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Lotze e Scheler. Emotivismo e autocoscienza

2018, Philosophical Readings

https://doi.org/10.5281/zenodo.1209461

The aim of this paper is twofold: on the one hand it aims to show the main traits of Lotze’s theory of emotion, focusing specifically on the correlation between emotion and self-consciousness, and, on the other hand, to demonstrate how Lotze’s theory of emotion plays a key role in the phenomenology of emotional life as propounded by Max Scheler. Indeed their shared belief is that one should be able to understand one’s own individuality through one’s emotional state and not through theoretical operations such as reflection or thinking. Accordingly I argue that Lotze and Scheler suggest an emotional account of self-consciousness which manifests itself as closely related to an individual’s moral sensibility.

PHILOSOPHICAL READINGS ONLINE JOURNAL OF PHILOSOPHY Editor: Marco Sgarbi Volume X – Issue 2 – 2018 ISSN 2036-4989 Special Issue: Lotze’s back! Guest Editor: Daniele de Santis ARTICLES Introduction Daniele de Santis ................................................................................................................ 87 Lotze’s Conception of Metaphysics and Science. A Middle Position in the Materialism Controversy Charlotte Morel .................................................................................................................. 90 L’espressione del pensiero. Lotze e la confutazione di Hegel nella Logica del 1874 Danilo Manca .................................................................................................................... 101 Hermann Lotze and Franz Brentano Nikolay Milkov.................................................................................................................. 115 “A halting-stage in the evolution of logical theory”. John Dewey’s critical engagement with Lotze’s logic Martin Ejsing Christensen ................................................................................................. 123 The Logik by Rudolf Hermann Lotze. The concept of Geltung Michele Vagnetti............................................................................................................... 129 Lotze e Scheler. Emotivismo e autocoscienza Gemmo Iocco ..................................................................................................................... 138 Il fascino dell’ideale. Heidegger e il lotzismo di Husserl Fabio Pellizzer.................................................................................................................. 146 Platonismo o psicologismo? La filosofia della logica di Lotze Riccardo Martinelli ........................................................................................................... 159 philosophicalreadings.org DOI: 10.5281/zenodo.1210314 PHILOSOPHICAL READINGS ONLINE JOURNAL OF PHILOSOPHY Philosophical Readings, ISSN 2036-4989, features articles, discussions, translations, reviews, and bibliographical information on all philosophical disciplines. Philosophical Readings is devoted to the promotion of competent and definitive contributions to philosophical knowledge. Not associated with any school or group, not the organ of any association or institution, it is interested in persistent and resolute inquiries into root questions, regardless of the writer’s affiliation. The journal welcomes also works that fall into various disciplines: religion, history, literature, law, political science, computer science, economics, and empirical sciences that deal with philosophical problems. 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EDITOR Marco Sgarbi Università Ca’ Foscari Venezia ASSOCIATE EDITOR Eva Del Soldato University of Pennsylvania ASSISTANT EDITOR Valerio Rocco Lozano Universidad Autónoma de Madrid ASSISTANT EDITOR Matteo Cosci Università Ca’ Foscari Venezia REVIEW EDITOR Laura Anna Macor Università degli Studi di Firenze EDITORIAL BOARD Alessio Cotugno, Università Ca’ Foscari Venezia Raphael Ebgi, Freie Universität Berlin Paolo Maffezioli, Università di Torino Eugenio Refini, The Johns Hopkins University Andrea Sangiacomo, Rijksuniversiteit Groningen Alberto Vanzo, University of Warwick Francesco Verde, Università “La Sapienza” di Roma Antonio Vernacotola, Università di Padova EDITORIAL ADVISORY BOARD Francesco Berto, Universiteit van Amsterdam Gianluca Briguglia, Université de Strasbourg Laura Boella, Università Statale di Milano Elio Franzini, Università Statale di Milano Alessandro Ghisalberti, Università Cattolica di Milano Piergiorgio Grassi, Università di Urbino Margarita Kranz, Freie Universität Berlin Seung-Kee Lee, Drew University Sandro Mancini, Università di Palermo Massimo Marassi, Università Cattolica di Milano Roberto Mordacci, Università San Raffaele di Milano Ugo Perone, Università del Piemonte Orientale Riccardo Pozzo, Università degli Studi di Verona José Manuel Sevilla Fernández, Universidad de Sevilla Lotze e Scheler: emotivismo e autocoscienza Gemmo Iocco Abstract: The aim of this paper is twofold: on the one hand it aims to show the main traits of Lotze’s theory of emotion, focusing specifically on the correlation between emotion and self-consciousness, and, on the other hand, to demonstrate how Lotze’s theory of emotion plays a key role in the phenomenology of emotional life as propounded by Max Scheler. Indeed their shared belief is that one should be able to understand one’s own individuality through one’s emotional state and not through theoretical operations such as reflection or thinking. Accordingly I argue that Lotze and Scheler suggest an emotional account of self-consciousness which manifests itself as closely related to an individual’s moral sensibility. Keywords: Emotion, Emotivism, Lotze, Scheler, SelfConsciousness Introduzione Secondo la lettura neokantiana il grande merito storicoteorico di Rudolf Hermann Lotze è stato affermare la necessità di distinguere, tanto sul piano epistemologico quanto su quello gnoseologico, ciò che vale da ciò che semplicemente esiste.1 Ciò ha condotto così all’idea di una logica della validità la quale, pur non negando dal punto di vista processuale e metodologico, un certo contatto con la realtà, si è focalizzata sulla necessità di pensare le condizioni di possibilità di una riflessione sullo statuto distintivo degli atti di valutazione ovvero di una filosofia dei valori il cui fine specifico non fosse tanto la determinazione ontologica di quest’ultimi quanto lo studio della ragione nella sua funzione valutante. Simile, ma non del tutto sovrapponibile a questo primo bilancio sull’impatto storico filosofico di Lotze, è il giudizio di Max Scheler il quale nella premessa alla seconda edizione del suo Sympatiebuch scrive «la natura intenzionale e cognitivo-assiologica della nostra vita affettiva “superiore” fu riscoperta solo da H. Lotze e nonostante ciò fu scarsamente