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"Reddito di cittadinanza" - Un'alternativa, non un obbligo

Un'alternativa, non un obbligo 150 "Reddito di cittadinanza"

150 10 settembre 2015 IBL Briefing Paper “Reddito di cittadinanza” KEY FINDINGS Un’alternativa, non un obbligo • Nessun paese in Europa prevede redditi di base incondizionati. Di Giovanni Boggero Sempre più di frequente capita di sentir ripetere da esponenti politici,1 ma anche da autorevoli accademici,2 che l’ordinamento giuridico italiano, insieme con quello greco, sarebbe l’unico dell’Europa a ventotto a non conoscere alcuna forma di “reddito di cittadinanza” quale mezzo per combattere l’emarginazione sociale. A questa lacuna del quadro normativo italiano corrisponderebbe peraltro un preciso obbligo tanto costituzionale, quanto unionale a introdurre tale strumento nel diritto interno. L’obiettivo di questo breve scritto è dimostrare che non soltanto tale obbligo non esiste, ma che molti Stati membri dell’Unione europea si sono dotati soltanto di un “reddito minimo garantito”, mentre nessuno ha dato attuazione alla proposta di un “reddito di cittadinanza” o “reddito di base incondizionato”, così come avanzata da diversi partiti europei di estrema sinistra anche tramite il cd. Basic Income Earth Network (BIEN), un’associazione nata nel 1986 con lo scopo di promuovere il reddito minimo universale in tutto il mondo. Proprio l’assenza di un solido inquadramento concettuale e giuridico è all’origine di tante dichiarazioni inesatte sul ritardo normativo del nostro Paese. • Tutti i paesi europei, Italia compresa, hanno forme di assistenza e previdenza per le categorie più deboli della popolazione. • L’introduzione in Italia di un reddito di cittadinanza non è un obbligo, ma una scelta rispetto ad altre forme di welfare. • Un’assistenza in denaro può essere concepita solo se alternativa all’erogazione di servizi pubblici alla cittadinanza. 1. La garanzia del minimo vitale non equivale a un reddito minimo universale Buona parte degli equivoci legati al dibattito politico italiano è generata da un’assenza di chiarezza terminologica e deinitoria dello strumento proposto. A questa assenza di chiarezza corrisponde una confusione di istituti e di pratiche che hanno in comune soltanto l’obiettivo di garantire la “libertà dal bisogno”, ma che in realtà hanno un impatto assai diverso tanto sull’economia quanto sulla inanza pubblica. I fautori di questo strumento sogliono parlare alternativamente di “reddito di cittadinanza”, “reddito minimo”, “reddito universale di base”, “reddito minimo garantito” o “reddito di inserimento” come se si trattasse di sinonimi, senza mai darne una deinizione precisa, ma anzi spesso mescolando caratteristiche proprie e improprie dell’istituto, ossia assimilandolo ora a una misura di integrazione di reddito da lavoro, ora a una prestazione incondizionata da erogare a qualsiasi cittadino o addirittura solo a un residente in quanto persona. Da quale deinizione partire? 1 Reddito di cittadinanza, primo sì dal Parlamento europeo, dal blog www.beppegrillo.it,16 giugno 2015. 2 Cf. C. Tripodina, Il diritto a un’esistenza libera e dignitosa. Sui fondamenti costituzionali del reddito di cittadinanza, Torino, 2013. Giovanni Boggero è dottore di ricerca in diritto costituzionale IBL Briefing Paper 150 10 settembre 2015 Giovanni Boggero Occorre partire dal presupposto che un conto sono misure per la sussistenza o per il sostegno al reddito da lavoro, che garantiscono il raggiungimento di un cd. “minimo vitale” ai lavoratori più poveri e bisognosi o comunque ad alcune categorie di persone in condizioni di disagio, e un altro sono le misure con le quali si inanziano tutti gli individui di uno Stato con somme isse erogate tramite i proventi della tassazione, senza accertare il loro stato di bisogno o la loro condizione economica e patrimoniale. È la diferenza nota anche nel mondo anglosassone tra guaranteed minimum income o minimum-income benefit e unconditional basic income. Le più sommarie analisi comparatistiche paiono prescindere da questa fondamentale distinzione e trattano misure da ricondurre ora all’uno e ora all’altro istituto come se fossero fungibili, ingenerando così l’impressione che il “reddito di cittadinanza” esista in tutta Europa, ma non in Italia. Tutto dipende invece da come deiniamo “reddito di cittadinanza”. Se lo deiniamo come minimum-income benefit, e senza considerare altre forme di assistenza, l’Italia è senz’altro tra i fanalini di coda ma non è comunque sola, mentre se lo deiniamo come unconditional basic income allora l’Italia è in buona compagnia, dato che l’idea di un reddito garantito universale e assoluto a prescindere dalla situazione di bisogno delle persone,3 per quanto afascini le sinistre di mezza Europa, inclusi intellettuali nostrani come la sociologa Chiara Saraceno e il ilosofo del diritto Luigi Ferrajoli,4 è economicamente insostenibile e, se si fa eccezione per un paio di progetti pilota spermentati in Brasile, mai è stata attuata su vasta scala in alcun Paese.5 1.1. L’esperienza in Europa: redditi minimi selettivi e mai incondizionati A dire il vero, dunque, i due strumenti sopra menzionati sono mutualmente esclusivi e i sostenitori dell’uno tendenzialmente rigettano l’altro. Ad esempio, se il reddito di base incondizionato fosse davvero già realtà in tutti i Paesi dell’Unione europea non si capirebbe come mai in Germania il partito ecologista dei Grüne e il partito della sinistra Die Linke lottino