ACCADEMIA ROVERETANA
DEGLI AGIATI
ISTITUTO VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI
ACCADEMIA ROVERETANA DEGLI AGIATI
TOMMASEO POETA
E LA POESIA DI MEDIO OTTOCENTO
a cura di
MARIO ALLEGRI e FRANCESCO BRUNI
I
LE DIMENSIONI DEL POPOLARE
VENEZIA
2016
isBn 978-88-95996-61-5
il volume riporta le relazioni presentate al convegno
Tommaseo poeta e la poesia di medio Ottocento: le dimensioni del popolare
promosso dall’istituto veneto di scienze, lettere ed arti
in collaborazione con l’accademia roveretana degli agiati
(venezia, 22-23 maggio 2014)
il volume è stato sottoposto a revisori anonimi
Progetto e redazione editoriale: ruggero rugolo
© copyright istituto veneto di scienze, lettere ed arti - venezia
30124 venezia - campo s. stefano 2945
tel. 0412407711 - telefax 0415210598
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www.istitutoveneto.it
indice
i
Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.
iX
le dimensioni del PoPolare
manlio Pastore stocchi, Tommaseo e la poesia del cosmo . .
»
3
donatella martinelli, Per una nuova edizione dei canti popolari toscani (storia esterna, predecessori, contribuenti) . . . . .
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25
annalisa nesi, Geografia e Etnografia nei canti corsi di Niccolò
Tommaseo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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55
elena maiolini, Vent’anni dopo: i canti greci di Tommaseo e gli chants populaires de la grèce moderne di Fauriel
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95
marija Bradaš, Sul sublime «popolare» nei canti illirici di
Tommaseo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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113
Francesca malagnini, Poesia popolare e civiltà del popolo . . .
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137
carla marcato, Sulle orme di Tommaseo: i canti del popolo veneziano di Angelo Dalmedico . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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173
tavola rotonda
Un problema storico e storiografico: la nazione e le nazioni tra il
1840 e il 1860, a cura di Francesco Bruni ed egidio ivetic
Partecipanti: mario allegri, Franco arato, Francesco Bruni, emanuele cutinelli rendina, Fabio danelon, stefano de luca, egidio ivetic, annalisa nesi, roberto Pertici, gilberto Pizzamiglio
»
189
VI
IndIce
gilberto Pizzamiglio, Tommaseo e la Venezia di antico regime Pag. 239
cristiana Brunelli, Tommaseo e la ballata romantica italiana
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251
mara nardo, Luigi Carrer e Niccolò Tommaseo: osservazioni
su un rapporto difficile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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263
anna rinaldin, Le canzoni (1869) di Niccolò Tommaseo, poesia popolare Per le famiglie e per le scuole: prassi traduttive e
derivazioni bibliche della lirica religiosa . . . . . . . . . . . .
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279
aurélie gendrat-claudel, «Ella ha fatto veramente di sua
proprietà un mio concetto»: i rapporti tra Tommaseo e Achille Millien (1838-1927) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
307
Boško Knežić, La percezione del pensiero tommaseano in Dalmazia a cavallo tra Ottocento e Novecento . . . . . . . . . . . . .
»
331
»
iX
Patrizia Paradisi, Tommaseo e la poesia latina: contributi preliminari per l’edizione dei carmi giovanili . . . . . . . . . . . .
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347
Fabio michieli, Le poesie giovanili (1820-1833) di Tommaseo e
la loro circolazione tra carteggi e stampe rare . . . . . . . . . . .
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423
anna rinaldin, Versi esclusi: criteri di selezione per la costituzione di un canzoniere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
453
arnaldo soldani, Osservazioni sulla metrica di Tommaseo . .
»
547
Fabio danelon, L’edizione 1872 delle Poesie . . . . . . . . .
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589
ii
Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
le dimensioni del suBlime
nell’area triveneta
VII
IndIce
gabriele scalessa, Fra Daniello Bartoli e Antonio Rosmini: rerum concordia (atque incrementa) e iniziativa del singolo nel sublime tommaseiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 629
chiara gaiardoni, Se manca l’«affetto»: Tommaseo e Giovanni
Prati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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659
donatella rasi, Tommaseo e Dall’Ongaro . . . . . . . . . .
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675
maddalena rasera, Tommaseo e Luigi Carrer . . . . . . . .
