PHILOSOPHICAL READINGS
ONLINE JOURNAL
OF PHILOSOPHY
Editor: Marco Sgarbi
Volume X – Issue 2 – 2018
ISSN 2036-4989
Special Issue:
Lotze’s back!
Guest Editor:
Daniele de Santis
ARTICLES
Introduction
Daniele de Santis ................................................................................................................ 87
Lotze’s Conception of Metaphysics and Science. A Middle Position in the Materialism
Controversy
Charlotte Morel .................................................................................................................. 90
L’espressione del pensiero. Lotze e la confutazione di Hegel nella Logica del 1874
Danilo Manca .................................................................................................................... 101
Hermann Lotze and Franz Brentano
Nikolay Milkov.................................................................................................................. 115
“A halting-stage in the evolution of logical theory”. John Dewey’s critical engagement
with Lotze’s logic
Martin Ejsing Christensen ................................................................................................. 123
The Logik by Rudolf Hermann Lotze. The concept of Geltung
Michele Vagnetti............................................................................................................... 129
Lotze e Scheler. Emotivismo e autocoscienza
Gemmo Iocco ..................................................................................................................... 138
Il fascino dell’ideale. Heidegger e il lotzismo di Husserl
Fabio Pellizzer.................................................................................................................. 146
Platonismo o psicologismo? La filosofia della logica di Lotze
Riccardo Martinelli ........................................................................................................... 159
philosophicalreadings.org
DOI: 10.5281/zenodo.1210314
PHILOSOPHICAL READINGS
ONLINE JOURNAL OF PHILOSOPHY
Philosophical Readings, ISSN 2036-4989, features articles, discussions, translations, reviews, and bibliographical
information on all philosophical disciplines. Philosophical Readings is devoted to the promotion of competent and
definitive contributions to philosophical knowledge. Not associated with any school or group, not the organ of any
association or institution, it is interested in persistent and resolute inquiries into root questions, regardless of the writer’s
affiliation. The journal welcomes also works that fall into various disciplines: religion, history, literature, law, political
science, computer science, economics, and empirical sciences that deal with philosophical problems. Philosophical
Readings uses a policy of blind review by at least two consultants to evaluate articles accepted for serious
consideration. Philosophical Readings promotes special issues on particular topics of special relevance in the
philosophical debates. Philosophical Readings occasionally has opportunities for Guest Editors for special issues of the
journal. Anyone who has an idea for a special issue and would like that idea to be considered, should contact the editor.
Submissions should be made to the Editor. An abstract of not more than seventy words should accompany the
submission. Since Philosophical Readings has adopted a policy of blind review, information identify the author should
only appear on a separate page. Most reviews are invited. However, colleagues wishing to write a review should contact
the Executive editor. Books to be reviewed, should be sent to the review editor.
EDITOR
Marco Sgarbi
Università Ca’ Foscari Venezia
ASSOCIATE EDITOR
Eva Del Soldato
University of Pennsylvania
ASSISTANT EDITOR
Valerio Rocco Lozano
Universidad Autónoma de Madrid
ASSISTANT EDITOR
Matteo Cosci
Università Ca’ Foscari Venezia
REVIEW EDITOR
Laura Anna Macor
Università degli Studi di Firenze
EDITORIAL BOARD
Alessio Cotugno, Università Ca’ Foscari Venezia
Raphael Ebgi, Freie Universität Berlin
Paolo Maffezioli, Università di Torino
Eugenio Refini, The Johns Hopkins University
Andrea Sangiacomo, Rijksuniversiteit Groningen
Alberto Vanzo, University of Warwick
Francesco Verde, Università “La Sapienza” di Roma
Antonio Vernacotola, Università di Padova
EDITORIAL ADVISORY BOARD
Francesco Berto, Universiteit van Amsterdam
Gianluca Briguglia, Université de Strasbourg
Laura Boella, Università Statale di Milano
Elio Franzini, Università Statale di Milano
Alessandro Ghisalberti, Università Cattolica di Milano
Piergiorgio Grassi, Università di Urbino
Margarita Kranz, Freie Universität Berlin
Seung-Kee Lee, Drew University
Sandro Mancini, Università di Palermo
Massimo Marassi, Università Cattolica di Milano
Roberto Mordacci, Università San Raffaele di Milano
Ugo Perone, Università del Piemonte Orientale
Riccardo Pozzo, Università degli Studi di Verona
José Manuel Sevilla Fernández, Universidad de Sevilla
Lotze e Scheler: emotivismo e autocoscienza
Gemmo Iocco
Abstract: The aim of this paper is twofold: on the one
hand it aims to show the main traits of Lotze’s theory of
emotion, focusing specifically on the correlation between
emotion and self-consciousness, and, on the other hand, to
demonstrate how Lotze’s theory of emotion plays a key
role in the phenomenology of emotional life as propounded by Max Scheler. Indeed their shared belief is
that one should be able to understand one’s own individuality through one’s emotional state and not through theoretical operations such as reflection or thinking. Accordingly I argue that Lotze and Scheler suggest an emotional
account of self-consciousness which manifests itself as
closely related to an individual’s moral sensibility.
Keywords: Emotion, Emotivism, Lotze, Scheler, SelfConsciousness
Introduzione
Secondo la lettura neokantiana il grande merito storicoteorico di Rudolf Hermann Lotze è stato affermare la necessità di distinguere, tanto sul piano epistemologico
quanto su quello gnoseologico, ciò che vale da ciò che
semplicemente esiste.1 Ciò ha condotto così all’idea di
una logica della validità la quale, pur non negando dal
punto di vista processuale e metodologico, un certo contatto con la realtà, si è focalizzata sulla necessità di pensare le condizioni di possibilità di una riflessione sullo statuto distintivo degli atti di valutazione ovvero di una filosofia dei valori il cui fine specifico non fosse tanto la determinazione ontologica di quest’ultimi quanto lo studio
della ragione nella sua funzione valutante. Simile, ma non
del tutto sovrapponibile a questo primo bilancio sull’impatto storico filosofico di Lotze, è il giudizio di Max
Scheler il quale nella premessa alla seconda edizione del
suo Sympatiebuch scrive «la natura intenzionale e cognitivo-assiologica della nostra vita affettiva “superiore” fu
riscoperta solo da H. Lotze e nonostante ciò fu scarsamente considerata – poiché egli trattò questa “logique du
coeur” solo molto in generale senza invece dimostrarla
nei dettagli. Da lui deriva il pensiero e il detto che “in
quel sentimento dei valori delle cose e delle loro relazioni, la nostra ragione possiede una rivelazione intesa seriamente tanto quanto nei principi dell’indagine razionale
possiede un inevitabile strumento esperienziale”».2
Tra questi due modi di soppesare l’influenza di Lotze
sul dibattito successivo, esiste una differenza interpretativa non trascurabile che di fatto conferma la fecondità e la
poliedricità del suo pensiero: se da un lato nella lettura
neokantiana il merito di Lotze è stato quello di rintracciare un nesso costitutivo tra giudizio e valore, dall’altro, secondo la lettura scheleriana, non si tratterebbe tanto di
giudicare i valori quanto di sentirli nel senso di percepirli
attraverso una predisposizione affettiva giudicata come
vera e propria capacità specifica dell’essere persona nel
senso pregnante del termine.3 Proprio questa sensibilità di
carattere emotivo deve essere intesa come condizione necessaria per lo sviluppo del senso morale dell’individuo,
considerato da entrambi gli autori come una delle più significative funzioni che differenziano gli esseri umani dagli altri esseri viventi.