considerata – poiché egli trattò questa “logique du coeur” solo molto in generale senza invece dimostrarla nei dettagli. Da lui deriva il pensiero e il detto che “in quel sentimento dei valori delle cose e delle loro relazioni, la nostra ragione possiede una rivelazione intesa seriamente tanto quanto nei principi dell’indagine razionale possiede un inevitabile strumento esperienziale”».2 Tra questi due modi di soppesare l’influenza di Lotze sul dibattito successivo, esiste una differenza interpretativa non trascurabile che di fatto conferma la fecondità e la poliedricità del suo pensiero: se da un lato nella lettura neokantiana il merito di Lotze è stato quello di rintracciare un nesso costitutivo tra giudizio e valore, dall’altro, secondo la lettura scheleriana, non si tratterebbe tanto di giudicare i valori quanto di sentirli nel senso di percepirli attraverso una predisposizione affettiva giudicata come vera e propria capacità specifica dell’essere persona nel senso pregnante del termine.3 Proprio questa sensibilità di carattere emotivo deve essere intesa come condizione necessaria per lo sviluppo del senso morale dell’individuo, considerato da entrambi gli autori come una delle più significative funzioni che differenziano gli esseri umani dagli altri esseri viventi. Tenendo conto di questa intrinseca oscillazione, il fine del presente contributo è mostrare l’importanza che la teoria delle emozioni proposta da Lotze ha avuto sulla fenomenologia della vita emotiva elaborata da Max Scheler focalizzandosi, in maniera specifica, sul rapporto esistente tra autocoscienza ed emozione: proprio quest’accentuazione non solo rappresenta un interessante e alternativa4 proposta ai modelli di auto-coscienza basata su dinamiche di matrice riflessiva o auto-riflessiva5 – proposti ad esempio da Franz Brentano e Edmund Husserl – ma costituisce un utile strumento per comprendere in che cosa effettivamente consista il tentativo scheleriano di elaborare un nuova forma di “personalismo etico”. Proprio in quest’ottica la riflessione di Lotze sul rapporto sussistente tra autocoscienza ed emozione, ricopre un ruolo di fondamentale importanza in quanto il soggetto o la persona – a seconda che si adotti la terminologia lotziana o quella scheleriana – ha la possibilità di comprendere il proprio sé non tanto attraverso processi di natura teoretica o razionale quanto grazie a esperienze di tipo emotivo; per questa ragione la sensibilità affettiva di un individuo è ciò che ne determina l’essenza ultima. Attraverso emozioni e sentimenti, infatti, il soggetto colma quel baratro epistemologico prodotto da ogni operazione di carattere riflessivo-oggettivante: ciò deriva dalla convinzione che il proprio sé non possa essere oggettivato giacché attraverso l’oggettivazione esso retrocede su un livello di trascendenza che, oltre a separarlo dal soggetto, ne altera la sua intrinseca natura.6 Si tratta allora di invertire l’ordine di affidabilità e superiorità epistemologica tra funzioni teo- Dipartimento di Discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese culturali, Università di Parma Parma, Italia email: [email protected] Philosophical Readings X.2 (2018), pp. 138-145. DOI: 10.5281/zenodo.1209461 LOTZE E SCHELER: EMOTIVISMO E AUTOCOSCIENZA retico-cognitive e funzioni emotive attribuendo anche alle seconde un ruolo cognitivo di primaria importanza. Nella prima parte del contributo si richiamano gli aspetti maggiormente significativi della teoria delle emozioni proposta da Lotze al fine di sottolineare la profonda correlazione esistente tra emozione, autocoscienza e senso morale. Nella seconda parte si cerca di mostrare come la teoria delle emozioni proposta da Lotze – e soprattutto il nesso da egli rintracciato tra auto-coscienza ed emozione – rappresenti un presupposto imprescindibile per comprendere in maniera generale la fenomenologia della vita emotiva delineata da Scheler e, in maniera più circoscritta, il rapporto sussistente tra persona e sentimento. Al fine di rendere evidente il nesso costitutivo esistente tra emozione e auto-coscienza sono prese in considerazione due tipologie di esperienze emotive attraverso le quali, secondo Scheler, la persona ha la possibilità di conoscere la propria individualità ovvero lo stato di “raccoglimento” che precede una decisione importante e il sentimento del “pudore”. 1. Lo statuto delle emozioni in Lotze: stati psicologici e forme di auto-coscienza Una prima difficoltà alla quale si deve far fronte occupandosi della teoria dei sentimenti (Gefühle) proposta da Lotze7 deriva da una certa discrepanza relativa all’importanza che essi rivestono rispettivamente nelle riflessioni psicologiche su tali fenomeni sviluppate nella seconda sezione del secondo libro – intitolato “Von den Elementen und dem physiologischen Mechanismus des Seelenlebens” – della Medizinische Psychologie oder Physiologie der Seele8 (1852), e nelle considerazioni metafisico-spirituali proposte nella quinta parte del secondo volume – intitolata “Der Geist” – del Mikrokosmos. Ideen zur Naturgeschichte und Geschichte der Menschheit (1858). 9 Se in ottica psicologica i sentimenti sembrano avere un ruolo circoscritto, diventano invece, nelle analisi relative al rapporto di correlazione e costituzione reciproca tra mente e corpo proposte nel Mikrokosmos, modalità attraverso le quali il soggetto può fare esperienza della propria individualità personale. Si tratta dunque di cogliere esattamente le loro specifiche funzioni tenendo conto che, in chiave psicologica, i sentimenti affiancano le sensazioni e rappresentano la base di stati di coscienza e inclinazioni mentre all’interno della sfera spirituale, costituendosi come mezzi che permettono di percepire il valore delle impressioni, dimostrano di svolgere un ruolo di primaria importanza nel processo di costituzione e comprensione dell’identità personale. Al fine di comprendere al meglio il ruolo crescente acquisito dai sentimenti nell’elaborazione del sistema lotziano, è necessario richiamare gli aspetti maggiormente significativi della sua Erkenntnistheorie “psico-fisiologica”. Lotze afferma che il processo conoscitivo ha origine nella stimolazione dei sensi la quale innesca la produzione di rappresentazioni, tuttavia le sole rappresentazioni non sono sufficienti affinché si concretizzi una conoscenza fondata in quanto è necessario che queste siano connesse le une con le altre. Pertanto pensare significa per Lotze connettere rappresentazioni o meglio cogliere dei nessi oggettivamente dati: solo in questo modo sarà 139 possibile passare dal coesistente al coerente ed avere un’apprensione della realtà circostante.10 Affinché questo passaggio possa realizzarsi, è essenziale che a ogni singola impressione sia riconosciuta una validità indipendente: attraverso ciò si compie l’oggettivazione del soggettivo la quale necessita di essere “pensata” per costituirsi come oggettiva mantenendo, allo