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Cattedrale di Matera: gli stemmi raccontano

2019, Mathera Anno II, n4,

On the external walls of Matera Cathedral there are a few coat of arms, painted in the last centuries and related to the most important families of Europe which ruled southern Italy

Editore: Associazione Culturale ANTROS - registrazione al tribunale di Matera n. 02 del 05-05-2017 - 21 giu/20 set 2018 - Anno II - n. 4 - € 7,50 Il destino della balena di S. Giuliano Chitaridd documenti inediti e nuove scoperte 1 Ecco le monete di Mateola MATHERA Il presente Pdf è la versione digitale in bassa risoluzione della pubblicazione cartacea della rivista Mathera. L’editore Antros rende liberamente disponibili in formato digitale tutti i contenuti della rivista, esattamente un anno dopo l’uscita. Sul sito www.rivistamathera.it potete consultare il database di tutti gli articoli pubblicati finora divisi per numero di uscita, autore e argomento trattato. Nello stesso sito è anche possibile abbonarsi alla rivista, consultare la rete dei rivenditori e acquistare la versione cartacea in arretrato, fino ad esaurimento scorte. 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Gruppo di studio Domenico Bennardi, Ettore Camarda, Olimpia Campitelli, Domenico Caragnano, Sabrina Centonze, Anna Chiara Contini, Gea De Leonardis, Franco Dell’Aquila, Mariagrazia Di Pede, Pasquale Doria, Angelo Fontana, Francesco Foschino, Giuseppe Gambetta, Emanuele Giordano, Rocco Giove, Angelo Lospinuso, Mario Montemurro, Nunzia Nicoletti, Raffaele Paolicelli, Giulia Perrino, Giuseppe Pupillo, Caterina Raimondi, Giovanni Ricciardi, Rosalinda Romanelli, Angelo Sarra, Giusy Schiuma, Nicola Taddonio. Progetto grafico e impaginazione Giuseppe Colucci Consulenza amministrativa Studio Associato Commercialisti Braico – Nicoletti Tutela legale e diritto d’autore Studio legale Vincenzo Vinciguerra Stampa Antezza Tipografi - via V. 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Le biografie di tutti gli autori sono su: www.rivistamathera.it Mathera viene resa liberamente disponibile online, in formato digitale, dodici mesi dopo l’uscita. MATHERA 3 SOMMARIO articoli 7 Editoriale - Un anno insieme, il cammino prosegue 8 Chitaridd. Documenti inediti rubriche 85 di Pasquale Doria e nuove chiavi di lettura Ritrovati i resti del bandito di Matera? di Silvio Teot 16 19 Mateola: la monetazione 29 Mateola nella tradizione archeologica e letteraria 32 Guido Spera e il suo archivio: Appendice - La canzone su Chitarridd 94 97 di Giovanni Ricciardi di Giovanni Ricciardi immagini per divulgare di Francesco Barbaro 38 Emanuele Masciandaro: un artista al servizio dell’archeologia di Nunzia Nicoletti 44 Il Piano e i Sassi: genesi comune, destino diverso 48 Via Fossi e i suoi ipogei 55 Cristo la Selva: l’evoluzione architettonica 59 Cristo la Selva: l’affresco della crocifissione 61 Tricarico: un carnevale della Basilicata 66 Il cetaceo fossile del lago di S. Giuliano 74 Testimonianze degli ultimi zuccatori 80 Giuseppina Tataranni, di Francesco Foschino e Raffaele Paolicelli 99 101 106 108 di Carmine Di Lena di Franco Dell’Aquila di Domenico Caragnano 110 113 di Alessandra Del Prete di Gianfranco Lionetti di Delia Martiradonna 119 125 prima assistente sociale di Matera di Pasquale Doria 128 Grafi e Graffi I graffiti absidali di San Giovanni Battista a Matera di Ettore Camarda e Sabrina Centonze HistoryTelling La balena nella mitologia: l’Aspidochelone di Gianfranco Lionetti Voce di Popolo La festa del Corpus Domini tra devozione e tradizione di Domenico Bennardi La penna