delle esigenze politico-militari. Nel corso del XV
secolo le fortificazioni del contado, per la maggior parte di origine medioevale, non subirono infatti trasformazioni di rilievo, nemmeno con l’introduzione delle nuove tecniche d’assalto legate all’uso delle armi da fuoco.
Numerosi furono però gli interventi di manutenzione e restauro; molti dei
fortilizi, specie i castelli-recinto disposti lungo i confini, accolsero più spe9. Sul sistema dei castelli gonzagheschi cfr. in particolare Palvarini e Perogalli, 1983;
Rodella, 1983; Rodella, 1988A; Rodella, 1999.
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Fig. 6 - Peschiera del Garda, Porta Verona alla Cittadella (foto di M. Introini)
cificatamente funzioni rurali. Si assistette anche, secondo una pratica assai diffusa negli stati signorili dell’Italia settentrionale, ad un rinnovo e un
radicale riassetto di alcune strutture, finalizzati a soddisfare esigenze più
specificatamente residenziali. I soggiorni nei castelli collinari, come Goito, Marmirolo, Volta, Cavriana si fecero sempre più lunghi: si trattava ormai di accoglienti dimore, luoghi salubri e deliziosi dove poter trascorrere
il tempo cacciando e pescando, ma dove si potevano ricevere anche ambasciatori e discutere di affari di stato10.
Al tempo stesso le capacità di difesa di Mantova, capitale dei domini gonzagheschi, continuarono ad essere concepite in modo ‘passivo’, ovvero identificate con la cinta d’acqua la cui regolamentazione fu progressivamente perfezionata con opere di ristrutturazione apportate nei secoli
alla Chiusa di Governolo11. Il Serraglio mantovano, costituito da un tratto del Mincio e del Po e dai canali Osone Nuovo e Fossaviva, assicurava
10. Cfr. in particolare Rodella 1983.
11. Sulla regolamentazione dei laghi e l’opera di Governolo cfr. Togliani, 1997-98, pp.
610-664; Togliani, 2003C; Togliani 2007A.
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Fig. 7 - Peschiera del Garda, baluardo della Cittadella (foto di M. Introini)
alla città un’ulteriore difesa e un retroterra che poteva garantire la sopravvivenza in caso d’assedio12. Mantova risultava poi protetta da un perimetro di mura sporadicamente munito di torri e baluardi, integrato nella parte settentrionale dal Castello di San Giorgio, eretto fra il 1395 e il 1406
da Bartolino da Novara, il quale, esaurita la propria funzione, fu accorpato al complesso della reggia gonzaghesca13. Sugli altri fronti, oltre i laghi,
12. Si ritiene che la costruzione del Serraglio sia iniziata nel 1215 e terminata nel 1259;
esso sfruttava le depressioni dei terreni che, in caso di necessità, potevano essere impaludati ed allagati dalle acque dei fiumi Mincio e Po, fatte defluire attraverso una serie di
canali e fossati. In particolare sul versante occidentale il canale Osone Nuovo si immetteva nella Fossaviva passando per le Valli di Montanara e di Buscoldo e giungeva fino a
Borgoforte, dove entrava in Po. Tale linea era rafforzata dallo scomparso Castello di Curtatone, dalle tre Rocchette di Montanara (una di queste ancora visibile) e dal Castello e
dalle Torri di Buscoldo (cfr. D’Arco, 1871-74; Davari, 1903; Parmigiani, 2010).
13. Lo sviluppo della città di Mantova si è attuato mediante la formazione di tre successive cerchie murarie; per approfondimenti cfr. Marani, 1965; Marani, 1967B; Marani,
1969A;Marani, 1969B; Carpeggiani e Pagliari, 1983, Tamassia, 1989; Tamassia, 1993. Sul
Castello di San Giorgio cfr. in particolare Palvarini e Perogalli, 1983, pp. 59-70; Rodella,
2003; Rodella e L’Occaso, 2006.
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la difesa della città era completata dalle opere di Pradella e di Porta Cerese e dagli antichi borghi di San Giorgio e di Porto. Sistema difensivo
concretamente aggiornato solo a partire dal XVI secolo, quando il marchese Francesco II Gonzaga decise di avviare un ambizioso ed organico
progetto di riassetto affidando la direzione dei lavori all’ingegnere e uomo
d’arme, Alessio Beccaguto. Il progetto, sebbene rimasto incompleto, diede comunque avvio all’idea di una città-fortezza bastionata. Nonostante
i Gonzaga siano stati tra i primi a recepire e ad applicare le istanze della scuola centro-italica che inaugurò l’adozione del sistema bastionato, gli
interventi attuati a Mantova dall’inizio del XVI secolo rimasero pressoché estranei ai processi di rinnovamento che la trattatistica cinquecentesca andava proponendo. Si trattò sostanzialmente di addizioni attuate sulla cerchia medioevale ad opera di ingegneri e architetti che continuarono
a considerare l’acqua come il principale strumento per la difesa di questa città. L’unico vero esempio di architettura fortificata cinquecentesca
deve considerarsi la Cittadella di Porto che, realizzata in corrispondenza dell’omonimo borgo, costituiva un avamposto fortificato complementare alla città, isolato o isolabile, testa di ponte posta a difesa dell’ingresso
alla capitale ducale in direzione di Verona e della Diga-ponte dei Mulini,
opera fondamentale per la regolamentazione dei laghi che circondavano
la città. Nuovi interventi di potenziamento delle difese furono attuati nel
corso del XVII secolo per un adeguamento alle mutate esigenze militari e
per integrare un sistema difensivo che andava progressivamente estendendosi attraverso l’aggiunta di opere esterne, quali i trinceramenti del Te e
del Migliaretto14.