stesso tempo, una certa indipendenza rispetto alla realtà in quanto tale; 11 un’oggettività che non è garantita da una particolare attività psichica ma dalla conformazione medesima delle rappresentazioni e che dimostra di possedere dunque una innere Gesetzlichkeit. Dal punto di vista processuale nell’interiorizzazione dei dati, l’essenza specifica dello stimolo, colta dai sensi, si trasforma in maniera radicale e ciò legittima il fatto che la sensazione non debba essere considerata in nessun modo una mera “immagine” degli oggetti che la causano. Inoltre se è innegabile che la rappresentazione (Vorstellung) assuma quale suo fondamento una sensazione (Empfindung) temporalmente antecedente, è altrettanto vero che essa diventa stato di coscienza (Zustand) esclusivamente mediante un passaggio ulteriore. È soltanto con l’attribuzione di un nome allo stimolo che il soggetto è in grado di rappresentare la materia «non più come un semplice elemento passivo che subiamo bensì come qualcosa che possiede un senso indipendente rispetto allo stimolo garantendo a ogni singola impressione il significato di una validità indipendente».12 Precisamente, dal punto di vista costitutivo-essenziale, i sentimenti sono stati di piacere o di dispiacere (Zustände der Lust und Unlust): se nelle sensazioni il contenuto è il medesimo oggetto della percezione, nei sentimenti il contenuto è qualitativamente differente.13 Il contenuto del sentimento è appunto la “piacevolezza” o “non piacevolezza” dello stato in questione pertanto il riferimento all’oggetto non è diretto ma avviene in maniera mediata o indiretta.14 Dal punto di vista classificatorio i sentimenti possono essere sensibili (sinnliche Gefühle) o intellettuali (intellectuelle Gefühle): i primi provengono dalle espressioni corporee mentre i secondi sorgono dall’intreccio di rappresentazioni e desideri e appartengono al livello spirituale dell’esistenza.15 Inoltre la sfera dei sentimenti è maggiormente circoscritta rispetto a quella delle sensazioni seppure all’interno della prima è necessario distinguere tra disposizioni (Gesinnungen), stati emotivi (Stimmungen) e affetti (Affekte).16 Relativamente alla suddivisione tra sentimenti sensibili e sentimenti di carattere intellettuale, i primi sono dipendenti dagli stimoli sensibili mentre i sentimenti di natura intellettuale necessitano, per così dire, di un approccio gestaltico in quanto si riferiscono a una molteplicità simultanea di impressioni che viene intesa come un unicum. I sentimenti estetici sono sentimenti di natura intellettuale nei quali impressioni e sensazioni sono presenti non in maniera singolare e diretta bensì in forma aggregata e organica. Anche i sentimenti di natura etica sono una specie particolare di sentimento intellettuale in quanto espressione del valore o dell’assenza del valore che percepiamo secondo una modalità del tutto differente rispetto a quella resa possibile dal giudizio teoretico attraverso il quale si stabilisce la validità o la non validità di una proposizione.17 GEMMO IOCCO Al fine di chiarire questo aspetto e dimostrare come i sentimenti non siano dei semplici stati passivi che rivestono un ruolo marginale ma delle funzioni18 di primaria importanza per la determinazione dell’essenza individuale del soggetto, è utile ricordare quanto Lotze scrive sul rapporto rappresentazione-sentimento nella quinta sezione del Mikrokosmos: La capacità di provare gioia e dolore deve trovarsi originariamente nell’anima e gli eventi del corso delle rappresentazioni, reagendo sulla natura dell’anima, devono stimolarla a manifestarsi, senza produrre essi stessi questa manifestazione. [...] I sentimenti e le aspirazioni sono, in quanto tali, di molto valore per la vita spirituale, la cui importanza, non consiste nel fatto che in essa si verificano multiformi intrecci di rappresentazioni, che occasionalmente giungono alla coscienza sotto quelle forme, ma nel fatto che la natura dell’anima è in grado di farsi apparire qualcosa come sentimento e aspirazione.19 Se le analisi psicologiche hanno avuto il merito di definire lo statuto specifico dei sentimenti, soprattutto dal punto di vista operativo-funzionale, all’interno di una considerazione di carattere spirituale essi assumono una rilevanza di primaria importanza in quanto, afferma Lotze, «non c’è manifestazione della nostra attività psichica che non sia accompagnata da qualche sentimento. Non solo le impressioni immediate, ma anche i concetti più semplici dell’intelletto, non vanno mai disgiunti da un sentimento concomitante».20 Ogni manifestazione di carattere psichico è accompagnata da una certa colorazione di carattere emotivo pertanto è impossibile pensare una funzione piscologico-conoscitiva capace di prescindere dalla giusta valutazione dell’effetto che essa provoca. Proprio questo assunto rappresenterà uno dei capisaldi della teoria conoscitiva proposta da Scheler il quale definisce la cosiddetta “neutralità affettiva della sfera psichica” una vera e propria chimera gnoseologica, un’autoillusione – ovvero un’illusione auto-indotta o prodotta – che sfocia in una concezione semi-mitica dello psichico.21 Del medesimo avviso è Lotze il quale sostiene che attraverso i sentimenti di piacere o dispiacere il soggetto ha la possibilità di fare esperienza del valore delle impressioni: il sentimento si costituisce, in questo modo, come una modalità di costituzione e intuizione del valore.22 La sensazione è provocata da stimoli esterni: ogni sensazione è unita a un sentimento di piacere o di dolore che determina il valore che la sensazione possiede per la nostra esistenza individuale. L’uomo nel sentimento che accompagna la sensazione è capace di individuare il valore che le impressioni hanno in sé; soprattutto nelle percezioni visive e uditive l’uomo è in grado di riconoscere la gradevolezza e il significato propri del contenuto.23 Ne consegue che la ragione valutante, ovvero la ragione che formula giudizi di valore, è in un certo qual modo regolata dal sentimento poiché è proprio quest’ultimo che garantisce la validità assoluta rivendicata da una conoscenza che si professa “evidente”. Ciò significa che all’interno della sfera spirituale, la logica della validità non rappresenta il livello teoretico ed epistemologico più alto in quanto, a sua volta, deve essere “convalidata” dal sentimento. La ragione che emette giudizi di valore supera il piano della conoscenza certa per orientarsi verso ciò che ha valore positivo per il sentimento. In maniera analoga anche i principi morali di ogni epoca sono stati approvati dall’animo in modo completamente diverso dalle verità della conoscenza, in quanto anch’essi sono stati espressione di un sentimento che apprezza il valore delle cose.24 Relativamente a questo aspetto è stato rilevato25 come all’interno del sistema lotziano la dimensione morale abbia un valore fondante nei confronti della dimensione teorico-conoscitiva in quanto l’idea di verità, che