cAmillA PoEsio
L’internamento degli ex fascisti, i rilasci
e la lunga scia di sangue. Il caso di Coltano
Problemi di ordine pubblico e scelta dell’internamento
Il 30 maggio 1945, Giovanni Pieraccini, che aveva partecipato alla
Resistenza a Firenze, socialista, assessore della prima giunta comunale di
Firenze eletta democraticamente, redattore de «La Nazione del Popolo»
il giornale del Comitato toscano di liberazione nazionale (Ctln), direttore
del settimanale socialista «La difesa», poi deputato, senatore e ministro,
descriveva, con dure parole, il perdurare di un’abitudine alla violenza e
di un diffuso desiderio di vendetta. Nella generale situazione di anomia, a
poche settimane dalla ine delle ostilità, trovavano ampio spazio episodi di
efferata brutalità nei confronti di ex fascisti.
Gli uomini hanno perso il senso della giustizia e del rispetto della personalità
umana. Educati da decenni di guerre e di violenze, la vita non appare loro
come un supremo e misterioso dono […] Era accaduto che la gente aveva
dimenticato, nella quotidiana abitudine al terrore, il signiicato e la dignità
della vita e della morte. […] Nella libertà ritrovata non seppero distinguere
la giustizia ed abbracciarono la vendetta […]. Ci giungono ogni giorno informazioni di arbitrarie perquisizioni, di violenze senza nome, di atti di vera
barbara crudeltà contro repubblicani fascisti tornati alla luce dai loro inutili
nascondigli […] sappiamo bene che una parte della responsabilità ricade sul
cattivo funzionamento dell’epurazione, sugli ostacoli posti da determinati
organi statali ad una rapida defascistizzazione, alla debolezza del governo
Bonomi, alla pratica dei compromessi. […] Con tutto ciò non possiamo approvare quanto succede. I fascisti di ritorno devono essere denunziati alla
Polizia, e la giustizia li deve giudicare rapidamente.1
1. G. Pieraccini, Giustizia non vendetta, in «La Nazione del Popolo», 30 maggio
1945, riportato in P.L. Ballini, Un quotidiano della Resistenza: «La Nazione del Popolo».
Organo del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (11 agosto 1944-3 luglio 1946), t.
1, Firenze, Edizioni Polistampa, 2008, pp. 383-385.
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Nel contesto generale della cosiddetta giustizia di transizione,2 in cui
rientrano le questioni relative all’epurazione, all’istituzionalizzazione delle
Corti straordinarie d’Assise e alle dificoltà di governare le tensioni postbelliche, di fronte al ritorno degli ex fascisti dopo la liberazione dell’Italia
settentrionale si inserì lo spinoso problema del mantenimento dell’ordine
pubblico e la questione del loro internamento.
Il D.l.g. 26 aprile 1945 n. 149 istituì delle commissioni provinciali
volte ad assegnare gli ex fascisti a case di lavoro, colonie agricole, conino
di polizia, campi di internamento, per un periodo non inferiore a un anno
ń superiore a cinque.3
2. Sul tema della giustizia di transizione la letteratura è vasta. Riportiamo qui solo
alcuni contributi: Transitional Justice. How Emerging Democracies Reckon with Former
Regimes, vol. I, General Consideration, a cura di N.J. Kritz, Washington (DC), United
States Institute of Peace Press, 1995; Transitional Justice and the Rule of Law in New Democracies, a cura di A.J. Mc Adams, Notre Dame (IN), University of Notre Dame Press,
1997; H. Woller, I conti con il fascismo. L’epurazione in Italia, 1943-1948, Bologna, il Mulino, 1997; Transitional Justice, a cura di R.G. Teitel, Oxford-New York, Oxford University
Press, 2000; Retribution and Reparation in the Transition to Democracy, a cura di J. Elster,
Cambridge (UK), Cambridge University Press, 2006; Transitional Justice Theories, a cura
di S. Buckley-Zistel, T. Koloma Beck, C. Braun e F. Mieth, Abingdon-Oxon, Routledge,
2014; The Performance of Memory as Transitional Justice, a cura di S.E. Bird e F.M. Ottanelli, Cambridge, Antwerp Intersentia, 2015.
3. Su questo rimando a C. Poesio, “Pericolo pubblico” e cultura legislativa della
prevenzione in Italia. Il conino di polizia (1945-1975), in «Quellen und Forschungen aus
italienischen Archiven und Bibliotheken, 92 (2012), pp. 542-566. Sull’internamento degli
ex fascisti la letteratura non è molto ampia. Sui campi di prigionia americani in Europa si
vedano i volumi della Commissione Maschke 1973. Per un confronto con la situazione dei
prigionieri di guerra tedeschi in Germania nei campi gestiti dagli americani cfr. F. Somenzari, I prigionieri tedeschi in mano statunitense in Germania (1945-1947), Torino, Silvio
Zamorani, 2011. Su un campo alleato vicino Rimini per i prigionieri dell’esercito tedesco,
cfr. Rimini Enklave 1945-1947. Un sistema di campi alleati per prigionieri dell’esercito
germanico, a cura di P. Dogliani, Bologna, Clueb, 2005. Il campo di Fossoli, liberato dagli
Alleati, fu pensato inizialmente per essere riattivato come campo di prigionia per i soldati
della Repubblica sociale italiana e delle SS italiane in attesa di giudizio, che sovraffollavano le carceri per lo più del Nord Italia; tuttavia quando, nel dicembre 1945, arrivarono solo
una decina di ex soldati della Rsi perch́ la maggior parte era stata liberata, gli Alleati decisero di trasformarlo in un campo di internamento per “stranieri indesiderabili”, categoria
amministrativa in cui rientrarono una molteplicità di soggetti, dagli ex reduci di campi di
concentramento nazisti e talvolta di sterminio che, senza documenti e apolidi, transitavano
in Italia per raggiungere i porti pugliesi, agli ex prigionieri delle isole greche deportati nel
1940, ino alle SS altoatesine. Cfr. C. Di Sante, Stranieri indesiderabili. Il campo di Fossoli
e i “centri di raccolta profughi” in Italia (1945-1970), Verona, Ombre Corte, 2011.
