Mark Fisher: dal postmodernismo
cyberpunk al postcapitalismo.
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di
SERGIO CALDARELLA
Le autorità non erano state abbattute, ma si
nascondevano semplicemente dietro la potenza
anonima della necessità economica o, come si
suol dire, dietro il linguaggio dei fatti.
Max Horkheimer2
Mark Fisher è stato un teorico della cultura di massa (culture theorist)
morto suicida il 13 gennaio del 2017, all’età di 48 anni:3 tra le sue pubblicazioni
figurano testi sulla depressione, il post-punk ed altri temi contemporanei, fino ad
arrivare al libro Capitalist Realism,4 il suo lavoro più noto in cui analizza i modi
attraverso cui l’ideologia dominante contemporanea pretende di condensare ed
appiattire il senso e le varie forme del reale su un discourse unicamente
economico. L’essere umano ad una dimensione, già teorizzato da Herbert
Marcuse (1964), è sostanzialmente l’homo oeconomicus per il quale non esiste –
né può esistere – altra dimensione da quella economica, un soggetto sociale il
quale, dopo essersi arrampicato sul teatro della storia globale, vuol adesso
imporre la propria visione economica monocola come la sola possibile alla quale
non è ammessa alternativa alcuna. È partendo dal presunto «realismo» di questa
visione unidimensionale che viene rivolta la critica alla modernità proposta da
Tratto da: Sergio Caldarella, Mark Fisher: dal postmodernismo cyberpunk al postcapitalismo, in «Rivista di Studi
Critici e Letterari», n. 211, maggio 2019.
2 M. Horkheimer, Autorität und Familie, 1936.
3 Il 7 gennaio del 2019, a non appena un mese dalla scomparsa, un curioso riconoscimento della sua scomparsa è
apparso persino sul Financial Times che gli ha dedicato l’articolo K-Punk — in recognition of Mark Fisher’s lasting
influence a firma di Murray Withers.
4 Trad. it. Realismo Capitalista, Nero, Roma, 2009.
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2
Fisher la quale, muovendo dall’analisi di determinati modelli culturali del
postmoderno, giunge al capitalismo neoliberista che egli indica con il termine,
ripreso altrove, di «realismo capitalista». Nell’ambito discusso da Fisher, la
definizione di realismo capitalista è indirettamente ispirata alla celebre
dichiarazione di Margaret Thatcher secondo cui «non c’è nessuna alternativa» al
sistema economico-politico della globalizzazione postbellica: there is no
alternative, dirà esplicitamente, ed a più riprese, l’ex Primo ministro del Regno
Unito. Questa dichiarazione della premier britannica, variamente utilizzata dai
diversi partiti conservatori, poi passata anche ad altri partiti, è il perno su cui
ruota il credo omogeneamente diffuso della politica neoliberista nell’epoca del
giro di vite contemporaneo, basato su accumulazione e concentrazione, che i
poteri forti stanno manifestamente imponendo attraverso la globalizzazione della
loro visione economicista5 fin nel più remoto angolo terraqueo. È in proposito
nota anche la sorprendente ripresa della dichiarazione della Thatcher da parte
dell’ex cancelliere socialdemocratico (SPD) tedesco Gerhard Schröder il quale
ripetè, praticamente traslitterando la frase originaria dall’inglese al tedesco: «Es
gibt keine Alternativen...». Su questo punto viene già da chiedersi: perché il
cancelliere socialdemocratico della Repubblica Federale ripeta, pari pari, una
terminologia utilizzata da un primo ministro conservatore britannico? Che
parallelismo è mai questo? Com’è possibile che vi sia un discorso profondamente
e radicalmente politico com’è quello sull’indirizzo di una società che viene, però,
utilizzato indifferentemente da partiti conservatori e socialdemocratici, come se
questo fosse, invece, un tema neutrale? Non è già questo un elemento di una
considerevole stranezza? Così come sono anche ben sospette le politiche di
privatizzazione dei beni e servizi pubblici iniziate in un punto del mondo e poi
passate agli altri Paesi utilizzando un modello di dismembramento del pubblico e
di appropriazione privata pressoché eguali. 6 Non sono quantomeno curiose
K. Polanyi ha osservato in merito: «Sintetizzare l’illusione fondamentale di un’età in termini di un errore logico
raramente si rivela un modo di procedere adeguato; eppure dal punto di vista concettuale è per forza di cose
impossibile descrivere altrimenti l’illusione economicistica». (La sussistenza dell’uomo, trad. it. Einaudi, Torino,
1983). Cfr. anche K. Polanyi, La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, trad.
it. Einaudi, Torino 1979 e AA.VV., Il sofisma economicista. Intorno a Karl Polanyi, trad. it. Jaca Book, 2011.
6 Un caso per tutti è quello riguardante la privatizzazione delle acque potabili portato avanti pressappoco
seguendo lo stesso modello politico/commerciale dall’America Latina agli Stati Uniti fino all’Europa o all’Africa.
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queste sincronie politiche tra partiti e schieramenti i quali, in apparenza, non
dichiarano molto in comune, ma agiscono, poi, come se danzassero al ritmo di
una stessa orchestra? È un fatto su cui bisognerebbe vi fosse quantomeno un
concreto dibattito pubblico che non c’è ed è in particolare su quest’assenza che si
basano la forza e le strategie oligocratiche contemporanee.
