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2018, Anthropologica, Trieste, Meudon, Istituto Jacques Maritain

|2018 Anthropologica ANNUARIO DI STUDI FILOSOFICI A CCOGLIERE LA CARNE PER UNA VISIONE INTEGRALE DELLA SESSUALITÀ ACCOGLIERE LA CARNE Anthropologica è un annuario di filosofia legato alle attività di ricerca del Centro Studi Jacques Maritain che si propone un duplice obiettivo: da una parte, la comprensione dei molteplici aspetti che attengono alla cosiddetta "questione antropologica", che mostra oggi una rinnovata attualità e rappresenta in modo sempre più evidente una decisiva sfida storico-epocale. Dall'altra, una riflessione teorica che, superando la frammentazione disciplinare dei saperi, metta in luce il significato e il valore dell'umanesimo occidentale e delle radici culturali che lo sostengono. Il Centro Studi Jacques Maritain è un'associazione culturale senza fine di lucro che, in col-legamento con realtà accademiche nazionali ed internazionali, promuove attività di studio e ricerca attorno ai temi dell'uomo, della cultura e della società contemporanea. Tra inediti matrimoni con se stessi e recenti successi di Sex education, viviamo un'epoca di grande affaticamento dell'amore e ostentato protagonismo del sesso. Il "per sempre" spaventa, il sesso garantisce il "solo per ora". Dal "travaglio", attraverso il quale ogni relazione d'amore cresce, vogliamo immunizzarci, mentre al piacere dei corpi siamo disposti a consacrarci. In molti sanno sempre più di sesso, pochi condividono una domanda di senso. Così sulla scena del mondo resta una oscena visibilità del sesso, che spinge in un angolo buio la questione dell'amore. Questo numero di Anthropologica intende ripartire proprio dalla sessualità, per provare a toglierla dall'insignificanza nella quale è caduta, che va a braccetto con la sua pervasività. Filo rosso è la lettura della sessualità come un "intensivo" della relazione: non ciò che si esaurisce nell'incontro dei corpi, ma si decifra nel legame con un'ulteriorità che la orienta, ne rende ragione. Tra desiderio e relazione, bene per sé e bene per l'altro, la dimensione della sessualità convoca tre dimensioni decisive della relazionalità umana-interior, exterior, superior-e ne ribadisce l'essenzialità per ripensare in maniera integrale anche questa esperienza dell'umano.

Tra inediti matrimoni con se stessi e recenti successi di , viviamo un’epoca di grande affaticamento dell’amore e ostentato protagonismo del sesso. Il “per sempre” spaventa, il sesso garantisce il “solo per ora”. Dal “travaglio”, attraverso il quale ogni relazione d’amore cresce, vogliamo immunizzarci, mentre al piacere dei corpi siamo disposti a consacrarci. In molti sanno sempre più di sesso, pochi condividono una domanda di senso. Così sulla scena del mondo resta una oscena visibilità del sesso, che spinge in un angolo buio la questione dell’amore. Questo numero di intende ripartire proprio dalla sessualità, per provare a toglierla dall’insignificanza nella quale è caduta, che va a braccetto con la sua pervasività. Filo rosso è la lettura della sessualità come un “intensivo” della relazione: non ciò che si esaurisce nell’incontro dei corpi, ma si decifra nel legame con un’ulteriorità che la orienta, ne rende ragione. Tra desiderio e relazione, bene per sé e bene per l’altro, la dimensione della sessualità convoca tre dimensioni decisive della relazionalità umana – e ne ribadisce l’essenzialità per ripensare in maniera integrale anche questa esperienza dell’umano. ISSN 2239 - 6160 è un annuario di filosofia legato alle attività di ricerca del Centro Studi Jacques Maritain che si propone un duplice obiettivo: da una parte, la comprensione dei molteplici aspetti che attengono alla cosiddetta “questione antropologica”, che mostra oggi una rinnovata attualità e rappresenta in modo sempre più evidente una decisiva sfida storico-epocale. Dall’altra, una riflessione teorica che, superando la frammentazione disciplinare dei saperi, metta in luce il significato e il valore dell’umanesimo occidentale e delle radici culturali che lo sostengono. Il Centro Studi Jacques Maritain è un’associazione culturale senza fine di lucro che, in collegamento con realtà accademiche nazionali ed internazionali, promuove attività di studio e ricerca attorno ai temi dell’uomo, della cultura e della società contemporanea. 2018 ANNUARIO DI STUDI FILOSOFICI nthropologica |2018 ACCOGLIERE LA CARNE PER UNA VISIONE INTEGRALE DELLA SESSUALITÀ LUCA ALICI è professore associato di Filosofia Politica presso l’Università di Perugia. Tra i suoi libri: (Meudon 2012), (Morcelliana 2012), (Morlacchi 2017), Filosofia politica (con Roberto Gatti, Morcelliana 2018), conflitto, oltre il nemico (a cura di, Il Mulino 2018). è docente a contratto di Filosofia Morale presso l’Università di Macerata. Tra i suoi libri: L’orizzonte e le radici. Sul riconoscimento del legame comunitario (Aracne 2011), Legami privati e relazioni pubbliche. Una rilettura di Axel Honneth (Orthotes 2013), Differenze e narrazione. Per un universale etico condiviso (ETS 2018). A CURA DI LUCA ALICI E SILVIA PIEROSARA € 25,00 EDIZIONI MEUDON IndIce nthropologica |3 nthropologica | 2014 nthropologica ANNUARIO DI STUDI FILOSOFICI DELL’ISTITUTO JACQUES MARITAIN | DIRETTO DA Giovanni LucaGRION GRION AndreaGRANDI AGUTI eeLuca | COMITATO DI DIREZIONE Andrea AGUTI, AGUTI, Luca Luca ALICI, ALICI,Francesco FrancescoLONGO, LONGO,Fabio FabioMACIOCE, MACIOCE,Fabio FabioMAZZOCCHIO, MAZZOCCHIO, Giovanni GRANDI, Luca PERATONER, GRION, Alberto PERATONER, Leopoldo SANDONÀ, Simone GRIGOLETTO, Alberto Leopoldo SANDONÀ, Francesca SIMEONI, Gian Paolo TERRAVECCHIA, TERRAVECCHIA,Pierpaolo PierpaoloTRIANI TRIANI. | SEGRETERIA DI REDAZIONE Stefano MENTIL, Francesca ZACCARON Lucia BEZZO e Francesca ZACCARON | COMITATO SCIENTIFICO Rafael ALVIRA (Università di Navarra); Enrico BERTI (Università di Padova); Calogero CALTAGIRONE (Università di Roma-LUMSA); Giacomo CANOBBIO (Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale); Carla CANULLO (Università di Macerata); Gennaro CURCIO (Istituto Teologico di Basilicata); Antonio DA RE (Università di Padova); Gabriele DE ANNA (Università di Udine); Mario DE CARO (Università di Roma Tre); (Pontificia Fac. Teologica dell’Italia Giuseppina DE SIMONE (Pontificia Fac. Teologica dell’Italia Meridionale); Fiorenzo FACCHINI (Università di Bologna); Andrea FAVARO (Università di Padova); Maurizio GIROLAMI (Facoltà Teologica del Triveneto); Piergiorgio GRASSI (Università di Urbino); KOCIJANČIČ Gorazd KOCIJANČIČ (Lubiana); Markus KRIENKE (Facoltà Teologica di Lugano); Andrea LAVAZZA (Centro Universitario Internazionale di Arezzo); Franco MIANO (Università di RomaTorVergata); Marco OLIVETTI (Università di Foggia); Paolo PAGANI (Università di Venezia); (Pontificia Università Lateranense); Donatella PAGLIACCI (Università di Macerata); Gianluigi PASQUALE (Pontificia Università Lateranense); (Pontificia Fac. Teologica dell’Italia Antonio PETAGINE (Università Pontificia della Santa Croce - Roma); (Pontificia Università Gregoriana); Gaetano PICCOLO (Pontificia Università Gregoriana); Roger POUIVET (Università di Nancy 2); Roberto PRESILLA (Pontificia Università Gregoriana); Vittorio POSSENTI (Università di Venezia); Edmund RUNGGALDIER (Università di Innsbruck); Luciano SESTA (Univrsità di Palermo); Giuseppe TOGNON (Università di Roma-LUMSA); Matteo TRUFFELLI (Università di Parma); Carmelo VIGNA (Università di Venezia); Susy ZANARDO (Università Europea di Roma) | DIRETTORE RESPONSABILE Andrea DESSARDO 4| Registrazione presso il tribunale di Trieste n. 1258 del 16 ottobre 2012 IndIce nthropologica ANNUARIO DI STUDI FILOSOFICI | 2018 ACCOGLIERE LA CARNE PER UNA VISIONE INTEGRALE DELLA SESSUALITÀ A CURA DI LUCA ALICI, SILVIA PIEROSARA |5 nthropologica | 2014 Questo volume è stato pubblicato con il sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia, del Progetto Culturale della CEI - Fondi 8x1000 della Chiesa Cattolica e della Fondazione Friuli Gli scritti proposti per la pubblicazione sono peer reviewed © 2019 Edizioni Meudon Istituto Jacques Maritain Via San Francesco, 58 34133 - Trieste (TS) www.edizionimeudon.eu [email protected] tel. +39.040.365017 - fax +39.040.364409 È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della legge n. 633 del 22.04.1941. All rights reserved. No part of this book may be reproduced in any form or by any electronic or mechanical means including information storage and retrieval systems without permission in writing from the publisher, except by a reviewer who may quote brief passages in a review. Stampa a cura di F&G Prontostampa - Trieste Progetto grafico e copertina a cura di Piero Pausin ISBN 978-88-97497-24-0 ISSN 2239 - 6160 6| IndIce INDICE INTRODUZIONE Luca Alici, Silvia Pierosara (ri)Pensare la sessualità nel tempo della sua insignificanza 9 PARTE PRIMA EXTERIOR: gli “usi” post-moderni del sesso 23 Donatella Pagliacci Che fine ha fatto l’eros? Tra immunizzazione e ridimensionamento 25 Carlo Chiurco La seduzione della trasparenza. Pornografia del reale e sessualità 39 Paola Scalari Sesso, piacere ed erotismo al tempo del web e dei social. Gli adolescenti tra passioni e pornografia 55 Susy Zanardo Sessualità e violenza contro le donne 69 Olivier Abel La valeur politique de la fidélité 85 PARTE SECONDA INTERIOR: il “timore” della carne 97 Silvia Gullino Il passato di eros: la sfida per gli Antichi 99 Maria Grazia Crepaldi La carne e il suo altro: il tornante patristico 125 Alberto Peratoner Foucault, la modernità e la storia della sessualità 139 |7 nthropologica | 2018 Stefano Mentil Due in una carne erunt. Su alcune proposte di morale sessuale nel pensiero della Chiesa cattolica 159 Nicoletta Ghigi Sentimenti, emozioni, passioni: tre modelli per una fenomenologia dell’emozionale 177 PARTE TERZA SUPERIOR: la sessualità “oltre” se stessa 193 Luciano Sesta Sessualità e procreazione. Qualche riflessione a partire da Schopenhauer 195 Luciano Manicardi Fare spazio all’astensione: celibato e sessualità 211 Xavier Lacroix Eros e le Tiers 227 Gorazd Kocijancic Erotics 229 Abstract 263 Profili degli Autori 275 Indice dei nomi 281 8| 2 | INTERIOR IL “TIMORE” DELLA CARNE GullIno S. | Il passato dI eros: la sfIda per GlI antIchI | pp 99-124 IL PASSATO DI EROS: LA SFIDA PER GLI ANTICHI Silvia GullIno Pur avendo una natura universale, in quanto manifestazione dell’essenza stessa dell’uomo, eros – ovvero l’“amore”, assunto nella sua componente sensuale e passionale, con notevoli ripercussioni a livello psichico1 –, è stato descritto in modi assai diversi dalle culture che ne hanno fatto esperienza, ed è stato valutato in modo difforme da una società all’altra e da un’epoca all’altra2. Nell’antichità, in particolare, eros ha costituito uno dei principali temi di riflessione da parte 1. Tale precisazione è di estrema importanza per evitare, come spesso accade, di credere che il termine eros sia sinonimo del termine “amore” che, invece, ha un tale ventaglio di significati da contenere anche quelli del sostantivo philia. Il vocabolo eros, infatti, che rinvia alla personificazione della passione amorosa nella mitologia classica e nella letteratura greca successiva, fu