Il Casino Garlero e il Villino Partanna
di Eleonora Continella e Francesco Maggiore
Per parlare di questi due fabbricati, dei quali oggi purtroppo non resta che un vago ricordo, occorre
anzitutto inquadrare la zona in cui si trovavano: l’antico stradone Madonna dell’Orto 1, che prendeva
il nome dall’omonima chiesa, che «sorgeva presso un mulino di sale lungo la strada che dal bastione
di porta Carini conduceva al piano dell’Olivuzza e vi si venerava un dipinto su ardesia raffigurante
la Madonna della Grazia, coperta da un modesto manto fregiato nel lato sinistro da una stella, ai cui
lati erano raffigurati S. Antonio di Padova e S. Antonio Abate. (…) Nel 1933, poiché il luogo sacro
era divenuto insufficiente per gli abitanti della zona, venne presentato il progetto di realizzazione di
una nuova chiesa, opera dell’ingegnere Emanuele Pertica, che sarebbe dovuta sorgere nella nuova
via Re Federico, di fronte l’antica 2. Ma esso non ebbe mai esecuzione. Successivamente la chiesa,
divenuta fatiscente, venne demolita per dar posto ad una nuova costruzione e sostituita da una nuova
sede, ricavata nei corpi bassi di un moderno palazzo della vicina via Imera» 3.
Lo stradone, come accennato, conduceva al piano dell’Olivuzza, che oggi corrisponde alle piazze
Principe di Camporeale e Sacro Cuore. Nel corso del Seicento la politica patrimoniale della maggiore
nobiltà isolana contemplava il possesso di un palazzo di città all’interno delle mura, di un’adeguata
dimora presso il proprio feudo principale, e di una villa giardino suburbana. Quell’oasi circondata da
giardini ubertosi, un tempo noti come Genoardo dei re normanni, divenne sede elettiva delle ville
giardino che tutt’attorno ad essa fecero edificare alcune delle più illustri famiglie del Regno. Vi si
rifugiavano per trovare riparo dall’eccessiva calura dell’estate, o semplicemente in cerca di un’aria
più salubre di quella che (già allora!) si respirava in città.
Nella zona, aveva fatto da battistrada Carlo d’Aragona Tagliavia (1530–1599 4), principe di
Castelvetrano, duca di Terranova, marchese d’Avola e conte di Burgimilluso-Borgetto, figura chiave
della diplomazia del XVI secolo, che si sarebbe meritato l’appellativo di Magnus Siculus per il gran
numero di prestigiose cariche accumulate nel corso della sua vita. Già nel XVI secolo aveva costruito
la sua favolosa villa detta delle Quattro Camere, in un rione poco lontano che proprio da quella villa
avrebbe poi preso il nome.
Poi era arrivato Lorenzo Teglies, marchese di Favara 5, che proprio nella piazza aveva fatto
edificare la villa che, già in abbandono agli inizi del ’600, sarebbe stata sostituita, entro il secondo
decennio del XIX secolo, da quella di Diego Pignatelli e Piccolomini, XII duca di Monteleone, il cui
giardino, ricco di simbologia massonica, fu progettato dallo stesso proprietario insieme all’architetto
Paolo Caccianiga, che in quel periodo dirigeva la cattedra di belle arti dell’Università di Palermo. A
seguire il settecentesco palazzo Camporeale (rifatto agli inizi del ‘900 dal Sindaco Pietro Paolo
Beccadelli e Acton, principe di Camporeale, al quale sarà intitolata la piazza), nel primo ventennio
dell’800 la Villa Serradifalco del duca Domenico Antonio Lo Faso e Pietrasanta, flora e casene dei
La Grua Talamanca 6, principi di Carini, e dei Notarbartolo di Sciara, un antenato dei quali aveva
ereditato dai Sandoval de León anche il palazzo della Zisa.
1
La strada che poi si chiamò corso Olivuzza e, nel 1937, assunse definitivamente il nome di corso Camillo Finocchiaro
Aprile.
2
La chiesa si trovava quasi all’angolo dell’attuale via Imera.
3
Lo Piccolo, F. – In rure sacra, Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti, Palermo, 1995, pp. 91/92.
4
Altre fonti riportano invece, come anno di morte, il 1606.