possiede una funzione regolativa nella sfera gnoseologica, è subordinata all’idea di bene che ricopre il medesimo ruolo nella sfera pratico-morale. Affinché la ragione accetti ciò che può essere solamente “pensato”, è necessario intuire – e quindi esperire – il valore dei contenuti in questione: solo in questo modo il soggetto, mediante una sorta di rivelazione di carattere affettivo, trascende tanto il livello empirico quanto quello puramente logico-razionale. Il sentimento permette dunque, in un certo senso, di completare e perfezionare l’apprensione di oggetti, eventi, comportamenti etc..26 Pertanto rappresentazione e sentimento sono eventi psicologici che permettono al soggetto di intendere con maggiore precisione i contenuti percepiti riuscendo così a formulare un giudizio morale;27 nonostante non siano degli atti, svolgono ugualmente un’importante funzione cognitiva perché assecondano la tendenza, propria degli esseri umani, a individuare il valore o il disvalore delle cose esterne, il che rappresenta una condizione necessaria per oltrepassare il semplice livello della coesistenza e arrivare alla coerenza. Nella sensibilità umana è individuabile una tendenza intrinseca a individuare nelle nature delle cose esterne valore o disvalore immediato e a esse proprio, che è soltanto riconosciuto per mezzo del nostro piacere o dispiacere, ma non dipende dal fatto che si produca in noi un senso di piacere o dispiacere. Una tendenza che si manifesta nella comparazione dei contenuti, ma soprattutto nella disponibilità ad assegnare a ogni singolo contenuto un posto fisso nella serie dei contenuti ad esso affini, considerando la serie stessa come un sistema organizzato.28 La tendenza a rintracciare nelle cose che compongono la realtà esterna una certa “quantità” di valore se da un lato proviene dalle capacità logico-teoriche, dall’altro può essere riconosciuta soltanto attraverso certe funzioni di natura emotiva e ciò determina anche lo sviluppo della sensibilità morale dell’individuo. Nello specifico, cercando di determinare il rapporto esistente tra coscienza ed eticità (Das Gewissen und die Sittlichkeit), Lotze sembra attribuire ai sentimenti una certa natura intenzionale – aspetto non colto nelle analisi psicologiche di tali fenomeni proposte nella Medizinische Psychologie – poiché osserva che «è impossibile parlare di un piacere che fosse puro godimento in generale e non il godimento di qualcosa».29 Ne consegue che il piacere che può essere attribuito a una certa impressione, o a un rapporto tra più impressioni, non è colto attraverso un’operazione valutativa temporalmente posteriore ma si determina come un’indivisibile traduzione del valore.30 Inoltre il ruolo centrale ricoperto da sentimenti, emozioni e affetti non è circoscritto alla conoscenza della realtà esterna in quanto questi stati sono di fondamentale im140 LOTZE E SCHELER: EMOTIVISMO E AUTOCOSCIENZA portanza anche nei processi in cui il soggetto può esperire la propria singolarità individuale. L’auto-coscienza (Selbst-bewusstsein) «non si può intendere senza la base del sentimento: la coincidenza di pensante e pensato è il fondamento della nostra autocoscienza non già in quanto la pensiamo, ma in quanto sentiamo immediatamente il valore che essa ha per noi».31 Pertanto l’identità personale di un individuo è colta non attraverso una procedura di natura teorica, come può essere la riflessione, o in maniera più generale il pensiero, bensì attraverso la determinazione del valore che essa possiede per l’individuo e tale determinazione è resa possibile dal sentimento. Precisamente, affinché la persona possa avere coscienza della propria individualità devono essere presenti due requisiti: il primo dei quali consiste nella capacità di formare un’immagine della nostra individualità mentre il secondo consiste nel riconoscimento dell’immagine come speculare rispetto a quella del soggetto. Nessuna considerazione di natura meramente teoretica è in grado di legittimare la distinzione tra “io” e “tu” e di spiegare in maniera esaustiva l’identità personale di un individuo.32 La personalità individuale si sviluppa pertanto, da un lato, mediante l’accumulo di esperienze vissute, dall’altro, configurandosi come una capacità di opporre agli stimoli che sopraggiungono una certa resistenza: è la dimensione morale ovvero la fede in un dovere a costituire il principium individuationis dell’essere umano. Se riflettiamo su noi stessi, emerge innanzitutto soltanto la fede in un dovere in generale, in una legislazione vincolante del nostro agire, come un punto luminoso e certo di se stesso; ma che cosa siano queste leggi e con quanta purezza noi le possiamo cogliere, questo dipende in parte dall’influsso delle circostanze esterne della vita che calmano e stimolano i nostri ciechi impulsi, in parte dalla precisione dell’esame con cui noi scindiamo gli imperativi universali della nostra coscienza dalle singole forme in cui essi, applicati a rapporti particolari della nostra sfera esistenziale, si impongono in un primo momento a noi.33 Il solo modo per intendere, in tutta la sua costitutiva complessità, la propria identità individuale è così soffermarsi sulla connessione esistente tra una considerazione teoretica del mondo e i sentimenti morali ricercando, in questo modo, una sorta di convalida intersoggettiva che possa garantire al sentimento di sé [Selbst-Gefühl] una certa legittimità ontologica.34 2. Esperienze del proprio sé: Max Scheler e la fondazione dell’identità personale nella sfera emotiva Il fatto che l’intuizione e la conoscenza dell’essenza individuale non sia comprensibile attraverso procedimenti di natura teoretica ma debba essere sostituita, o almeno integrata, dalle dinamiche di carattere affettivo è uno dei capisaldi del personalismo scheleriano e trova espressione compiuta nell’idea che «appena rivolgiamo uno sguardo in qualche modo “oggettualizzante” a una persona, perdiamo di vista necessariamente il portatore (Träger) dei valori morali».35 Se da un lato, così come affermava Lotze, anche per Scheler soltanto l’uomo possiede le capacità di concentrazione e auto-consapevolezza36, dall’altro, la fondazione ultima dell’identità personale non deve essere 141 ricercata in funzioni che appartengono alla sfera teoricoconoscitiva bensì nella sfera affettiva giacché «la “coscienza di sé” non è ancora una persona, se nella coscienza “di” sé non sono riuniti tutti i possibili modi in cui la coscienza può auto-afferrarsi (come soggetto che conosce, vuole, sente, ama e odia)».37 Anche Scheler riconosce così la dimensione morale come costitutiva dell’essere persona la quale è in grado di elevare la propria vita oltre se stessa soltanto oggettivando l’originaria resistenza alla pulsione38. Ciò deriva dal fatto che, all’interno della fenomenologia della vita emotiva proposta da Scheler, un atto può essere definito “buono” o “malvagio” non perché è possibile fornire di esso una