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aprile 2016
anno I
libero esperimento di ostinazione culturale
Segnali di Confine
#1
Sommario
Amministrazione e Redazione
Editoriale
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L'eterna sfida tra l'uomo e la natura
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Comunità ecologiche e vivere alternativo
8
Zanne di bestia
14
Libertà, natura e cultura
18
Soffio di frasi
20
Vestigia di un'armonia tramontata
24
Sogno rarefatto
30
L'immediata immanenza e la vecchia Dodò
32
Gomitolo di nenia retrocesso
nelle elucubrazioni sistemiche
34
Damiano Boldrini
Niccolò Pizzorno
Errori di considerazione sul cosmo
36
Copertina
Labirinto della riproduzione
38
L'isola della tartaruga
40
Il cielo, la terra e quel che sta nel mezzo
41
Presque rien No.1
42
La création du monde
43
Grizzly Man
44
Matango, il mostro
45
Vortice delle successioni
46
Via Andorra 9/8, 1 6031 Sori (Ge)
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Editore
Associazione culturale Segnali di confine
Direttore responsabile
Fabio Mazzari
Direttore artistico
Glauco Piccione
Redazione
Giacomo Caruso
Simone Dapelo
Fabio Giovinazzo
Fabio Mazzari
Glauco Piccione
Simone Prati
Fotografie
Damiano Boldrini
Giacomo Caruso
Diletta Nicosia
Simone Prati
Disegni e Grafica
Sebastiano Caruso
Senza titolo, 201 5, incisione su metallo
Stampa
Press Up S.r.l.
Via Catone 6, Roma
Anno I, numero 1
Registrazione al Tribunale di Genova n.3359
registro stampa 2/201 6 del 23/02/201 6
Giacomo Caruso
Fabio Mazzari
Giacomo Caruso
Glauco Piccione
Simone Dapelo
Diletta Nicosia
Simone Prati
Matteo Mezzano
Giacomo Caruso
Glauco Piccione
Simone Dapelo
Lorenzo Zappia
Glauco Piccione
Fabio Mazzari
Matteo Traverso
Martino Marini
Fabio Giovinazzo
Fabio Giovinazzo
Niccolò Pizzorno
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Segnali di confine
Segnali di confine
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Editoriale
Qual è lo spirito che tiene unito un gruppo come quello dei Segnali di confine? È un affinità
intellettuale e di vita. Questa nuova filosofia di vita arricchisce la visione di beatitudine e
indipendenza creativa del gruppo. Questo modus vivendi è il sostrato spirituale e la linfa
inesauribile dell’arte che feconda le nostre pagine; un'arte che vorremmo definire impegnata e di
illuminata partecipazione alla vita di oggigiorno, almeno in queste latitudini liguri. È un’operazione
indipendente e visionaria di ricreazione dello spazio in cui si inseriscono le nostre vite, perché il
dovere dell’artista e del poeta è svelare ciò che è celato o che si ha paura di dire, in una società
asfissiante regolata da determinati giochi (e gioghi) di potere, compromessi e consuetudini
arbitrari e imposti.
Scaliamo i monti impervi, solchiamo le strade meno battute, viaggiamo e parliamo in modo sincero
con la gente di altri paraggi, senza preconcetti. Sono libero di arricchire la mia esplorazione
metafisica e corporea. Voglio essere gentile. Desidero che l'animale sia mio amico, e che l'uomo
sconosciuto diventi mio fratello, oppure che faccia un buon cammino. Il mondo deve essere un
luogo di riposo e benessere, come il parco di Sarnath o Nara, dove uomini e cerbiatti convivono.
L'uomo comune, l'uomo che soffre, la bestia schiacciata dalle macchine, tutti loro m'ispirano
compassione e tenerezza. Provo una grande ammirazione verso il profeta, il portatore di valori
antichi e immortali, il bardo, il cantastorie che viaggia narrando la buona favella nei villaggi dove
lo straniero suscita incanto e curiosità.
La strada e il sentiero sono quelli della liberazione dalla sofferenza e dall’ignoranza, e portano
all’emancipazione e alla conoscenza dell’amore. In ogni uomo e animale c'è qualcosa da cui
possiamo imparare. Una diversa visione del mondo. Voglio vivere con lo spazio e il tempo senza
doverlo inghiottire voracemente. La strada per monti e selve è quel sentiero poco battuto, perché
irto di pericoli, buio, faticoso; si tratta di una via di puro appassionato impegno, dedizione, amore
verso la ricerca della Verità e della Bellezza, che potrà forse affrancare l’uomo dal suo destino
miserevole di obbedienza tacita e di autodistruzione.
La nostra rivista è costituita da un gruppo sempre in crescita e alla ricerca di visioni indipendenti
(e generose), capaci di concepire in maniera sincera il mondo e l’arte, di dare origine a un'esistenza
in armonia con l’ambiente, per abbracciare l’umanità nella sua essenza e non nella sua apparenza.
Mar Baltico, inizio di primavera.
Giacomo Caruso
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Segnali di confine
Segnali di Confine
numero 1
Segnali di confine
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Distanze
L’ eterna sfida tra l’uomo e la natura
di Fabio Mazzari
È la “guerra” più antica dell’umanità, l’eterna sfida
che non ha mai visto un vincitore: tra uomo e natura
c’è un rapporto eterno di amore-odio che rappresenta
l’essenza stessa dell’umanità.
Da diversi secoli l’uomo cerca di dare spiegazioni ai
fenomeni (“naturali”) catastrofici che, in ogni parte
del globo, condizionano la vita delle persone. Dallo
studio delle incisioni rupestri è emerso che gli uomini
preistorici si chiedevano i motivi per cui si verificavano i fenomeni atmosferici (il temporale, la neve, la
grandine, etc.).
Dopo il periodo preistorico il rapporto tra l’uomo e la
natura si è sempre alternato, allo stesso tempo, tra
l’amore e l’odio e tra il rispetto e il conflitto. Dal
racconto delle “piaghe d’Egitto” nell’Antico Testamento, alla cronaca di fatti realmente accaduti, nella
narrazione di Plinio il Vecchio sull’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei, Ercolano e Stabia nel 79
d.C., sono numerosi i resoconti sull’ingiustizia della
natura nei confronti dell’uomo.
Proprio alla fine dell’Impero Romano (nel 476 d. C.)
avviene uno degli episodi più tragici e oscuri della
storia tra l’uomo e la natura. L’evento, poco conosciuto a livello storico, prese il nome di “Rotta della
Cucca”; essa fu una disastrosa alluvione, avvenuta
nell’ottobre del 589 d. C., che provocò la piena
dell’Adige e di diversi affluenti. La narrazione del monaco Paolo di Varnefrido parla di “campagne e borghi
ridotti in rovina, enormi perdite di vite umane e animali, distruzione di strade e di parti di diverse città”.
Questa catastrofe, che colpì la pianura oggi compresa tra il Veneto e l’Emilia Romagna fu forse il primo
disastro naturale provocato dall’uomo, causato dalla
scarsa manutenzione dei fiumi e dall’abbandono
delle terre coltivate dopo la caduta dell’Impero Romano. Cause che si leggono ancora oggi, quando
avvengono frane e alluvioni, ma che erano ben note
già agli uomini di quattordici secoli or sono.
Già quindi dai tempi antichi il rapporto uomo-natura
era contrastante; la natura era considerata un’entità
incomprensibile e inattaccabile, capace di togliere la
vita in modo subdolo, senza dare spiegazioni o avvisaglie.