5
Di entrambi questi personaggi si parla in maniera approfondita nel testo di Giulia Sommariva Palermo Neogotica,
1830-1930, di prossima pubblicazione per i tipi della “Nuova IPSA” (N.B.: la stesura dell’articolo risale al mese di
settembre, mentre il libro è stato poi pubblicato ad ottobre del 2017).
6
Il doppio cognome risale al ‘400: nel 1397 è investito Signore di Carini Ubertino La Grua, la cui unica figlia Ilaria
sposa Giliberto Talamanca; il figlio Ubertino premorì alla madre, e così il titolo passò direttamente al nipote Giliberto
Talamanca e Castagna che, nell’investirsi il 10 gennaio 1453, volle cambiare il proprio cognome in “La Grua
Talamanca”. Così continuarono a chiamarsi anche i discendenti del fratello Giovanni (Giliberto era morto senza figli
A un certo punto, ai primi dell’Ottocento, vi troviamo pure la residenza della principessa di Butera,
Maria Caterina Branciforte, e del suo secondo marito Georg Wilding. Maria Caterina, spesso citata
semplicemente come Caterina, era nata a Palermo nel 1768 da Ercole Michele Branciforte e Pignatelli
(1750 o ’52–1814) e da Ferdinanda Reggio e Moncada, la figlia del principe di Aci. Il 26 luglio del
1784, appena sedicenne, Caterina aveva sposato Niccolò Placido III Branciforte e Valguarnera,
(1761-1807), VI principe di Scordia e VII principe di Leonforte, cugino in secondo grado del padre.
Morto in tenera età l’unico maschio di Ercole Michele e Ferdinanda, questo matrimonio
endogamico, tipico delle grandi famiglie nobili dell’epoca, era l’unico escamotage possibile affinché
i numerosi titoli dei quali Caterina era diventata erede restassero in famiglia, e venissero ereditati,
insieme a quelli del ramo del quale era erede Niccolò Placido, dalla loro figliolanza. La speranza di
mantenere i titoli in famiglia Branciforte resterà tuttavia delusa, in quanto i due avranno solo una
femmina, Stefania Branciforte e Branciforte, che in virtù del suo matrimonio con Giuseppe Lanza
(nel 1805) porterà i titoli in quell’altra famiglia.
Nel 1807, poi, Caterina resta vedova, e sette anni dopo sposa Georg Wilding (1790–1841), un
personaggio dalla vita a dir poco romanzesca 7. Come, quando e perché Caterina e il Wilding si sono
trasferiti in questa residenza dall’avito palazzo Butera? A queste domande, purtroppo, possiamo solo
tentare di abbozzare delle risposte, perché su questi particolari, come un po’ su tutta la vicenda umana
della Principessa di Butera, abbiamo per vari motivi notizie scarse e spesso contraddittorie.
Nel 1819 Francesco Paolo Notarbartolo e Pilo, principe di Sciara, cede in enfiteusi «sette catodi
ed il terreno retrostante» sul piano dell’Olivuzza a Georg Wilding, per via del fatto che essi si trovano
«proprio al confine con la casina che lo stesso principe di Butera aveva di recente acquistato».
Ciò si evince da un “atto di ricognizione” del 12 maggio 1869 tra Ignazio Florio e il cavaliere
Francesco Notarbartolo, relativo al canone enfiteutico che i Florio ancora dovevano al Notarbartolo
per via di questa cessione, registrato dal notaio Giuseppe Quattrocchi al n° 298 del Repertorio.
Ora che è stato finalmente appurato che il Wilding ha sposato Caterina il 22 febbraio 1814 8, e che
il titolo di principe di Butera gli sarà concesso maritali nomine solo con decreto del 18 ottobre 1822
da Ferdinando I delle Due Sicilie 9, tutto sembrerebbe confermare l’ipotesi avanzata dal Cancila che
si dichiara «convinto che il proprietario [della Casina] fosse sin dall’inizio il Wilding»10.
