Editore: Associazione Culturale ANTROS - registrazione al tribunale di Matera n. 02 del 05-05-2017 - 21 giu/20 set 2018 - Anno II - n. 4 - € 7,50
Il destino
della balena
di S. Giuliano
Chitaridd
documenti inediti
e nuove scoperte
1
Ecco
le monete
di Mateola
MATHERA
Il presente Pdf è la versione digitale in
bassa risoluzione della pubblicazione
cartacea della rivista Mathera.
L’editore Antros rende liberamente
disponibili in formato digitale tutti
i contenuti della rivista, esattamente
un anno dopo l’uscita.
Sul sito www.rivistamathera.it potete
consultare il database di tutti gli articoli pubblicati finora divisi per numero di uscita, autore e argomento
trattato.
Nello stesso sito è anche possibile abbonarsi alla rivista, consultare la rete
dei rivenditori e acquistare la versione
cartacea in arretrato, fino ad esaurimento scorte.
Chi volesse disporre della versione
ad alta risoluzione di questo pdf deve
contattare l’editore scrivendo a:
[email protected]
specificando il contenuto desiderato e
il motivo della richiesta.
Indicazioni per le citazioni bibliografiche:
Foschino, Cattedrale: gli stemmi raccontano,
in "MATHERA", anno II n. 4,
del 21 giugno 2018, pp. 113-118,
Antros, Matera
MATHERA
Rivista trimestrale di storia e cultura del territorio
Fondatori
Raffaele Paolicelli e Francesco Foschino
Anno II n.4 Periodo 21 giugno - 20 settembre 2018
In distribuzione dal 21 giugno 2018
Il prossimo numero uscirà il 21 settembre 2018
Registrazione Tribunale di Matera
N. 02 DEL 05-05-2017
Il Centro Nazionale ISSN, con sede presso il CNR,
ha attribuito alla rivista il codice ISSN 2532-8190
Editore
Associazione Culturale ANTROS
Via Bradano, 45 - 75100 Matera
Direttore responsabile
Pasquale Doria
Redazione
Sabrina Centonze, Francesco Foschino, Raffaele Paolicelli,
Valentina Zattoni.
Gruppo di studio
Domenico Bennardi, Ettore Camarda, Olimpia Campitelli, Domenico Caragnano, Sabrina Centonze, Anna Chiara
Contini, Gea De Leonardis, Franco Dell’Aquila, Mariagrazia Di Pede, Pasquale Doria, Angelo Fontana, Francesco
Foschino, Giuseppe Gambetta, Emanuele Giordano, Rocco
Giove, Angelo Lospinuso, Mario Montemurro, Nunzia Nicoletti, Raffaele Paolicelli, Giulia Perrino, Giuseppe Pupillo,
Caterina Raimondi, Giovanni Ricciardi, Rosalinda Romanelli, Angelo Sarra, Giusy Schiuma, Nicola Taddonio.
Progetto grafico e impaginazione
Giuseppe Colucci
Consulenza amministrativa
Studio Associato Commercialisti Braico – Nicoletti
Tutela legale e diritto d’autore
Studio legale Vincenzo Vinciguerra
Stampa
Antezza Tipografi - via V. Alvino, Matera
Per contributi, quesiti, diventare sponsor, abbonarsi:
Contatti
[email protected] - tel. 0835/1975311
www.rivistamathera.it
Rivista Mathera
Titolare del trattamento dei dati personali
Associazione Culturale ANTROS
I contenuti testuali, grafici e fotografici pubblicati sono
di esclusiva proprietà dell’Editore e dei rispettivi Autori
e sono tutelati a norma del diritto italiano. Ne è vietata la
riproduzione non autorizzata, sotto qualsiasi forma e con
qualunque mezzo. Tutte le comunicazioni e le richieste di
autorizzazione vanno indirizzate all’Editore per posta o per
email: Associazione Antros, Via Bradano, 45 - 75100
Matera;
[email protected]
L’Editore ha acquisito tutti i diritti di riproduzione delle immagini pubblicate e resta a disposizione degli aventi
diritto con i quali non è stato possibile comunicare o per
eventuali omissioni o inesattezze.
Mathera non riceve alcun tipo di contributo pubblico.
Le biografie di tutti gli autori sono su:
www.rivistamathera.it
Mathera viene resa liberamente disponibile online, in
formato digitale, dodici mesi dopo l’uscita.
