DIECI ANNI DI REGNO:
GIACOMO D’ARAGONA
RE DI SICILIA (1285-1295)1
LAURA SCIASCIA
Università di Palermo
E alcuns diran: com se passa en Muntaner
axí sumàriament d’aquests feyts?
e si a mi ho deyen, yo diria, que paraules hi ha, que no han respost.
(Ramon MUNTANER, Crònica, cap. CLXXXVI)
Una biografia di Giacomo II d’Aragona,2 e la recensione che ne ha fatto
Maria Teresa Ferrer,3 mi hanno riportato al tema del mio primo lavoro di
ricerca: gli anni del regno siciliano di Giacomo.4 Hinojosa Montalvo ripercorre tra l’altro la complessità dei giudizi storici sull’azione e la personalità
di questo sovrano, giudizi che vanno dall’esaltazione di Ramon Muntaner
alla critica di Dante (che però si rivolge soprattutto a suo fratello Federico e
a Carlo II d’Angiò, «privi di filosofica autoritate e nemici di Dio», indegni
dell’eredità degli «illustri eroi» Federico II e Manfredi;5 e che in ogni caso
non non lo colloca all’inferno, né avrebbe potuto, visto che è morto sei anni
prima del re), dal giudizio negativo della storiografia ottocentesca, italiana,
cioè siciliana, ma anche spagnola, alla vibrante rivendicazione catalanista del
secolo scorso, espressa al massimo, fin dal titolo, dalla biografia di Martinez
Ferrando,6 che fa di Giacomo l’incarnazione di tutte le virtù catalane. Riven-
1
Abbreviature utilizzate: ACA = Archivio della Corona d’Aragona; C = Cancelleria; cap. = capitolo; ind = indizione; n. = numero; p., pp. = pagina, pagine; perg. = pergamena; ss.= sequenti; vol. = volume.
2
José HINOJOSA MONTALVO, Jaime II y el esplendor de la Corona de Aragón, Donostia-San Sebastián, Editorial Nerea, 2006.
3
«Anuario de Estudios Medievales» 39/2 (2009), p. 1040 ss.
4
Acta siculo-aragonensia. Documenti sulla luogotenenza di Federico d’Aragona, I,1, a cura di Francesco GIUNTA, Nicola GIORDANO, Marina SCARLATA, Laura SCIASCIA, Palermo, Società siciliana di Storia
Patria, 1972, e I,2, a cura di M. SCARLATA, L. SCIASCIA, Palermo, Ila Palma, 1978.
5
Ruggero M. RUGGERI, Polemica antiaragonese e antiangioina in Dante, «Bollettino del Centro di
studi filologici e linguistici siciliani» 14 (1980), p. 112.
6
Jaume II o el seny català, Barcelona, Aedos, 1963.
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dicazione, quest’ultima, apertamente contestata da Hinojosa Montalvo, che la
considera «una aberracion y una clara manipulacion historica».
La catalanità politica culturale e personale del re mi pare ovvia: ma Giacomo prima di diventare re d’Aragona fu per cinque anni re di Sicilia, e continuò ad esserlo, dopo aver assunto la corona d’Aragona, per altri cinque, e
se non è il caso di farne un siciliano, né un italiano (ma magari non fino al
punto di escluderlo dal Dizionario biografico degli Italiani, che pure accoglie sua moglie, suoi vassalli e collaboratori, come Guillem Galceran de Cartellà e Bertran de Canyelles, che non sono certo più «italiani», per famiglia e
biografia, di lui, e persino il suo teutonico trisavolo, l’imperatore Enrico VI)
esaminare la sua azione di governo come re di Sicilia riportandosi al decennio 1285-1295 è essenziale prima di dare un giudizio sulle capacità politiche
del re e la personalità dell’uomo. Questi dieci anni sono, però, poco e male
conosciuti: la storiografia catalana, nella lunga prospettiva di trentasette anni
di regno, rinserra l’opera di Giacomo come re di Sicilia nella soluzione del
problema siciliano, mentre la storiografia siciliana, a partire dalla condanna
senza appello di Michele Amari, ha continuato a considerare Giacomo il traditore della causa ghibellina e siciliana, in contrasto col fratello Federico,
eroe di quella causa. Sintomo eloquente di questo punto di vista il fatto che
quarant’anni fa, nel pubblicare la documentazione degli ultimi due anni del
regno siciliano di Giacomo, non abbiamo esitato ad intitolarla Documenti
sulla luogotenenza di Federico d’Aragona: quando solo un terzo dei documenti pubblicati si rivolge a Federico, mentre tutti gli altri testimoniano il
continuo e diretto contatto di Giacomo con uomini e istituzioni siciliani.