usato per indicare l’aspetto più passionale dell’amore, ovvero quello legato alla sfera sessuale e, in generale, alla passione. Cfr., a tale riguardo, C. Andersen – H. Erbse – O. Gigon – K. Schefold – K.F. Stroheker – E. Zinn (hrsg), Lexikon der Alten Welt, Artemis Verlags, Zürich und Stuttgart 1965, pp. 865-867 (Eros) e 867-873 (Erotik); F. Lübker, Real-Lexikon desclassischen Alterthums für Gymnasien (1855); tr. it. Lessico ragionato dell’Antichità Classica, Forzani e C. Tipografi del Senato, Roma 1898, ad loc. (p. 256): «[Eros] è un vago fanciullo, presso all’infanzia o alla giovinezza, pieno di astuzia e di furberia, crudele tormentatore degli uomini e degli dèi, che non risparmia neppure Giove e la sua stessa madre Afrodite. Con ali d’oro corre intorno armato d’arco e di faretra piena di dardi, e ferisce tutto ciò che vive sulla terra e nel cielo, nel mare e nell’averno […]. Più tardi Eros fu in vari modi posto in relazione con la Psyche, personificazione dell’anima umana, che spesso fu rappresentata sotto forma di farfalla o quale fanciulla con ali di farfalla. Eros o la ama o la tormenta, specialmente sotto l’immagine di farfalla, mentre la tiene sopra una fiaccola, le strappa le ali, etc […] Insieme a lui appaiono spesso Pathos e Imeros, personificazioni della brama e del desiderio». Lo stesso tipo di considerazioni appare in F. Ferrari – M. Fantuzzi – M.C. Martinelli – M. S. Mirto, Dizionario della civiltà classica, BUR, Milano 1993, vol. I, p. 964; P. Devambez – R. Flacelière – P.M. Schuhl – R. Martin (eds.), A Dictionary of Ancient Greek Civilization, University Paperbacks – Methuen & Co. Ltd, London 1970 – (Paris, Fernand Hazan Éditeur1), p. 190; N.G.L. Hammond – H.H. Scullard (eds.), The Oxford Classical Dictionary, Oxford University Press, Oxford 1970, vol. I, p. 849. Sulle differenti manifestazioni di eros e, in generale, delle passioni nell’antichità, rinvio allo status quaestionis contenuto in S. Gullino, Pathos, Unicopli, Milano 2014 ed all’Introduzione a S. Gullino, Philia, Unicopli, Milano 2017. Per una disamina delle emozioni nella civiltà greca, intese come componente irrazionale dell’anima umana, cfr. E.R. Dodds, The Greeks and the Irrational, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1951, mentre, per l’esame del rapporto di queste con l’ambito medico, cfr. M. Vegetti, Tra passioni e malattia. Pathos nel pensiero medico antico, “Elenchos”, 16, 1995, pp. 217-30. Su temi affini, cfr. anche B. Besnier – P.F. Moreau – L. Renault, Les passions antiques et médiévales, Presses Universitaires de France, Paris 2003 e G. Dalmasso (a cura), Le passioni della ragione, Jaca Book, Milano 1991. 2. | 99 nthropologica | 2018 della letteratura e della filosofia, che ne hanno parlato codificando alcuni topoi destinati a permanere nei secoli successivi3. Per quanto concerne la filosofia, l’indagine volta a mettere in luce quale fu la descrizione che i filosofi antichi diedero di eros deve tener conto del fatto che tale fenomeno fu valorizzato non solo nel suo aspetto “privato”, per il suo rapporto con il “corpo”, ma anche nel suo aspetto sociale – nel senso della dimensione interpersonale che lo caratterizzava. In entrambi i casi, notevole fu lo sforzo di darne una definizione “teorica”, che rappresentasse l’epifenomeno delle convinzioni che supportavano le dottrine filosofiche e che mettesse in luce il modo in cui si era modulato lo spirito greco nel corso del tempo4. Platone è stato, senz’altro, il filosofo che in età classica dedicò maggior spazio all’indagine su eros; a suo avviso, quest’ultimo sintetizzava tutte le passioni (pathe) ed i desideri umani e, pertanto, indagarlo voleva dire, sic et simpliciter, realizzare un’inchiesta sulle passioni in generale5. Ricostruire il pensiero del filosofo atenie3. Per ciò che concerne la descrizione di eros che fu fornita dalla letteratura di età arcaica, classica ed ellenistica, cfr. C. Calame, L’Eros dans la Grèce antique (1996), tr. it. I Greci e l’eros. Simboli, pratiche e luoghi, Laterza, Roma-Bari 2010, che traccia un itinerario dalle valenze assunte dal fenomeno amoroso passionale (eros) in Grecia, dalla poesia lirica arcaica alla letteratura alessandrina e post-alessandrina, dando alle rappresentazioni poetiche dell’amore una dimensione storica. A suo avviso, infatti, in Grecia, cantare l’amore non costituiva solamente un modo per rappresentare il desiderio erotico, ma anche una via per farlo diventare una pratica sociale. Secondo Calame, infatti, «la poesia erotica arcaica, che gode del potere di seduzione proprio della musica, potrebbe dunque essere considerata come un tentativo di compensare lo squilibrio inerente alla relazione fra una persona più matura che desidera un(a) adolescente che provoca questo amore pur sfuggendolo […]. Al compimento amoroso verrebbe dunque a sostituirsi il piacere poetico, fatto di seduzione e di incanto, per il poeta e per i suoi uditori in preda agli stessi tormenti amorosi: una sostituzione resa più facile dalle affinità che amore e poesia condividono con il fascino. Questa funzione pragmatica della poesia erotica arcaica non è forse la stessa che si avrebbe diritto di assegnare all’epigramma ellenistico e romano, all’estremo opposto dell’arco variopinto disegnato dalla letteratura antica? Componimenti brevi, in distici elegiaci come i versi di Teognide, spesso manifestazione di un “io” alle prese con i tormenti dell’amore, appello ad un destinatario coinvolto in una situazione precisa, anche se indubbiamente fittizia, gli epigrammi erotici di Asclepiade o di Meleagro, o, molto più tardi, di Stratone, sembrano reiterare il ruolo di tentativo di seduzione, se non di sostituto occasionale di amori impossibili. Questa impressione è rafforzata dal riferimento ad una fisiologia del desiderio la cui tradizione è stata stabilita dalla poesia arcaica» (pp. 39-49). Cfr. anche R. Pretagostini, Le metafore di Eros che gioca: da Anacreonte ad Apollonio Rodio, in Aa. Vv. Lirica greca e latina. Atti del convegno di studi polaccoitaliano (Poznan 2-5 maggio 1990), Edizioni dell’Ateneo, Roma 1991, pp. 225-238. 4. Sulle varie concezioni dell’anima nella filosofia antica, cfr. M. Zanatta, Anima, Unicopli, Milano 2016. Di particolare interesse, per quanto concerne l’indagine platonica sulle passioni, e su eros in particolare, è il celebre saggio di M.C. Nussbaum, The Fragility of Goodness. Luck and Ethics in Greek Tragedy and Philosophy (1986), tr. it. La fragilità del bene, il Mulino, Bologna 1996. Secondo Nussbaum, Platone non avrebbe mantenuto durante tutta la propria vita la stessa opinione a proposito delle passioni, essendo passato da una prima fase dottrinale, caratterizzata dall’esigenza di attribuire il primato etico alla ragione, a una seconda, testimoniata dal Simposio e dal Fedro, da cui emergerebbe un’attenzione particolare e una rivalutazione “in positivo” di determinati spunti “irrazionalistici”. Su questo cfr. il saggio di F. Trabattoni, Platone, Martha Nussbaum, e le passioni, in G.R. Giardina (a cura di), Le emozioni secondo i filosofi antichi, Atti del Convegno Nazionale 5. 100 | GullIno S. | Il passato dI eros: la sfIda per GlI antIchI | pp 99-124 se vuole pertanto dire ricostruire la principale dottrina erotica dell’antichità, ma soprattutto fare luce sull’interpretazione di eros da cui trassero ispirazione quasi tutte le teorie successive, che – più o meno programmaticamente – ne costituirono delle rielaborazioni. In tal senso, proprio l’individuazione dello scarto esistente fra quanto sostenne Platone e quanto affermarono i filosofi posteriori costituisce un punto di vista privilegiato per interpretare storicamente più epoche, comprendendone il mutamento di contesto – ideologico e non. Da questo punto di vista, la descrizione di eros che più di ogni altra può esser utile per determinare il senso di questo “percorso” fu quella di Plotino, poiché non solo si inserisce in un ambiente assai diverso – quello romano – e in un’epoca differente rispetto a Platone – il III secolo d.C. –, ma, per l’influenza che ha avuto sulla tradizione successiva – patristica in particolare –, ci permette di comprendere meglio l’evoluzione che il tema ad oggetto ha conosciuto nel corso della storia della filosofia. La scelta di esaminare eros lungo la corrente del platonismo si giustifica poi per il fatto che essa è stata quella più celebrata nei secoli successivi – basti pensare alla corrente agostiniana, a San Bonaventura, a Marsilio Ficino, et cætera –, e per il fatto che è proprio in seno ad essa che nacquero le principali differenze concettuali tra eros, agape e philia, fondamentali nel pensiero cristiano. Pertanto, quivi si esporrà, dapprima – ed in modo assai sintetico –, la dottrina erotica di Platone, e in seguito – in modo più dettagliato – quella di Plotino, per giungere a formulare alcune considerazioni a proposito delle affinità e delle differenze esistenti fra i due autori e i due contesti6. 1 | PRECISAZIONE LESSICALE SU EROS, PHILIA E AGAPE Prima di procedere in questa trattazione, pare opportuno proporre una precisazione di tipo lessicale, utile a non incorrere in facili fraintendimenti, dovuti al fatto che, assai di sovente, il termine eros è stato tradotto con il sostantivo “amore”. Si sono cioè intesi quali sinonimi, perdendo di vista quelle che sono le caratteristiche che, nell’antichità, distinguevano eros da tutti gli altri tipi di sentimento o (Siracusa, 10-11 maggio 2007), Cuecm, Catania 2008, pp. 39-61. Ciò avrà luogo prendendo posizione rispetto alla celebre tesi di P. Merlan, From Platonism to Neoplatonism, Martinus Nijhoff, The Hague 1975, secondo la quale il Neoplatonismo sarebbe “nato” in casa di Platone, nella misura in cui il presunto “gap” fra Platonismo e Neoplatonismo non sarebbe mai esistito, vista la compattezza di tematiche e problematiche presenti nella storia del Platonismo e visto il fatto che le differenze esistenti fra le due correnti, pur significative e consistenti, si articolerebbero e si svilupperebbero su di un grandioso e significativo sfondo di “identità”. 6. | 101 nthropologica | 2018 legame che, parimenti, nel linguaggio odierno, vengono identificati con l’utilizzo del termine “amore”, inteso in senso “ampio”: si tratta della philia (ovvero l’amore amicale), dell’agape (vale a dire l’amore caritatevole), della philanthropia (la benevolenza/filantropia) e, infine, della storge (cioè la tenerezza/affetto). Fra di essi, la letteratura filosofica antica si è concentrata nella descrizione dell’eros, della philia e dell’agape7; pertanto, risulta opportuno sottolineare fin da subito le peculiarità semantiche caratterizzanti ciascuno di tali termini, dato che ciò sarà d’aiuto per mettere in luce le caratteristiche precipue dell’emozione erotica8. L’utilizzo del termine philia era atto a privilegiare l’aspetto sociale e interindividuale di un legame affettivo; del resto, già in epoca arcaica, il sostantivo philos, prima ancora che indicare l’“amico”, coincideva con il possessivo “mio” e, pertanto, il valore di “prossimità affettiva” che il sostantivo assunse in seguito traeva la propria origine da un’idea di possesso, già acquisito o rivendicato come proprio, che il termine implicava9. La philia costituiva dunque un tipo di legame che faceva dell’altro una sorta di alter ego, e una condizione necessaria alla felicità del singolo10. Invece, con il termine agape i filosofi cristiani intendevano descrivere un legame e una forma di amore/amicizia appena concepibile dalla ragione umana, disinteressata, gratuita, capace di agire al di fuori d’ogni reciprocità e tale da trovare il proprio modello culminante in Cristo11. Del resto, questo termine non indicava tanto un legame emotivo che l’uomo poteva provare verso il proprio prossimo o 7. Si tratta di un problema terminologico: infatti, se fino all’ellenismo gli unici termini utilizzati dai filosofi erano eros e philia, in epoca romana si fece anche uso, a seconda dei contesti, della parola greca agape (e i corrispondenti sostantivi latini amicitia, caritas e amor), che aveva un valore semantico sconosciuto alla filosofia precedente. 