Tenendo conto di questa intrinseca oscillazione, il fine
del presente contributo è mostrare l’importanza che la
teoria delle emozioni proposta da Lotze ha avuto sulla fenomenologia della vita emotiva elaborata da Max Scheler
focalizzandosi, in maniera specifica, sul rapporto esistente
tra autocoscienza ed emozione: proprio quest’accentuazione non solo rappresenta un interessante e alternativa4 proposta ai modelli di auto-coscienza basata su
dinamiche di matrice riflessiva o auto-riflessiva5 – proposti ad esempio da Franz Brentano e Edmund Husserl –
ma costituisce un utile strumento per comprendere in che
cosa effettivamente consista il tentativo scheleriano di elaborare un nuova forma di “personalismo etico”. Proprio
in quest’ottica la riflessione di Lotze sul rapporto sussistente tra autocoscienza ed emozione, ricopre un ruolo di
fondamentale importanza in quanto il soggetto o la persona – a seconda che si adotti la terminologia lotziana o
quella scheleriana – ha la possibilità di comprendere il
proprio sé non tanto attraverso processi di natura teoretica
o razionale quanto grazie a esperienze di tipo emotivo;
per questa ragione la sensibilità affettiva di un individuo è
ciò che ne determina l’essenza ultima. Attraverso emozioni e sentimenti, infatti, il soggetto colma quel baratro
epistemologico prodotto da ogni operazione di carattere
riflessivo-oggettivante: ciò deriva dalla convinzione che il
proprio sé non possa essere oggettivato giacché attraverso
l’oggettivazione esso retrocede su un livello di trascendenza che, oltre a separarlo dal soggetto, ne altera la sua
intrinseca natura.6 Si tratta allora di invertire l’ordine di
affidabilità e superiorità epistemologica tra funzioni teo-
Dipartimento di Discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese culturali, Università di Parma
Parma, Italia
email:
[email protected]
Philosophical Readings X.2 (2018), pp. 138-145.
DOI: 10.5281/zenodo.1209461
LOTZE E SCHELER: EMOTIVISMO E AUTOCOSCIENZA
retico-cognitive e funzioni emotive attribuendo anche alle
seconde un ruolo cognitivo di primaria importanza.
Nella prima parte del contributo si richiamano gli aspetti maggiormente significativi della teoria delle emozioni proposta da Lotze al fine di sottolineare la profonda
correlazione esistente tra emozione, autocoscienza e senso
morale. Nella seconda parte si cerca di mostrare come la
teoria delle emozioni proposta da Lotze – e soprattutto il
nesso da egli rintracciato tra auto-coscienza ed emozione
– rappresenti un presupposto imprescindibile per comprendere in maniera generale la fenomenologia della vita
emotiva delineata da Scheler e, in maniera più circoscritta, il rapporto sussistente tra persona e sentimento. Al fine
di rendere evidente il nesso costitutivo esistente tra emozione e auto-coscienza sono prese in considerazione due
tipologie di esperienze emotive attraverso le quali, secondo Scheler, la persona ha la possibilità di conoscere la
propria individualità ovvero lo stato di “raccoglimento”
che precede una decisione importante e il sentimento del
“pudore”.
1. Lo statuto delle emozioni in Lotze: stati psicologici e
forme di auto-coscienza
Una prima difficoltà alla quale si deve far fronte occupandosi della teoria dei sentimenti (Gefühle) proposta da
Lotze7 deriva da una certa discrepanza relativa
all’importanza che essi rivestono rispettivamente nelle
riflessioni psicologiche su tali fenomeni sviluppate nella
seconda sezione del secondo libro – intitolato “Von den
Elementen und dem physiologischen Mechanismus des
Seelenlebens” – della Medizinische Psychologie oder
Physiologie der Seele8 (1852), e nelle considerazioni metafisico-spirituali proposte nella quinta parte del secondo
volume – intitolata “Der Geist” – del Mikrokosmos. Ideen
zur Naturgeschichte und Geschichte der Menschheit
(1858). 9 Se in ottica psicologica i sentimenti sembrano
avere un ruolo circoscritto, diventano invece, nelle analisi
relative al rapporto di correlazione e costituzione reciproca tra mente e corpo proposte nel Mikrokosmos, modalità
attraverso le quali il soggetto può fare esperienza della
propria individualità personale. Si tratta dunque di cogliere esattamente le loro specifiche funzioni tenendo conto
che, in chiave psicologica, i sentimenti affiancano le sensazioni e rappresentano la base di stati di coscienza e inclinazioni mentre all’interno della sfera spirituale, costituendosi come mezzi che permettono di percepire il valore delle impressioni, dimostrano di svolgere un ruolo di
primaria importanza nel processo di costituzione e comprensione dell’identità personale.
Al fine di comprendere al meglio il ruolo crescente
acquisito dai sentimenti nell’elaborazione del sistema lotziano, è necessario richiamare gli aspetti maggiormente
significativi della sua Erkenntnistheorie “psico-fisiologica”. Lotze afferma che il processo conoscitivo ha origine nella stimolazione dei sensi la quale innesca la produzione di rappresentazioni, tuttavia le sole rappresentazioni non sono sufficienti affinché si concretizzi una conoscenza fondata in quanto è necessario che queste siano
connesse le une con le altre. Pertanto pensare significa
per Lotze connettere rappresentazioni o meglio cogliere
dei nessi oggettivamente dati: solo in questo modo sarà
139
possibile passare dal coesistente al coerente ed avere
un’apprensione della realtà circostante.10 Affinché questo
passaggio possa realizzarsi, è essenziale che a ogni singola impressione sia riconosciuta una validità indipendente:
attraverso ciò si compie l’oggettivazione del soggettivo la
quale necessita di essere “pensata” per costituirsi come
oggettiva mantenendo, allo stesso tempo, una certa indipendenza rispetto alla realtà in quanto tale; 11
un’oggettività che non è garantita da una particolare attività psichica ma dalla conformazione medesima delle
rappresentazioni e che dimostra di possedere dunque una
innere Gesetzlichkeit.