Non ci sentiamo, tuttavia, di scartare del tutto l’opinione corrente, secondo la quale sarebbe stata
Caterina ad acquistare casino e parco «dalla famiglia La Grua e Talamanca principi di Carini alla fine
del ’700. Alla data del 1818, Caterina Branciforte, che possiede quattro case sul fronte della piazza,
in prossimità delle scuderie Pignatelli, e l’area retrostante, ha già acquistato i terreni contigui
confinanti con la proprietà del generale Boucard 11 ampliando verso est la superficie necessaria per la
creazione di un giardino di delizia. Confinanti a est con la proprietà Boucard, il giardino e le case
sono contigue a nord con la dimora e il vasto parco romantico del Duca di Serradifalco, occupando
insieme a questo l’intero comparto urbano compreso fra la Strada dei Lolli, la piazza principe di
Camporeale e lo Stradone della Madonna dell’Orto, e contrapponendosi con estensione pressoché
uguale alla proprietà dell’ampio piano di Malfitano della famiglia Beneventano» 12, che sarà
acquistato nel 1885 da Pip e Tina Whitaker per realizzarvi la magnifica villa che oggi conosciamo
come Villa Malfitano, anch’essa col suo splendido giardino informale.
maschi), fino al Vincenzo La Grua Talamanca e del Bosco che nel 1622 fu per primo onorato del titolo di principe di
Carini da Filippo III (IV di Spagna).
7
Anche di lui si occupa dettagliatamente il succitato testo 1830-1930. Un secolo di Neogotico a Palermo.
8
Cfr. Sommariva – Op. Cit., pag. 248.
9
Per essere poi convertito in quello di principe di Radalì dopo la morte di Caterina, avvenuta a Napoli il 3
febbraio1831.
10
Cancila, O. – I Florio. Storia di una dinastia imprenditoriale, Bompiani, Milano, 2008, pag. 202.
11
Emanuele Burckhardt, francesizzato in De Bourcard o Boucard, generale svizzero al sevizio di Ferdinando IV, dal
1802 Governatore della Sicilia e Presidente della Corte Marziale, dal 1815 Capitano Generale delle truppe del Regno.
12
Eliana Mauro – Il villino Florio di Ernesto Basile, Grafill, Palermo, 2000, pag. 14. Sull’anticipazione dell’acquisto
«alla fine del ’700», cioè a quando era ancora in vita Niccolò Placido, ci sentiamo francamente di avanzare forti
perplessità…
Caterina
volle
accorpare
e
ristrutturare di sana pianta l’insieme
delle casene: uno dei corpi, in
particolare, venne risistemato in stile
“alla cinese”, e fu realizzato un loggiato
neoclassico su due ordini, tripartito da
colonne, proprio a fianco all’ingresso
principale del parco (Fig. 1); secondo il
Cancila, Pietro Lanza, nipote di
Caterina, avrebbe attribuito il progetto
di questi lavori ad un non meglio
identificato architetto francese François
Montier o Dumontier.
Per quanto riguarda l’ampliamento
del giardino di delizia fino «alla
proprietà del generale Boucard», nella
Legenda della Pianta della città di
Palermo e suoi contorni di Gaetano
Lossieux, del 1818 (Fig. 2), nel piano
dell’Olivuzza possiamo infatti notare al
n° 337 «il casino della principessa di
Butera la quale ha fatto acquistare del
terreno sino alle mura del Cap. Gen.le
De Bosciard 13, e vuole farvi un nuovo
giardino», ed al n° 339 «il casino del
Cap. Gen.le De Bosciard», edificio
ottocentesco ancora esistente, con
accesso deturpato da un’attività
commerciale, ma ancora riconoscibile
nelle sue forme originali, al n° 207 di
corso Camillo Finocchiaro Aprile, ad
angolo col viale Regina Margherita. È
indubbiamente in questa fase che nella
tenuta della Principessa viene inglobato
il Casino Garlero, che si trovava
all’estremità orientale della tenuta, al
confine con la proprietà Boucard.
Meno di cinquant’anni dopo la
situazione della contrada appare già
completamente diversa: la Pianta
topografica della città di Palermo e suoi
dintorni, realizzata da Domenico
Gambino nel 1862 (Fig. 3), ci mostra
già
dei
lussureggianti
giardini
all’inglese, segnati da sinuosi viali
interni, che Eliana Mauro mette in
risalto mostrandocene un particolare nel
suo testo 14 (fig. 4). La stessa autrice,
poco più avanti, nel suo testo già più
13
14
Errata trascrizione di De Boucard.
Eliana Mauro – Op. cit., pag. 13, fig. 4.
