CredereOggi 38 (6/2018) n. 228, 22-38
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fatto sì che i suoi discepoli, di tutti i tempi, non smettessero mai
di ripensare la fede dai suoi fondamenti per rendersi sempre più
capaci di comunicarla al mondo.
1. I prodromi
Alveo patristico
delle «scuole teologiche»
Maurizio Girolami *
I primi secoli cristiani sono stati segnati, in modo significativo,
dall’esperienza dell’insegnamento. Non solo nell’espressione più diretta della comunicazione a viva voce, attraverso la predicazione e
il contatto personale, ma anche per mezzo di testi scritti, che sono
diventati strumenti privilegiati per educare generazioni intere1. Il
bisogno di trasmettere quanto veniva consegnato dalla persona di
Gesù, considerato perennemente vivente nella chiesa orante, ha
* Facoltà Teologica del Triveneto (Portogruaro) (
[email protected]).
1
Cf. Cf. H.-I. Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, Studium, Roma
1950, 411-429; S. Pricoco, Scuola, in A. Di Beradino (ed.), Dizionario patristico
e di antichità cristiane, Marietti, Torino 1984, 3126-3135; B. Amata, Scuola, in A.
Di Beradino (ed.), Nuovo Dizionario patristico e di antichità cristiane, Marietti,
Torino 2008, 4813-4823.
L’evangelista Luca ricorda che il fanciullo Gesù aveva già doti di
maestro, perché viene trovato dai suoi genitori a insegnare ai dottori
del tempio (cf. Lc 2,46). Anche durante il suo ministero pubblico
egli incontra farisei e sadducei che si fanno portatori di scuole di
pensiero divergenti sull’interpretazione della legge di Mosè (cf. Mt
21-22). Pur non avendo mai voluto fondare una scuola, né di vita
né di pensiero, egli con la sua capacità di relazione con Dio e con il
prossimo, si è fatto maestro e promotore nella generazione di altri
maestri nella difficile arte del vivere umano, addirittura ritenendo
i discepoli come portatori non tanto di un suo pensiero ma di se
stesso (cf. Lc 10,16). Pensando poi a Paolo di Tarso, come testimoniano gli Atti degli Apostoli, egli è stato allievo della scuola di
Gamaliele a Gerusalemme e non possiamo pensare che non abbia
studiato in una scuola a Tarso, la sua città natale, che era una delle
sedi più importanti per la filosofia stoica del tempo. Lì vi era stato
anche Cicerone. Anche Paolo, tuttavia, pur dedito a un’attività
missionaria continua, non si è dato premura di fondare una scuola
o un’accademia, pur avendone avuto esperienza e avendone beneficiato per la sua formazione. Gli esegeti contemporanei ipotizzano
che siano nate pure delle «scuole» attorno ai grandi apostoli, in
riferimento agli ambienti che hanno prodotto testi attribuiti, ad
esempio, a Paolo o Giovanni, ma che sono pseudoepigrafici. Anche
in questo caso, però, non si può pensare a scuole accademiche come
per quelle filosofiche o di grammatica.
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Bisognerà aspettare gli anni Quaranta del II secolo perché il
cristianesimo si avvalga dell’esperienza della scuola come esigenza intrinseca del proprio credere2. Saranno gli gnostici, in modo
particolare, a introdurre nella vita cristiana la necessità di adottare
un’impostazione scolastica come parte integrante del cammino di
conoscenza della verità3. La scarsità di documentazione giunta fino
a noi ci impedisce di comprendere se il variegato fenomeno gnostico
nasca da un’influenza esterna al cristianesimo o come derivazione da
esso4. Di fatto, però, i testi gnostici sopravissuti (cf. Nag Hammadi
in primis5) conoscono la prima letteratura apostolica e dimostrano
la pretesa di darne l’interpretazione autentica.