A rendere difficile una valutazione di questo periodo sta l’anomala
situazione della fonti: dal 1285 al 1291 abbiamo appena un centinaio di documenti, di provenienza disparata e non sempre limpida, contro il migliaio di
documenti completamente editi tratti dai registri dell’Archivio de la Corona
d’Aragona dal 1291 al ’95, sicchè neppure la certosina pazienza di Antonino
Marrone ha potuto mettere insieme un organigramma completo dei grandi
ufficiali del regno per i primi cinque anni.7 L’estrema penuria di documentazione siciliana per gli anni dal ’91 al ’95 rende anche difficile valutare l’effettiva incidenza del governo del re d’Aragona sulla Sicilia, e il ruolo svolto
da Federico luogotenente.
Già dal 1282 il progetto politico e dinastico di Pietro il grande sul regno
di Sicilia è chiaro. Metà della famiglia reale, cioè Costanza con tre dei sei
figli, Giacomo, Federico e Violante, si stabilisce in Sicilia. Giacomo è destinato ad ereditare il regno di sua madre. Il principe ha sedici anni, e comincia
immediatamente il suo apprendistato: al momento di tornare in Catalogna, il
7
Antonino MARRONE, I titolari degli uffici centrali del regno di Sicilia dal 1282 al 1390, «Mediterranea. Ricerche storiche» II/4 (2005), pp. 299-368.
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padre gli affiderà la luogotenenza. E da luogotenente Giacomo inizia una drastica azione di governo che porterà a termine da re con grande efficienza e
tempismo ma anche, nonostante le perplessità del padre e del fratello maggiore, con estrema durezza: l’eliminazione di quel gruppo di guelfi siciliani
legati al papa che avevano tramato contro l’imperatore, avevano combattuto
Manfredi, avevano aderito al Vespro perché delusi da Carlo d’Angiò ma continuavano a dare segni di dubbia fedeltà.8 Identificati ed eliminati i più esposti, allontanati dall’isola i più prestigiosi, per arrivare poi alla soluzione finale, nell’agosto del 1287, con l’esecuzione di Alaimo da Lentini, Giacomo
risolve uno dei grossi problemi della politica interna siciliana con grande
lucidità e spregiudicatezza. La morte di Alaimo da Lentini, giustiziato per
annegamento, con la pena risevata ai traditori, e dunque nella maniera che più
poteva impressionare l’opinione publica del tempo, nelle acque territoriali
del regno, e dunque nel regno di Giacomo, ma prima di sbarcare in Sicilia, e
dunque evitando ogni contatto, anche visivo, dei condannati con i compatrioti, è un capolavoro di machiavellismo avant la lettre.9
Questa lucidità, che presuppone una grande conoscenza dei problemi
del regno, si rivela anche nel modo in cui il re si serve delle risorse che offre
il regno e delle contingenze della situazione politica internazionale per un
progetto che non è certo quello di un regno insulare. Il regno di Giacomo ha
ereditato la «structure étatique construite par la dynastie normande et par
Frédéric II»:10 il re, affiancato da un ristretto consiglio formato da regnicoli
emigrati alla corte di Barcellona (Procida, Lauria, Lancia), legati da vincoli
di sangue o da antiche familiarità a Costanza, si serve dei discendenti dei
grandi burocrati e amministratori del regno svevo garantiti dalla fedeltà dinastica agli Hohenstaufen, sfruttandone conoscenze, capacità e mezzi: sono
Bartolomeo Tagliavia, tesoriere del regno e poi marescalco, discendente in
linea materna da un valletto di Federico II, Matteo di Monreale; Palmerio
Abbate, soldato di grande valore, figlio di uno dei due fratelli Abbate al servizio dell’imperatore con incarichi amministrativi e diplomatici di rilievo, e
che avevano riconquistato Palermo per Manfredi; probabilmente anche
Berardo Ferro, fratello del sanguigno vescovo di Mazara, che controllova
Marsala, e che ricopre la carica di Maestro Razionale per tutta la durata del
regno di Giacomo, nonostante le intemperanze contro i genovesi prima e i
malanni che lo portano a rifiutare l’incarico di capitano di Sicilia qualche
mese prima della morte, nel 1295.