da anni proprio contro le forme che assicurano un minimo vitale a una certa categoria di cittadini (ALG II o Hartz IV), perché accusate di contribuire alla “precarizzazione” dell’esistenza e siano invece a favore dell’introduzione di un reddito di base per tutti i residenti nella Repubblica federale (bedingungsloses Grundeinkommen o BGE) che sostituisca ogni altra prestazione sociale. In Germania, Hartz IV è stato concepito durante il secondo governo di Gerhard Schröder per accorpare due sussidi diversi: il sussidio di disoccupazione (Arbeitslosenhilfe) e il sussidio sociale (Sozialhilfe). Tuttavia, non ogni altra prestazione sociale è stata accorpata nel sussidio Hartz IV, visto che rimangono pur sempre in vigore l’Arbeitslosengeld, il classico sussidio di disoccupazione e altri sussidi sociali di invalidità. Peraltro, lo schema di reddito minimo è completato da altre due misure: la garanzia di sussistenza di base per le persone anziane o per le persone con ridotte capacità lavorative, versato qualora non sussistano i requisiti di Hartz IV e il cd. aiuto per il sostentamento, prestazione residuale che viene erogata qualora non sussistano i requisiti per gli altri due sussidi. Ma il nodo principale è la condizionalità. Il sussidio Hartz IV 3 Tra i principali sostenitori del reddito di base incondizionato vi sono P. Van Parijs and Y. Vanderborght, Il reddito minimo universale; trad. italiana di G. Tallarico, Milano: Università Bocconi, 2006. 4 C. Saraceno, “Prefazione”, in: P. Van Parijs and Y. Vanderborght, Il reddito minimo universale; trad. italiana di G. Tallarico, Milano: Università Bocconi, 2006; L. Ferrajoli, Principia Iuris. Teoria del diritto e della democrazia, Roma-Bari, 2007. 2 5 Cf. Perotti e T. Boeri, “Reddito di cittadinanza e reddito minimo garantito”, in www.lavoce.info, 5 marzo 2013. 150 IBL Briefing Paper 10 settembre 2015 “Reddito di cittadinanza”: un’alternativa, non un obbligo di circa 400 euro al mese, che con le spese di aitto e riscaldamento e i contributi sociali arriva a circa 750 euro (senza contare i bonus per ciascun iglio), è erogato a persone tra i 15 e i 67 anni che siano ritenute abili al lavoro (erwerbsfähig), che continuino a cercarlo e che non riiutino le proposte di lavoro loro oferte dall’Agenzia federale del lavoro (Bundesagentur für Arbeit), pena l’irrogazione di sanzioni piuttosto severe: il sussidio viene decurtato del 30 percento nel caso di una prima infrazione; nel caso di reiterata infrazione del 60 percento, mentre al terzo episodio di violazione dei patti con l’Agenzia federale il sussidio viene revocato. In altre parole, per quanto esso sia sotto accusa per aver creato una classe di persone dipendenti a vita dai sussidi statali, l’obiettivo originario di Hartz IV non era certo di legare indeinitamente una pletora di individui alla mangiatoia pubblica, erogando loro un assegno per il mero fatto di essere su questa Terra.6 La pretesa di alcuni accademici italiani di slegare del tutto dal “fattore lavoro” la corresponsione del reddito minimo è quindi destinata a infrangersi contro il muro della sua insostenibilità economica. Delle due l’una: o si vuole un reddito minimo, la cui erogazione è legata a condizioni ben precise e allora tra queste condizioni dovrà esservi la disponibilità alla ricerca di lavoro da parte del percettore di denaro pubblico oppure si vuole un reddito di base privo di condizioni da erogare a chiunque e allora non si dovrà veriicare che il beneiciario cerchi lavoro, né fare in modo che l’entrata issa che gli viene corrisposta eviti di scoraggiare il lavoro part-time e occasionale. Viceversa, la dottrina giuridica italiana più recente tende a mescolare elementi dell’uno e dell’altro schema, proponendo che tra le condizioni non igurino né sanzioni ispirate al principio di proporzionalità, né l’obbligo di accettare una proposta di lavoro oferta tramite i centri per l’impiego e che la prestazione in denaro possa essere corrisposta anche per lavori cosiddetti non produttivi o socialmente utili.7 È evidente che un annacquamento delle condizioni issate dalla legge faccia oscillare il pendolo verso la soluzione del reddito di base con entrata issa e non verso la soluzione tedesca del minimo vitale. Non diverso da quello vigente in Germania è il quadro normativo in altri Stati membri dell’UE. Innanzitutto, in Francia, dove il revenu minimum d’insertion (RMI) è stato sostituito nel 2009 e accorpato con un’altra prestazione sociale, l’indennità di congedo parentale (API), dal revenu de solidarité active (RSA). Questo schema, sebbene risulti economicamente più generoso di Hartz IV, non ha nulla a che fare con un reddito di base incondizionato, visto che decresce all’aumentare del reddito: per i cittadini single è azzerato a partire da un reddito di 15.000 euro e per le coppie a partire da un reddito di 30.000 euro.8 In questo 6 Meno ediicante è l’esperienza dei cd. “1-Euro-Jobber”, quei percettori del sussidio sociale Hartz IV ai quali vengono formalmente oferte attività di reinserimento nel tessuto produttivo o lavori socialmente utili in cambio di risibili indennità per 1,5 euro l’ora. Il beneiciario non instaura formalmente alcun rapporto di lavoro con un’impresa, ma di fatto è come se venisse assunto. In questo modo migliaia di piccole e medie imprese possono godere di manodopera a buon mercato pagata dallo Stato, senza che tali attività abbiano alcun impatto rilevante sul reinserimento delle persone nel mercato del lavoro. Cf. K. Hohmeyer, J. Wolf, A Fistful of Euros: Does One-Euro-Job Participation Lead Means-Tested Benefit Recipients Into Regular Jobs and Out of Unemployment Benefit II Receipt?, Institute for Employment Research (January 2008) LASER Discussion Papers – Paper No. 13. 