L’internamento degli ex fascisti, i rilasci e la lunga scia di sangue
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L’internamento degli ex fascisti seguiva un doppio scopo. Da una parte, esso fu un tentativo di epurazione, anche se blando, perch́ fu indirizzato a fascisti che erano politicamente pericolosi per i loro precedenti e per la
condotta, ma che non erano condannabili a titolo di reato, perch́ fu diretto
ai fascisti rimasti tali dopo l’8 settembre, e perch́ molti furono frettolosamente liberati; dall’altra – ed è il punto su cui mi soffermerò – cercò di
salvaguardare tanto i fascisti quanto l’ordine pubblico da violente reazioni
popolari, spesso incontrollate.4 Tali tensioni erano legate a sentimenti di
vendetta, rancori personali e risentimenti politici, ma anche, soprattutto
nelle piccole comunità in cui dilagava la disoccupazione, a questioni socioeconomiche. Nel novembre 1945, ad esempio, la Prefettura di Macerata
temeva che, essendo la provincia prevalentemente agricola e non ricca di
possibilità di lavoro, il ritorno dei fascisti avrebbe peggiorato la già grave
situazione occupazionale.5 Nel grossetano, a fronte della richiesta di lavoro espressa dai fascisti là assegnati al conino, si levarono forti proteste
da parte dei lavoratori locali, «che non possono sopportare che i fascisti
responsabili dell’attuale stato di cose, siano preferiti a loro, specialmente
in questo momento che in certe località sta delineandosi il pericolo della
disoccupazione».6
Pertanto, si salutava con favore la costituzione di colonie agricole che,
oltre ai ini punitivi, avrebbero portato avanti quei lavori di risanamento
agricolo che il fascismo non aveva attuato. A Imperia, per fornire un al4. Come nei confronti delle donne collaborazioniste verso le quali gli episodi di violenza furono molto frequenti. Per fare uno dei tanti esempi, il 26 novembre 1944, poco dopo
la liberazione di Firenze, tale Caterina Berardi fu fermata e portata in piazza. Alla presenza
di una sessantina di uomini, usciti dalla Casa del popolo, le furono tagliati i capelli. La rabbia nei suoi confronti non si placò: qualche mese dopo, sul foglio comunista «Potente» del
1° aprile 1945, nella rubrica Fascisti da mandare in galera, comparve di nuovo il suo nome
e addirittura il suo indirizzo di casa. Firenze, Istituto storico della Resistenza in Toscana,
Comitato toscano di liberazione nazionale (d’ora in poi ISRT, CTLN), b. 8, fasc. Commissione inchieste e reclami, sfasc. Berardi Caterina.
5. Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione servizi informativi e sicurezza, Sezione I (d’ora in poi ACS, MI,
DGPS, SIS, Sez. I), Affari generali 1944-1948, Conino politico, b. 253, fasc. Località e
colonie di conino politico, presenza e capienza dei coninati, Comunicazione Prefettura
Macerata in data 21 novembre 1945.
6. Ivi, b. 252, fasc. Cat. P. 10 Massima, sfasc. I Provvedimenti di polizia, Richiesta
del Comitato provinciale di Liberazione nazionale Grosseto alla Presidenza del Consiglio,
prot. n. 3057, 24 luglio 1945.
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tro esempio, la rabbia esplose incontrollata quando furono assolti alcuni
fascisti in istruttoria o in giudizio dopo che fu sciolta la commissione di
giustizia costituita su volontà popolare per decidere della sorte di molti ritenuti collaborazionisti o gerarchi: i fascisti furono prelevati e uccisi in un
clima di «sommaria giustizia popolare». Il questore di Imperia, per evitare
il ripetersi di episodi simili, strinse allora una collaborazione con l’autorità
giudiziaria in modo che i fascisti ritenuti pericolosi e malvisti dalla popolazione fossero trattenuti in carcere a disposizione della Questura per essere
assegnati al conino di polizia.7
La pratica della detenzione politica amministrativa attraverso il conino e l’internamento – il primo usato durante gli anni di regime in modo
indiscriminato,8 il secondo volto a detenere i civili pericolosi per motivi
di polizia o di guerra durante lo stato di belligeranza9 – veniva ora riutilizzata nei confronti di un diverso soggetto politico perseguendo, però, gli
stessi obiettivi: la detenzione sulla base di un sospetto e di una presunta
pericolosità. In molte zone d’Italia, tuttavia, le commissioni provinciali
7. Ivi, fasc. Carte avute dalla II Sezione, persone compromesse politicamente 04981,
Rapporto della Prefettura di Imperia al capo della polizia, 31 luglio 1945.
8. Sul conino di polizia durante gli anni di regime, mi permetto di rinviare a C. Poesio,
Il conino fascista. L’arma silenziosa del regime, Roma-Bari, Laterza, 2011; sugli aspetti
relativi alla distruzione dello Stato di diritto, Ead., Il conino di polizia, la «Schutzhaft» e
la progressione erosione dello Stato di diritto, in Il diritto del duce. Giustizia e repressione
nell’Italia fascista, a cura di L. Lacchè, Roma, Donzelli, 2015, pp. 95-113.
9. Disciplinato dalla legge di guerra nel 1938 e dalla circolare 1° giugno 1940, l’internamento entrò in vigore quando, il 10 giugno, l’Italia dichiarò guerra. L’internamento era
diretto a civili stranieri appartenenti a paesi belligeranti contro l’Italia (internati per motivi
di guerra) e a civili italiani e stranieri ritenuti pericolosi (internati per motivi di polizia)
durante lo stato di guerra. Come il conino, l’internamento poteva avere una forma più
rigida che prevedeva «l’internamento nei campi» (luoghi di concentramento non insulari,
ma situati nell’Italia centro-meridionale) e una più blanda, l’«internamento libero», che
consisteva nell’obbligo di soggiorno in determinate località. Di fatto però non sempre era
chiara la distinzione fra i due tipi e spesso l’unica differenza stava nel numero molto più alto
degli internati nei «campi». In prevalenza furono internati irredentisti slavi della Venezia
Giulia e dell’Istria, ebrei stranieri, zingari e antifascisti italiani. Gli stranieri furono internati
soprattutto su isole su cui vi erano penitenziari, in particolare dopo che iniziarono le deportazioni dalla Jugoslavia, Albania e Corsica. Cfr. K. Voigt, Il rifugio precario. Gli esuli in
Italia dal 1933 al 1945, vol. II, Firenze, La Nuova Italia, 1996, pp. 51 sgg.; C.S. Capogreco,
Internamento civile, in Dizionario del fascismo, a cura di V. De Grazia e S. Luzzatto, vol. 1,
Torino, Einaudi, 2002, pp. 674-676; P. Carucci, Conino, soggiorno obbligato, internamento: sviluppo della normativa, in I campi di concentramento in Italia. Dall’internamento alla
deportazione (1940-1945), a cura di C. Di Sante, Milano, Franco Angeli, 2001, pp. 5-20.