MATHERA
3
SOMMARIO
articoli
7 Editoriale - Un anno insieme, il cammino prosegue
8 Chitaridd. Documenti inediti
rubriche
85
di Pasquale Doria
e nuove chiavi di lettura
Ritrovati i resti del bandito di Matera?
di Silvio Teot
16
19 Mateola: la monetazione
29 Mateola nella tradizione archeologica e letteraria
32 Guido Spera e il suo archivio:
Appendice - La canzone su Chitarridd
94
97
di Giovanni Ricciardi
di Giovanni Ricciardi
immagini per divulgare
di Francesco Barbaro
38 Emanuele Masciandaro: un artista
al servizio dell’archeologia
di Nunzia Nicoletti
44 Il Piano e i Sassi: genesi comune, destino diverso
48 Via Fossi e i suoi ipogei
55 Cristo la Selva: l’evoluzione architettonica
59 Cristo la Selva: l’affresco della crocifissione
61 Tricarico: un carnevale della Basilicata
66 Il cetaceo fossile del lago di S. Giuliano
74 Testimonianze degli ultimi zuccatori
80 Giuseppina Tataranni,
di Francesco Foschino e Raffaele Paolicelli
99
101
106
108
di Carmine Di Lena
di Franco Dell’Aquila
di Domenico Caragnano
110
113
di Alessandra Del Prete
di Gianfranco Lionetti
di Delia Martiradonna
119
125
prima assistente sociale di Matera
di Pasquale Doria
128
Grafi e Graffi
I graffiti absidali di San Giovanni Battista a Matera
di Ettore Camarda e Sabrina Centonze
HistoryTelling
La balena nella mitologia: l’Aspidochelone
di Gianfranco Lionetti
Voce di Popolo
La festa del Corpus Domini
tra devozione e tradizione
di Domenico Bennardi
La penna nella roccia
La Gravina protegge Matera dai terremoti?
di Mario Montemurro
Radici
Tulipani spontanei del Materano
di Giuseppe Gambetta
Verba Volant
Le parti del corpo: osservazioni sul lessico dialettale
di Emanuele Giordano
Scripta Manent
Quando il Carro si “strazzava” in Piazza Duomo
di Francesco Foschino
Echi Contadini
Attrezzi e strumenti di un tempo
nel lavoro dei campi
di Angelo Sarra
Piccole tracce, grandi storie
Cattedrale: gli stemmi raccontano
di Francesco Foschino
C’era una volta
Porta Pepice e le chiese di S. Marco alle Beccherie
di Raffaele Paolicelli
Ars nova
Il mondo di Antonio Paradiso e il Parco Scultura
“La Palomba”
di Giusy Schiuma
Il Racconto
Di due in due
di Agnese Ferri
In copertina:
Particolare della tavola n. 1 dell’Arch. Anna Chiara Contini ottenuta sovrapponendo alla foto satellitare odierna di Matera la planimetria degli ipogei di via Fossi (cfr. pag. 45).
A pagina 3:
Illustrazione di Pino Oliva ispirata alla figura di Eustachio Chita.
MATHERA
5
Piccole tracce, grandi storie
Cattedrale: gli stemmi raccontano
di Francesco Foschino
Lungo i muri esterni della Cattedrale di Matera sono
stati dipinti nei secoli numerosi stemmi, appartenenti
presumibilmente a vescovi e regnanti, e ne rimangono
ancora i segni sia sulla facciata meridionale (che volge
verso la piazza) che su quella principale.
Su quest’ultima permangono ormai poche tracce: sopra la porta maggiore tenui, illegibili residui di colore e
poi nelle parti laterali si riconoscono, incise sul’intonaco, le linee guida geometriche che tracciò l’esecutore per
comporre gli stemmi e i loro disegni interni, maggiormente visibili dopo la pulitura dei muri esterni effettuata
fra il 2015 e i primi mesi del 2016.
Figg. 1 e 2 - Tracce di linee guida per stemmi, facciata principale
Esasperando i toni del contrasto, sono chiaramente visibili nelle foto che proponiamo (fig.1). Non è possibile,
dai pochi segni superstiti, asserire con certezza quali blasoni fossero presenti.