nella roccia La Gravina protegge Matera dai terremoti? di Mario Montemurro Radici Tulipani spontanei del Materano di Giuseppe Gambetta Verba Volant Le parti del corpo: osservazioni sul lessico dialettale di Emanuele Giordano Scripta Manent Quando il Carro si “strazzava” in Piazza Duomo di Francesco Foschino Echi Contadini Attrezzi e strumenti di un tempo nel lavoro dei campi di Angelo Sarra Piccole tracce, grandi storie Cattedrale: gli stemmi raccontano di Francesco Foschino C’era una volta Porta Pepice e le chiese di S. Marco alle Beccherie di Raffaele Paolicelli Ars nova Il mondo di Antonio Paradiso e il Parco Scultura “La Palomba” di Giusy Schiuma Il Racconto Di due in due di Agnese Ferri In copertina: Particolare della tavola n. 1 dell’Arch. Anna Chiara Contini ottenuta sovrapponendo alla foto satellitare odierna di Matera la planimetria degli ipogei di via Fossi (cfr. pag. 45). A pagina 3: Illustrazione di Pino Oliva ispirata alla figura di Eustachio Chita. MATHERA 5 Piccole tracce, grandi storie Cattedrale: gli stemmi raccontano di Francesco Foschino Lungo i muri esterni della Cattedrale di Matera sono stati dipinti nei secoli numerosi stemmi, appartenenti presumibilmente a vescovi e regnanti, e ne rimangono ancora i segni sia sulla facciata meridionale (che volge verso la piazza) che su quella principale. Su quest’ultima permangono ormai poche tracce: sopra la porta maggiore tenui, illegibili residui di colore e poi nelle parti laterali si riconoscono, incise sul’intonaco, le linee guida geometriche che tracciò l’esecutore per comporre gli stemmi e i loro disegni interni, maggiormente visibili dopo la pulitura dei muri esterni effettuata fra il 2015 e i primi mesi del 2016. Figg. 1 e 2 - Tracce di linee guida per stemmi, facciata principale Esasperando i toni del contrasto, sono chiaramente visibili nelle foto che proponiamo (fig.1). Non è possibile, dai pochi segni superstiti, asserire con certezza quali blasoni fossero presenti. Il Grande Stemma di Mattia Corvino re d’Ungheria e di Beatrice d’Aragona Molto inusuali appaiono le linee guida presenti in prossimità dell’altorilievo di Santa Teopista, di fianco la finestra laterale sinistra (fig 2). Sono certamente da riferirsi ad uno stemma steso precedentemente all’apposizione del cinquecentesco altorilievo che lo ha parzialmente occultato. Sono cerchi concentrici divisi a spicchi nella parte esterna, che qualcuno ha interpretato come una meridiana, cosa non plausibile per due ragioni. Innanzitutto parleremmo di una meridiana esposta a Ovest, orientamento inconciliabile con una meridiana; inoltre le presunte tacche sono poste anche al di sopra del supposto punto dello gnomone, dove questi non avrebbe mai potuto proiettare la sua ombra. Si tratta quindi sicuramente di uno stemma, conformemente alla totalità delle altre raffigurazioni presenti lungo le mura esterne, pur se siamo in presenza di una composizione piuttosto rara, ma che ha un importante comparazione. Difatti Mattia Corvino (italianizzazione di Matyas Huniady), re di Ungheria dal 1458 al 1490, e per periodi più brevi anche re di Boemia e di Austria, si dotò del cosiddetto “Grande stemma”, che comprendeva oltre al Fig. 3 - Grande Stemma di Mattia Corvino, Re d’Ungheria e Beatrice d’Aragona sua consorte MATHERA 113 blasone suo e della consorte in posizione centrale, anche gli stemmi dei territori sotto il suo dominio, disposti circolarmente. Nel 1476 re Mattia Corvino sposò Beatrice d’Aragona (conosciuta anche come Beatrice di Napoli), figlia del re di Napoli Ferdinando I d’Aragona, (e dunque sorella dei successivi sovrani