Dal punto di vista processuale nell’interiorizzazione
dei dati, l’essenza specifica dello stimolo, colta dai sensi,
si trasforma in maniera radicale e ciò legittima il fatto che
la sensazione non debba essere considerata in nessun modo una mera “immagine” degli oggetti che la causano. Inoltre se è innegabile che la rappresentazione (Vorstellung) assuma quale suo fondamento una sensazione (Empfindung) temporalmente antecedente, è altrettanto vero
che essa diventa stato di coscienza (Zustand) esclusivamente mediante un passaggio ulteriore. È soltanto con
l’attribuzione di un nome allo stimolo che il soggetto è in
grado di rappresentare la materia «non più come un semplice elemento passivo che subiamo bensì come qualcosa
che possiede un senso indipendente rispetto allo stimolo
garantendo a ogni singola impressione il significato di
una validità indipendente».12
Precisamente, dal punto di vista costitutivo-essenziale,
i sentimenti sono stati di piacere o di dispiacere (Zustände der Lust und Unlust): se nelle sensazioni il contenuto è
il medesimo oggetto della percezione, nei sentimenti il
contenuto è qualitativamente differente.13 Il contenuto del
sentimento è appunto la “piacevolezza” o “non piacevolezza” dello stato in questione pertanto il riferimento
all’oggetto non è diretto ma avviene in maniera mediata o
indiretta.14
Dal punto di vista classificatorio i sentimenti possono
essere sensibili (sinnliche Gefühle) o intellettuali (intellectuelle Gefühle): i primi provengono dalle espressioni
corporee mentre i secondi sorgono dall’intreccio di rappresentazioni e desideri e appartengono al livello spirituale dell’esistenza.15 Inoltre la sfera dei sentimenti è maggiormente circoscritta rispetto a quella delle sensazioni
seppure all’interno della prima è necessario distinguere
tra disposizioni (Gesinnungen), stati emotivi (Stimmungen) e affetti (Affekte).16 Relativamente alla suddivisione
tra sentimenti sensibili e sentimenti di carattere intellettuale, i primi sono dipendenti dagli stimoli sensibili mentre
i sentimenti di natura intellettuale necessitano, per così
dire, di un approccio gestaltico in quanto si riferiscono a
una molteplicità simultanea di impressioni che viene intesa come un unicum. I sentimenti estetici sono sentimenti
di natura intellettuale nei quali impressioni e sensazioni
sono presenti non in maniera singolare e diretta bensì in
forma aggregata e organica. Anche i sentimenti di natura
etica sono una specie particolare di sentimento intellettuale in quanto espressione del valore o dell’assenza del valore che percepiamo secondo una modalità del tutto differente rispetto a quella resa possibile dal giudizio teoretico
attraverso il quale si stabilisce la validità o la non validità
di una proposizione.17
GEMMO IOCCO
Al fine di chiarire questo aspetto e dimostrare come i
sentimenti non siano dei semplici stati passivi che rivestono un ruolo marginale ma delle funzioni18 di primaria
importanza per la determinazione dell’essenza individuale
del soggetto, è utile ricordare quanto Lotze scrive sul rapporto rappresentazione-sentimento nella quinta sezione
del Mikrokosmos:
La capacità di provare gioia e dolore deve trovarsi originariamente nell’anima e gli eventi del corso delle rappresentazioni,
reagendo sulla natura dell’anima, devono stimolarla a manifestarsi, senza produrre essi stessi questa manifestazione. [...] I
sentimenti e le aspirazioni sono, in quanto tali, di molto valore
per la vita spirituale, la cui importanza, non consiste nel fatto
che in essa si verificano multiformi intrecci di rappresentazioni,
che occasionalmente giungono alla coscienza sotto quelle forme,
ma nel fatto che la natura dell’anima è in grado di farsi apparire
qualcosa come sentimento e aspirazione.19
Se le analisi psicologiche hanno avuto il merito di definire
lo statuto specifico dei sentimenti, soprattutto dal punto di
vista operativo-funzionale, all’interno di una considerazione di carattere spirituale essi assumono una rilevanza
di primaria importanza in quanto, afferma Lotze, «non c’è
manifestazione della nostra attività psichica che non sia
accompagnata da qualche sentimento. Non solo le impressioni immediate, ma anche i concetti più semplici
dell’intelletto, non vanno mai disgiunti da un sentimento
concomitante».20 Ogni manifestazione di carattere psichico è accompagnata da una certa colorazione di carattere
emotivo pertanto è impossibile pensare una funzione piscologico-conoscitiva capace di prescindere dalla giusta
valutazione dell’effetto che essa provoca. Proprio questo
assunto rappresenterà uno dei capisaldi della teoria conoscitiva proposta da Scheler il quale definisce la cosiddetta
“neutralità affettiva della sfera psichica” una vera e propria chimera gnoseologica, un’autoillusione – ovvero
un’illusione auto-indotta o prodotta – che sfocia in una
concezione semi-mitica dello psichico.21 Del medesimo
avviso è Lotze il quale sostiene che attraverso i sentimenti
di piacere o dispiacere il soggetto ha la possibilità di fare
esperienza del valore delle impressioni: il sentimento si
costituisce, in questo modo, come una modalità di costituzione e intuizione del valore.22
La sensazione è provocata da stimoli esterni: ogni sensazione è
unita a un sentimento di piacere o di dolore che determina il valore che la sensazione possiede per la nostra esistenza individuale. L’uomo nel sentimento che accompagna la sensazione è capace di individuare il valore che le impressioni hanno in sé; soprattutto nelle percezioni visive e uditive l’uomo è in grado di
riconoscere la gradevolezza e il significato propri del contenuto.23
Ne consegue che la ragione valutante, ovvero la ragione
che formula giudizi di valore, è in un certo qual modo regolata dal sentimento poiché è proprio quest’ultimo che
garantisce la validità assoluta rivendicata da una conoscenza che si professa “evidente”. Ciò significa che
all’interno della sfera spirituale, la logica della validità
non rappresenta il livello teoretico ed epistemologico più
alto in quanto, a sua volta, deve essere “convalidata” dal
sentimento.
La ragione che emette giudizi di valore supera il piano della conoscenza certa per orientarsi verso ciò che ha valore positivo per
il sentimento. In maniera analoga anche i principi morali di ogni
epoca sono stati approvati dall’animo in modo completamente
diverso dalle verità della conoscenza, in quanto anch’essi sono
stati espressione di un sentimento che apprezza il valore delle
cose.24
Relativamente a questo aspetto è stato rilevato25 come
all’interno del sistema lotziano la dimensione morale abbia un valore fondante nei confronti della dimensione teorico-conoscitiva in quanto l’idea di verità, che possiede
una funzione regolativa nella sfera gnoseologica, è subordinata all’idea di bene che ricopre il medesimo ruolo nella sfera pratico-morale. Affinché la ragione accetti ciò che
può essere solamente “pensato”, è necessario intuire – e
quindi esperire – il valore dei contenuti in questione: solo
in questo modo il soggetto, mediante una sorta di rivelazione di carattere affettivo, trascende tanto il livello empirico quanto quello puramente logico-razionale. Il sentimento permette dunque, in un certo senso, di completare e
perfezionare l’apprensione di oggetti, eventi, comportamenti etc..26 Pertanto rappresentazione e sentimento sono
eventi psicologici che permettono al soggetto di intendere
con maggiore precisione i contenuti percepiti riuscendo
così a formulare un giudizio morale;27 nonostante non
siano degli atti, svolgono ugualmente un’importante funzione cognitiva perché assecondano la tendenza, propria
degli esseri umani, a individuare il valore o il disvalore
delle cose esterne, il che rappresenta una condizione necessaria per oltrepassare il semplice livello della coesistenza e arrivare alla coerenza.