Nel termine di realismo capitalista, utilizzato da Fisher, si sente anche
l’eco e l’inversione del vecchio e tristemente noto motto di «realismo socialista»,
formulato da Maksim Gor’kij nel ’34, ossia all’inizio del terrore stalinista che
divenne, poi, l’imperativo in tutte le arti nel blocco sovietico, trasformandosi in
uno slogan alla base di un costrutto ideologico che operava tramite l’imposizione
di modelli estetici ben specifici e politicamente eterodiretti. L’affinità tra
«realismo socialista» e «realismo capitalista» non consiste unicamente nel nome,
in quanto il realismo capitalista pratica, in molti campi, operazioni affini
all’intenzione originaria del realismo socialista, arrivando ad utilizzare persino
l’arte come forma pubblicitaria e la pubblicità come se questa fosse arte. Dal lato
apparentemente opposto al mondo socialista, infatti, le litografie di lattine di
conserve alimentari, oppure le immagini grafiche di Topolino realizzate da
Andrew Warhola – meglio noto come Andy Wharol – sono tra le più note
rappresentazioni autocelebrative del realismo artistico capitalista che, proprio in
virtù di questa rispondenza ideologica al modello dominante, resero il loro autore
una delle figure più apprezzate dalle case d’aste d’America e dal pubblico dei
Paesi satelliti degli Stati Uniti. Se, da una parte, abbiamo gli artisti e gli
intellettuali del realismo socialista, dall’altra abbiamo quelli del realismo
capitalista: cambiano i termini e l’applicazione, ma non il risultato. È anzi
singolare osservare come, su molti termini chiave e concetti fondamentali, la
simmetria
tra
comunismo
dei
Soviet
e
capitalismo
sia
fortemente
impressionante, rafforzando quella distinzione tra capitalismo di Stato ed
economia capitalista privata controllata dallo Stato borghese già indicata da
4
Friedrich Engels nel suo scritto: L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla
scienza (1880).7
La vicenda del libro di Mark Fisher sul realismo capitalista, ma potremmo
anche dire la sua biografia politica, ha inizio durante quella fase postbellica della
controriforma del capitalismo portata avanti anche con l’insediamento della
baronessa Margaret Thatcher 8 e dell’attore hollywoodiano Ronald Reagan, 9 la
governante ed il maggiordomo dei «poteri superiori», 10 sostenuti dal grande
capitale e coadiuvati dal possente strumento di manipolazione sociale
rappresentato dall’ideologia del neoliberismo,11 i quali sono stati esecutori di una
svolta politica la cui portata storica non è stata ancora valutata adeguatamente.
La Thatcher e Reagan impongono, apertamente, una riduzione delle libertà e dei
diritti individuali della maggioranza dei cittadini a favore delle oligarchie
dominanti. La Thatcher e Reagan erano la donna e l’uomo giusti per portare
avanti un progetto di società con cui si propone, sotto mentite spoglie, la
diseguaglianza socioeconomica come necessaria, poiché basata sulla presunta,
quanto naturale, «inevitabilità» del modello economico capitalista, cioè su una
trasposizione di darwinismo sociale e realismo borghese secondo cui la differenza
tra ricchi e poveri è un fatto «naturale» e, in certi casi, persino «divino» – il tutto
presentato, ovviamente, come se venisse perpetrato nel nome dei popoli e del
loro interesse e benessere. Max Horkheimer, in un saggio del 1936 su Autorità e
famiglia, 12 scriveva già di «sofferenze causate dalla realtà che sotto il segno
dell’autorità borghese opprime l’esistenza».
La dislocazione del potere verso il reame dell’astratto lo rende ancora più
forte in quanto, non potendolo più identificare in maniera precisa, questo viene
trasformato in un’astrazione la quale assume, concettualmente, gli stessi caratteri
Inizialmente pubblicato, nella traduzione di Paul Lafargue, con il titolo di Socialisme utopique et socialisme
scientifique (1880) e seguito dall’edizione tedesca: Die Entwicklung des Sozialismus von der Utopie zur
Wissenschaft (1883). L’edizione italiana venne tradotta dalla quarta edizione rivista da Engels nel 1891.
8 In carica dal 4 maggio 1979 al 28 novembre 1990.
9 In carica dal 20 gennaio 1981 al 20 gennaio 1989.
10 Quelli che, in inglese, vengono sussurrati nei corridoi come «The powers that be».
11 Cfr., in proposito, anche, D. Harvey, A Brief History of Neoliberalism, Oxford University Press, 2007.
12 Max Horkheimer, Studien über Autorität und Familie. Forschungsberichte aus dem Institut für Sozialforschung,
Librairie Félix Alcan, Parigi 1936.
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genericamente attribuibili alla necessità naturale, ossia i caratteri di una forza
inevitabile, irresistibile e irraggiungibile determinando, così, da una serie di
convenzioni e regole socioeconomiche, una necessitas ordinis naturalis. Questa è
la rappresentazione ideologica della necessità o dell’inevitabilità capitalista o
neoliberista. Contro un tale potere non incarnato, nessuna resistenza appare più
possibile giacché non vi è un soggetto concreto contro cui resistere. Questa è
proprio quell’irraggiungibilità del Castello indicata da Kafka attraverso metafora.