valutazione corretta o incorretta ma giacché, nel suo compiersi, si riferisce a una certa qualità assiologica che lo caratterizza e lo differenzia dalle altre forme di atti.39 Così come per Lotze, anche per Scheler, valore e verità40 non coincidono né dal punto di vista gnoseologico né epistemologico: «la verità in quanto tale non è un valore; è piuttosto un’idea, distinta da ogni valore, che trova verifica intuitiva quando un contenuto semantico originario a priori di un giudizio, espresso in forma proposizionale, corrisponde alla sussistenza di uno stato di cose, e quando la corrispondenza stessa viene all’evidenza di un dato».41 Il compito del fenomenologo è così quello di rintracciare coincidenze tra il presunto (vermeint) e il dato (gegeben) attraverso un’operazione di carattere disvelante per mezzo della quale il dato viene svestito da tutte quelle incrostazioni teoriche che lo hanno occultato rendendolo difficilmente afferrabile. Alla luce di ciò risulta più facile cogliere in che senso, secondo Scheler, l’apriori in senso logico è sempre una conseguenza dell’apriori dei fatti: la fenomenologia, assumendo quale suo oggetto di indagine la sfera spirituale nella sua totalità, ha il compito di rendere evidente quest’ordine gnoseologico di fondazione.42 Ogni conoscenza apriorica dunque ha bisogno di essere ricondotta alla sfera empirica ed è per questo motivo che la fenomenologia è essenzialmente una forma radicale di empirismo.43 Per quanto concerne la sfera dell’agire pratico Scheler sostiene la piena indipendenza della conoscenza morale dalla conoscenza che si ottiene mediante giudizi poiché questi possono acquisire pienezza intuitiva soltanto nel sentire il valore.44 I valori assumono così lo statuto di fenomeni che si afferrano chiaramente nel sentire (fühlbare Phänomene) e non sono oscure x che assumono senso solo se ammettiamo dei fenomeni noti. Se partiamo dal presupposto che il valore di un processo si fondi su un dato assiologico sentito, che scopriamo nel processo stesso, possiamo forse definire “valore” – provvisoriamente e con qualche approssimazione – la causa non ancora sufficientemente esaminata del processo.45 Il fatto che il soggetto abbia la possibilità di riconoscere – nel senso di sentire – il valore di un determinato contenuto è ciò che attiva il processo conoscitivo e valutativo; la determinazione del valore non è quindi il risultato di un meccanismo articolato di valutazione e comprensione ma condizione necessaria di entrambe. Dal punto di vista ontologico i valori sono qualità materiali che nel loro ordinarsi si conformano a uno schema indipendente rispetto ai contenuti ai quali si riferiscono.46 GEMMO IOCCO La centralità che Scheler rivendica per il concetto di persona è così radicata nell’idea che proprio la predisposizione emotiva alla percezione del valore sia il suo principium individuationis.47 Pertanto affinché il termine persona sia utilizzato in maniera corretta, è necessario che il soggetto possieda una certa sensibilità di natura morale: non sono infatti gli atti di valutazione a determinare la moralità di una coscienza bensì una certa predisposizione di carattere affettivo che consiste nell’essere di “orecchio fine” verso i fatti di coscienza. È nella sensibilità ai fatti di coscienza (nell’essere di orecchio fine), nella capacità di coglierli e nel suo esercizio quotidiano che consiste, innanzitutto, ciò che si definisce “coscienza morale”: non quindi negli atti di valutazione. […] È del tutto insostenibile l’ipotesi secondo la quale le esperienze vissute si manifestano in primo luogo – anche solo per un istante – come degli “objecta liberi da valori”, e assumono valore solo in seguito, mediante un nuovo atto o perché, all’esperienza vissuta se ne aggiunge un’altra.48 Ancora meno esaustiva e appagante dal punto di vista gnoseologico è la pretesa di afferrare la persona nelle esperienze già vissute poiché è la persona stessa che impregna (durchdringt) i suoi atti del suo stile proprio.49 L’io individuale, secondo Scheler, conferisce una specifica colorazione a ogni esperienza vissuta ed è caratterizzato da un costante e significativo processo di divenire altrimenti (Anderswerden) secondo uno stile personale.50 Una tale accentuazione della dimensione emotiva, come tratto caratteristico dell’essere persona, trova ulteriori conferme nelle modalità specifiche di esperienza attraverso le quali il soggetto può intuire la propria singolarità. Non stupisce così che le forme di esperienza attraverso le quali la persona può comprendere la propria individualità siano di carattere affettivo e non logico-teoretico.51 Se da un lato una comprensione completa e continuativa della propria essenza non è possibile in quanto la persona rimane in ultima istanza “trascendente”, dall’altro, può manifestarsi, anche se in maniera occasionale, in stati di carattere emotivo. A conferma di ciò si possono prendere in considerazione due tipologie di stati attraverso i quali il soggetto ha la possibilità di cogliere, seppur in forma transitoria, la propria unicità. La prima è rintracciabile nello stato di raccoglimento (Sammlung) che precede una decisione importante, la seconda è quel “ritorno su stessi” promosso dal sentimento del pudore. Per quanto concerne la prima esperienza osserva Scheler: C’è uno stato che, dal punto di vista linguistico, definiamo “raccoglimento”, cioè, un esser-concentrati-in se stessi (konzentriertes Insichsein), un “vivere profondamente in se stessi”, per così dire. È come se tutta la vita della nostra anima, anche quella del passato fosse contenuta in un istante: riunita nel suo essere efficacia; sono momenti rari – ad esempio, nell’istante che precede una decisione o un’azione importante. In questi casi, non ricordiamo un “particolare” delle nostre precedenti esperienze vissute – in un certo senso, tutto è “presente” ed efficace. Non siamo vuoti ma “pieni”, completamente, e “ricchi”. Qui siamo davvero vicino a noi stessi. Le esperienze vissute, nella loro efficacia, ci rivolgono appelli da tutti i punti della nostra vita: mille voci – quasi un sussurro – provenienti dal passato e dal futuro risuonano in noi. “Abbracciamo con lo sguardo” la totalità del nostro io in tutta la sua varietà e lo esperiamo come un intero che impre- gna ogni singolo atto, ogni singola azione, ogni singola impresa, opera.52 In questo stato di carattere affettivo il soggetto sente la propria specificità individuale e ha così la possibilità, seppur momentanea, di coglierne l’essenza. Inoltre, essendo un fenomeno istantaneo e occasionale, non incorre nelle aporie che invece invalidano le teorie riflessive e auto-riflessive della coscienza di sé. Per quanto concerne invece il sentimento del pudore (Schamgefühl) Scheler rileva che esso non è un sentimento esclusivamente sessuale e neppure sociale ma una forza inibitrice di natura psichica che induce appunto la persona a “ritornare” su se stessa. Si tratta di un