7 C. Tripodina, cit., 231-239; F. Pizzolato, Il minimo vitale. Profili costituzionali e processi attuativi, Milano, 2004, 102; G. Prosperetti, Dall’art. 3 all’art. 35 della Costituzione, Relazione, G. Bronzini, Il reddito di cittadinanza. Una proposta per l’Italia e per l’Europa, Torino, 74. 8 A. Garnero, “Reddito minimo alla francese”, in www.lavoce.info, 13 gennaio 2009. 3 IBL Briefing Paper 150 10 settembre 2015 Giovanni Boggero senso, l’erogazione del sussidio funziona secondo il modello di imposta negativa sul reddito proposto da Milton Friedman ed è pari alla diferenza tra il reddito minimo standard e il reddito efettivo, su cui torneremo. Il pregio di una tale soluzione sta nella sua automaticità, che evita al beneiciario dell’assegno di dover dimostrare il proprio stato di bisogno all’amministrazione. Anche in Francia, quindi, il riconoscimento di un minimo vitale è strettamente connesso ad un preciso sistema di incentivi e al soddisfacimento di requisiti quali l’abilità al lavoro e, almeno in teoria, alla disponibilità dei percettori di accettare oferte di lavoro. Si consideri, poi, il caso del Regno Unito, nel quale il partito ecologista propaganda da anni l’introduzione di un Basic Income, ma è in vigore soltanto il cd. Income Support, un sussidio simile agli omologhi francesi e tedeschi che va dalle 200 alle 300 sterline al mese a seconda di età e status familiare ed è versato a coloro i quali dimostrino di vivere sotto la soglia di povertà. Chi, infatti, tra i 16 anni e l’età pensionabile, lavora più di 16 ore alla settimana e ha risparmi per una cifra superiore alle 16.000 sterline non può percepire l’assegno, mentre la sua erogazione è decrescente a partire dalle 6.000 sterline di risparmi. Accanto al Basic Income, vanno ricordati anche i Working Tax Credits, integrazioni del reddito per coloro che lavorano almeno trenta ore a settimana e hanno un imponibile piuttosto basso. A partire dal 2017, le diverse prestazioni sociali esistenti dovrebbero essere accorpate in un unico sussidio, chiamato Universal Credit, che tuttavia non ha nulla a che fare con un reddito di base universale e incondizionato, ma continuerà a seguire la ilosoia pro workfare degli strumenti in vigore oggi. Anche in Spagna non esiste nessuna “renta basica universal” come l’avrebbe voluta, in un programma iniziale, il nuovo partito populista Podemos, ma esistono diversi schemi di redditi minimi di inserimento molto bassi, ossia ampiamente al di sotto della soglia del 60 percento del reddito mediano, erogati dalle Comunità Autonome e non dallo Stato centrale. Di esperimenti a livello regionale e locale, d’altra parte, se ne sono visti anche in Italia, da ultimo quello varato in Friuli-Venezia Giulia (legge 10 luglio 2015, n. 15) e prima ancora, ex multis, nel Lazio (legge 20 marzo 2009 n. 4), in Campania (legge 19 febbraio 2004 n. 2), Toscana (24 febbraio 2005, n. 41), Abruzzo (legge 18 giugno 2013, n. 16) e Basilicata (legge 19 gennaio 2005 n. 3). Quindi, a rigor di logica, anche la Spagna andrebbe annoverata tra i Paesi privi di una formula univoca di reddito minimo garantito, alla stregua di Italia e Grecia. Stessa cosa dicasi della Croazia, che ha aderito all’Unione europea nel 2013, ma ancora non prevede alcuna forma di reddito minimo garantito. 4 Anche in tutti gli altri Paesi dell’Unione europea, i diferenti schemi approntati si rifanno a un’idea di minimo vitale means-tested e non universale, talora limitata al permanere delle condizioni di bisogno, di norma assegnato ai residenti maggiorenni e non solo ai cittadini, il cui importo è da parametrare non solo al 60 percento del salario mediano dello Stato, che è considerata la soglia di rischio-povertà, ma da bilanciare anche con la posizione dei lavoratori a basso reddito (in particolar modo qualora esista un salario minimo) e al livello degli altri contributi sociali, in particolare quelli di disoccupazione. A questo proposito, va ricordato che solo pochi Paesi garantiscono un reddito minimo pari al 60 percento del reddito mediano. Al contrario, quasi in ogni Stato membro UE la legge issa l’importo a una soglia più bassa, per non disincentivare del tutto i lavoratori a basso reddito o per non disincentivare la ricerca di lavoro da parte di chi abbia già percepito per un certo periodo il sussidio di disoccupazione. Anche includendo le integrazioni per l’alloggio e il riscaldamento, solo Regno Unito, Irlanda, Danimarca e Olanda assicurano il già menzionato standard 150 IBL Briefing Paper 10 settembre 2015 “Reddito di cittadinanza”: un’alternativa, non un obbligo del 60 percento.9 Peraltro, in alcuni Paesi il regime di condizionalità è più rigido (obbligo di cercare e accettare un’oferta di lavoro), in altri è più lessibile (obbligo di partecipare a corsi di formazione), a seconda della categoria di persone (giovane o anziano, disoccupato di lungo corso o meno ecc.) che percepisce il sussidio. Nella maggior parte dei Paesi europei, poi, il reddito minimo è un sussidio soltanto residuale, cui si può accedere soltanto dopo averne percepiti altri. Nei Paesi dove è più lessibile, come Olanda e Danimarca ad esempio, il reddito minimo garantito tende ad essere assimilato alle forme di reddito di base e può più facilmente essere qualiicato come “sussidio all’ozio”. Ciascuno Stato membro UE disciplina in maniera alquanto eterogenea la materia ed è quindi diicile paragonare un ordinamento all’altro,10 anche se può ravvisarsi una certa convergenza verso un “modello sociale europeo”, in base al quale i sussidi per l’assistenza sociale vengono progressivamente accorpati in un’unica prestazione inalizzata al sostegno al reddito e alla garanzia della sussistenza, senza che l’obiettivo di evitare fenomeni di dipendenza cronica sia abbandonato. 