Esser posti nella condizione di non avere alternative ha, inoltre, anche un
effetto retroattivo e significa dover accettare come «naturali» tutte quelle
premesse che hanno condotto alla situazione sociopolitica attuale: una sorta di
serpente che si morde la coda.
Macabri retori del potere come la Thatcher, Ronald Reagan – oppure,
oggi, Trump o la cancelliera Merkel – non vanno certo a raccontare di
rappresentare gli interessi di una ristretta classe privilegiata o di se stessi, ma
dichiarano, con pompa magna, di avere a cuore gli interessi di tutti, soprattutto
dei piccoli che sanno come manipolare abilmente a loro piacimento. Su questo
punto, oggi come ieri, i più esposti alla violenza ideologica dell’apparato della
modernità sono ancora gli stessi alla base della piramide sociale, ossia coloro
culturalmente indifesi di fronte ai modelli ideologici e persuasivi con i quali
l’individuo viene modellato in una massa docile agli ammaestramenti di coloro
che detengono i mezzi.13 L’uomo-massa (hombre-masa) è chi si propone, quale
unico progetto di vita, autoconservazione e riproduzione e l’atomizzazione
dell’essere umano che lo rende un mero soggetto materiale (homo consumens) è,
in sé, propedeutica alla sua trasformazione nell’uomo-massa il quale vive, opina
ed agisce secondo modalità omologate ed eterodirette che egli, però, ritiene
illusoriamente autonome.
Tra le recenti pubblicazioni in merito cfr., R. Mausfeld, Warum schweigen die Lämmer?: Wie Elitendemokratie
und Neoliberalismus unsere Gesellschaft und unsere Lebensgrundlagen zerstören, Westend Verlag, Frankfurt am
Main 2018.
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Non è certo casuale che Margaret Thatcher, oltre ad aver variamente
ripetuto che non vi è alternativa al modello sociopolitico di cui ella era la
benemerita rappresentante, abbia anche dichiarato, durante il terzo mandato da
Primo ministro, nel 1987, il proprio credo secondo cui «There is no such thing as
society, Non esiste una cosa come la società».14 Forse qualcuno all’epoca avrebbe
dovuto far notare da subito alla signora Thatcher che la storia conosce già
l’assenza del concetto di società: la selva e lo stato brado non sono sociali, così
come possono dirsi, per estensione, sostanzialmente antisociali le tirannidi, in
quanto piegano e modellano la socialità ai vari capricci ed alla volontà di uno o di
pochi. L’assenza di società non è libertà ma soggezione alla natura, oppure
tirannide. Si può legittimamente dichiarare che la società, quantomeno nella sua
concezione ideale, sia anche un tentativo di minimizzare o eliminare la brutalità e
l’arbitrio tra i propri membri e, dunque, di ricondurre la regola del più forte alla
regola del giusto. In tal senso, il darwinismo sociale o il capitalismo
rappresentano
i
sintomi
di
una
chiara
regressione
che
si
esprime,
ideologicamente, nel ritiro concettuale con cui si propone che siano la forza o la
massimizzazione illimitata del profitto e non l’aspirazione a libertà, giustizia e
uguaglianza le regole «naturali» che determinano le condizioni fondamentali
dell’esistenza umana. Vi è, inoltre, qualcosa di profondamente inumano in chi sa
sempre e soltanto pensare unicamente a se stesso, intendendo la socialità
unicamente come un luogo da cui prendere, senza avere altro orizzonte; chi vive
solo per se stesso, in realtà non sta vivendo per nessuno: «Chi avrà tenuto per sé
la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la
troverà».15 Dichiarare senza difficoltà che non c’è una società, come proclamava
«I think we have gone through a period when too many children and people have been given to understand “I
have a problem, it is the Government's job to cope with it!” or “I have a problem, I will go and get a grant to cope
with it!” “I am homeless, the Government must house me!” and so they are casting their problems on society and
who is society? There is no such thing! There are individual men and women and there are families and no
government can do anything except through people and people look to themselves first. It is our duty to look after
ourselves and then also to help look after our neighbor and life is a reciprocal business and people have got the
entitlements too much in mind without the obligations.» (Margaret Thatcher)
«There is no such thing as society. There is living tapestry of men and women and people and the beauty of that
tapestry and the quality of our lives will depend upon how much each of us is prepared to take responsibility for
ourselves and each of us prepared to turn round and help by our own efforts those who are unfortunate.»
(Margaret Thatcher).
15 Matteo, 10:39.
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bellamente la signora Thatcher, ossia affermare che ognuno deve sempre e solo
pensare unicamente a se stesso è, dunque, un principio radicalmente disumano.16
Queste asserzioni combinate secondo cui non vi è né un modello di vita
alternativo e neppure una società esprimono, senza mezzi termini, il nucleo
radicalmente antisociale ed anti-umanista dell’ideologia capital-liberista secondo
cui non vi è alcuna società, poiché l’essere umano è gettato nel mondo come una
cosa tra le cose in un ordinamento che lo sovrasta e dal quale non può più
sottrarsi. L’essere umano che arriva a trasformare se stesso in una cosa per farsi
valere sul mercato delle cose, quello che Marx definiva, nei Manoscritti, come «il
dominio della materia morta sull’umanità», è colui il quale «deve diventare egli
stesso una merce (commodity) in modo da poter esistere come soggetto fisico».17
A questa terrificante riduzione della persona ad un oggetto o ad una statistica si
pretende non vi sia alternativa, né scampo: «Ciò che prima, nella fondazione
dell’ordinamento statale che si compiva in piena armonia con l’ideale di libertà,
serviva a proteggere la libertà individuale, in séguito diventa un impedimento di
questa stessa libertà, se all’ordinamento non ci si può più sottrarre»18
Questo per quanto riguarda i modi in cui l’umanità prodotta dalle società storiche ha imparato a pensare se
stessa fino in tempi recenti: la modernità sta, invece, procedendo ad una radicale trasformazione dell’essere
umano in quello che è ormai possibile definire come un homo novus. Cfr. anche S. Caldarella, L’Ultima dea
d’Occidente. Saggio sulla razionalità inesorabile, Edizioni Illo Tempore, 2008.