Mantova «antemurale della… Lombardia, e chiave d’Italia»
All’inizio del XVIII secolo la conclusione della Guerra di Successione
Spagnola determinò mutamenti territoriali e assestamenti confinari che ridisegnarono la carta politica europea mantenutasi immutata nei suoi contorni più generali almeno fino alla Rivoluzione Francese. Con la collocazione politica sancita definitivamente nel 1708 dalla Dieta di Ratisbona, il
Mantovano, da sempre oggetto di contesa tra le potenze con mire di dominio sull’Italia settentrionale per la sua posizione d’accesso alla Pianura Padana, fu inserito entro la più vasta compagine territoriale dell’Impero
asburgico. La città di Mantova cessò di fatto, improvvisamente e definitivamente, di essere la capitale di un ducato per essere trasformata in capo14. Per approfondimenti sui lavori e sulle opere di fortificazione progettati e realizzati tra XVI e XVII secolo si rimanda in particolare a Davari, 1875; Perogalli, 1977; Palvarini e Perogalli, 1983, pp. 153-194; Ferrari, 1988; Ferrari, 2002.
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luogo di provincia, a cui fu inoltre riconosciuto l’inedito ruolo di principale
fortezza per la difesa dei territori imperiali dell’Italia settentrionale15.
La nuova amministrazione pose immediatamente mano alle necessarie trasformazioni, premesse e basi di quel processo di militarizzazione
che avrebbe investito l’intero territorio mantovano e tutta la Valle del Mincio nel corso del XIX secolo. Ai primi studi e urgenti lavori di adeguamento per la messa in stato di difesa16, seguì un programma di interventi pianificati e finalizzati all’adeguamento e al potenziamento del sistema difensivo
cittadino accompagnato dalla realizzazione di un adeguato sistema di strutture logistiche a servizio della fortezza. Se quest’ultimo ebbe effettivamente modo di concretizzarsi secondo una adeguata organizzazione e configurazione, grazie alla riforma degli enti religiosi attuata attraverso l’esproprio
dei beni ecclesiali e ad una conseguente devoluzione di aeree ed edifici
a diversi utilizzi, lunghe e complesse si rivelarono, invece, le elaborazioni progettuali per l’aggiornamento e il potenziamento delle difese17. Intensa fu, infatti, l’attività progettuale dei tecnici del genio militare imperiale,
aggiornata alle differenti e più recenti teorizzazioni dell’arte fortificatoria,
che portò a soluzioni progettuali, documentate in memorie, relazioni e disegni, che furono tradotti in piani generali il cui comune denominatore fu
rappresentato dallo sfruttamento, a fini difensivi, delle acque del Mincio.
Un primo progetto per il potenziamento della fortezza mantovana fu
presentato nel 1735; solo parzialmente documentato, questo fu giudicato
conforme alla massime della fortificazione moderna, ma reputato eccessivamente costoso. In alternativa, nel 1744, fu proposto un piano che tentò di
coniugare l’immediata esigenza di mettere Mantova in stato di difesa con i
lunghi tempi di redazione di un piano generale di riparazione e potenziamento e con le imprescindibili questioni economiche. Considerata la relativa facilità con cui il nemico avrebbe potuto, in qualsiasi momento, scolare
le acque che circondavano la città, da sempre considerate essenziali alla difesa, e la conseguente tipologia di attacco che il nemico avrebbe messo in
atto, gli ingegneri militari proposero di aggiungere alla cinta esistente un
sistema di opere esterne di carattere campale, realizzabili rapidamente e a
basso costo. Principi del tutto differenti caratterizzarono invece le elaborazioni di epoca successiva. Nella soluzione già prospettata nel 1749 dal ge15. Per approfondimenti relativi alla storia delle fortificazioni di Mantova durante la
prima amministrazione asburgica (1707-1797) cfr. Ferrari, 2005; Bonora Previdi, 2009A;
Ferrari, 2010.
16. L’immediata operatività militare attribuita alla città coincise con un rapido inizio
dei lavori di manutenzione delle porte urbane, dei corpi di guardia e di riparazione e di rifacimento di tratti di mura. Dal 1718 furono inoltre intrapresi interventi per il completamento e il perfezionamento della Cittadella di Porto con opere addizionali esterne (cfr.
Bonora Previdi, 2009A, pp. 86-90).