1.2. Le proposte di legge giacenti in Parlamento: reddito minimo o di base? Parzialmente diversi dalla prassi europea qui sopra esaminata sono i disegni di legge del M5S (Movimento 5 Stelle) e le proposte di legge del PD e del gruppo parlamentare di SEL (Sinistra, Ecologia, Libertà).11 Tutte le proposte, per quanto si ispirino al modello di un reddito selettivo e non universale, issano condizioni piuttosto morbide che rischiano di avvicinare lo strumento al modello del reddito di base. La proposta grillina stabilisce un reddito minimo standard di 780 euro al mese per tutti i residenti in Italia da almeno ventiquattro mesi, che corrisponde sì al 60 percento del reddito mediano della Repubblica, ma è ben al di sopra della soglia di povertà relativa, che secondo l’ISTAT nel 2013 ammontava a circa 580 euro in caso di un solo componente il nucleo familiare, e che rischia quindi di non avere adeguate coperture, specie se si considera che le coperture previste dalla proposta sono, talune, di diicile attuazione perché già dichiarate incostituzionali dalla Corte – dalle pensioni d’oro alla Robin Tax – altre eccessivamente ottimiste nella stima, dalle tasse sul gioco al settore bancario e assicurativo. Il sussidio, peraltro, viene corrisposto senza tenere conto di alcuna soglia patrimoniale e mescola iniquamente lo schema a base individuale e quello a base familiare.12 Senza contare che i beneiciari del sussidio possono riiutare le oferte di lavoro per ben tre volte senza alcun tipo di sanzione, né vengono previste adeguate oferte formative o di reinserimento nel tessuto produttivo. 9 Si vedano i dati e il commento in: H. Immervoll, Minimum-Income Benefits in OECD Countries: Policy Design, Effectiveness and Challenges, IZA DP. No. 4267, December 2009. 10 Così anche: S. Spattini, “Reddito minimo garantito e prestazioni sociali alternative in Europa”, in www. bollettinoadapt.it, 19 dicembre 2011. 11 Si tratta delle proposte di legge: A.C. n. 1683 d’iniziativa del deputato Migliore e altri, presentata il 14 ottobre 2013 e A.C. n. 720 di iniziativa del deputato Leva e altri, presentata il 10 aprile 2013 e dei disegni di legge n. 1148 di iniziativa del senatore Catalfo e altri, comunicato alla Presidenza il 29 ottobre 2013 e n. 1670 di iniziativa della senatrice De Petris e altri, comunicato alla Presidenza il 12 novembre 2014. 12 T. Boeri e P. Monti, “Reddito minimo a 5 Stelle: può funzionare?”, in www.lavoce.info, 19 novembre 2013. 5 IBL Briefing Paper 150 10 settembre 2015 Giovanni Boggero Il disegno di legge di SEL propone un reddito minimo garantito individuale di 600 euro al mese, limitato nel tempo ma prorogabile, non cumulabile con altre prestazioni sociali e rivolto a persone in età non-pensionabile con un reddito imponibile inferiore a 8000 euro e residenti in Italia da almeno ventiquattro mesi, periodo di tempo suiciente per evitare casi di “turismo sociale”, come quelli che paiono talora veriicarsi in Germania, dove il sussidio è garantito a partire dal terzo mese di residenza. Inoltre, la proposta prevede una delega al governo per il riordino degli ammortizzatori sociali in modo da evitare duplicazioni nell’erogazione delle provvidenze e stabilisce l’immediata decadenza dal percepimento del sussidio, nel caso in cui il beneiciario riiuti una congrua proposta di impiego oferta dai centri. Restano tuttavia alcune perplessità: la mancata graduazione dell’importo sulla base del reddito per non disincentivare il lavoro occasionale e part-time, il non meglio speciicato contributo aggiuntivo per fronteggiare spese impreviste, in merito al quale non è stabilito alcun limite massimo di importo e la sua cumulabilità con altri assegni; i criteri per valutare la soglia patrimoniale, che paiono piuttosto vaghi e generosi, e i casi nei quali l’oferta di lavoro può considerarsi non congrua. A quest’ultimo proposito, va detto che, se la congruità della proposta di impiego fosse valutata esclusivamente sulla base delle aspirazioni personali del beneiciario, il reddito verrebbe a qualiicarsi come de facto incondizionato. La proposta di legge sembra invece fare riferimento a criteri oggettivi, laddove stabilisce che il centro per l’impiego deve tenere conto del salario precedente del soggetto interessato e della professionalità acquisita, della formazione ricevuta e del riconoscimento delle competenze formali e informali. In ogni caso, la nozione di “congruità dell’oferta di lavoro” non è nuova nella legislazione lavoristica, ma anzi trova già una deinizione nella legge, da ultimo nella legge 28 giugno 2012 n. 92, e va tendenzialmente legata sia al compenso della precedente occupazione, sia alla distanza del luogo di residenza dal posto di lavoro. Sulla base della potestà legislativa concorrente in materia di tutela del lavoro di cui all’art. 117, co. 3 Cost., sono le Regioni a poter modiicare i requisiti. Per il resto, questa disposizione della proposta di legge presuppone un alto livello di eicienza da parte dei centri per l’impiego, i quali, complice