8
L. SCIASCIA, Lentini e i Lentini dai Normanni al Vespro, in La poesia di Giacomo da Lentini. Scienza e filosofia nel XIII secolo in Sicilia e nel Mediterraneo occidentale, Palermo, Centro di studi filologici
e linguistici siciliani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000, pp. 9-34.
9
Bartolomeo da NEOCASTRO, Historia sicula, in Rerum italicarum scriptores, XIII, Bologna, Zanicchelli, 1922, p. 85.
10
Henri BRESC, Una stagione in Sicilia, Palermo, Mediterranea, 2009, p. 107 ss.
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Accanto a loro, gli esuli ghibellini provenienti dall’Italia centrale, dall’Umbria e dalle Marche (Aspello, Talac) già presenti in Sicilia e alla corte di
Barcellona, in prima fila in tutti i movimenti contro gli Angioini, fino al
Vespro, a cui si aggiungono nuovi prestigiosi immigrati toscani che proprio
negli anni del regno di Giacomo si stabiliscono in Sicilia. Gli Uberti, ghibellini per antonomasia, e gli Aldobrandeschi del ramo ghibellino dei conti di
Santafiora si radicano nell’isola anche grazie a matrimoni: con una Capece
per Giovenco degli Uberti, con la figlia di Ruggero Mastrangelo, capo della
rivolta cittadina di Palermo, per Guglielmo conte di Santafiora.11
Ancora più legata al primo lustro del regno di Giacomo, un’altra immigrazione, quella che proviene dalla parte continentale del regno ancora non
riconquistata dalle forze siculo-aragonesi: è in questo momento, per esempio,
che arrivano in Sicilia, a Palermo, i Maida, Nicolò e i suoi figli. Quasi
vent’anni dopo Anagni, in una lettera in cui si leggono la devozione e la confidenza con l’antico sovrano,12 Nicola de Maida, ormai a capo di una delle
più eminenti famiglie dell’aristocrazia cittadina palermitana, si considera
ancora un esule, in contatto con altri esuli. In questo gruppo, Enrico Rosso,
capostipite della grande famiglia messinese, uno dei lignaggi siciliani più
longevi sulla lunga durata, e il ramo ghibellino di una famiglia feudale della
Basilicata che dominerà la storia siciliana del secolo successivo: i Chiaromonte, che proprio nel primo anno di regno di Giacomo sono attestati per la
prima volta in Sicilia.13 Il patrimonio di uomini e conoscenze ereditato col
regno materno, i rapporti con i ghibellini dell’Italia delle città, lo slancio bellico che viene dai profughi dal Continente sono dunque alla base del regno
siciliano di Giacomo, in un progetto nettamente orientato verso l’Italia peninsulare: progetto confermato dall’ostinata resistenza opposta da Giacomo,
ancora luogotenente, al trasferimento in Catalogna del principe di Salerno,
preso prigioniero da Ruggero di Lauria nell’85 (mentre in questo stesso
momento il progetto di un regno aragonese limitato all’isola viene proposto
a Giacomo dal principe angioino).14
11
Su personaggi e famiglie, A. MARRONE, Repertorio della feudalità siciliana, 1282-1390, «Mediterranea. Ricerche Storiche» 1 (2006), on line sul sito www.mediterranearicerchestoriche.it. Sugli Abbate,
anche L. SCIASCIA, Le donne i cavalier gli affani e gli agi. Famiglia e potere in Sicilia tra XII e XIV secolo, Messina, Sicania, 1993, pp. 109-154; su Guglielmo Ferro, vescovo di Mazara, Norbert KAMP, Kirche
und Monarchie im staufischen Königreichen Sizilien. I: Prosopographische Grundlegung: Bistümer und
Bischöfe des Königreichs 1194-1266; sul conte di Santafiora e il suo matrimonio, L. SCIASCIA, Per una