17. Per approfondimenti cfr. Bonora Previdi, 2009A, pp. 152-223.
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Fig. 8 - Cittadella (Mantova), Porta Giulia (foto di M. Introini)
nerale Paul Ferdinad de Bohn e poi sviluppata dal capitano ingegnere Nicolò Baschiera nel 1753 lo sfruttamento a fini difensivi delle acque che
circondavano la città si associava ad un sistema di opere addizionali, elaborato secondo i più aggiornati principi riguardanti i fronti bastionati. Per
il potenziamento del «gran Fronte», quello meridionale, l’unico a non essere adeguatamente difeso dalle acque, furono previsti cinque nuovi bastioni,
quattro dei quali staccati dall’esistente cinta muraria, fiancheggiati da tenaglie, poste fra questi e le cortine murarie, e controguardie a protezione dei
baluardi esistenti. Tutto protetto da una articolata strada coperta e fossato.
La mancata realizzazione del progetto e il dibattito creatosi sulle modalità di potenziamento di una fortezza come Mantova, favoriti anche e soprattutto dal clima di pace che caratterizzò l’Europa nella seconda metà del
XVIII secolo e di conseguenza dall’assenza di contingenti esigenze militari, misero in ulteriore evidenza la molteplicità di orientamenti, caratteristica degli ufficiali del Genio militare asburgico. Una soluzione radicalmente
opposta fu infatti presentata negli anni Sessanta del secolo dal feldmaresciallo Robert Spalart. Lo sfruttamento degli elementi naturali divenne la
chiave dell’intero sistema difensivo. Spalart, nel presentare il suo progetto,
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puntualizzava infatti come la Fortezza di Mantova, proprio per la sua particolare conformazione geografica, fosse già sostanzialmente forte ed occorresse soltanto intervenire in modo da poter trarre il maggior vantaggio
possibile da questa favorevole situazione naturale. La soluzione prospettata, che nei principi generali prevedeva il potenziamento del fronte meridionale, rimanendo in questo simile a quella ipotizzata da de Bohn e Baschiera, si distingueva per la definizione del sistema e per il numero delle opere
proposte. Spalart suggeriva di coprire l’intero fronte meridionale con le acque del Paiolo, da Porta Pradella fino al Lago Inferiore. A questa grande
inondazione si sarebbe dovuto aggiungere un semplice cammino coperto,
potenziato da alcune piccole opere poste ai piedi della sua scarpa, particolarmente utili e opportune nel caso di scarpate circondate da inondazioni o
da terreni paludosi. Ancora una volta, però, il prolungato stato di pace e il
permanere di difficoltà economiche rinviarono qualsiasi decisione e le necessità di potenziare le difese tornarono d’attualità solo all’inizio degli anni Ottanta del secolo, a causa dell’imminente pericolo francese, e si concretizzarono nella stesura di un ulteriore piano che, originato dall’esame
di una diversa minaccia, si discostava però dai precedenti lineamenti progettuali. In definitiva, a fronte di un’intensa attività progettuale, seguirono solo interventi finalizzati essenzialmente al riassetto delle opere di difesa esistenti18. Ingenti spese furono destinate anche all’escavazione di fossati
e canali posti a completamento delle opere di fortificazione e allo spurgo
e alla sistemazione dei laghi, che, per poter essere utilizzati a fini difensivi, necessitavano di un perfezionamento del sistema di regolazione. I bacini
dei laghi di Mezzo e Inferiore erano, infatti, sostenuti e regolati nel proprio
livello dalla Chiusa e Conca di Governolo, opera che costituiva il necessario compimento del vasto disegno d’antropizzazione del sistema lacustre mantovano e al contempo nodo militare di fondamentale importanza,
che, considerata la distanza dal corpo di piazza, presentava il non trascurabile inconveniente di essere difficilmente raggiungibile e difendibile in caso d’assedio. All’inizio degli anni Cinquanta del secolo la volontà di risolvere la complessa e articolata questione portò all’approvazione del progetto
dell’ingegnere Antonio Maria Azzalini, che proponeva la costruzione di
una nuova opera più a valle nella zona tra la località San Leone e la confluenza del Mincio in Po. Morto improvvisamente l’Azzalini, alla direzione
dell’opera subentrarono il vice prefetto delle acque Francesco Cremonesi e
il direttore delle fortificazioni delle fortezza di Mantova Nicolò Baschiera,
che procedettero nei lavori tenendo conto del disegno generale già tracciato e di nuove indicazioni tecniche. Piogge, esondazioni, difficoltà di carattere tecnico, opinioni discordanti riguardanti l’effettiva validità dell’opera
18. Per approfondimenti cfr. Bonora Previdi, 2009A, pp. 91-120, 145-152.
163
e una spesa eccessivamente onerosa determinarono però un lento procedere dei lavori e, all’inizio degli anni Sessanta, la loro definitiva interruzione.
Seguì un lungo e articolato dibattito, accompagnato da elaborazioni progettuali redatte da tecnici autorevoli quali Robert Spalart, Giuseppe Walter de
Waltheim, Michelangelo Ferrarini, Antonio Maria Lorgna, Giuseppe Mari,
espressioni dell’intreccio e della sovrapposizione d’interessi e competenze
civili e militari, che, a causa di motivi essenzialmente economici, non furono realizzate19.