Il Grande Stemma di Mattia Corvino re d’Ungheria e
di Beatrice d’Aragona
Molto inusuali appaiono le linee guida presenti in
prossimità dell’altorilievo di Santa Teopista, di fianco
la finestra laterale sinistra (fig 2). Sono certamente da
riferirsi ad uno stemma steso precedentemente all’apposizione del cinquecentesco altorilievo che lo ha parzialmente occultato. Sono cerchi concentrici divisi a
spicchi nella parte esterna, che qualcuno ha interpretato
come una meridiana, cosa non plausibile per due ragioni. Innanzitutto parleremmo di una meridiana esposta a
Ovest, orientamento inconciliabile con una meridiana;
inoltre le presunte tacche sono poste anche al di sopra del
supposto punto dello gnomone, dove questi non avrebbe
mai potuto proiettare la sua ombra. Si tratta quindi sicuramente di uno stemma, conformemente alla totalità
delle altre raffigurazioni presenti lungo le mura esterne,
pur se siamo in presenza di una composizione piuttosto
rara, ma che ha un importante comparazione.
Difatti Mattia Corvino (italianizzazione di Matyas
Huniady), re di Ungheria dal 1458 al 1490, e per periodi più brevi anche re di Boemia e di Austria, si dotò del
cosiddetto “Grande stemma”, che comprendeva oltre al
Fig. 3 - Grande Stemma di Mattia Corvino, Re d’Ungheria e Beatrice d’Aragona sua consorte
MATHERA
113
blasone suo e della consorte in posizione centrale, anche
gli stemmi dei territori sotto il suo dominio, disposti circolarmente. Nel 1476 re Mattia Corvino sposò Beatrice
d’Aragona (conosciuta anche come Beatrice di Napoli),
figlia del re di Napoli Ferdinando I d’Aragona, (e dunque
sorella dei successivi sovrani Alfonso II e Federico IV).
Riportiamo qui il “Grande Stemma” dei sovrani Mattia Corvino e Beatrice d’Aragona (fig.3). I loro stemmi
sono al centro della composizione (a sinistra del Corvino e a destra di Beatrice) e quindi disposti circolarmente
dal centro e in senso orario, i nove blasoni di Boemia,
Lussemburgo, Lusazia, Moravia, Austria, Volinia, Silesia,
Dalmazia-Croazia, Bistrita. Le linee geometriche superstiti sulla facciata scandiscono uno spazio circolare per
otto stemmi, cioè come il Grande Stemma appariva fra
il 1476 (anno del matrimonio con Beatrice) e il 1487
(quando Mattia Corvino annesse il territorio dell’Austria aggiungendo anche il nono blasone). Se dunque
questa ipotesi risultasse vera (non possono esserci certezze a riguardo), si tratterebbero delle tracce del Grande
Stemma di Mattia Corvino e Beatrice d’Aragona, disegnato sulla facciata principale della Cattedrale di Matera
fra il 1476 e il 1487. Non potendo esser certi di questa
attribuzione, possiamo solo fantasticare in occasione di
quale evento fu disegnato lo stemma, pur se di solito avveniva per celebrare a distanza i matrimoni dei regnanti,
per immortalare visite ufficiali, o per festeggiare vittorie
militari.
Lo stemma di Ferdinando I d’Aragona re di Napoli
I due blasoni maggiormente visibili sono presenti
sulla facciata laterale, a sinistra della cosiddetta “porta
di piazza” e sono contigui (fig. 4). Ci occupiamo prima dello stemma immediatamente di fianco alla porta,
di cui ormai rimane solo il profilo, avendo totalmente perso la parte interna (fig. 5). Sorprendentemente,
fino a pochi decenni or sono se ne potevano indovinare ancora i contorni geometrici, come si può osservare
in questa foto scattata nel 1987 (fig. 6). A fornirci un
Fig. 4 - Facciata laterale: stemmi
114
MATHERA
Fig. 5 - Anno 2018 (foto R. Giove); Fig. 6 - Anno 1987 (foto Antonio Foschino). Sotto: fig. 7 - Stemma di Ferdinando I d’Aragona
Fig. 8 - Stemma di Ferdinando I d’Aragona con diversa disposizione dei quarti
ulteriore aiuto è Giuseppe Gattini, che nel 1913 pubblica il testo “La Cattedrale Illustrata”. Un paragrafo
è dedicato agli stemmi della Cattedrale, dove fa solo
un accenno a quelli sui muri esterni: descrive quello
dell’Arcivescovo del tempo Anselmo Pecci, posto su
un ovale affisso al muro e quindi parla dei nostri due:
«altri stemmi all’angolo presso la porta della Piazza, dove
la città ad occasione della real visita del 1464 avea fatto
dipingere l’arma Aragonese col distico:
“Haec decus heroum Fernandus pacis et auctor
Gallorum ultor Rex signa benigna facit” ma già guasta e
per le intermperie svanita, scambiata nel 1800 per quella
Fig. 9 - Stemma di Carlo di Borbone Re di Napoli
austriaca, comecchè dipinta accanto all’altra Borbonica,
venne dalla turba ignara cancellata del tutto, mentre l’ultima ancor fa capolino di sotto l’imbiancatura».