Solo durante il Rinascimento il rapporto tra l’uomo e
la natura, almeno in parte, si modificò. Il concetto di
natura nell’epoca rinascimentale differisce totalmente da quello dell’epoca medievale; la natura,
secondo gli artisti rinascimentali, non viene retta da
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Segnali di confine
Dio ma si basa esclusivamente su cause naturali. Per
conoscere la natura è necessario liberarsi dai principi
di autorità, laici e religiosi, con l'intimo desiderio di
trasformare il mondo secondo la propria volontà.
Nell’epoca rinascimentale la natura viene vissuta con
un senso di tristezza e di rimpianto per quello che fu
la gloria dell’epoca classica.
Durante queste ere non vi furono particolari testimonianze “reali” di dissidio contro la natura. Forse la
prima voce a levarsi contro fu quella di Voltaire,
quando nel 1 755 scrisse il “Poema sul disastro di Lisbona”, dedicato al terremoto che nell’autunno di
quell’anno si era abbattuto sulla capitale portoghese.
Voltaire utilizzò le vicende del tragico cataclisma per
denunciare lo stato in cui l’Ancien Règime teneva la
società dell’epoca. Visto che la maggioranza dei morti
si era concentrata nei quartieri più poveri della capitale, il suo pamphlet diventò un atto di accusa anche
contro la natura, che provocava vittime innocenti, risparmiando invece i colpevoli.
Il miglior poema che tratta del rapporto tra l’uomo e
la natura è quello di Giacomo Leopardi. Il grande
poeta marchigiano nelle sue “Operette morali” diede
alle stampe nel 1 824 il “Dialogo della natura e di un
islandese”. L’Islanda non fu scelta a caso da Leopardi, ma rappresentava il paese più remoto e, per
via del suo clima, uno dei posti più ostili dove l’uomo
poteva vivere (in quegli anni, con i mezzi dell’epoca,
le distanze erano enormemente maggiori di adesso,
ndr). In questo brano Leopardi immagina un abitante
dell’Islanda che, dopo aver trascorso tutta la sua vita
fuggendo dalla natura, si imbatte nella sua gigantesca personificazione, che gli spiega i suoi scopi di
produzione e distruzione. Leopardi quindi compie
una dura requisitoria contro la natura, che diventa
nemica del genere umano.
Come non parlare degli indiani d'America e del loro
rapporto reverenziale e rispettoso verso la natura, la
“Madre Terra”, come essi l’hanno sempre definita.
Nelle tribù native, pur molto diverse tra di loro e
sparse su un territorio enorme tra l’Alaska e la Terra
del Fuoco, la natura è il palcoscenico all’interno del
quale si incontravano il regno degli spiriti ed il mondo
degli uomini. I Nativi Americani li potremmo quasi
definire i primi “ecologisti” della storia; l’equilibrio
naturale e la conservazione delle risorse naturali erano per loro la garanzia affinché la specie umana potesse continuare ad esistere. La Terra, nel mondo
saggistica
dell’America pre-colombiana, è la Madre, dalla quale
tutti gli esseri viventi traggono nutrimento. La Madre
Terra dona il suo corpo per nutrire i propri figli, e la
terra li unisce tutti in un sentimento di fratellanza e
uguaglianza.
Ugualmente variegato era il rapporto tra uomo e
natura degli Aborigeni australiani. Nel mondo degli
Aborigeni tutto ciò che appartiene alla terra (le rocce,
i fiumi, il mare, etc.) possiede al proprio interno le
storie della creazione e una grande sacralità:
l’ambiente è l’essenza stessa del credo del popolo
aborigeno. Non a caso il “monumento” più sacro degli
aborigeni non è una costruzione umana ma una
montagna, ovvero Ayers Rock (Uluru in lingua tribale), che i nativi, senza successo, hanno sempre
cercato di tutelare e proteggere dal turismo
selvaggio.
In Cina, sotto la gloriosa dinastia dei Tang (tra il VII
ed il X secolo d.C.) si assistette alla vera e propria nascita della poesia e dell’arte cinese. Esse trattavano
frequentemente del rapporto tra l’uomo e la natura,
vissuto nel pieno rispetto della dottrina taoista dello
Ying e dello Yang. Le rappresentazioni su pietra di
giada nell’antica Cina, durate per circa un millennio,
raffiguravano nella quasi totalità dei casi animali come testuggini, pesci e uccelli. Anche i tappeti cinesi, a
differenza di quelli prodotti nel mondo arabo,
conservano nel loro ordito motivi floreali, piante,
uccelli, insetti e svariati animali, in particolare i
panda.
Sempre in estremo oriente, anche la Corea e il
Giappone hanno avuto con la natura uno stretto legame. Come non citare, infatti, la tradizione dei
giardini giapponesi, che nell’Impero del Sol Levante
sono visti come un vero e proprio simbolo nazionale.
Le prime testimonianze di giardini, con i pesci che
allietavano l’Imperatore, risalgono addirittura al I secolo d.C., ma è dal VII secolo, proprio in contempora-
nea con l’inizio dell’età d’oro in Cina, che essi si
diffusero nel paese. I giardini giapponesi nell’antichità seguivano il Buddismo della Terra Pura, una variante religiosa locale (ancora oggi praticata da un
discreto numero di persone) che era collegata alla
natura, al suo rispetto e alla meditazione solitaria,
con cui l’individuo poteva raggiungere il Nirvana. I
giardini di quest'epoca sono stati chiamati “giardini
del Paradiso”, perché erano un luogo di contemplazione e crescita personale, non una semplice
ostentazione di bellezza.
Tutto ciò che abbiamo appena letto riguarda il
rapporto tra l’uomo e la natura nel passato, ma oggi
come ci approcciamo con essa? L’enorme sviluppo
mondiale, iniziato dalla metà del XIX secolo, ha
portato ad uno stravolgimento dell’ecosistema: la
nascita delle industrie, dell’inquinamento e la diffusione delle automobili hanno portato a un’innegabile
benessere, ma hanno causato sconvolgimenti
ambientali, dei quali paghiamo ancora oggi le conseguenze. È opinione ormai consolidata, infatti, che
l’aumento delle emissioni di agenti inquinanti unito
all’aumento abnorme della popolazione siano tra i
principali responsabili di alcuni cambiamenti climatici, come piogge acide, le inondazioni e gli improvvisi
sbalzi climatici. Per almeno tre-quattro generazioni
quindi abbiamo dimenticato gli insegnamenti delle
generazioni antiche e dei popoli considerati meno
evoluti. Solo oggi, dopo aver avuto a che fare direttamente con terremoti, alluvioni e disastri naturali,
stiamo cercando di recuperare una coscienza
ambientale e di rimediare agli enormi errori del recentissimo passato.
Auspico quindi che le generazioni dopo di noi non si
ritroveranno davanti a un film di fantascienza distopico, ma a un mondo (e a un ambiente) sviluppato e
in armonia con la vita dell'uomo.
Segnali di confine
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Distanze
Comunità ecologiche e vivere alternativo
testo e foto di Giacomo Caruso
Sono sempre stato attratto da una filosofia esistenziale alternativa che si discostasse da quella comunemente accettata. Le comunità antiche e
moderne sono state spesso fucine di uomini saggi e
di idee, di interessanti messaggi spirituali e umanistici. Le religioni moderne “statali” o politicizzate,
talvolta asservite al potere, sono nate quasi sempre
come piccole comunità spirituali ai margini della società, più o meno chiuse al mondo esterno, in cui si
conduceva uno scavo nelle profondità oscure dell'Io.
Nient'altro che la coscienza, la consapevolezza,
l'indomita intelligenza pura dell'uomo curioso, indagatore e viaggiatore potevano arrivare a questo processo mentale. Io sono convinto che ogni uomo,
dotato di una coscienza critica, possa essere creativo
e consapevole. La metafisica non è irraggiungibile.