Peschiera e Mantova nella sistema difensivo della Repubblica Cisalpina
Alla fine del XVIII secolo, molti territori dell’Italia settentrionale furono interessati dagli avvenimenti bellici originati dalla rivoluzione francese.
Tra le armate francesi e gli eserciti imperiali divampò la guerra, una nuova e brutale guerra che avrebbe trascinato milioni di uomini in una sterminata scia di sangue. Si trattò di eventi che permisero però di riscoprire, assieme alla sperimentazione dei progressi della tecnica bellica, l’importanza
e la vocazione strategica dei territori della Valle del Mincio, trasformati in
un teatro di azioni di penetrazione e di sfondamento, puntuali e al tempo
stesso diffuse nell’arco di diversi chilometri. Una lezione importante che,
terminati gli scontri, favorì successive iniziative ed interventi che portarono ad attrezzare questi territori con opere che contribuirono alla progressiva realizzazione di uno dei maggiori complessi fortificati dell’età moderna:
il Quadrilatero.
Il 9 febbraio 1801 con la pace di Luneville, la linea di frontiera tra
la Repubblica Cisalpina e l’Austria fu rigidamente fissata lungo il corso
dell’Adige, dalla Val Lagarina al mare. Verona, come Legnago e Porto, fu
divisa in due parti, soggette ai contrapposti domini. La rapida successione degli eventi che determinò la perdita e la riconquista dei territori cisalpini, indusse Napoleone a consolidare i propri possedimenti. Le direttive
del programma fortificatorio, già formulate nel 1797 dal generale François
Chasseloup-Laubat, furono confermate e nel quadrante orientale divenne essenziale il sistema di piazzeforti schierate contro l’Austria. Al generale Chasseloup-Laubat Napoleone conferì l’incarico dei progetti di potenziamento delle principali piazzeforti della Repubblica Cisalpina entro il cui
sistema Mantova, Peschiera e Rocca d’Anfo furono considerate chiavi per
il dominio della Lombardia20.
19. Per un primo approfondimento cfr. Bonora Previdi, 2009A, pp. 120-144.
20. Per approfondimenti cfr. in particolare Fara, 2006.
164
Per Peschiera lo studio dei piani di potenziamento, che si svolse in un arco di tempo di oltre dodici anni (1801-1813), fu accompagnato da incertezze
relative al ruolo che avrebbe dovuto assumere e alle sue reali capacità difensive. Perplessità espresse dallo stesso Napoleone, suggerite dalle condizioni d’impianto del sito rispetto alle qualità morfologiche del terreno circostante, sfavorevoli alla difesa, e dalle dimensioni relativamente modeste del corpo
di piazza. Svantaggi cui si sarebbe potuto ovviare conferendo alla piazzaforte
un ruolo offensivo, attraverso una evoluzione che ne potesse fare un punto di
manovra rispetto alla campagna. Operazione che avrebbe però richiesto una
radicale trasformazione dell’assetto della fortezza. L’abbandono, per gli eccessivi costi preventivati, della realizzazione di un nuovo fronte bastionato conforme ai modelli della scuola di Mézières, indusse ad adottare soluzioni che
portarono all’innovativa concezione del sistema a forti isolati. Restaurata e
rafforzata con opere esterne la cinquecentesca cinta magistrale, ritenuta ancora efficiente, fu infatti, proposta la realizzazione di un sistema di forti isolati
nella campagna, a metà strada tra le disposizioni delle opere avanzate e quelle delle opere staccate su posizioni dominanti. Le opere Salvi e Mandella, la
cui realizzazione fu intrapresa entro il primo decennio del XIX secolo, secondo le forme tradizionali dei bastioni pentagonali in muratura e terra, con
muro di rivestimento aderente, non più appoggiati alla cinta magistrale ma
tesi verso il campo aperto, costituiscono una delle prime anticipazioni e sperimentazioni nella messa a punto dei moderni campi trincerati a forti staccati, in cui le fortificazioni iniziano ad invadere il paesaggio occupando punti
significativi con raziocinio balistico, geometrico e prospettico21.
Più a sud, Mantova, con i francesi di Napoleone, conseguì l’impostazione del suo definitivo assetto fortificatorio che ne determinò la trasformazione
in una moderna piazzaforte posta al centro di un esteso e complesso sistema
idraulico. Il progetto redatto dal generale François Chasseloup-Laubat prevedeva infatti un aggiornamento e un potenziamento del sistema di ponti e dighe che collegavano la città alla terra ferma e che contribuivano alla regolamentazione delle acque dei laghi. Sul fronte occidentale l’Opera di Pradella,
posta a difesa dell’omonima Diga, fu integrata con la bastionatura terrapienata della Lunetta di Belfiore; la Cittadella di Porto, posta a difesa della Digaponte dei Mulini, fu rafforzata e potenziata. Sul fronte nord orientale, in corrispondenza del Ponte di San Giorgio, demolito l’omonimo borgo, fu costruita
come testa di ponte una nuova Lunetta, fiancheggiata da due bastioni in terra,
eretti rispettivamente nel Lago di Mezzo e nell’Inferiore. Più a sud, per regolamentare le acque del Lago Inferiore, fu prevista la costruzione di una nuova diga che dal fianco del trinceramento del Migliaretto avrebbe condotto sul21. Per approfondimenti cfr. in particolare Bozzetto, 1981, pp. 43-48; Bozzetto, 1997,
pp. 135-183; Fara, 2006, pp. 77-86.