Alfonso II e Federico IV). Riportiamo qui il “Grande Stemma” dei sovrani Mattia Corvino e Beatrice d’Aragona (fig.3). I loro stemmi sono al centro della composizione (a sinistra del Corvino e a destra di Beatrice) e quindi disposti circolarmente dal centro e in senso orario, i nove blasoni di Boemia, Lussemburgo, Lusazia, Moravia, Austria, Volinia, Silesia, Dalmazia-Croazia, Bistrita. Le linee geometriche superstiti sulla facciata scandiscono uno spazio circolare per otto stemmi, cioè come il Grande Stemma appariva fra il 1476 (anno del matrimonio con Beatrice) e il 1487 (quando Mattia Corvino annesse il territorio dell’Austria aggiungendo anche il nono blasone). Se dunque questa ipotesi risultasse vera (non possono esserci certezze a riguardo), si tratterebbero delle tracce del Grande Stemma di Mattia Corvino e Beatrice d’Aragona, disegnato sulla facciata principale della Cattedrale di Matera fra il 1476 e il 1487. Non potendo esser certi di questa attribuzione, possiamo solo fantasticare in occasione di quale evento fu disegnato lo stemma, pur se di solito avveniva per celebrare a distanza i matrimoni dei regnanti, per immortalare visite ufficiali, o per festeggiare vittorie militari. Lo stemma di Ferdinando I d’Aragona re di Napoli I due blasoni maggiormente visibili sono presenti sulla facciata laterale, a sinistra della cosiddetta “porta di piazza” e sono contigui (fig. 4). Ci occupiamo prima dello stemma immediatamente di fianco alla porta, di cui ormai rimane solo il profilo, avendo totalmente perso la parte interna (fig. 5). Sorprendentemente, fino a pochi decenni or sono se ne potevano indovinare ancora i contorni geometrici, come si può osservare in questa foto scattata nel 1987 (fig. 6). A fornirci un Fig. 4 - Facciata laterale: stemmi 114 MATHERA Fig. 5 - Anno 2018 (foto R. Giove); Fig. 6 - Anno 1987 (foto Antonio Foschino). Sotto: fig. 7 - Stemma di Ferdinando I d’Aragona Fig. 8 - Stemma di Ferdinando I d’Aragona con diversa disposizione dei quarti ulteriore aiuto è Giuseppe Gattini, che nel 1913 pubblica il testo “La Cattedrale Illustrata”. Un paragrafo è dedicato agli stemmi della Cattedrale, dove fa solo un accenno a quelli sui muri esterni: descrive quello dell’Arcivescovo del tempo Anselmo Pecci, posto su un ovale affisso al muro e quindi parla dei nostri due: «altri stemmi all’angolo presso la porta della Piazza, dove la città ad occasione della real visita del 1464 avea fatto dipingere l’arma Aragonese col distico: “Haec decus heroum Fernandus pacis et auctor Gallorum ultor Rex signa benigna facit” ma già guasta e per le intermperie svanita, scambiata nel 1800 per quella Fig. 9 - Stemma di Carlo di Borbone Re di Napoli austriaca, comecchè dipinta accanto all’altra Borbonica, venne dalla turba ignara cancellata del tutto, mentre l’ultima ancor fa capolino di sotto l’imbiancatura». Il Gattini dunque ci narra come lo stemma fosse alquanto sbiadito già alla sua epoca, e che fosse aragonese (ritenne erroneamente borbonica l’altra), ma che un tempo vi fosse un distico inneggiante a Fedinando I e dunque verosimilmente fu dipinto in occasione della visita del re in città (è attestato che avvenne il 22 gennaio del 1464). Dunque si tratterebbe dello stemma del re Ferdinando I d’Aragona Re di Napoli (di sua figlia Beatrice abbiamo parlato nel paragrafo precedente). Possiamo raccogliere ora ulteriori elementi per confermare o smentire tale conclusione. Circa il distico che il Gattini riporta, di cui da tempo non vi è traccia alcuna, può essere reso con: ”Il Re Ferdinando, onore degli eroi, garante della pace e punitore dei Francesi