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Il pensiero politico di Niccolò Tommaseo

2016, in Tommaseo poeta e la poesia di medio Ottocento, a cura di M. Allegri e F. Bruni, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti - Accademia Roveretana degli Agiati, Venezia, pp. 196-201

ACCADEMIA ROVERETANA DEGLI AGIATI ISTITUTO VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ACCADEMIA ROVERETANA DEGLI AGIATI TOMMASEO POETA E LA POESIA DI MEDIO OTTOCENTO a cura di MARIO ALLEGRI e FRANCESCO BRUNI I LE DIMENSIONI DEL POPOLARE VENEZIA 2016 isBn 978-88-95996-61-5 il volume riporta le relazioni presentate al convegno Tommaseo poeta e la poesia di medio Ottocento: le dimensioni del popolare promosso dall’istituto veneto di scienze, lettere ed arti in collaborazione con l’accademia roveretana degli agiati (venezia, 22-23 maggio 2014) il volume è stato sottoposto a revisori anonimi Progetto e redazione editoriale: ruggero rugolo © copyright istituto veneto di scienze, lettere ed arti - venezia 30124 venezia - campo s. stefano 2945 tel. 0412407711 - telefax 0415210598 [email protected] www.istitutoveneto.it indice i Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. iX le dimensioni del PoPolare manlio Pastore stocchi, Tommaseo e la poesia del cosmo . . » 3 donatella martinelli, Per una nuova edizione dei canti popolari toscani (storia esterna, predecessori, contribuenti) . . . . . » 25 annalisa nesi, Geografia e Etnografia nei canti corsi di Niccolò Tommaseo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 55 elena maiolini, Vent’anni dopo: i canti greci di Tommaseo e gli chants populaires de la grèce moderne di Fauriel » 95 marija Bradaš, Sul sublime «popolare» nei canti illirici di Tommaseo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 113 Francesca malagnini, Poesia popolare e civiltà del popolo . . . » 137 carla marcato, Sulle orme di Tommaseo: i canti del popolo veneziano di Angelo Dalmedico . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 173 tavola rotonda Un problema storico e storiografico: la nazione e le nazioni tra il 1840 e il 1860, a cura di Francesco Bruni ed egidio ivetic Partecipanti: mario allegri, Franco arato, Francesco Bruni, emanuele cutinelli rendina, Fabio danelon, stefano de luca, egidio ivetic, annalisa nesi, roberto Pertici, gilberto Pizzamiglio » 189 VI IndIce gilberto Pizzamiglio, Tommaseo e la Venezia di antico regime Pag. 239 cristiana Brunelli, Tommaseo e la ballata romantica italiana » 251 mara nardo, Luigi Carrer e Niccolò Tommaseo: osservazioni su un rapporto difficile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 263 anna rinaldin, Le canzoni (1869) di Niccolò Tommaseo, poesia popolare Per le famiglie e per le scuole: prassi traduttive e derivazioni bibliche della lirica religiosa . . . . . . . . . . . . » 279 aurélie gendrat-claudel, «Ella ha fatto veramente di sua proprietà un mio concetto»: i rapporti tra Tommaseo e Achille Millien (1838-1927) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 307 Boško Knežić, La percezione del pensiero tommaseano in Dalmazia a cavallo tra Ottocento e Novecento . . . . . . . . . . . . . » 331 » iX Patrizia Paradisi, Tommaseo e la poesia latina: contributi preliminari per l’edizione dei carmi giovanili . . . . . . . . . . . . » 347 Fabio michieli, Le poesie giovanili (1820-1833) di Tommaseo e la loro circolazione tra carteggi e stampe rare . . . . . . . . . . . » 423 anna rinaldin, Versi esclusi: criteri di selezione per la costituzione di un canzoniere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 453 arnaldo soldani, Osservazioni sulla metrica di Tommaseo . . » 547 Fabio danelon, L’edizione 1872 delle Poesie . . . . . . . . . » 589 ii Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . le dimensioni del suBlime nell’area triveneta VII IndIce gabriele scalessa, Fra Daniello Bartoli e Antonio Rosmini: rerum concordia (atque incrementa) e iniziativa del singolo nel sublime tommaseiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 629 chiara gaiardoni, Se manca l’«affetto»: Tommaseo e Giovanni