Dei vari maestri che hanno fatto scuola, le fonti ricordano in
modo particolare Valentino a Roma6, Tolomeo in Egitto, Basilide, Carpocrate, Marcione di cui Ireneo testimonia la presenza di
molti seguaci (e, dopo di lui, Tertulliano, Origene ed Epifanio). È
proprio Ireneo, il grande pensatore e teologo cristiano della fine
del II secolo, ad attaccare con forza la pretesa che il maestro gnostico avanzava verso i suoi discepoli, non trasmettendo loro una
Cf. B. Pouderon, Réflexion sur la formation d’une élite intellectuelle chrétienne
au IIe siècle. Les «écoles» d’Athènes, de Rome et d’Alexandrie, in B. Pouderon - J. Doré
(edd.), Les apologistes chrétiens et la culture grecque. Actes du Colloque de Paris, septembre 1996, Beauchesne, Paris 1998, 237-269.
2
3
Cf. G. Filoramo, Le scuole catechistiche e la gnosi, in G. Cambiano (ed.), Lo
spazio letterario della Grecia antica. I. La produzione e la circolazione del testo. 3. I greci
e Roma, Salerno Editrice, Roma 1994, 559-585.
Cf. U. Bianchi, Il cristianesimo e le origini dello gnosticismo, in «Cassiodorus»
1 (1995) 137-149.
4
Cf. N. Denzey Lewis, I manoscritti di Nag Hammadi. Una biblioteca gnostica
del IV secolo, Carocci, Roma 2014.
5
Cf. P. Lampe, From Paul to Valentinus: Christians at Rome in the First Two Centuries, Fortress Press, Minneapolis 2003.
6
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verità pubblicamente rivelata, ma facendosi forte solo di una propria sapienza personale e segreta7. Del rapporto personale, fatto di
insegnamento e istruzione, da parte del maestro, e di disciplina e
docilità, da parte dell’alunno, il fenomeno gnostico ne fa la leva di
Archimede per sollevare tutta la propria impostazione metafisica e
antropologica. Infatti solo chi conosce la verità può condurre altri
a scoprirla. Solo che la verità, per gli gnostici, non è rivelata pubblicamente e apertamente come aveva fatto Gesù con i suoi discepoli,
ma viene rivelata in modo privato e segreto, perché solo coloro che
sono iniziati alla verità possono accedervi e il grado di avanzamento
è deciso dal maestro che sa di essere portatore della scintilla divina
scoperta dentro di sé. Anche per gli gnostici parliamo di scuole,
legati ai singoli maestri, ma non ci è pervenuto una programma
di studi che ci permetta di cogliere l’itinerario iniziatico nei vari
movimenti gnostici.
Una primissima esperienza di scuola, vera e propria, la dobbiamo a Giustino, chiamato da Tertulliano il filosofo e martire. Come
racconta egli stesso nel prologo del Dialogo con il giudeo Trifone,
dopo aver conosciuto varie scuole filosofiche, quali il pitagorismo,
l’aristotelismo, lo stoicismo e il platonismo, nella grande capitale
dell’Asia Minore, Efeso, approda al cristianesimo. Non passano
molti anni che, trasferendosi a Roma, su iniziativa sua privata, apre
una scuola filosofica nella capitale dell’impero per insegnare la vera
filosofia che è il cristianesimo8. Sarà grazie a questa impresa, davvero
straordinaria, che potremo avere alcune delle sue riflessioni consegnate nelle Apologie e nel Dialogo summenzionato. Impresa straor7
Cf. Irenaeus, Adversus Haereses, Praef. III.
Cf. T. Georges, Justin’s School in Rome: Reflections on Early Christian «Schools»,
in «Zeitschrift für Antikes Christentum» 16 (2012) 75-87; J. Ulrich, What do we
Know About Justin’s «School» in Rome?, in ibid., 62-74.
8
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dinaria perché un cristiano, presentandosi come filosofo, poteva
insegnare la fede in Cristo con la pretesa che essa fosse insegnata
come una filosofia tra le altre concorrenti. Non è un passaggio di
poco conto, perché se ci fu un’accusa, riportata da diversi apologisti,
rivolta ai cristiani, fu proprio quella di essere gente senza ragione,
un popolo ignorante e folle. Che Giustino avesse avuto il coraggio,
invece, di presentare la fede cristiana come una filosofia che dava
ragione della vita e della morte degli uomini, questo risulta sorprendente e pienamente in sintonia con quanto chiede san Pietro
ai cristiani nella sua prima lettera, cioè di essere sempre pronti a
rendere «ragione della speranza» che in loro (1Pt 3,15). L’opera
accademica di Giustino, anche se fu un’iniziativa meramente privata che finì con la sua morte, a causa della denuncia del collega
filosofo cinico Crescente, riuscì comunque a preparare Taziano,
l’autore del Diatessaron, il quale fonderà una propria scuola prima
in Mesopotamia e poi in Siria9.