17 H. Marcuse, Neue Quellen zur Grundlegung des Historischen Materialismus in Die Gesellschaft, 1932, trad. ingl.
The Foundation of Historical Materialism in Studies in Critical Philosophy, Beacon Press, Boston, 1972.
18 H. Kelsen, Essenza e valore della democrazia, trad. it. G. Giappichelli Editore, Torino 2004, p. 10.
16
8
Rivolgimenti moderni
Dennoch zeigt die ganze Geschichte der modernen
Industrie, daß das Kapital, wenn ihm nicht Einhalt
geboten wird, ohne Gnade und Barmherzigkeit darauf
aus ist, die ganze Arbeiterklasse in diesen Zustand
äußerster Degradation zu stürzen.19
Karl Marx
È proprio grazie a figuri imbellettati come Margaret Thatcher o Roland
Reagan che, dopo l’interregnum seguito alle due grandi guerre mondiali, lo Stato
viene progressivamente riconsegnato alle plutocrazie, rendendo impraticabile e,
in molti casi, persino impossibile, l’esercizio di una libertà autentica per i
cittadini a fronte di libertà formali garantite nominalmente. Baruch Spinoza, il
quale era anche un fine teorico politico, aveva osservato, nel Tractatus
Theologico-Politicus, che l’autentico compito dello Stato è di garantire la libertà,
ma lo Stato cui fa riferimento il filosofo di Amsterdam non è certo quello che
hanno come progetto la governante ed il maggiordomo dei grandi poteri ed i loro
accoliti e mandanti. I ciambellani ed i retori del potere del nostro tempo fanno
poi sì che personaggi come la signora Thatcher, Ronald Reagan, Milton
Friedman, Henry Kissinger e tutta una sconvolgentemente lunga sfilza di
esecutori dei dettami delle oligarchie e nemici della socialità vengano celebrati, a
dispetto di qualunque evidenza, tanto quanto un tempo si glorificano e si
facevano santi certi monarchi o armigeri che avevano adeguatamente servito, con
cappa e spada, il papa o l’imperatore.
La subdola trasformazione contemporanea delle democrazie in sistemi
politici a conduzione oligarchica è in molti modi congenita all’imporsi del
capitalismo poiché, in una situazione in cui il capitalismo prevale come dottrina
globale, non può esserci posto per entrambe i poteri ed il plutocrate inghiottirà
fatalmente qualunque democrazia, trasmutandola in una mera democrazia
«Tutta la storia dell'industria moderna mostra che il capitale, se non gli vengono posti dei freni, lavora senza
scrupoli e senza misericordia per precipitare tutta la classe operaia nella più profonda degradazione.» (K. Marx,
Lohn, Preis und Profit, §13 (1865)).
19
9
economica (Wirtschaftsdemokratie),
20
ossia in un’econocrazia che serve,
pedissequamente, i fini dei pochi.
I sistemi politici moderni e contemporanei non possono esser
sinceramente detti oligarchie pure, quanto sistemi oligarchici mediati da
democrazie formali (econocrazie), ossia svuotati di quasi ogni autentico
contenuto democratico, tranne quello dell’episodico conteggio numerico dei voti.
Qualunque sistema di potere mira, inoltre, a determinare sempre la visione del
mondo di coloro che vi sottostanno 21 e, per ottenere tale risultato, necessita di un
apparato che sia tanto materiale quanto ideologico, poiché senza la concomitanza
di questi due elementi non può darsi un controllo sociale efficiente ed effettivo.
Da questo punto di vista i sistemi oligarchici contemporanei utilizzano
efficientemente la mediazione – e giustificazione – offerta dalle democrazie
formali grazie alle quali è possibile motivare, efficacemente, l’apparato sociale e,
al tempo stesso, nullificare eventuali resistenze interne offrendo, per l’appunto,
una parvenza di legittimità democratica convenzionale: quella che viene qui
definita come econocrazia. Ogni quattro o cinque anni si ripete il rito dell’urna
elettorale e, in virtù di questa convocazione, chi carpisce il consenso22 si proclama
legittimato ad imporre qualunque norma ed ogni decisione presa dalla
maggioranza partitica viene così investita dal crisma della sacralità democratica.