Prati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 659 donatella rasi, Tommaseo e Dall’Ongaro . . . . . . . . . . » 675 maddalena rasera, Tommaseo e Luigi Carrer . . . . . . . . » 721 emilio torchio, Tommaseo e Gazzoletti . . . . . . . . . . . . » 735 alessandra zangrandi, «Quella poesia oratoria ch’oggidì sola piace»: Tommaseo e Aleardi tra patria e poesia . . . . . . . . . . » 781 mario allegri, «Abbiette ingenerosità» e «torvi giudizi»: Tommaseo critico della letteratura contemporanea nel carteggio con Gino Capponi e in altri scritti . . . . . . . . . . . . . . . » 819 indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . elenco dei relatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » » 849 873 TAVOLA ROTONDA Un problema storico e storiografico: la nazione e le nazioni tra il 1840 e il 1860 a cura di Francesco Bruni ed Egidio Ivetic Partecipanti: Mario Allegri, Franco Arato, Francesco Bruni, Emanuele Cutinelli Rendina, Fabio Danelon, Stefano De Luca, Egidio Ivetic, Annalisa Nesi, Roberto Pertici, Gilberto Pizzamiglio 196 TAVOLA ROTONDA cerca e però funziona anche come un limite dal quale occorre non farsi condizionare, o non farsi condizionare troppo: Tommaseo appartiene alla storia della letteratura italiana, alla storia delle dottrine politiche, alla storia della lingua italiana (anzitutto per i due bellissimi dizionari, dei sinonimi e della lingua, di cui è autore), all’antropologia e al folclore, e l’elenco non è certo completo. Emanuele Cutinelli Rendina Sicuramente, come ricordavano Francesco Bruni ed Egidio Ivetic, Tommaseo non è un autore «sistemabile nei canoni della storiografia convenzionale»1. Non lo è soprattutto perché è un autore che ha toccato così tanti ambiti e generi, e ogni volta con autentica originalità, che è impossibile abbracciarlo con una considerazione sintetica e panoramica, nonché autenticamente competente. In tal senso il pur assai acuto ritratto complessivo di Gianfranco Contini, da cui ho ripreso le mie modeste letture tommaseane in vista di questa tavola rotonda, mi appare piuttosto sbilenco, tutto così sbilanciato com’è sul Diario intimo2. La questione che mi pongo in questa sede – dove al centro c’è la riflessione di Tommaseo intorno al tema, per lui cruciale, della nazione – è quella, preliminare in ogni senso, del suo pensiero politico. Intendo dire di un vero e proprio pensiero strutturato e consapevole, che faccia da premessa alle singole prese di posizione, alle molte polemiche, al profluvio di interventi contingenti. È questione che pongo, Nella proposta di temario per questa tavola rotonda. Riprendo qui la traccia del mio intervento orale, aggiungendo solamente alcune note o riferimenti bibliografici rimasti impliciti in quella sede. Non avrebbe senso in effetti che, auditor tantum in questo campo di studi, quel che allora dissi divenisse ora altra cosa da ciò che voleva e poteva essere: ossia, le reazioni e le riflessioni che un lettore di testi politici appartenenti ad altri momenti della tradizione italiana ricavava da una piuttosto larga ma non certo esaustiva lettura dei testi politici tommaseani. 2 G. Contini, Progetto per un ritratto di Niccolò Tommaseo (1947), in Id., Altri esercizî 1942-1971, Torino, Einaudi, 1972, pp. 5-24. Lo stesso posso dire per il medaglione crociano consegnato alla Letteratura della nuova Italia, mentre a suo modo e su un diverso piano mi è stata utile la biografia di Raffaele Ciampini (Vita di Niccolò Tommaseo, Firenze, Sansoni, 1945). 1 TAVOLA ROTONDA 197 dovendo ammettere che per mio conto, almeno in un primo tempo, sono stato alquanto esitante quanto all’esistenza stessa dell’oggetto, poiché se certo tanto a valle quanto a monte del Dell’Italia non mancano le pagine e i testi squisitamente politici, come per esempio (tra i maggiori) Rome et le monde, si direbbe che per lo più siano testi di diretto intervento civile, sempre suscitati da qualche evento puntuale e con finalità latamente polemiche. E nondimeno, per altro verso, non si sfugge all’impressione che i testi tommaseiani, anche quelli più contingenti ed effimeri, siano sorretti da