FRANCESCO BALLO
UN UOMO
NEL MIRINO
la centrale edizioni
FRANCESCO BALLO
UN UOMO
NEL MIRINO
A CURA DI GABRIELE GIMMELLI
CON LA COLLABORAZIONE DI
ASTRID ARDENTI E ANDREA SANARELLI
la centrale edizioni
si ringrazia
Ilaria Pezone
Federico Frefel
Luca Mosso
Francesco Margstahler
Giuliana Puppin (Cineteca del Friuli)
in copertina
Francesco Ballo, fotogramma da Ortogonali (2001)
FRANCESCO BALLO
UN UOMO NEL MIRINO
progetto editoriale di Giancarlo Norese
stampato in 300 copie nel mese di febbraio 2020
la centrale edizioni
un nome collettivo senza scopo di lucro,
fondato in sud Europa nel 2018
www.la-c.tk
[email protected]
no ISBN
printed in Italy
INDICE
INTRODUZIONE
FRANCESCO. IDEE PER UN RITRATTO
di Gabriele Gimmelli
Francesco si racconta
Parte I. Autobiografia di un cinefilo
CAPITOLO I
UNA LUNGA FEDELTÀ: BUSTER KEATON
Apertura dal nero
di Francesco Ballo
Il sogno
di Francesco Ballo
Quel film che Buster Keaton teneva nel garage
di Tatti Sanguineti
Lezione sul cinema di Buster Keaton
di Aldo Grasso
Keaton: l’occhio che interroga. Estratti da una conversazione
di Francesco Ballo
Un formalismo affettivo
di Ilaria Pezone
Variazioni Keaton 1: Hard Luck e Variazioni Keaton 2: Day Dreams
di Francesco Ballo, Luca Mosso
Buster Keaton di corsa
di Francesco Ballo
Note su “Sherlock Jr.” di Buster Keaton
di Francesco Ballo
Arbuckle e Keaton: corpi farseschi
di Gabriele Gimmelli
Variazioni di The Blacksmith e The Blacksmith-versione Ballo
di Francesco Ballo
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Il genio di Keaton in una nuova versione di The Blacksmith
di Alessandro Leone
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Francesco si racconta
Parte II. Dietro la macchina da presa
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CAPITOLO II
PIETRA. TRA PASSATO E PRESENTE
Pietra, il film con Tadini pittore che recita da gang
di Simone Mosca
Un Ballo ritrovato
di Astrid Ardenti
Francesco si racconta
Parte III. Scrivere, insegnare
(con una nota auto-bio-bibliografica)
CAPITOLO III
QUANDO LE OMBRE SI ALLUNGANO
Misteri di un titolo
di Francesco Ballo
Ma che fatica fare un film!
di Alberto Crespi
L’altra faccia del cinema nero italiano
di Steve Della Casa
Gangster d’un professore
di Alessandro Mezzena Lona
Personaggi di celluloide. Quando le ombre si allungano
di Francesco Margstahler
La strada bianca di Francesco Ballo
di Giacomo Agosti
Francesco si racconta
Parte IV. L’immagine e il supporto
CAPITOLO IV
CINEMA PRIVATO
Cinema personale
di Ilaria Pezone
Attraversare Milano
di Francesco Ballo
Punti di vista su Guido Ballo. Poesie e Risa
di Luca Mosso, Francesco Ballo
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Una nota su Ortogonali
di Francesco Ballo
CAPITOLO V
VISIONI E ESPERIMENTI
Esperimenti. Raccolta 2
di Alessandro Beretta
Storie notturne e avventure fallite
di Gabriele Gimmelli
Ball(iam)o, Ball(iam)o, altrimenti siamo perduti
di Giulio Sangiorgio
Francesco Ballo’s Files. Un cinema alle origini
di Alessandro Leone
Una danza di visioni
di Cristina Piccino
Due o tre cose che so di lui
di Mauro Gervasini
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In luogo di un commiato
di Luca Mosso
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Filmografia essenziale
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INTRODUZIONE
FRANCESCO.
IDEE PER UN RITRATTO
Gabriele Gimmelli
Qualche tempo fa, in un breve profilo scritto (credo) per il programma del Milano
Film Festival, mi capitò di definire Francesco Ballo “un personaggio leggendario”.
A dispetto dell’apparenza enfatica, voleva essere una definizione affettuosamente ironica, e Francesco mi telefonò per dirmi che l’aveva molto divertito.
La verità è che Ballo leggendario lo è per davvero. Lo è innanzitutto per i suoi
ex allievi dell’Accademia di Brera, dove ha insegnato per trent’anni. “Dire ‘Ballo’,
qui, ora”, scrive Giulio Sangiorgio in uno dei testi raccolti in questo libro, “è dire di
una persona che è stata in grado di essere guida ed esempio, di farsi amare, seguire,
sostenere, dentro e fuori dall’Accademia, insegnando un modo di guardare e di fare”.
Un magistero testimoniato dai volumi dedicati a John Ford, a Clint Eastwood
(è sua, nel 1987, la prima monografia italiana consacrata all’attore-regista, scritta in
collaborazione con l’amico Riccardo Bianchi), a Jacques Tourneur e soprattutto a
Buster Keaton, di cui può essere considerato a giusto titolo il più attento e costante
esegeta italiano.