2. La scuola di Alessandria
Bisogna aspettare le fine del II secolo, e nella sola città di Alessandria, perché una vera e propria scuola, che prenderà il nome di
Didaskaleion, possa essere istituita per volontà del vescovo metropolita di quella città, Demetrio10. Luogo dell’insegnamento, luogo
9
Cf. Epifanio, Haereses, 46,1. Anche M.R. Crawford, The Diatessaron, Canonical or Non-canonical? Rereading the Dura Fragment, in «New Testament Studies»
62 (2016) 253-277.
Cf. A. Le Boulluec, Alexandrie antique et chrétienne. Clément et Origène, Institut d’études Augustiniennes, Paris 2006; A. Jakab, Ecclesia alexandrina. Évolution
sociale et institutionnelle du christianisme alexandrin (IIe et IIIe siècles), Peter Lang,
Bern 2001.
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dell’istruzione: è questo il significato possibile della denominazione.
Voluta da Demetrio per la preparazione dei catechisti, fu affidata, secondo la notizia di Eusebio11, a Panteno, poi a Clemente di
Alessandria e a Origene. Essa divenne un luogo di promozione di
cultura cristiana, improntato al dialogo con l’ambiente eclettico di
Alessandria e pronta ad affinare tutti gli strumenti intellettuali che
l’esperienza cristiana aveva prodotto lungo i suoi primi decenni (lex
orandi, Scrittura, tradizione, regula fidei). La necessità di avere un
piano di studi ordinato e programmato si imponeva nell’ambiente alessandrino, culturalmente elevato e impegnato, segnato dalla
filosofia platonica e arricchito dalla arti e dalla scienze di cui la
biblioteca era la custode più importante di tutto il mondo antico.
Non conosciamo di preciso come si svolgesse il programma fino
a che Origene, come racconta Eusebio12, non prese in mano la direzione del Didaskaleion e ne riformò la struttura dividendolo in due
bienni: un primo biennio di carattere propedeutico e uno di carattere più teologico. Se nel primo biennio, affidato all’amico Eracla,
poi diventato vescovo della città, si studiavano le discipline liberali,
condivise anche dalle scuole pagane, nel secondo biennio, che Origene volle dirigere, lo studio era prevalentemente concentrato sulla
Sacra Scrittura, nella convinzione cristiana che la Parola divina, fatta
carne in Cristo, continuava a comunicarsi agli uomini attraverso le
vesti della Scrittura, e quindi lì bisognava continuamente andare e
approfondire per scoprire significati utili per la propria vita e per
una più penetrante comprensione del mistero di Dio. Fare teologia,
per Origene, significa conoscere e contemplare Dio, ma lì, cioè
nella Sacra Scrittura, dove la parola di Dio, Cristo, è presente sia
10
11
Cf. Eusebio, Historia ecclesiastica V, 10.
12
Cf. ibid., VI, 6.
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nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Alla luce dell’incarnazione
del Verbo tutte le parole dell’antica e nuova alleanza trovano luce e
chiedono di essere comprese in modo cristologico.