Vi era la comunità pitagorica, in occidente una delle
prime, che aveva sede nelle città greche dell'Italia
meridionale, e in cui vigevano alcune regole semplici:
una dieta vegetariana, purificazioni quotidiane, il
tempo per la meditazione e lo studio. Vi erano le comunità gnostiche dei primi seguaci del Cristianesimo,
in Egitto, in Siria, in Libano, di cui si può cogliere
qualcosa nei moderni monasteri del Monte Athos.
Vestiti bianchi, bagni purificatori in vasche di acqua
fredda, pranzi in comune, inni sacri, preghiera partecipata con canti, un lungo spazio dedicato alla meditazione come ricerca di dio in sé. Secondo gli gnostici
la salvezza poteva essere raggiunta attraverso un
percorso interiore di ricerca della Verità, frutto del
vissuto individuale, che conduceva alla suprema conoscenza illuminata (gnosi). Non siamo tanto distanti
dal Nirvana Buddhista o Induista; in entrambi i casi si
può raggiungerlo grazie a una vita di dedizione e
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Segnali di confine
attraverso le buone azioni. Grazie agli scavi archeologici in Medio Oriente nel corso degli ultimi 1 50 anni
sono emerse grandi biblioteche di antichi monasteri e
comunità, come quella della città di Qumran,
appartenuta a una comunità di Esseni degli albori
(forse del II secolo a.C.). Questa antica comunità
ebraica, di tipo cenobitico e eremitico, viveva nel deserto e i suoi eremiti, separati in grotte o spazi isolati,
svolgevano attività semplici e si dedicavano anche a
una rigida osservanza della Torah e dei suoi precetti.
Praticavano l'astinenza dai peccati, dal sesso, da
azioni malvagie e dal possesso di beni. Mettevano in
comune quel poco che avevano, e si dedicavano ad
attività come apicoltura, orticoltura, allevamento di
ovini, artigianato, erboristeria. Vi era assoluta essenzialità di cose e pienezza di vita.
Personalmente, non credo che la vita debba essere
tanto diversa da così: suoni sapori passioni fondamentali rustici genuini, decrescita felice (e consapevole), ridimensionamento della tecnologia e dei
comfort propri della modernità - spesso assurdamente aggressivi, inquinanti, superflui. Aggiungerei
tanto amore però, felici amplessi con amorevoli
compagni/e.
L'Ashram, forse la più antica comunità spirituale del
mondo, letteralmente “tempio nella foresta” in sanscrito, è un luogo di vita spirituale e comunitaria.
Nell'ultimo secolo è stato oggetto di un “revival”, a
partire dallo squisito esempio dell'Ashram di Rabindranath Tagore. In questo luogo incantevole, di
nome Santiniketan, lui stesso con altri collaboratori
accoglieva gente e studenti, insegnava musica, arte,
Segnali di confine
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Distanze
poesia cantata, matematica, astronomia, letteratura.
La scuola (di vita) era immersa nel verde dei boschi
del Bengala, e nei giardini adiacenti si svolgevano feste e banchetti in onore dell'Amore devoto, con giochi, canti, danze, musiche e anche lezioni e dibattiti.
Così i giovani si accostavano teneramente alla Natura
e potevano sviluppare concordia, armonia, tenerezza,
spirito di gruppo, sensibilità all'arte e al bello: tutto
nell'adorazione degli dei induisti.
Un modo di vivere analogo a questo, colmo di piacere
e soddisfazioni, l'ho riscontrato in alcune comunità
da me visitate in Italia e in Europa.
Si va molto oltre l'ideologia hippy, che è ugualmente
un modo sano di vivere insieme in unione con la
natura, i colori e i sogni. Il lavoro è partecipato, la
cooperazione, la fatica, il frutto del lavoro agricolo e
artigianale portano a dei risultati ben visibili e di cui
può godere tutto il gruppo, portando invece che
astio, invidia tra le parti, compassione e gioia reciproca.
Alcuni anni fa ho trascorso qualche tempo in una comunità in Francia, nella regione di Rhone-Alpes. Il
luogo è bellissimo, si chiama Saint Antoine l'Abbaye,
paesino medievale disposto su una collina a salire fino all'abbazia tardogotica, che splendidamente corona e domina dall'alto il villaggio di case di pietra e
legno. L'abitato si è sviluppato intorno alla chiesa
dell'abbazia, nella cui cripta erano sepolte le spoglie
mortali di sant'Antonio Abate, padre degli eremiti nel
deserto egiziano, e lui stesso, secondo la leggenda,
primo santo eremita della storia della Chiesa. Adesso
l'abbazia gotica, adiacente alla chiesa, la cui facciata
è contraddistinta da iconografie di mostri e gargoyles, da guglie e decorazioni, è una delle sedi della comunità internazionale de l'Arche, fondata dal nobile
siciliano Giuseppe Lanza del Vasto. Costui conobbe
Gandhi, viaggiò molto, fu un uomo straordinario che
coniugò umanismo e filantropia con l'amore per la
natura e l'Induismo, senza mai dimenticare la sua
formazione cristiana. La comunità al suo interno è
grande, molto spaziosa, e contiene una cinquantina
di membri solo a Saint Antoine, compresi gli occasionali visitatori, amici, lavoratori temporanei, giovani ri-
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Segnali di confine
belli, e gente pagante in visita all'Abbazia per uno dei
tanti corsi o laboratori con cui la comunità si garantisce discreti introiti. I laboratori sono di vario tipo, e tutti condotti da esperti in materia: tai chi,
yoga, danza celtica; corsi di musica (flauto, piano e
arpa) e di permacultura (creare forme architettoniche
con piante e natura), oltre a incontri e conversazioni
con personalità buddhiste e pacifiste.
C'è anche un'aula destinata alla musica, una biblioteca-computer, una sala meditazione (e preghiera universale), e una palestra che diventa sala da ballo tutti
i martedì e i sabato sera. Poi sul retro c'è un grande
giardino con tanti alberi, e un po' più indietro un
grande orto con alberi da frutta, insalate e altri
ortaggi. Nel cortile principale d'ingresso all'edificio c'è
anche molto verde e spazi aperti, adibiti a lavoro comunitario. Ho lavorato per alcuni giorni nell'orto comunitario, così come nei campi sulle colline a monte
dell'Abbazia, che ho zappato nel fango allegramente
insieme a ragazzi e ragazze per due-tre ore al giorno.
È stata una delle più ricche esperienze della mia vita;
ho imparato ad assaporare e ad apprezzare la fatica
fisica pura in comunione con gli altri, tutti consci di
lavorare e spenderci per un lavoro utile al gruppo,
utile a tutti nel presente e per il futuro. Il lavoro si fa
a rotazione (pulizia di camere, bagni e corridoi, preparazione del cibo, e altro) e ogni ora suona la
leggendaria campanella della cappella dell'Abbazia
per segnalare cinque minuti di pausa: un'interruzione
da qualsiasi lavoro che si sta compiendo, per riflettere in silenzio e introspezione sul significato che nella
vita ha il lavoro e l'attività che ognuno svolge.
Si mangia (colazione pranzo e cena) tutti insieme escluse le famiglie con bambini piccoli, che a cena di
solito stanno tra di loro - nel grande refettorio dal
sapore antico. Sopra un tavolo vengono messe le
pietanze, tutte rigorosamente vegetariane, e a turno
tutti si servono. Il cibo è sempre buono, si mangia
insieme, si parla, si ride, ci si conosce e si stringono
legami di amicizia.