8. Tale sfumatura è spesso trascurata, se si considera il fatto che molti dizionari di filosofia, alla voce “amore” trattano indifferentemente l’eros, la philia e l’agape, senza valorizzare per ogni voce le peculiarità semantiche. (Cfr. voce “Amore” in N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Utet, Torino 1971). 9. Per ciò che concerne i lirici arcaici, a tale riguardo, cfr., fra gli altri, Callino, fr. 1 Gent.-Pf (= 1 D.), fr. 9 Gent.-Pf (= 9 D.). 10. Cfr., a tale riguardo, J.-C. Fraisse, Philìa. La notion d’amitié dans la philosophie antique. Essai sur un problème perdu et retrouvé, Vrin, Paris 1974; L. Dugas, L’amitié antique d’après les moeurs populaires et les théories des philosophes, Felix Alcan, Paris 1894; L. Pizzolato, L’idea di amicizia nel mondo antico classico e cristiano, Einaudi, Torino 1997, nonché il mio saggio Philia. 11. Nella lingua del Nuovo Testamento, specialmente in S. Paolo e S. Giovanni, la parola agape possiede una notevole importanza, per il significato che esprime, fondamentale per il Cristianesimo. Cfr. A. Ceresa Gastaldo, AGAPE nei documenti anteriori al Nuovo Testamento, «Aegyptus», raccolta di scritti in onore di Girolamo Vitelli, 31. 2, 1951, pp. 270-306. Nel caso dell’uomo, l’agape può giungere fino all’auto-annientamento o kenosis. 102 | GullIno S. | Il passato dI eros: la sfIda per GlI antIchI | pp 99-124 per Dio – entrambi comunque fondamentali nella fede cristiana –, ma l’amore che Dio aveva per l’uomo. Ben diverso era il significato che apparteneva al sostantivo eros che, come già accennato, veniva utilizzato per definire un sentimento che legava gli uomini fra loro, ma soprattutto faceva riferimento a un legame anche di tipo “passionale”. Pertanto, anche in questa sede, si terrà presente che eros fu da sempre concepito come una passione (un pathos) e, inoltre, si sottolineerà come le descrizioni che di esso furono proposte in ambito classico dipendessero fortemente dall’esposizione che i vari filosofi fornirono delle passioni. 2 | EROS IN PLATONE Platone dedica al tema dell’eros numerosi dialoghi, alcuni dei quali se ne occupano come “una” fra le tante passioni, mentre altri ne fanno l’oggetto precipuo dell’intera indagine che in essi ha luogo. In tal senso, e come è noto, se nella Repubblica e nel Timeo Platone realizza una trattazione “pessimistica” delle passioni – e dunque di eros –12, nel Fedro e nel Simposio, vale a dire in due dialoghi che pongono tale tematica al centro del proprio interesse, egli propone una valutazione più ottimistica delle stesse, attribuendo ad eros una serie di caratteristiche positive. Nel Timeo, ad esempio, Platone traccia due diverse descrizioni di eros; nella 12. Cfr. Plat. Resp. IV e Tim. 41; 69-70, la terza parte del discorso di Timeo, in cui questi descrive la natura dell’uomo. Timeo narra come le realtà divine create dallo stesso demiurgo ridussero l’anima irascibile dei mortali e come la collocassero nel torace: «E costoro [le realtà divine], imitando [il demiurgo], dopo aver ricevuto il principio immortale dell’anima, formarono intorno ad essa il corpo mortale e le diedero tutto questo corpo come un veicolo, e costituirono, inoltre, dentro al corpo un’altra specie di anima, quella mortale, che ha in sé terribili ed inevitabili passioni: in primo luogo il piacere, esca di male grandissima, ed inoltre i dolori, che mettono in fuga i beni, ed inoltre l’audacia ed il timore, che sono consiglieri senza senno, e la collera, che è difficile da placare, e la speranza, che si lascia facilmente sedurre. E mescolando queste cose con la sensazione che è priva di ragione e con l’amore che rischia tutto composero, secondo necessità, la stirpe mortale. Per queste ragioni, avendo timore di contaminare il divino più dello stretto necessario, separatamente da quello collocarono il mortale in un’altra dimora del corpo, costituendo un istmo ed una delimitazione fra la testa ed il petto, ponendo in mezzo ad essi il collo, affinché avesse luogo la separazione. Dunque, nel petto ed in quello che si chiama torace, collocarono la specie mortale dell’anima. E poiché una parte di essa aveva una natura migliore, e, invece, l’altra parte aveva una natura peggiore, barricarono la cavità del torace, come si fa separando l’abitazione delle donne da quella degli uomini, ponendovi nel mezzo il diaframma. Pertanto, la parte dell’anima che partecipa del coraggio e dell’ira, essendo bramosa di vittoria, la stanziarono più vicina alla testa fra il diaframma ed il collo, in maniera che, potendo dare ascolto alla ragione, con forza reprimesse insieme con essa la razza delle passioni, qualora essa non acconsentisse ad obbedire in nessun modo alla ragione ed al comando dell’Acropoli» (Plat. Tim. 69 C - 70 A). Cfr. anche Plat. Resp. IV 439 E ss.; 441 E ss.; Ion., 533 D e Phaedr. 244 A. | 103 nthropologica | 2018 prima, che si trova quasi alla fine dell’opera13, il filosofo nomina eros descrivendo la generazione umana: «E questo dura fino a quando il desiderio (epithymia) e l’eros dei due sessi, congiungendosi insieme, spingono a cogliere un frutto come quello degli alberi e seminare nella matrice, quasi come in un campo arato esseri viventi invisibili a causa della loro piccolezza e non ancora formati, e poi, separandoli, li facciano diventare grandi nutrendoli dentro, e in seguito a questo, mettendoli alla luce, portino a compimento la generazione dei viventi»14. Qui, il desiderio (epithumia) è collegato alla componente femminile, mentre eros è riferito a quella maschile, il cui seme viene descritto come “dotato di amore (eros) per generare (tou gennan eros)”15. Pertanto, agli occhi del Platone del Timeo, il concetto di eros costituisce l’origine della componente sensuale di ogni ente, vale a dire quella che spinge all’accoppiamento16. Nella seconda descrizione, eros è trattato come una passione17, e di esso si sottolinea la pericolosità, costituita dalla tendenza alla fuoriuscita dai “limiti naturali”, a causa dell’attrattiva esercitata dai piaceri sessuali18, attribuendo ad essa lo stesso tipo di condanna che ha luogo nelle celebri pagine del libro IV della Repubblica. Se dunque, è innegabile che opere come il Timeo e la Repubblica rappresentino eros in modo negativo, o meglio ne evidenzino la pericolosità in quanto “passione” (pathos), vale porre l’attenzione sulla trattazione “in positivo” che Platone realizza nel Simposio e nel Fedro, poiché sono tali dialoghi ad assumere eros come oggetto precipuo di indagine e perché è in essi che è possibile rintracciare quale fu la più compiuta dottrina platonica a tale proposito19. Si tratta perciò di comprendere cosa abbia realmente rappresentato eros per il filosofo ateniese e perché, nel complesso, abbia costituito ai suoi occhi una passione “positiva”. 13. Cfr. Plat. Tim. 91 ss. 14. Plat. Tim. 91 C 7 – D 5. 15. Plat. Tim. 91 B 4. Su tale tema, cfr. L. Brisson, Le même et l’autre dans la structure ontologique du Timée de Platon, Klincksieck, Paris 1974, pp. 209 ss. 16. Tale trattazione si può collegare a quella che ha luogo nel Filebo (cfr. Plat. Phil. 44 B – 45 D), ove Platone collega il piacere al desiderio, per dire che l’anima che desidera finisce per rimanere prigioniera del corpo che, come luogo di privazione e di bisogno, consente l’origine delle passioni. Se il Filebo ribadisce il fatto che ogni mancanza è segno di sofferenza, il Timeo insegna che è necessario ristabilire il corpo nello stato anteriore al bisogno (Cfr. Plat. Tim. 64 C-E). 17. 18. Cfr. anche Plat. Tim. 86 B-E; Phaedr. 237 D. Vale sottolineare il fatto che, in Platone, l’atto sessuale non è mai oggetto di una squalifica in termini etici: esso è oggetto di riflessione morale in quanto minaccia alla padronanza di sé, al governo di sé (cfr., ad esempio, Plat. Tim. 91 A-D). 19. 104 | Cfr. G. Krüger, Ragione e Passione. L’essenza del pensiero platonico, Vita e Pensiero, Milano 1995 e P. GullIno S. | Il passato dI eros: la sfIda per GlI antIchI | pp 99-124 Il primo dei due dialoghi – ovvero il Fedro – si struttura, come è noto, attorno a tre discorsi su eros, che servono da metafora per la discussione intorno al corretto uso della retorica20. Nel racconto, infatti, Fedro legge a Socrate un discorso di Lisia, volto a dimostrare l’opportunità di concedere i propri favori a qualcuno che non provi amore nei propri confronti, piuttosto che il contrario. In conseguenza di tale discorso, Socrate ne propone uno analogo, in cui, presupponendo che eros sia una forma di pazzia (mania), giunge a mostrare che non è conveniente concedersi a chi ama, essendo questi in preda alla mania. Poco dopo, però, Socrate pronuncia una sorta di “ritrattazione” di tali affermazioni, fondata sul principio per cui il suo discorso precedente potrebbe essere considerato adeguato solo se la mania fosse, in ogni caso, un male; ma, configurandosi forme buone di essa, egli ne deriva che l’irrazionale non è di per sé una cosa negativa, poiché è possibile farne uso “in prospettiva filosofica”. La ritrattazione proposta da Platone per bocca di Socrate apre, così, ad una interpretazione delle passioni sotto una luce decisamente più luminosa; dal Fedro emerge infatti come eros, correttamente inteso, possa elevare l’anima verso la virtù e la conoscenza dell’intelligibile, e non solo verso il soddisfacimento dei desideri più bassi. Nell’ambito di tale discorso, e in particolare nella seconda parte del dialogo21, Platone narra il noto “mito della biga alata”, in cui Socrate paragona l’anima tripartita, già teorizzata nella Repubblica, a un auriga con due cavalli: l’auriga corrisponde all’anima razionale (logistikon), mentre i due cavalli corrispondono rispettivamente all’anima concupiscibile (epithymetikon) e all’anima irascibile (thymoeides)22. Egli aggiunge che l’anima dispone di un’energia innata (symphytos Natorp, Platons Ideenlehre. Eine Einführung in den Idealismus, Metakritischer Anhang: Logos – Psyche – Eros, Leipzig 1921. «A seconda di come si definisce la passione (la sensibilità immediata, il delirio amoroso) avremo uno o un altro tipo di discorso su amore; avremo per convincere o non convincere ad amare, pur usando le stesse tecniche retoriche, una o altra premessa su cui si basa l’argomentazione retorica» (F. Adorno, Introduzione a Platone, Laterza, Roma-Bari 1978, p. 128). 