“Un esempio estremo di devozione, di fedeltà, di immedesimazione”, ha scritto a
questo proposito Aldo Grasso. Non si può che sottoscrivere. Per sua stessa ammissione, Keaton è stato il ’68 di Ballo (insieme a Dziga Vertov, aggiungerebbe lui), uno di
quegli incontri che segnano la vita: per citare di nuovo Grasso, Francesco “ne ha semplicemente sposato lo spirito”. Quattro libri nell’arco di trent’anni, dal pionieristico
Buster Keaton del 1982 al più recente Il cinema di Buster Keaton. Sherlock Jr. del 2013,
un volume-monstre (oltre 700 pagine), in cui l’analisi frame-by-frame di questo capolavoro del 1924 si trasforma via via in vero e proprio viaggio nelle profondità nascoste del corpus cinematografico keatoniano. E poi articoli, schede, videoessays, ipotesi
filologiche (ultima in ordine di tempo, quella riguardante la nuova versione del corto
The Blacksmith), e persino scoperte di un certo rilievo. Come quella riportata da Tatti
Sanguineti in un suo articolo del 1980 (lo trovate nel primo capitolo di questo libro):
i 280 metri del cortometraggio Hard Luck (uno dei preferiti di Keaton, all’epoca considerato perduto anche da studiosi del calibro di Coursodon e Robinson) ritrovati da
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Francesco nel febbraio di quell’anno in una saletta della Cineteca Italiana di Milano,
nascosti sotto il titolo a dir poco fuorviante di Nel paese degli armadilli.
Forse il ritrovamento non ha avuto l’eco che avrebbe meritata; ma Francesco non
sembra ambire a un posto nei libri di storia del cinema. Tanto meno nei dizionari.
Recentemente, in occasione di un sondaggio sui dieci migliori film del cinema italiano, gli è stato chiesto di compilare la sua personale top ten. Lui ha replicato con una
dichiarazione filmata (la si può vedere sul sito www.francescoballo.it), in cui si svincola
con risolutezza dalla dittatura dei pallini e delle stellette.
Perché dare un voto a un film? Daresti un voto alla Madonna del parto di Piero della Francesca o
alla Cappella degli Scrovegni di Giotto? Può darsi che glielo dia la guida Michelin. Ecco, il cosiddetto critico diventa un po’ come la guida Michelin: stellette, come agli ufficiali; e poi via, per fare
audience. Dare voti è una cosa che ho sempre odiato, sia quando me li davano a scuola, sia quando li dovevo dare io, insegnando. Un conto è spiegare esteticamente perché un film è profondo o
importante, e un altro è affibbiare un banale e superficiale voto. Mi chiedo comunque come puoi
dare un voto a Sherlock Jr. di Buster Keaton; come puoi dare un voto a L’uomo con la macchina da
presa di Dziga Vertov. O a Greed, di Stroheim. O a The Naked Spur, Lo sperone nudo, di Anthony
Mann. O a Lost, Lost, Lost di Jonas Mekas. Ma chi sei tu per dare un voto a questi autori, a questi
artisti? Prima dai un voto a te stesso.
In questo brano c’è molto dell’approccio di Francesco nei confronti del cinema:
il riferimento costante alla storia dell’arte (e forse varrebbe sempre la pena ricordare che
il papà di Francesco, Guido, è stato uno dei maggiori storici e critici d’arte del nostro
Novecento); il primato dell’estetica sul contenuto; l’eclettismo; l’apparente contraddizione fra un forte autorialismo e una altrettanto decisa insofferenza verso qualsiasi
forma di autorità. Cinefilo d’impostazione “francofona” (la “via francese” dei Cahiers,
di Positif e di Présence du Cinéma), Ballo è tutt’ora capace, con grande naturalezza, di
riunire in un’unica costellazione Raoul Walsh e Michael Snow, Peter Kubelka e Budd
Boetticher. E se per caso gliene chiedeste conto (come abbiamo fatto noi), si limiterebbe a rispondere: “Non è difficile come credete”. Per poi concludere che l’unico cineasta
capace di sintetizzare “le conquiste dell’avanguardia, in termini di forma e di ritmo
dell’immagine” è stato, ancora una volta, Buster Keaton: “Se prendi Keaton, ti accorgerai che è sempre più profondo e più ‘avanti’ anche dei registi d’avanguardia”.
E il cerchio si chiude.
***
“En tant que critique, je me considérais déjà comme cinéaste”: è un celebre aforisma di
Jean-Luc Godard che Francesco ama citare spesso. E in effetti, sebbene l’insegnamento
e la produzione critica costituiscano i risvolti più appariscenti della sua attività, non
sono mai disgiunti dal lavoro dietro la macchina da presa. “Quando analizzo inquadratura per inquadratura un film”, spiega in una delle interviste raccolte in questo
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Nota all’edizione
I testi raccolti nelle pagine seguenti sono stati trascritti rispettando il più possibile la forma originaria. Sono stati eliminati eventuali refusi e uniformata la grafia di alcuni termini.