È un modo molto semplice e veloce di cementare il
gruppo, stringere legami utili ai fini della vita comune
(strategia di buongoverno?). Ho incontrato persone
molto ridenti e simpatiche in quel luogo, compresi i
Segnali di confine
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Distanze
miei compagni di stanza, di nazionalità argentina e
francese, due uomini socievoli, con una buona esperienza di vita. C'era anche una giovane donna,
dall'incarnato color del miele, labbra di pesca, corpo
sinuoso come l'airone e la gazzella; una berbera di cui
ho potuto assaggiare la dolcezza che, dopo deliziosi
momenti di disperato abbandono, non ho mai più
riassaporato.
Credo che una comunità di questo tipo sia una bella
commistione tra realtà individuale e realtà di gruppo,
personalità e cooperazione, svago e dovere - ma dovere al fine del benessere di tutti-: cultura e natura,
mestieri materiali e libera ricerca della propria creatività (nel tanto tempo libero a disposizione). I bambini
sono finalmente educati al rispetto e salvaguardia
dell'ambiente, e alla bellezza di fiori, frutti, animali;
all'amore che dà e riceve. Ho incontrato famiglie
scappate dalla città per fare una vita di silenzio,
tranquillità e serenità, con bambini che scorrazzavano nudi sull'erba, dopo le ore di apprendimento nella
piccola scuola dell'Abbazia (dove vigono metodi certo
più steineriani che classici). È anche un piacere
ascoltare l'organo maestoso della Chiesa, fare un giro
di notte sotto al firmamento, nelle vie strette del paesino, senza un'anima.
È possibile scegliere una vita di questo tipo,
alternativa rispetto alla vita della società occidentale,
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Segnali di confine
basata evidentemente su altre leggi e sistemi (di
mercato)?
Viaggiando ho incontrato situazioni sociali (in Nepal,
in Tasmania, ma anche sulle Alpi bergamasche o in
Basilicata ), spesso in luoghi poco affollati, che si
avvicinano a una forma di vita sana e indipendente,
emancipata e felice come quella dell'Abbazia di Saint
Antoine. Forse è proprio nei margini, negli stretti
passaggi di confine, spesso comunicanti con grandi
foreste ricche di vita non-umana, che troviamo
persone libere di seguire la propria via verso
l'emancipazione.
Non mi piace pensare all'uomo come a un essere
assoggettato al potere, alle istituzioni, alla burocrazia, ma come persona capace di pensare, creare,
immaginarsi e progettare una vita libera e appassionata. Quando si riconduce l'espressività coraggiosa
del singolo a una macchina preordinata (per produrre, per distruggere materia), quando si incanala
l'oblio e l'incertezza della vita (sua linfa) in vie facilmente percorribili e di breve distanza, l'esistenza è
scarna, senza gran sapore. La comunità è un luogo in
cui la compassione e il rispetto per la vita di sé e
altrui (uomini, animali, natura) raggiunge la felicità,
consapevolezza dell'insieme, forse la realizzazione di
quella che Tagore, in Sadhana, con generosità e
lungimiranza, chiamava la “realizzazione nell'Infinito”.
Segnali di confine
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Distanze
Z an n e d i besti a
I l feroce e ti m i d o u n gu l ato d ecapi terà l ' u om o
di Glauco Piccione
44 denti, zanne a ricostituirsi in eterno a partire dal
secondo anno dell'esistenza. Corpo squadrato,
zampe sottili, coda ricoperta di setole, poi spazzola
scacciamosche all'apice, talvolta segnalatrice
dell'urto.
Muso di osso fugnaiolo, feconda mitologia, ruolo da
protagonista nell'araldica. Irrequieta anima dalla traiettoria rettilinea, su e giù al galoppo, sensibilità
tattile, sicurezza olfattiva. Grossa testa, ad occhio
umano quasi innestata sul torso.
Tallone d'Achille per i morsi di vipera, il grugno. La
pelle, corazza durissima.
Bestie selvatiche e crepuscolari vorremmo che brucassero l'erba, salutassero, limassero le zanne e
strizzassero l'occhio; vorremmo diventassero nostre
amiche, poi creature potenzialmente innocue.
La ferocia appare pericolo, il folto pelo sudiciume, nido di zecche.
La robusta bestia rotola nelle pozze impastate d'urina, utilizzata in sostituzione dell'acqua grazie alla
quale viene umidificata la preziosa terra, protezione
per i raggi solari, cicatrizzante per le ferite.
Crea profonde ed estese pozze acquatiche, sfrega il
dorso e i fianchi sulle querce e sugli abeti rossi,
traendo sollievo dai parassiti.
Il cinghiale...
Divoratore di funghi, polverizza le ghiande, schiaccia
e sminuzza gli insetti e i piccoli invertebrati. Non disdegna le rane, i serpenti, i cerbiatti e gli agnelli.
Disotterra le carcasse putrefatte di cui, con foga e
piacere, si nutre.
Fiuta la spazzatura. Il cinghiale.
Fiuterà i vincoli, i sentimenti, le nevrosi. Il cinghiale.
Piomba dall'alto e poi scompare, muore per dissanguamento (fuga, pallottola o dardo).
Sparge, quasi sempre, il proprio sangue nei boschi
dell'arrivo o della nascita.
Segue le scie odorose dei propri simili, digiuna anche
a lungo per portare a termine il valoroso fardello
della discendenza.
Il suo suono di vittoria è un motore endotermico. Durante il periodo della continuazione, l'armatura adiposa ricopre il collo e le spalle, fino all'altezza
dell'ultima costola.
Anche il corteggiamento è diretto e feroce. Direzione
e ferocia, altro non riesce ad aggiungersi.
Il suo verso è grugnito, raucedine gutturale,
mancanza di educazione e di senso ultimo.
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Segnali di confine
Quando, nel vicino futuro, animali provenienti da
altri continenti saranno utilizzati per stanare gli
imboscati e sfoltire il loro numero, non ci sarà da
stupirsi.
L'essere umano è una condizione indescrivibile, inestricata.
Aiuto, il feroce e timido ungulato decapiterà l'uomo!
Goraz, Hogzilla, Nero…Foste classificati in base alla
forma e alla lunghezza dei dotti lacrimali.
Di origine indiana, indonesiana, occidentale, orientale, voi siete il globo intero.
Siete storia antica, selezione in principio, a partire
dalla Cina, dalla Turchia, dalla Mesopotamia, dalla
Thailandia per la domesticazione. Diveniste così
scomparsa delle zanne, massa sotto forma di carne:
maiale domestico.
La vostra attuale popolazione italiana discende da
una selezione innaturale: dall'unione dei vostri antenati dell'Italia settentrionale con esemplari provenienti dall'Ungheria, introdotti a scopo venatorio, e
con altri, appartenenti ad una popolazione di origine
francese, insediatasi in tutto il Nord Italia, dove oggi
si strumentalizza la consapevolezza della vostra scomoda presenza attraverso la recente cronaca: fonte
di dubbi e perplessità, materia d(')istruttivi dibattiti
televisivi da talk-show; di(s)informazione utilizzata
per scopi d'indirizzamento e d'incanalamento psicologico.
Queste opinioni, manipolano e controllano la coscienza umana, per poter rendere l'essere umano
animale docile e sterilizzato.
«- È un'emergenza nazionale, sono folli. Si teletrasportano con velocità, propagano malattie.- Le bestie risultano intelligenti, la situazione è
incontrollabile. - Il nuovo dentifricio Dixen rende i denti bianchissimi.- Una piaga ha colpito viale Brecelli e via Ferregiano.
Crescono ogni giorno di numero, radono il suolo a
tabula rasa, distruggono ogni cosa si trovi sul loro
cammino, crollano i muretti a secco. Non cresce più
l'erba ovunque passino, riescono a smuovere persino
il cemento vivo.- Mattatoi mobili per garantire una macellazione
controllata! - Uccidono gli uomini.-»
Grugniscono con bava le televisioni.
saggistica
Sono seicentomila, addirittura, secondo l'Ispra (l'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale) hanno
superato il milione di esemplari.