Dunque Origene, in questa scuola, dà avvio alla prassi di commentare la Bibbia cristiana in modo integro e completo, versetto
per versetto, secondo l’usanza che già i pagani avevano adottato
per i libri omerici13. Tutto il testo della Scrittura merita attenzione,
perché tutta la Bibbia è parola di Dio. Tale assunto teologico sbaragliava ogni tentativo gnostico o marcionita di postulare l’esistenza
di due o più entità divine o di un dio buono e di uno giusto. L’esperienza alessandrina, sotto la direzione di Origene, consegnerà alla
storia, anche se sopravvissuta solo per frammenti, la monumentale
opera degli Hexapla, un testo in sei colonne che raccoglieva un
testo ebraico, che Origene aveva sottomano, la sua traslitterazione
greca e le traduzioni greche dell’Antico Testamento conosciute da
Origene (Aquila, Simmaco, i LXX e Teodozione). Considerata la
prima grande opera di critica testuale biblica, in realtà rivela la concezione origeniana della Scrittura: raccogliere le molteplici forme
con le quali il Verbo si è manifestato nella preoccupazione di non
perdere alcuna sfumatura del suo comunicarsi, perché ogni piccolo
dettaglio – lo «iota» di Mt 5,18 – è sempre salvifico e portatore di
utilità spirituale per il lettore intelligente.
Una tale visione teologica del Logos di Dio aveva fatto fare un salto qualitativo al Didaskaleion di Alessandria perché si proponeva e
si imponeva nel clima culturalmente impegnato di quell’importante
città come capace di attingere alle sorgenti della fede, di rimanere
in dialogo con le filosofie umane, di elaborare significati utili per la
gente del suo tempo. Aveva certo un non debole difetto: una tale
visione e un tale impegno intellettuale profuso nello studio della
Scrittura poteva essere solo per pochi e il cristianesimo, che si era
diffuso fin dai suoi albori in tutte le classi sociali, non poteva certo
permettersi di diventare elitario e tanto meno settario, volendo
rispondere a domande non solo culturali, ma anche caritative e
popolari che toccavano un gran numero di persone e alle quali i
vescovi si mostrarono più sensibili.
La scuola di Alessandria andrà avanti, anche dopo Origene, con
Eracla, Dionigi, Teognosto, Pierio, Pietro, Didimo il cieco14. Origene, nel 232, dovette lasciare la direzione del Didaskaleion per il
contrasto nato con il vescovo Demetrio a causa della sua ordinazione presbiterale celebrata dal vescovo di Cesarea, Teoctisto, con
il beneplacito del vescovo di Gerusalemme, Alessandro. Il maestro
alessandrino si trasferirà a Cesarea marittima dove continuerà la
sua opera scolastica in un nuovo contesto che, però, non era più
quello alessandrino impregnato di cultura neoplatonica e alimentato dall’eclettismo culturale che aveva favorito la formazione del
variegato fenomeno gnostico.
La scuola di Alessandria consegnerà alla storia molti contributi
preziosi per tutta la teologia cristiana successiva. Merita ricordarne
almeno due: la dimostrazione razionale della trascendenza di Dio
intesa come realtà immateriale, scevra da qualsiasi tipo di corporei-
Cf. K.O. Sandnes, The Challenge of Homer: School, Pagan Poets and Early
Christianity, T&T Clark, London - New York 2009, 124-159; F. Young, The Rhetorical Schools and Their Influence on Patristic Exegesis, in R. Williams (ed.), The
Making of Orthodoxy: Essays in Honour of Henry Chadwick, Cambridge University
Press, Cambridge(UK) 1989, 182-199.
Cf. E. Prinzivalli, Magister Ecclesiae. Il dibattito su Origene fra III e IV secolo,
Istituto Patristico Augustinianum, Roma 2002, 40-64; M. Zambon, Chiesa, comunità filosofica e comunità ascetica nella scuola di Didimo il Cieco, in «Annali di Storia
dell’Esegesi» 29 (2012) 73-109.
13
14
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30
tà, e l’applicazione del metodo allegorico per leggere la Scrittura15.