Nella sensibilità umana è individuabile una tendenza intrinseca a
individuare nelle nature delle cose esterne valore o disvalore
immediato e a esse proprio, che è soltanto riconosciuto per mezzo del nostro piacere o dispiacere, ma non dipende dal fatto che
si produca in noi un senso di piacere o dispiacere. Una tendenza
che si manifesta nella comparazione dei contenuti, ma soprattutto nella disponibilità ad assegnare a ogni singolo contenuto un
posto fisso nella serie dei contenuti ad esso affini, considerando
la serie stessa come un sistema organizzato.28
La tendenza a rintracciare nelle cose che compongono la
realtà esterna una certa “quantità” di valore se da un lato
proviene dalle capacità logico-teoriche, dall’altro può essere riconosciuta soltanto attraverso certe funzioni di natura emotiva e ciò determina anche lo sviluppo della sensibilità morale dell’individuo. Nello specifico, cercando
di determinare il rapporto esistente tra coscienza ed eticità
(Das Gewissen und die Sittlichkeit), Lotze sembra attribuire ai sentimenti una certa natura intenzionale – aspetto
non colto nelle analisi psicologiche di tali fenomeni proposte nella Medizinische Psychologie – poiché osserva
che «è impossibile parlare di un piacere che fosse puro
godimento in generale e non il godimento di qualcosa».29
Ne consegue che il piacere che può essere attribuito a una
certa impressione, o a un rapporto tra più impressioni, non
è colto attraverso un’operazione valutativa temporalmente
posteriore ma si determina come un’indivisibile traduzione del valore.30
Inoltre il ruolo centrale ricoperto da sentimenti, emozioni e affetti non è circoscritto alla conoscenza della realtà esterna in quanto questi stati sono di fondamentale im140
LOTZE E SCHELER: EMOTIVISMO E AUTOCOSCIENZA
portanza anche nei processi in cui il soggetto può esperire
la propria singolarità individuale. L’auto-coscienza
(Selbst-bewusstsein) «non si può intendere senza la base
del sentimento: la coincidenza di pensante e pensato è il
fondamento della nostra autocoscienza non già in quanto
la pensiamo, ma in quanto sentiamo immediatamente il
valore che essa ha per noi».31 Pertanto l’identità personale
di un individuo è colta non attraverso una procedura di
natura teorica, come può essere la riflessione, o in maniera più generale il pensiero, bensì attraverso la determinazione del valore che essa possiede per l’individuo e tale
determinazione è resa possibile dal sentimento.
Precisamente, affinché la persona possa avere coscienza della propria individualità devono essere presenti
due requisiti: il primo dei quali consiste nella capacità di
formare un’immagine della nostra individualità mentre il
secondo consiste nel riconoscimento dell’immagine come
speculare rispetto a quella del soggetto. Nessuna considerazione di natura meramente teoretica è in grado di legittimare la distinzione tra “io” e “tu” e di spiegare in maniera esaustiva l’identità personale di un individuo.32 La personalità individuale si sviluppa pertanto, da un lato, mediante l’accumulo di esperienze vissute, dall’altro, configurandosi come una capacità di opporre agli stimoli che
sopraggiungono una certa resistenza: è la dimensione morale ovvero la fede in un dovere a costituire il principium
individuationis dell’essere umano.
Se riflettiamo su noi stessi, emerge innanzitutto soltanto la fede
in un dovere in generale, in una legislazione vincolante del nostro agire, come un punto luminoso e certo di se stesso; ma che
cosa siano queste leggi e con quanta purezza noi le possiamo
cogliere, questo dipende in parte dall’influsso delle circostanze
esterne della vita che calmano e stimolano i nostri ciechi impulsi, in parte dalla precisione dell’esame con cui noi scindiamo gli
imperativi universali della nostra coscienza dalle singole forme
in cui essi, applicati a rapporti particolari della nostra sfera esistenziale, si impongono in un primo momento a noi.33
Il solo modo per intendere, in tutta la sua costitutiva complessità, la propria identità individuale è così soffermarsi
sulla connessione esistente tra una considerazione teoretica del mondo e i sentimenti morali ricercando, in questo
modo, una sorta di convalida intersoggettiva che possa
garantire al sentimento di sé [Selbst-Gefühl] una certa legittimità ontologica.34
2. Esperienze del proprio sé: Max Scheler e la fondazione dell’identità personale nella sfera emotiva
Il fatto che l’intuizione e la conoscenza dell’essenza individuale non sia comprensibile attraverso procedimenti di
natura teoretica ma debba essere sostituita, o almeno integrata, dalle dinamiche di carattere affettivo è uno dei capisaldi del personalismo scheleriano e trova espressione
compiuta nell’idea che «appena rivolgiamo uno sguardo
in qualche modo “oggettualizzante” a una persona, perdiamo di vista necessariamente il portatore (Träger) dei
valori morali».35 Se da un lato, così come affermava Lotze, anche per Scheler soltanto l’uomo possiede le capacità di concentrazione e auto-consapevolezza36, dall’altro, la
fondazione ultima dell’identità personale non deve essere
141
ricercata in funzioni che appartengono alla sfera teoricoconoscitiva bensì nella sfera affettiva giacché «la “coscienza di sé” non è ancora una persona, se nella coscienza “di” sé non sono riuniti tutti i possibili modi in cui la
coscienza può auto-afferrarsi (come soggetto che conosce,
vuole, sente, ama e odia)».37 Anche Scheler riconosce così
la dimensione morale come costitutiva dell’essere persona
la quale è in grado di elevare la propria vita oltre se stessa soltanto oggettivando l’originaria resistenza alla pulsione38.
Ciò deriva dal fatto che, all’interno della fenomenologia della vita emotiva proposta da Scheler, un atto può
essere definito “buono” o “malvagio” non perché è possibile fornire di esso una valutazione corretta o incorretta
ma giacché, nel suo compiersi, si riferisce a una certa
qualità assiologica che lo caratterizza e lo differenzia dalle altre forme di atti.39 Così come per Lotze, anche per
Scheler, valore e verità40 non coincidono né dal punto di
vista gnoseologico né epistemologico: «la verità in quanto
tale non è un valore; è piuttosto un’idea, distinta da ogni
valore, che trova verifica intuitiva quando un contenuto
semantico originario a priori di un giudizio, espresso in
forma proposizionale, corrisponde alla sussistenza di uno
stato di cose, e quando la corrispondenza stessa viene
all’evidenza di un dato».41 Il compito del fenomenologo è
così quello di rintracciare coincidenze tra il presunto
(vermeint) e il dato (gegeben) attraverso un’operazione di
carattere disvelante per mezzo della quale il dato viene
svestito da tutte quelle incrostazioni teoriche che lo hanno
occultato rendendolo difficilmente afferrabile. Alla luce
di ciò risulta più facile cogliere in che senso, secondo
Scheler, l’apriori in senso logico è sempre una conseguenza dell’apriori dei fatti: la fenomenologia, assumendo
quale suo oggetto di indagine la sfera spirituale nella sua
totalità, ha il compito di rendere evidente quest’ordine
gnoseologico di fondazione.42 Ogni conoscenza apriorica
dunque ha bisogno di essere ricondotta alla sfera empirica
ed è per questo motivo che la fenomenologia è essenzialmente una forma radicale di empirismo.43
Per quanto concerne la sfera dell’agire pratico Scheler
sostiene la piena indipendenza della conoscenza morale
dalla conoscenza che si ottiene mediante giudizi poiché
questi possono acquisire pienezza intuitiva soltanto nel
sentire il valore.44 I valori assumono così lo statuto di
fenomeni che si afferrano chiaramente nel sentire (fühlbare
Phänomene) e non sono oscure x che assumono senso solo se
ammettiamo dei fenomeni noti. Se partiamo dal presupposto che
il valore di un processo si fondi su un dato assiologico sentito,
che scopriamo nel processo stesso, possiamo forse definire “valore” – provvisoriamente e con qualche approssimazione – la
causa non ancora sufficientemente esaminata del processo.45
Il fatto che il soggetto abbia la possibilità di riconoscere –
nel senso di sentire – il valore di un determinato contenuto è ciò che attiva il processo conoscitivo e valutativo; la
determinazione del valore non è quindi il risultato di un
meccanismo articolato di valutazione e comprensione ma
condizione necessaria di entrambe. Dal punto di vista ontologico i valori sono qualità materiali che nel loro ordinarsi si conformano a uno schema indipendente rispetto ai
contenuti ai quali si riferiscono.46
GEMMO IOCCO
La centralità che Scheler rivendica per il concetto di persona è così radicata nell’idea che proprio la predisposizione emotiva alla percezione del valore sia il suo principium individuationis.47 Pertanto affinché il termine persona sia utilizzato in maniera corretta, è necessario che il
soggetto possieda una certa sensibilità di natura morale:
non sono infatti gli atti di valutazione a determinare la
moralità di una coscienza bensì una certa predisposizione
di carattere affettivo che consiste nell’essere di “orecchio
fine” verso i fatti di coscienza.