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non furono prontamente formate,10 oppure, dove lo furono, non operarono
con eficienza perché non erano a conoscenza delle colonie disponibili e
dei mezzi con cui gli assegnati al conino avrebbero dovuto arrivarvi. Di
conseguenza non pochi ex fascisti furono detenuti nelle carceri locali (che
presto si sovraffollarono), di fatto, illegalmente.11
Il campo di Coltano
Durante la liberazione di Firenze, nell’agosto 1944, il Comitato toscano
di liberazione nazionale, per affrontare la dificile situazione di ordine
pubblico dato che in città continuavano a circolare fascisti repubblicani
e spie e, dunque, anche per evitare atti di giustizia privata, propose la
«creazione di un campo di concentramento a un centinaio di chilometri
da Firenze dove possano venire concentrati tutti gli elementi pericolosi in
attesa di deinire la loro posizione».12
Gli Alleati, che procedevano all’internamento dei fascisti nei territori
via via liberati,13 allestirono a Coltano sulla statale Pisa-Livorno il più grande campo per aderenti alla Rsi attivato in Italia dagli anglo-americani.
Vasta area boniicata nel 1939 dall’Opera nazionale combattenti,14 poi
ex campo di raccolta per ebrei che, reclutati dall’Onc, vi avevano lavorato
come manodopera,15 il campo entrò in funzione il 25 luglio 1945, fu gestito
dalle autorità militari americane ino al 28 agosto, poi passò a quelle italiane ino alla sua chiusura avvenuta il 29 ottobre 1945.16
10. ACS, MI, DGPS, SIS, Sez. I, Affari generali 1944-1948, Conino politico, b. 252,
fasc. Cat. P. 10 Massima, Provvedimenti di polizia, Composizione delle Commissioni e
procedura 1945, Nota della Prefettura di Verona alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza in data 31 agosto1945.
11. Ivi, fasc. Carte avute dalla II Sezione, persone compromesse politicamente 04981,
Richiesta del prefetto di Treviso in data 22 luglio 1945.
12. ISRT, CTLN, b. 6, fasc. 8, Uficio politico, Rapporto, senza nome, 30 agosto 1944.
13. Woller, I conti con il fascismo, pp. 226-227.
14. 3263 operai occupati nelle boniiche, in «La Stampa», 10 febbraio 1939, p. 4.
15. Cfr. M. Francini, Intervista a Giancarlo Piperno, in «QF», 2 (2009), pp. 15-32;
Coltano: storia corale. Ricordi e immagini di vita dal primo dopoguerra ai giorni nostri, a
cura di S. Cerrai, Pisa, Litograia Tacchi, 1995, p. 32.
16. Sul campo di Coltano si contano pochi studi, tra cui C. Forti, Dopoguerra in
provincia. Microstorie pisane e lucchesi 1944-1948, Milano, Franco Angeli, 2007, pp. 7279; G. Crainz, L’ombra della guerra. Il 1945, l’Italia, Roma, Donzelli, 2007, pp. 98-101;
Rimini Enklave, pp. 32 sgg. Per quanto riguarda la memorialistica: P. Ciabattini, Coltano
1945. Un campo di concentramento dimenticato, Milano, Mursia, 1995; M. Dal Dosso,
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Priva di alberi e dal terreno impermeabile, l’area era divisa in tre campi, così siglati: Pwe 336 (per prigionieri russi e tedeschi), Pwe 338 (campo
misto per uficiali italiani e tedeschi) e Pwe 337 (per prigionieri italiani),
ed era delimitata da due ordini di siepi spinate, otto torrette di avvistamento dotate di rilettori e vigilate da una sentinella armata. Là furono
internate, in totale promiscuità, più di 32.000 persone: in massima parte
appartenenti all’esercito della Rsi,17 gerarchi del regime fascista (come l’ex
segretario federale di Milano Vincenzo Mario Costa, l’ex sottosegretario
agli Interni Francesco Giunta e l’ex segretario del Partito fascista Aldo
Vidussoni), generali e superiori dell’esercito, criminali di guerra tra cui
il generale Gambara. Oltre a questi vi erano internati anche partigiani, arrestati perch́ sprovvisti di documenti o caduti prigionieri dei fascisti, ex
internati in Germania che erano fuggiti e si erano consegnati agli Alleati,
ma che non erano stati considerati da questi cobelligeranti, individui che
si erano dati alla macchia per sfuggire ai rastrellamenti, profughi giuliani e
dalmati, minorenni tra i 13 e i 17 anni, giovani delle classi 1923, ’24, ’25
arruolati nell’esercito della Rsi sotto minaccia di fucilazione e rappresaglia
sulle famiglie, anziani ino a 75 anni, invalidi e tubercolotici.18
Quelli di Coltano, Verona, Linotipia veronese, 1949; A.S. Campoccia, Prigionieri della
propria bandiera: diario del PW 30.07.35 Coltano, Conegliano, Arti Graiche Pagot, 1953;
A. Sambruni, Ricordo delle sofferenze nell’inferno di Coltano, Roma, Arti Graiche Campolin, 1962; L. Smriglio, I campi dopo il 25 aprile: l’esperienza di Coltano. Testimonianza,
in Italia 1939-1945. Storia e memoria, a cura di A.L. Carlotti, Milano, Vita e Pensiero,
1996, pp. 631-636.
17. Secondo Ciabattini, «Tutte le forze armate della RSI erano rappresentate: alpini,
bersaglieri, fanti, artiglieri, delle divisioni Italia, Monterosa, Littorio, San Marco, marò della X Mas, del Btg. Barbarigo, Cacciatori degli Appennini, militi della GNR, legionari delle
SS italiane, della Muti, sommozzatori NP, fascisti delle Brigate Nere, paracadutisti della
Folgore, “ragazzi” di Bir el Gobi e di El Alamein ecc.», Ciabattini, Coltano 1945, pp. 6566. Il numero di 32.000 militari e civili fascisti è confermato anche in ACS, MI, Gabinetto,
Archivio generale, 1949 (d’ora in poi GAB, AG, 1949), b. 29, fasc. 1610 Coltano (Pisa),
Campo di concentramento, Nota del capo di gabinetto Lombardi, 30 agosto 1945.