Figura 1
Figura 2
Figura 3
volte citato, riporta un particolare (Fig.
5) del Piano Regolatore del Giarrusso
(1886), grazie al quale possiamo vedere
il confine che divideva il giardino della
Villa da quello di Villa Serradifalco;
confine abbastanza relativo, peraltro, se
è vero che, al tempo in cui Barbara
Schachowskoi 15, la seconda moglie di
Georg Wilding, ospitò la zarina
Aleksandra i due parchi furono
addirittura messi in comunicazione.
Dopo tutti questi antefatti, arriviamo
finalmente a concentrare la nostra
attenzione sul vero oggetto di questa
ricerca: il casino Garlero. Che era poi
la prima costruzione che s’incontrava
sulla sinistra dello Stradone Madonna
dell’Orto rientrando verso la città dal
piano dell’Olivuzza. Il Vocabolario
dell’Istituto Treccani dà questa
definizione del primo dei possibili
significati del termine casino: «In
passato, casa signorile di campagna; in
particolare, edificio che, nelle ville
principesche, serviva alla residenza
padronale o a usi varî (c. di
caccia, c. di pesca, ecc.)». Lasciamo
alle competenze linguistiche dei lettori
(o, in alternativa, alla loro fantasia)
quali possano essere gli altri significati,
concentrandoci piuttosto proprio su
questo, che in realtà in Sicilia era un
tempo molto meno diffuso della sua
variante casena, che non a caso nei
volumi dell’Enciclopedia pubblicata
dallo stesso Istituto ricorre nelle voci
dedicate ad alcuni personaggi siciliani
o in quella relativa a Villa Zito, nata
appunto come casena nella prima metà
del ’700.
Il Cancila nomina il casino Garlero
tre volte:
15
Figura 4
Figura 5
La contessa Varvara Petrovna Polje Shuvalova, nata principessa Shachovskaja (1796-1870), nobildonna russa – non a
caso sul suo cognome s’è fatta sempre una gran confusione, tanto che diventa Shahoskoy per Rosario La Duca,
Tchekovskaia per Anna Pomar e addirittura Schaonselloy per Orazio Cancila –, pronipote del ricchissimo barone
Alexander Stroganov e proprietaria di fabbriche e giacimenti minerari negli Urali, era già reduce da due precedenti
matrimoni: il primo con il conte Pavel Andreevič Shuvalov, sposato nel 1815 e morto nel 1823, e il secondo con il conte
svizzero Pierre Amédée Charles Guillaume Adolphe de Polier - naturalizzato russo con il nome di Adolf Antonovič
Polje - sposato nel 1826 e morto nel 1830. Nel 1836, ancora quarantenne, ma già vedova da sei anni del secondo marito,
conosce Georg Wilding – anche lui vedovo da cinque anni – durante uno dei balli da lui organizzati a San Pietroburgo
nella qualità di ambasciatore in Russia di Ferdinando II delle Due Sicilie. I due si sposano poco dopo.
− la prima laddove riporta in parte l’atto di vendita (13 dicembre 1864 in notar Gioacchino
Patinella, n° 208 del Repertorio) della proprietà già appartenuta alla Principessa di Butera al Cav.