Il testo dell’introduzione è apparso, in una versione più breve e con il titolo Francesco Ballo, cineamatore, su doppiozero il 5 ottobre 2019. La lunga citazione di Francesco Ballo è tratta dal suo
video Perché dare un voto a un film?, pubblicata il 22 aprile 2019 e facilmente reperibile all’indirizzo
web https://vimeo.com/333052439; altre citazioni sono tratte dal documentario di Ilaria Pezone
France. Quasi un autoritratto. Il volume a cui si fa riferimento è Fuori norma. La via neosperimentale
del cinema italiano, a cura di Adriano Aprà (Marsilio, Venezia 2013).
La conversazione con cui abbiamo intercalato i capitoli nasce dalla collazione di due interviste:
Il cinefilo con la macchina da presa. Conversazione con Francesco Ballo, realizzata da Gabriele
Gimmelli per il catalogo di Filmmaker Festival 2016, pp. 168-175; e Un Ballo ritrovato, realizzata da
Astrid Ardenti per la rivista Filmidee il 10 ottobre 2019. Il testo è stato poi interamente rivisto dagli
autori e dal diretto interessato.
La citazione conclusiva di Luca Mosso è tratta da un suo articolo apparso su TuttoMilano-la Repubblica il 18 aprile 2013, con il titolo Videozero, le sfide dei giovani.
Il curatore, i collaboratori e Francesco Ballo desiderano ringraziare gli autori dei singoli contributi
per averne permesso la riproduzione in questo libro.
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Francesco si racconta
Parte I. Autobiografia di un cinefilo
Per cominciare, ci piacerebbe chiederti, molto banalmente, come è nato il tuo interesse per
il cinema.
Per me la cinefilia è arrivata tardi. Soltanto sul finire del liceo, grazie a Ermanno
Margstahler, un amico che poi è diventato medico, ho cominciato ad andare al cinema
con un occhio diverso da prima.
Ti ricordi più o meno che anno era?
Sarà stato un caso – o forse no – ma era proprio il 1968.
Intendi dire che il tuo ’68 è stata la scoperta del cinema?
Beh, c’era anche altro: le lotte, le occupazioni… Però sì, il mio amore per il cinema è
nato allora.
Prima il cinema non ti appassionava? I tuoi non erano interessati al cinema?
No, i miei andavano al cinema, però… Diciamo che il cinefilo della famiglia era più
mio zio, Mino Bianchi, il fratello di mia mamma. Poi non è che il cinema non mi
interessasse: è solo che avevo altre passioni.
Per esempio?
La musica. Il Jazz, soprattutto. Sono uno dei pochi della mia generazione ad essere
riuscito ad ascoltare John Coltrane dal vivo, nel 1963. Mi ci portò mia madre quando
ancora non avevo compiuto tredici anni.
Tornando al cinema, ci sono dei film che ti avevano particolarmente colpito, da ragazzo?
Guarda… Avrò avuto nove o dieci anni. Mio nonno, Gino Bianchi, il papà di mia
mamma, mi portò in un cinema di corso Vittorio Emanuele a vedere Un dollaro
d’onore di Howard Hawks. Ecco, ricordo benissimo l’immagine del dollaro d’argento
lanciato nella sputacchiera. Un altro film di cui serbo un ricordo molto nitido è
Il cavaliere della valle solitaria di George Stevens: probabilmente una riedizione degli
anni Sessanta. Questi erano i film che mi avevano colpito da ragazzo. Sempre con mio
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Sposalizio
Sposalizio
La scala a pioli
La scala a pioli
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CAPITOLO II
PIETRA. TRA PASSATO E PRESENTE
Simone Mosca
Pietra, il film con Tadini pittore che recita da gang
È il 2031, il futuro, e su di una pellicola screziata che sembra provenire dagli albori del
cinema è impressa la scena di un anziano in impermeabile e Borsalino. A farlo parlare
è una voce fuori campo che spiega che sta provando a ricordare una storia del passato,
del 1977. Il vecchio allora si toglie il cappello e apre accigliato la valigia che ha di fianco. “Mi chiamavo Pietra, facevo il detective a Milano”. Quando apre il bagaglio però
invece di preoccupanti memorie, come dalle tasche di un clown iniziano a spuntare
strampalate cianfrusaglie. Dozzinali cartoline del Duomo, soprattutto un’assurda cravatta rosa. Si sfuma in nero, inizia la frase memorabile di un famoso jazzista e parte un
film girato 42 anni fa e che alla fine esce per la prima volta davvero nel futuro. Cioè
oggi.
“Il nome del jazzista però è meglio se non lo diciamo che poi magari ci tocca pagare i diritti” ride Francesco Ballo, irregolare milanese del cinema e autore nel ’77 di
Pietra. Un titolo mai sentito, mai visto, e neppure mai montato, prima che il Milano
Film Festival chiedesse a Ballo se si poteva mostrarne almeno un pezzo. “Ho risposto
che magari avevo ancora le bobine del girato e che poteva essere l’occasione giusta per
portare a termine il film. È venuto più lungo del previsto, quasi un’ora e 15”. Ballo ha
ritrovato i Super8 originali, inframmezzato le riprese di jazz, recitato la voce narrante
dando un filo a una trama esile e ironicamente di genere ma che era un escamotage per
praticare un cinema estremo, sperimentale, muto. Un ibrido tra le corse senza respiro e a basso costo della Nouvelle Vague e le rigorose composizioni comiche di Buster
Keaton. Genio cui Ballo ha dedicato studi e libri e che nel ’68, quando gli apparve in
sala, lo spinse a diventare cinefilo e cineasta.