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721
emilio torchio, Tommaseo e Gazzoletti . . . . . . . . . . . .
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735
alessandra zangrandi, «Quella poesia oratoria ch’oggidì sola
piace»: Tommaseo e Aleardi tra patria e poesia . . . . . . . . . .
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781
mario allegri, «Abbiette ingenerosità» e «torvi giudizi»:
Tommaseo critico della letteratura contemporanea nel carteggio
con Gino Capponi e in altri scritti . . . . . . . . . . . . . . .
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819
indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
elenco dei relatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
»
849
873
TAVOLA ROTONDA
Un problema storico e storiografico:
la nazione e le nazioni tra il 1840 e il 1860
a cura di
Francesco Bruni ed Egidio Ivetic
Partecipanti: Mario Allegri, Franco Arato, Francesco Bruni,
Emanuele Cutinelli Rendina, Fabio Danelon, Stefano De Luca,
Egidio Ivetic, Annalisa Nesi, Roberto Pertici, Gilberto Pizzamiglio
196
TAVOLA ROTONDA
cerca e però funziona anche come un limite dal quale occorre non farsi
condizionare, o non farsi condizionare troppo: Tommaseo appartiene
alla storia della letteratura italiana, alla storia delle dottrine politiche,
alla storia della lingua italiana (anzitutto per i due bellissimi dizionari,
dei sinonimi e della lingua, di cui è autore), all’antropologia e al folclore, e l’elenco non è certo completo.
Emanuele Cutinelli Rendina
Sicuramente, come ricordavano Francesco Bruni ed Egidio Ivetic,
Tommaseo non è un autore «sistemabile nei canoni della storiografia
convenzionale»1. Non lo è soprattutto perché è un autore che ha toccato così tanti ambiti e generi, e ogni volta con autentica originalità, che
è impossibile abbracciarlo con una considerazione sintetica e panoramica, nonché autenticamente competente. In tal senso il pur assai acuto ritratto complessivo di Gianfranco Contini, da cui ho ripreso le mie
modeste letture tommaseane in vista di questa tavola rotonda, mi appare piuttosto sbilenco, tutto così sbilanciato com’è sul Diario intimo2.
La questione che mi pongo in questa sede – dove al centro c’è la
riflessione di Tommaseo intorno al tema, per lui cruciale, della nazione – è quella, preliminare in ogni senso, del suo pensiero politico.
Intendo dire di un vero e proprio pensiero strutturato e consapevole,
che faccia da premessa alle singole prese di posizione, alle molte polemiche, al profluvio di interventi contingenti. È questione che pongo,
Nella proposta di temario per questa tavola rotonda. Riprendo qui la traccia del mio
intervento orale, aggiungendo solamente alcune note o riferimenti bibliografici rimasti
impliciti in quella sede. Non avrebbe senso in effetti che, auditor tantum in questo campo
di studi, quel che allora dissi divenisse ora altra cosa da ciò che voleva e poteva essere: ossia,
le reazioni e le riflessioni che un lettore di testi politici appartenenti ad altri momenti della
tradizione italiana ricavava da una piuttosto larga ma non certo esaustiva lettura dei testi
politici tommaseani.
2
G. Contini, Progetto per un ritratto di Niccolò Tommaseo (1947), in Id., Altri esercizî
1942-1971, Torino, Einaudi, 1972, pp. 5-24. Lo stesso posso dire per il medaglione crociano consegnato alla Letteratura della nuova Italia, mentre a suo modo e su un diverso
piano mi è stata utile la biografia di Raffaele Ciampini (Vita di Niccolò Tommaseo, Firenze,
Sansoni, 1945).