La lettura giudaizzante del testo biblico, sopravvissuta in molte parti
del primo cristianesimo, imponeva di rimanere al senso letterale o al
senso immediato del testo non riuscendo a spiegare in modo degno
di Dio gli antropomorfismi a lui attribuiti. Di più, la filosofia stoica
che penetrava, soprattutto in campo etico, l’ambiente filosofico del
tempo, aveva una visione del reale come concreto e materiale, non
riuscendo a concepire come ci potesse essere una sostanza spirituale
priva di una dimensione materiale. Lo stesso Tertulliano parlava
del corpo sottile dell’anima e del Figlio come una «porzione» della divinità16. Origene, avvertendo la ristrettezza di questa visione
e adottando invece la visione platonica che distingueva il piano
sensibile da quello intelligibile, si impegna a dimostrare razionalmente l’immaterialità di Dio per salvaguardarne la trascendenza e
l’alterità assoluta rispetto a qualsiasi esperienza umana17. Il metodo
allegorico, applicato alla Scrittura per la prima volta dal giudeoalessandrino Filone, viene adottato da Origene come lo strumento
privilegiato per leggere, sì, il testo e comprenderlo nel suo senso
letterale, ma anche per andare al di là del testo per approfondire
il mistero divino del Logos che comunica la divinità del Padre agli
uomini. Comprendendo che molte difficoltà teologiche nascevano da una mancata metodologia per leggere la Scrittura, Origene
sistematizza, per la prima volta nella storia cristiana, l’ermeneutica
15
Cf. M. Demura, Origen’s Allegorical Interpretation and the Philological Tradition of Alexandria, in G. Heidl - R. Somos - C. Németh (edd.), Origeniana Nona.
Origen and the Religious Practice of His Time. Papers of the 9th International Origen
Congress, Pécs, Hungary, 29 August - 2 September 2005, Peeters, Leuven - Paris –
Walpole (MA) 2009, 149-158.
16
Cf. Tertulliano, Adversus Praxean 9.
17
Cf. Origene, De Principiis 1, 1,4.
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biblica chiedendo al lettore di tenere in considerazione sia il senso
letterale, sia il senso morale che quello spirituale, facendo coincidere
quest’ultimo con il riconoscimento della divinità di Cristo-Logos18.
Questi due contributi sono l’apporto più decisivo della scuola di
Alessandria e che avranno come conseguenza la messa da parte del
linguaggio antropomorfo, tipico degli autori asiatici, e l’esclusione
di ogni materialismo nel dire Dio.
3. La scuola di Cesarea
L’esilio imposto dal vescovo Demetrio a Origene, lo costrinse
a rifugiarsi dai suoi più prossimi amici, a Cesarea marittima, ove
egli aprì una nuova stagione di studi e di prospettive, non più solo
come maestro di scuola, ma anche come predicatore nella chiesa19.
Sono di questo periodo, infatti, le sue omelie che conosciamo in
gran parte grazie alla traduzione latina che ci ha lasciato Rufino di
Concordia. Non potendo più avvalersi a Cesarea della strumentazione bibliografica che aveva ad Alessandria, Origene innanzitutto
cerca di formare una biblioteca e di istruire lui stesso i suoi discepoli
questa volta basandosi quasi esclusivamente sulla Scrittura. I suoi
uditori, meno inclini alle speculazioni filosofiche e più a diretto
confronto con le tradizioni giudaiche, chiedono a Origene di impegnarsi a spiegare il metodo esegetico allegorico tenendo in maggiore
considerazione il senso letterale senza che però si trascuri la ricerca
18
Cf. ibid., 4, 2.
Cf. M. Rizzi, La scuola di Origene tra le scuola di Cesarea e del mondo tardo
antico, in O. Andrei (ed.), Caesarea Maritima e la scuola origeniana. Multiculturalità, forme di competizione culturale e identità cristiana, Morcelliana, Brescia 2013,
105-119.
19
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della molteplicità di significati, perché ricco è il Logos di Dio e non
può essere mai riducibile alla comprensione umana per quanto
ampia20. In questo atteggiamento di ricerca Origene manifesta una
profonda comprensione del rapporto uomo-Dio: l’uomo non potrà
mai essere capace di comprendere e contenere dentro di sé il mistero
di Dio, immensamente più grande, e per questo, chi cerca trova
sempre qualcosa, perché Dio sa essere generoso e sovrabbondante.
Dalla scuola di Cesarea sono stati formati Panfilo, il grande panegirista di Origene e, di fatto, colui che compose e ordinò la biblioteca; Eusebio, poi vescovo della metropoli ecclesiastica di Cesarea;
Gregorio il Taumaturgo, grande evangelizzatore della Cappadocia
ricordato da Basilio, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa, e
Procopio che fu il grande storico di Giustiniano. Anche Girolamo
venne a Cesarea per consultare la biblioteca raccolta da Panfilo (a
lui dobbiamo una lista delle opere di Origene21).