Nato a Milano nel 1950, ha insegnato a Urbino, Bologna e per trent’anni all’Accademia di Brera. “Ho insegnato a studiare i film fotogramma per fotogramma, per
capire cos’è il cinema e farsi venire voglia di farlo”. Tra le decine di produzioni maggiori e minori di un autore sconosciuto al grande pubblico ma amato dalle rassegne
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più attente, Pietra ha un posto speciale. Oltre alla sorpresa di averlo ritrovato, c’è la
sensazione che avesse anticipato un’epoca. Di lì a poco la stessa vena surreal-milanese si sarebbe vista ad esempio in Ratataplan di Maurizio Nichetti o nei primi film di
Pozzetto. Mentre certe riprese della città in auto somigliano a quelle con cui Ermanno
Olmi realizzò il documentario Milano ’83.
“Forse si stava uscendo così, in leggerezza dagli Anni di piombo. Certo è che Pietra
essendo inedito non influenzò nessuno”. Giri tra le vie del centro, insegne al neon
scomparse, vecchie auto, sparatorie senza pistola. Il gangster cattivo lo interpretava un
divertito Emilio Tadini (“amico dei miei”), il giovane Pietra è Ballo. Quello vecchio
che nel 2031 ricorda con cravatta rosa, era il nonno di Ballo. “Faceva l’ingegnere nella
vita”. Il cerchio surreale si chiude.
la Repubblica, 2 ottobre 2019, p. 15.
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Pietra
Pietra
Pietra
Pietra
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Astrid Ardenti
Un Ballo ritrovato
Astrid Ardenti: Come hai deciso di portare a termine Pietra?
Francesco Ballo: Pietra è un film che giaceva tra le mie cose, dimenticato. È un film del
1977 che è stato girato in Super8, questa è la prima cosa. Perché ricostruire una cosa
che non c’è più? Perché sono stato spinto a questo in primis dall’ottimo lavoro di Ilaria
Pezone e Gabriele Gimmelli France, quasi un autoritratto dove si proponevano alcune
inquadrature che hanno colpito chi ha visto il film.
E a partire da questo documentario è nato un interesse nei confronti del film tanto da spingerti a terminarlo a distanza di anni…
Sì, mi è stato chiesto di vedere quel che rimaneva di Pietra, di non preoccuparmi di
ritrovare tutto il film siccome mancavano anche le sequenze di Gino Bianchi, mio
nonno materno che interpretava me, il detective Pietra da vecchio. Pietra è ambientato
nel 2031 ed è un flashback di questo vecchio ex detective che racconta questa storia
molto misteriosa e strana. Poi con la tua spinta Astrid e quella di Andrea Sanarelli che
mi avete aiutato a ricomporre e trovare queste parti, abbiamo lavorato, avendo trovato
anche gli altri due rulli, quelli più lunghi (perché il film dura 1 ora e 12 minuti). Nei
rulli Super8 ho trovato, e in seguito digitalizzato, il montaggio che avevamo realizzato
già nel 1977 Aldo Longoni e io. In più abbiamo montato all’inizio e alla fine le due
parti relative all’anziano Pietra. Una volta riusciti a stabilire questo montaggio, chiamiamolo definitivo, tagliando anche alcune parti che erano un po’ superflue sulle quali
avevamo avuto dei dubbi anche io e Aldo Longoni allora, mi sono ricordato che la
musica da me voluta era quella di Charles Mingus. Mancava la voce fuoricampo che in
qualche modo accordasse e contronarrasse il film stesso.
Parlando del suono, tu avevi già avuto l’idea nel 1977 di aggiungere la musica di Mingus e
la voce fuoricampo, quindi l’avevi già pensato come un film quasi muto, un film fatto principalmente di immagini, musicato a pezzi per fare in modo che fosse l’immagine a narrare/
contronarrare?
Certo… diciamo che il film era muto perché allora non c’era l’audio sulla pellicola.
Ci sarebbe stata questa difficoltà di mettere il sonoro di fianco all’immagine e soprattutto fare questo sonoro. Quindi una voce fuoricampo sarebbe stata la cosa migliore.
E avrebbe dovuto essere narrativa, tanto che si vede un registratore nel corso delle
inquadrature relative a Gino Bianchi, Pietra da vecchio. C’era bisogno che questa voce
raccontasse, ricordasse, narrasse, ma secondo me proprio contronarrasse, gli episodi, le
azioni, certe volte incongrue, misteriose e sorprendenti anche sul quotidiano, soprattutto nella prima parte. Doveva sottolineare l’azione di questo detective che deve cercare questa giovane donna interpretata da Maria Clara Bossi.