Il Gattini dunque ci narra come lo stemma fosse alquanto sbiadito già alla sua epoca, e che fosse aragonese (ritenne erroneamente borbonica l’altra), ma che un
tempo vi fosse un distico inneggiante a Fedinando I e
dunque verosimilmente fu dipinto in occasione della
visita del re in città (è attestato che avvenne il 22 gennaio del 1464). Dunque si tratterebbe dello stemma del re
Ferdinando I d’Aragona Re di Napoli (di sua figlia Beatrice abbiamo parlato nel paragrafo precedente).
Possiamo raccogliere ora ulteriori elementi per confermare o smentire tale conclusione.
Circa il distico che il Gattini riporta, di cui da
tempo non vi è traccia alcuna, può essere reso con:
”Il Re Ferdinando, onore degli eroi, garante della pace e
punitore dei Francesi ha fatto queste munifiche insegne”.
Effettivamente fra il 1460 e il 1464 il Re Ferdinando fu
impegnato in guerra contro il francese Giovanni d’Angiò
per il trono di Napoli e ne uscì vittorioso. Inoltre, come
è facile notare, si tratta di uno stemma di un condottiero
militare. A dircelo sono le insegne militari incrociate dietro lo scudo, le bandiere di guerra che si spiegano ai lati
e le trombe di battaglia in basso. Questi attributi sono
presenti solo negli stemmi dei condottieri e dei comandanti di un esercito, ma ciò non è incoerente con la figura
di questo sovrano, che giovanissimo fu nominato da suo
padre Luogotenente Generale del regno, e dunque non
è improbabile che quando svolgesse il ruolo di Comandante in carica durante periodi bellici, il suo stemma fosse caricato delle insegne militari.
Ora possiamo confrontare lo stemma ufficiale di Ferdinando I con i segni geometrici nella foto del 1987. Lo
stemma del re era inquartato, con le bande verticali gialle e
rosse di Aragona in due quarti e con una tripartizione nei
restanti due: bande orizzontali bianco-rosse della dinastia
Arpad, i gigli di Francia e la croce di Gerusalemme (fig 7).
Il secondo e il terzo quarto appaiono effettivamente entrambi con le bande verticali di Aragona. Nel primo e
ultimo quarto, sono visibili le bande orizzontali bianco-rosse della dinastia ungherese Arpad, pur se nella nostra tripartizione sono collocate in ordine diverso. Sembrano intrevedersi anche i segni della croce di Gerusalemme, ma il degrado della superficie non ci permette di
andare oltre. Alcuni errori nella riproposizione sono da
considerarsi comuni, come si può vedere in questa immagine dove la posizione dei quarti è inversa (fig 8). Solo un
elemento appare discorde: nei due spicchi alle estremità
dello stemma, su sfondo omogeneo sembrano disporsi
quattro sfere (ricordano vagamente lo stemma mediceo
a sei sfere che poi i Borbone ingloberanno nello stemma,
a destra in fig. 9). Ad ogni modo è da ritenersi probabile
che si tratti effettivamente dello stemma di Ferdinando I
di Napoli, dipinto in una data compresa fra il 1462 (anno
dei primi trionfi bellici contro i francesi che ne possano
giustificare il titolo di “punitore dei francesi”) e il 1494,
MATHERA
115
Fig. 12 - Anno 2016: il tentativo dei restauratori di colmare la lacuna
Fig. 10 - Anno 2018 (R. Giove); fig. 11 - Anno 1987 (Antonio Foschino)
anno della sua morte e destituzione. Suggestiva l’ipotesi
del Gattini che propone il 1464, anno delle visita ufficiale del re a Matera.
Lo stemma di Louis d’Armagnac, Duca di Nemours e
Vicere di Napoli
Questo è il blasone che si è meglio conservato, forse in
Fig. 13 - Epigrafe presente alla base dello stemma (foto R. Giove)
116
MATHERA
quanto fu coperto di intonaco (Gattini, nel brano citato,
dice esplicitamente «ancor fa capolino di sotto l’imbiancatura»), steso con lo scopo di occultarlo, con il risultato
di proteggerlo dagli agenti atmosferici (fig 10). Anche
per questo stemma disponiamo di una foto del 1987 (fig
11), che ci offre alcuni dettagli in più specie nel secondo
quarto, dove si vedono almeno due gigli. Anche l’ultimo quarto, si noti come nel 1987 risulti mancante di una
porzione rettangolare, che si è tentato di mascherare con
i restauri del 2016 (in dettaglio fig. 12) ricostruendo il
leone, ma con scarso successo; confrontandolo con la
foto attuale, due anni dopo il nuovo disegno è già quasi
scomparso.