20. Stante la divisione tradizionale in tre parti, delle quali la prima verteva sul discorso di Lisia (227 - 242 B), la seconda su quello di Socrate (242 B - 259 D) e la terza sulle condizioni dell’opera d’arte (259 D - 279 C). 21. A 22. «Sull’idea di anima dobbiamo dire quanto segue. […] Si pensi, dunque, l’anima come simile a una forza per sua natura composta di un carro a due cavalli e di un auriga. […] In primo luogo, in noi l’auriga guida il carro a due cavalli; inoltre, dei due cavalli, uno è bello e buono e derivante da belli e buoni; l’altro, invece, deriva da opposti ed è opposto. Difficile e disagevole, di necessità, per quel che ci riguarda, è la guida del carro. […] Ogni anima si prende cura di tutto ciò che è inanimato. Essa gira per tutto il cielo, ora in una forma, ora in un’altra. Quando essa è perfetta ed alata, vola in alto e governa tutto quanto il mondo. Ma una volta che abbia perduto le ali, viene trascinata giù fino a quando non si aggrappi a qualcosa di solido, e, trasportata la | 105 nthropologica | 2018 dynamis), risiedente proprio nella sua parte irrazionale, irascibile e concupiscibile. Infatti, nel mito socratico, l’auriga non può muovere il carro se non con l’aiuto dei due cavalli aggiogati23. Poiché il pathos – ovvero eros – è descritto come una mania inviata dal dio quale dono agli uomini24, per l’educazione della loro anima, allora le parti dell’anima, quali sono descritte nel Fedro, sono concepite come possibili canalizzazioni di un’unica fonte di energia psichica, che proviene dal suo fondo irrazionale e passionale e che può originare diverse spinte motivazionali, a seconda della direzione in cui fluisce. «Colui che è di recente iniziato e che ha molto contemplato le realtà di allora, quando vede un volto di forma divina che imita bene la bellezza, o una qualche forma di corpo, dapprima sente i brividi, e poi qualcuna delle paure di allora penetra in lui. […] Al vederlo, lo coglie come una reazione che proviene dal brivido, e un sudore e un calore insolito. Infatti, ricevuto attraverso gli occhi l’effluvio della bellezza, si scalda nel punto in cui la natura dell’ala si alimenta. […] In seguito all’affluire del nutrimento, lo stato dell’ala si gonfia e comincia a crescere dalla radice, per tutta quanta la forma dell’anima. Infatti, un tempo, l’anima era tutta alata. […] Questa passione […] i mortali la chiamano Eros alato, gli immortali lo chiamano invece Pteros, perché fa crescere le ali»25. Per Platone, pertanto, se venisse meno il “nutrimento” conferito alle passioni (ed in particolar modo da eros) e se l’uomo sopprimesse i propri appetiti, l’intero individuo ne risulterebbe indebolito, e ciò al punto tale da essere incapace di agire con decisione26. Tuttavia, la presenza di un simile nutrimento − il solo in grado di sua dimora in esso, e preso un corpo terroso, per la potenza di essa questo sembra muoversi da sé. L’insieme, ossia l’anima ed il corpo ad essa congiunto, fu chiamato “vivente” ed ebbe il soprannome di “mortale”. […] La potenza dell’ala per sua natura tende a portare in alto ciò che è pesante, sollevandolo là dove abita la stirpe degli dèi, e in un certo senso partecipa del divino più di tutte le cose che riguardano il corpo […]. Quando essi vanno a banchetto per prendere cibo, procedono per l’ascesa fino a raggiungere la sommità della volta del cielo […]. Quanto alle anime, una, seguendo il dio nel modo migliore possibile e rendendosi simile a lui, solleva il capo dell’auriga verso il luogo che sta al di fuori del cielo ma a stento contempla gli esseri, perché turbata dai cavalli. Un’altra anima, invece, ora solleva il capo, ora lo abbassa; ma poiché i cavalli le fanno violenza, vede alcuni esseri, mentre altri no» (Plat. Phaedr. 246 A-248 C, traduzione di G. Reale, in Platone, Fedro, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2000, ad loc.). Come nota M.C. Nussbaum, Platone sembra affermare che «per sapere dove il nostro intelletto voglia farci andare, abbiamo bisogno della cooperazione e dell’impegno dei nostri elementi non intellettuali», poiché «il potere del tutto è una symphytos dynamis, un “potere naturalmente concresciuto”» (Cfr., a tale riguardo, Nussbaum, La fragilità del bene, p. 409). 23. Plat. Phaedr. 253 C - 254 B. 24. Plat. Phaedr. 244 A 6. 25. Plat. Phaedr. 250 B - 252 C. Pertanto, per il Platone del Fedro, eros è una forma di dissennatezza superiore all’assennatezza, come appare dalle opere meravigliose che esso produce: dalle più grandi opere d’arte, ai vari esempi di azioni virtuose e addirittura erotiche. 26. 106 | GullIno S. | Il passato dI eros: la sfIda per GlI antIchI | pp 99-124 permettere la buona salute dell’intelletto −, non implica che le passioni possano guidare l’uomo, poiché per il filosofo tale funzione va riservata esclusivamente alla ragione. Con la teoria dell’eros, pertanto, Platone compie un passo importante nella valorizzazione dei pathe: infatti, individuando nell’amore la forza istintiva che anima il processo educativo, egli suggerisce che gli impulsi profondi della passione e del desiderio non solo debbano essere oggetto di educazione (paideia), ma che possano essere positivamente utilizzati nel processo di formazione delle personalità. Ciò avviene soprattutto nel Simposio, l’altro celebre dialogo avente a oggetto eros, che mette in scena una cena fra intellettuali, amici e discepoli di Socrate, nel corso della quale è previsto che i discorsi dei commensali declinino eros nelle sue forme più svariate: quello celeste e quello volgare; eros come compensazione armonica degli opposti, come ardore di educazione e come principio ispiratore di arti e scienze27. L’apologia finale di eros è condotta ed espressa per bocca di Socrate, secondo il quale esso è una sorta di demone, nato dalle nozze di Espediente (Poros) e Povertà (Penia)28; in conseguenza dei propri natali, costituisce la sintesi di bisogno e inquietudine, desiderio e tensione inappagata, vale a dire quel tipo di impulso che culmina nella filosofia, intesa come l’amore per la sapienza e per la verità29. Eros è dunque filosofo nel senso primo e originario della parola, essendo un ardente “innamorato della sapienza”, che però non può avere compiutamente ciò che vuole, al modo degli dèi immortali, per i limiti che la sua stessa natura gli impone: «Amore (Eros) è figlio di Espediente (Poros) e Povertà (Penia) […] desideroso assai d’intendere e pieno di espedienti, inteso tutta la vita a filosofare. […] Perché la sapienza è fra le cose più belle e Amore è amore del bello; onde segue necessariamente che amore sia filosofo ed, essendo filosofo, stia di mezzo fra il saCfr. V. Di Benedetto, Introduzione a Platone, Simposio. Introduzione di V. Di Benedetto, traduzione e note di F. Ferrari, Rizzoli, Milano 1986. 27. Platone compie una vera e propria personificazione dell’eros, trasformandolo in un personaggio, protagonista delle narrazioni che lo riguardano: eros diviene così Eros e, da attributo che interessa l’uomo, si trasforma a sua volta in soggetto di particolari attributi. 28. 29. Come ha ricordato D. Susanetti, illustrando quali siano le caratteristiche di eros: «Eros non ha − come gli altri oratori hanno creduto o fatto credere con le loro lodi − il volto e i tratti incantevoli dell’amato: non bisogna immaginare Eros pensando a una bellissima creatura, ricca di infinite doti. Eros va cercato dalla parte dell’amante: è, di fatto, l’amante. Chi ama, ama ciò di cui è privo, ciò che ancora non possiede. L’amore è, per sua natura, segnato dalla povertà, dalla mancanza, dall’indigenza estrema: l’amore costituisce per ogni uomo, nello slancio e nell’anelito rivolto verso un altro da sé, l’esperienza della propria imperfezione; per questo Eros − e, come lui, ogni amante − ha la figura di un mendico, lacero e scalzo, che cerca di porre fine alle proprie angustie, di spegnere quel bisogno che gli causa sofferenza» (D. Susanetti, Introduzione a Platone, Il Simposio, Marsilio, Venezia 1992, pp. 22-23). | 107 nthropologica | 2018 piente e l’ignorante»30. Per Platone, dunque, eros, proprio a causa del suo carattere passionale, può avere anche una funzione positiva, quella di elevare l’anima alla contemplazione delle idee. «In generale ogni desiderio di bene e di felicità è per ciascuno l’onnipossente e l’ingannevole Amore. Ma, mentre quelli che si volgono ad esso per altra via, e son tante, o del guadagno o della ginnastica o della filosofia, non diciamo che amino, né diamo loro il nome di amanti; quelli invece che muovono ed operano secondo una specie particolare di esso, hanno il nome dell’intero: amore (erota), amare (eran), amanti (erastai)»31. Nel Simposio, la possibilità di rintracciare in eros una componente positiva è subordinata alla possibilità che esso si manifesti nei modi opportuni e sotto l’egida della ragione: così l’amore per un bel corpo può trasformarsi in amore per una bella anima, diventare amore per la bellezza in sé, che è tutt’uno con il bene, e generare azioni virtuose32. Anche l’amore passionale, quindi, qualora sia stato purificato dai sensi, per Platone potrebbe avere un valore formativo, rendendo possibile l’unione delle anime e l’elevazione di queste alla visione delle idee. Si tratta del famoso “amore platonico” su cui si è a lungo equivocato. Ma, nel Simposio, eros è molto di più e, in questa sede, sembra opportuno metterne in luce i molteplici aspetti, che arricchiscono la descrizione di tale passione. Esso è infatti descritto come un fenomeno mitico, sia nei miti ricordati da Fedro33, che in quelli citati con spregiudicatezza34 da Agatone35, che infine in quelli reinventati da Aristofane36 e Diotima37. Nel discorso di Pausania, eros è poi un fenomeno sociale, normato da leggi, permissive, restrittive, controverse e complesse38; ma è anche descritto da Platone come un fenomeno cosmico, presente negli animali, nelle piante, negli astri, negli elementi39. 30. Plat. Symp. 203 C 7 - 204 C 6, Trad. di D. Susanetti, in Platone, Il Simposio, Marsilio, Venezia 1992, ad loc. 31. Ivi, 205 D. Questa specie di amore è certamente di origine sessuale, configurandosi come desiderio di generare nel bello mediante l’unione dei corpi, ma via via si trasfigura fino a diventare desiderio di generare azioni virtuose mediante l’unione delle anime nella contemplazione della bellezza in sé. 32. 33. Ivi, 178 B-C, 179 B -180 B. 34. Cfr. F. De Luise e G. Farinetti, Platone: Simposio, La Nuova Italia, Firenze 2001, p. 39. 35. Plat., Symp., 196 D, 197 A-B. 36. Ivi, 189 D ss. 37. Ivi, 203 B ss 38. Ivi, 181 E ss. Ivi, 186 A ss. Per l’estensione delle dinamiche erotiche al regno animale, oltre al discorso di Erissimaco, cfr. anche quello di Diotima (Plat. Symp. 207 A ss.). 39. 