È nella sensibilità ai fatti di coscienza (nell’essere di orecchio
fine), nella capacità di coglierli e nel suo esercizio quotidiano
che consiste, innanzitutto, ciò che si definisce “coscienza morale”: non quindi negli atti di valutazione. […] È del tutto insostenibile l’ipotesi secondo la quale le esperienze vissute si manifestano in primo luogo – anche solo per un istante – come degli
“objecta liberi da valori”, e assumono valore solo in seguito,
mediante un nuovo atto o perché, all’esperienza vissuta se ne
aggiunge un’altra.48
Ancora meno esaustiva e appagante dal punto di vista
gnoseologico è la pretesa di afferrare la persona nelle esperienze già vissute poiché è la persona stessa che impregna (durchdringt) i suoi atti del suo stile proprio.49
L’io individuale, secondo Scheler, conferisce una specifica colorazione a ogni esperienza vissuta ed è caratterizzato da un costante e significativo processo di divenire altrimenti (Anderswerden) secondo uno stile personale.50
Una tale accentuazione della dimensione emotiva,
come tratto caratteristico dell’essere persona, trova ulteriori conferme nelle modalità specifiche di esperienza attraverso le quali il soggetto può intuire la propria singolarità. Non stupisce così che le forme di esperienza attraverso le quali la persona può comprendere la propria individualità siano di carattere affettivo e non logico-teoretico.51
Se da un lato una comprensione completa e continuativa
della propria essenza non è possibile in quanto la persona
rimane in ultima istanza “trascendente”, dall’altro, può
manifestarsi, anche se in maniera occasionale, in stati di
carattere emotivo. A conferma di ciò si possono prendere
in considerazione due tipologie di stati attraverso i quali il
soggetto ha la possibilità di cogliere, seppur in forma
transitoria, la propria unicità. La prima è rintracciabile
nello stato di raccoglimento (Sammlung) che precede una
decisione importante, la seconda è quel “ritorno su stessi”
promosso dal sentimento del pudore.
Per quanto concerne la prima esperienza osserva
Scheler:
C’è uno stato che, dal punto di vista linguistico, definiamo “raccoglimento”, cioè, un esser-concentrati-in se stessi (konzentriertes Insichsein), un “vivere profondamente in se stessi”, per così
dire. È come se tutta la vita della nostra anima, anche quella del
passato fosse contenuta in un istante: riunita nel suo essere efficacia; sono momenti rari – ad esempio, nell’istante che precede
una decisione o un’azione importante. In questi casi, non ricordiamo un “particolare” delle nostre precedenti esperienze vissute
– in un certo senso, tutto è “presente” ed efficace. Non siamo
vuoti ma “pieni”, completamente, e “ricchi”. Qui siamo davvero
vicino a noi stessi. Le esperienze vissute, nella loro efficacia, ci
rivolgono appelli da tutti i punti della nostra vita: mille voci –
quasi un sussurro – provenienti dal passato e dal futuro risuonano in noi. “Abbracciamo con lo sguardo” la totalità del nostro io
in tutta la sua varietà e lo esperiamo come un intero che impre-
gna ogni singolo atto, ogni singola azione, ogni singola impresa,
opera.52
In questo stato di carattere affettivo il soggetto sente la
propria specificità individuale e ha così la possibilità,
seppur momentanea, di coglierne l’essenza. Inoltre, essendo un fenomeno istantaneo e occasionale, non incorre
nelle aporie che invece invalidano le teorie riflessive e
auto-riflessive della coscienza di sé.
Per quanto concerne invece il sentimento del pudore
(Schamgefühl) Scheler rileva che esso non è un sentimento esclusivamente sessuale e neppure sociale ma una forza
inibitrice di natura psichica che induce appunto la persona
a “ritornare” su se stessa. Si tratta di un sentimento di difesa attraverso il quale il soggetto, percependo affettivamente il proprio valore, ha la possibilità di preservare
l’intimità dell’io da possibili violazioni di carattere sociale.
L’essenza del sentimento del pudore consiste, per un verso, nel
ritorno dell’individuo su se stesso e nel sentimento di dover necessariamente proteggere l’io individuale dalla sfera
dell’universale; per un altro verso, in un sentimento che manifesta come fosse una tensione tra due strati della coscienza,
l’indecisione delle funzioni superiori della coscienza, in grado di
scegliere i valori, di fronte a oggetti che esercitano una forte attrattiva sulla tendenza istintiva inferiore […] In ogni sentimento
del pudore abbiamo, dunque, sempre due funzioni della
coscienza a e b: a) la prima è la funzione più elevata atta a
scoprire e scegliere i valori, dal procedimento meno automatico
e quindi più suscettibile di cambiamenti, e che tuttavia è, in
maniera variabile, indecisa, b) l’altra è la funzione inferiore,
indifferente ai valori, dal procedimento più automatico ma
capace di suscitare una decisa aspirazione positiva.53
Attraverso il sentimento del pudore la persona cerca di
trovare un equilibrio tra la natura e i bisogni corporei bilanciando lo squilibrio esistente tra il dover essere ideale e
ciò che ogni individuo concretamente è e sente.
Pentimento, risentimento e stati affettivi simili offrono
alternative modalità di auto-coscienza dimostrando ulteriormente come, secondo Scheler, la percezione del proprio sé sia primariamente un’esperienza di carattere affettivo. A conferma di ciò è sufficiente ricordare la funzione
disvelante e ontologicamente primaria ricoperta dal concetto di ordo amoris ovvero di quell’ordine del cuore che
ha per l’uomo «inteso come soggetto morale ciò che è la
formula di cristallizzazione per il cristallo»;54 è proprio
l’ordo amoris che permette di raccogliere quei segnali assiologici che hanno la capacità di attrarre l’attenzione della persona diventando veri e propri stimoli. Affinché ci
possa essere coscienza e conoscenza del proprio sé, è necessario dunque un sentimento ovvero una percezione affettiva attraverso la quale si “avverte” la presenza di un
sostrato esperienziale soggettivo e concreto; si tratta di
una sorta di supporto materiale che viene dunque riconosciuto come “proprio” dalla persona intesa come entità
spirituale.