Cesare Ajroldi, fu marchese don Pietro, da parte di Achille Paternò Ventimiglia, nella qualità di
procuratore della Schachowskoi, nel quale leggiamo «che di prospetto da parte della via pubblica ha
principio, salendo dalla città, dalla casa e giardinetto un tempo di Garlero, limitrofo alla flora della
cennata principessa vedova Butera, contigua alla casa degli eredi Boucard, e termina l’accennato
prospetto di casa Butera nel piano dell’Olivuzza, precisamente ove esiste altra porta d’ingresso nella
flora della suddetta principessa, limitrofa alla casa degli eredi di don Domenico Filippone». La
“porta” dovrebbe essere l’accesso ancora esistente al giardino dell’attuale palazzo Florio Fitalia dal
n° 7 di piazza Principe di Camporeale, mentre la casa degli “eredi Filippone” si può identificare col
palazzo D’Acquisto, con accesso dal n° 11;
− la seconda dove puntualizza: «qualche giorno dopo, l’Ajroldi – che probabilmente aveva
acquistato gli immobili allo scopo di lottizzarli e rimetterli sul mercato – vendette a tale Santi Di Leo
“un appartamento detto casino Garlero con piccolo giardino, che formavan parte dell’acquisto
totale”, nella zona più orientale del complesso immobiliare, alla fine di via Olivuzza, e che il Di Leo,
a sua volta, si affrettò a rivendere all’avvocato Andrea Guarneri, docente di procedura civile a
Giurisprudenza». Va detto che il Guarneri sarà poi nominato Ministro della Giustizia da Garibaldi, e
Senatore del Regno nel 1880. Dell’appartamento, nella nota 362 di pag. 644, il Cancila ci fornisce
una descrizione dettagliata riportandoci quanto ne ha scritto l’architetto Enrico Salemi nella relazione
premessa al suaccennato atto: «Questa casina, che comprende un vano di balcone, quattro di finestre
ed un’entrata a pianterreno e sei vani di balcone al 1° piano in prospetto confina a dritta col
descrivendo giardinetto, a sinistra con un secondo corpo decorato a stile gotico veneziano e nel
prospetto posteriore con la menzionata flora. Nel prospetto un marciapiede chiuso da parapetto di
ferro forma un terrazzo innanti i cinque balconi del primo piano. Il prospetto tracciato a bugne è
decorato con cornice, pilastrini e sopracigli ad arco acuto a stile gotico. Esso è lungo palmi 94». La
descrizione rispecchia appieno l’immagine che ci mostra una cartolina degli anni ’30 (Fig. 6), sulla
sinistra della quale è possibile riconoscere una delle due colonnine a spirale che rinserrano il prospetto
del Palazzo Maniscalco Basile;
Figura 6
− infine laddove narra di come l’Ajroldi è costretto a vendere in fretta e furia, nel marzo del
1867, quello che oggi chiamiamo Palazzo Maniscalco Basile, e a quel tempo veniva ancora chiamato
Consolato, al mediatore immobiliare Salvatore Grasso (motivo per cui esso assumerà per un certo
tempo anche il nome di Quarto Grasso), in conseguenza della rivolta del Sette e Mezzo, la violenta
dimostrazione antigovernativa, svoltasi tra il 16 ed il 22 settembre 1866, in conseguenza
dell’introduzione nell’Isola della coscrizione obbligatoria, dell’incameramento dei beni ecclesiastici
da parte dei Savoia, nonché dell’epidemia di male asiatico (colera), che in quell’anno aveva mietuto
3.977 vittime. La rivolta, infatti, era culminata nel saccheggio dell’abitazione del Sindaco Antonio
Starrabba e Statella, marchese di Rudinì (l’omonimo palazzo di via Maqueda) e della sua villa di
villeggiatura all’Olivuzza, insieme ad alcune di quelle più vicine. L’Ajroldi riuscirà a vendere il resto
della proprietà, composta dagli attuali Palazzo Florio-Fitalia, Palazzina Florio e Palazzo FlorioWirz solo nel luglio del 1868, in blocco, ad Ignazio Florio per 127.500 lire (inclusi i mobili). Ed è a
questo punto che Cancila specifica che «l’ex casa di Garlero» è l’unica sulla quale i Florio (che nel
1870 acquisteranno per 53.550 lire anche il Consolato da Salvatore Grasso) non riusciranno a mettere
le mani, in quanto il Guarneri se la terrà ben stretta.
Ma perché il casino Garlero si chiamava così?
Quando gli edifici appartenevano a borghesi venivano indicati col cognome del proprietario
mentre, se appartenevano a nobili, erano indicati con il nome del predicato associato al titolo più
importante tra quelli che la
famiglia poteva vantare.
Ne è la riprova il fatto che
il casino Garlero sarebbe
stato poi chiamato Casina
Guarneri,
come
ci
testimonia una cartolina
viaggiata postata tempo
addietro su Facebook da
Matteo Mattaliano (Fig.
7).
Ma chi erano i Garlero?
Ad oggi non siamo riusciti
a trovarne notizie che non
siano la nomina a
Cavaliere
dell’Ordine
della Corona d’Italia del
Capitano
di
fanteria
Figura 7
Francesco Garliero, su
proposta di Luigi Pelloux, Ministro della Guerra nel Governo guidato da Antonio Starabba, marchese
di Rudinì, con Regio Decreto dell’11 febbraio 1897, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n° 91 del 19
aprile dello stesso anno. C’entra nulla con la famiglia in questione? Impossibile dirlo, e quanto a
questo non possiamo che confidare nel frutto di future ricerche in merito.