ha fatto queste munifiche insegne”. Effettivamente fra il 1460 e il 1464 il Re Ferdinando fu impegnato in guerra contro il francese Giovanni d’Angiò per il trono di Napoli e ne uscì vittorioso. Inoltre, come è facile notare, si tratta di uno stemma di un condottiero militare. A dircelo sono le insegne militari incrociate dietro lo scudo, le bandiere di guerra che si spiegano ai lati e le trombe di battaglia in basso. Questi attributi sono presenti solo negli stemmi dei condottieri e dei comandanti di un esercito, ma ciò non è incoerente con la figura di questo sovrano, che giovanissimo fu nominato da suo padre Luogotenente Generale del regno, e dunque non è improbabile che quando svolgesse il ruolo di Comandante in carica durante periodi bellici, il suo stemma fosse caricato delle insegne militari. Ora possiamo confrontare lo stemma ufficiale di Ferdinando I con i segni geometrici nella foto del 1987. Lo stemma del re era inquartato, con le bande verticali gialle e rosse di Aragona in due quarti e con una tripartizione nei restanti due: bande orizzontali bianco-rosse della dinastia Arpad, i gigli di Francia e la croce di Gerusalemme (fig 7). Il secondo e il terzo quarto appaiono effettivamente entrambi con le bande verticali di Aragona. Nel primo e ultimo quarto, sono visibili le bande orizzontali bianco-rosse della dinastia ungherese Arpad, pur se nella nostra tripartizione sono collocate in ordine diverso. Sembrano intrevedersi anche i segni della croce di Gerusalemme, ma il degrado della superficie non ci permette di andare oltre. Alcuni errori nella riproposizione sono da considerarsi comuni, come si può vedere in questa immagine dove la posizione dei quarti è inversa (fig 8). Solo un elemento appare discorde: nei due spicchi alle estremità dello stemma, su sfondo omogeneo sembrano disporsi quattro sfere (ricordano vagamente lo stemma mediceo a sei sfere che poi i Borbone ingloberanno nello stemma, a destra in fig. 9). Ad ogni modo è da ritenersi probabile che si tratti effettivamente dello stemma di Ferdinando I di Napoli, dipinto in una data compresa fra il 1462 (anno dei primi trionfi bellici contro i francesi che ne possano giustificare il titolo di “punitore dei francesi”) e il 1494, MATHERA 115 Fig. 12 - Anno 2016: il tentativo dei restauratori di colmare la lacuna Fig. 10 - Anno 2018 (R. Giove); fig. 11 - Anno 1987 (Antonio Foschino) anno della sua morte e destituzione. Suggestiva l’ipotesi del Gattini che propone il 1464, anno delle visita ufficiale del re a Matera. Lo stemma di Louis d’Armagnac, Duca di Nemours e Vicere di Napoli Questo è il blasone che si è meglio conservato, forse in Fig. 13 - Epigrafe presente alla base dello stemma (foto R. Giove) 116 MATHERA quanto fu coperto di intonaco (Gattini, nel brano citato, dice esplicitamente «ancor fa capolino di sotto l’imbiancatura»), steso con lo scopo di occultarlo, con il risultato di proteggerlo dagli agenti atmosferici (fig 10). Anche per questo stemma disponiamo di una foto del 1987 (fig 11), che ci offre alcuni dettagli in più specie nel secondo quarto, dove si vedono almeno due gigli. Anche l’ultimo quarto, si noti come nel 1987 risulti mancante di una porzione rettangolare, che si è tentato di mascherare con i restauri del 2016 (in dettaglio fig. 12) ricostruendo il leone, ma con scarso successo; confrontandolo con la foto attuale, due anni dopo il nuovo disegno è già quasi scomparso. Si tratta di uno stemma inquartato, con il primo e ultimo quarto controinquartati con quattro leoni rampanti di rosso su campo bianco, nel secondo quarto gigli di Francia su campo