la riforma delle Province e delle Città metropolitane ancora in piena fase di attuazione, sono essi stessi in una fase di ripensamento e riorganizzazione.13 Più appropriato sarebbe poi graduare le sanzioni sul modello tedesco. Inine, la proposta di legge di alcuni deputati del Partito Democratico, tra cui anche il Ministro per la sempliicazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia, issa un reddito minimo garantito a 500 euro, per tutti i residenti maggiorenni con regolare permesso di soggiorno da almeno trentasei mesi e con un ISEE inferiore a 6880 euro. L’importo può essere incrementato di un terzo per ogni famigliare a carico e ha il pregio di essere più vicino alla soglia di povertà assoluta che non al tasso di povertà relativa, scelto invece come parametro dal M5S. La scelta della soglia non è questione da poco e incide inevitabilmente anche sul costo complessivo dell’operazione che, secondo l’ISTAT, si aggira intorno ai 15 miliardi nella proposta del M5S e 23 in quella di SEL, dal momento che in quest’ultimo caso non si riduce al crescere del reddito familiare. Non vi sono numeri disponibili, invece, con riferimento alla proposta dei parlamentari del PD, che pare insomma abbandonata.14 A diferenza della proposta di SEL, il reddito minimo del PD è pensato come una misura temporanea (12 mesi + 12 mesi di eventuale proroga) e prevede obblighi di formazione precisi, anche se nulla stabilisce in tema di disponibilità del beneiciario alla ricerca attiva di 13 V. sul punto A. Giuricin, Eliminare le Province. Alcuni consigli per procedere spediti, IBL Brieing Paper n. 129, 2 dicembre 2013. 6 14 ISTAT, Audizione del Presidente dell’Istituto Nazionale di Statistica – Giorgio Alleva, Roma, 11 giugno 2015. 150 IBL Briefing Paper 10 settembre 2015 “Reddito di cittadinanza”: un’alternativa, non un obbligo lavoro e prevede in maniera alquanto vaga che la decadenza dal percepimento del sussidio non operi nel caso in cui i centri per l’impiego non ofrano proposte di lavoro congrue. 2. Non “ce lo chiede” né la Costituzione, né l’Europa Come emerge dall’analisi delle proposte in Parlamento, al di là della rubrica e dei nomi, la diferenza tra reddito di base incondizionato e garanzia di un reddito minimo sta e starà, in concreto, nella più o meno stringente previsione di limiti e controlli e veriiche delle condizioni necessarie per ottenere e mantenere l’assegno. Anche laddove lo si volesse chiamare reddito minimo, sarebbe suiciente una regolamentazione a maglie larghe per renderlo una forma assistenziale generale e priva di controllo. Sgombrato comunque il campo dall’equivoco ingenerato dalla confusione tra reddito di base incondizionato e garanzia di un reddito minimo, occorre ora brevemente interrogarsi se esista un obbligo costituzionale e/o europeo a introdurre nel nostro ordinamento tale garanzia. Partendo dal diritto dell’UE, occorre sottolineare come anche i più convinti assertori del reddito minimo garantito abbiano qualche diicoltà a sostenere la tesi che esistano norme con una qualche cogenza che obblighino l’Italia a mettere mano alla propria legislazione sociale al ine di accorpare i sussidi sociali attualmente in vigore in un unico assegno su base individuale o familiare qualora vi siano particolari condizioni di bisogno. Nello speciico, il più volte richiamato art. 34, co. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in base al quale l’Unione riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale in quanto volto a garantire un’esistenza dignitosa a coloro che non dispongono di risorse suicienti, non fonda alcuna nuova competenza a legiferare in materia, ma al massimo impone che l’Unione si astenga dal legiferare in maniera contraria al sopracitato diritto, così come le legislazioni e le prassi nazionali lo intendono. Che il diritto a un reddito minimo sia diventato un diritto fondamentale perché solennemente proclamato nell’art. 34 della Carta è quindi una forzatura bella e buona della lettera del trattato. L’assistenza sociale volta a garantire un’esistenza dignitosa non passa in maniera obbligata per uno strumento preciso, ma è subordinata all’esercizio dell’ampia discrezionalità di cui godono i legislatori nazionali. Che l’Unione non goda di alcuna competenza in materia è poi chiarito dall’art. 153 TFUE, in base al quale essa si limita a sostenere e completare l’azione degli Stati membri in settori tra i quali igura anche la lotta all’esclusione sociale. In particolare, il Parlamento europeo e il Consiglio possono adottare delle misure che favoriscono la cooperazione tra Stati membri, lo scambio di informazioni e migliori prassi, ma senza che ciò risulti in proposte di armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Più nello speciico, proprio in materia di lotta all’esclusione sociale, l’Unione non può approvare direttive con le quali si adottino le prescrizioni minime applicabili progressivamente. In altre parole, il diritto dell’UE riserva alla competenza esclusiva degli Stati membri di deinire i propri sistemi di sicurezza sociale. Tutto ciò che il Parlamento europeo ha quindi potuto fare sinora è raccomandare gli Stati membri tramite atti non vincolanti quali risoluzioni e raccomandazioni a la previsione di meccanismi di reddito minimo garantito, mentre il reddito di base incondizionato per tutti è stato derubricato a ipotesi sulla quale la Commissione dovrebbe svolgere un’analisi di eicacia. Alla luce di ciò, stupisce allora che le sinistre europee abbiano lanciato di