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Sono presenti molti tuoi amici come attori del film…
Sì, oltre a Maria Clara Bossi compare Emilio Tadini che interpreta la parte del padre e
del boss, recitando benissimo. Mi viene in mente l’inquadratura in cui lui è sul terrazzo con i guanti che si vedono e non si vedono, le forbici per tagliare la pianta, diviene
quasi comico anche se questo personaggio rimane molto misterioso. Ci sono poi Gino
Bianchi che fa Pietra da vecchio come già detto, Guido D’Alessandro e Luca Battaglini
che interpretano gli sgherri e poi ci sono anch’io, Detective Pietra. Diciamo che il film
è su di me che giro per Milano.
Milano diviene quindi un personaggio nel tuo film?
L’epicentro del film è la città di Milano. È un film con questi lunghi cameracar che
attraversano la città e ce la mostrano per quello che era nel 1977 e che ora non è più.
Avevamo trovato dei punti nodali che non erano ancora stati visti, si sarebbero visti di
lì a poco come per esempio il ponte di Porta Genova in Ratataplan di Nichetti però
poi il film doveva avere anche uno sviluppo d’azione come avviene nell’ultimo rullo.
Non bisogna aspettarsi un film d’azione come quelli dei registi americani che io amo:
Raoul Walsh, John Ford, Henry Hathaway, Anthony Mann, Budd Boetticher… in
questo caso invece è proprio una contronarrazione. Il protagonista gira, non trova il filo
della matassa, gira con queste fotografie che nessuno riconosce e pedina molto truffautianamente, come avrebbe fatto Jean-Pierre Léaud in Baci rubati, cioè male. Alla fine,
ritrova questa giovane donna che si comporta in modo quantomeno bizzarro.
Anche il tuo film più conosciuto Quando le ombre si allungano del 1996 era principalmente un omaggio alla città di Milano, e vedo molti punti di contatto, anche se a distanza
di vent’anni, tra i due film. Quanto c’è di Pietra, mai concluso, in Quando le ombre si allungano? Il fatto che tu non l’abbia mai portato a termine ti ha influenzato nella scrittura?
Questo che dici è interessante… è probabile che ci sia questo. C’è anche il fatto di trovare sempre luoghi diversi, strani. Non il Duomo visto dalla facciata ma il controcampo del Duomo come avviene in Pietra ma anche in Quando le ombre si allungano che
però è in bianco e nero e in 16mm. C’è Milano. Anche se Quando le ombre si allungano
termina come un western ai piedi del Cervino. Qua invece si rimane a Milano anche se
il detective Pietra prende l’aereo alla fine del film.
Pietra ha quindi molto del cinema che tu difendi e di cui hai anche scritto come studioso di
cinema.
In Pietra io ritrovo un po’ la mia visione del cinema, dagli albori, quelle inquadrature
in campo lungo dove i personaggi quasi non li vedi, non li riconosci, sia la giovane
donna sia il detective. Macchina da presa fissa e macchina da presa in movimento.
Cameracar che in fondo è il carrello naturale… Ho ripreso tutte quelle cose che mi
piacevano molto del cinema muto e anche del cinema sonoro. In fin dei conti si può
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dire che Pietra è un film costruito dal campo lungo, a volte lunghissimo, al primo piano. Sicuramente è stata importante l’influenza di autori più sperimentali come Dziga
Vertov, Hans Richter, Stan Brakhage, Jonas Mekas, Peter Kubelka, Carmelo Bene e
anche Jean-Luc Godard.
Come dicevamo, il film è stato scritto basandoti sui luoghi della tua città, Milano, più che
su ciò che doveva accadere a livello narrativo. L’hai scritto proprio pensando a cosa volevi
mostrare attraverso i movimenti di macchina?
Sì, ma anche di ritmo, un ritmo in qualche modo musicale. Un ritmo spazio-temporale del film. Non vedo sinossi ma vedo immagini e vedo rapporti tra inquadrature. Il
film quindi si scrive mentre lo si gira, non ha una scrittura precisa precedente, se non
un soggetto molto sintetico. È stato un po’ così anche per Quando le ombre si allungano
che però si muoveva su un soggetto mio e di Riccardo Bianchi. In Pietra c’era un procedimento underground sotto certi aspetti.
Successivamente nel tuo cinema sei arrivato all’omaggio puro, senza utilizzo di alcun espediente narrativo, alla città di Milano.