Precipitano tra monti e valli, attraversano lunghe
colline. Si avvicinano alle zone rurali, si approssimano
nelle vicinanze delle case, giungono senza pudore
nelle città.
Si sono diffusi nel 95% delle province italiane, spinti
dal più onesto e schietto istinto di sopravvivenza,
grazie al quale fuggono dalle pozze prosciugate e dal
poco cibo rimasto.
Con i corpi disidratati e le ferite cicatrizzate si avvicinano, attirati dal fortissimo odore dell'immondizia,
incivilmente abbandonata al di fuori dei cassonetti
della spazzatura.
Guidati dalla loro natura onnivora deturpano le
fertile può estendersi a tutto l'anno, per la gioia dei
disturbati.
Le scrofe di cinghiale appartenenti allo stesso gruppo
sociale sincronizzano con precisione il loro estro, tramite il rilascio di ormoni. Ma la loro riproduzione
stagionale, sebbene sia regolata attraverso questi
meccanismi fisiologici, può subire ripetute variazioni.
Nel caso in cui le scrofe vengano sottoposte a stress
e a disturbo (ipoteticità resa concreta dalla forma di
caccia attualmente più utilizzata, la braccata con i
cani da seguito), il prolungamento del calore può
portare addirittura alla perdita della sincronizzazione
dell'estro tra le femmine che compongono il branco.
Si provoca la nascita di un'alta percentuale di individui giovani, che porta da un lato alla destrutturazione della popolazione, dall'altro causa l'aumento dei
colture degli agricoltori.
La Città metropolitane si difendono con l'abbattimento e coi gabbioni, preoccupate per le coltivazioni
e per l'incolumità.
Solamente in Liguria, i danni quantificati per difetto
ammontano a 700-800.000 euro l'anno.
Continuano a crollare i muretti a secco e vengono
compromessi quei manufatti agricoli fondamentali
per il presidio del territorio.
Le generazioni si susseguono con la fretta di
disperdere le zolle. Il cinghiale, a differenza degli altri
ungulati suoi prossimi, investe di più nella riproduzione invece di massimizzare la sopravvivenza
dell'adulto.
Le femmine di tutti gli ungulati europei hanno un
breve periodo di estri ripetuti, oppure sono monoestre. Nelle femmine di cinghiale, invece, il periodo
danni alle colture dell'uomo.
Conseguenza deducibile, prendere il fucile e sparare,
costringere il sopravvento.
Ma la sola pressione venatoria, non può essere ritenuta idonea per mantenere il numero dei cinghiali
costante, impedendone l'accrescimento.
Il controllo del numero degli individui che fanno
parte di questa specie non è un metodo efficace e risolutivo per contenere la gravità e l'entità dei danni
provocati. Basse densità di ungulati non sempre sono
associate con danni ridotti, né alte densità con danni
elevati. Sembrava troppo semplice e efficace, a fini di
lucro.
A questo riguardo gli esperti consigliano l'utilizzo di
approcci lontani dal senso comune: recinzioni elettriche e foraggiamenti dissuasivi.
Le recinzioni elettriche consentirebbero la scomparsa
Segnali di confine
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Distanze
dei danni, dei guasti, delle paturnie. Dovrebbero essere collocate in maniera lineare intorno al perimetro
coltivato o meritevole di protezione, senza privilegiare singole parcelle coltivate.
I foraggiamenti dissuasivi dovrebbero essere applicati
su una vasta area, ad almeno un km dalla foresta,
con densità di cinghiali inferiore alla quindicina per
1 000 ettari di estesa totalità.
I cereali tricomatosi, come l'orzo, non vengono divorati dai cinghiali e dovrebbero essere piantati in prossimità delle foreste, mentre i cereali non tricomatosi,
come il mais, di cui i cinghiali sono ghiotti, dovrebbero essere piantati lontano dalle foreste.
Il tenebroso ungulato, trovando assicurato cibo
abbondante, sarebbe portato ad abbandonare la via
della vicinanza e del disturbo.
A questi metodi efficaci, non dimentichiamo di accostare l'approccio più moderno e innovativo: la telecontraccezione. Si spara dalla breve distanza il
vaccino GonaCon nel corpo degli animali, con lo speciale, inedito fucile.
L'effetto di una fiala sarà durevole per qualche noiosissimo anno.
Il ritratto è delineato. Il presente spiegato facile.
Se lo scenario è da ritenersi problema irrisolvibile, le
soluzioni si auspicano intervenendo alle radici e non
alle diramazioni (a priori e non a posteriori).
Trappole, tagliole, lacci emostatici, impiccagioni, calunnie, telecontraccezione, cereali, pressione venatoria e recinzioni.
I cambiamenti, senza dubbio, non dovrebbero derivare tanto da operazioni o da azioni concrete, quanto
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Segnali di confine
da inediti ed innovativi metodi culturali.
Il nostro è un protagonista tutelato, ma, allo stesso
tempo, è rapportato al beneficio di coloro che lo
accorciano di numero.
Mancano un approccio, una dimestichezza, una prorompente (e non autoreferenziale) riflessione a
vantaggio dell'ambiente naturale.
Si desidera vivere la campagna, ma si detestano le
api, le mosche e le zanzare. Si organizza una gita in
barca, ma si ha paura dell'acqua salata, dolce e piovana.
Sono state sterminate intere specie in nome della
stupidità e della crudeltà umana. Si è compiuto il genocidio di intere etnie e popolazioni native in nome
della civiltà e del futuro.
Il mondo viene caricato a molla, in un continuo
succedersi di comfort, delle esigenze, dei capricci, dei
desideri e dei sogni inconfessabili dell'uomo.
È indiscutibile che i cinghiali possano causare danni
e, a seconda delle circostanze, possano creare pericoli. Tuttavia le strategie concrete ed i metodi culturali dovrebbero portare ad una realtà effettiva,
morale ed etica, che rasenti un equilibrio tra uomo e
ambiente, tra natura e artificio, ad una visione ecologica che si estenda al di là dell'angusto spazio abitativo in cui viviamo per renderci consapevoli di
essere parte di un ecosistema simbiotico. Un luogo in
cui vivere come animali intelligenti, che rispettino il
proprio habitat e tutte le forme di vita, dalle più
semplici alle più complesse, dalle più innocue alle più
temibili.
saggistica
Segnali di confine
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Distanze
Libertà, natura e cultura
di Simone Dapelo
I problemi di fondo
L’argomento di cui tratto si presenta molto
complesso, in quanto pone delle problematiche
ontologiche ed etiche di fondo. Esiste infatti una
effettiva separazione tra il concetto di natura e
quello di cultura? E dove si colloca questa frattura?
Vediamo di analizzare alcune idee a riguardo.
Effettiva sussistenza dei concetti
La prima domanda che uno potrebbe porsi è se,
trattandosi di concetti (o teorie filosofiche ad essi
connesse), sia possibile trovare un riscontro nella
realtà. Natura: l’estensione di questo concetto
potrebbe panteisticamente comprendere ogni cosa;
pensate al deus sive natura di Spinoza -dio ovvero
natura- : due parole utilizzate per il medesimo
concetto. Natura sarebbero l’universo intero, il cosmo
e persino il ragionamento astratto o le idee, essendo
anch’esse prodotto della nostra mente; secondo
molti esseri umani tuttavia il concetto di natura non
si estende alla totalità del reale, ma viene in parte a
scindersi dal concetto di uomo, e di tutto ciò a esso
connesso:
coscienza,
autocoscienza,
divino,
creatività, ragione, linguaggio e ciò che li riassume (o
li comprende); vale a dire la Cultura.