Inoltre, come hanno evidenziato raffinati teorici del calibro di Hans Kelsen,
anche se il meccanismo democratico non fosse gestito dall’alto, siano questi
partiti e gruppi d’interesse ad essi correlati, «nel momento in cui la democrazia fa
progredire l’ordinamento – sorto secondo l’idea di libertà (in via ipotetica) per
contratto e quindi per unanimità – con deliberazione di maggioranza, essa si
accontenta di una semplice approssimazione all’idea originaria».23
Le ragioni per le quali il blocco sovietico crolla non sono, come vorrebbero
far credere gli strilloni ed i menestrelli dell’ideologia dominante, unicamente
Quella che oggi alcuni chiamano anche: dollarocrazia. Cfr. Robert W. McChesney, John Nichols, Dollarocracy:
How the Money and Media Election Complex is Destroying America, Nation Books, New York 2012.
21 Il rapporto tra cultura e società è, sostanzialmente, una visione del mondo.
22 Karl-Otto Apel dirà che l’assenso non è ancora consenso.
23 H. Kelsen, Essenza e valore della democrazia, trad. it. G. Giappichelli Editore, Torino 2004, p. 9.
20
10
economiche, ma sono legate più al fatto secondo cui al tipo di società dei Paesi del
Patto di Varsavia si contrapponeva sì un modello sociopolitico in grado di offrire,
in quel particolare momento storico, un benessere materiale non comparabile,
ma aveva anche, alle spalle, un apparato ideologicamente più sottile e pervasivo –
basti pensare all’enorme influenza che il cinema hollywoodiano ha avuto e
continua ad avere sull’immaginario collettivo dei cittadini nei Paesi allineati alle
politiche degli Stati Uniti d’America. Le società del credito e delle merci,
contrapposte al blocco sovietico, avevano a disposizione un modello di realtà ben
costruito cui i residenti dell’Est potevano far riferimento per mostrare ai loro
carcerieri che un altro tipo di mondo era possibile tanto negli assiomi quanto nei
fatti. La guerra fredda ha rappresentato un progressivo irrigidimento delle
posizioni politiche di ognuno dei due blocchi in cui si è manifestata l’impossibilità
di convivenza di due visioni del mondo formalmente divergenti: in questo
conflitto tra ideologie, ognuno dei contendenti lottava per la sopravvivenza, ossia
per il prevalere del proprio modello di realtà, ma questo significa anche
indirettamente – e contrariamente al diktat della Thatcher – che altri modelli di
società sono possibili ed il fatto che il modello mercantile-capitalista sia prevalso
su quello leninista-sovietico non significa che da questa vittoria dipenda,
necessariamente, ogni universo possibile, 24 ma soltanto che ha trionfato un
economicismo più sottile ed efficiente.
Per molti versi, il benessere economico dei cittadini nel blocco occidentale
dipendeva dal malessere dei cittadini dei Paesi del blocco comunista in quanto,
vista la minaccia dall’altro lato, non era efficiente, per le oligarchie occidentali,
inasprire la disuguaglianza e irrigidire le condizioni sociali a favore di una totale
massimizzazione del profitto, poiché questo giro di vite prematuro avrebbe
potuto generare delle svolte politiche indesiderabili per coloro al potere. Il lato
grottesco e drammatico di questa vicenda è che, nel momento in cui i cittadini
Questa considerazione deve anche basarsi sul fatto, ormai evidente a molti, secondo cui il modello
socioeconomico corrente sta conducendo l’ecosistema del pianeta al collasso. Se un tempo erano unicamente le
nostre città ad esser rese invivibili dal meccanismo sociale capitalista il quale, per le sue ragioni di
massimizzazione del profitto, concentrava in queste la produzione richiamando la popolazione rurale per
trasformarla in una popolazione operaia creando, in tal modo, sovrappopolazione, smog, crimine, incremento
della divisione sociale, etc., adesso questo processo di distruzione della vivibilità si è esteso all’intero pianeta in
quanto risultato della produzione tecnica e delle modalità del consumo.
24
11
occidentali hanno celebrato la caduta del muro di Berlino come un evento che
avrebbe favorito una maggior libertà per tutti, stavano, in realtà, celebrando un
momento da cui le oligarchie dominanti d’Occidente avrebbero lentamente
iniziato a limitare e restringere nuovamente le libertà di tutti. Per molti versi si
può anche dire che, a partire dagli eventi del 1989, è ripreso quel processo di
soggiogamento delle società che aveva visto un rallentamento e, in alcuni casi,
una pausa seguita al 1918 ed alle varie rivoluzioni e rivolgimenti dell’epoca, dalla
rivoluzione russa a quella tedesca con cui si giunse alla deposizione dello Zar e
della monarchia degli Hohenzollern, il 9 novembre 1918, e lo stato tedesco
divenne una repubblica parlamentare. La caduta del muro di Berlino si è allora
rivelata non come un punto di svolta nella direzione di una libertà maggiore per
tutti, quanto come il punto d’avvio verso la direzione contraria, ossia la data in
cui, dagli artigli delle oligarchie occidentali, sono stati rimossi i legami di rivalità
con altri sistemi concorrenti.
Nei Quaderni, Simone Weil aveva già avuto modo di osservare: «I poteri
non faranno nulla per diminuire se stessi: anche se lo volessero, non lo
potrebbero, a causa della rivalità»;25 cascata però la rivalità, nulla può più porre
freno alla follia efficiente che si è impossessata del metodo.
Nel novembre del 1989, i bravi cittadini d’Europa pensavano di celebrare,
a Berlino, la fine del totalitarismo duro della Germania dell’Est e del blocco
comunista mentre stavano, invece, concelebrando l’inizio della lenta fine delle
loro libertà e del loro mondo.