108 | GullIno S. | Il passato dI eros: la sfIda per GlI antIchI | pp 99-124 Eros è tanto quello pandemio, volgare e sfrenato e perverso, quanto quello uranio, sublime e nobile40: l’uno è interessato al denaro ed al potere, l’altro alla virtù ed è virtuoso41; l’uno è fonte di sfrenata distruzione, l’altro di ordinata armonia e di pace42. Al contempo, l’amore prodotto da eros può durare una vita43, protraendosi finanche dopo la morte44, o “dileguarsi e volare via”, consumandosi in una notte45. Eros è poi nascosto o manifesto46, ed è anche “ciò per cui tutto è concesso” e, pertanto, si trova nelle suppliche, nelle preghiere, negli atti servili, nei giuramenti fatti e in quelli infranti47. Eros è poi un invito a superarsi, a dare il meglio di sé48 e, «quanta vergogna»49, anche il peggio di sé. Ma non solo; infatti, per Platone, eros è poeta ed è in grado di rendere tutti poeti, essendo nelle parole che incantano50, nei discorsi – teneri ed intimi51, come pure maliziosi ed audaci52 –, nei silenzi ineffabili, nei desideri indicibili53, negli sguardi invidiosi degli altri54. Ed è, al contempo, forte e mancante, ricco e povero, giovane e vecchio55, come un Sileno e come un Satiro – tenero e rude, mostruoso e divino. È delicato, leggiadro e profumato di fiori come Agatone56, e, contempo40. Ivi, 181 B ss. 41. Ivi, 184 A-C, 185 A-C; 196 B-D. 42. Ivi, 188 Ass e 197 C. 43. Ivi, 181 D, 183 E. 44. Ivi, 192 E. 45. Ivi, 183 E. 46. Ivi, 182 D. 47. Ivi, 182 E - 183 B. 48. Ivi, 178 D ss, 210 C, 218 D. 49. Alla vergogna accenna Pausania (182 A ss.), ma è Alcibiade a tornare con insistenza su questo sentimento. 50. Ivi, 196 E; 215 C. 51. Tali sembrano quelli auspicati da Alcibiade al cui solo pensiero gioisce (cfr. Ivi, 217 B). 52. Cfr. G. Bonelli, Socrate Sileno: dinamica erotica e figurazione scenica nel Convito di Platone, Celid, Torino 1991, pp. 13-14, 61. L’autore rintraccia nel primo colloquio Socrate-Agatone (cfr. Plat., Symp., 175 D-E) una prima allusione erotica; una seconda, forse più chiara è nel discorso di Diotima (cfr. Ivi, 206 D). 53. Cfr. Ivi, 192 C. Cfr. Ivi, 197 D. Su questo tema, cfr. M. Valle, Un’antica discordia. Platone e la poesia: Ione, Simposio, Repubblica e Sofista, Loffredo, Napoli 2016, che ringrazio anche per le belle discussioni condivise. 54. 55. Fedro ritiene “che sia il più antico degli dei” (178 A-B, tr. it. G. Reale, Platone: Simposio, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, 2001), mentre, secondo Agatone, “egli è il più giovane degli dei, ed eternamente giovane” (195 C). Pausania menziona tra le caratteristiche di Afrodite urania l’anzianità e la giovinezza di quella pandemia (180 D). Sulla duplice tradizione mitica che vuole Eros ora divinità primordiale ora più recente si rinvia a J.-P. Vernant, Un, due tre: eros, in J.-P. Vernant, L’individu, la mort, l’amour. Soi-même et l’autre en Grèceancienne; tr. it., L’individuo, la morte, l’amore, Raffaello Cortina, Milano 2000. 56. Cfr., a tale riguardo, G. Reale, Platone: Simposio, pp. 208-209. Cfr. Plat. Symp. 196 A-B. | 109 nthropologica | 2018 raneamente, come Alcibiade, è geloso, aggressivo, odorante di vino57. Eros conosce la lotta, la competizione, la violenza, la vendetta58, nonché la rivolta59; risiede negli eccessi, turba l’anima, fa sobbalzare il cuore, facendo scendere le lacrime e alzare le mani60. Eros si trova poi nelle tentazioni, nelle coraggiose invenzioni di chi insegue61, nelle reticenze di chi ha paura e fugge62. Del resto, per il filosofo ateniese, in un secondo momento si rovesceranno le parti, invertendosi i ruoli: chi prima ha amato sarà riamato, e l’amato diverrà amante63. Eros è fecondo, esiste nella misteriosa nascita, nella procreazione64, nelle creazioni65, nella loro folle strenua difesa, nella loro inesausta irragionevole cura66. È poi descritto come “filosofo”, a metà strada tra sapienza e ignoranza67, essendo desiderio dei belli, di tutto ciò che è bello, del bello in sé68, dell’assoluto69, anche in quanto “sfida lanciata alla morte”, e come desiderio di immortalità70. Eros è aspirazione ad una condizione divina, tramite tra uomini e dèi71. Ma, soprattutto, eros costituisce un fenomeno umano72, essendo presente 57. Platone segnala con insistenza che Alcibiade è ubriaco: lo dichiara il narratore, lo afferma a più riprese il personaggio e diventa immagine indelebile quando il lettore lo vede sopraggiungere sorretto da un flautista (212 D) e bersi da solo un enorme vaso pieno di vino (214 A). Cfr. Ivi, 213 D. Oltre al personaggio di Alcibiade, che rappresenta appieno il lato più intenso, vendicativo e violento dell’amore, si rinvia anche all’aggressività, seppur appena accennata, di Apollodoro (cfr. Ivi, 173 D). 58. 59. Cfr. Ivi, 182 C. 60. Cfr., rispettivamente, Ivi, 215 D-E e 213 D, 214 D. 61. Cfr. Ivi, 203 D. 62. Cfr. Ivi, 184 A ss, 213 D. 63. È quanto accade nel rapporto tra Alcibiade e Socrate (cfr. Ivi, 222 B). 64. Cfr. Ivi, 206 C. 65. Cfr. Ivi, 09 A, 209 C-E. 66. Cfr. Ivi,207 B, 208 C-D. 67. Cfr. Ivi, 204 A-B. Il discorso di Diotima è interamente percorso dal rapporto tra eros e bellezza ma è l’immagine della scala (cfr. Ivi, 210 A ss) a offrire l’apporto teoretico più significativo. 68. 69. Cfr. Ivi, 210 E - 211 B. Approfondito nel discorso di Diotima, il nesso tra amore e morte è annunciato nel discorso di Fedro (cfr. Ivi,179 B ss), in quello di Aristofane (Cfr. Ivi, 191 B, 192 E) e reso drammatico nella confessione di Alcibiade (216 C). Avremo modo, più avanti, di ritornare sulla questione (Cfr. Ivi, 203 E, 207 A, 207 D, 208 B, 208 D, 212 A). 70. 71. Cfr. Ivi, 202 D-E. Eros quale fenomeno umano, pur essendo presente in tutti i discorsi dei convitati, assume particolare ed esplicito rilievo nel discorso di Aristofane: è con eros che la vita umana si è definita, ha conosciuto la sua origine e il suo destino. 72. 110 | GullIno S. | Il passato dI eros: la sfIda per GlI antIchI | pp 99-124 tra uomini, tra donne, tra uomini e donne73, in quanto “desiderio di ciò che è simile”74 e “di ciò di cui si è manchevoli”75. E, proprio in questa prospettiva, mostra il proprio carattere “fisico” e “carnale”: eros si trova infatti nel caldo incontro dei corpi e nel respiro delle loro anime76, risiede nel piacere d’essere sempre con la persona amata, di starle accanto77, di sederle vicino78, è nella felicità dell’unione, nella beatitudine d’essere, di nuovo, uno79, è nel timore di non trovarla o nel dolore di non averla per sé80. Tanti sono gli aspetti di eros che Platone narra e discute, rappresentandoli attraverso i propri personaggi, e certamente questo breve elenco non può essere riuscito a render conto di tutti. Tra di essi, però, vale la pena sottolinearne la componente carnale e passionale che, riallacciandosi alla descrizione di eros fatta dalla lirica arcaica81, ne costituisce un aspetto peculiare e il solo in grado di distinguerlo nettamente dalla philia, che pure è un tema “caro” a Platone82. Al contempo, l’eros di Platone è trascendenza verso l’alto, è un processo ascensionale che fonde 73. La distinzione tra amori omosessuali ed eterosessuali è messa in evidenza tanto da Pausania, quanto da Aristofane (191 D ss) e Diotima: pur con modulazioni diverse, tutti accordano la loro preferenza all’amore maschile. 74. Cfr. Ivi, 192 A-B, 193 C-D, 195 B. 75. Ivi, 200 A-B. Il problematico rapporto tra amore del corpo e amore dell’anima è trasversale ai discorsi del Simposio: ne parlano dapprima Pausania (181 B, 182 D, 183 E), poi con insistenza Diotima (206 B-C, 208 E – 209 A, 209 C, 210 B) e Alcibiade (216 E - 217 A, 218 E). 76. 77. Cfr. Ivi, 192 C, 211 D. Cfr. Ivi, 213 C, 222 D – 223 A. Secondo Bonelli, (cfr. Bonelli, Socrate Sileno, p. 151), la diatriba tra Alcibiade e Socrate in merito alla disposizione dei posti è una grandiosa ipostasi comica e rivela il gusto bizzarro per la quisquiglia. Se è vero che Platone in questo passo usa dell’ironia, è probabilmente per sottolineare una comune manifestazione d’amore: chi ama cerca costantemente la vicinanza della persona amata, il contatto con l’altro. Nel corso del Simposio lo notano Aristofane e Diotima nei loro discorsi, lo rappresenta Alcibiade con questa particolare “scenetta”. 78. 79. Cfr. Plat. Symp. 193 D; 192 D-E. 80. Cfr., rispettivamente, Ivi, 193 B-C e 218 A. Cfr. C. Neri, La lirica greca, Carocci, Roma 2004; E. Mandruzzato (a cura di), Lirici greci dell’età arcaica, BUR, Milano 1994; D. Restani (a cura), Musica e mito nella Grecia antica, il Mulino, Bologna 1995. 81. 82. Per quanto riguarda Platone, l’esame della sua interpretazione della philia coincide con l’analisi del Liside, il dialogo consacrato a tale tematica. Cfr., a tale riguardo, D. Bolotin, Plato’s Dialogue on Friendship, Cornell University Press, Ithaca (N.Y.)-London 1979; M.P. Nichols, Friendship and Community in Plato’s Lysis, “The Review of politics”, 68, 2006, pp. 1-19; D. Wolfsdorf, “Philia”in Plato’s Lysis, “Harvard Studies in Classical Philology”, 103, 2007, pp. 235-259; H. Curzer, Plato’s Rejection of the Instrumental Account of Friendship in the Lysis, “Polis. The Journal for Ancient Greek Political Thought”, 31, 2014, pp. 352-368; H. Curzer, Plato’s Rejection of the Instrumental Account of Friendship in the Lysis, “Polis. The Journal for Ancient Greek Political Thought”, 31, 2014, pp. 352-368. | 111 nthropologica | 2018 indissolubilmente passione e consapevolezza, è protensione verso un oggetto e una meta: è desiderio dell’amato ma, attraverso di esso, è soprattutto desiderio del bene. A lungo, nella letteratura successiva, è possibile cogliere l’eco di taluni topoi codificati da Platone, e proprio la rinuncia dei filosofi posteriori ad attribuire a eros taluni aspetti facenti parte di questo variegato ventaglio rappresenta una precisa “scelta”, funzionale a venire incontro a una nuova visione del mondo e delle passioni. 3 | Eros in Plotino Plotino vive in piena epoca cristiana ma stretto ed evidente è il suo legame con Platone. Tuttavia, se è vero che spesso ripropone tesi e concetti elaborati da quest’ultimo, è altresì vero che questi ne risultano trasformati, risemantizzati da un peculiare intento interpretativo. Quella di Plotino è infatti un’interpretazione di Platone che, in nome di precise motivazioni, modifica molti fra gli elementi fondamentali del platonismo, e ciò vale anche nel caso di eros83. Un esempio in tal senso può essere fornito dal quinto trattato della terza Enneade (Intorno ad Eros)84, che, benché sembri riproporre molte delle concezioni elaborate da Platone nel Simposio, in realtà sottopone la dottrina platonica a una “lettura del tutto demitizzante”. In questa sede, si intende esporre l’erotica di Plotino prendendo le mosse dall’esame del testo summenzionato, tenendo presente che esso è stato la fonte di una serie di esegesi da parte degli studiosi di Plotino, non sempre concordi fra loro. 4 | L’Enneade III, 5 (Intorno ad Eros) Nel quinto trattato della terza Enneade, Plotino esordisce interrogandosi sulla natura di eros e richiamandosi esplicitamente alla dottrina di Platone85: «bisogna ora ricercare (episkepsasthai) se eros sia un dio (theos) o un demone (daimon) o una Per quanto concerne il rapporto Platone-Plotino a proposito di eros, per lo status quæstionis rinvio a J.M. Rist, Eros and Psyche (1964), tr. it. Eros e Psyche. Studi sulla filosofia di Platone, Plotino e Origene, Vita e Pensiero, Milano 1995, p. 79. 83. 84. Ovvero il trattato n. 50. 85. E in particolare a Plat. Symp. 202 D 13 e Phaedr. B 2-3. 