Cultura: l’origine prima di questo concetto sembra
potersi applicare ad un punto preciso (per quanto
empiricamente ignoto) della storia evolutiva: ovvero il
momento in cui l’uomo ha preso coscienza di sè come
entità ed ha elaborato l’idea di una differenza tra
uomo-io e natura-tutto. L'istante in cui ha sviluppato
un linguaggio capace di astrazione ed è stato in
grado di trasmettere questo concetto ad un altro
“uomo” è stato la spia di un processo evolutivo di
cambiamento.
Da allora è andata via via sviluppandosi l’idea di una
differenza tra l’uomo e la natura, che si è espressa
nella capacità di modificare e modellare la natura per
i propri fini e nell'atto della creazione, sconosciuto a
qualsiasi animale diverso dall’uomo.
Per rendere meglio l’idea della frattura tra coscienza
umana e realtà possiamo usare una metafora: è come
se l’ominide ad un certo punto del suo percorso
evolutivo avesse avuto la possibilità di guardarsi in
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Segnali di confine
uno specchio d’acqua e capire che esisteva come
differenza rispetto a tutto ciò che lo circondava.
Divenuto sapiens l’ominide poteva ora lasciare
traccia di sè, cominciare a sviluppare la memoria a
lungo termine e testimoniare la sua presenza come
differenza rispetto alla totalità naturale, come
necessità di astrarsi, di isolarsi dal flusso ininterrotto
del reale.
In Francia sono stati ritrovati alcuni dei più grandi e
antichi disegni rupestri, che testimoniano con
efficacia il desiderio dell’elemento umano - insito già
nei Cromagnon e Neanderthal - di produrre,
mediante disegni rupestri, momenti di vita sociale (ad
es. scene di caccia ai Mammut), lontani da una
semplice rappresentazione naturale.
La cultura nasce quindi in pratica anche con
l’artefatto; resta da capire poi in che misura la cultura
ci diversifichi dal regno naturale e quanto di naturale
sia rimasto in noi dopo centinaia di migliaia di anni di
evoluzione culturale. Personalmente ritengo che i
meccanismi inconsci che possiede la nostra mente (i
tempi di reazione, la paura e il conseguente rilascio di
adrenalina, ecc.) indichino una sostanziale contiguità
con il mondo naturale: l’istinto, il desiderio sessuale,
la ricerca di piacere sono legami forti con il mondo
della natura. Probabilmente la nostra evoluzione
culturale non è altro che un'evoluzione naturale più
stratificata e complessa.
Il legante libertà
Aristotele diceva che ci distinguiamo dagli altri
animali per la nostra razionalità; la felicità si
raggiunge quando raggiungiamo questa nostra
presunta condizione, mantenendo uno stretto
controllo sugli impulsi e sugli istinti più bassi.
Anche Platone (e poi gli Stoici e poi i Cristiani e poi i
Tomisti fino ad arrivare a Freud) pensava che
nell’essere umano coesistessero una natura animale
(e istintiva) e una virtus razionale, simbolo della
civiltà, della conoscenza e della consapevolezza.
Questo modo di pensare ha inevitabilmente portato
ad una contrapposizione sempre più forte tra natura
e cultura, tra corpo e anima; un dualismo nocivo in
quanto impedisce una libera coesistenza delle due
parti che ci rendono umani.
Questa demonizzazione (forse paura) degli istinti,
saggistica
che sorge già dalla frattura io-mondo (dall’Adamo che
mangiata la mela si vergogna di essere nudo), ha
provocato una sorta di confusione nella mente
dell’uomo,che non è più riuscito a capire quale delle
due componenti dovesse assecondare per essere
libero e quindi felice e appagato.
E qui veniamo al concetto di Libertà, il legante tra
natura e cultura.
Da quando l’uomo ha preso coscienza di sé ha finito
per pensare di essere libero di autodeterminarsi, di
poter essere artefice del proprio destino; a differenza
dell’animale che è in preda agli istinti e determinato
dalla natura.
Peccato che l’uomo sia comunque inscritto nella
natura-totalità-reale, e questo suo bisogno di
assoluto, di ultraterreno, di ulteriorità, costituisca a
mio avviso l’ostacolo principale al raggiungimento di
una certa tipologia di libertà. Scindere l’astratto, il
metafisico,l’assoluto, l’ultraterreno dal reale (dagli
alberi, le rocce,la carne e il sole), significa rinnegare
una parte di noi: la nostra natura originaria, che
chiaramente protesta internamente per questa
contraddizione, facendo lamentare la nostra parte
razionale dell’impossibilità di essere liberi, di sapere il
perché dell’universo, dell’insensatezza dell’esistenza.
A questo punto bisogna rispondere alle domande
introduttive sulla possibilità, sulla realizzabilità della
libertà e sul modo in cui si esplica.
Diciamo innanzitutto che un animale, privo per
quanto ne sappiamo di coscienza, non si pone i
problemi di cui ho parlato poco fa, non ha nemmeno
una identità come la nostra -problematica per il fatto
di essere costruita nel tempo attraverso la memoria-,
non possiede un io che si tormenta costantemente su
come debba essere, e il fatto stesso di non porsi
questi problemi lo rende libero, in quanto in totale
sintonia con la natura, con l’assoluto che decide per
lui. Non si tratta di libertà da, di libertà negativa, di
essere liberi dagli impegni, dal lavoro, dai problemi. Si
tratta di essere liberi di non attaccarsi a nulla col
pensiero (che è proprio ciò che fanno gli animali),
seguendo liberamente sensazioni, intuito e istinti.
Secondo questo sviluppo sembra che sia possibile
essere liberi. La libertà sembrerebbe realizzabile a
patto che l’essere umano sia in grado di riportare la
sua coscienza al grado zero, iperconsapevole
(interessanti gli sviluppi delle filosofie orientali come
il buddhismo a proposito del non attaccarsi alle
rappresentazioni mentali, molto simile all’antico
concetto di epochè o sospensione del giudizio) e
iperpercettivo, attento in ogni istante ai sensi e
capace di non allontanarsi dalla pura sensazione
percettiva a causa delle problematizzazioni e
rielaborazioni concettuali del pensiero.
La conclusione sembrerebbe portare inevitabilmente
all’idea di ricercare la libertà solo nel nostro lato
naturale, puro, istintivo. Ma si tratterebbe di una
conclusione sbagliata, in quanto dimentica del nostro
lato razionale, strutturato, creativo, intellettuale.
Sebbene in un certo senso la cultura sia dannosa ai
fini del raggiungimento della libertà naturale di cui
ho parlato poco fa (dato che specifica la nostra
mente universale e iper-recettiva, configurandola in
modelli e categorie di educazione, giusto, sbagliato,
bello, brutto, noioso, divertente ecc…), essa offre una
possibilità che la sola libertà naturale non consente,
la possibilità della realizzazione creativa autentica,
individuale.
Demetrio Stratos, cantante degli Area, così tradusse
la frase di Eraclito "polemos panton pater": “Dal
conflitto nasce la creatività” e aggiungerei che ogni
conflitto parte sempre e comunque da un confronto,
da una categorizzazione del reale ed un successivo
accrescimento creativo per accumulamento di idee,
credenze, fantasie.
Questo per dire che la varietà offerta da tutte le
esplorazioni e le stratificazioni della cultura, dona ad
ogni individuo la possibilità di creare qualcosa per
primo, di riuscire in un problema dove altri non sono
riusciti, di fare qualcosa di nuovo o farlo meglio.
Questa spinta umana all’innovazione costante (da
non confondere con l’idea capitalistica di progresso a
tutti i costi), questo bisogno di emersione di una
singola personalità, questo far sentire la propria
voce, contribuiscono alla realizzazione di questo
secondo tipo di libertà: la libertà culturale.