25
S. Weil, Quaderni (I), Adelphi, Milano 1982, p113.
12
Non avrai altro Dio all’infuori di me.
Once unquestioning obedience, once fully enslaved, / Once fully
enslaved, no nation, state, city of this earth, ever / afterward
resumes its liberty.
Walt Whitman
Quando Margaret Thatcher, dall’alto della sua carica istituzionale,
dichiarava che non poteva darsi altra alternativa al modello sociale da lei
patrocinato, ossia quando affermava proditoriamente che il modello di mondo
cui essa apparteneva si era imposto come dominante, nessuno dei minatori
britannici in protesta (1984-1985) che le si trovavano di fronte potè replicare
altrimenti. Similmente, nessuno degli 11.345 controllori di volo licenziati in
blocco da Reagan, nel 1981, e banditi a vita da qualunque altra attività lavorativa
con implicazioni federali per aver osato scioperare nel Paese della libertà
condizionata,
aveva
potuto
opporre
alcunché
al
latrato
del
fantoccio
imbrillantinato delle oligarchie a stelle e strisce. Il cosiddetto realismo capitalista
che si palesa in questi eventi e discorsi è ancora il vecchio paradigma di quella
collaudata logica di sferza, bastone e pugnale con la quale, tranne rarissime
eccezioni, vengono dominati gli esseri umani dagli inizi delle società storiche. È
ovvio che, dopo millenni di vicissitudini e, si potrebbe dire, anche di resistenza,
questa logica antica deve proporsi con abiti nuovi e sgargianti, ma basta prestare
un po’ di attenzione per capire che c’è troppo di vecchio in questo nuovo
fiammante.
Ignacio Ramonet, autore, tra l’altro, dei libri La Tyrannie de la
communication (1998) e Propagandes silencieuses (2000), aveva già definito, in
un celebre articolo apparso su Le Monde diplomatique del gennaio 1995,
l’assioma neoliberista secondo cui l’unica alternativa è l’assenza di alternativa
come «pensiero unico» (pensée unique), ossia «la trasposizione in termini
ideologici, che si pretendono universali, degli interessi di un insieme di forze
13
economiche, e specificamente di quelle del capitale internazionale».
26
Nell’articolo in questione, Ramonet denunciava l’ideologia espressa nell’iperbole
formulata all’epoca da Alain Minc secondo cui «il capitalismo non può crollare,
poiché è lo stato naturale della società. La democrazia non è lo stato naturale
della società. Il mercato lo è». Ventitré anni dopo questa rocambolesca
dichiarazione, lo stesso Alain Minc, in un’intervista su Libération, aggiungerà: «Il
capitalismo è il sistema più efficace e più inegualitario».27 Associando qui, con
chiarezza, efficienza ed ineguaglianza!
Nel celebre articolo su Le Monde diplomatique, Ignacio Ramonet definiva
la paccottiglia ideologica con cui si stordiscono le masse contemporanee come un
«nuovo oscurantismo», perseguito con la complicità di un apparato di «docenti
di economia, giornalisti, saggisti, uomini politici [i quali] si richiamano ai
principali comandamenti di queste nuove tavole della legge e, attraverso i grandi
mezzi di comunicazione di massa, li ripetono a sazietà, ben sapendo che, nelle
nostre società mediatizzate, la ripetizione equivale alla dimostrazione».28 Anche
qui, ossia nell’idea secondo cui ripetere molte volte uno slogan equivalga già a
«dimostrarne» la tesi, ritorna un vecchio topos del solito Machiavelli: come
dicevamo, c’è troppo di vecchio e stantio in questo «nuovo» fiammante con cui
vengono indirizzate, manipolate e costantemente soggiogate le comunità umane.
Una società soggiogata non possiede più una dimensione politica
autentica: contrariamente al concetto greco di essere umano come animale
politico, ζῷον πολιτικόν, al soggetto contemporaneo non si può davvero
chiedere di possedere una dimensione politica. Per la gran parte, l’essere umano
integrato contemporaneo è ormai un essere soggiogato da norme sociali
determinate da una precisa oligarchia economico/politica della quale egli accetta
il diritto divino o temporale al dominio. Questo è uno dei chiari punti in cui si
dimostra il nostro esser tornati indietro socialmente, culturalmente e, dunque,
umanamente.
I. Ramonet, La pensée unique, «Le Monde diplomatique», gennaio 1995.
«Le capitalisme est le système le plus efficace et le plus inégalitaire» Laurent Joffrin, Alain Minc: «L’inégalité est
trop forte, nous risquons une insurrection», «Libération», 8 luglio 2018.