3. Osservazioni conclusive
Lotze e Scheler condividono così la tesi che la datità immediata del sé è garantita dal sentire emotivo il quale non
142
LOTZE E SCHELER: EMOTIVISMO E AUTOCOSCIENZA
è, in ultima istanza, ulteriormente analizzabile. I sentimenti non sono dunque atti in quanto non necessariamente diretti verso un oggetto, ma stati che garantiscono esperienze di natura particolare: il proprio sé, la propria individualità non si conosce ma si sente. In questo modo
l’individuo dimostra di possedere una predisposizione costitutiva al sentire la correttezza o la non correttezza di
certe azioni, pertanto l’ordine con il quale ogni ente esperisce il valore è ciò che ne costituisce l’essenza. Dal punto
di vista gnoseologico la valutazione morale, di per se
stessa considerata, possiede una funzione cognitiva limitata se non è innescata e accompagnata da un’emozione o
sentimento concomitante. La funzione epistemica delle
emozioni non risiede dunque nell’essere considerate come
modalità di giudizi valutativi ma nel suscitare un determinato stato emotivo nel soggetto valutante: per valutare la
correttezza o non correttezza di un’azione bisogna dunque
sentirla affettivamente. Su queste basi si costruisce
l’identità individuale del soggetto che si rivela un processo biografico in continua evoluzione e accrescimento.
Proprio in virtù del nesso costitutivo esistente tra autocoscienza e sentimento e dell’idea che la valutazione morale non sia unicamente un processo di natura logicoteoretica, le teorie di Lotze e Scheler sembrano ascrivibili
all’interno della tradizione emotivista.55 Una forma di
emotivismo “moderato” secondo il quale i giudizi morali
non possono svolgere una funzione cognitiva se non tengono conto dello stato affettivo che li induce: Lotze e
Scheler non negano il valore gnoseologico delle valutazioni morali ma affermano che ogni tentativo di formalizzare la sfera valutativa rivolto a mettere in secondo piano
le dinamiche affettive inaridisce, e in parte ridimensiona,
le pretese cognitive della valutazione stessa.56
Note
1
Emblematico in questo senso è quanto Lask scrive ne La logica della
filosofia e la dottrina delle categorie (1911): «Un’azione liberatrice e
chiarificatrice è rappresentata, nella nostra epoca, dal tentativo che rimonta principalmente agli impulsi di Lotze – di riportare, con la massima nettezza, la totalità del pensabile in generale a un’ultima duplicità,
alla frattura tra ciò che è e ciò che vale, tra ambito dell’essere e ambito
della validità, tra formazioni che riguardano ciò che è e formazioni che
riguardano ciò che vale, tra la sfera dell’effettualità e quella del valore,
tra ciò che è e accade e ciò che vale, senza dover essere» (E. LASK, Die
Logik der Philosophie und die Kategorienlehre. Eine Studie über der
Herrschaftsbereich der logischen Form, Mohr, Tübingen 1911; tr. it. di
F. Masi, La logica della filosofia e la dottrina delle categorie, Quodlibet, Macerata 2016, p. 12). Relativamente all’accezione di giudizio etico
ed estetico in Lotze in relazione a Kant e al neokantismo si veda C. MOREL, Entre Kant et nèo-kantismes. Jugement éthique et jugement esthétique chez Lotze, in F. BOCCACCINI (dir.), Lotze et son héritage. Son
influence et son impact sur la philosophie du XXe, Peter Lang, Bruxelles
2015, pp. 103-118.
2
M. SCHELER, Wesen und Formen der Sympathie, (in Gesammelte
Werke VII: Wesen und Formen der Sympathie – Die deutsche Philosophie der Gegenwart, Bouvier Verlag, Bonn 20057); tr. it. di L. Oliva e S.
Soannini e cura di L. Boella, Essenza e forme della simpatia, FrancoAngeli, Milano 2010, p. 34.
3
A tale proposito nel dibattito contemporaneo si è soliti parlare di “intelligenza emotiva” intendendo con ciò la capacità, costitutiva dell’essere
umano, di cogliere quelle sfumature di carattere affettivo che possiedono
una rilevanza gnoseologica almeno pari, se non superiore, alle capacità
razionali-intellettuali. Sull’argomento si veda: A. DAMASIO, L’errore di
Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano 1995;
D. GOLEMAN, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 1996; J. LEDOUX, Il
cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Baldini e Castoldi, Milano
1998.
143
4
Relativamente al rapporto tra auto-coscienza ed emozione nel periodo
che va da Lotze a Scheler si veda: G. FRÉCHETTE, Searching for the
Self: Early Phenomenological Accounts of Self-Consciousness from Lotze to Scheler, «International Journal of Philosophical Studies», 2013,
Vol. 21, No. 5, pp. 654-679.
5
A tale proposito si veda D. ZAHAVI, Subjectivity and Selfhood. Investigating the First-Person Perspective, MIT, Cambridge-London 2006.
6
Scrive Lotze a questo proposito «Non formiamo il nome sostantivato
di io come di un essere al quale appartiene ciò che chiamiamo l’essere
“mio” solo dopo che dirigiamo la riflessione su queste circostanze. E qui
deve essere fatta una duplice distinzione. L’immagine mentale che formiamo per noi stessi del nostro proprio essere è più o meno corretta o
erronea; ciò dipende dallo sviluppo delle nostre capacità cognitive per
mezzo delle quali ogni essere si sforza teoreticamente di fornire a se
stesso una spiegazione concernente questo centro dei suoi specifici atti
mentali. Dall’altra, la chiarezza e intimità con la quale ogni essere che
prova sentimenti distingue se stesso dall’intero mondo non dipende del
tutto dall’appropriatezza della comprensione del suo stesso essere, ma è
espressa nel caso delle forme di vita animali meno evolute nel fatto che
esse riconoscono i loro stati come propri per mezzo del dolore fisico o
del piacere, nel modo altrettanto vivido a quello delle forme di vita più
evolute» (H.R. LOTZE, Outlines of Psychology, Ginn e Company, Boston 1996, pp. 80-81).
7
Per un’esposizione generale della teoria delle emozioni proposta da
Lotze si veda F. BAISER, Late German Idealism. Trandelenburg &
Lotze, Oxford University Press, Oxford 2013, pp. 223-229; W.R.
WOODWARD, Hermann Lotze. An Intellectual Biography, Cambridge
University Press, New York 2015, pp. 202-215.
8
R.H. LOTZE, Medizinische Psychologie oder Physiologie der Seele,
Weidmann’sche Buchhandlung 1852, pp. 283-287.
9
R.H. Lotze, Mikrokosmus. Ideen zur Naturgeschichte der Menschheit.