18. Alla chiusura del campo si contavano 3.472 uficiali dell’esercito (di cui 2.000
di alto grado), 122 uficiali della Marina, 59 uficiali dell’Aeronautica, 24.717 soldati di
truppa, 994 prigionieri che si dichiaravano partigiani e arrestati perch́ sprovvisti di documenti, 2.506 disertori dell’esercito repubblichino, 359 civili. ACS, MI, GAB, AG, 1949,
b. 29, fasc. 1610 Coltano (Pisa) Campo di concentramento, Circolare n. 5500/RP/III del
Ministero della Guerra, Oggetto: Scioglimento del campo di internamento di Coltano (Pisa)
per repubblicani fascisti, 20 settembre 1945. A quelli si aggiungano 700 profughi giuliani e
dalmati; cfr. Forti, Dopoguerra in provincia, p. 72.
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La promiscuità all’interno del campo dette luogo a episodi di violenza
non organizzata e spontanea dettata dalla semplice vicinanza con internati
di opposte idee politiche. A seguito di tali incidenti i partigiani furono trasferiti. Il campo 337 era infatti diviso in dieci recinti, separati da rotoli di
ilo spinato, chiamati Lager. Nel Lager 1 erano tenuti i prigionieri tedeschi;
nel 2 partigiani, civili arrestati dagli Alleati per motivi vari che andavano
dalle imprecazioni ai furti di materiale americano; nel 3-4-5 soldati, graduati e sottouficiali, uficiali della Rsi; nel 6-7-8 militari; nel 9 coloro che
dovevano essere smistati; nel 10 i ricoverati.19
Anche se la denuncia delle condizioni del campo di Coltano è diventata negli anni un Leitmotiv della tradizione della destra,20 è pur vero che
gli internati furono tenuti in tende sovraffollate, sulla nuda terra, senza
pagliericci per evitare il propagarsi di insetti, dotati di due coperte di lana,
mal vestiti, sottonutriti, mal curati. Oltre alle dificili condizioni abitative, alimentari, sanitarie, molto alta era la possibilità di disordini anche
per l’esasperazione dovuta alla dificoltà di avere contatti con i familiari
che, spesso, si accampavano nei pressi del campo in attesa del permesso
di colloquio. Non era infrequente che alcune donne, a corto di denaro, si
prostituissero con i soldati alleati,21 tanto che il prefetto di Pisa, Vincenzo
Peruzzo, scrisse al presidente del Consiglio dei ministri: «È uno spettacolo
triste, anzi tremento [sic], e tutti invocano provvedimenti urgenti atti a ri19. Cfr. ivi, p. 62.
20. Interessante è la polemica che scoppiò tra «L’Uomo Qualunque», giornale che
si fece portavoce, ino dall’estate del 1945, della situazione degli ex fascisti richiusi nei
campi di concentramento di Coltano, Scandicci, Afragola, Casellina per le ausiliarie, e il
presidente del Comitato provinciale iorentino dei reduci della prigionia, Renato Novelli,
sul diritto di chiamarsi reduce. Si vedano gli articoli su «L’Uomo Qualunque»: Giornale
del reduce. Basta con l’inferno di Coltano, 19 settembre 1945, p. 3; Quelli di Coltano, 10
ottobre 1945, p. 4; Specola, 28 novembre 1945, p. 2; e R. Novelli, Reduci dalla Germania e
internati a Coltano, in «La Nazione del Popolo. Organo del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale», 11 ottobre 1945, p. 2. Nel 1962 si costituì l’Associazione reduci da Coltano,
presieduta da Pietro Ciabattini, sotto la segreteria di Attilio Sambruni. Del direttorio nazionale facevano parte la moglie di De Vecchi e anche alcuni onorevoli del Movimento sociale
italiano. Si affronta in parte il ritorno di coloro che facevano parte del fronte combattente
per Salò in A. Bistarelli, La storia del ritorno. I reduci italiani del secondo dopoguerra,
Torino, Bollati Boringhieri, 2007, pp. 43-44.
21. Sull’aumento a Roma del numero di aborti, malattie veneree e sul «problema dei
bastardi» nati dalle mogli di prigionieri di guerra, riferiva un informatore, ACS, MI, DGPS,
SIS, Sez. II, Affari generali, b. 56 MP Varie, fasc. MP 55 Prostituzione, Informativa anonima al capo della polizia, Roma 26 ottobre 1944.
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mediare un tale grave stato di cose».22 A queste parole fecero seguito quelle
dell’ispettore di Pubblica Sicurezza, inviato sul posto:
Finora le cose sono andate alla meno peggio; ma guai se la cattiva stagione
dovesse impantanare il terreno del campo: la vita non vi sarebbe più possibile, nemmeno stando in permanenza sotto la tenda, ed il tentativo di evasione
in massa sarebbe inevitabile con le più disastrose conseguenze. Nessun ostacolo sarebbe capace di arrestare una massa di 32.000 uomini esasperati ino
al parossismo.23
Per alleviare la situazione di grave tensione, ma anche per «farci guadagnare qualche punto di prestigio nei riguardi degli Alleati»,24 il prefetto
chiese al presidente del Consiglio che fosse istituito un veloce e regolare
servizio di invio di pacchi e di corrispondenza, e che fossero aumentati i
permessi di colloquio, ino ad allora limitati a trecento alla settimana.
La situazione, tuttavia, si fece ogni giorno sempre più tesa: alcuni internati, riconosciuti criminali di guerra dalle Corti di Assise straordinarie,
furono prelevati direttamente su ordine di questure con operazioni di polizia senza informare per tempo le locali autorità politiche e giudiziarie e
senza seguire regolari procedure.25 Andò bene a Vittorio Martelluzzi, capo
del comando provinciale militare e della Guardia nazionale repubblicana
di Rovigo – principale responsabile dell’eccidio di Villamarzana del 15
ottobre 1944 in cui avevano trovato la morte quarantadue civili fucilati per
mano del reparto Ordine pubblico della Guardia nazionale repubblicana
di Rovigo come rappresaglia per il ritrovamento dei corpi seviziati di tre
militi dell’Uficio politico investigativo della Gnr –, la cui consegna al
Cln di Rovigo fu riiutata dal direttore del campo.26 Martelluzzi, imputato
di collaborazionismo, sarebbe stato poi processato e condannato alla pena
capitale dalla Corte d’Assise straordinaria di Rovigo il 5 dicembre 1945.27
22. ACS, MI, GAB, AG, 1949, b. 29, fasc. 1610 Coltano (Pisa), Campo di concentramento, Rapporto prefetto di Pisa al presidente del Consiglio dei ministri, 8 settembre
1945.