blu, che probabilmente si ripeteva nel terzo quarto di cui però oggi individuiamo solo il campo blu. Questo stemma, nonostante sia abbastanza chiaro nel suo disegno, non è mai stato attribuito, se non con generiche definizioni di “arma borbonica”, come abbiamo letto nel Gattini, che lo vedeva parzialmente ancora coperto dall’imbiancatura (cfr fig. 13). Difatti, nessuno Figg. 14 e 15 - Stemmi di Louis d’Armagnac in due diverse varianti stemma dei Borbone o degli Aragonesi assomiglia al nostro. È vero che i due elementi principali del nostro stemma appaiono comunemente in questi ultimi, cioè i gigli di Francia e i leoni rampanti, come potete notare osservando nuovamente lo stemma dei Borbone in fig. 9; ma nessuno stemma aragonese o borbonico si avvicina a questo. Ci viene qui in soccorso la lunga iscrizione che osserviamo sotto lo stemma. Si tratta di una epigrafe inizialmente composta da quattro righi. I primi due sono quasi totalmente svaniti, si riconoscono solo i segni delle lettere con elementi tondi (C, O, G), in quanto disegnate con compasso che ha maggiormente inciso l’intonaco. Non abbastanza da permettercene la lettura ma sufficientemente per poter escludere che fosse il distico “Haec decus heroum…” che abbiamo sopra considerato. I successivi due righi restituiscono, dopo attenta osservazione, la seguente lettura: [NE]MOSII DVX INCD [.]PE[.]A[.]TO[.]HE[..] [ ]S VICTO VIDIMVS HOS[ ] ABRO[ ] Sono proprio le prime lettere a indicarci la soluzione: …MOSII DVX INCD INCD è acronimo onorifico che sta per Illistrissimus Nobilissimus Calrissimus Dominus MOSII DVX invece, considerando come la prima parola sia stata troncata alle prime lettere per la scomparsa dell’intonaco, era sicuramente NEMOSII DVX. L’odierna tencologia ci viene oggi in soccorso: grazie al Thesaurus digitale della lingua latina, si è appurato come l’unica parola latina che termina in MOSII e possa essere seguita da DUX sia proprio la locu- zione NEMOSII DVX, che sta appunto per “Duca di Nemours” (al nominativo Nemours è Nemosus). Questo titolo onorifico francese nacque nel 1404 in capo alla corona e fu ad appannaggio della famiglia degli Armagnac fino al 1504. Passò quindi ai Foix, quindi ai Savoia-Nemours e dal 1640 agli Orleans. Il titolo non apporta modifiche allo stemma familiare, e quindi ogni duca di Nemours ha avuto lo stemma della propria casata. Di tutti i duchi di Nemours che si sono avvicendati, uno solo ha uno stemma compatibile con questo. Ed è anche l’unico che ha avuto contatti diretti con Matera, tali che possano giustificare l’apposizione del proprio stemma sulle mura della Cattedrale. Si tratta di Luois d’Armagnac, duca di Nemours, che in qualità di Vicere di Napoli è stato a Matera nel settembre del 1502. Il suo stemma era inquartato. Nei quarti 1 e 4 controinquartato con i leoni d’Armagnac e i leopardi dei Rodez. Nel secondo e terzo quarto con le insegne dei Bourbon-La Marche: gigli di Francia in campo blu e banda diagonale rossa carica di leoni rampanti. Lo stemma, estrapolato dal coevo armoriale Le Bouvier,[1500] detto du Barry, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi, è disegnato al foglio 23r ed è il seguente (fig 14). La somiglianza è lampante. In altro anonimo armoriale lo stemma ha i quarti invertiti (fig 15). I quarti con i gigli sono troppo compromessi per trovar traccia della banda rossa. L’unica differenza riguarda i quarti con i leoni: nello stemma degli armoriali compaiono due leoni rossi in campo bianco (stemma originario degli Armagnac) e due leopardi d’oro su campo rosso (stemma dei Rodez), e non quattro leoni rossi su campo