recente la cd. “European Citizens’ Initiative for Unconditional Basic Income”, una petizione popolare dei cittadini europei per imporre all’Unione europea l’adozione di un reddito di base incondizionato. Infatti, stando all’art. 227 TFUE, la petizione dei cittadini 7 IBL Briefing Paper 150 10 settembre 2015 Giovanni Boggero europei può essere rivolta al Parlamento europeo in una materia che rientra tra quelle di competenza dell’Unione. Come abbiamo appena visto, non è questo il caso del reddito minimo garantito e tantomeno di quello di base. La petizione, qualora venisse irmata da un milione di cittadini dell’Unione, non avrebbe altro efetto se non quello di costringere la Commissione europea ad esaminare la proposta e il Parlamento ad esprimersi, eventualmente, con l’ennesima raccomandazione. Per quanto riguarda, invece, quei costituzionalisti che sostengono che l’introduzione del reddito minimo garantito sarebbe quantomeno da considerarsi una misura costituzionalmente necessaria, occorre esaminarne le argomentazioni. Innanzitutto, essi considerano che il combinato disposto degli artt. 2, 3, 4 e 38 della Costituzione stabilisca il diritto di una persona e non solo del lavoratore o dell’inabile al lavoro a vedere assicurata la propria esistenza qualora si trovi in condizioni di debolezza sociale ed economica. In questa categoria rientrano senz’altro le persone in stato di povertà assoluta (circa 4 milioni, secondo le ultime indagini ISTAT), che non possono permettersi nemmeno di acquistare il minimo indispensabile per vivere. Come ha riconosciuto anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 10/2010, la garanzia dell’esistenza sarebbe dunque costituzionalmente necessaria.15 Fin qui, davvero poco da dire. Molto più opinabile è, invece, l’equazione stabilita tra garanzia dell’esistenza così come desunta dalle disposizioni costituzionali sopra menzionate e reddito minimo garantito, ossia afermare che una legge sul reddito minimo garantito sia una legge costituzionalmente necessaria, quasi che al legislatore non fosse lasciata discrezionalità alcuna nella scelta dello strumento o degli strumenti che assicurino un’esistenza libera e dignitosa a chi fosse rimasto privo di lavoro per un periodo prolungato e si trovasse in condizione di bisogno. Ad oggi, l’ordinamento italiano conosce una serie frammentata di misure, tutte però egualmente intese a garantire lo ius existentiae. Tra queste occorre ricordare l’assegno sociale (legge 8 agosto 1995, n. 335) e la cd. social-card per minori e anziani (D.L. 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modiicazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), evolutasi poi nella cd. carta acquisti e nel SIA o Sostegno per l’Inclusione Attiva (D.L. 9 febbraio 2012 n. 5, convertito in legge 4 aprile 2012 n. 35 e legge 27 dicembre 2013, n. 147). Seguendo l’esempio tedesco dell’Existenzminimum, anche la no-tax-area, ossia il limite di reddito imponibile al di sotto del quale non si debbono pagare le imposte (in Italia pari a 8000 euro per i lavoratori dipendenti e assimilati, a 4800 euro per i lavoratori autonomi), rappresenta uno strumento importante di garanzia del diritto a un’esistenza libera e dignitosa. Allo stato attuale, comunque, non esiste una misura per una platea più vasta di persone o di cittadini in stato di bisogno, a parte, per il solo 2015, il cd. ASDI che, a dispetto del nome “assegno di disoccupazione”, può essere percepito per un massimo di sei mesi da coloro i quali non soddisino più i requisiti per ottenere il sussidio di disoccupazione (NASPI), ma si trovino comunque in una situazione di bisogno (art. 16 del D.lgs. 4 marzo 2015, n. 22). Il reddito minimo garantito potrebbe quindi supplire a questa carenza dell’ordinamento, ma non possono essere escluse altre prestazioni selettive e categoriali, monetarie o anche in natura di beni di prima necessità (cibo, indumenti, casa, trasporti). Il reddito minimo garantito è quindi certamente conforme a Costituzione, ma pare franca- 8 15 Corte Costituzionale, sentenza n. 10/2010, Punto 6.4. del Considerato in Diritto, in base alla quale «una normativa posta a protezione delle situazioni di estrema debolezza della persona umana, qual è quella oggetto delle disposizioni impugnate, benché incida sulla materia dei servizi sociali e di assistenza di competenza residuale regionale, deve essere ricostruita anche alla luce dei principi fondamentali degli artt. 2 e 3, secondo comma, Cost., dell’art. 38 Cost. e dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.». 150 IBL Briefing Paper 10 settembre 2015 “Reddito di cittadinanza”: un’alternativa, non un obbligo mente forzato considerarlo anche costituzionalmente obbligatorio,16 visto che altre prestazioni potrebbero rispondere – e già rispondono – allo stesso indispensabile obiettivo di garanzia. In altre parole, è costituzionalmente necessario garantire per legge provvidenze che assicurino un’esistenza libera e dignitosa agli indigenti. Su quali siano i mezzi più idonei decide in ultima istanza il legislatore. Quel che è certo è tuttavia che la Costituzione italiana, nella sua impostazione lavoristica, non ofre alcun assegno in bianco all’ozio, come pure taluni afermano.17 In particolare, per sostenere la conformità a Costituzione anche di un reddito incondizionato, è stato sostenuto che, di fronte all’irrealizzabilità delle politiche di piena occupazione di cui la Costituzione repubblicana costituiva una generosa promessa, sarebbe oggi pur sempre possibile