sentimento di difesa attraverso il quale il soggetto, percependo affettivamente il proprio valore, ha la possibilità di preservare l’intimità dell’io da possibili violazioni di carattere sociale. L’essenza del sentimento del pudore consiste, per un verso, nel ritorno dell’individuo su se stesso e nel sentimento di dover necessariamente proteggere l’io individuale dalla sfera dell’universale; per un altro verso, in un sentimento che manifesta come fosse una tensione tra due strati della coscienza, l’indecisione delle funzioni superiori della coscienza, in grado di scegliere i valori, di fronte a oggetti che esercitano una forte attrattiva sulla tendenza istintiva inferiore […] In ogni sentimento del pudore abbiamo, dunque, sempre due funzioni della coscienza a e b: a) la prima è la funzione più elevata atta a scoprire e scegliere i valori, dal procedimento meno automatico e quindi più suscettibile di cambiamenti, e che tuttavia è, in maniera variabile, indecisa, b) l’altra è la funzione inferiore, indifferente ai valori, dal procedimento più automatico ma capace di suscitare una decisa aspirazione positiva.53 Attraverso il sentimento del pudore la persona cerca di trovare un equilibrio tra la natura e i bisogni corporei bilanciando lo squilibrio esistente tra il dover essere ideale e ciò che ogni individuo concretamente è e sente. Pentimento, risentimento e stati affettivi simili offrono alternative modalità di auto-coscienza dimostrando ulteriormente come, secondo Scheler, la percezione del proprio sé sia primariamente un’esperienza di carattere affettivo. A conferma di ciò è sufficiente ricordare la funzione disvelante e ontologicamente primaria ricoperta dal concetto di ordo amoris ovvero di quell’ordine del cuore che ha per l’uomo «inteso come soggetto morale ciò che è la formula di cristallizzazione per il cristallo»;54 è proprio l’ordo amoris che permette di raccogliere quei segnali assiologici che hanno la capacità di attrarre l’attenzione della persona diventando veri e propri stimoli. Affinché ci possa essere coscienza e conoscenza del proprio sé, è necessario dunque un sentimento ovvero una percezione affettiva attraverso la quale si “avverte” la presenza di un sostrato esperienziale soggettivo e concreto; si tratta di una sorta di supporto materiale che viene dunque riconosciuto come “proprio” dalla persona intesa come entità spirituale. 3. Osservazioni conclusive Lotze e Scheler condividono così la tesi che la datità immediata del sé è garantita dal sentire emotivo il quale non 142 LOTZE E SCHELER: EMOTIVISMO E AUTOCOSCIENZA è, in ultima istanza, ulteriormente analizzabile. I sentimenti non sono dunque atti in quanto non necessariamente diretti verso un oggetto, ma stati che garantiscono esperienze di natura particolare: il proprio sé, la propria individualità non si conosce ma si sente. In questo modo l’individuo dimostra di possedere una predisposizione costitutiva al sentire la correttezza o la non correttezza di certe azioni, pertanto l’ordine con il quale ogni ente esperisce il valore è ciò che ne costituisce l’essenza. Dal punto di vista gnoseologico la valutazione morale, di per se stessa considerata, possiede una funzione cognitiva limitata se non è innescata e accompagnata da un’emozione o sentimento concomitante. La funzione epistemica delle emozioni non risiede dunque nell’essere considerate come modalità di giudizi valutativi ma nel suscitare un determinato stato emotivo nel soggetto valutante: per valutare la correttezza o non correttezza di un’azione bisogna dunque sentirla affettivamente. Su queste basi si costruisce l’identità individuale del soggetto che si rivela un processo biografico in continua evoluzione e accrescimento. Proprio in virtù del nesso costitutivo esistente tra autocoscienza e sentimento e dell’idea che la valutazione morale non sia unicamente un processo di natura logicoteoretica, le teorie di Lotze e Scheler sembrano ascrivibili all’interno della tradizione emotivista.55 Una forma di emotivismo “moderato” secondo il quale i giudizi morali non possono svolgere una funzione cognitiva se non tengono conto dello stato affettivo che li induce: Lotze e Scheler non negano il valore gnoseologico delle valutazioni morali ma affermano che ogni tentativo di formalizzare la sfera valutativa rivolto a mettere in secondo piano le dinamiche affettive inaridisce, e in parte ridimensiona, le pretese cognitive della valutazione stessa.56 Note 1 Emblematico in questo senso è quanto Lask scrive ne La logica della filosofia e la dottrina delle categorie (1911): «Un’azione liberatrice e chiarificatrice è rappresentata, nella nostra epoca, dal tentativo che rimonta principalmente agli impulsi di Lotze – di riportare, con la massima nettezza, la totalità del pensabile in generale a un’ultima duplicità, alla frattura tra ciò che è e ciò che vale, tra ambito dell’essere e ambito della validità, tra formazioni che riguardano ciò che è e formazioni che riguardano ciò che vale, tra la sfera dell’effettualità e quella del valore, tra ciò che è e accade e ciò che vale, senza dover essere» (E. LASK, Die Logik der Philosophie und die Kategorienlehre. Eine Studie über der Herrschaftsbereich der logischen Form, Mohr, Tübingen 1911; tr. it. di F. Masi, La logica della filosofia e la dottrina delle categorie, Quodlibet, Macerata 2016, p. 12). Relativamente all’accezione di giudizio etico ed estetico in Lotze in relazione a Kant e al neokantismo si veda C. MOREL, Entre Kant et nèo-kantismes. Jugement éthique et jugement esthétique chez Lotze, in F. BOCCACCINI (dir.), Lotze et son héritage. Son influence et son impact sur la philosophie du XXe, Peter Lang, Bruxelles 2015, pp. 103-118. 2 M. SCHELER, Wesen und Formen der Sympathie, (in Gesammelte Werke VII: Wesen und Formen der Sympathie – Die deutsche Philosophie der Gegenwart, Bouvier Verlag, Bonn 20057); tr. it. di L. Oliva e S. Soannini e cura di L. Boella, Essenza e forme della simpatia, FrancoAngeli, Milano 2010, p. 34. 3 A tale proposito nel dibattito contemporaneo si è soliti parlare di “intelligenza emotiva” intendendo con ciò la capacità, costitutiva dell’essere umano, di cogliere quelle sfumature di carattere affettivo che possiedono una rilevanza gnoseologica almeno pari, se non superiore, alle capacità razionali-intellettuali. Sull’argomento si veda: A. DAMASIO, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano 1995; D. GOLEMAN, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 1996; J. LEDOUX, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Baldini e Castoldi, Milano 1998. 143 4 Relativamente al rapporto tra auto-coscienza ed emozione nel periodo che va da Lotze a Scheler si veda: G. FRÉCHETTE, Searching for the Self: Early Phenomenological Accounts of Self-Consciousness from Lotze to Scheler, «International Journal of Philosophical Studies», 2013, Vol. 21, No. 5, pp. 654-679. 