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Giulio Andreetta: guida all'ascolto di Beata Viscera (Perotinus)

Il compositore Perotino, tra medioevo e contemporaneità. Il ruolo della singolarità nell'espressione musicale.

GUIDA ALL’ASCOLTO: BEATA VISCERA DI PEROTINO di Giulio Andreetta È un mondo oscuro, profetico, segnato dal dolore, quello che ci abbacina, e sembra sorgere dalle profondità del tempo e dello spazio. Eppure, viene da pensare, ci fu un periodo in cui quella musica dovette invece essere viva testimonianza del presente, dell’attimo. Uno dei massimi compositori occidentali, Perotino, della Scuola di Notre Dame 1, appare, con questa monodia (Beata Viscera), parlare a tutti noi oltre i secoli. Il testo, dedicato alla Vergine, è intriso di una materialità sconosciuta a molte delle opere di quel periodo. Ma ciò che ancora una volta è più importante di tutto è la musica, che si accosta alla forma dell’eternità. Si avverte una forte influenza delle monodie trobadoriche, di quel mondo profano, cortese, pieno di gentilezza e di forza, di rispetto e amore per la donna. Vengono forse in mente i versi del Petrarca, che sorgono quasi dalle profondità di un mondo oscuro, violento, in cui la morte non è meno importante della vita. L’eterno mistero sembra essere rivelato da queste poche note, che lanciano con forza il loro grido. A me pare che tutto possa riassumersi in uno di quegli sguardi che, da soli, giustificano un’esistenza. Non sguardi di complicità, non contaminati dal desiderio, e nemmeno da una qualche esigenza di comunicazione. Perché la musica non dice mai nulla, può solo mostrare l’intestimoniabile. Uno di quegli sguardi che sembrano perdersi nei meandri del tempo e dello spazio, non contaminati dalla compassione, da questa ridicola forma di alterigia e di orgoglio. È un medioevo carico di contemporaneità, quello di Perotino, nel quale gli interrogativi rimangono tali, e le risposte non sono che forme convenzionali per attutire la paura del domani. Ancora una volta i nostri fratelli, distanti molti secoli, sembrano specchiarsi a noi nel dolore, ma a differenza nostra non con debolezza. Non è un mondo metafisico, quello che ci appare, ma in preda a forze gigantesche, incontrollabili, catastrofiche, che possono annullare la vita umana da un momento all’altro. La consapevolezza del termine, della finitezza, rende questi antenati più vicini a un’idea sublime di uomo, che non dovrebbe mai perdere la forza della disperazione, quella stessa disperazione tragica del mondo greco. In questa melodia, echi di storie lontane, eppure talmente vicine a noi da colpirci e da emozionarci. E dove finisce adesso la nostra idea di medioevo? La storia non è altro che il racconto di una follia collettiva, ma se è vero che ci sono molte maschere, è altrettanto vero che ogni tanto da qualche parte appare un volto. Ed è a lui che il saggio Perotino si rivolge, e diventa nostro contemporaneo, si staglia più forte di rumori quasi assordanti che però svaniscono in fretta. Giochi effimeri, che disturbano la nostra quotidianità, e che sono destinati a svanire in modo inavvertibile. E allora si capisce bene perché un compositore come Steve Reich, uno dei monumenti viventi del minimalismo musicale, non esiti a riprendere talune formule del grande compositore di Notre Dame, ad esempio in Proverb. Perotino ci appare più contemporaneo di molti contemporanei. In questa musica possiamo riconoscere le parti più nascoste di noi stessi, quelle più arcaiche, meno soggette al controllo della ragione e della consuetudine. Non è dunque il medioevo che si staglia al di sopra di noi, ma siamo noi uomini che riconosciamo come vicine le epoche che più ci sembrano lontane. E questo perché ancora una volta l’uomo, depurato dall’estemporaneo racconto storico, da tutte le sue miserie, le sue falsità, le sue tristi vicende, appare ancora, se non di più, un uomo. Anzi la sua dignità si accresce perché finalmente a parlare non è la convenzione storica, il triste adeguamento ad una stanca tradizione, ma l’uomo, con tutta la sua intelligenza, con tutto il suo coraggio. Ecco, che in uno di quegli sguardi sembra riassumersi questa idea di uomo, forte, intrepido, che guarda con coraggio ad un futuro che profila con certezza la futura sconfitta. Perché la morte non può mai essere invocata né tantomeno cercata. E il poeta Dylan Thomas sembra ricordarcelo: << Non andartene docile in quella buona notte, i vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno; infuria, infuria, contro il morire della luce.>>2. In questa melodia sento ogni volta un grido disperato contro il pur naturale estinguersi della luce. E la falsa idea di un medioevo tranquillizzante, imbevuto di superstizione, e di rassicuranti mitologie perde tutta la sua forza per fare emergere qualcosa che va oltre ogni nostra immaginazione. Molte volte, tra me e me, mi chiedo quanto sarei disposto a perdere per avere l’opportunità di compiere un viaggio nel tempo. Sarebbe interessante poter dire di aver conosciuto quest’uomo tanto superbo, tanto saggio, così sensibile e così ispirato. A volte mi sembra quasi di poter affermare di conoscerlo bene. Ma le mie forse sono solo suggestioni. E un altro interrogativo che mi sovviene è quanto sia possibile comprendere di un individuo a partire solo dalla conoscenza della sua musica, o più in generale, del suo lascito artistico. E questa domanda mi sembra interessantissima, perché si potrebbe arrivare a un paradosso tragico e allo stesso tempo sublime. Immaginate pochi secondi, la durata di una poesia o di una ‘canzone’ come Beata Viscera, che sembrano svelare in un attimo l’animo umano più di quarant’anni di vita in comune. Che paradosso tragico e allo stesso tempo sublime. È questo, forse , uno dei miracoli dell’arte? Quello di comunicare una singolarità tramite l’inesprimibile potenza della musica? E non è forse questa la ragione del perché queste opere sono immortali? Non è tanto la musica come è scritta, ma tutto questo mondo carico di suggestioni che non possono essere dette, né pensate, ma che mostrano qualcosa che può solo essere colto in un momento di abbandono, di estasi. E non è forse questa consapevolezza del limite, del passaggio del tempo, di una fragile singolarità destinata a sparire che dona a chi sperimenta questo ascolto mistico la consapevolezza del fascino di tutto ciò che è così tremendamente effimero? 1 2 Scuola musicale nata a Parigi nella seconda metà del secolo XII. Non andartene docile in quella buona notte, in Dylan Thomas, Poesie, Torino, Einuadi, 1965.