23. Ivi, Relazione dell’isp. gen. PS Virgilio Soldani Benzi, 12 settembre 1945.
24. Ivi, Rapporto prefetto di Pisa al presidente del Consiglio dei ministri, 8 settembre
1945.
25. Ivi, Telegramma del prefetto di Pisa, 16 agosto 1945.
26. Ivi, Telegramma del presidente del Cln di Rovigo Lino Rizzieri a Parri, 22 settembre 1945.
27. Cfr. T. Rovatti, Leoni vegetariani. La violenza fascista durante la RSI, Bologna,
Clueb, 2011, pp. 104, 143-144, 199 sgg.
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Il 28 agosto il campo passò alle autorità italiane: il comando e la vigilanza furono afidati al 3° Reggimento guardie, l’alta sorveglianza al Comando militare territoriale di Firenze28 che autorizzava o meno la consegna
dei prigionieri alle autorità civili e decideva per la sospensione delle visite
dei parenti agli internati.29 Nel frattempo presso la Casa del popolo di Porta
Romana, a Firenze, si costituì il «gruppo familiari dei militari prigionieri in
Italia non compromessi col fascismo» con lo scopo di sollecitare la rapida
liberazione dei giovani che si trovavano nelle suddette condizioni.30
L’improvvisa riduzione di viveri nel campo peggiorò lo stato di tensione e suscitò sovreccitamento e tentativi di evasione di massa.31 Anche
i parenti cominciarono a creare disordini chiedendo con insistenza al prefetto di Pisa di potere consegnare indumenti, avere colloqui e conoscere la
documentazione necessaria per la liberazione dei loro congiunti, sebbene
lo stesso comandante del campo non avesse istruzioni a riguardo.32 Nel
caso di Coltano i familiari richiesero spesso al Comitato toscano di liberazione nazionale un’attestazione da consegnare al comando alleato per far
rilasciare il familiare dal campo.33
28. ACS, MI, GAB, AG, 1949, b. 29, fasc. 1610 Coltano (Pisa), Campo di concentramento, Trascrizione della nota 218745 del 29 agosto 1945 del Ministero della Guerra al
Gabinetto di Pubblica Sicurezza, 2 settembre 1945.
29. Ivi, Comunicazione a seguito della nota 218745 del Ministero della Guerra al
comando militare territoriale di Firenze del 2 settembre 1945.
30. Il problema dei giovani internati nei campi italiani, in «La Nazione del Popolo.
Organo del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale», 11 settembre 1945, p. 2.
31. ACS, MI, GAB, AG, b. 29, fasc. 1610 Coltano (Pisa), Campo di concentramento,
Telegramma prefetto Pisa 14 settembre 1945. Secondo Campoccia, ventidue internati riuscirono a evadere grazie a una galleria sotterranea scavata mentre si facevano dei lavori di
escavazione di fosse per lo scarico dei gabinetti; cfr. Campoccia, Prigionieri della propria
bandiera, pp. 31-32.
32. ACS, MI, GAB, AG, 1949, b. 29, fasc. 1610 Coltano (Pisa), Campo di concentramento, Telegramma del prefetto di Pisa, 4 settembre 1945.
33. Così fece, ad esempio, Econ Riccò per il iglio: cfr. Domanda di Econ Riccò, padre
di Renzo Riccò al Ctln [s.d. ma agosto 1945], in ISRT, CTLN, b. 5, fasc. 7, Pratiche relative
campi di concentramento (rilascio internati-Attestati del CTLN). Nelle dichiarazioni veniva
indicata la data di nascita del detenuto, eventuali periodi di prigionia durante la guerra e
deportazione in Germania, eventuale prigionia in mano alleata, la costrizione a presentarsi
ai bandi repubblicani, l’iscrizione o meno al Partito nazionale repubblicano, eventuale collaborazionismo, il passato fascista. Si vedano a titolo di esempio anche le dichiarazioni del
Ctln su Rizzi Giampaolo di Adriano del 31 luglio 1945, e Azzaroli Giulio fu Giangualberto
del 8 agosto 1945.
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Camilla Poesio
I parenti stessi furono oggetto di violenze nei pressi dei luoghi di detenzione. Alcuni congiunti di fascisti detenuti nel carcere di Migliarina furono più volte percossi da parenti di ex antifascisti per rubare loro i pacchi
destinati ai fascisti detenuti.34
Date le condizioni ambientali e disciplinari e a fronte del rischio di incontrollabili disordini, il Ministero della Guerra, diretto da Stefano Jacini,
chiese e ottenne di sciogliere il campo di Coltano entro il 15 ottobre 1945. Il
problema principale era, però, quello di deinire la posizione giuridica degli
internati. Il Ministero della Guerra chiese la creazione di commissioni (ne furono costituite quarantuno) afferenti al Ministero dell’Interno, della Giustizia, della Marina, dell’Aeronautica, delle Finanze per accertare la posizione
dei singoli e decidere i provvedimenti,35 ma, come scrisse uno degli internati,
«domandare a dei ragazzi della Tagliamento, della Folgore, della Mas, se
avevano partecipato a dei rastrellamenti equivaleva a chiedere al sagrestano
di una chiesa se avesse mai avuto occasione di assistere a una S. Messa!».36
Finch́ il campo rimase nelle mani degli Alleati gli internati furono
considerati prigionieri di guerra e, dunque, sottoposti alla Convenzione
di Ginevra, ma quando passò alle autorità italiane i più furono considerati internati politici.37 Alla deinizione della posizione degli internati civili
provvide, allora, il Ministero dell’Interno.38 Il capo della polizia, Luigi Ferrari, mobilitò le varie prefetture d’Italia perch́ inviassero a quella di Pisa
i nomi dei criminali di guerra e dei ricercati per collaborazionismo; inoltre
incaricò il prefetto di Pisa di istituire una commissione civile, composta da
un commissario di PS e altri funzionari di Prefettura, Pubblica Sicurezza e
carabinieri per esaminare la posizione degli internati civili.39 Quella degli
internati militari fu, invece, esaminata da una Commissione dell’esercito.