5 A tale proposito si veda D. ZAHAVI, Subjectivity and Selfhood. Investigating the First-Person Perspective, MIT, Cambridge-London 2006. 6 Scrive Lotze a questo proposito «Non formiamo il nome sostantivato di io come di un essere al quale appartiene ciò che chiamiamo l’essere “mio” solo dopo che dirigiamo la riflessione su queste circostanze. E qui deve essere fatta una duplice distinzione. L’immagine mentale che formiamo per noi stessi del nostro proprio essere è più o meno corretta o erronea; ciò dipende dallo sviluppo delle nostre capacità cognitive per mezzo delle quali ogni essere si sforza teoreticamente di fornire a se stesso una spiegazione concernente questo centro dei suoi specifici atti mentali. Dall’altra, la chiarezza e intimità con la quale ogni essere che prova sentimenti distingue se stesso dall’intero mondo non dipende del tutto dall’appropriatezza della comprensione del suo stesso essere, ma è espressa nel caso delle forme di vita animali meno evolute nel fatto che esse riconoscono i loro stati come propri per mezzo del dolore fisico o del piacere, nel modo altrettanto vivido a quello delle forme di vita più evolute» (H.R. LOTZE, Outlines of Psychology, Ginn e Company, Boston 1996, pp. 80-81). 7 Per un’esposizione generale della teoria delle emozioni proposta da Lotze si veda F. BAISER, Late German Idealism. Trandelenburg & Lotze, Oxford University Press, Oxford 2013, pp. 223-229; W.R. WOODWARD, Hermann Lotze. An Intellectual Biography, Cambridge University Press, New York 2015, pp. 202-215. 8 R.H. LOTZE, Medizinische Psychologie oder Physiologie der Seele, Weidmann’sche Buchhandlung 1852, pp. 283-287. 9 R.H. Lotze, Mikrokosmus. Ideen zur Naturgeschichte der Menschheit. Versuch einer Anthropologie, (Hirzel, Leipzig 1956I-1958II-1964III), Meiner, Leipzig 19236, pp. 139; tr. it. (parziale) a cura di L. Marino, Microcosmo. Idee sulla storia naturale e sulla storia dell’umanità. Saggio di antropologia, UTET, Torino 1988, pp. 431-521. 10 Cfr. R.H. LOTZE Logik. Drei Bücher vom Denken, vom Untersuchen und vom Erkennen, hrsg. v. G. Misch, Meiner, Leipzig 1912, p. 12; tr. it. di F. De Vincenzis, Logica. Tre libri sul pensiero, sulla ricerca e sulla conoscenza, Bompiani, Milano 2010, pp. 133-135: «Le diverse forme di pensiero saranno ordinate in una serie crescente in cui ogni termine cerca di eliminare un difetto in quello precedente, dovuto al suo fallimento nel soddisfare, riguardo al problema particolare, l’impulso generale del pensiero a ricondurre il coesistente al coerente (Zusammenseiendes auf Zusammengehöriges)». Già nel Mikrokosmus, Lotze aveva distinto il pensare dall’avere coscienza: se al pensiero deve essere attribuita la conoscenza di verità necessariamente valide, l’avere coscienza consiste nel riconoscere le determinazioni di valore (cfr. LOTZE, Microcosmo. Idee sulla storia naturale e sulla storia dell’umanità. Saggio di Antropologia, cit., p. 836). 11 Ibidem. 12 LOTZE, Logica. Tre libri sul pensiero, sulla ricerca e sulla conoscenza, cit., p. 139. 13 LOTZE, Medizinische psychologie oder Physiologie der Seele, cit., p. 233. 14 A tale proposito è evidente l’influenza che la teoria delle emozioni proposta da Lotze ha esercitato su William James per il quale «Sentiamo dolore perché piangiamo, rabbia perché colpiamo, dispiacere perché tremiamo e non viceversa. Senza lo stato corporeo che segue alla percezione, l’ultimo sarebbe solamente, dal punto di vista cognitivo, pallido, privo di colore e privo di calore emozionale» (cfr. W. JAMES, What is an emotion?, «Mind», Vol. 9, No. 34, 1884, p. 190). Sul rapporto JamesLotze cfr. S. Poggi & M. Vagnetti, James lecteur de Lotze, in F. Boccaccini (dir.), Lotze et son héritage. Son inlfuence et son impact sur la philosophie du XXe, Peter Lang, Bruxelles 2015, pp. 161-170. 15 Ibidem. 16 Ibid, p. 260. 17 R.H. Lotze, Outlines of Psychology. Dictated Portion of the Lectures of Hermann Lotze, ed by. G.T. Ladd, Ginn & Company, Boston 1886, pp. 76-77. 18 In quest’ottica appare illuminate l’invito di Carl Stumpf a distinguere tra fenomeni e funzioni psichiche intendendo con i primi sia i contenuti delle sensazioni che le omonime immagini mnestiche mentre con le seconde, atti, stati e vissuti. Per quanto concerne il rapporto tra funzioni emotive e valori rileva Stumpf: «Le cose che chiamiamo valori o beni, con tutte le loro classi e i loro contrasti (il rallegrante, il desiderato, il temibile, il piacevole e lo spiacevole, mezzo e fine, ciò che è da preferirsi e da rigettarsi, ecc.) ricadono sotto il concetto delle formazioni. Si tratta degli specifici contenuti dei sentimenti e della volontà, che vanno GEMMO IOCCO distinti tanto dalle funzioni stesse quanto dai fenomeni (e inoltre dagli oggetti) ai quali si rapportano» (C. Stumpf, Erscheinungen und psychische Funktionen, «Abhandlungen der Königlich Preussischen Akademie der Wissenschaften», philosophisch-historische Abhandlungen, 4, Reimer, Berlin 1906; tr. it. di R. Martinelli, Fenomeni e funzioni psichiche, in Id., La rinascita della filosofia, Quodlibet, Macerata 2009, p. 91). 19 LOTZE, Microcosmo. Idee sulla storia naturale e sulla storia dell’umanità. Saggio di antropologia, cit., pp. 180-181. 20 Ibid, p. 201. 21 Sull’argomento si veda M. SCHELER, Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik. Neuer Versuch der Grudlegung eines ethischen Personalismus, (in Gesammelte Werke II, Bonn, Bouvier Verlag 20098); tr. it. di R. Guccinelli, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, Milano, Bompiani, 2013, p. 349. Relativamente a ciò si veda G. IOCCO, La critica delle illusioni morali: Max Scheler e la fenomenologia, «Intersezioni», 1, 2017, pp. 75-92. 22 Scrive Lotze: «Con i sentimenti di piacere o di dispiacere lo spirito esperimenta il valore che le impressioni esterne hanno per esso, se sono cioè in armonia o in contraddizione con la sua natura. In ultima analisi il piacere si basa sul fatto che allo spirito vengono offerti stimoli che, armonizzandosi con l’indirizzo, le condizioni e la forma della sua vita evolutiva, favoriscono la sua attività. Il dispiacere deriva invece da quegli stimoli che ostacolano l’attività dello spirito» (LOTZE, Microcosmo. Idee sulla storia naturale e sulla storia dell’umanità. Saggio di antropologia, cit., p. 201) 23 Ibid, p. 439. 24 Ibid. p. 202. 25 Di questo avviso è Santayana: cfr. G. SANTAYANA, Lotze’s Moral Idealism, «Mind», Vol. 15, No. 58, 1890, pp. 191-212. Sull’argomento di veda anche S. BESOLI, Il valore della verità, Ponte alle Grazie, Firenze 1992, p. 98. Sul rapporto tra Santayana e Lotze cfr. F. BOCCACCINI, Lotze en Amérique: le renouveau réaliste chez Santayana, in F. Boccaccini (dir.), Lotze et son héritage. Son inlfuence et son impact sur la philosophie du XXe, Peter Lang, Bruxelles 2015, pp. 171-189. 26 Il concetto di valore si dimostra dunque “polisemico” in quanto non è possibile offrirne una definizione univoca ma possiede molteplici sfumature. Sull’argomento si veda B. CENTI, L’armonia impossibile. Alle origini del concetto di valore in R.H. Lotze, Guerini, Milano 1993. 