Se ad Alessandria il confronto con la cultura greca imponeva ai
maestri cristiani un serrato confronto con la dimensione filosofica
della fede, a Cesarea il terreno di confronto è la Sacra Scrittura e la
sua ermeneutica. La presenza di Origene in entrambi gli ambienti
riuscì a dare un’impronta incancellabile in tutti coloro che si erano
formati alla sua scuola.
4. La «scuola» di Antiochia
L’avvento del concilio di Nicea (325), voluto dall’imperatore
Costantino, dichiarò l’evidente volontà politica imperiale di faCf. A.-C. Jacobsen, Conversion to Christian Philosophy: the Case of Origen’s
School in Caesarea, in «Zeitschrift für Antikes Christentum» 16 (2012) 145-157.
20
21
Cf. Girolamo, Lettera 33.
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33
vorire la crescita della nuova religione. La creazione della nuova
capitale dell’impero, Costantinopoli, di fatto nata cristiana, ridisegnò la geografia politica e culturale dell’impero nel IV e V secolo.
Roma si vide praticamente privata della presenza dell’imperatore;
Alessandria, ricca di memoria e cultura, si vide in concorrenza con
un nuovo centro culturale; la città di Antiochia, che era già capitale
della provincia romana di Siria dai tempi di Pompeo, assunse un
ruolo sempre più importante nel favorire la crescita della nuova
città22. Da quell’ambiente, infatti, sorgeranno Ignazio, Teofilo, il
grande apologista, Paolo di Samosata, il più antico teologo di quel
luogo, e Luciano, che va considerato il vero e proprio iniziatore
della «scuola» antiochena i cui insegnamenti formarono Eusebio di
Nicomedia, Teogno di Nicea, Asterio il Sofista. A lui fu attribuita
un’antica recensione dei LXX, segno che l’attenzione al testo biblico
non fu solo di Origene, ma anche di Luciano.
Va ricordato anche Eustazio, che fu eletto vescovo di Antiochia
subito dopo la fine dei lavori a Nicea; egli non approvava il metodo allegorico di Origene, perché, secondo lui, sacrificava troppo il
senso letterale del testo biblico23. La necessità di ridare attenzione
alla lettera del testo biblico cercava di rimettere equilibrio nello sbilanciamento che la scuola di Alessandria aveva dato nel considerare
più importante il contenuto spirituale rispetto al senso letterale, così
come, teologicamente parlando, dava più importanza alla divinità
22
Gli Atti degli Apostoli ricordano che ad Antiochia per la prima volta i discepoli di Gesù furono chiamati cristiani: cf. At 11,26. Vedi M. Simonetti, Antiochia
cristiana (secoli I-III), Istituto Patristico Augustinianum, Roma 2016; A. Pellizzari, Retori e scuole ad Antiochia e in Oriente, n «Studi e Materiali di Storia delle
Religioni» 81 (2015) 70-89.
Cf. J. Guillet, Les exégèses d’Alexandrie et d’Antioche conflit ou malentendu?, in
«Recherches de Science Religieuse» 44 (1947) 257-302.
23
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di Cristo, nascosta e da cercare, rispetto alla sua umanità, sensibile
e spesso vista solo come veicolo e ricettacolo della divinità del Logos.
Eustazio, invece, ribadisce la piena umanità di Cristo, con il suo
corpo e la sua anima, senza per questo negare la presenza del Logos.
Una lettura più letterale del testo – e letterale significa sempre e
fondamentalmente cristologica secondo l’umanità di Cristo – porta
a ridimensionare il peso dato alla divinità di Cristo, che era vista
come l’unica vera e autentica sua natura. Apollinare di Laodicea,
qualche anno dopo, ritornerà a rimettere l’accento sulla divinità di
Cristo a discapito della sua umanità, per salvaguardare il principio
secondo il quale solo Dio può salvare l’uomo.