34. ACS, MI, DGPS, SIS, Sez. II, Affari generali, b. 56, fasc. MP. 44 Detenuti politici,
Lettera di familiari di detenuti politici di Spezia, 14 giugno 1946. Su questo episodio anche
Una nuova tortura per i detenuti politici, in «L’Uomo Qualunque», 26 giugno 1946, ivi.
35. ACS, MI, GAB, AG, 1949, b. 29, fasc. 1610 Coltano (Pisa), Campo di concentramento, Nota n. 120456/I.1/110-10-55 del Ministero della Guerra di invitare a dividere questi 32.000
prigionieri tra militari e civili e a fare delle commissioni, 11 settembre 1945. Foto 6465.
36. Dal Dosso, Quelli di Coltano, p. 196.
37. Così ritenevano il comandante del campo e il questore di Pisa Casimiro De Paula,
cfr. Forti, Dopoguerra in provincia, p. 76.
38. ACS, MI, GAB, AG, 1949, b. 29, fasc. 1610 Coltano (Pisa), Campo di concentramento, Circolare n. 5500/RP/III del Ministero della Guerra, Oggetto: Scioglimento del
campo di internamento di Coltano (Pisa) per repubblicani fascisti, 20 settembre 1945.
39. Ivi, Nota del capo della polizia Luigi Ferrari, 22 settembre 1945.
L’internamento degli ex fascisti, i rilasci e la lunga scia di sangue
99
L’«esodo degli internati»40 iniziò il 27 settembre 1945, e il 29 ottobre
il campo cessò di funzionare: circa 30.000 furono rilasciati, 2.700 furono
trattenuti ma molti scapparono. 1.650 prigionieri, dichiarati «non liberabili»,
vennero portati nel campo di Laterina vicino ad Arezzo,41 313 (tra cui, Vito
Mussolini, Aldo Vidussoni e vari gerarchi) furono prelevati dalle questure, 45
uficiali e colonnelli (tra cui Gambara a disposizione delle autorità alleate)42
furono trasferiti a Forte Boccea, 187 vennero portati nel campo di concentramento di Narni vicino Terni,43 uno fu prelevato dal centro di controspionaggio di Firenze, 251 ricercati dal centro di controspionaggio di Firenze furono
rimpatriati con foglio di via obbligatorio e segnalati agli ufici interessati per
la loro identiicazione, così come 246 ricercati da varie questure.
La fretta di chiudere il campo in vista dell’imminente inverno, la mancanza di un elenco alfabetico di tutti i 32.735 internati quando l’amministrazione del campo era passata dalle autorità militari americane a quelle italiane, gli scarsi elementi probatori di cui potevano disporre le varie
commissioni, il ritardo dell’invio degli elenchi di ricercati dalle diverse
province, il gran numero di internati da esaminare (circa 2.000 al giorno),
a fronte di pochi componenti delle commissioni (circa 180 persone), la
generale confusione grazie alla quale molti giudicati non liberati riuscirono
a rientrare in gruppi di internati ancora da esaminare, sono tutti fattori che
condizionarono le operazioni di sfollamento dal campo e favorirono frettolosi rilasci, tra cui quelli di fascisti colpevoli di gravi crimini.44
Concordiamo, perciò, con Carla Forti quando scrive che «Coltano divenne […] un capitolo non secondario nella discussa vicenda dell’epura40. Ivi, Stralcio relazione del prefetto Pisa sullo scioglimento, 17 ottobre 1945.
41. Ivi, Comunicazione del capo della polizia, 31 ottobre 1945.
42. Ivi, Riservata personale all’avv. Giuseppe Spataro, sottosegretario al Ministero
dell’Interno in data 2 ottobre 1945. Gastone Gambara fu poi proposto per il deferimento alla
giustizia dalla Commissione italiana tra la ine del 1946 e l’inizio del 1947. Cfr. D. Conti,
Criminali di guerra italiani. Accuse, processi e impunità nel secondo dopoguerra, Roma,
Odradek, 2011, p. 234.
43. A Terni furono internate anche dodici ausiliarie femminili della Rsi in attesa che
fossero espletati gli accertamenti nei loro riguardi. ACS, MI, DGPS, SIS, Sez. II, Affari
generali, b. 68 MP Varie, fasc. MP 301, Donne trattenute in un campo di concentramento
alleato, Nota della Prefettura di Terni, 17 giugno 1945; ACS, MI, DGPS, SIS, Sez. II, Affari
generali, b. 64 MP Varie, fasc. MP 157, Terni, Campo di internamento alleato.
44. ACS, MI, GAB, AG, 1949, b. 29, fasc. 1610 Coltano (Pisa), Campo di concentramento, relazione prefetto di Pisa, 14 novembre 1945; ivi, relazione dell’ispettore generale
di PS Soldani Benzi, 1 novembre 1945.
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Camilla Poesio
zione postbellica: un primo grande test di come sarebbero andate le cose».45
A queste parole si aggiungano le rilessioni di Guido Crainz che non manca
di sottolineare le evidenti responsabilità degli Alleati.46
I rilasci dei fascisti e il loro dificile reinserimento sociale
Pare che alcuni ex internati di Coltano, una volta liberi di camminare
per Pisa, fossero stati trovati a intonare Giovinezza e altri canti fascisti:47
anche se il fatto non è confermato da altre fonti, è facile immaginare come
la situazione fosse esplosiva e come simili provocazioni potessero dare luogo a situazioni rapidamente incontrollabili. Effettivamente per molti ex internati di Coltano non fu semplice tornare a casa. Circa 450 si fermarono a
Roma «per timore di gravi rappresaglie personali» e fecero ricorso agli enti
assistenziali dove svolgevano servizio i rappresentanti della Commissione
pontiicia e della Croce rossa italiana della Stazione Roma Termini. Tali timori non dovevano essere infondati se alcuni di questi ottennero addirittura
«una forma di tacito consenso dalle località autorità di PS».48 Senza dubbio,
i problemi di ordine pubblico furono alleviati dall’azione a Pisa della Pontiicia commissione assistenza profughi, che istituì «il refettorio del Papa»
con 45.000 minestre e 3.000 refezioni calde al giorno, pane e companatico,
e dette ricovero nelle sale dell’Arcivescovado e in dormitori del Seminario
a più di 2.000 ex internati che sostavano a Pisa in attesa di trasporto.49
Quegli ex detenuti di Coltano che riuscirono a tornare a casa non si trovarono in situazioni più facili. I numerosi casi di linciaggio, spesso caratterizzati da dinamiche macabre, che avvennero in quei mesi a ridosso della