Sì, con Milano cerchia dei Navigli, Milano Bastioni, Milano Corso Buenos Aires… film
interi in cameracar senza nient’altro al di fuori della prospettiva, come sarà anche
Milano verso l’alto. Con il MiniDv, dopo il 16mm, ho riscoperto questo modo di fare
cinema che avverrà anche in Capodanno 2005-2006, un film di 12 ore, che non si possono proporre di fila, sarebbe forse noioso. Milano nel 2005-2006 era differente, era
quasi deserta, perché nevischiava, era buio… Con la macchina si va e si attraversa…
I tuoi cameracar, li utilizzerai come elemento principale anche nel tuo cinema successivo,
arrivando al digitale con Ghiaccio Rosso e Linee in rilievo dove come altro elemento
ricorrente ci sarà il borsone che io vedo come un altro personaggio dei tuoi film…
Sì, il borsone di Beckett che accompagna la mia esistenza. Io sono sempre andato in
giro con le borse, con gli zainetti. Insegnando prima a Urbino e poi a Bologna, sono
sempre stato in giro con i borsoni, avevo sempre paura di avere freddo, avevo sempre
molti libri. In questo borsone quindi c’è tutto il passato che è passato prossimo e il
presente. Il nonno Pietra apre il borsone con le cartoline di Milano, con le fotografie di
Buster Keaton. Buster c’è sempre perché è l’amore della mia vita cinematografica. C’è
anche nel grande poster nello studio di Pietra. Le figurant sarebbe Spite Marriage del
1929 che è l’ultimo film muto di Buster Keaton, che oltretutto lui non amava particolarmente, perché i due film della MGM lui non li mette nella sua filmografia che fa
terminare con Steamboat Bill Jr. del 1928.
Tratto dall’intervista apparsa su Filmidee, 10 ottobre 2019.
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Francesco si racconta
Parte III. Scrivere, insegnare
(con una nota auto-bio-bibliografica)
Col passare del tempo, ci sembra che la tua attività come cineasta si sia ridotta in favore
della produzione saggistica e didattica.
Per la verità, insegnavo all’Accademia di Belle Arti di Urbino già dalla prima metà degli
anni Settanta. Poi, più avanti, sono diventato il critico cinematografico per il periodico
mensile Le Arti, diretto da Gianni Marussi, e anche per Art Dimension Art, dove avevo
grande libertà: per esempio, insieme con Riccardo Bianchi potevamo riempire trenta
pagine su Budd Boetticher e nessuno ci diceva niente!
Però non hai mai abbandonato del tutto l’idea di fare film…
Era rimasta una cosa un po’ sopita, però no, non ho mai perso l’interesse. Sono stati
proprio i miei allievi dell’Accademia di Brera – mi riferisco in particolare a Davide
Ghelfi, Federico Bovo e Roberto Bagatti – a farmi tornare la voglia di fare dei film. È
stato molto importante avere a che fare con il materiale VHS, ricominciare a prendere
in mano una macchina da presa-videocamera. Nel 1994 ho realizzato Non si dia la
colpa a nessuno, proto-noir violento per le strade di Milano e dentro interni oscuri e
misteriosi. Potrebbe essere considerato una parte della “trilogia anarrativa” insieme a
Pietra e Quando le ombre si allungano. Nello stesso anno, ho girato anche un film di
innamoramento tra un ragazzo e una ragazza, che si chiama Come si muove l’acqua.
Francesco Ballo
Nota auto-bio-bibliografica
Non voglio dimenticare il mio impegno costante nell’insegnamento cinematografico
fin dalla prima metà degli anni ’70, prima all’Accademia di Belle Arti di Urbino, poi
all’Accademia di Belle Arti di Bologna e infine all’Accademia di Brera.
L’insegnamento come fine ultimo però mi ha permesso di lavorare a fondo con i
miei studenti, ai quali ho trasmesso amore per il cinema, passione per film e video e un
metodo per operare insieme.
Dal 1999 al 2016 ho organizzato, dentro e fuori l’Accademia di Brera, Videozero,
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rassegna dei lavori degli studenti che hanno la prima occasione di mostrare le proprie
opere in pubblico.
Il mio lavoro di studioso e critico mi ha spinto a scrivere numerosi saggi e libri,
proprio in quegli anni Ottanta.
Ma non ho mai perso la volontà di fare cinema. “En tant que critique, je me considérais déjà comme cinéaste…”, come scriveva Godard.
Linee in rilievo
Non si dia la colpa a nessuno
Non si dia la colpa a nessuno
Non si dia la colpa a nessuno
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Quando le ombre si allungano
Quando le ombre si allungano
Foto di scena di Quando le ombre si allungano
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Steve Della Casa
L’altra faccia del cinema nero italiano
[…] Sicuramente non è accademico, ma dettato da profonda passione, lo stile secco e
senza fronzoli che caratterizza Quando le ombre si allungano, diretto da un cinefilo con
frequentazioni walshiane e boetticheriane come Francesco Ballo. Ballo mette in gioco
tutto se stesso in questo film: presumibilmente i sudati risparmi, sicuramente la propria
persona visto che risolve il casting riservandosi il ruolo principale. Tra ambienti metropolitani e fughe in montagna (anche queste autobiografiche, come ben sa chi lo conosce),
Ballo propone anche una propria corsa a perdifiato per le strade di Milano, mostrando
di non temere niente e correndo il rischio di un possibile infarto, per evitare che a subire
un infarto sia proprio il suo se stesso, così appassionato di cinema da recarsi, in una sera
degli anni Settanta, in un cinemino di Torino solo perché aveva saputo da un amico che
poteva esserci un film di Boetticher. Cinefilia hard, storia hard-boiled… […]
Brano tratto dal catalogo Noir in Festival 1998. Courmayeur 3-9 dicembre 1998, Fahrenheit 451, Roma 1998, pp. 70-71.