1
TAVOLA ROTONDA
197
dovendo ammettere che per mio conto, almeno in un primo tempo,
sono stato alquanto esitante quanto all’esistenza stessa dell’oggetto,
poiché se certo tanto a valle quanto a monte del Dell’Italia non mancano le pagine e i testi squisitamente politici, come per esempio (tra i
maggiori) Rome et le monde, si direbbe che per lo più siano testi di diretto intervento civile, sempre suscitati da qualche evento puntuale e
con finalità latamente polemiche. E nondimeno, per altro verso, non
si sfugge all’impressione che i testi tommaseiani, anche quelli più contingenti ed effimeri, siano sorretti da un’ispirazione coerente e costante, da un centro saldamente posseduto, che ha ovviamente al suo centro, centro di questo centro, la fede cristiana, e dunque la convinzione
costantemente ribadita che non c’è libertà fuori dall’insegnamento
consegnato alla parola di Cristo, così come specularmente questa è
intrinsecamente parola di libertà. Pure il suo pensiero politico non
si esaurisce in tale convinzione, essendo senza dubbio nutrito da una
larghissima e varia esperienza intellettuale e storica. Se nel Dell’Italia
si citano e si utilizzano grandi classici del pensiero politico come Machiavelli e Hobbes, nel Diario troviamo registrate letture nient’affatto
ovvie di teorici della politica e dello stato, come per esempio Jean
Bodin3. Ma certo dà da pensare, quanto all’esistenza di un’organica
riflessione sulla politica e le sue forme istituzionali e alla possibilità di
sciogliere in senso positivo l’esitazione a cui accennavo, un’annotazione del 5 gennaio 1852, stesa a Corfù: «Veggo che sulle forme di governo avrei idee già notate, da fare trattato più pieno e però più vero
di quello del Montesquieu»4. Dunque, si direbbe che anche sul piano
delle «forme» della politica, sul terreno della diretta riflessione istitu3
Cfr. il Diario intimo, a cura di R. Ciampini, Torino, Einaudi, 19392, p. 210, sotto la
data dell’11 maggio 1835, lettura associata a quella di Jeremy Bentham. E delle ripetute
letture di Machiavelli che il Diario registra, si veda quella del 6 aprile 1837: «Note ai
Discorsi del Machiavelli sulle Deche» (ibid., p. 259). Ma il discorso sulla presenza di Machiavelli in Tommaseo – anche a parte la questione del Duca d’Atene, il periodo della cui
composizione è punteggiato da letture del fiorentino – merita ulteriori svolgimenti. Si
veda comunque l’ottima messa a punto di Roberto Pertici nella ‘voce’ Niccolò Tommaseo
per l’Enciclopedia Machiavelliana, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2014. Discorso distinto è poi quello della valutazione letteraria della prosa machiavelliana, attestata da
numerose osservazioni sparse nell’opera tommaseiana.
4
Diario intimo, p. 409.
198
TAVOLA ROTONDA
zionale, a Tommaseo non facessero difetto studi di una certa larghezza
e ambizioni sistematiche alquanto meditate.
Tutto ciò per dire che se anche non c’è traccia – almeno nell’edito e
per quanto se ne sappia, e pur nella consapevolezza che dallo stato delle carte tommaseane possono ancora e sempre venire sostanziose novità
– di qualche cosa che abbia la struttura di un’organica riflessione sulle
forme della politica, tuttavia, almeno in maniera implicita, le molte
pagine che anche dopo il 1848 Tommaseo dedicò ai temi della nazione e del popolo si inscrivono sicuramente non solo in un commosso
sentire politico e civile, nonché in una salda fede religiosa, ma anche
in una consapevole riflessione teorica nutrita delle tante e tante letture
che il Diario registra in maniera corsiva e, purtroppo per noi, quasi
mai con un commento più diffuso.
Ci tengo a sottolineare l’annotazione affidata al Diario sul materiale
per un trattato da poter stare accanto e persino concorrere con l’Esprit
des lois montesquieviano perché certo a prima vista Tommaseo appare, e per molti versi effettivamente è, un pensatore o un intellettuale
attratto, piuttosto che dallo stato e dalle sue strutture istituzionali, da
quelle identità mobili e inquiete che sono le nazioni, e che spesso ai
suoi occhi neppure sono tali, ossia identità, poiché assai significativamente preferisce chiamarle «indoli». Tra i molti passi che si potrebbero
citare per documentare tale inclinazione ne traggo uno dagli scritti
raccolti nel Secondo esilio, relativo ai progressi che Tommaseo avvertiva
nella situazione generale italiana:
Un gran passo in pochi anni si è fatto, da consolarsene, purché poi
un bel giorno non si ritorni addietro, come potrebbe accadere, e
accadde già. Dico che la nazione o piuttosto, un maggior numero
d’uomini della nazione, si sentono o dicono di sentirsi meglio disposti a concordia e unità: che per la indipendenza darebbero, altri una
parte della libertà stessa, altri quella forma di libertà che più vagheggiavano, altri la libertà tutta per ora; e quasi lietamente si lascierebbero stringere da una mano di ferro, purché quella forza, collegandoli,
li facesse forti, risoluta nell’impeto, e nell’intendimento pietosa. E
sarebbe in verità oramai tempo d’accorgersi di quel che valgano i
così detti programmi, e le forme di governo da sé, non nutrite di
tradizioni e di consuetudini e di costumi. Non si fabbrica a mano né
TAVOLA ROTONDA
199
aristocrazia né repubblica; non si stampano statuti nelle anime come
in carta; non si tesse cucendo5.
