Antroposcenari, come l uomo è diventato una
forza geologica
- Tiziano Fratus, 24.05.2018
.
<HS2>Si sa che all ambientalismo piacciono i termini apocalittici. Eppure, leggendo i saggi inclusi
nel volume Antroposcenari. Storie, paesaggi, ecologie a cura di Daniela Fargione e Carmen Concilio,
pubblicato da Il Mulino, facendo i conti sia con disquisizioni scientifiche quanto con l anelito
umanista di poeti e pensatori che riflettono sull impatto che le attività umane hanno avuto e
continuano a manifestare sull ambiente, ossia sui paesaggi e sulle altre forme di vita, non resta
granché da illudersi. Come scrive il metereologo Luca Mercalli, in postfazione: «non siamo ancora
sul bordo del baratro ma poco ci manca, e dobbiamo cercare delle uscite di emergenza non
convenzionali, inventarci percorsi alternativi su strade non segnate e più impervie. Ci siamo in
sostanza spinti troppo in là dei territori sicuri per l umanità, i cosiddetti confini planetari oltre i
quali la biosfera rischia di non essere più in grado di sostenere la nostra vita».
Ok, il baratro, la fine del mondo, la fine dell umanità: ma come, quanti decenni sono che sentiamo
ripetere gli stessi avvertimenti, triti e ritriti? Non sarà invece vero, come sostengono altri scienziati,
politici, opinionisti che il mondo è troppo grande per essere influenzato dalle nostre azioni? Non ci
sono già state precedenti estinzioni di massa? Allora partiamo dal principio, ossia dal termine da cui
nasce il volume: Antropocene. Si tratta di un neologismo coniato dal biologo Eugene Stoermer e dal
premio Nobel Paul J. Crutzen nel 2000, per «riferirsi a quest epoca geologica in cui l ambiente
terrestre, inteso come l insieme delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche in cui si crea ed
evolve la vita, è profondamente condizionato dagli effetti dell azione umana», scrive la Fargione
nell introduzione, o come ribadisce Serenella Iovino, in prefazione, «una sola specie vivente la
nostra, in greco anthropos è diventata una forza geologica», tanto che per la prima volta nella
storia del pianeta «pratiche sociali sono entrate a far parte della stratigrafia, iscrivendosi nelle rocce
e condizionando la capacità portante della Terra». Ora, che l umanità abbia in buona misura
ridisegnato la superficie del pianeta è sotto gli occhi di chiunque, scettico, ecocritico o agnostico. I
nostri paesaggi agrari e urbani sono figli della mano dell uomo, così come nel corso dei secoli sono
stati coltivati molti dei nostri boschi, quantomeno in Europa. Addirittura parte di quel piccolo mondo
antico che abbiamo imparato a preservare, in circa due secoli di impegno e campagne di
sensibilizzazione, e che chiamiamo natura , ha matrici umane che si potrebbero discutere. Ma
quanto tutto questo ha modificato i tempi del pianeta? I saggi inclusi nel volume danno una risposta
che è chiarissima, avanzando in quella pratica che da più parti oramai preme affinché i temi
ambientali ed ecologici vangano considerati temi universali, planetari, non soltanto accademici e
scientifici, poiché al centro c è l amore per il pianeta stesso, per la vita, il rispetto per ogni forma di
esistenza.
Antroposcenari si articola in tre parti: la prima è dedicata a «discorsi e narrazioni» consiglio ad
esempio Narrare il paesaggio della perdita di Antonella Tarpino, la seconda è vocata alle «ecologie
culturali» l ecolirica del poeta irlandese Derek Mahon secondo Irene De Angelis o il pensiero
ecocritico nel nuovo cinema italiano di Alberto Baracco, la terza a «cibo e migrazioni» che abbraccia,
ad esempio, Il frigorifero come antroposcenario di Carmen Concilio e l interessantissimo
Antroposcenari nel Pacifico di Paola della Valle, che ci ricorda grazie alla scoperta di voci della
nuova letteratura oceanica, quanto il Pacifico sia diventato «un laboratorio dove si stanno già
sperimentando i peggiori effetti dei cambiamenti climatici», curiosamente proprio là dove ancora
saremmo portati a pensare che persista l ultimo bagliore di paradiso terrestre.
© 2018 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE
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Home » DOXA segnalazioni » .et_breadcrumbs_content Torinesi a New York. Al Graduate Center si parla di Antropo-Scenari.