un’ispirazione coerente e costante, da un centro saldamente posseduto, che ha ovviamente al suo centro, centro di questo centro, la fede cristiana, e dunque la convinzione costantemente ribadita che non c’è libertà fuori dall’insegnamento consegnato alla parola di Cristo, così come specularmente questa è intrinsecamente parola di libertà. Pure il suo pensiero politico non si esaurisce in tale convinzione, essendo senza dubbio nutrito da una larghissima e varia esperienza intellettuale e storica. Se nel Dell’Italia si citano e si utilizzano grandi classici del pensiero politico come Machiavelli e Hobbes, nel Diario troviamo registrate letture nient’affatto ovvie di teorici della politica e dello stato, come per esempio Jean Bodin3. Ma certo dà da pensare, quanto all’esistenza di un’organica riflessione sulla politica e le sue forme istituzionali e alla possibilità di sciogliere in senso positivo l’esitazione a cui accennavo, un’annotazione del 5 gennaio 1852, stesa a Corfù: «Veggo che sulle forme di governo avrei idee già notate, da fare trattato più pieno e però più vero di quello del Montesquieu»4. Dunque, si direbbe che anche sul piano delle «forme» della politica, sul terreno della diretta riflessione istitu3 Cfr. il Diario intimo, a cura di R. Ciampini, Torino, Einaudi, 19392, p. 210, sotto la data dell’11 maggio 1835, lettura associata a quella di Jeremy Bentham. E delle ripetute letture di Machiavelli che il Diario registra, si veda quella del 6 aprile 1837: «Note ai Discorsi del Machiavelli sulle Deche» (ibid., p. 259). Ma il discorso sulla presenza di Machiavelli in Tommaseo – anche a parte la questione del Duca d’Atene, il periodo della cui composizione è punteggiato da letture del fiorentino – merita ulteriori svolgimenti. Si veda comunque l’ottima messa a punto di Roberto Pertici nella ‘voce’ Niccolò Tommaseo per l’Enciclopedia Machiavelliana, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2014. Discorso distinto è poi quello della valutazione letteraria della prosa machiavelliana, attestata da numerose osservazioni sparse nell’opera tommaseiana. 4 Diario intimo, p. 409. 198 TAVOLA ROTONDA zionale, a Tommaseo non facessero difetto studi di una certa larghezza e ambizioni sistematiche alquanto meditate. Tutto ciò per dire che se anche non c’è traccia – almeno nell’edito e per quanto se ne sappia, e pur nella consapevolezza che dallo stato delle carte tommaseane possono ancora e sempre venire sostanziose novità – di qualche cosa che abbia la struttura di un’organica riflessione sulle forme della politica, tuttavia, almeno in maniera implicita, le molte pagine che anche dopo il 1848 Tommaseo dedicò ai temi della nazione e del popolo si inscrivono sicuramente non solo in un commosso sentire politico e civile, nonché in una salda fede religiosa, ma anche in una consapevole riflessione teorica nutrita delle tante e tante letture che il Diario registra in maniera corsiva e, purtroppo per noi, quasi mai con un commento più diffuso. Ci tengo a sottolineare l’annotazione affidata al Diario sul materiale per un trattato da poter stare accanto e persino concorrere con l’Esprit des lois montesquieviano perché certo a prima vista Tommaseo appare, e per molti versi effettivamente è, un pensatore o un intellettuale attratto, piuttosto che dallo stato e dalle sue strutture istituzionali, da quelle identità mobili e inquiete che sono le nazioni, e che spesso ai suoi occhi neppure sono tali, ossia identità, poiché assai significativamente preferisce chiamarle «indoli». Tra i molti passi che si potrebbero citare per documentare tale inclinazione ne traggo uno dagli scritti raccolti nel Secondo esilio, relativo ai progressi che Tommaseo avvertiva nella situazione generale italiana: Un gran passo in pochi anni si è fatto, da consolarsene, purché poi un bel giorno non si ritorni addietro, come potrebbe accadere, e accadde già. Dico che la nazione o piuttosto, un maggior numero d’uomini della nazione, si sentono o dicono di sentirsi meglio disposti a concordia e unità: che per la indipendenza darebbero, altri una parte della libertà