MATHERA 117 Fig. 16 - Una cartolina del 1910 della Catterdrale. Si noti come lo stemma di Ferdinando I D’Aragona sia ancora riconoscibile, invece lo stemma di Louis d’Armagnac sia illegibile in quanto ancora imbiancato, come ci viene riportato da Giuseppe Gattini che scrive nel 1913 (archivio MUV Matera) bianco come qui. Può essersi trattato di un banale errore dell’esecutore (come abbiamo visto erano alquanto diffusi), visto che l’epigrafe ci attesta con sicurezza che fosse l’arma del Duca di Nemours. In alternativa, potrebbe esserci stata una volontà da parte del Duca di sostituire i leopardi dei Rodez con i leoni rossi dei Luxembourg, sostanzialmente simili al leone degli Armagnac (rampante, rosso, su campo bianco) con l’eccezione di una corona in capo ai leoni dei Luxembourg. Isabelle de Luxembourg era la nonna materna del Duca. Non è questa la sede per indagare le complesse vicende storiche che interessarono il sud Italia fra XV e XVI secolo, quando Angioini e Aragonesi si contesero il Regno di Napoli, con la decisiva vittoria di questi ultimi nel 1503 con la battaglia di Cerignola, dove perse la vita proprio Luigi d’Armagnac, duca di Nemours. Questi era stato investito dal re di Francia del titolo di Vicere di Napoli, con lo scopo di strappare l’intero meridione alla corona aragonese. Dopo alcune iniziali vittorie militari, il Nemours attuò una tattica di attesa, mentre l’esercito spagnolo si asserragliò presso Barletta (sono i giorni della famosa disfida). Luigi d’Armagnac, sono concordi le fonti, entrò a Matera nel settembre del 1502, come riportano Francesco Guicciardini (nella sua Storia d’Italia al Quinto libro [1561]), e tutti i cronisti che se ne sono occupati anticamente, sia di parte francese che spagnola (Charles Philippe de Monthenault d’Egly e Juan de Mariana fra i tanti) e naturalmente tutti cronisti locali (incluso Giuseppe Gattini a pag. 93 delle sue Note Istoriche sulla città). Il suo passaggio a Matera rientrava nella strategia di accerchiamento delle truppe spagnole guidate 118 MATHERA da Consalvo di Cordoba. Fu in questa circostanza che il Conte di Matera Tramontano fu preso prigioniero dalle truppe francesi entrate in città, come riportano i cronisti. Il tentativo del Duca di Nemours non ebbe successo come abbiamo visto: pochi mesi dopo il suo ingresso a Matera morirà nel campo di battaglia, lasciando il Regno di Napoli agli aragonesi. Conclusioni Questo è il primo studio che interpreta gli stemmi presenti sulle pareti esterne della Cattedrale dopo il primo tentativo reso oltre un secolo fa dal Conte Gattini. Oggi possiamo dire come i muri della Cattedrale conservino ancora (ma ogni anno sempre meno) piccole tracce della ricca storia cittadina, specie del periodo compreso fra il 1460 e il 1503, quando il Regno di Napoli fu aspramente conteso fra Angioini e Aragonesi in una guerra che coinvolse Matera direttamente, vista la sua posizione nel cuore del fronte. La propaganda politica stese le armi dei regnanti in posizione visibile e dominante, imbiancando successivamente i blasoni degli sconfitti, consentendone per ironia della sorte una migliore conservazione. Bibliografia [Gattini 1882] Giuseppe Gattini, Note Istoriche della città di Matera, Napoli 1882, p 93. [Gattini 1913] Giuseppe Gattini, La Cattedrale Illustrata, Matera, Tipografia commerciale 1913. [Guicciardini 1561] Francesco Guicciardini, Storia d’Italia, 1561, Libro Quinto. [Le Bouvier 1500] Armorial de Gilles Le Bouvier, detto di Berry héraut d’armes du roi Charles VII. -- 1401-1500 -- manoscritto, foglio 23r, presso la Biblioteca Nazionale di Parigi.