Dal 1864 in poi, in ogni caso, la storia delle due proprietà segue percorsi completamente diversi:
− quella che era stata la Villa Butera all’Olivuzza, alla morte di Caterina (1831) era passata in
eredità a Georg Wilding, che nel 1834 aveva fatto arricchire, su progetto dell’architetto Vincenzo
Trombetta, quello che oggi conosciamo come palazzo Florio-Wirz con uno splendido prospetto in
stile neogotico-catalano. Alla morte del Wilding (1841) l’aveva ereditata la sua seconda moglie
Barbara Schachowskoi, che tra l’ottobre del 1845 ed il marzo del 1846 vi aveva ospitato la zarina
Aleksandra Fёdorovna, e che nel 1847 aveva affidato all’architetto Rosario Torregrossa il rifacimento
in stile neogotico-veneziano della facciata del Consolato (futuro palazzo Maniscalco Basile). Nel
1864 la Schachowskoi, ormai quasi settantenne e decisa a trasferirsi a Parigi, aveva dato mandato di
venderla al suo procuratore Achille Paternò Ventimiglia, marchese di Spedalotto: lei morirà sei anni
dopo a Vevey, in Svizzera, mentre, come già visto, tra il 1868 ed il 1870 si sarebbe impossessato
dell’intera proprietà Ignazio Florio senior (1838–1891), che vi avrebbe trascorso gli ultimi anni della
sua vita insieme alla moglie Giovanna D’Ondes, per poi lasciarla ai suoi eredi;
− il casino Garlero, ormai Casina Guarneri, resta invece saldamente delle mani del Senatore e
dei suoi eredi, tant’è che, nel 1972, saranno l’avv. Benedetto Cuccio-Guarneri, in quanto erede della
madre Maria Guarneri morta a Palermo il 18/12/1925, Maria-Sofia ed Anna Messana (madre e
figlia), e l’Avv. Ermanno Virga a vendere il fabbricato al Rag. Gaetano Di Pace e al costruttore
Salvatore Marchese. L’area edificabile oggetto della vendita viene così descritta: «in atto occupata
da un vetusto fabbricato posto in Palermo nel Corso Camillo Finocchiaro Aprile (già Corso Olivuzza)
al civico “227” (già civico “215”), il tutto svolgentesi su una superficie di metri quadrati 500 circa, e
per quanto in effetti si trova è confinante: col detto Corso Camillo Finocchiaro Aprile; con proprietà
Maniscalco; con proprietà Macchiarella e con edificio in condominio con ingresso dal Corso Camillo
Finocchiaro Aprile numero 213». Nel 1974 il piccolo edificio viene demolito per realizzare l’attuale
condominio con ingresso dal n° 235 di Corso Camillo Finocchiaro Aprile, dove ha sede, tra l’altro,
la Fondazione Camposanto di Santo Spirito.
Ma c’è un “ma”…
Infatti, se guardiamo il retro della cartolina riportata sopra (Fig. 8), leggiamo che l’edificio ritratto
in foto sarebbe la sede dell’Istituto Nicolò Tommaseo, una scuola privata diretta dal Sacerdote Prof.
A. Pollina, insegnante di francese al
corso ginnasiale del Seminario
Arcivescovile, di religione presso
l’I.T.I. “Vittorio Emanuele III”,
nonché cappellano presso la chiesa di
San Giovanni alla Guilla. Poiché nella
cartolina il Corso “Olivuzza” non ha
ancora cambiato toponimo in
“Camillo Finocchiaro Aprile”, cosa
che avverrà solo nel 1937, e poiché
nel retro della cartolina si specifica
che l’Istituto è attivo già da 20 anni,
possiamo presumere che la Casina
Guarneri sia stata sede del
“Tommaseo” all’incirca dalla morte
Figura 8
dell’avv. Guarneri (1914) a prima del
cambio di denominazione della strada (1937).