28 I. Ramonet, Ibid.
26
27
14
Nel particolarissimo periodo storico contemporaneo, l’opera di Mark
Fisher ha una sua rilevanza in quanto egli è stato una tra quelle poche recenti
figure intellettuali del mondo anglosassone nel quale predomina, invece, una
finta resistenza culturale ben inquadrata, ben pagata e riparata tra i torrioni del
sistema di potere contemporaneo. Aver ripreso e rielaborato i temi della critica
sociologica al capitalismo contestualizzandoli al discorso sociale e culturale
attuale in cui si tende, invece, alla sistematica rimozione di tali argomenti, rende
la critica di Mark Fisher ancor più rilevante poiché rende accessibili, al mondo di
lingua inglese, temi che, in particolare in tali Paesi, vengono accuratamente
espunti dal discorso culturale. L’opera di Mark Fisher offre un argomento valido
a coloro i quali, tra le tante semplificazioni proposte nel mondo di cultura
anglosassone, proclamano che esiste un solo modo per guardare al reale, ossia la
visuale favorevole alle oligarchie capitaliste che la determinano. È del resto
impossibile per l’autorità entrare in conflitto con il «reale» poiché il potere,
proprio in quanto tale, detiene i mezzi per indirizzare le moltitudini su cos’è reale
e cosa non lo è e questa capacità di manipolare l’immaginazione collettiva
rappresenta la forza più grande di coloro i quali mantengono il controllo sulle
società umane. Il fatto che si pretenda poi, o venga imposto, l’adattamento ad una
sola visione del mondo la quale conduce ad un solo modello di realtà è già, in sé,
una richiesta totalitaria. Un sistema come quello capitalista il quale si pone,
intenzionalmente, come dimensione totalizzante rappresenta, al contempo, una
visione del mondo nullificante e può, dunque, ben essere presentato anche come
una forma di nichilismo.29
Mark Fisher definiva le sue ricerche sul Realismo Capitalista come «un
progetto di negatività opposto al pessimismo» e questo poiché «il pessimismo
spesso si riduce a vedere cose cattive dove non ce ne sono, mentre la negatività
consiste, per altro verso, nell’esplicitazione di strutture, atteggiamenti e
convinzioni che sono già presenti, ma che tendono ad essere tra-sparenti o
29 La definizione di capitalismo che, personalmente, trovo più appropriata è quella di una follia efficiente che si è
impadronita del metodo.
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addirittura misconosciute».
30
La rivelazione dell’aspetto macabro di una
communitas eterodiretta da una minoranza che, detenendo i mezzi, modella la
socialità a proprio favore, rappresenta, nella teoresi di Fisher, un «progetto di
negatività opposto al pessimismo».
Mark Fisher, da teorico della cultura di massa, si occupava molto
dell’influenza di fenomeni specifici dell’epoca contemporanea come i cosiddetti
«social media», di elementi di costume diversi, dalla depressione quale elemento
endemico alla società contemporanea e persino dell’effetto dell’uso dei telefonini
sulla psiche, ma anche delle esperienze psichedeliche come modi per accedere a
realtà alternative31 e di molto altro ancora. Nello sviluppo delle sue analisi, Fisher
è stato influenzato, in particolare, da autori recenti come Gilles Deleuze e Félix
Guattari,32 dal testo di Frederic Jameson, Postmodernism or the cultural logic of
Late Capitalism,33 così come dai romanzi cyberpunk di William Gibson e da
parecchia filmografia. Oltre al tema centrale del realismo capitalista, nel
pensiero di Fisher emergono altri concetti chiave come quello della «produttività
simulata» (“the appearance of work is ‘new work’”), con la quale si «crea una
simulazione burocratica della produttività (simulated productivity)», un tema sul
quale pochissima attenzione è stata dedicata dai vari istituti ed istituzioni che si
occupano del tema dell’economia. La produttività simulata è una tra le molte
affezioni della società contemporanea costretta costantemente a mentire creando
continue simulazioni per giustificare il proprio procedere e mantenere lo status
quo.
È importante che Mark Fisher abbia reiterato, a fronte dell’apologetica
proposta dai mezzi di comunicazione dominanti, il concetto secondo cui: «i veri
30 «For whereas pessimism often comes down to seeing bad things where there are none, negativity, on the
other hand, is about explicating structures, attitudes and beliefs that already are present but that tend to be
trans-parent or even disavowed.» (Jon Lindblom, Mark Fisher in Memoriam, Part 1. Capitalist Realism and Beyond
Modernism, Unbound, 2018).
31 Un tema che era già in Aldous Huxley ed il suo libro Porte della percezione (The Doors of Perception, 1954) in
cui egli esperimentava in prima persona con la mescalina ed il cui scritto divenne uno dei classici della
generazione del Sessantotto insieme a Tolkien, Huxley e Marcuse.
32 In particolare il loro Capitalisme et schizophrénie, ossia L'Anti-Edipo (1972) e Millepiani (1980).
33 Originariamente un saggio pubblicato sulla «Left Review», nel 1984, e poi in volume presso Verso nel 1991.
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parassiti della nostra società sono la classe dirigente»,34 la quale determina la
simulazione burocratica della produttività, determinando simulazioni di realtà
proprio a partire dal mondo del lavoro passando, così, dalla produzione alla
simulazione di questa, diventata ormai parte di qualunque processo produttivo
burocratico, una conseguenza di cui i correnti epigoni del taylorismo e del
postfordismo non si avvedono. Mark Fisher fa anche osservare, insieme ad altri
studiosi, la connivenza della scuola, ed il tradimento dell’istruzione, in un sistema
capitalista dove gli studenti «vengono modellati per un posto di lavoro».35 Un
tema/problema che emergeva già dagli scritti di Wilhelm von Humboldt ed è
espresso anche nelle preoccupazioni di molti intellettuali e pensatori della
modernità, ma che viene, al tempo stesso, escluso quasi per intero dal dibattito
culturale ufficiale,36 mostrando come vi sia una chiara direzione politica intesa a
non disturbare il manovratore che ci porta allo sfacelo.
«The real parasite of our society are the managerial».