L’appello a badare alla concretezza delle situazioni, piuttosto che all’astratta bontà dei sistemi, circolava già con varia intensità ma del tutto
chiaramente nel Dell’Italia, al punto che si può dire che ne fosse uno
dei maggiori motivi ispiratori, e torna quindi – mutato ormai il quadro storico-politico – con scorci efficaci per sintesi e felicità espressiva
in diversi scritti minori ospitati nella silloge del ‘secondo esilio’6.
Come che sia, mi pare indubitabile che in Tommaseo la ‘nazione’
precede e prevale sempre sullo stato e le sue forme, e sicuramente al
Dalmata manca la fiducia – tipica dell’uomo di formazione giuridicoamministrativa e del teorico della politica – nella capacità della compagine statale di forgiare la nazione. In tal senso l’esperienza francese,
e cioè di una realtà politica in cui la vita ormai semimillenaria dello
stato aveva potentemente collaborato alla creazione della nazione, non
gli fu parlante, o almeno non per questo aspetto. Anche la sua stessa
acuta sensibilità geopolitica, che era poi in parte il frutto della sua tor5
Il secondo esilio. Scritti di Niccolò Tommaseo concernenti le cose d’Italia e d’Europa dal 1849
in poi, III, Milano, Sanvito, 1862, pp. 123-24. Si tratta di una recensione del settembre
1857 all’opera postuma L’Italia possibile di Livio Mariani.
6
Tra i molti testi che in proposito si potrebbero indicare in questa raccolta, si veda, notevole per brevità ed efficacia, la bellissima lettera del 9 agosto 1851, della quale riproduco
la parte iniziale: «Se si dovesse concedere in fatto di principii morali io non cederei per
fermo: ma l’unità del governo italiano non mi pare un di tali principii. E né anco la forma
di repubblica o di regno mi pare un’idea, se non in quanto ogni cosa è un’idea. Che il podere sia grande o piccolo, che la vite abbia per marito un olmo o un palo (e certi re sono il
palo), può essere più utile o meno; ma la coltura del podere, l’educazione della vite, è che
importa più. Idee a me paiono queste: rendere al popolo la memoria perduta, la conoscenza de’ suoi padri e di sé: poi fare che i vari popoli e le diverse schiatte d’Italia si conoscano
un po’ tra loro (perché le non si conoscono), e imparino, se non ad amarsi, a sopportarsi
l’una, l’altra; poi, mettere non dico ne’ re, non dico ne’ retrogradi, ma ne’ liberali, un
poco di riverenza del popolo: pregarli in nome di Dio che ascoltino questo popolo, che
intendano i suoi silenzii più eloquenti delle molte parole, che gli parlino in nome di Dio:
poi, pregarli che concilino l’idea della libertà con l’idea di Dio, non d’un Dio a mezz’aria
e a vapore, ma di quel Dio che il popolo adora; perché, tra le cinquemila altre ragioni, a
fabbricargliene un altro, o a ristaurargli, come i pittori fanno, a pennellate moderne quel
suo, vorrebbesi troppo tempo, e l’unità e la repubblica in nome del nuovo Dio si farebbe
attendere alquanto» (Il secondo esilio, I, p. 145).
200
TAVOLA ROTONDA
mentata vicenda biografica oltre che delle sue affinate competenze di
studioso di lingue, lo conduceva a dare la prevalenza e la precedenza
all’elemento nazionale piuttosto che a quello della costruzione giuridico-istituzionale dello stato; lo portava cioè a «quella visione plurale
di nazionalità non aggressive, fondate sul popolo e la vita civile» di cui
parla con molta esattezza Francesco Bruni nello studio introduttivo
alle Scintille7. Uno studio dal quale mi piace prelevare anche, tra il
tanto che ci sarebbe qui da sottolineare, la sottolineatura di una diversa
intuizione geografica e, direi, valoriale, dell’Europa quale veniva delineandosi in Tommaseo; un’intuizione che abbandona, o comunque va
oltre l’opposizione tra Nord e Mezzogiorno a cui era giunta la cultura
tardo-illuministtica e romantica (basti pensare a Madame de Staël e
agli Schlegel), perché piuttosto dà vita a un’intuizione o a un’idea di
Europa che accoglie e articola con maggior verità tanto il Mediterraneo occidentale quanto quello balcanico e ionico.