112 | GullIno S. | Il passato dI eros: la sfIda per GlI antIchI | pp 99-124 passione dell’anima (pathos ti tes psyches), esaminando […] le idee professate da Platone. Egli disse che eros non era soltanto una passione che sorge nelle anime ma sostenne che esso era un demone»86. Subito dopo, il filosofo di Licopoli passa a esaminare il rapporto esistente fra eros e le passioni e, nel farlo, prende in considerazione anche la dimensione “fisica” e “carnale” dello stesso eros: «Riguardo alla passione che noi attribuiamo ad eros, tutti sanno che essa sorge nelle anime desiderose di unirsi alle cose belle e che tale desiderio (1) o nasce in uomini temperanti ed aventi familiarità con la bellezza stessa o (2) tende ad un’azione vergognosa. Da qui conviene partire nell’indagine filosofica a proposito di quale sia l’origine di queste due forme. Se si ammette come principio il fatto che l’anima tenda al bello (1), nonché abbia un’originaria affinità con esso […], si afferma, io credo, la vera causa di eros. Il brutto, infatti, è contrario alla natura ed alla divinità. Infatti, la natura produce contemplando ciò che è bello e guardando a ciò che è determinato e che si trova nell’ordine del bene; l’indeterminato (2), invece, è brutto ed appartiene all’ordine opposto. La natura ha la sua origine lassù, cioè nel bene e nel bello. Quando si ama un essere e si ha affinità con esso, si prova anche per le sue immagini un sentimento di simpatia»87. Plotino distingue pertanto un eros caratterizzato per la propria “tendenza al bello” (1) e un eros che, all’opposto, tende ad “azioni vergognose” (2); ponendo il focus sul primo, nota come la sua ragion d’essere risieda nell’originaria affinità dell’Anima con il Bello ed il Buono e come l’essenza dell’amore erotico coincida con un sentimento di simpatia e di somiglianza provato nei confronti di ciò che è, appunto, tale. Su queste basi, spiegando l’origine della passione e dell’amore sensuale, Plotino condanna questa specie di “eros”: «Se si nega questa causa, non si potrà spiegare come e perché nasca la passione, nemmeno riguardo all’amore sessuale (mixin eroton). Infatti coloro “che amano sensualmente” vogliono generare nel bello, poiché è assurdo che la natura che desidera produrre cose belle voglia generare nel brutto. A coloro che sono portati a generare è sufficiente possedere il bello di quaggiù, che appare nelle immagini e nei corpi, poiché non posseggono quella bellezza archetipica che “tuttavia” è anche la causa del loro eros terreno. Quando dalla bellezza di quaggiù, essi risalgono al ricordo di quella superiore, essi amano quella “solo” come immagine dell’altra, ma quando non hanno questa remini- Plot. Enn. III 5, 1, 1-3. Trad. G. Catapano (leggermente modificata) in G. Catapano, Commento a Plotino, Sulle virtù. I 2 [19], Plus, Pisa 2006, ad loc. 86. 87. Plot. Enn. III 5, 1, 11-26. | 113 nthropologica | 2018 scenza, poiché ignorano la propria passione, immaginano che la bellezza terrena sia quella vera»88. L’eros carnale costituisce dunque l’estrinsecazione della “volontà di generare nel bello”, il cui aspetto negativo è dato dal fatto che, abbandonandosi a esso, ci si accontenta della bellezza terrena, finendo per rinunciare a quella “bellezza archetipica” che costituisce l’essenza e la causa dell’esistenza di ogni ente. Plotino specifica infatti che l’amore per la bellezza terrena, di per sé, non deve essere considerato come una colpa (amartia), che invece si genererebbe se l’uomo si abbandonasse al piacere carnale: «Fino a che sono temperanti, il loro attaccamento alla bellezza terrena non è colpa, è colpa invece il degradamento nel piacere sessuale. Chi possiede un amore puro della bellezza, trova questa bellezza amabile per sé sola»89. In conclusione, nel primo capitolo del trattato esaminato, riecheggiando molti dei temi del Simposio di Platone90, Plotino propone una condanna dell’amore carnale ben più marcata di quella presente nel dialogo appena menzionato. Vale ora chiedersi la ragione di una simile presa di posizione che, a questo punto, può considerarsi già una caratteristica peculiare del Neoplatonismo plotiniano. 5 | Plotino e la condanna delle passioni La marcata condanna che Plotino fa dell’amore carnale e, in generale, l’intera erotica plotiniana risente fortemente della sua complessa antropologia; in particolare, è la conseguenza della sua analisi del rapporto Anima-corpo, con la condanna “senza appello” delle passioni che a essa fa seguito91. Plotino, infatti, rimane sempre fedele alla propria tesi secondo la quale l’Anima non può in alcun modo essere affetta o modificata da affezioni/passioni (pathe)92, benché queste ultime siano innegabilmente in grado di modificarne le disposizioni: «Se l’anima 88. Plot. Enn. III 5, 1, 27-39. 89. Plot. Enn. III 5, 1, 39-40. 90. Come ad esempio l’affermazione secondo la quale l’attrazione erotica rappresentata dalla bellezza può essere uno stadio, ma non deve essere fine a se stessa, poiché chi ama deve riuscire a capire che tutto il bello che riguarda il corpo è cosa ben da poco. 91. La psicologia di Plotino si può considerare, in qualche modo, la fusione di Platonismo e Aristotelismo: egli difende, infatti, il dualismo anima-corpo che caratterizza la filosofia platonica, pur recuperando numerosi assunti della psicologia aristotelica, come l’adozione di nozioni quali quelle di forma (eidos), facoltà (dynamis), atto (energeia) et cætera. 92. Plotino non può concedere che i pathe siano vere e proprie affezioni dell’anima, poiché, se lo fossero, comporterebbero un cambiamento nell’anima stessa e, dunque, una compromissione della sua immortalità e incorruttibilità. 114 | GullIno S. | Il passato dI eros: la sfIda per GlI antIchI | pp 99-124 è un corpo ed ha una grandezza, non è facile, anzi è impossibile dimostrare che essa rimane impassibile (apathe) e immutabile (atrepton) in qualsiasi circostanza che si dica accadere in lei. Ma se è un’essenza inestesa e se è necessario che ad essa appartenga l’incorruttibilità (to aphtharton ayte pareinai), bisogna che noi ci guardiamo bene dall’attribuirle tali affezioni (pathe), affinché senza accorgerci noi non ammettiamo che sia corruttibile»93. Plotino, infatti, concorda con Platone nel difendere il dualismo Anima/corpo e la completa separazione di quella da questo, pur dovendo ammettere che, in qualche modo, le affezioni agiscano su entrambi. La principale difficoltà in tal senso risulta essere la definizione del ruolo giocato dal corpo e dall’Anima nel contesto affettivo, che assume i caratteri di una vera e propria aporia. In particolare, nell’Enneade I, 1 − in cui si indaga l’Anima ed il suo rapporto col soggetto −, Plotino segnala come aporetica la possibilità di considerare, a un tempo, l’esistenza dei pathe e l’indipendenza dell’Anima, che costituisce il presupposto per predicarne l’incorruttibilità: «Piaceri (hedonai) e dolori (lypai), sentimenti di paura e di coraggio (phoboi te kai tharre), desideri (epithymiai) e avversioni (apostrophai), e la sofferenza (to algein)94: a che cosa potrebbero appartenere? 1) O (e) infatti appartengono all’anima, 2) o (e) all’anima che si serve del corpo, 3) o (e) a una terza cosa che derivi dalle altre due»95. Dunque, se i pathe si presentano come esperienze psicologiche universali − e dunque non possono essere negati −, come è possibile determinarne il soggetto? Chiedendosi retoricamente «a che cosa potrebbero appartenere?»96, Plotino attribuisce alla domanda circa la natura delle passioni un valore notevole per la determinazione della natura dell’Anima umana. La soluzione originale proposta dal filosofo di Licopoli consiste nell’affermazione dell’esistenza di un composto/Anima-corpo (synamphoteron), che rappresenta il vero soggetto di affezione, e nel ritenere che le sensazioni e le affezioni non vadano attribuite all’Anima sola − prima alternativa −, né all’Anima in quanto unita al corpo − seconda alternativa −, ma al vivente97, il quale è formato da en- 93. Plot. Enn. III 6, 1, 25-30. 94. Cfr. Plat. Resp. IV, 429 C 9 - D 1; 430 B 1; Phaed. 83 B 6-7; Tim. 69 D 1-2; Aristot. De an. I 4, 408 b 2. Plot. Enn. I 1, 1, 1-4, tr. it. C. Marzolo in Plotino, Che cos’è l’essere vivente e che cos’è l’uomo I 1 [53], Introduzione, testo greco, traduzione e commento di C. Marzolo. Prefazione di C. D’Ancona, Plus, Pisa, 2006, ad loc. 95. 96. Plot. Enn. I 1, 3. 97. Cfr. Plot. Enn. I 1, 4, 27. | 115 nthropologica | 2018 trambi, nel senso della presenza di quella in questo e della possibilità di questo di farle fare cose che, senza di esso, non avrebbe né bisogno né modo di fare98. Per Plotino, dunque, l’Anima è in sé immune dalle affezioni del vivente − che vanno attribuite al solo composto −, benché essa sia l’entità che conferisce al corpo la facoltà di provare tali affezioni99: «Forse è meglio dire […] che, grazie alle facoltà, le cose che le possiedono operano secondo queste ultime, mentre le facoltà stesse stanno immobili, fornendo le capacità di agire alle cose che le possiedono. Ma se questo è vero, è possibile che quando un essere vivente prova un’affezione (paschontos) il principio vitale che elargisce se stesso al binomio rimanga immune sia dalle affezioni, che dalle attività che sono proprie della cosa che lo possiede»100. Plotino spiega anche il modo in cui l’Anima può conservarsi immune dalle affezioni, sostenendo che è essa stessa a produrre un riflesso, una sorta di sdoppiamento di sé, tale da rappresentare il vero e proprio soggetto di esse101. In questo ambito, il dato più rilevante consiste nel fatto che, per Plotino, l’esperienza delle passioni testimonia comunque una certa unione fra corpo e Anima. Infatti, esse coinvolgono sempre il corpo, ma, come afferma Marzolo, se «da un lato, [conformemente alla psicologia di Plotino], non possono essere pathe dell’Anima; dall’altro, non possono essere che pathe dell’Anima»102. In realtà, proprio questa tesi rappresenta un punto dolens nella filosofia di Plotino, come si può notare confrontando tali affermazioni − contenute per lo più nell’Enneade I, 1 − con quelle che compaiono negli scritti precedenti103, e in particolare nel 98. Cfr. C. Marzolo in Plotino, Che cos’è l’essere vivente e che cos’è l’uomo I 1 [53], in particolare p. 130. Restandone immune. Tale precisazione è importante perché, per Plotino, l’anima – come terza ipostasi – non poteva contaminarsi con le passioni. 99. 100. Plot. Enn. I 1, 6, 1-5. Tale spiegazione, come la definizione delle affezioni, è risultata insoddisfacente agli occhi tanto dei pensatori antichi quanto degli studiosi moderni, come ad indicare uno spostamento del problema, più che una soluzione dello stesso. Commentando la soluzione raggiunta da Plotino in Enn. I 1, 6, 15 - 7, 6, Proclo osservò che i pathe non erano stati concepiti come «qualcosa la cui natura risulta dall’apporto di ambedue le cose che sono mescolate, ma qualcosa che è venuto a crearsi nell’incontro dell’anima con il corpo, non perché l’anima comunichi essa stessa con il corpo, ma in quanto essa ha posto in essere una vita di grado secondario, e a partire da questa e dal corpo si dice che esiste “ciò che consta di ambedue”. È appunto a una mescolanza siffatta che il nostro filosofo attribuisce le affezioni (pathe), una mescolanza che esiste a partire dalla vita di grado secondario e dal corpo, ed esso è appunto quel “vivere” nel quale hanno la loro sussistenza le affezioni (en ho tois pathesin he hyparxis)». (Fr. 7 Westerink, in L.G. Westerink, Exzerpteaus Proklos’ Enneadenkommentar bei Psellos, «Byzantinische Zeitschrift», 52, 1959, pp. 1-10, ristampato in L.G. Westerink, Text and Studies in Neoplatonism and Byzantine Literature, Hakkert, Amsterdam 1980, pp. 21-30). 