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Fig. 9 - Virgilio, baluardo verso il lago del Forte di Pietole (foto di M. Introini)
la riva opposta ai fondi di Casa Zanetti. Denominata Diga Chasseloup (oggi
Masetti) tale opera, già ipotizzata dal genio militare asburgico nella prima
metà del XVIII secolo, avrebbe sostituito il Sostegno di Governolo che dal
punto di vista strategico presentava l’inconveniente dell’eccessiva distanza dal
corpo di piazza. Infine sul fronte meridionale le difese del Te e del Migliaretto furono integrate dalla realizzazione del Campo Trincerato e dalla regolamentazione delle acque del Paiolo. Grazie alla costruzione in corrispondenza
di Pietole di una nuova Diga le acque, sostenute anche dalla Diga di Pradella, in caso di necessità avrebbero creato la ‘grande inondazione’ che avrebbe completato le difese di questo fronte. Per proteggere la nuova diga, opera
idraulica che avrebbe consentito anche la bonifica dell’invaso di Paiolo, contribuendo a limitare impaludamenti ed esalazioni che nuocevano alla salubrità dell’aria, fu dato inizio alla costruzione dell’imponente Forte di Pietole, articolato su un tracciato a corona asimmetrico, composto da una piazza
d’armi centrale separata da numerose opere esterne attraverso un fossato22.
22. Per approfondimenti cfr. in particolare Fara, 2006, pp. 87-107; Rondelli, 2007; Bonora Previdi, 2007; Rondelli, 2013.
166
La piazzaforte ottocentesca veniva così concepita, ma le sue architetture
si arrestavano allo stadio preliminare: ogni cosa era infatti definita nel disegno, ma non nella sua forma edificata. Sia a Peschiera che a Mantova i
progetti rimasero in parte incompiuti. Nel 1814 il Mantovano insieme a Peschiera veniva riannesso ai domini imperiali entrando a far parte del nuovo
Regno Lombardo-Veneto.
Peschiera e Mantova fortezze del Quadrilatero
La ridefinizione dei confini imposta dal Congresso di Vienna impose
all’Austria un completo riesame del proprio sistema difensivo, giudicato ormai inadeguato alla luce anche delle profonde trasformazioni introdotte nei
tradizionali modi di condurre la guerra. In particolare la mobilità delle artiglierie aveva dimostrato la validità di un’organizzazione difensiva a carattere territoriale, in cui le singole piazzeforti venivano concepite come
piazze di manovra al servizio dell’armata di campagna, con conseguenti
trasformazioni della concezione stessa delle fortificazioni23. Nello specifico
per i possedimenti italiani, le campagne napoleoniche sperimentarono varianti di un disegno strategico volto alla conquista di queste regioni in direzione dell’Austria, in cui risultò evidente come le linee fluviali dell’Adige e
del Mincio, con i territori fra loro compresi, costituissero un sistema difensivo già configurato dalla natura che necessitava solo di essere potenziato
e rafforzato. Erano le prime intuizioni che avrebbero successivamente condotto a teorizzare l’efficacia strategica del Quadrilatero24.
Già nel 1819 l’arciduca Giovanni Battista d’Austria, dal 1801 direttore generale del Genio, presentò un quadro completo per la sicurezza della monarchia. Per i territori italiani egli individuò un unico sistema difensivo, in direzione nord-sud da Brixen a Mantova, che avrebbe garantito una
sicura via di comunicazione tra il Tirolo e la Pianura Padana, permettendo
un eventuale ripiegamento o la preparazione di manovre controffensive. In
pianura la piazzaforte di Mantova, appoggiata alle posizioni più arretrate
di Peschiera, Legnago e Verona avrebbe assunto una funzione di primaria
importanza all’interno di un sistema che avrebbe stabilito una connessione tra le linee fluviali del Mincio e dell’Adige25. I gravosi impegni assunti
23. Per un primo approfondimento sulla fortificazione poligonale e la nascita della
scuola fortificatoria neotedesca cfr. Perbellini e Bozzetto, 1990; Fara, 1993.
24. Sul Quadrilatero si rimanda in particolare a Biffart, 1864; Matioti, 1955; Barbetta, 1967; Hackelsberger, 1980; Perbellini, 1981; Bozzetto, 1993; Bozzetto, 1996; Ferrarese,
Melotto e Papavero, 2011.
25. Il piano di difesa messo a punto dall’arciduca Giovanni è in parte analizzato in
Bozzetto, 1993, pp. 114-116, 186 cui si rimanda.
167
dall’Austria nel programma fortificatorio della Confederazione germanica
fecero però accantonare momentaneamente qualsisi intervento26.