individuare norme costituzionali volte ad assicurare lo ius existentiae a prescindere dall’attitudine di un individuo a svolgere un lavoro. Un discorso approfondito circa l’interpretazione originalista e a un tempo sistematica della Costituzione ci porterebbe lontano. Qui basti dire che il combinato disposto dei sopracitati articoli si riferisce ai casi di cittadini che si trovino in uno stato di debolezza sociale ed economica, il che fa quindi pensare che tale condizione di bisogno debba essere limitata nel tempo. Strumenti quali il reddito minimo devono cioè assicurare la sussistenza e sostenere il reddito senza disincentivare il lavoro, né contraddire quelle politiche di workfare atte a consentire che una persona possa reinserirsi quanto prima nel mercato del lavoro. L’idea per cui “il lavoro non c’è”, ovvero che la promessa (?) del Costituente di creare lavoro per tutti non sarebbe stata mantenuta e che quindi oggi il legislatore sarebbe chiamato a creare una categoria di sussidiati a vita mescola determinismo e socialismo. Innanzitutto, la Costituzione stabilisce che debba essere lo Stato a procurare materialmente lavoro ai propri cittadini (a tal proposito, sono state scritte molte pagine sull’interpretazione dell’art. 1 Cost.). L’impostazione lavoristica della Costituzione e il ruolo ancillare dell’assistenza sociale non possono quindi essere snaturati sulla base dell’idea pur in voga secondo la quale la disoccupazione è una costante invariabile con cui dover fare i conti. Essi mantengono, invece, oggi immutato il loro originario valore. Per questa ragione, se è vero che un reddito minimo garantito sarebbe senz’altro conforme a Costituzione, non altrettanto potrebbe dirsi per un reddito di base incondizionato. Diverso è poi il caso di chi è inabile al lavoro, ed ha quindi diritto, in un’ottica solidaristica del sistema anche previdenziale italiano, a misure anche temporanee quali gli assegni sociali, le pensioni e gli assegni di invalidità e accompagnamento, l’indennità di frequenza per i minori invalidi. Si tratta, tuttavia, di ipotesi speciiche condizionate all’esistenza o al sopraggiungere di una condizione involontaria nella vita di una persona che le rende impossibile o ridotta una capacità lavorativa. 16 Così, tuttavia, C. Tripodina, op. cit., 241 e sgg. 17 Ibidem, 132 e sgg. 9 IBL Briefing Paper 150 10 settembre 2015 Giovanni Boggero 3. Conclusioni L’Italia non è l’unico Paese europeo a non aver ancora introdotto un reddito minimo garantito su base nazionale. Se, oltre a Spagna, Croazia e Grecia, si contano anche diversi Paesi dell’Est Europa, nei quali il sussidio ammonta a una cifra al di sotto della soglia di povertà e si considera che l’assistenza sociale in Svezia e Finlandia non passa attraverso l’erogazione di un reddito minimo, ma attraverso altre provvidenze si può concludere che il quadro è in realtà molto variegato e la lotta all’emarginazione sociale è condotta secondo modalità diverse Stato per Stato. Senz’altro, nessuno dei 28 Stati membri dell’UE conosce una forma di reddito di base incondizionato, che è molto costosa per le casse dello Stato e deleteria per la propensione al lavoro dei cittadini. Quel che più conta, tuttavia, è che già in Italia esistono forme assistenziali che necessariamente debbono essere considerate come alternative al reddito minimo garantito. Non è quindi corretto sostenere che l’Italia è maglia nera in Europa senza voler considerare che aiuti all’indigenza e alle situazioni di bisogno possono e sono già dati con altri strumenti, quali indennità di disoccupazione, assegni di invalidità e accompagnamento e gli altri sopra menzionati, nonché l’accesso gratuito ai servizi di welfare, come istruzione, sanità, trasporti. Ciò in piena sintonia, peraltro, con la Costituzione italiana, la quale garantisce il diritto ad un’esistenza libera e dignitosa non soltanto al lavoratore, ma a qualunque persona, cittadina o residente nel nostro Paese. Tale garanzia costituzionale si sostanza in un diritto all’assistenza sociale non incondizionato e che nemmeno obbliga il legislatore ad adottare un reddito minimo garantito, ma che al massimo gli impone di individuare misure speciiche rientranti nei livelli essenziali delle prestazioni inerenti l’esercizio dei diritti sociali al ine di combattere l’esclusione e l’emarginazione sociale. Tali provvidenze potranno essere improntate a una concezione maggiormente universalista oppure selettiva del sussidio, distinguendo tra categorie diverse di beneiciari e individuando un regime di condizionalità che gradui supporto e sanzioni. Quel che è diicile mettere in discussione, è che i due metodi – assegnazione di un reddito minimo garantito o erogazione di servizi sociali e forme di assistenza speciica – debbono essere considerati alternativi, dal momento che si tratta solo di forme diverse nel modo ma univoche nel risultato di attuare gli impegni che uno Stato sociale ha deciso di assumere su di sé. È proprio quest’alternatività che rende inattendibile la facile comparazione da cui l’Italia risulterebbe inadempiente, ed è proprio da quest’alternatività che bisognerebbe avviare la scelta se mantenere forme diverse, settoriali e speciiche di assistenza, compreso l’accesso gratuito ai servizi, o se introdurre un reddito minimo garantito che in via universale si sostituisca a queste. 