101. 102. C. Marzolo in Plotino, Che cos’è l’essere vivente e che cos’è l’uomo I 1 [53], p. 39. Testo leggermente modificato. 103. In effetti, l’Enneade I, 1 rappresenta, cronologicamente, il penultimo trattato di Plotino. La posizione del trattato I, 1 in apertura dell’intero Corpus plotiniano è da considerarsi un’artificiosa costruzione porfiriana. 116 | GullIno S. | Il passato dI eros: la sfIda per GlI antIchI | pp 99-124 trattati Sull’immortalità dell’anima (Enneade IV, 7 [2]) e Sulla discesa dell’anima nei corpi (Enneade IV, 8 [6])104. In essi, ribadendo l’assoluta incorporeità dell’Anima105, Plotino è costretto a distinguere due diverse accezioni di Anima: da un lato, l’essenza dell’Anima, incorporea, impassibile ed impeccabile; dall’altro, l’Anima intesa come molteplice, soggetta ad affezioni e al macchiarsi della colpa; entrambe necessarie per dar conto di un fenomeno complesso qual è quello delle passioni106. Tale tesi comporta poi interessanti risvolti da un punto di vista etico; infatti, sostenendo l’impassibilità dell’“essenza dell’Anima”, il filosofo dichiara passibile un altro tipo di Anima, intesa come molteplice, composta di parti diverse, discesa nel mondo del divenire e dunque propria di soggetti mutevoli, confusi, fallibili, che, pertanto, potendo commettere una colpa, possono incorrere giustamente in una pena107: «Se l’anima è immune da colpa, come è possibile che su di essa si faccia giustizia? […] Infatti, la dottrina che attribuisce all’anima l’immunità dalla colpa pone sempre un’unica, semplice realtà, affermando che anima (psyche) e essenza dell’anima (psyche einai) sono la stessa cosa; invece quella che le attribuisce la possibilità di peccare intreccia e aggiunge a quell’anima anche un altro genere di anima (allo psyche eidos), quello che patisce terribili affezioni (echonpathe). Composta (synthetos), dunque, formata da diverse parti, diviene l’anima stessa: dunque è il composto (synthetos) nella sua globalità a patire affezioni (paschei) e a sbagliare, ed è lui che, secondo Platone, sconta la pena, non quell’altra anima»108. È solo questo secondo tipo di Anima a poter entrare in contatto con le passioni. In particolare, nel trattato su La discesa dell’anima nei corpi109, affrontando il tema delle colpe di cui l’Anima può macchiarsi, Plotino ricorda esplicitamente che: «la colpa [dell’anima] è duplice: l’una è quella che ha luogo nella discesa, Quest’ultimo, infatti, riferisce di essere stato incaricato da Plotino stesso di curare l’ordinamento dei suoi scritti (cf. Porph. VP 24, 2-3), ma che, nel farlo, avrebbe deciso di disporre tali scritti in ordine sistematico e non in ordine cronologico, per seguire il modello delle edizioni esemplari degli autori “classici”. 104. Si tratta di due trattati precoci, appartenenti alla prima produzione plotiniana. Secondo J. Igal, Aristoteles y la evolución de la psicologia de Plotino, “Pensamiento”, 35, 1979, pp. 315-346, il pensiero di Plotino sul rapporto anima-corpo ha subito un’evoluzione nel corso della vita del filosofo. Infatti, egli è dovuto passare da una prima fase dualista ad una concezione simile a quella di Aristotele, quale è testimoniata nel trattato I, 1. «Non è possibile – al contrario, secondo D’Ancona – parlare di evoluzione del pensiero di Plotino né tantomeno dell’attenuazione di un iniziale dualismo: si tratta piuttosto della riproposizione in termini sempre più articolati e problematici di una questione che Plotino ha tenuto costantemente aperta» (C. D’Ancona, Prefazione a Plotino, Che cos’è l’essere vivente e che cos’è l’uomo I 1 [53], p. 9). 105. Plot. Enn. IV 7, 8. 106. Plot. Enn. IV 8, 5. 107. In Plot. Enn. III 6, 3, 1 si parla esplicitamente di «anima cosiddetta passiva». 108. Plot. Enn. I 1, 12, 1-15. 109. Plot. Enn. IV 8, vale a dire il sesto trattato in ordine cronologico. | 117 nthropologica | 2018 l’altra consiste nelle cattive azioni che essa compie, una volta venuta quaggiù. Il castigo della prima colpa è il fatto stesso di discendere; nel secondo caso, quanto meno l’anima si immerge nei corpi via via diversi, tanto più presto ne riemerge conforme a un giudizio di merito […]; ma ad ogni grado enorme di malvagità corrisponde un degno castigo sotto la vigilanza dei demoni vendicatori»110. Se è vero che l’Anima unita al corpo risulta vittima delle passioni, e dunque è passibile e potenzialmente viziosa, appare altrettanto vero che essa può «assurgere al Bello ed alla virtù attraverso la purificazione (katharsis)»111. Infatti, Plotino sostiene che le virtù siano «purificazioni (katharseis)»112, e che queste ultime si attivino nel momento in cui l’Anima si esprime come ente pensante e impassibile: «In che senso dunque diciamo che queste virtù sono purificazioni? E in che modo è soprattutto purificandoci che ci assimiliamo? [Ciò avviene] poiché l’anima − che è mescolata con il corpo (sumpephyrmene), che giunge a provarne le medesime passioni (homopathes) e che ne condivide in tutto l’opinione − è cattiva. Sarebbe invece buona, cioè dotata di virtù, se non condividesse l’opinione del corpo ma operasse da sola − il che appunto è pensare ed esser saggi −, se non ne provasse le medesime passioni (homopathes) − il che è essere temperanti (sophronein) − né avesse paura di allontanarsi dal corpo − il che è essere coraggiosi − e invece comandassero in lei ragione ed intelletto, e le altre parti non opponessero resistenza − e questo sarebbe la giustizia»113. Plotino afferma, dunque, che per assimilarsi a Dio, l’uomo deve purificarsi, e che, per fare ciò, deve separare l’Anima dal corpo e dalle passioni legate ad esso114. Infatti, sebbene non sia e non possa essere fisicamente sottoposta alle stesse affezioni del corpo (homopathia), l’Anima può diventarlo emotivamente, assumendo una natura ferina115, e quindi abbandonandosi al vizio116. Tale è il caso dell’abbandono all’amore (eros) carnale. Al contrario, l’Anima buona, cioè l’Anima virtuosa, sarebbe in grado di liberarsi dal legame psicologico col corpo, e quindi dalle passioni e dalle opinioni a 110. Plot. Enn. IV 8, 5, 16-24 (tr. it. G. Faggin, leggermente modificata, in Plotino, Enneadi, a cura di G. Faggin, Milano, Rusconi, 1992). Cfr., su questo passo, Plat. Phaed. 83 D; 113 E. 111. Plot. Enn. I 6, 7. 112. Plot. Enn. I 2, 3, 10 (tr. it. G. Catapano, leggermente modificata). 113. Plot. Enn. I 2, 3, 11-19 (tr. it. G. Catapano, leggermente modificata). Il brano fa eco a quanto Platone ha affermato nel Fedone: «Fino a quando noi possediamo il corpo e la nostra anima resta invischiata in un male siffatto, noi non raggiungeremo mai in modo adeguato quello che desideriamo, vale a dire la verità» (Plat. Phaed. 66 b 5-7; tr. it. G. Reale). 114. 115. Plot. Enn. I 1, 4, 12-15; I 1, 5, 1-6; passim. Su questo tema, cfr. G. Catapano, Commento a Plotino, Sulle virtù. I 2 [19], Plus, Pisa 2006, p. 123. 116. «Che cosa significa separare l’anima dal corpo?» si chiede Plotino in Enn. III 6, 5, 15 ss, rispondendo poi che la «purificazione consiste nell’isolare [l’anima] affinché non [si unisca] ad altro e non guardi ad altro e 118 | GullIno S. | Il passato dI eros: la sfIda per GlI antIchI | pp 99-124 esso correlate. La sua saggezza consisterebbe nel suo operare da sola, senza l’ausilio del corpo; la sua temperanza sarebbe il distacco dalle passioni animali; il suo coraggio l’assenza di paura verso la separazione dal corpo; e la sua giustizia si identificherebbe con il dominio incontrastato della parte razionale sulle altre. L’Anima virtuosa, in senso proprio, sarebbe perciò un’Anima impassibile (apathes), in grado di pensare senza ostacoli. Impassibilità (apatheia) e pensiero risultano, quindi, gli attributi che rendono l’Anima nuovamente simile al divino, che è per sua stessa essenza puro da passioni e pensante: «Ora, se si chiamasse “assimilazione a dio” tale disposizione dell’anima, secondo la quale essa pensa ed è in tal modo impassibile (apathes), non ci si sbaglierebbe: anche il divino, infatti, è puro (katharon), e il suo atto è tale che ciò che lo imita possiede saggezza»117. Pertanto, se per Plotino le virtù sono atti di purificazione e la purificazione produce la separazione dell’Anima dal corpo e dalle passioni legate a esso, ne consegue che le passioni si connotano negativamente, identificandosi con ciò che altera la corretta disposizione dell’Anima, fino a corromperla moralmente. Tale dottrina, come si è visto citando l’inizio dell’Enneade III 5, obbliga Plotino a teorizzare due tipi di eros; un primo tipo, che possiede un carattere negativo, poiché è inteso come una passione e pertanto implica l’unione di Anima e corpo, e un secondo tipo che ha un carattere positivo – coerentemente con l’erotica platonica –, poiché non implica l’unione dell’Anima con la materia ma, anzi, costituisce un impulso che porta l’Anima a distaccarsi dal corpo, per raggiungere il Bello e il Buono, contribuendo così alla sua purificazione: «In generale sembra che i beni veri e conformi a natura propri di un’anima che agisce entro i suoi limiti siano sostanziali (ousia), mentre gli altri che non dipendono da un atto suo proprio non sono che passioni (pathe)»118. Ecco perché, in qualche modo, Plotino deve dichiarare l’esistenza di un eros del tutto negativo che, come tale, era sconosciuto a Platone119. Quando poi, in altri luoghi, Plotino fa riferimenti “in positivo” all’amore fisico, ciò avviene solo a titolo di “paragone”, come nella sua descrizione della sensazione provata improvvisamente dall’Anima nel momento della propria unione con l’Uno: «Essa “l’anima” lo vede apparire improvvisamente in sé; nulla c’è ormai fra l’anima ed il Bene, né essi sono più due ma sono una cosa sola; e nemmeno potresti distinguerli finché Egli è presente, ne sono quaggiù un’immagine gli amanti che desiderano fondersi insieme nel proprio amore. Ma l’anima non abbia più opinioni estranee, siano queste, opinioni o passioni, come s’è detto, e non guardi quei fantasmi né produca con essi passioni». 117. Plot. Enn. I 2, 3, 19-22 (tr. it. G. Catapano, leggermente modificata). 118. Plot. Enn. III 5, 7, 47-50 (tr. it. G. Catapano, leggermente modificata). 119. In ogni caso, l’interpretazione Plotiniana di Eros nell’Enneade III 5 non è sempre univoca. | 119 nthropologica | 2018 non si accorge più di abitare in un corpo, né sa di essere un’altra cosa come un nome o un animale o un’altra cosa»120. 