Si tratta di uno stemma inquartato, con il primo e ultimo quarto controinquartati con quattro leoni rampanti di
rosso su campo bianco, nel secondo quarto gigli di Francia su campo blu, che probabilmente si ripeteva nel terzo
quarto di cui però oggi individuiamo solo il campo blu.
Questo stemma, nonostante sia abbastanza chiaro
nel suo disegno, non è mai stato attribuito, se non con
generiche definizioni di “arma borbonica”, come abbiamo letto nel Gattini, che lo vedeva parzialmente ancora
coperto dall’imbiancatura (cfr fig. 13). Difatti, nessuno
Figg. 14 e 15 - Stemmi di Louis d’Armagnac in due diverse varianti
stemma dei Borbone o degli Aragonesi assomiglia al
nostro. È vero che i due elementi principali del nostro
stemma appaiono comunemente in questi ultimi, cioè i
gigli di Francia e i leoni rampanti, come potete notare
osservando nuovamente lo stemma dei Borbone in fig.
9; ma nessuno stemma aragonese o borbonico si avvicina
a questo.
Ci viene qui in soccorso la lunga iscrizione che osserviamo sotto lo stemma. Si tratta di una epigrafe inizialmente composta da quattro righi. I primi due sono quasi
totalmente svaniti, si riconoscono solo i segni delle lettere con elementi tondi (C, O, G), in quanto disegnate con
compasso che ha maggiormente inciso l’intonaco. Non
abbastanza da permettercene la lettura ma sufficientemente per poter escludere che fosse il distico “Haec decus heroum…” che abbiamo sopra considerato. I successivi due righi restituiscono, dopo attenta osservazione, la
seguente lettura:
[NE]MOSII DVX INCD [.]PE[.]A[.]TO[.]HE[..]
[ ]S VICTO VIDIMVS HOS[ ] ABRO[ ]
Sono proprio le prime lettere a indicarci la soluzione:
…MOSII DVX INCD
INCD è acronimo onorifico che sta per Illistrissimus
Nobilissimus Calrissimus Dominus
MOSII DVX invece, considerando come la prima parola sia stata troncata alle prime lettere per la
scomparsa dell’intonaco, era sicuramente NEMOSII
DVX. L’odierna tencologia ci viene oggi in soccorso:
grazie al Thesaurus digitale della lingua latina, si è appurato come l’unica parola latina che termina in MOSII e possa essere seguita da DUX sia proprio la locu-
zione NEMOSII DVX, che sta appunto per “Duca
di Nemours” (al nominativo Nemours è Nemosus).
Questo titolo onorifico francese nacque nel 1404 in
capo alla corona e fu ad appannaggio della famiglia degli Armagnac fino al 1504. Passò quindi ai Foix, quindi
ai Savoia-Nemours e dal 1640 agli Orleans. Il titolo non
apporta modifiche allo stemma familiare, e quindi ogni
duca di Nemours ha avuto lo stemma della propria casata. Di tutti i duchi di Nemours che si sono avvicendati,
uno solo ha uno stemma compatibile con questo. Ed è
anche l’unico che ha avuto contatti diretti con Matera,
tali che possano giustificare l’apposizione del proprio
stemma sulle mura della Cattedrale. Si tratta di Luois
d’Armagnac, duca di Nemours, che in qualità di Vicere
di Napoli è stato a Matera nel settembre del 1502. Il suo
stemma era inquartato. Nei quarti 1 e 4 controinquartato con i leoni d’Armagnac e i leopardi dei Rodez. Nel
secondo e terzo quarto con le insegne dei Bourbon-La
Marche: gigli di Francia in campo blu e banda diagonale
rossa carica di leoni rampanti.