storia di Palermo nel Duecento (e dei toscani in Sicilia): la famiglia di Ruggero Mastrangelo, in M. MONTESANO (a cura di), Come l’orco della fiaba. Studi in onore di Franco Cardini, Sismel, Edizioni del Galluzzo, Firenze, 2010
12
ACA, C, Cartes reials, caixa 83, n. 10.202 (Messina, 1 luglio [1314], XII ind.): la formula di saluto è «cum recomendacione supplici devote et solite reverencie famulatum», chiama il re «sapientissimus
gratus et clemens dominus et benefactor meus antiquus», esprime il desiderio di vederlo ancora una volta
(«o utinam Deus concederet quod sic in senio constitutus cum vestra desiderata presencia possem presencialiter recreare»), e si firma «Nicolao sene suo».
13
Diego CICCARELLI, Il tabulario di S. Maria di Malfinò (1093-1302), I, Messina, Società Messinese di Storia Patria, 1986, p. 280
14
B. da NEOCASTRO, Historia sicula, p. 78 ss.
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La particolare situazione della documentazione ci impedisce di valutare i
rapporti del re con le città: brandelli di documentazione, distrattamente conservati tra le Cartas reales fanno credere a un corpus ricco e denso come quello
del resto del regno di questo re.15 Ma è ben noto l’intervento di Giacomo nel
fortificare Trapani, città cresciuta disordinatamente in età sveva e angioina, e
diventata per la sua posizione il naturale punto di approdo in Sicilia per il traffico dalla Catalogna,16 e disciplinarne lo sviluppo urbanistico, con la creazione
di due nuovi quartieri, ad Ovest e a Nord dell’antico nucleo abitato.
In quanto alle presenze catalane, se si continua ad esaminare il quadro
delle grandi cariche del regno, nei primi cinque anni del regno di Giacomo
vediamo che le cariche di Secreto e Maestro razionale non sono mai affidate
a catalani, mentre è molto interessante il caso dell’ufficio del Maestro Portulano, che controllava le esportazioni dai porti siciliani, e dunque il vitale settore delle esportazioni di grano: affidato da Pietro il grande al catalano
Romeo Portella e poi al toscano Lapo Guindoni, passa ai siciliani Federico
Incisa e Ugo Talac nel 1285, per tornare in mani catalane, quelle di Berenguer Vilaragut, e restarvi, quando Giacomo assume la corona aragonese.17
D’altra parte, i tanti nobili catalani e aragonesi presenti in Sicilia negli anni
di Giacomo non mostrano nessuna tendenza a radicarsi, con matrimoni o
inserendosi a fondo nelle realtà locali. Il radicamento di famiglie iberiche nell’isola avverrà nel regno di Federico III: Moncada e Alagona sono i casi più
illustri e conosciuti, ma non mancano nobili navarresi, che trovano nella Sicilia di Federico III l’ultima frontiera antifrancese dopo la repressione della
rivolta della Navarreria.18
Le capacità politiche, esercitate anche nell’ambito minuto delle realtà
locali, la tensione del generale nel pieno dell’azione militare, la cura nello sfruttare abilmente i richiami alla tradizione di esercizio e rappresentazione del
potere ereditata dai suoi grandi antenati, il carattere ambiguo e calcolatore dell’uomo emergono anche da una fonte narrativa considerata un falso dai filologi, che racconta i giorni passati da Giacomo a Catania ai primi di maggio del
1287.19 Il re si informa segretamente sui catanesi sospetti di contatti con i fran-
15
Ad esempio ACA, C, Cartes reials Jaume II, Caixa 149, n. 598 (da Palermo, il 26 settembre 1289,
per l’università di Salemi) e ACA, C, Cartes reials Jaume II, Caixa 81, n. 9881 (da Messina, il 3 aprile
1291, per l’università di Palermo).