«being fitted for a workplace».
36 Cfr. anche: S. Caldarella, La Società del Contrario. Uno scritto sulla cultura di massa e i suoi intellettuali, Zambon,
Verona 2005; The Empty Campus. Education and Miseducation in the New Global Age, Edizioni Illo Tempore,
Princeton 2016.
34
35
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La malattia mentale come problema collettivo.
In dem Augenblick, in dem ein Mensch den Sinn und
den Wert des Lebens bezweifelt, ist er krank.37
Sigmund Freud
Ponendosi, anche sotto quest’aspetto, nell’alveo di una consolidata
tradizione culturale la quale ha antecedenti eminenti in pensatori del calibro di
Freud o Fromm, in Capitalist Realism, Mark Fisher identifica la malattia mentale
come problema collettivo: «la pandemia dell’angoscia mentale che affligge il
nostro tempo non può essere adeguatamente compresa, o guarita, se considerata
come un problema privato sofferto da individui traumatizzati».38 Questa è una
visione generale della società moderna e degli individui in essa che si trova già in
Sigmund Freud, Erich Fromm, Paul Goodman,39 o R. D. Laing, un discorso che,
anche in questo caso, svanisce lentamente dalla letteratura sociologica ufficiale
della nostra epoca. Erich Fromm scriveva: «Parlare di una società intera come
psichicamente ammalata comporta, implicitamente, l’accettazione di un’ipotesi
controversa e contraria alle posizioni del relativismo sociologico condivise dalla
maggior parte dei sociologi contemporanei. Essi presuppongono che ogni società
possa esser detta “normale” giacché funziona, e che la patologia possa esser
definita soltanto nei termini di un mancato adattamento individuale al tipo di
vita proprio di tale società».40 Se, del resto, la sociologia viene determinata nelle
aule dei dipartimenti universitari, ossia sotto il controllo dello Stato o di privati e
non attraverso un dibattito culturale ed intellettuale generalizzato, come si può
ritenere che coloro i quali si trovano all’origine del problema dell’assenza di un
dibattito culturale possano, poi, analizzarlo propriamente e indirizzare verso
delle soluzioni? Sarebbe come pretendere che un virus studi la propria cura: «al
processo della gallina, la volpe non dovrebbe far parte della giuria», avrebbe
magari aggiunto lo storico Thomas Fuller.
«Nel momento in cui un individuo dubita del significato e del valore della vita, egli è malato».
«The pandemic of mental anguish that afflicts our time cannot be properly understood, or healed, if viewed as
a private problem suffered by damaged individuals».
39 Paul Goodman, La gioventù assurda, trad. it. Einaudi, Torino 1971.
40 E. Fromm, Psicoanalisi della società contemporanea, Edizioni di Comunità, Milano, 1964.
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Quello sulla «malattia della cultura» è un tema che sorge proprio
dall’istituzionalizzazione di questa,41 giunge fino a Spengler (1918) o all’ultimo
Freud de Il Disagio della civiltà (1930)42 e continua nel Fromm della Fuga dalla
Libertà (1941) e della Psicoanalisi della società contemporanea (1955),43 ma si
affievolisce
fino
a
svanire
dal
dibattito
culturale
ufficiale
dell’epoca
contemporanea in cui non soltanto «there is no alternative», per tornare a Fisher,
ma quest’assenza di alternativa, secondo i suoi apologeti, è anche buona, giusta e
indiscutibile. Fisher non intende però l’assenza di alternative in maniera rigida,
ma come visione di una «realtà che è infinitamente plastica, capace di
riconfigurare se stessa in qualunque momento»44 e questo è uno dei sintomi di
una società che si è separata dal reale e, essendo in grado di sposare qualunque
finzione, interpreta la realtà come infinitamente plastica.
La fatale presa che le ideologie hanno sulla società contemporanea e la
morsa sull’individuo e sulla sua psiche che queste determinano, deriva
primariamente non dall’astuta veste con cui vengono imposte, ma dall’assenza di
un solido retroterra culturale capace di spiegare e denunciare la costruzione di
questi apparati ideologici fornendovi un antidoto culturale cui far riferimento per
rispondere alla sfacciataggine ed alla mediocrità dei retori della modernità.
Gli studi di autori come Mark Fisher hanno un valore culturale e sociale
particolare poiché introducono una lettura alternativa al discorso dominante sul
capitale proprio nel mondo anglosassone dove esiste un sottile apparato
propagandistico mai visto prima nella storia documentata della nostra specie e
teso interamente alla creazione dell’incoscienza ed al soggiogamento della
dissidenza culturale. Quando Mark ha deciso di sbattere la porta, togliendosi la
vita, il mondo di lingua inglese in particolare ha perso uno dei suoi rari grilli
parlanti.
(© Sergio Caldarella, Mark Fisher: dal postmodernismo cyberpunk al postcapitalismo,
in «Rivista di Studi Critici e Letterari», n. 211, maggio 2019).
Cfr. anche le Considerazioni inattuali (Unzeitgemässe Betrachtungen, 1873-76) di F. Nietzsche.
S. Freud, Das Unbehagen in der Kultur, 1930.
43 E. Fromm, The Sane Society, 1955.
44 «reality that is infinitively plastic, capable of reconfiguring itself at any moment» (M. Fisher, Capitalist Realism,
Zero Books, Alresford p. 54).
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