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Nel cuore di Manhattan, all’angolo con l’Empire State Building, sulla 365 Fifth Avenue, si trova il Graduate Center, City University of New York, in questa importante sede è stato presentato un libro scritto da due docenti torinesi: Daniela Fargione e Carmen Concilio.
Graduate Center New York
Entrambe appartenenti all’Università di Torino, hanno curato un testo a più voci dall’impegnativo titolo «Antroposcenari. Storie, paesaggi, ecologie», edito per i tipi del Mulino. L’antropocene, parola a cui hanno aggiunto scenari è, secondo la Treccani “L’epoca geologica attuale, ossia l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche“. Il termine antropocene fu coniato nel 2000 dal chimico olandese premio Nobel Paul Crutzen.
«Antroposcenari. Storie, paesaggi, ecologie» è il risultato del confronto e del dibattito aperto di vari studiosi di scienze umane ambientali (o «environmental humanities») su aspetti cruciali dell’Antropocene, l’era geologica in cui all’attività di un’unica specie – quella umana, appunto – si è attribuita la causa principale delle alterazioni sulla Terra.
I saggi raccolti nel libro riflettono un ampio ventaglio di discorsi articolati con un preciso approccio critico interdisciplinare – dalla filosofia alla meteorologia, dalla letteratura alla sociologia, dalla linguistica alla cinematografia.
L’obiettivo è far luce sull’antropizzazione che si ripercuote su clima, territori, paesaggi, sul sistema delle acque, su cibi e migrazioni, offrendo una visione panoramica – locale e globale – dei problemi ambientali in tutte le loro sfaccettature.
Senza voler offrire soluzioni consolatorie, il volume intende rinnovare la nostra episteme, erroneamente radicata nella profonda e netta frattura tra natura e cultura.
Come scrive Serenella Iovino nella prefazione, gli scenari dell’Antropocene pongono sfide che anche gli umanisti sono pronti ad accogliere, integrando i discorsi di tecnici e scienziati.
Ed è proprio la visualizzazione di questa condizione ibrida che occorre amplificare attraverso un discorso transdisciplinare. La complessità culturale e scientifica posta da fenomeni quali il riscaldamento globale, la perdita della biodiversità, l’insostenibile crescita della popolazione, la deforestazione, l’aumento della salinità dei mari, la desertificazione, le migrazioni, tanto per citarne alcuni, richiede una narrazione altrettanto complessa.
The Graduate Center
Come scrive nell’introduzione al testo Daniela Fargione, le produzioni artistiche e letterarie – dai romanzi ai film, dalle fotografie alle poesie – descrivono le metamorfosi dell’Antropocene come fenomeni controversi, globali e correlati in un fitto intreccio di interconnessioni umane e non umane – una dimensione naturalculturale, per dirla con la teorica americana Donna Haraway – sicché l’ambiente non costituisce più un semplice sfondo per le storie narrate, bensì influisce sulle trame e sui personaggi generando traiettorie narrative del tutto nuove, dando spazio a prospettive multiple che includono il non umano e contribuiscono a «trovare una via d’uscita dall’immaginario individualizzante in cui siamo intrappolati».
Le tremende verità su Katrina, tato per citare un esempio, sono affiorate attraverso un libro e un film, che hanno ben spiegato la catastrofe come un intreccio di politica, capitalismo, nuova guerra al terrorismo, a sua volta genitrice di nuove forme di nazionalismo, iper-patriottismo, cinismo…
Da sx Leonardo Nolé, Daniela Fargione, Giancarlo Lombardi.
Come auspica Amitav Ghosh mentre si interroga sulle molteplici rotture che hanno sconvolto le nostre esistenze e che ora richiedono abitudini nuove (a partire proprio dalle nostre modalità narrative), non possiamo che augurarci una nuova messe di opere che trovino ispirazione da ciò che ci circonda. «Antroposcenari. Storie, paesaggi, ecologie» si propone questo esatto obiettivo: conciliare rigore scientifico ed estro creativo nell’intento di risanare le numerose storie monche che abbiamo letto finora sulle insidie eco-climatiche.
Per alcuni aspetti sembra di ritrovare la stessa esortazione del poeta Ives Bonnefoy, quando parlava dell’istintiva solidarietà tra poesia e natura, invitando a non considerare la natura solo come un piacevole ornamento ma una casa vivente.