16
L. SCIASCIA, Il seme, p. 133 ss.
17
A. MARRONE, Repertorio degli atti della Cancelleria del Regno di Sicilia dal 1282 al 1377, testo
in rete p. 352 (http://www.storiamediterranea.it/).
18
Maria Teresa FERRER, Nobles catalans arrelats a Sicilia: Guilem Ramon I de Montcada, in Mediterraneo medievale. Scritti in onore di Francesco Giunta, Soveria Mannelli, Rubbettino 1989, pp. 417431, e L. SCIASCIA Le donne, pp. 93-101; sui navarresi, L. SCIASCIA, Nobili navarresi nella Sicilia di Federico III: Asiain, Simen de Aibar, Olleta, Caparroso, «Príncipe de Viana» LXIII (2005), pp. 157-166
19
La vinuta e lu soggiornu di lu re Iapicu d’Aragona in la gitati di Catania, l’annu MCCLXXXVII
(Due cronache del Vespro in volgare siciliano del secolo XIII, a cura di Enrico SICARDI, in Rerum Italicarum Scriptores, XXXIV, p. 1, Nicola Zanichelli, Bologna 1917); per la falsità della cronaca, P. PRETO, Una
lunga storia di falsi e falsari, in «Mediterranea. Ricerche storiche», p. 14 ss.; ma se la falsità della cronaca dal punto di vista filologico sembra indiscutibile, i contenuti, a parte l’elenco di nobili catanesi, sono
perfettamente coerenti e credibili, e non convince la relazione tra il presunto ritrovamento della cronaca e
la rivolta separatista della Catalogna che si dà alla Francia nel 1640.
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cesi, ma non lascia trasparire niente di quello che sa; segue con ansiosa attenzione l’assedio di Augusta; dà udienza nel cortile del maestoso castello Ursino,
costruito dall’imperatore, vestito di verde, il colore degli Hohenstaufen.20 Dal
testo appare evidente il consenso che circondava il giovane re, consenso che
Bartolomeo da Neocastro annota già nel primo momento della luogotenenza;21
che si legge anche nelle parole di un altro cronista siciliano («Sub cuius regni
Iacobi dominio omnes existentes in Sicilia de bono in melius multiplicantes
ditati sunt et contenti plusquam dici posset de ipso regno et regimine suo»);22
in quelle di Ramon Muntaner;23 nelle due vivacissime inchieste sulla nascita
dei figli siciliani di Giacomo,24 piene dell’attenzione popolare per amori e
vicende regali; nella cronaca di Nicolò Speciale, lo storico del regno di Federico III, e dunque molto critico nei confronti di Giacomo;25 persino nell’aggettivazione di alcune intitolazioni, quando un inconsueto gloriossisimo rege Iacobo si inserisce al posto del solito inclito.26
Il 5 luglio del 1291, Ramon de Manresa porta a Giacomo, a Messina, la
notizia della morte del fratello maggiore. Il 18 luglio il re è ancora a Messina,27 il 24 a Palermo, dove, nel giardino di Matteo di Termini, incontra i notabili della città, coloro che avevano guidato il Vespro, lasciando loro quadam
privata seu secreta insinga;28 il 26 si imbarca da Trapani, e, dopo una sosta a
Maiorca, raggiunge Barcellona a metà agosto. Lascia al fratello la luogotenenza (e gli raccomanda la sua ultima amante, stavolta catalana, Blanqueta
de Rocafull, da dotare e maritare)29: chiaramente non ha nessuna intenzione
20
La vinuta, p. 34 s.
B. da NEOCASTRO, Historia sicula, p. 54 s.
ANONIMO, Chronicon siculum, in Bibliotheca scriptorum qui rebus in Sicilia gestis sub Aragonum
imperio retulere, a cura di Rosario GREGORIO, Palermo, 1791, vol. II, p. 162. Un’edizione critica di questo testo, a cura di Piero COLLETTA, è di imminente pubblicazione.