Versuch einer Anthropologie, (Hirzel, Leipzig 1956I-1958II-1964III),
Meiner, Leipzig 19236, pp. 139; tr. it. (parziale) a cura di L. Marino,
Microcosmo. Idee sulla storia naturale e sulla storia dell’umanità. Saggio di antropologia, UTET, Torino 1988, pp. 431-521.
10
Cfr. R.H. LOTZE Logik. Drei Bücher vom Denken, vom Untersuchen
und vom Erkennen, hrsg. v. G. Misch, Meiner, Leipzig 1912, p. 12; tr. it.
di F. De Vincenzis, Logica. Tre libri sul pensiero, sulla ricerca e sulla
conoscenza, Bompiani, Milano 2010, pp. 133-135: «Le diverse forme di
pensiero saranno ordinate in una serie crescente in cui ogni termine cerca di eliminare un difetto in quello precedente, dovuto al suo fallimento
nel soddisfare, riguardo al problema particolare, l’impulso generale del
pensiero a ricondurre il coesistente al coerente (Zusammenseiendes auf
Zusammengehöriges)». Già nel Mikrokosmus, Lotze aveva distinto il
pensare dall’avere coscienza: se al pensiero deve essere attribuita la
conoscenza di verità necessariamente valide, l’avere coscienza consiste
nel riconoscere le determinazioni di valore (cfr. LOTZE, Microcosmo.
Idee sulla storia naturale e sulla storia dell’umanità. Saggio di Antropologia, cit., p. 836).
11
Ibidem.
12
LOTZE, Logica. Tre libri sul pensiero, sulla ricerca e sulla conoscenza, cit., p. 139.
13
LOTZE, Medizinische psychologie oder Physiologie der Seele, cit., p.
233.
14
A tale proposito è evidente l’influenza che la teoria delle emozioni
proposta da Lotze ha esercitato su William James per il quale «Sentiamo
dolore perché piangiamo, rabbia perché colpiamo, dispiacere perché
tremiamo e non viceversa. Senza lo stato corporeo che segue alla percezione, l’ultimo sarebbe solamente, dal punto di vista cognitivo, pallido,
privo di colore e privo di calore emozionale» (cfr. W. JAMES, What is an
emotion?, «Mind», Vol. 9, No. 34, 1884, p. 190). Sul rapporto JamesLotze cfr. S. Poggi & M. Vagnetti, James lecteur de Lotze, in F. Boccaccini (dir.), Lotze et son héritage. Son inlfuence et son impact sur la
philosophie du XXe, Peter Lang, Bruxelles 2015, pp. 161-170.
15
Ibidem.
16
Ibid, p. 260.
17
R.H. Lotze, Outlines of Psychology. Dictated Portion of the Lectures
of Hermann Lotze, ed by. G.T. Ladd, Ginn & Company, Boston 1886,
pp. 76-77.
18
In quest’ottica appare illuminate l’invito di Carl Stumpf a distinguere
tra fenomeni e funzioni psichiche intendendo con i primi sia i contenuti
delle sensazioni che le omonime immagini mnestiche mentre con le seconde, atti, stati e vissuti. Per quanto concerne il rapporto tra funzioni
emotive e valori rileva Stumpf: «Le cose che chiamiamo valori o beni,
con tutte le loro classi e i loro contrasti (il rallegrante, il desiderato, il
temibile, il piacevole e lo spiacevole, mezzo e fine, ciò che è da preferirsi e da rigettarsi, ecc.) ricadono sotto il concetto delle formazioni. Si
tratta degli specifici contenuti dei sentimenti e della volontà, che vanno
GEMMO IOCCO
distinti tanto dalle funzioni stesse quanto dai fenomeni (e inoltre dagli
oggetti) ai quali si rapportano» (C. Stumpf, Erscheinungen und psychische Funktionen, «Abhandlungen der Königlich Preussischen Akademie
der Wissenschaften», philosophisch-historische Abhandlungen, 4, Reimer, Berlin 1906; tr. it. di R. Martinelli, Fenomeni e funzioni psichiche,
in Id., La rinascita della filosofia, Quodlibet, Macerata 2009, p. 91).
19
LOTZE, Microcosmo. Idee sulla storia naturale e sulla storia
dell’umanità. Saggio di antropologia, cit., pp. 180-181.
20
Ibid, p. 201.
21
Sull’argomento si veda M. SCHELER, Der Formalismus in der Ethik
und die materiale Wertethik. Neuer Versuch der Grudlegung eines ethischen Personalismus, (in Gesammelte Werke II, Bonn, Bouvier Verlag
20098); tr. it. di R. Guccinelli, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico,
Milano, Bompiani, 2013, p. 349. Relativamente a ciò si veda G. IOCCO,
La critica delle illusioni morali: Max Scheler e la fenomenologia, «Intersezioni», 1, 2017, pp. 75-92.
22
Scrive Lotze: «Con i sentimenti di piacere o di dispiacere lo spirito
esperimenta il valore che le impressioni esterne hanno per esso, se sono
cioè in armonia o in contraddizione con la sua natura. In ultima analisi il
piacere si basa sul fatto che allo spirito vengono offerti stimoli che, armonizzandosi con l’indirizzo, le condizioni e la forma della sua vita evolutiva, favoriscono la sua attività. Il dispiacere deriva invece da quegli
stimoli che ostacolano l’attività dello spirito» (LOTZE, Microcosmo. Idee
sulla storia naturale e sulla storia dell’umanità. Saggio di antropologia,
cit., p. 201)
23
Ibid, p. 439.
24
Ibid. p. 202.
25
Di questo avviso è Santayana: cfr. G. SANTAYANA, Lotze’s Moral
Idealism, «Mind», Vol. 15, No. 58, 1890, pp. 191-212. Sull’argomento
di veda anche S. BESOLI, Il valore della verità, Ponte alle Grazie, Firenze 1992, p. 98. Sul rapporto tra Santayana e Lotze cfr. F. BOCCACCINI,
Lotze en Amérique: le renouveau réaliste chez Santayana, in F. Boccaccini (dir.), Lotze et son héritage. Son inlfuence et son impact sur la philosophie du XXe, Peter Lang, Bruxelles 2015, pp. 171-189.
26
Il concetto di valore si dimostra dunque “polisemico” in quanto non è
possibile offrirne una definizione univoca ma possiede molteplici sfumature. Sull’argomento si veda B. CENTI, L’armonia impossibile. Alle
origini del concetto di valore in R.H. Lotze, Guerini, Milano 1993.
27
Scrive Lotze: «A proposito del giudizio morale, si può certo convenire
che esso dipende in gran parte, sebbene in maniera indiretta, dalla precisione con cui la percezione sensibile ci rappresenta le circostanze date e
dalla vivacità delle rappresentazioni e dei sentimenti che si collegano a
quelle circostanze. La sfera del corpo contiene dunque solo le condizioni
preliminari della vita superiore dello spirito» (LOTZE, Microcosmo. Idee
sulla storia naturale e sulla storia dell’umanità. Saggio di antropologia,
cit., pp. 246-247).
28
Ibid., p. 441.
29
Ibid., p. 502.
30
Ibid., p. 503.
31
Ibid., p. 203.