Ogni incertezza venne meno dopo i moti e gli eventi rivoluzionari del
1830. Fu, infatti, in seguito al timore di un imminente conflitto con la
Francia che Vienna decise di predisporre e rafforzare le difese del Lombardo-Veneto. Al feldmaresciallo Johann Joseph Franz Karl Radetzky von
Radetz, da poco nominato comandante dell’armata del Regno LombardoVeneto, era ben chiaro il vantaggio strategico che sarebbe derivato dal predisporre uno scacchiere difensivo che potesse sfruttare congiuntamente le
potenzialità delle linee fluviali dell’Adige e del Mincio e dei territori fra loro compresi. Non a caso, nel 1831, tra i provvedimenti urgenti fu stabilito
il ripristino della distrutta cinta magistrale di Verona (sulla destra d’Adige),
riconosciuta come baricentro dell’intero sistema difensivo, e il contemporaneo rafforzamento della ‘linea del Mincio’, dove le piazzeforti di Peschiera
e Mantova erano in parte ancora munite di cinquecentesche cinte bastionate e del tutto prive di moderni campi trincerati a forti staccati.
Ristabilitasi però la situazione politica europea, ancora una volta ostacoli di carattere economico ed incomprensioni da parte del Consiglio Aulico
di Guerra non consentirono la completa attuazione dell’innovativo disegno
fortificatorio. La perseveranza e l’autorevolezza di Radetzky garantirono
comunque un primo parziale finanziamento dei lavori: in particolare a Verona la cinta magistrale, ricostruita e rafforzata sulle opposte rive (18331842), fu integrata dalle prime fortificazioni esterne (1837-1842), mentre a
Peschiera e a Mantova si eseguirono parziali rafforzamenti condizionati
da ragioni economiche oltre che da un assetto difensivo esistente, giudicato
tutto sommato efficiente27.
L’effettiva potenzialità del Quadrilatero fu sperimentata e confermata
durante la campagna di guerra del 1848-49. Seguì la sua definitiva impostazione: Verona, in posizione arretrata e direttamente collegata all’Impero, avrebbe costituito il deposito dove concentrare tutti i rifornimenti militari del Lombardo-Veneto, Legnago, in seconda linea, come testa di ponte
avrebbe assicurato l’appoggio all’ala del medio Adige, mentre Peschiera e
Mantova, poste sulla ‘linea del Mincio’, in posizione avanzata, avrebbero
costituito i perni di manovra dell’armata. Mantova, in particolare, definiva, direttamente con Peschiera e Borgoforte, seguendo la primitiva linea di
difesa fluviale generata dal Garda ed estesa lungo il Serraglio sino alla riva del Po, un sistema in grado di controllare agevolmente il lato occidentale del Quadrilatero. Territori storicamente divisi venivano così a saldarsi
26. Sul programma fortificatorio della Confederazione germanica cfr. in particolare
Bozzetto, 1993, pp. 116-121.
27. Per approfondimenti su Peschiera cfr. in particolare a Bozzetto, 1997, pp. 190-205;
per Mantova Bonora, 1999; Ferrari, 2000; Bonora Previdi, 2007.
168
Fig. 10 - Borgoforte, Forte asburgico (foto di M. Introini)
in un’unica direttrice: le province di Mantova e Verona, il Mincio e l’Adige
appartenevano ora ad un unico scacchiere difensivo.
L’adeguamento alle nuove esigenze strategiche, conformate ai progressi degli strumenti bellici, portarono alla realizzazione di nuove opere e a
profonde e sostanziali modifiche delle esistenti con risultati, all’interno
della stessa regione, sostanzialmente differenti anche sotto lo stretto profilo tipologico. A Peschiera già a partire dall’agosto 1848 ebbe inizio l’elaborazione dei primi progetti per il Campo Trincerato, tenacemente voluto dal feldmaresciallo Radetzky, la cui redazione fu affidata al direttore
del Genio di Mantova, il maggiore Eduard von Maretìch. All’inizio del
1849 fu definito il piano fortificatorio d’insieme, che abbandonava l’iniziale proposta di realizzare sul fronte sud occidentale, fino alla riva destra del fiume Mincio, nove nuove opere in stile semipermanente, di sola
terra e legname, adottando invece la soluzione di un sistema di sedici forti staccati con ridotto casamattato, disposti a corona per la difesa del corpo di piazza. Tra il 1851 e il 1853 assunsero la loro fisionomia, pressoché definitiva, i primi forti posti sulla riva destra del fiume la più esposta
all’azione offensiva: Cappuccini, Papa, Laghetto e Saladini e la scom169
parsa Polveriera Badoara. Opere, che riflettevano con evidenza i caratteri tecnici e formali della scuola fortificatoria neotedesca. Durante i lavori apparve però opportuno come il progetto dovesse essere semplificato
e reso geometricamente più chiaro. Le nuove proposte progettuali elaborate nel 1852 dalla locale direzione del Genio non furono però giudicate
idonee. Nel 1853 la direzione del Genio di Vienna, diretta dal colonnello Michael von Maly, considerato uno dei maggiori esperti di architettura militare della monarchia, intervenne direttamente. Tra il 1854 e il
1855 si assistette al completamento e alla ristrutturazione dei forti francesi Salvi e Mandella e successivamente alla costruzione dei forti Baccotto
e Ardietti. A quest’ultimo, in particolare – oggi perfettamente conservato
–, che avrebbe dovuto completare le opere della riva destra, fu attribuita
la peculiare funzione tattica di chiusura del Campo Trincerato nel settore meridionale, interrotto dalla Valle del Mincio. Esso doveva costituire il cardine fortificatorio della piazzaforte. Lo studio dei nuovi progetti divenne quindi l’occasione per la messa a punto di un’opera staccata di
grandi dimensioni, capace di una superiore resistenza autonoma. I lavori
per la costruzione del Forte Ardietti, iniziati tra il 1856 e il 1857, furono
però interrotti dalla campagna di guerra del 185928. Intanto a Mantova,
ritenuta sufficientemente fortificata dall’arte e dalla natura, eseguiti diversi lavori di completamento delle opere già intraprese e un ulteriore adeguamento delle strutture logistiche a servizio della fortezza, fu realizzata
una linea difensiva avanzata sul fronte occidentale, lungo lo scolo pubblico denominato Osone Nuovo, distante circa quattro miglia dalla città, che
chiudeva idealmente la linea del Serraglio 29.