La domanda finale che dobbiamo porci è se questi
due tipi di libertà siano riconducibili ad un unico
concetto, o se comunque siano realizzabili
congiuntamente.
Io credo che l’uomo sia un essere naturale-culturale e
che necessiti, per il raggiungimento della felicità o
libertà o pace dei sensi o piacere sommo, della
soddisfazione di entrambe le sue potenzialità, che
garantiscono un'esplorazione attraverso due
differenti modalità di vedere e sentire la realtà in cui
siamo immersi.
Segnali di confine
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Frontiere
Soffio di frasi
foto di Diletta Nicosia, testo di Glauco Piccione
Un punto decide. Un lichene o un rovo propagato
decidono. Una sfocatura divisa a ¾ o una terapia di
benessere non bastano. Non percepiscono in toto il
quadro d'insieme. Un controllo imparziale, sottile
membrana sfuggente, sottile nella vita emotiva,
desidera una scissione repentina tra un ordine
compiaciuto nelle stagioni e nell'invecchiare, un
incartapecorirsi a seconda del tempo, dell'uso degli
attrezzi. Prosciugati i pozzi, spianate le colline e
ammansite le bestie, la prima e l'ultima scelta,
comprese quelle che stanno nel mezzo, rientrano
nelle sinapsi. Un + cicatrizza la smania, le giornate e i
gesti si assottigliano. Craccato da un nudo veleno,
capisce la sfera indiscutibile delle squadriglie armate,
delle bollette, dei banchieri. Asciugato su di un isola
segreta, getta una spugna sul valore. Una fiaccola
timida, annacquata da una cera sciolta con
l'intercambiarsi delle mansioni. La rondine emigra, il
guanto essica e arretra, la formica non ha bisogno di
sbalzi di umore o di endorfina. Fuori fa freddo, dilata,
fuori dall'ordine, senza percepirlo a mani vuote, a
mani candide, nelle stanze, nelle brande, nelle grazie
il tempo circola senza di noi. L'asino e il filo spinato
non basteranno, le coccole dopo l'affare non
basteranno, neppure i cieli fotografati, il filo d'erba
spuntato a tradimento o la didascalia. Conquistato il
globo, piegata la mente alla materia, la chimica e le
formule, più che i sogni, vorrebbero vaporizzare le
ciminiere, collegare i punti. Dolcezze e fili spinati.
Proseliti e autovetture. La mente comprende in
piccolo, ma tenta, sfugge, interroga, senza fili o
prostrazioni. La mente senza saperlo evapora, si
espande come un gas esilarante senza limiti. La
barriera, le cave, i cyborg non contano, il pensiero
pensa, non conta, non calcola, non si rinchiude nelle
scatole o nelle costruzioni. Si scrive la vita sul foglio,
comandati dal controllo sui mezzi, ovvero su
flora&fauna&fatti naturali. Il pensiero si espanderà
del tutto comprendendolo. Ritornando nello spazio
inutilmente controllato, lo svuoterà moltiplicandolo
verso altri quasar. Il desiderio di modificare il mondo,
la fabbrica, l'aeroplano saranno solo pensiero
rigettato in materia, la quale, finito il suo corso, si
estinguerà in un soffio di frasi, libere dalla logica
della sopravvivenza.
“Ritornello di bronzo”, Roma, Giardini Vaticani
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Segnali di confine
Nella pagina seguente: “Materia inerte da cui deriva la luce in primo piano”, Genova, periferia
fotografia
Segnali di confine
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Frontiere
“Asino e filo spinato”, Campenave, Ponente Ligure
“Ciuffo d'erba sull'artificiale”, Genova, Centro Storico
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Segnali di confine
fotografia
"Volo emozionale", Genova Nervi, Passeggiata mare
“Comodo abisso grigio”, Genova Nervi, obbiettivo verso l'alto
Segnali di confine
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Frontiere
Vestigia di un'armonia tramontata
di Simone Prati
Nel corso della storia dell'umanità il rapporto ancestrale che da sempre esiste tra l'uomo e la natura è
variato in modo radicale. I nostri più lontani antenati,
i primi ominidi, erano completamente dipendenti
dall'ambiente circostante; il loro giardino consisteva
in una sorta di orto naturale dove quel che cresceva
spontaneamente veniva consumato. E quindi l'uomo
era soggetto ai capricci e alle abbondanze della natura. Con il tempo e l'ingegno - che verrà tramandato
alle generazioni successive creando quella bellissima
cosa che è la cultura - l'essere umano è però riuscito
lentamente ad influenzare a sua volta la natura circostante e l'ambiente in cui viveva. Piccoli esempi di
questo possono essere la creazione e l'uso dei primi
utensili in ossidiana e selce, come punte per frecce e
piccole lame per i più svariati utilizzi. Dopo diverse
centinaia di migliaia di anni l'uomo è poi riuscito a
domare più direttamente la natura, con l'avvento
dell'agricoltura. Fino alla rivoluzione industriale di
metà Ottocento, il rapporto tra queste due entità era
di reciproco rispetto. O almeno, l'uomo rispettava la
forza della natura, conscio della dipendenza diretta
cui doveva sottostare per la sua sopravvivenza. Il rispetto era dovuto proprio a questo: senza l'opera
della natura l'esistenza del genere umano era
compromessa.
Purtroppo però nell'ultimo secolo e mezzo l'uomo è
diventato avido ed ha scordato in un lampo di frusta
tutte le conoscenze acquisite in milioni di anni. Un
sapere che ha permesso ai nostri genitori, ai nostri
nonni e ai nostri trisavoli di sopravvivere, di mangiare, di procreare e portare avanti la nostra presenza
sulla terra. Invece oggi i suoli vengono stuprati da giganteschi macchinari, l'aria viene inondata da fumi
cancerogeni, le acque sono utilizzate come fonti miracolose per ripulire ogni male - che si accumula però
negli oceani creando mostri marini deformi e isole di
plastica galleggianti.
Ma facciamo un passo indietro. Mi piace pensare ai
manufatti che, creati in tempi più o meno remoti, sono sopravvissuti in qualche modo fino ad oggi, proprio perchè figli di quel rapporto d'amore che
esisteva tra gli esseri umani, consci della loro fragilità
e della loro dipendenza dalla natura, e l'ambiente in
cui erano obbligati a sopravvivere. Uno tra i più
importanti materiali impiegati dall'uomo era sicuramente la pietra. Pietra come arma, pietra come
utensile, ma anche pietra come casa, come delimita-
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Segnali di confine
zione territoriale e come ostacolo. Ed ecco allora che
per costruire un capanno si è utilizzato qualcosa di
più durevole del legno e delle fronde d'albero. Le vestigia di queste tecniche si perdono indietro nel
tempo, ma alcuni famosi esempi chiariscono come le
pietre abbiano permesso a certi popoli di vivere, sopravvivere e, in alcuni casi, svilupparsi enormemente.
Si pensi quindi al “muretto a secco” utilizzato per
creare dei terrazzamenti pianeggianti ad uso agricolo,
che ha permesso all'uomo di prosperare e di sopravvivere in un ambiente difficile.
Di seguito presento alcune fotografie di manufatti,
testimoni dell'armonia che esisteva tra gli uomini di
una volta e il mondo naturale: alcuni muretti a secco
e un riparo ormai in disuso della regione del monte
Brè che, abbandonati a se stessi, hanno un destino
ormai segnato. Anche se sono ancora in discrete
condizioni, presto o tardi scompariranno, risucchiati
e fagocitati dalla natura e dal bosco, che si riprenderanno le pietre, riordinandole disordinatamente tra
alberi e rovi.