stessa, altri quella forma di libertà che più vagheggiavano, altri la libertà tutta per ora; e quasi lietamente si lascierebbero stringere da una mano di ferro, purché quella forza, collegandoli, li facesse forti, risoluta nell’impeto, e nell’intendimento pietosa. E sarebbe in verità oramai tempo d’accorgersi di quel che valgano i così detti programmi, e le forme di governo da sé, non nutrite di tradizioni e di consuetudini e di costumi. Non si fabbrica a mano né TAVOLA ROTONDA 199 aristocrazia né repubblica; non si stampano statuti nelle anime come in carta; non si tesse cucendo5. L’appello a badare alla concretezza delle situazioni, piuttosto che all’astratta bontà dei sistemi, circolava già con varia intensità ma del tutto chiaramente nel Dell’Italia, al punto che si può dire che ne fosse uno dei maggiori motivi ispiratori, e torna quindi – mutato ormai il quadro storico-politico – con scorci efficaci per sintesi e felicità espressiva in diversi scritti minori ospitati nella silloge del ‘secondo esilio’6. Come che sia, mi pare indubitabile che in Tommaseo la ‘nazione’ precede e prevale sempre sullo stato e le sue forme, e sicuramente al Dalmata manca la fiducia – tipica dell’uomo di formazione giuridicoamministrativa e del teorico della politica – nella capacità della compagine statale di forgiare la nazione. In tal senso l’esperienza francese, e cioè di una realtà politica in cui la vita ormai semimillenaria dello stato aveva potentemente collaborato alla creazione della nazione, non gli fu parlante, o almeno non per questo aspetto. Anche la sua stessa acuta sensibilità geopolitica, che era poi in parte il frutto della sua tor5 Il secondo esilio. Scritti di Niccolò Tommaseo concernenti le cose d’Italia e d’Europa dal 1849 in poi, III, Milano, Sanvito, 1862, pp. 123-24. Si tratta di una recensione del settembre 1857 all’opera postuma L’Italia possibile di Livio Mariani. 6 Tra i molti testi che in proposito si potrebbero indicare in questa raccolta, si veda, notevole per brevità ed efficacia, la bellissima lettera del 9 agosto 1851, della quale riproduco la parte iniziale: «Se si dovesse concedere in fatto di principii morali io non cederei per fermo: ma l’unità del governo italiano non mi pare un di tali principii. E né anco la forma di repubblica o di regno mi pare un’idea, se non in quanto ogni cosa è un’idea. Che il podere sia grande o piccolo, che la vite abbia per marito un olmo o un palo (e certi re sono il palo), può essere più utile o meno; ma la coltura del podere, l’educazione della vite, è che importa più. Idee a me paiono queste: rendere al popolo la memoria perduta, la conoscenza de’ suoi padri e di sé: poi fare che i vari popoli e le diverse schiatte d’Italia si conoscano un po’ tra loro (perché le non si conoscono), e imparino, se non ad amarsi, a sopportarsi l’una, l’altra; poi, mettere non dico ne’ re, non dico ne’ retrogradi, ma ne’ liberali, un poco di riverenza del popolo: pregarli in nome di Dio che ascoltino questo popolo, che intendano i suoi silenzii più eloquenti delle molte parole, che gli parlino in nome di Dio: poi, pregarli che concilino l’idea della libertà con l’idea di Dio, non d’un Dio a mezz’aria e a vapore, ma di quel Dio che il popolo adora; perché, tra le cinquemila altre ragioni, a fabbricargliene un altro, o a ristaurargli, come i pittori fanno, a pennellate moderne quel suo, vorrebbesi troppo tempo, e l’unità e la repubblica in nome del nuovo Dio si farebbe attendere alquanto» (Il secondo esilio, I, p. 145). 