23
«Depuix fo coronat, si les gents de Sicilia, e de Calabria, sembrasen pedres, si cullierian bell forment, o bell ordi», R. MUNTANER, cap. 148.
24
Una delle due inchieste è integralmente pubblicata da J. E. MARTÍNEZ FERRANDO, Jaime II de
Aragón. Su vida familiar, vol. II (Documentos), Barcelona, 1948, p. 202 ss. La seconda è stata edita in
parte in L. SCIASCIA, Il seme, p. 35 ss. e in altra parte, ma con errori che deformano nomi di persona e
luogo, in Eufemià FORT I COGUL, Clarícies sobre Jaume, fill bastard del rei Jaume II el Just, «Estudios
historicos y documentos de los archivos de protocolos» VI (1978), p. 183 ss.
25
Giacomo «causam omnium siculorum, dum regno Sicile prefuit, tanta felicitate gerebat, ut quasi
omnes habitatores Sicilie sub eo fierent in modico tempore locupletes, quamvis in exiti amara dulcibus
miscuisset» Nicolò SPECIALE, Historia Sicula, in Bibliotheca, p. 337 s.
26
Archivio di Stato di Palermo, Tabulario del monastero di s. Maria la nuova detto «La Martorana»,
perg. n. 55.
27
Juan Manuel DEL ESTAL, Itinerario de Jaime II de Aragón (1291-1327), Zaragoza, Institución Fernando el Católico, 2009, p. 33, Ritengo incongrui i due documenti datati da Del Estal da Messina, il 20
luglio: il documento in favore di de Galliffa in realtà è vagamente datato infra menses iunii et iulii (G. LA
MANTIA, Codice diplomatico dei re aragonesi di Sicilia,1291-1292, a cura di A. DE STEFANO e F. GIUNTA,
Palermo, Società siciliana di Storia Patria, 1956, p. 13), mentre alla segnatura indicata il documento per il
convento di San Pedro de la Piedra sembra fare riferimento a Giacomo I.
28
Acta, I, 2, p. 101 s.
29
Codice, p. 316; dopo più di un anno Federico non aveva dato la dote, come non aveva dato la dote neppure a Vanni de Bonavita, marito di Lucchisia di Catania, da cui Giacomo aveva avuto un figlio (Codice,
p. 254): almeno per quanto riguarda gli affari personali del fratello il luogotenennte non era certo solerte!
21
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di rinunciare al regno per cui si prepara, lavora e combatte con successo da
sette anni.
Come ho già detto, il fatto che la documentazione siciliana per gli anni
1291-95 sia quasi inesistente non permettere di valutare l’effettiva incidenza
del governo distante di Giacomo sulla realtà siciliana.: ma per quanto riguarda Palermo, per esempio, vediamo che dalla Catalogna Giacomo si occupa di
assegnare appalti e uffici cittadini anche modesti, nomina i capi della comunità ebraica, interviene a difendere i privilegi dei palermitani.30 La distanza
di Giacomo dalla capitale del regno non è maggiore di quella dei suoi successori isolani, a cominciare da suo fratello.
Giacomo tornerà in Sicilia solo da nemico, da traditore. Il suo regno
siciliano resta chiuso tra parentesi nella storia della Sicilia, nella storia della
Corona d’Aragona e nella sua storia personale: ma il passaggio dall’adoloscenza alla maturità, la costruzione militare e politica di un regno, sono
momenti fondamentali nella vita di un uomo, nell’esperienza di un re, e forse
l’ombra del fallimento che una parte della storiografia ha visto sul suo regno
sarà stato lo stesso re per primo a percepirla e a proiettarla.
30
Codice, p. 123, 191, 215 s., 256; Acta, I, 1, pp. 26, 52 s., 109 ss., 155, 171 s., 188, 213; Acta, I, 2,
pp. 57, 102 (qui compare per la prima volta un eminente personaggio della colonia toscana di Palermo,
Puccio Iacobi cui viene assegnato l’ufficio della credenzeria del fondaco della riva), p. 128.