32
LOTZE, Outlines of Psychology. Dictated Portion of the Lectures of
Hermann Lotze, cit., pp. 81-82.
33
LOTZE, Microcosmo. Idee sulla storia naturale e sulla storia
dell’umanità. Saggio di antropologia, cit., p. 518.
34
Ibid., p. 517.
35
SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., pp. 187/189.
36
M. SCHELER, Die Stellung des Menschen im Kosmos (1928), (in Gesammelte Werke IX: Späte Schriften, Bouvier Verlag, Bonn 20083); tr.
it. di G. Cusinato, La posizione dell’uomo nel cosmo, FrancoAngeli,
Milano 2000, pp. 125-126.
37
SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., p. 745.
38
SCHELER, La posizione dell’uomo nel cosmo, cit., p. 126.
39
SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., p. 365.
40
A tale proposito è opportuno inserire nel contesto dell’argomentazione
anche il concetto di validità il quale, secondo Lotze, non coincide affatto
con quello di valore. Il concetto di valore si colloca all’interno della definizione di verità e di realtà e, come osserva Beatrice Centi «sostituisce
il concetto di dover essere che allora esprimeva lo spettro di significati
raccolti attorno al tema del valere e della necessità. Tra questi era da
annoverare anche il valore come espressione di fini e di beni, che, in
quanto tali, dovevano essere realizzati» (cfr. B. CENTI, Realtà, validità e
idee nel pensiero di Lotze, «Rivista di storia della filosofia», Vol. 52,
No. 4, 1997, p. 709).
41
SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., pp. 375-377.
42
Sul rapporto tra a priori ed emozione in Scheler si veda: M. KHORKOV, Zu Max Schelers Konzeption des emotionalen Apriori, in G. Cusinato & M.C. Bruttomesso, Max Scheler and the Emotional Turn,
«Thaumàzein», 3, 2015, pp. 183-198.
43
M. SCHELER, Phänomenologie und Erkenntnistheorie (1913), (in Gesammelte Werke X: Schriften aus dem Nachlaß, Bd. 1: zur Ethik und
Erkenntnislehre, Bouvier Verlag, Bonn 20004); tr. it. di V. D’Anna, Fenomenologia e teoria della conoscenza, (1913), in Id., Scritti fenomenologici, FrancoAngeli, Milano 2013, p. 136.
44
Ibid., p. 157. Per quanto riguarda l’accezione scheleriana di Gefühl
con particolare riferimento a Lotze si veda W. HENCKMANN, Max Scheler, Beck, München 1998, pp. 100-106.
45
SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., p. 59.
46
In riferimento a ciò si veda F. HAUSEN, Affektives Erfassen von Bedeutsamkeit – Überlegungen zu Schelers “Wertfühlen”, in G. Cusinato
& M.C. Bruttomesso, Max Scheler and the Emotional Turn, «Thaumàzein», 3, 2015, pp. 271-286.
47
A tale proposito cfr. W. HENCKMANN, Person und Wert. Zur Genesis
einer Problemstellung, in C. Bermes, W. Henckmann, H. Leonardy
(hrsg. von), Person und Wert. Schelers “Formalismus” – Perspektiven
und Wirkungen, Karl Alber, Freiburg-München 2000, pp. 11-28 e R.
GUCCINELLI, Fenomenologia del vivente. Corpi, ambienti, mondi: una
prospettiva scheleriana, Aracne, Roma 2016, pp. 203-260.
48
SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., p. 387.
49
Scrive Scheler «Finché guardiamo a queste “esperienze” per così dire,
e non all’esperire le esperienze, la persona rimane del tutto trascendente.
Ogni esperire così inteso o – se vogliamo – ogni atto concreto, comporta
tutte le essenze d’atto che possiamo distinguere fenomenologicamente
secondo rapporti di fondazione apriorici, così come risultano dalle relative ricerche. Ogni atto dunque, comporta un percepire interno ed esterno, una coscienza del corpo-vivo, un amare e un odiare, un sentire assiologico e un preferire, un volere e non-volere, un giudicare, un ricordare,
un rappresentare ecc. Per quanto necessarie, tutte queste distinzioni offrono solo i lineamenti astratti dell’atto concreto della persona. Non è
possibile intendere la persona nei termini di una mera connessione degli
atti; analogamente, non è possibile intendere un atto concreto nei termini
di una mera somma, o della mera stratificazione, delle astratte essenze
d’atti. È la persona stessa piuttosto che, vivendo in ognuno dei suoi atti,
lo impregna [durchdringt] interamente del suo stile proprio. Nessuna
conoscenza dell’essenza, ad esempio dell’amore o del giudizio, ci permette di conoscere il modo in cui le persone A o B amano e giudicano, e
nemmeno di scorgere, ovviamente, i contenuti (oggetti di valore, stati
cose) che sono dati loro in quegli atti. Uno sguardo rivolto alla persona
stessa e alla sua essenza, invece, lascia che l’unicità del contenuto originario a priori affiori immediatamente in ogni atto che sappiamo compiuto da lei – ovvero, ogni contenuto dei suoi atti, permette di approfondire
la conoscenza del suo “mondo”» (Ibid., pp. 751/753). In riferimento al
personalismo etico di Scheler cfr. P.H. SPADER, Scheler’s Ethical Personalism. It’s Logic, Development and Promise, Fordham University
Press, New York 2002.
50
Ibid., p. 823.
51
Cfr. G. CUSINATO, L’etica e i valori: Scheler e il rovesciamento dello
schema di Brentano e Husserl, «Idee», Vol. 37-38, 1998, pp. 200-214.
52
Ibid, p. 815
53
M. SCHELER, Über Scham und Schamgefühl (1913), (in Gesammelte
Werke X: Schriften aus dem Nachlaß, Bd. 1: Zur Ethik und Erkenntnislehre, Bouvier Verlag, Bonn 20044); tr. it. M.T. Pansera, Pudore e sentimento del pudore, Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 57-58. Sul rapporto tra pudore e auto-coscienza si veda D. ZAHAVI, Self, Consciousness, and Shame, D. Zahavi (ed.), The Oxford Handbook of Contemporary Phenomenology, Oxford University Press, Oxford 2012, pp. 304323.
54
M. SCHELER, Ordo Amoris (1914-1916), (in Gesammelte Werke X:
Schriften aus dem Nachlaß, Bd. 1: Zur Ethik und Erkenntnislehre, Bouvier Verlag, Bonn 20044); tr. it. di Simonotti, Ordo Amoris, Aracne,
Brescia 2008, p. 52.
55
A tale proposito Satris evidenzia il nesso esistente tra le teorie del valore austro-tedesche di fine Ottocento e l’emotivismo novecentesco: cfr.
S. SATRIS, Ethical Emotivism, Nijhoff, Dordrecht 1987, pp. 5-19.
Sull’argomento si veda anche FRÉCHETTE, Searching for the Self: Early
Phenomenological Accounts of Self-Consciousness from Lotze to
Scheler, cit., p. 657.
144
LOTZE E SCHELER: EMOTIVISMO E AUTOCOSCIENZA
56
Relativamente al rapporto tra valore e verità nell’emotivismo cfr. C.L.
STEVENSON, Ethics and Language, Yale University Press, New Haven
1944, pp. 152-173.
145