Lo stemma, estrapolato dal coevo armoriale Le Bouvier,[1500] detto du Barry, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi, è disegnato al foglio 23r ed è
il seguente (fig 14). La somiglianza è lampante. In altro
anonimo armoriale lo stemma ha i quarti invertiti (fig
15). I quarti con i gigli sono troppo compromessi per trovar traccia della banda rossa. L’unica differenza riguarda
i quarti con i leoni: nello stemma degli armoriali compaiono due leoni rossi in campo bianco (stemma originario
degli Armagnac) e due leopardi d’oro su campo rosso
(stemma dei Rodez), e non quattro leoni rossi su campo
MATHERA
117
Fig. 16 - Una cartolina del 1910 della Catterdrale. Si noti come lo stemma di Ferdinando I D’Aragona sia ancora riconoscibile, invece lo stemma di Louis
d’Armagnac sia illegibile in quanto ancora imbiancato, come ci viene riportato da Giuseppe Gattini che scrive nel 1913 (archivio MUV Matera)
bianco come qui. Può essersi trattato di un banale errore
dell’esecutore (come abbiamo visto erano alquanto diffusi), visto che l’epigrafe ci attesta con sicurezza che fosse l’arma del Duca di Nemours. In alternativa, potrebbe
esserci stata una volontà da parte del Duca di sostituire i
leopardi dei Rodez con i leoni rossi dei Luxembourg, sostanzialmente simili al leone degli Armagnac (rampante,
rosso, su campo bianco) con l’eccezione di una corona in
capo ai leoni dei Luxembourg. Isabelle de Luxembourg
era la nonna materna del Duca.
Non è questa la sede per indagare le complesse vicende storiche che interessarono il sud Italia fra XV e XVI
secolo, quando Angioini e Aragonesi si contesero il Regno di Napoli, con la decisiva vittoria di questi ultimi
nel 1503 con la battaglia di Cerignola, dove perse la vita
proprio Luigi d’Armagnac, duca di Nemours. Questi era
stato investito dal re di Francia del titolo di Vicere di
Napoli, con lo scopo di strappare l’intero meridione alla
corona aragonese. Dopo alcune iniziali vittorie militari,
il Nemours attuò una tattica di attesa, mentre l’esercito
spagnolo si asserragliò presso Barletta (sono i giorni della famosa disfida). Luigi d’Armagnac, sono concordi le
fonti, entrò a Matera nel settembre del 1502, come riportano Francesco Guicciardini (nella sua Storia d’Italia
al Quinto libro [1561]), e tutti i cronisti che se ne sono
occupati anticamente, sia di parte francese che spagnola
(Charles Philippe de Monthenault d’Egly e Juan de Mariana fra i tanti) e naturalmente tutti cronisti locali (incluso Giuseppe Gattini a pag. 93 delle sue Note Istoriche
sulla città). Il suo passaggio a Matera rientrava nella strategia di accerchiamento delle truppe spagnole guidate
118
MATHERA
da Consalvo di Cordoba. Fu in questa circostanza che il
Conte di Matera Tramontano fu preso prigioniero dalle
truppe francesi entrate in città, come riportano i cronisti. Il tentativo del Duca di Nemours non ebbe successo
come abbiamo visto: pochi mesi dopo il suo ingresso a
Matera morirà nel campo di battaglia, lasciando il Regno
di Napoli agli aragonesi.
Conclusioni
Questo è il primo studio che interpreta gli stemmi presenti sulle pareti esterne della Cattedrale dopo il primo
tentativo reso oltre un secolo fa dal Conte Gattini. Oggi
possiamo dire come i muri della Cattedrale conservino
ancora (ma ogni anno sempre meno) piccole tracce della
ricca storia cittadina, specie del periodo compreso fra il
1460 e il 1503, quando il Regno di Napoli fu aspramente conteso fra Angioini e Aragonesi in una guerra che
coinvolse Matera direttamente, vista la sua posizione nel
cuore del fronte. La propaganda politica stese le armi dei
regnanti in posizione visibile e dominante, imbiancando
successivamente i blasoni degli sconfitti, consentendone
per ironia della sorte una migliore conservazione.
Bibliografia
[Gattini 1882] Giuseppe Gattini, Note Istoriche della città di Matera, Napoli 1882, p 93.
[Gattini 1913] Giuseppe Gattini, La Cattedrale Illustrata, Matera, Tipografia commerciale 1913.
[Guicciardini 1561] Francesco Guicciardini, Storia d’Italia, 1561, Libro
Quinto.
[Le Bouvier 1500] Armorial de Gilles Le Bouvier, detto di Berry héraut
d’armes du roi Charles VII. -- 1401-1500 -- manoscritto, foglio 23r, presso la
Biblioteca Nazionale di Parigi.