200 TAVOLA ROTONDA mentata vicenda biografica oltre che delle sue affinate competenze di studioso di lingue, lo conduceva a dare la prevalenza e la precedenza all’elemento nazionale piuttosto che a quello della costruzione giuridico-istituzionale dello stato; lo portava cioè a «quella visione plurale di nazionalità non aggressive, fondate sul popolo e la vita civile» di cui parla con molta esattezza Francesco Bruni nello studio introduttivo alle Scintille7. Uno studio dal quale mi piace prelevare anche, tra il tanto che ci sarebbe qui da sottolineare, la sottolineatura di una diversa intuizione geografica e, direi, valoriale, dell’Europa quale veniva delineandosi in Tommaseo; un’intuizione che abbandona, o comunque va oltre l’opposizione tra Nord e Mezzogiorno a cui era giunta la cultura tardo-illuministtica e romantica (basti pensare a Madame de Staël e agli Schlegel), perché piuttosto dà vita a un’intuizione o a un’idea di Europa che accoglie e articola con maggior verità tanto il Mediterraneo occidentale quanto quello balcanico e ionico. Ho aperto il mio intervento ricordando come nel temario che offre spunti per questa tavola rotonda si sottolinei la singolarità, anche nel panorama che fu il suo e fra coloro che più gli furono prossimi, di Niccolò Tommaseo. Per mio conto e avviandomi a concludere non posso che insistere su questo registro, aggiungendo che a mio avviso va anche rilevata la precocità in seno alla cultura dell’epoca della sua posizione e del suo testo più organico, quel Dell’Italia che precede non di poco il tanto più fortunato e discusso Primato giobertiano, ma anche le Speranze di Cesare Balbo. Dunque, per riprendere i termini del temario, e per confermarli ad unguem, Tommaseo cattolico sì, non però moderato. E non solo perché il suo registro sia così spesso tanto appassionato e reciso, le sue prese di posizione tanto nette e radicali, ma soprattutto perché del moderatismo a Tommaseo manca il tratto fondamentale, che è quello della mediazione istituzionale tra le diverse esigenze e le diverse forze presenti nel quadro politico. Neoguelfo? Ma direi proprio di no, e strutturalmente. Ossia, non solo per le polemiche contingenti che dirige contro elementi del clero, per la severità con cui non di rado parla di Gregorio xIV, per lo sfavore sostanziale con cui considera l’esistenza 7 N. Tommaseo, Scintille, a cura di F. Bruni, con la collaborazione di Egidio Ivetic, Paolo Mastandrea, Lucia Omacini, Parma, Guanda, 2008. TAVOLA ROTONDA 201 stessa di uno stato territoriale pontificio – ma ancor più e soprattutto perché Tommaseo non sa trovare un ruolo e una funzione al papato nello svolgimento politico della nazione italiana. Ancora: scrittore e pensatore con qualche riflesso giacobino – basti pensare alla viscerale antipatia nei confronti delle aristocrazie di ancien régime e alla mancata preoccupazione di includerle nel quadro di ciò che considera ‘tradizione’ –, per altro verso tuttavia Tommaseo si mostra profondamente avverso a qualsiasi tipo di azione rivoluzionaria, per non dire della logica, che considera sterile e velleitaria, delle congiure (il quale ultimo punto costituisce forse un riflesso delle sue molte letture e meditazioni machiavelliane). Infine, ammiratore e amorevole raccoglitore delle tradizioni – senza essere un adoratore del già fatto e del già accaduto, com’era il caso dei grandi tradizionalisti francesi suoi contemporanei o di una generazione precedente – ma profondamente preoccupato dell’educazione perpetua e progressiva del popolo; un’educazione che facesse crescere la nazione su sé medesima, senza rinnegare né le molteplici radici di cui si era nutrita e si nutriva, né la speranza di un avvenire diverso e davvero migliore. Stefano De Luca L’Italia di Tommaseo. Una visione «periferica» Per inquadrare la riflessione di Tommaseo sul tema della nazione dobbiamo partire dal fondamentale dibattito che si sviluppa in Italia negli anni ’40 dell’Ottocento. Si tratta del primo grande dibattito pubblico sull’Italia, sulla sua identità, sul suo futuro politico, sui suoi punti di forza e sulle sue criticità8. Uso il termine ‘pubblico’ non tanto nel senso kantiano dell’uso in pubblico della propria ragione (perché in questo senso un dibattito pubblico si era già tenuto nel 1796, grazie al celebre concorso bandito dall’Amministrazione lombarda), ma nel senso di un dibattito seguito, per la prima volta nella Penisola, da un largo 8 Sul tema, mi permetto di rimandare (anche per le indicazioni bibliografiche) al mio L’Italia immaginata dai moderati. «Nation-building» e «State-building» in Gioberti, Balbo e d’Azeglio (1843-1847), «Storia del pensiero politico», 3 (2012), pp. 495-525.