6. La genealogia di Eros nel pensiero plotiniano Numerose altre dottrine del Simposio trovano eco nell’Enneade sopraccitata, e in particolare nel secondo capitolo di essa, in cui Plotino si chiede se Eros sia o meno il figlio di Afrodite, riferendosi alla genealogia di eros proposta da Platone nonché al racconto di Diotima, esposto da Socrate, secondo il quale Eros sarebbe figlio di Poros e Penia121. Nell’Enneade III 5 Plotino si interroga sulla natura di Afrodite e, nel farlo, distingue un’Afrodite celeste da una terrena122. La prima viene descritta come la figlia dell’Intelletto – la seconda Ipostasi – ed è fatta corrispondere all’Anima Universale123: infatti, secondo il filosofo, essa ha generato Eros, per amore di Kronos e Urano, personificazioni rispettivamente dell’Intelletto e dell’Uno. Parallelamente, l’Afrodite terrena è identificata con l’Anima del Mondo e quella specie di Eros che ha avuto i propri natali nel desiderio di quest’ultima, è fatto coincidere con l’Eros terreno, che sostiene l’ascesa delle anime individuali verso l’Uno, contribuendo alla loro naturale aspirazione al Bene124. A differenza di Platone, pertanto, Plotino sente l’esigenza di distinguere più specie di Eros, sviluppando una “moltiplicazione” delle figure erotiche sulla quale vale soffermarsi. Come ha sottolineato Gatti, per Plotino, «anche l’erotica […] era una via che conduceva al distacco dal corporeo e all’unione con il divino. […] Essa era infatti una via alogica all’Assoluto, perché eros era una forza mediatrice e sintetica che permetteva di cogliere, nella realtà sensibile, il primo tralucere dell’intelligibile»125. Infatti, Plotino non rinuncia a considerare Eros come una forza in grado di mediare ed elevare, attraverso la varia gerarchia degli enti, alla Bellezza suprema126; al 120. Plot. Enn. VI 7, 34, 12-17. 121. Plat. Symp. 203 C 3-4; 180 D 7-8; passim. Cfr. M. Andolfo, L’ipostasi della “psyche” in Plotino: strutture e fondamenti, Vita e Pensiero, Milano 1996, p. 27. 122. 123. Cfr. Plot. Enn. III 5, 2, 19-35. 124. Cfr. Plot. Enn. III 5, 3, 37 ss. M.L. Gatti, Plotino e la metafisica della contemplazione, Vita e Pensiero, Milano 1996 (seconda edizione completamente riveduta), pp. 190-191 (testo leggermente modificato). 125. 126. Nella biografia di Plotino che ci ha lasciato Porfirio si apprende, infatti, che proprio seguendo il metodo indicatogli da Platone nel Simposio, Plotino si sarebbe unito all’Uno per ben quattro volte (cfr. Porph. VP, 23, 9-14: «E così. Seguendo la strada indicata da Platone nel Simposio, gli apparve quel Dio che non ha né Figura né Forma, ma domina sull’Intelletto e su tutto l’intelligibile»). 120 | GullIno S. | Il passato dI eros: la sfIda per GlI antIchI | pp 99-124 contempo, però, trasportando il concetto platonico nel quadro della propria ontologia delle Ipostasi, e connettendolo alla terza – l’Anima –, in quanto forza che scaturisce dalla sua tensione verso il Bello, il filosofo finisce per dover ammettere una molteplicità di dèmoni-Erotes, tanti quanti sono i differenti gradi nell’Anima e la molteplicità stessa delle anime127. Così, all’Anima suprema, amante dell’Intelletto, corrisponde l’Eros celeste appena menzionato, che vive nell’Intelletto stesso, contemplandolo; all’Anima dell’universo corrisponde un secondo Eros, nato dalla sua aspirazione al Bello, da cui viene sempre accompagnata: si tratta di un demone del mondo, che è in grado di elevare l’Anima qualora essa sia in grado di ricordare gli intelligibili128. Alle singole anime, infine, corrispondono altrettanti dèmoni-Erotes, sorti dall’aspirazione di ciascuna al Bello: «Questo Eros è infatti il dèmone di cui viene detto che accompagna ognuno, ed è Eros di ciascuno. Difatti, questo è colui che suscita i desideri secondo natura, dato che ogni anima si protende secondo la propria natura e genera l’Eros secondo il proprio valore e la propria essenza»129. Nei capitoli successivi del trattato, offrendo la propria esegesi di altri elementi del mito proposto da Platone nel Simposio, Plotino mette ulteriormente in chiaro questa posizione, come quando tenta di spiegare cosa abbia inteso dire Platone sostenendo che Eros sia figlio di Penia e Poros: «Eros dipende dall’anima avendo in essa il proprio principio, ed è un misto di ragione che non è rimasta in se stessa, ma s’è mescolata all’indeterminato; però non la ragione stessa si è mescolata a quello, ma ciò che proviene da essa»130. Per la propria natura peculiare, dunque, Eros non può dirsi buono o cattivo tout court, nella misura in cui «eros, se naturale e innato, è bello; mentre quello di un’Anima inferiore è inferiore per dignità e potenza»131. 7 | Il rapporto eros-Uno in Plotino Prima di concludere l’esame della dottrina erotica di Plotino è utile segnalare quello che, ad oggi, è un problema ancora discusso fra gli studiosi, vale a dire il collegamento esistente fra Eros e la prima Ipostasi. 127. Plot. Enn. III 5, 1-3. 128. Plot. Enn. III 5, 3. Cfr. Gatti, Plotino e la metafisica della contemplazione, p. 196. 129. Plot. Enn. III 5, 4, 4-9.. 130. Plot. Enn. III 5, 7, 16-19. . 131. Plot. Enn. III 5, 7, 40-42. | 121 nthropologica | 2018 Tale collegamento, a prima vista, può sembrare contraddittorio, dato che eros presuppone una tensione ed un bisogno che, per natura, l’Uno non può conoscere. Ma ciò avviene solo se si pretende di rimanere coerenti con l’erotica Platonica. Infatti, in Enneade VI, 8, 15, descrivendo la prima Ipostasi, Plotino afferma che: «Egli è amabile ed è, Egli stesso, eros e amore di sé, poiché non può trarre la propria bellezza se non da sé e per sé»132. Ciò ha condotto gli studiosi ad ipotizzare che, nelle Enneadi, Eros possa costituire anche un nome in grado di descrivere l’Uno. Stando infatti alle affermazioni di Plotino, e seguendo le considerazioni di Rist133, l’Eros dell’Uno, inteso come amore di sé (eros autou), deve implicare che esso ami “se stesso in se stesso” e, al contempo, “se stesso come presente con i propri affetti”. In tal senso, nell’unione mistica, una volta raggiunta l’Unità con l’Uno, l’Anima dovrebbe divenire oggetto di amore dell’Uno stesso. L’eros, dunque, per Plotino, può essere un termine adatto ad indicare quell’attività dell’Uno in grado di garantire che dall’Uno derivi il meglio e “proceda” un’altra realtà: «Se dunque qualcosa nasce mentre Egli “l’Uno” persiste in se stesso, esso nasce da Lui proprio quando Egli è al punto più alto del proprio essere. […] Ma come avviene questo, mentre Egli rimane immobile? Per opera della forza operante, che è duplice: (1) l’una è chiusa nell’essere; (2) l’altra sgorga al di fuori dell’essere particolare di ciascuna cosa»134. Ciò si discosta dalla teoria platonica, dato che, in questo caso, l’eros dell’Uno non è rivolto verso l’alto, ma verso il basso. A tal proposito, secondo Nygren, proprio tale teoria mostrerebbe la tendenza di Plotino a perfezionare il proprio concetto di amore (eros) nella direzione dell’agape, mostrando ancora una volta la notevole influenza che ebbero su di lui dottrine cristiane ad esso contemporanee135. 8 | Alcune considerazioni conclusive Come ha affermato Giuseppe Faggin, commentando le parole di Plotino, secondo le quali le sue teorie non erano solo nuove, ma erano state enunciate in maniera non completamente esplicita da Platone, «Plotino si presenta quale 132. Plot. Enn. VI 8, 15, 1-3. A.H. Armstrong, The Architecture of the Intelligible Universe in the Philosophy of Plotinus, Cambridge University Press, Cambridge 1940, p. 6, ha sostenuto la connessione fra questo passo e Aristot. Metaph. 133. Rist, Eros e Psyche, p. 109. 134. Plot. Enn. V 4, 2, 19-27. 135. A. Nygren, Eros and Agape: la nozione cristiana dell’amore e le sue trasformazioni, il Mulino, Bologna, 1971. 122 | GullIno S. | Il passato dI eros: la sfIda per GlI antIchI | pp 99-124 interprete e commentatore della filosofia platonica, ma, in realtà, egli ha operato una grandiosa sintesi culturale dell’intero pensiero antico. I temi […], già approfonditi da Platone, vengono ripresi da Plotino e rielaborati alla luce del confronto fra platonismo, aristotelismo, scetticismo, eclettismo e neopitagorismo»136. L’opera filosofica di Plotino va infatti considerata come il testamento spirituale del mondo pagano, ma anche come il tramite con il mondo cristiano, al cui interno la nozione di eros fu “abbandonata” e “ricodificata” partendo proprio dalle intuizioni del filosofo di Licopoli. Nelle Enneadi, in particolare, la problematica connessa a eros si colloca nel complesso ordito teoretico-mitologico che definisce i confini e le potenzialità dell’Anima; al contempo, il nesso che collega lo stesso eros alla vicenda dell’Anima appare decisivo, poiché quest’ultima in funzione del tipo di amore provato può rimanere legata alla materia o risalire verso l’Uno. E proprio l’eros rappresenta quella potenza dell’Anima che è capace di produrre la catarsi del ritorno nella sfera luminosa e ineffabile in cui dimorano il Bello ed il Bene, la quale possiede il requisito dell’assoluta unità e si confonde completamente con l’Uno. L’eros ha quindi il ruolo di rendere possibile la conversione, rispetto a quella caduta che ha causato la genesi dell’universo, che costituisce il nucleo profondo dell’idea di salvezza sviluppata da Plotino. Si assiste così a una radicalizzazione in senso mistico della concezione platonica: per Plotino, infatti, Eros non è figlio di Poros e Penia – come emerge dal Simposio di Platone –, ma di Afrodite, la quale è identificata con l’Anima dell’universo e, in quanto tale, ha generato Eros come propria Ipostasi137. Eros rappresenta così, per Plotino, quell’elemento che attua in modo più coerente la doppia disposizione dell’Anima: il mescolarsi con la oscura materia, e il ritorno alla propria origine eterna138. Al contempo, ogni amore – anche quello terreno –, rivolgendosi al Bello, e abbandonando ogni dimensione carnale, manifesta un desiderio di forma che racchiude in sé un embrione di verità139. In particolare, ciò che appare decisivo per comprendere la vocazione metafisica dell’eros plotiniano è il principio del suo effondersi, dato che la sua sublimazione ascensionale va connessa teleologicamente a una catarsi che l’Anima compie in se stessa. Il tendere, che era proprio del suo desiderio amoroso, coincide con uno slancio verso la forma intelligibile, nella quale l’Anima si ricongiunge alla propria 136. Cfr. G. Faggin, Plotino, AsramVidya, Roma 1988, Introduzione (Plotino e l’eredità del mondo antico), p. 9. 137. Plot. Enn. III 5, 2. 138. Tale situazione, come si è visto, concerneva sia le anime individuali che l’Anima del mondo. 139. Cfr. A.H. Armstrong, Platonic Eros and Christian Agape, “Downside Review”, 3, 1961, pp. 105-121. | 123 nthropologica | 2018 fonte eterna. L’eros è, dunque, nel contesto del rapporto fra l’Anima universale e le proprie parti individuali, la principale forza fra quelle che conducono alla catarsi e al ricongiungimento. Quanto alle differenze rispetto alla dottrina platonica, si è vista una moltiplicazione delle figure erotiche – coerente con la moltiplicazione dei piani ontologici presente nel Neoplatonismo –, una condanna più marcata dell’amore carnale – conseguenza, forse, dell’influsso del pensiero cristiano – , ma, soprattutto, la descrizione di un eros che, cosa assai nuova rispetto al platonismo, dall’alto va verso il basso. Tale novità può essere considerata come una conseguenza dell’ontologia plotinana, in cui tutto “procede” dal principio, poiché nulla gli è veramente estraneo. Allo stesso modo, si è visto come Plotino abbia proposto una condanna dell’amore carnale ben più marcata di quella presente nei dialoghi platonici, a dimostrazione del fatto che la dottrina del filosofo di Licopoli rappresenta, in tutto e per tutto, in trait d’union con la letteratura cristiana. 124 |