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Alessandro Mezzena Lona
Gangster d’un professore
E il professore diventa gangster. No, non è una notizia di cronaca nera. Semplicemente
l’ultima trasformazione di Francesco Ballo, docente di Teoria e Metodo dei Mass Media
all’Accademia milanese di Brera, cinefilo preparatissimo, autore di saggi e articoli su
registi ormai leggendari come John Ford. Il “prof ”, dopo un paio di cortometraggi ora
ha girato il suo primo film. Totalmente autoprodotto, Quando le ombre si allungano è un
film nerissimo. Che, seguendo da vicino Marsoni, un banditello della mala milanese che
viene braccato dai suoi stessi compagni di rapine, fuori da quel carcere dov’era finito senza rivelare i loro nomi, semina una serie impressionante di morti ammazzati sulla pellicola in bianco e nero. Un’opera infarcita, naturalmente, di citazioni destinate ai cinefili più
attenti, ma che si lascia “leggere” piacevolmente anche dallo spettatore della domenica.
Marsoni, il protagonista, ha la faccia di Ballo. Angela, la ragazza che finirà per entrare nella sua disgraziata vita, è interpretata dall’unica attrice professionista coinvolta nel
progetto: Giovanna Nodari. A dare corpo agli altri personaggi di Quando le ombre si
allungano ci hanno pensato gli amici del “prof ”, alcuni suoi ex studenti e gli allievi della
Scuola di Cinema diretta, a Milano, da Andrea Treccani. Le musiche, belle e originali,
sono di Gabriele Memola e Riccardo Zara.
Il film, che Ballo ha mostrato in anteprima ad alcuni amici cinefili confluiti a
Pordenone per Le Giornate del Cinema Muto, è stato selezionato per partecipare, fuori
concorso al Festival Torino Cinema Giovani, in programma dal 15 al 23 novembre. Poi
andrà anche agli Incontri del Cinema Italiano di Annecy, in Francia.
“Parallelamente allo studio del cinema” spiega Francesco Ballo “ho sempre cercato di
realizzare dei video. Ma solo adesso mi sono deciso a passare al lungometraggio, rispolverando un vecchio soggetto che avevo scritto, negli anni ’70 insieme con Riccardo
Bianchi. Lui, tra l’altro, nel film recita una particina”.
Un piccolo film…
Tutti hanno lavorato gratis – racconta Ballo. – il film è prodotto da me, per intero ed
è costato un centinaio di milioni. Comprese le spese di soggiorno a Cervinia, dove la
storia si conclude con un finale quasi western.
Cinema nel cinema?
Certo, le citazioni non mancano. All’inizio, per esempio, c’è senz’altro un omaggio a
Méliès, ai Lumière. L’uscita di Marsoni dal carcere di San Vittore è quasi uguale a quella inventata da Raoul Walsh in Una pallottola per Roy, con Humphrey Bogart. Ma spero
che anche chi non studia il cinema, chi non lo “legge” da cinefilo, possa apprezzare
questa gangster story.
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Risa
Risa
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Filmografia essenziale
La scala a pioli (1969-1970), Super8, 14’, muto
Sposalizio (1970), Super8, 7’ 40’’, muto
Situazioni ventose, co-regia Giorgio Cardazzo (1971), Super8, da restaurare
Pietra (1977-2019), Super8, 72’, sonoro
Lavorazione per “Le origini dell’astrattismo”, con Carlo Vitagliano (1979-1980), Super8,
perduto
Guido Ballo. Altre arie lombarde (1984), U-matic, 18’, sonoro
Non si dia la colpa a nessuno (1994), VHS, 20’, sonoro
Come si muove l’acqua (1994), VHS, 13’, sonoro
Quando le ombre si allungano (1996), 16mm, 103’, sonoro
Come un giorno d’inverno (1998), MiniDv, 14’, sonoro
Milano cerchia dei Navigli (1998), MiniDv, 9’, sonoro
Milano Corso Buenos Aires (1998), MiniDv, 7’, sonoro, inedito
Milano Bastioni (1998), MiniDv, 21’, sonoro
Milano Via Melchiorre Gioia (1998), MiniDv, 8’, sonoro, inedito
Milano verso l’alto (1998), MiniDv, 8’, sonoro
Muri Bianchi (1998), MiniDv, 19’, sonoro