Da questo clima esegetico e teologico attingono anche Diodoro di Tarso, Giovanni Crisostomo24, Teodoro di Mopsuestia e
Teodoreto di Cirro25, i grandi maestri della cosiddetta «scuola» appunto detta «antiochena»26. Bisogna dire «cosiddetta» perché non
fu mai istituita, come ad Alessandria, una scuola o un’accademia
con percorsi strutturati per una formazione intellettuale ad ampio
respiro, come l’aveva pensata Origene. Questi autori si distinsero
soprattutto per l’impegno profuso nell’applicare il metodo esegetico della theoria, cioè un’attenzione contemplativa del testo nella
sua letteralità, e una dedizione ininterrotta a difendere l’umanità
di Cristo, in forte contrapposizione con l’impostazione platonica
alessandrina, per evitare ogni tipo di svuotamento del senso profondo dell’incarnazione.
Cf. G. Nigro, Antiochia nella seconda metà del IV secolo. Giovanni Crisostomo
fra cristiani, pagani ed eretici, in «Annali di Storia dell’Esegesi» 26 (2009) 81-98.
24
Cf. A.M. Schor, Theodoret on the «School of Antioch». A network approach, in
«Journal of Early Christian Studies» 15 (2007) 517-562.
25
Cf. V.S. Hovhanessian (ed.), The School of Antioch: Biblical Theology and the
Church in Syria, Peter Lang, New York 2016.
26
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Anche se la storiografia ha voluto denominare tali caratteristiche,
esegetiche e teologiche, «scuola di Antiochia», di fatto non c’è stata
una scuola catechetica cristiana. Anzi, sappiamo che Crisostomo
e Teodoro furono allievi del grande retore pagano Libanio e poi
conobbero l’esperienza monastica di Diodoro dal quale impararono
l’amore per Cristo e le Scritture bibliche.
La dichiarazione dell’imperatore Teodosio, nel 380, che faceva
diventare il cristianesimo niceno religione di stato, portò progressivamente a considerare la non più nuova religione come un apparato
statale, facendo perdere in molti cristiani mordente spirituale e
carica missionaria.
Fu il monachesimo, nato già con Antonio nel deserto egiziano
alla fine del III secolo, e fiorito in modo ampio nel IV secolo, che
cercò di salvaguardare il più possibile la genuinità della fede cristiana con l’impegno ascetico intenso e molto spesso severo, come ci
testimonia la Storia dei monaci siri di Teodoreto, fatto di preghiera,
di studio e di lavoro. Ogni monastero si dotò fin da subito di biblioteche e di strumenti per la formazione culturale rendendosi presto
il luogo deputato per la formazione dei giovani. Anche in ambito
latino ci è giunta la testimonianza di Rufino e Girolamo, i quali
vivono un periodo di formazione presso il monasterium di Aquileia27
e poi essi stessi parteciperanno alla nascita di nuovi monasteri in
Palestina, con intensa attività letteraria e culturale28.
27
Cf. A. Peršic, Aquileia monastica. I primordi eremitico-martiriali e martininani, il «coro» cromaziano «di beati», le idealità «terapeutiche» di Girolamo, in S. Piussi
(ed.), Cromazio di Aquileia 388-408. Al crocevia di genti e religioni, Silvana Editoriale, Cinisello B. (MI) 2008, 254-267.
Cf. G. Gordini, Il monachesimo romano in Palestina nel IV secolo, in Saint
Martin et son temps. Memorial du XVI Centenaire des dubuts du monachismo en Gaule
(361-1961), Herder, Romae 1961, 85-107.
28
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36
Che l’esperienza monastica, vissuta come ritiro dal mondo per la
meditazione e la vita ascetica, non fosse unico patrimonio della fede
cristiana ne abbiamo testimonianza anche da Filone alessandrino
(i terapeuti) e da Agostino, il quale non solo aveva frequentato le
scuole di retorica del suo tempo29, ma, dopo la sua conversione
filosofica, cercò, a Cassiciacum, con alcuni amici, di impostare la
ricerca della vita beata nella riflessione interiore e nella vita ritirata.