ine della guerra in varie parti d’Italia e su cui la storiograia ha fatto luce50
45. Forti, Dopoguerra in provincia, p. 77.
46. Cfr. Crainz, L’ombra della guerra.
47. Gli ex-internati di Coltano a spasso per Pisa, in «La Stampa», 25 ottobre 1945, p. 1.
48. ACS, MI, GAB, AG, 1949, b. 29, fasc. 1610 Coltano (Pisa), Campo di concentramento, Nota del capo di gabinetto del Ministero della Guerra al Ministero dell’Interno, 9
novembre 1945.
49. Ivi, Promemoria del presidente Don Angelo Fontana della Pontiicia commissione
assistenza profughi Sezione Pisa [s.d. ma novembre 1945].
50. A titolo di esempio, G. Crainz, Il dolore e la collera: quella lontana Italia del
1945, in «Meridiana», 22-23 (1995), pp. 249-273; Id., La giustizia sommaria in Italia dopo
la seconda guerra mondiale, in Storia, verità, giustizia. I crimini del XX secolo, a cura di M.
Flores, Milano, Mondadori, 2001, pp. 162-170; M. Dondi, La lunga liberazione: giustizia e
violenza nel dopoguerra italiano, Roma, Editori Riuniti, 1999; G. Ranzato, Il linciaggio di
L’internamento degli ex fascisti, i rilasci e la lunga scia di sangue
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(anche per controbattere le tesi revisioniste51 che hanno prestato il ianco
all’autonarrazione neofascista), si riscontrarono anche nei confronti dei reduci di Coltano. Alcuni ex detenuti del campo furono oggetto del desiderio
di vendetta delle comunità da cui provenivano, dando luogo a problemi di
ordine pubblico. Alcuni furono uccisi nei mesi immediatamente successivi
alla chiusura del campo stesso, altri, addirittura, anni dopo. Le vendette
perciò, non si placarono, ma si prolungarono nel tempo. Per fare alcuni
esempi: Enzo Contini, fascista dell’Impruneta, paese a pochi chilometri da
Firenze, che si era reso responsabile di numerose efferatezze e uccisioni
dai tempi dello squadrismo, e che poi era diventato sottotenente della Gnr,
fu assalito e malmenato da una «folla minacciosa» una volta tornato in
paese nel dicembre del 1945 dopo essere stato internato a Coltano.52 Prelevato da casa da due pseudo agenti della Questura, fu freddato per strada.53
Alcuni si imbatterono nella vendetta popolare anni dopo. Un ex detenuto
di Coltano, diventato nel dopoguerra operaio militante comunista, ma che
era stato milite delle brigate nere e per questo arrestato dalle formazioni
partigiane e condannato dal tribunale insurrezionale all’ergastolo, padre
di una ausiliaria fascista fucilata dal tribunale popolare, fu assassinato due
anni dopo la chiusura del campo, alla vigilia di Natale del 1947.54 Nel 1949
un ventenne fascista, iglio di uno squadrista che era stato detenuto a Coltano e fervente attivista del Msi, nonch́ autore di un attentato alla sede
del Partito comunista di via Nomentana a Roma fu trovato moribondo,
imbavagliato da un fazzoletto tricolore, su una barca alla deriva sul Tevere.55 Ancora più interessante è l’omicidio nel 1946 di un ex maggiore della
Gnr, anch’egli reduce da Coltano, disoccupato e traficante in borsa nera:
il delitto fu derubricato a fatto di cronaca nera come episodio di violenza
Carretta. Roma 1944: violenza politica e ordinaria violenza, Milano, Il Saggiatore, 1997;
C. Bermani, Storia e mito della Volante rossa, Milano, Colibrì edizioni, 1996; F. Trento, La
guerra non era inita: i partigiani della Voltante rossa, Roma-Bari, Laterza, 2014.
51. G. Pansa, I igli dell’Aquila, Milano, Sperling & Kupfer, 2002, dette avvio al
cosiddetto “ciclo dei vinti”, una serie di scritti sulle violenze compiute dai partigiani nei
confronti dei fascisti repubblicani.
52. Fascista all’Impruneta malmenato e denunciato, in «La Nazione del Popolo. Organo del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale», 27 ottobre 1945, p. 2.
53. Seguiteci in questura, ma per la via lo uccidono. Era un ex internato di Coltano,
in «La Stampa», 28 dicembre 1945, p. 2.
54. Assassinato un ex milite della g.n.r attualmente iscritto al partito comunista, in
«Stampasera», 24 dicembre 1947, p. 2.