Gli eventi della Seconda Guerra d’Indipendenza misero a dura prova il
sistema difensivo del Quadrilatero, che all’indomani del trattato di Zurigo, con la ridefinizione dei confini e la divisione del Mantovano, si trovò
ad essere un vero e proprio presidio di frontiera. Quando l’Austria fu, infatti, costretta a cedere la Lombardia, escluse Mantova e Peschiera, il nuovo
confine fu posto proprio lungo il Mincio, da nord fino alle Grazie per giungere in linea retta a Scorzarolo e da qui lungo il corso del Po a Luzzara. Il
problema della difesa dei possedimenti italiani assumeva quindi per Vienna aspetti del tutto inediti, che dovettero essere riesaminati tenendo anche
conto dei progressi compiuti dall’artiglieria conseguenti all’introduzione
della canna rigata.
28. Cfr. Bozzetto, 1997, pp. 206-235. Si veda inoltre Bozzetto, 1981, pp. 51-57.
29. Qui, durante gli scontri armati del 1848, le truppe toscane, accampate tra Montanara e Curtatone, avevano eretto un trinceramento di opere provvisorie in terra che nel
1849, anziché essere distrutte, furono sostituite da cinque ridotte di carattere semipermanente. Per approfondimenti cfr. Bonora, 1999, pp. 229-230, 233; Ferrari, 2000, pp. 22, 173179; Bonora Previdi, 2003, p. 233.
170
Fig. 11 - Ponti sul Mincio, colline con Forte Ardietti (foto di M. Introini)
A Peschiera il campo trincerato fu definitivamente semplificato e completato. Nel 1861 fu completato il Forte Ardietti, ritenuto il capolavoro del
Quadrilatero. Seguirono i rimaneggimenti e le ricostruzioni dei forti posti sulla riva sinistra e nel 1863 la realizzazione dell’ultimo forte staccato,
collocato sull’altura di Monte Croce, nei pressi di Ponti sul Mincio, intitolato all’imperatore Francesco Giuseppe, precoce transizione verso forme e
ordinamenti delle fortificazioni di epoca contemporanea. Accanto alle innovazioni progettuali, la sua ubicazione isolata introdusse, infatti, ad una
dimensione assai più ampia del campo trincerato, resa necessaria dalla
sempre maggiore gittata dell’artiglieria30.
In questi stessi anni furono intrapresi anche importanti lavori ad ulteriore potenziamento ed ampliamento della piazzaforte di Mantova. Tra il
1859 e 1861, secondo le concezioni dei moderni campi trincerati, a difesa del fronte occidentale, fuori Porta Pradella, a meridione della Lunetta di Belfiore, fu eretta la Lunetta Pompilio (Pompiglio), oggi scompar30. Cfr. Bozzetto, 1997, pp. 248-261. Si veda inoltre Bozzetto, 1981, pp. 57-60.
171
sa, che costituiva una barriera per la strada che da Borgoforte conduceva
a Mantova. Sul fronte orientale furono invece realizzate la Lunetta Frassino e la Lunetta Fossamana, oggi ancora conservate, che furono progettate
e in breve tempo realizzate come opere di fiancheggiamento dell’esistente
Lunetta di San Giorgio, realizzata dai francesi di Napoleone dopo l’abbattimento dell’omonimo borgo31. In questi stessi anni prese forma la combinazione strategica Adige, Mincio e Po, a nord con la realizzazione della Testa di ponte di Pastrengo e a sud con la doppia Testa di ponte sul Po
presso Borgoforte32. Località costantemente alla ribalta nella storia militare, caratterizzata dalla presenza di un forte restringimento del Po, da insenature adatte al ricovero e alla sosta delle imbarcazioni e in posizione mediana fra Piacenza e Ferrara, punti di forza della linea di difesa austriaca
sul fiume, Borgoforte, in particolare, era direttamente collegata alla ‘linea
del Mincio’ e sufficientemente vicina ad una piazzaforte come quella di
Mantova, fortificata dall’arte e dalla natura. La realizzazione di un passaggio sul Grande Fiume avrebbe garantito all’Austria, in generale, un rafforzamento della linea difensiva del Mincio e, in particolare, uno sbarramento
della ‘linea del Po’, oltre ad un sicuro passaggio per eventuali operazioni offensive contro l’Italia centrale. Nella primavera del 1860 si diede inizio all’attuazione del piano, la cui configurazione fortificatoria iniziale era
già stata definita nel giugno 1859. Furono realizzati quattro forti a carattere permanente: sulla riva destra fu realizzato il cosiddetto Forte di Motteggiana (Werk Noyeau) posto ad immediata difesa del ponte militare, mentre
sulla riva sinistra furono previsti il Forte Centrale (Central Werk) che intercettava la strada in direzione di Mantova, fiancheggiato dai due forti minori Rocchetta (Werk Rocchetta) e Boccadiganda (Werk Bocca di Ganda),
posti a cavaliere sull’argine maestro del Po33.