10 Una scelta non indiferente che potrebbe portare anche, a ben vedere, a preferire un reddito minimo, una sorta di «voucher» onnicomprensivo che riduca l’intermediazione politica e amministrativa nella distribuzione delle risorse per i servizi sociali e nella decisione di dove, come e a chi assegnarle: in deinitiva, nella politica di welfare State. In questo senso può essere compresa la rilessione di Hayek sul reddito minimo: partendo dal presupposto della opportunità di forme di intervento a sostengo di chi non può provvedere a se stesso, Hayek riteneva infatti preferibile un sostegno in denaro piuttosto che in servizi, come forma – solo supericialmente paradossale – di minimizzazione dell’intervento pubblico e di libertà dall’ingerenza del decisore pubblico nel decidere quale sia e come si debba attuare 150 IBL Briefing Paper 10 settembre 2015 “Reddito di cittadinanza”: un’alternativa, non un obbligo la «giusta» distribuzione delle risorse.18 Una simile preoccupazione di eliminare oneri e arbitri burocratici e politici si riscontra anche nell’idea di un’imposta negativa sul reddito teorizzata da Milton Friedman, secondo cui i percettori di un reddito sotto una soglia minima possono beneiciare di una somma equivalente a una percentuale della diferenza tra quanto efettivamente percepito tale soglia. Una proposta di cui Friedman stesso non nascose le implicazioni negative, in particolare «[v]i sarebbe quindi il pericolo che un meccanismo in virtù del quale una consistente maggioranza degli elettori si tassa al ine di aiutare una minoranza meno fortunata inisca con il tramutarsi in un sistema che permette a una maggioranza di imporre per il proprio beneicio tasse su una minoranza recalcitrante».19 L’impostazione lavoristica della Costituzione e in particolare l’obbligo di ciascun cittadino di partecipare al progresso materiale e spirituale della comunità, invece, impediscono l’approvazione di un reddito di base universale e incondizionato. Inine, i dati di Eurostat risalenti al 201320 mostrano che l’esistenza di un reddito minimo garantito non è automaticamente indice di tassi più contenuti di povertà (Bulgaria, Romania, Lettonia, Lituania, Ungheria, Irlanda, Cipro e Portogallo sono sopra la media UE), mentre l’assenza di un reddito minimo garantito non si accompagna necessariamente a percentuali di povertà relativa molto più allarmanti rispetto a Paesi che hanno introdotto questo tipo di sussidio. A questo proposito, occorre sottolineare come sia impossibile veriicare quale sia la spesa per esclusione sociale nei singoli Paesi, dal momento che la voce “social exclusion & housing nec” è un reisiduo contabile che include spese eterogenee (per l’appunto “not elsewhere classiied”) e non è quindi un indicatore aidabile per stabilire il tasso di spesa contro l’esclusione sociale. In conclusione, si può sostenere che in Paesi come Italia, Spagna e Grecia sono misure di politica sociale diverse, che risultano in una spesa sociale complessivamente molto generosa (rispettivamente al 29,9%, 25,7%, 29,1% del PIL), a mantenere la povertà entro limiti non superiori alle dinamiche della povertà di Paesi che invece assicurano il reddito minimo garantito.21 18 F. von Hayek Law, legislation and Liberty, Vol. III: The Political Order of a Free People, University of Chicago Press, 1979, 55. 19 M. Friedman, Capitalismo e libertà, IBL Libri, 2010, p. 288. Per una prima e compiuta critica a tale proposta v. H. Hazlitt, Man vs. The Welfare State, New Rochelle, NY, 1969, pp. 84-100. 20 EUROSTAT – European Commission, European Social Statistics, 2013 Edition, ISSN 1977-7930. http://ec.europa.eu/eurostat/documents/3930297/5968986/KS-FP-13-001-EN.PDF/6952d8367125-4f5-a153-6ab1778bd4da 21 Così già: S. Spattini, Ancora su salario e reddito minimo, in www.bollettinoadapt.it, 10 maggio 2013. 11 IBL Briefing Paper Chi Siamo L’Istituto Bruno Leoni (IBL), intitolato al grande giurista e ilosofo torinese, nasce con l’ambizione di stimolare il dibattito pubblico, in Italia, promuovendo in modo puntuale e rigoroso un punto di vista autenticamente liberale. L’IBL intende studiare, promuovere e difondere gli ideali del mercato, della proprietà privata, e della libertà di scambio. Attraverso la pubblicazione di libri (sia di taglio accademico, sia divulgativi), l’organizzazione di convegni, la difusione di articoli sulla stampa nazionale e internazionale, l’elaborazione di brevi studi e brieing papers, l’IBL mira ad orientare il processo decisionale, ad informare al meglio la pubblica opinione, a crescere una nuova generazione di intellettuali e studiosi sensibili alle ragioni della libertà. Cosa Vogliamo La nostra ilosoia è conosciuta sotto molte etichette: “liberale”, “liberista”, “individualista”, “libertaria”. I nomi non contano. Ciò che importa è che a orientare la nostra azione è la fedeltà a quello che Lord Acton ha deinito “il ine politico supremo”: la libertà individuale. In un’epoca nella quale i nemici della libertà sembrano acquistare nuovo vigore, l’IBL vuole promuovere le ragioni della libertà attraverso studi e ricerche puntuali e rigorosi, ma al contempo scevri da ogni tecnicismo. I Brieing Paper I “Brieing Papers” dell’Istituto Bruno Leoni vogliono mettere a disposizione di tutti, e in particolare dei professionisti dell’informazione, un punto di vista originale e coerentemente liberale su questioni d’attualità di sicuro interesse. I Brieing Papers vengono pubblicati e divulgati ogni mese. Essi sono liberamente scaricabili dal sito www.brunoleoni.it. Istituto Bruno Leoni – Piazza Cavour 3 - 10123 Torino – Italy T: +39 (011) 1978 1215 – F: +39 (011) 1978 1216 – www.brunoleoni.it – [email protected]