55. Attivista del MSI morente in una barca, in «La Stampa», 6 aprile 1949, p. 1.
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criminale, ma a ben guardare ebbe un chiaro sfondo politico. Infatti, sebbene il mandante fosse l’amante della moglie della vittima – cosa che fece
inizialmente pensare a un delitto passionale – questi aveva assoldato due
sicari, uno dei quali era un ex partigiano mosso da un profondo senso di
vendetta: «speculando su questo stato d’animo, fu facile insinuare […] che
[la vittima] era un ardente nazifascista». A conferma che il delitto aveva
uno sfondo politico sta il fatto che, il giorno dopo, l’assassino ex partigiano, «incoraggiato dal buon esito del primo delitto», uccise un altro reduce
di Coltano a colpi di mitra, questa volta senza alcuna motivazione se non
che, «secondo lui, aveva commesso delle cattive azioni».56
Alcune rilessioni conclusive
La vicenda di Coltano – sia quella dell’esperienza del campo sia quella del rilascio – è emblematica e può essere vista come un piccolo tassello
di una storia più grande, quella di milioni di persone in movimento dopo
la ine della guerra, quella dei reduci, quella dell’epurazione, ma anche
quella di un dificile tentativo di ritorno alla normalità e di mantenimento
di ordine pubblico: «Il campo di concentramento diventa in questo modo
una pagina importante di storia nazionale, utile a ricomporre attraverso
storie individuali il senso della lacerazione profonda che a partire dall’8
settembre si produsse nel paese».57
Nei confronti degli ex fascisti fu usata tanto una violenza istituzionalizzata, quanto una violenza comune. La prima si espresse attraverso lo
strumento dell’internamento, una misura di detenzione amministrativa (diversa dalla carcerazione preventiva) utilizzata come alternativa giudiziaria
quando i fascisti non poterono essere deferiti a un tribunale per mancanza
di prove. Tale strumento fu usato nei confronti di persone che furono internate non in base a una responsabilità individuale ma alla loro appartenenza a un determinato gruppo – in questo caso, quello dei fascisti – e alla
loro potenziale pericolosità. Le garanzie procedurali dell’habeas corpus
non furono rispettate, così come furono adottate condizioni detentive fuori
dal diritto. Anche se con molta probabilità si trattò di fascisti che si erano
56. Un maresciallo di polizia fa uccidere il marito dell’amante, in «La Stampa», 23
gennaio 1946, p. 2; Gli assassini del De Maria rinviati alla Corte d’Assise, ivi, 19 ottobre
1946, p. 2.
57. Il dopoguerra: il campo di concentramento di Coltano (1945), a cura di G. Tanti,
dattiloscritto per attività didattica nelle scuole, per gentile concessione dell’autrice.
L’internamento degli ex fascisti, i rilasci e la lunga scia di sangue
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macchiati di responsabili di gravi crimini, la loro detenzione formalmente
si pose fuori dal diritto tanto per il procedimento quanto per le insuficienti
condizioni alimentari, abitative e igieniche.
Una volta usciti, gli ex fascisti furono poi oggetto di violenza comune,
spontanea, vendicativa, in alcuni casi catartica che si prolungò ino alla ine
degli anni Quaranta: uno strascico di quella «violenza inerziale»58 – di cui
parla Mirco Dondi – che caratterizza le situazioni di guerra civile.59
La questione fondamentale che emerge è che l’assuefazione a pratiche
contrarie al diritto, l’utilizzo dell’internamento come strumento di dominazione e come politica di punizione, se non addirittura come detenzione
preventiva e protettiva dalla giustizia sommaria popolare, sopravvissero
rallentando l’uscita vera e propria dalle dinamiche di guerra e l’avvio di
una paciicazione nella vita pubblica e privata. Cosa fare, a guerra inita, di
quelle migliaia di fascisti, per la maggior parte pesci piccoli? Per molti di
questi fu usata la carta dell’internamento: una sorta di pena di contrappasso
per chi, pochi anni prima, era stato dall’altro lato della barricata. Potremmo
chiamarla violenza dei vincitori, un tema che da pochi anni (dalla messa in
discussione, dopo l’89, dei paradigmi interpretativi) si riesce ad affrontare
con più facilità.
Alle motivazioni di ordine politico si intrecciarono, dunque, tanto le
scelte moralistiche quanto le più disparate emozioni e i forti sentimenti di
vendetta e di rivalsa: l’internamento parve probabilmente essere la scelta
più facile. La vicenda degli ex detenuti di Coltano, sopra descritta, sottolinea proprio questo intreccio tra la dimensione politica e giuridica da una
parte e quella esistenziale dall’altra, che richiama il tema delle emozioni.
Come ha sottolineato Jon Elster, «ragione, emozioni e interesse» sono motivazioni quasi sempre presenti nel contesto della giustizia di transizione.60
Partendo dalla convinzione che le emozioni non sono oggetto di interesse
solo della storia culturale, ma sono esse stesse motore della storia e dei
processi economici, sociali e politici,61 risulta doveroso, contestualizzando
58. Dondi, La lunga liberazione.
59. C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza,
Torino, Bollati Boringhieri, 1991.
60. Cfr. J. Elster, Chiudere i conti. La giustizia nelle transizioni politiche, Bologna, il
Mulino, 2008, p. 120.
61. Cfr. R. Petri, The Idea of Culture and the History of Emotions, in «Historein», 12
(2012), pp. 21-37; Id., Sentimenti, emozioni. Potenzialità e limiti della storia culturale, in
«Memoria e Ricerca», 40 (2012), pp. 75-92.
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Camilla Poesio
e storicizzando i forti sentimenti di quegli anni postbellici, capire in che
modo fu affrontata la dificile questione degli ex fascisti e del loro reinserimento nelle comunità: come comportarsi di fronte a persone che in
molteplici casi si erano rese responsabili di terribili violenze e che avevano
collaborato con il Terzo Reich passando alla Rsi? Rinchiuderle in campi
di internamento senza condizioni di garanzia anche per proteggerle dalla
furia popolare e salvaguardare così l’ordine pubblico, oppure dare sfogo
alla sete di vendetta popolare? È solo cercando di comprendere la realtà
e la visione di allora del mondo, che si può cogliere quel delicato passaggio postbellico intriso di odio, traumi, disprezzo, mortiicazione, senso di
tradimento, gusto della violenza, disillusione e paura, tutte emozioni che
trovarono sfogo, su entrambi i fronti, in episodi di profonda brutalità e che
fecero scoppiare tensioni incontrollabili. La vendetta, quasi fosse un diritto, innescò un circolo vizioso per cui la guerra non inì davvero anche se i
cannoni avevano smesso di sparare.
La conclusione del secondo conlitto mondiale non comportò dunque
l’interruzione immediata dell’utilizzo di pratiche e di culture che ad esso
rimandavano. Nella transizione alla democrazia e alla pace interna sopravvissero per anni62 metodi, leggi e apparati che rimandavano ancora a dinamiche passate.
62. Per una rilessione su queste tematiche mi permetto di rimandare a C. Poesio,
Internamento, «pericolo comunista», leggi eccezionali in Italia e nella Repubblica federale tedesca (1945-1968), in Democrazia insicura. Violenze, repressioni e Stato di diritto
nella storia della Repubblica (1945-1995), a cura di P. Dogliani e M.A. Matard-Bonucci,
Roma, Donzelli, 2017, pp. 47- 57; Poesio, “Pericolo pubblico” e cultura della prevenzione
nell’Italia repubblicana.