The Graduate Center
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17 marzo 2018 - Notiziario
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Nel cuore di Manhattan, all’angolo con l’Empire State Building, sulla 365 Fifth Avenue, si trova il Graduate Center, City University of New York, in questa importante sede è stato presentato un libro scritto da due docenti torinesi: Daniela Fargione e Carmen Concilio.
Graduate Center New York
Entrambe appartenenti all’Università di Torino, hanno curato un testo a più voci dall’impegnativo titolo «Antroposcenari. Storie, paesaggi, ecologie», edito per i tipi del Mulino. L’antropocene, parola a cui hanno aggiunto scenari è, secondo la Treccani “L’epoca geologica attuale, ossia l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche“. Il termine antropocene fu coniato nel 2000 dal chimico olandese premio Nobel Paul Crutzen.
Antroposcenari. Storie, paesaggi, ecologie» è il risultato del confronto e del dibattito aperto di vari studiosi di scienze umane ambientali (o «environmental humanities») su aspetti cruciali dell’Antropocene, l’era geologica in cui all’attività di un’unica specie – quella umana, appunto – si è attribuita la causa principale delle alterazioni sulla Terra.
I saggi raccolti nel libro riflettono un ampio ventaglio di discorsi articolati con un preciso approccio critico interdisciplinare – dalla filosofia alla meteorologia, dalla letteratura alla sociologia, dalla linguistica alla cinematografia.
L’obiettivo è far luce sull’antropizzazione che si ripercuote su clima, territori, paesaggi, sul sistema delle acque, su cibi e migrazioni, offrendo una visione panoramica – locale e globale – dei problemi ambientali in tutte le loro sfaccettature.
Senza voler offrire soluzioni consolatorie, il volume intende rinnovare la nostra episteme, erroneamente radicata nella profonda e netta frattura tra natura e cultura.
Come scrive Serenella Iovino nella prefazione, gli scenari dell’Antropocene pongono sfide che anche gli umanisti sono pronti ad accogliere, integrando i discorsi di tecnici e scienziati.
Ed è proprio la visualizzazione di questa condizione ibrida che occorre amplificare attraverso un discorso transdisciplinare. La complessità culturale e scientifica posta da fenomeni quali il riscaldamento globale, la perdita della biodiversità, l’insostenibile crescita della popolazione, la deforestazione, l’aumento della salinità dei mari, la desertificazione, le migrazioni, tanto per citarne alcuni, richiede una narrazione altrettanto complessa.
The Graduate Center
Come scrive nell’introduzione al testo Daniela Fargione, le produzioni artistiche e letterarie – dai romanzi ai film, dalle fotografie alle poesie – descrivono le metamorfosi dell’Antropocene come fenomeni controversi, globali e correlati in un fitto intreccio di interconnessioni umane e non umane – una dimensione naturalculturale, per dirla con la teorica americana Donna Haraway – sicché l’ambiente non costituisce più un semplice sfondo per le storie narrate, bensì influisce sulle trame e sui personaggi generando traiettorie narrative del tutto nuove, dando spazio a prospettive multiple che includono il non umano e contribuiscono a «trovare una via d’uscita dall’immaginario individualizzante in cui siamo intrappolati».
Le tremende verità su Katrina, tato per citare un esempio, sono affiorate attraverso un libro e un film, che hanno ben spiegato la catastrofe come un intreccio di politica, capitalismo, nuova guerra al terrorismo, a sua volta genitrice di nuove forme di nazionalismo, iper-patriottismo, cinismo…
Da sx Leonardo Nolé, Daniela Fargione, Giancarlo Lombardi.
Come auspica Amitav Ghosh mentre si interroga sulle molteplici rotture che hanno sconvolto le nostre esistenze e che ora richiedono abitudini nuove (a partire proprio dalle nostre modalità narrative), non possiamo che augurarci una nuova messe di opere che trovino ispirazione da ciò che ci circonda. «Antroposcenari. Storie, paesaggi, ecologie» si propone questo esatto obiettivo: conciliare rigore scientifico ed estro creativo nell’intento di risanare le numerose storie monche che abbiamo letto finora sulle insidie eco-climatiche.
Per alcuni aspetti sembra di ritrovare la stessa esortazione del poeta Ives Bonnefoy, quando parlava dell’istintiva solidarietà tra poesia e natura, invitando a non considerare la natura solo come un piacevole ornamento ma una casa vivente.
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Autore: Edmondo Bertaina
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