Hai chiuso la valigia? (1999), MiniDv, 32’, sonoro
Ortogonali (2001), MiniDv, 2’, muto
Variazioni Keaton 1: Hard Luck, con Luca Mosso (2002), Beta, 25’, muto
Variazioni Keaton 2: Day Dreams, con Luca Mosso (2002), Beta, 26’, muto
Buster Keaton di corsa (2003), Beta, 14’, sonoro e muto
Guido Ballo. Poesie, con Marina Ballo Charmet (2004), MiniDv, 10’, sonoro
Capodanno 2005-2006 (2006), MiniDv, circa 4 ore, sonoro, inedito
Risa (2007), MiniDv, 16’, sonoro
Note su “Sherlock Jr.” di Buster Keaton, con Paolo Darra (2009), Beta, 72’, sonoro
La fantastica coppia. Roscoe Arbuckle e Buster Keaton (2014), HD, 17’, sonoro
Esperimenti Raccolta 1 (2015-2016), 4K, 13’, muto
Ghiaccio Rosso (2016), 4K, 14’, muto
Linee in rilievo (2017), 4K, 16’, muto
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Si va… Si va… Documentario su una scalata perduta (2017), 4K, 3’ 33’’, sonoro
Esperimenti Raccolta 2 (2017), 4K, 25’, muto e sonoro
Esperimenti Raccolta 3 (2017), 4K, 20’, muto e sonoro
Preferirei di no (2018), Full HD, 41’, sonoro
Esperimenti Raccolta 4 (2018), 4K, 13’, muto e sonoro
Esperimenti Raccolta 5 (2018), 4K, 55’, muto e sonoro
Alle origini (2018), 4K, 8’ 22’’, muto
Viaggio nell’entroterra (2018), 4K, 6’ 51’’, sonoro
La calamita (2018), 4K, 2’ 11’’, muto
La cometa cadente (2018), 4K, 4’ 19’’, muto
Variazioni di The Blacksmith (2018), HD, 30’, sonoro
The Blacksmith Versione Ballo (2018), HD, 24’, muto
Esperimenti Raccolta 6 (2019), 4K, 16’, muto e sonoro
Silenzio! (2019), 4K, 1’ 27’’, sonoro
Quasi un bacio (2019), 4K, 3’ 19’’, muto
Attesa (2019), 4K, 1’ 30’’, muto
Mi chiedo se (2019), 4K, 3’ 39’’, muto
Direttamente (2019), 4K, 2’ 41’’, muto
Su per il parco (2019), 4K, 2’ 11’’, muto
Comandi televisivi (2019), 4K, 5’, muto
Com’era buono! (2019), 4K, 6’ 53’’, muto
Come fai… (2019), 4K, 1’ 57’’, sonoro
Strane Meteore (2019), 4K, 1’ 54’’, sonoro
Avresti dovuto vedere (2019), 4K, 1’ 22’’, sonoro
Estasi (2019), 4K, 4’ 30’’, sonoro
La forma di Olivia Vighi (2019), 4K, 11’ 21’’, sonoro
In lavorazione e dunque ancora inediti
Di ritorno
Labbra lucide
Voci bianche
Riguardando
Nota: Desidero ricordare che a partire dal 2014 hanno collaborato con me sul piano tecnico:
Federico Frefel, Astrid Ardenti e Andrea Sanarelli (f.b.)
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IL LIBRO CHE AVETE FRA LE
MANI ASSOMIGLIA UN PO’ AI
FILM DI FRANCESCO: RICCO DI
OSSESSIONI PERSONALI E DI
CONTINUE VARIAZIONI SUGLI
STESSI TEMI (“OSSESSIVO”
E “VARIAZIONE” SONO
D’ALTRONDE TERMINI
CHE LUI UTILIZZA MOLTO
SPESSO), OBBEDISCE
UNICAMENTE AL PRINCIPIO
DELLA DIVAGAZIONE. È
STATO MESSO INSIEME
RIPESCANDO E MONTANDO
FRA DI LORO INTERVISTE,
INTERVENTI, NOTE DI REGIA,
PRESENTAZIONI E SCRITTI
D’OCCASIONE.
A TENERE UNITO IL TUTTO, A
MO’ DI FILO CONDUTTORE,
È LO STESSO FRANCESCO,
“INTERROGATO” DA ASTRID
ARDENTI E DA ME SUI
MOMENTI SALIENTI DELLA
SUA ESPERIENZA DI CINEFILO,
SULLA SUA CARRIERA DI
INSEGNANTE E CRITICO,
LA SUA PRODUZIONE
CINEMATOGRAFICA E
VIDEO. LUI, COM’ERA
LECITO ASPETTARSI,
NON SI È LIMITATO A
FARE PASSIVAMENTE DA
TESTIMONE: È INTERVENUTO
no ISBN
printed in Italy
cbnd f
www.la-c.tk
[email protected]
PIÙ VOLTE E CON MOLTA
DECISIONE, SCRIVENDO
APPOSITAMENTE NOTE
E DICHIARAZIONI, PER
SOTTOLINEARE O CHIARIRE
DETERMINATI PASSAGGI DEL
SUO RACCONTO.
PER NOI È STATA UNA
ALLEGRA, SORPRENDENTE,
SPOSSANTE ESPERIENZA;
PER CHI LO LEGGERÀ,
SPERIAMO SIA UNICAMENTE
UNA PIACEVOLE LETTURA.
GABRIELE GIMMELLI
CHE TI TRASCINI IN UNA
VERTIGINE FILOLOGICA SULLA
VELOCITÀ DI PROIEZIONE
DEI CORTI DI KEATON O
CHE PROMUOVA IL LAVORO
DEI SUOI STUDENTI,
L’ENTUSIASMO DI FRANCESCO
BALLO È CONTAGIOSO.
LA SUA PASSIONE PER IL
CINEMA (MUTO, CLASSICO,
UNDERGROUND, NOUVELLE
VAGUE) TRAVALICA LA
DIMENSIONE DELL’ANALISI E
SEMINA VOCAZIONI A FARE
CINEMA.
LUCA MOSSO