Opere in cui si riconoscono i modelli più perfezionati e architettonicamente compiuti della fortificazione ottocentesca austriaca. Si tratta, infatti, di forti riconducibili al sistema poligonale misto della scuola neotedesca, in cui la varietà delle forme planimetriche d’insieme, secondo le
figure del pentagono, dell’ottagono o di altri poligoni, si combina con ridotti casamattati per il ricovero del presidio a corpo lineare composito, a
figura triassiale, a crociera. Una sorprendente varietà che dipendeva dalle
rigorose disposizioni balistiche che si combinavano alla capacità e al talento degli ingegneri militari imperiali di trasferire, nella definizione del
31. Per approfondimenti si rimanda a Bonora, 1999, pp. 233-236; Ferrari, 2000, pp.
22, 158-163; Bonora Previdi, 2003, pp. 233-234, 244-245.
32. Bozzetto, 2010, p. 382.
33. Sulla doppia testa di ponte sul Po presso Borgoforte si rimanda a Mambrini,
1988, pp. 95-100; Bonora, 1999, pp. 235, 237, 238; Bonora Previdi, 2003, pp. 235-237;
Segre, 2002; Bonora Previdi, 2009C; Bozzetto, 2010, pp. 382-388; Bonora Previdi, 2012.
172
carattere stilistico delle opere fortificatorie, le tradizioni costruttive del
luogo.
Nella primavera del 1866, quando la situazione politica lasciava ormai
intendere l’imminente apertura delle ostilità da parte italiana, la prevista adozione di un ingente numero di artiglierie rigate che avrebbe dovuto guarnire le piazzeforti del Quadrilatero, determinò la necessità di adeguare anche quelle fortificazioni non ancora in grado di accogliere queste
moderne bocche da fuoco. Sulla ‘linea del Mincio’, a Mantova in particolare, accanto a lavori in terra per il rafforzamento e la modifica dei profili dei terrapieni, tra la Lunetta di Belfiore e quella di Pompilio, fu costruita la grande Batteria Belgioioso, opera realizzata in stile semipermanente,
molto simile nell’impostazione ai grandi forti veronesi progettati dal generale Tunkler.
Durante gli scontri del 1866 il Quadrilatero dimostrò ancora una volta tutta l’efficacia del proprio potenziale difensivo, inutile però per la conservazione da parte dell’Impero dei territori del Lombardo-Veneto. La definitiva annessione di Mantova e del Veneto al Regno d’Italia segnò la
revisione del suo valore strategico: gli ingegneri militari del Regno d’Italia, infatti, concepirono la ‘linea del Po’ come una frontiera di sicurezza
interna verso nord e il Quadrilatero come una postazione offensiva o di
ripiegamento strategico per una futura guerra contro l’Impero austro-ungarico34.
La linea fluviale del Mincio, così come quella del Po, conservò una propria dignità strategica almeno fino al primo conflitto mondiale, per contrastare eventuali invasioni provenienti da est, come apparve ben evidente
all’indomani degli eventi di Caporetto. Per i territori delle valli dell’Adige e
del Mincio si era però avviata la progressiva conclusione di quel lungo periodo che li aveva visti fra i protagonisti assoluti degli avvenimenti bellici che a lungo avevano investito l’Italia settentrionale e durante il quale la
realizzazione di opere difensive, strettamente connesse alla morfologia e
conformazione geografica, sempre aggiornate sulla base delle moderne esigenze belliche, incise profondamente sul disegno del territorio. La ridefinizione dei confini, il conseguente adeguamento delle strategie difensive, la
comparsa di nuove classi politiche e amministrative gettarono infatti le basi per la progressiva demolizione e smantellamento di un sistema di opere che, a metà del XIX secolo, aveva raggiunto il proprio culmine evolutivo in un disegno prefigurato quasi dalla natura stessa, realizzato per gradi
e per successive elaborazioni progettuali in un arco temporale di circa sette secoli35.
34. Cfr. Bozzetto, 2010, p. 371.
35. Sulle dismissioni delle fortificazioni di Mantova in particolare cfr. Fontana, 1989-90.
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