27 Scrive Lotze: «A proposito del giudizio morale, si può certo convenire che esso dipende in gran parte, sebbene in maniera indiretta, dalla precisione con cui la percezione sensibile ci rappresenta le circostanze date e dalla vivacità delle rappresentazioni e dei sentimenti che si collegano a quelle circostanze. La sfera del corpo contiene dunque solo le condizioni preliminari della vita superiore dello spirito» (LOTZE, Microcosmo. Idee sulla storia naturale e sulla storia dell’umanità. Saggio di antropologia, cit., pp. 246-247). 28 Ibid., p. 441. 29 Ibid., p. 502. 30 Ibid., p. 503. 31 Ibid., p. 203. 32 LOTZE, Outlines of Psychology. Dictated Portion of the Lectures of Hermann Lotze, cit., pp. 81-82. 33 LOTZE, Microcosmo. Idee sulla storia naturale e sulla storia dell’umanità. Saggio di antropologia, cit., p. 518. 34 Ibid., p. 517. 35 SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., pp. 187/189. 36 M. SCHELER, Die Stellung des Menschen im Kosmos (1928), (in Gesammelte Werke IX: Späte Schriften, Bouvier Verlag, Bonn 20083); tr. it. di G. Cusinato, La posizione dell’uomo nel cosmo, FrancoAngeli, Milano 2000, pp. 125-126. 37 SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., p. 745. 38 SCHELER, La posizione dell’uomo nel cosmo, cit., p. 126. 39 SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., p. 365. 40 A tale proposito è opportuno inserire nel contesto dell’argomentazione anche il concetto di validità il quale, secondo Lotze, non coincide affatto con quello di valore. Il concetto di valore si colloca all’interno della definizione di verità e di realtà e, come osserva Beatrice Centi «sostituisce il concetto di dover essere che allora esprimeva lo spettro di significati raccolti attorno al tema del valere e della necessità. Tra questi era da annoverare anche il valore come espressione di fini e di beni, che, in quanto tali, dovevano essere realizzati» (cfr. B. CENTI, Realtà, validità e idee nel pensiero di Lotze, «Rivista di storia della filosofia», Vol. 52, No. 4, 1997, p. 709). 41 SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., pp. 375-377. 42 Sul rapporto tra a priori ed emozione in Scheler si veda: M. KHORKOV, Zu Max Schelers Konzeption des emotionalen Apriori, in G. Cusinato & M.C. Bruttomesso, Max Scheler and the Emotional Turn, «Thaumàzein», 3, 2015, pp. 183-198. 43 M. SCHELER, Phänomenologie und Erkenntnistheorie (1913), (in Gesammelte Werke X: Schriften aus dem Nachlaß, Bd. 1: zur Ethik und Erkenntnislehre, Bouvier Verlag, Bonn 20004); tr. it. di V. D’Anna, Fenomenologia e teoria della conoscenza, (1913), in Id., Scritti fenomenologici, FrancoAngeli, Milano 2013, p. 136. 44 Ibid., p. 157. Per quanto riguarda l’accezione scheleriana di Gefühl con particolare riferimento a Lotze si veda W. HENCKMANN, Max Scheler, Beck, München 1998, pp. 100-106. 45 SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., p. 59. 46 In riferimento a ciò si veda F. HAUSEN, Affektives Erfassen von Bedeutsamkeit – Überlegungen zu Schelers “Wertfühlen”, in G. Cusinato & M.C. Bruttomesso, Max Scheler and the Emotional Turn, «Thaumàzein», 3, 2015, pp. 271-286. 47 A tale proposito cfr. W. HENCKMANN, Person und Wert. Zur Genesis einer Problemstellung, in C. Bermes, W. Henckmann, H. Leonardy (hrsg. von), Person und Wert. Schelers “Formalismus” – Perspektiven und Wirkungen, Karl Alber, Freiburg-München 2000, pp. 11-28 e R. GUCCINELLI, Fenomenologia del vivente. Corpi, ambienti, mondi: una prospettiva scheleriana, Aracne, Roma 2016, pp. 203-260. 48 SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., p. 387. 49 Scrive Scheler «Finché guardiamo a queste “esperienze” per così dire, e non all’esperire le esperienze, la persona rimane del tutto trascendente. Ogni esperire così inteso o – se vogliamo – ogni atto concreto, comporta tutte le essenze d’atto che possiamo distinguere fenomenologicamente secondo rapporti di fondazione apriorici, così come risultano dalle relative ricerche. Ogni atto dunque, comporta un percepire interno ed esterno, una coscienza del corpo-vivo, un amare e un odiare, un sentire assiologico e un preferire, un volere e non-volere, un giudicare, un ricordare, un rappresentare ecc. Per quanto necessarie, tutte queste distinzioni offrono solo i lineamenti astratti dell’atto concreto della persona. Non è possibile intendere la persona nei termini di una mera connessione degli atti; analogamente, non è possibile intendere un atto concreto nei termini di una mera somma, o della mera stratificazione, delle astratte essenze d’atti. È la persona stessa piuttosto che, vivendo in ognuno dei suoi atti, lo impregna [durchdringt] interamente del suo stile proprio. Nessuna conoscenza dell’essenza, ad esempio dell’amore o del giudizio, ci permette di conoscere il modo in cui le persone A o B amano e giudicano, e nemmeno di scorgere, ovviamente, i contenuti (oggetti di valore, stati cose) che sono dati loro in quegli atti. Uno sguardo rivolto alla persona stessa e alla sua essenza, invece, lascia che l’unicità del contenuto originario a priori affiori immediatamente in ogni atto che sappiamo compiuto da lei – ovvero, ogni contenuto dei suoi atti, permette di approfondire la conoscenza del suo “mondo”» (Ibid., pp. 751/753). In riferimento al personalismo etico di Scheler cfr. P.H. SPADER, Scheler’s Ethical Personalism. It’s Logic, Development and Promise, Fordham University Press, New York 2002. 50 Ibid., p. 823. 51 Cfr. G. CUSINATO, L’etica e i valori: Scheler e il rovesciamento dello schema di Brentano e Husserl, «Idee», Vol. 37-38, 1998, pp. 200-214. 52 Ibid, p. 815 53 M. SCHELER, Über Scham und Schamgefühl (1913), (in Gesammelte Werke X: Schriften aus dem Nachlaß, Bd. 1: Zur Ethik und Erkenntnislehre, Bouvier Verlag, Bonn 20044); tr. it. M.T. Pansera, Pudore e sentimento del pudore, Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 57-58. Sul rapporto tra pudore e auto-coscienza si veda D. ZAHAVI, Self, Consciousness, and Shame, D. Zahavi (ed.), The Oxford Handbook of Contemporary Phenomenology, Oxford University Press, Oxford 2012, pp. 304323. 54 M. SCHELER, Ordo Amoris (1914-1916), (in Gesammelte Werke X: Schriften aus dem Nachlaß, Bd. 1: Zur Ethik und Erkenntnislehre, Bouvier Verlag, Bonn 20044); tr. it. di Simonotti, Ordo Amoris, Aracne, Brescia 2008, p. 52. 55 A tale proposito Satris evidenzia il nesso esistente tra le teorie del valore austro-tedesche di fine Ottocento e l’emotivismo novecentesco: cfr. S. SATRIS, Ethical Emotivism, Nijhoff, Dordrecht 1987, pp. 5-19. Sull’argomento si veda anche FRÉCHETTE, Searching for the Self: Early Phenomenological Accounts of Self-Consciousness from Lotze to Scheler, cit., p. 657. 144 LOTZE E SCHELER: EMOTIVISMO E AUTOCOSCIENZA 56 Relativamente al rapporto tra valore e verità nell’emotivismo cfr. C.L. STEVENSON, Ethics and Language, Yale University Press, New Haven 1944, pp. 152-173. 145