Ho aperto il mio intervento ricordando come nel temario che offre
spunti per questa tavola rotonda si sottolinei la singolarità, anche nel
panorama che fu il suo e fra coloro che più gli furono prossimi, di Niccolò Tommaseo. Per mio conto e avviandomi a concludere non posso
che insistere su questo registro, aggiungendo che a mio avviso va anche
rilevata la precocità in seno alla cultura dell’epoca della sua posizione e
del suo testo più organico, quel Dell’Italia che precede non di poco il
tanto più fortunato e discusso Primato giobertiano, ma anche le Speranze di Cesare Balbo.
Dunque, per riprendere i termini del temario, e per confermarli ad
unguem, Tommaseo cattolico sì, non però moderato. E non solo perché il suo registro sia così spesso tanto appassionato e reciso, le sue
prese di posizione tanto nette e radicali, ma soprattutto perché del
moderatismo a Tommaseo manca il tratto fondamentale, che è quello
della mediazione istituzionale tra le diverse esigenze e le diverse forze
presenti nel quadro politico. Neoguelfo? Ma direi proprio di no, e
strutturalmente. Ossia, non solo per le polemiche contingenti che dirige contro elementi del clero, per la severità con cui non di rado parla
di Gregorio xIV, per lo sfavore sostanziale con cui considera l’esistenza
7
N. Tommaseo, Scintille, a cura di F. Bruni, con la collaborazione di Egidio Ivetic, Paolo
Mastandrea, Lucia Omacini, Parma, Guanda, 2008.
TAVOLA ROTONDA
201
stessa di uno stato territoriale pontificio – ma ancor più e soprattutto
perché Tommaseo non sa trovare un ruolo e una funzione al papato
nello svolgimento politico della nazione italiana. Ancora: scrittore e
pensatore con qualche riflesso giacobino – basti pensare alla viscerale
antipatia nei confronti delle aristocrazie di ancien régime e alla mancata
preoccupazione di includerle nel quadro di ciò che considera ‘tradizione’ –, per altro verso tuttavia Tommaseo si mostra profondamente
avverso a qualsiasi tipo di azione rivoluzionaria, per non dire della
logica, che considera sterile e velleitaria, delle congiure (il quale ultimo
punto costituisce forse un riflesso delle sue molte letture e meditazioni
machiavelliane). Infine, ammiratore e amorevole raccoglitore delle
tradizioni – senza essere un adoratore del già fatto e del già accaduto,
com’era il caso dei grandi tradizionalisti francesi suoi contemporanei
o di una generazione precedente – ma profondamente preoccupato
dell’educazione perpetua e progressiva del popolo; un’educazione che
facesse crescere la nazione su sé medesima, senza rinnegare né le molteplici radici di cui si era nutrita e si nutriva, né la speranza di un avvenire diverso e davvero migliore.
Stefano De Luca
L’Italia di Tommaseo. Una visione «periferica»
Per inquadrare la riflessione di Tommaseo sul tema della nazione dobbiamo partire dal fondamentale dibattito che si sviluppa in Italia negli
anni ’40 dell’Ottocento. Si tratta del primo grande dibattito pubblico
sull’Italia, sulla sua identità, sul suo futuro politico, sui suoi punti di
forza e sulle sue criticità8. Uso il termine ‘pubblico’ non tanto nel senso
kantiano dell’uso in pubblico della propria ragione (perché in questo
senso un dibattito pubblico si era già tenuto nel 1796, grazie al celebre concorso bandito dall’Amministrazione lombarda), ma nel senso
di un dibattito seguito, per la prima volta nella Penisola, da un largo
8
Sul tema, mi permetto di rimandare (anche per le indicazioni bibliografiche) al mio
L’Italia immaginata dai moderati. «Nation-building» e «State-building» in Gioberti, Balbo e
d’Azeglio (1843-1847), «Storia del pensiero politico», 3 (2012), pp. 495-525.