Divenne cristiano non grazie a un percorso accademico, ma imparando da coloro che riconobbe poi come suoi maestri: Ambrogio,
Mario Vittorino, Valerio. Non può lasciare indifferenti il fatto che,
come aveva fatto Martino di Tours in Gallia, così anche Agostino,
volle vivere il suo ministero episcopale nell’esperienza di una fraternità monastica e pastorale fatta di studio e preghiera. Iniziano
in questo periodo infatti le «scuole episcopali» dove assieme alla
preghiera e al servizio pastorale si svolgeva una regolare attività di
istruzione per la formazione soprattutto del clero30.
5. Capaci di generare al pensiero della fede
I brevi accenni fatti sui primi secoli cristiani permettono di fare
almeno due considerazioni: i maggiori teologi e scrittori antichi
ebbero una solida formazione umanistica e letteraria. Presso le scuole del tempo di consolidata tradizione, essi imparano un metodo
di ricerca che applicano ai testi sacri e così consegnano ai posteri
opere che sono sorgenti della teologia cristiana. Basilio Magno, a
Cf. P.F. Moretti, Agostino come fonte per la conoscenza della scuola tardo-antica. Qualche riflessione, in «Atti e Memorie. Accademia Nazionale di Scienze Lettere
e Arti di Modena» 13 (2010) 523-537.
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37
questo proposito, esorterà ai giovani a non trascurare di formarsi
alla critica dei testi e del pensiero anche sulla letteratura considerata
pagana31. Inoltre, questi autori hanno il merito non tanto di aver
dato gloria alle istituzioni nelle quali si sono formati, ma di essere
stati capaci di generare altre intelligenze a indagare il mistero divino
con rigore logico e attenzione alle fonti delle fede. Forse questa è
l’eredità dell’epoca dei Padri che stimola il lavoro delle istituzioni
accademiche odierne, cioè formare persone allenate a pensare la fede
nel contesto storico e culturale in cui vivono e di comunicarla in
modo integro, pubblico, personale e, nello stesso tempo, ecclesiale.
Nota bibliografiva
M. Bielawski - M. Sheridan (edd.), Storia e teologia all’incrocio. Orizzonti e percorsi di una disciplina, Lipa, Roma 2002; G.I. Gargano, Il
sapore dei Padri della chiesa nell’esegesi biblica. Una introduzione, San Paolo, Cinisello B. (MI) 2009; J. Grohe - J. Lean - V. Reale (edd.), I
Padri e le scuole teologiche nei concili. Atti del 7° Simposio internazionale
della Facoltà di teologia (Roma, 6-7 marzo 2003), LEV, Città del Vaticano 2006; A. Magris, La filosofia ellenistica. Scuole, dottrine e interazioni
col mondo giudaico, Morcelliana, Brescia 2001; L. Mecella - L. Russo
(edd.), Scuole e maestri dall’età antica al Medioevo, Studium, Roma 2017;
M. Simonetti, Il Vangelo e la storia. Il cristianesimo antico (secoli I-IV),
Carocci, Roma 2010; T. Špidlík - M. Tenace - R. Čemus, Il monachesimo secondo la tradizione dell’Oriente cristiano, Lipa, Roma 2007.
29
30
Cf. Marrou, Storia dell’educazione, 431-443.
Cf. Basilio di Cesarea, Discorso ai giovani, a cura di M. Naldini, EDB,
Bologna 1999.
31
38
CredereOggi n. 228
Sommario
L’articolo intende percorrere in senso diacronico il fecondo rapporto che
il cristianesimo ha avuto con la formazione accademica delle scuole dei
primi secoli cristiani. Se la fede cristiana non ha voluto identificarsi con
una scuola in mezzo ad altre, tuttavia gli autori che maggiormente hanno
contribuito allo sviluppo della teologia sono stati formati all’indagine
critica applicata ai testi. Così è stato per Giustino martire a Roma, per
Origene ad Alessandria, per i grandi dottori della cosiddetta «scuola» antiochena. Metodo filologico e pensiero filosofico sono stati gli strumenti
privilegiati per elaborare le prime riflessioni teologiche su Cristo e su
Dio. Facendo della Sacra Scrittura la base, l’anima e la sorgente di ogni
discorso su Dio, non hanno mai trascurato il bisogno di confrontarsi con
la cultura del loro tempo alla quale il Vangelo andava annunciato.