Anche perché – e questo è il particolare che ha reso questa indagine particolarmente ardimentosa
– la cartolina, pur mostrando la vecchia sede (la Casina Guarneri, appunto) ne pubblicizza in realtà
una nuova, e cioè il “Villino Partanna, Corso Olivuzza 118”. Il villino in questione, situato lungo
l’attuale Corso Camillo Finocchiaro Aprile, nell’isolato compreso tra il corso e le vie Marco Polo,
Mario Muta ed Imera, era stato ristrutturato verso la fine del XIX secolo dall’architetto Francesco
Paolo Palazzotto 16, quando era di proprietà di Mauro Turrisi Grifeo (1855–1917), principe di
Partanna e duca di Floridia, coniugato con Lucia Artale (1873–1955), figlia di Giuseppe, marchese
di Collalto, e di Maria Enrichetta La Grua Talamanca dei Principi di Carini.
Per capire chi è Mauro Turrisi Grifeo dobbiamo fare un passo indietro: il 26 novembre 1776 Lucia
Migliaccio Borgia viene investita duchessa di Floridia in conseguenza della morte senza figli del
fratello Ignazio. Lucia sposa, il 19 aprile 1781, Benedetto Maria Grifeo del Bosco (1756-1812), duca
di Ciminna, di Girolamo, principe di Partanna. Il primogenito dei due, Vincenzo Grifeo Migliaccio,
fu così investito nel 1812 sia principe di Partanna che duca di Floridia. I due titoli continueranno a
16
Cfr. Chirco, A. – Palermo. La città ritrovata – Itinerari fuori le mura, D. Flaccovio Editore, Palermo, 2006, pag. 249,
anche se in realtà la Chirco lo chiama palazzina Turrisi.
“camminare” insieme, passando per un Benedetto Grifeo Gravina, un Vincenzo Maria Grifeo Statella,
fino a Stefania Grifeo Statella che sposa il 29 dicembre 1852 Antonio Turrisi Colonna. I titoli passano
così ai “Turrisi Grifeo”, dei quali il primo rappresentante è Mauro Turrisi Grifeo. Il suo primogenito
Antonio Turrisi Artale succederà alla sua morte in tutti i titoli.
La proprietà del Villino da parte dei Grifeo è attestata anche da una lettera scritta il 24 novembre
1897 dal duca di Floridia: «Messrs. “Peter Camilleri and Son, Timber Merchants and Shipwrights
in Malta” have made a new mast, caulked deck, and many other repairs to the cutter yacht “LUNA”
R.T.Y. (Regio Yacht Club Italiano) to my entire satisfaction. I have much pleasure to strongly
recommend them for good material supplied, moderate charges and satisfactory manner of the work
done 17. F.to: Villino Partanna, Corso Olivuzza, Palermo» (dal sito della “Peter Camilleri & Sons”,
31, Cross Road, MRS 1548 Marsa, Malta).
Di quest’altra sede ci resta un’unica immagine neppure molto chiara, pubblicata su Facebook da
Salvatore A. Girasole, ma appartenente alla collezione della famiglia Maniaci Taibi (Fig. 9). Un altro
utente del “social” vi ha a suo tempo identificato proprio «la friggitoria “Vattiato”, il palazzo dove
c’era la scuola Tommaseo e la merceria “Giammanco”». L’istituto deve esservi rimasto fino alla metà
degli anni ’50 (data della foto), perché successivamente non riusciamo più a trovarne traccia negli
elenchi telefonici. L’edificio, peraltro, verrà demolito insieme a tutti gli altri dell’isolato (salvo una
palazzina ottocentesca all’angolo di corso Olivuzza con via Marco Polo) per la costruzione, nel 1962,
di due moderni condomini, al piano terra di uno dei quali troviamo oggi, proprio all’angolo con la via
Imera, un grosso Supermercato ed una Farmacia.
Figura 9
17
«I Signori “Peter Camilleri and Son, Timber Merchants and Shipwrights in Malta” hanno approntato un nuovo albero,
un ponte calafato e molte altre riparazioni per il cutter yacht “LUNA” del Regio Yacht Club Italiano (R.T.Y.) con mia
piena soddisfazione. Ho quindi il piacere di raccomandarli caldamente per il buon materiale fornito, i costi contenuti ed
il modo soddisfacente in cui è stato svolto il lavoro». L’indirizzo del Mittente risulta pure negli annuari dell’epoca.