Altri scatti sono invece di alcuni Nuraghi sardi, testimoni di un passato difficile da leggere ed interpretare, ma che sicuramente mostra quanto arduo e
faticoso dovesse essere abitare in quelle lande migliaia di anni fa. Altri scatti ancora immortalano
l'archeologia architettonica del paesaggio urbano e
agricolo irlandese, con le foto di alcuni edifici in dissesto del loro recente passato e di pietre segna
confine. Anche in questo caso lo scopo è duplice:
spietrare e permettere la coltivazione agricola o facilitare il pascolo e al contempo creare delle barriere
fisiche attorno alle proprietà. Infine ho scelto un paio
di scatti di una tomba micenea che ho visitato in
Grecia.
fotografia
“Muri e corone”, Grande muro a secco, con magnifico coronamento, che permetteva di ampliare la zona coltivabile al di fuori dell'area pianeggiante del
muro stesso e, quindi, in sospensione. Rispecchia l'enorme fame di terra dei contadini di allora, Monte Brè
“Al riparo”, Piccolo rifugio costruito in pietra a secco. Probabilmente conteneva materiali di lavoro ed eventuali scorte di cibo. Inoltre, poteva essere
utilizzato come riparo, in caso di condizioni atmosferiche avverse, Monte Brè
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Frontiere
“Nuraghe”, Complesso nuragico a Dumusnovas, Sardegna, provincia di Carbonia-Iglesias
“Nuraghe”, Dettaglio di un primo edificio in pietra, nel quale si può facilmente riconoscere la forma circolare della base della costruzione. Sullo sfondo, in
primo piano, si possono notare le basi di una seconda struttura e, come sfondo imponente, quello che poteva essere l'edificato più importante, Sardegna
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Segnali di confine
fotografia
“Loher stone fort”, Antica vestigia, Waterville, contea di Kerry, Irlanda
“Linee guida”, Muri a secco, a ridosso della costa. Delimitano la proprietà privata ed indicano recinti invalicabili per le bestie, Irlanda
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Frontiere
“Verso il sotto”, Entrata di un sito tombale, scoperto per caso durante un viaggio, Entroterra dell'isola di Kefalonia, Tzanata, Grecia
“Sottoterra”, Tomba per i defunti, Entroterra dell'isola di Kefalonia, Tzanata, Grecia
nella pagina seguente: “Mosaici cubici”, Dettaglio su muro, all'interno di una tomba micenea di Kefalonia, Tzanata, Grecia
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Segnali di confine
Segnali di confine
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Aperture
Sogno rarefatto
di Matteo Mezzano, foto di Damiano Boldrini
Noi non esistiamo il tempo
La nebulosa ingloba la percezione del reale. Il reale è solo una concezione creata
dai simili. L'inamovibile è ciò che coesiste con lo spazio. Noi siamo spazio.
La nostra felicità non è applicabile al nostro creato. La felicità è esente dal
nostro cervello.
Le droghe non sono portali, solo un frammento di visione del vero.
Non ci sono strade. Nessun redentore, nessuna credenza, nessuna religione.
L'universo è la creazione di una mente isolata.
Il paradiso è nato solo due millenni fa.
Continuate a crederlo. Aggrappatevi per paura di avvicinarvi al “reale”.
Il reale è surreale. Rilassatevi. Eiaculate pure.
Noi non esistiamo il tempo.
Astrazione. Nebulismo, inglobaci.
La morte dello scarafaggio
Lo scarafaggio gigante galleggia inerme sulla superficie del mare. Le navi girano
intorno come mosche sulla carcassa. Sembrano piccole larve che si nutrono dei
contenitori a scacchi.
L'amico protettore è stato abbattuto, hanno voluto così. Fluttuando nel cielo
osservo questo scenario.
Orribile visione. Realtà che manda in putrefazione la vita.
Amico caro, hai sacrificato la vita per noi. E noi ti abbiamo sempre creduto un
parassita.
I delfini, le balene arrivano in soccorso con i loro pianti. Riecheggia un lamento
funebre. Il sangue degli innocenti. Le navi militari affondano le creature del
mare.
L'acqua si tinge di porpora.
Sono sospeso nell'aria, osservo la carneficina. Guerra infondata. Tutto ciò è solo
ripetizione. Ripetizione nei secoli, nelle ere, nel cosmo. Questa realtà è già stata
tradita. Il sopruso è stato consumato. Partono le navi verso una nuova meta.
Spiegano le vele nere verso una nuova guerra.
Gli scarafaggi che non sono ritenuti idonei vengono schiacciati dalle suole.
Coloro che commettono tale atto provano un enorme orgasmo, nel udire lo
scricchiolio degli insetti prima che esalino l'ultimo respiro.
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Segnali di confine
poesia, prosa, prosa poetica
I l m i o m i gl i or am i co
Ho tanti amici. Ma il mio migliore amico non l'ho mai conosciuto. Abita vicino a me, lo
vedo tutti i giorni. Non conosco il suo nome anche se ci parlo tutti i giorni. Lui cerca di
parlarmi, mi chiama, urla perché io possa ascoltarlo ma la sua voce non mi raggiunge.
Ho molti amici...Consapevole di tutto ciò mi addormento sereno. Quando mi sveglio la
stanza è vuota, loro non ci sono più. Sono andati a divertirsi altrove lasciandomi qui. Il
mio migliore amico è affianco a me, mi parla di continuo ma non riesco a sentire quello
che dice.
Sempre maggiore. La distanza...
I l q u ad ro. I l gi gan te d el m are
Guardo il quadro. Sono dentro il quadro. La spiaggia è deserta, il cielo è coperto. Niente
brezza.
Il mare è una lastra inamovibile. All'orizzonte si erge il vulcano e la creatura che vi dimora
non è affatto serena e si contorce dentro la lava. Occhi impazziti dalle orbite rosse e
sporgenti mi assaltano.
Sto morendo... Mi accascio per terra e comincio a contorcermi anch'io. Soffro
atrocemente. Gli occhi si stanno chiudendo, la vista sta svanendo.
Solo ora la vedo. Il vulcano è una creatura vivente. Apre gli occhi. Non sono più quelli di
prima.
Mi osserva. Le dolci e tristi pupille caleidoscopiche, come due gocce infossate, sono
puntate su di me.
Il suo sguardo mi rasserena. Non sono mai stato così tranquillo prima d'ora. I suoi occhi
dolci mi accompagnano nel mio ultimo sogno, e prima di morire rido come quando ero
bambino.
Segnali di confine
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Aperture
L'immediata immanenza e la vecchia Dodò
di Giacomo Caruso, foto di Damiano Boldrini
Beneficio in sintagma multiplo
Chiasso. Rose espunte dal loro sudore. Madido di siero rosa.
Il riccio emette un dolore suono, vivido, caldo, venefico, quasi da impazzire.
Sola, la vecchia Dodò con la cuffietta sul lungomare.
Veranda stanca nel sole del meriggio, stantìa, sorbendo la zuppetta da vomito rancido
di cozze e patelle, simile a melma. Si sorregge al bastone, si muove tra i tavoli, geme.
Ovvio. Le strategie di Putin e sommergibili americani nel Baltico, turisti francesi borghesi ordinano le vin
acetoso allungato con acqua tiepida.
Leggo notizie di terrore da lupi prataioli nell’entroterra genovese strangolato dal cemento, bambini non escono
più la sera, evasioni notturne, gli uomini saranno sempre vittime delle loro sciocche credenze, l’ignoranza in
pasto ai lupi di Masone che sono molto più liberi e belli.
Calore. Siamo troppo chiusi nelle nostre macchine enormi.
Nelle nostre tane temiamo la folla, l’umanità ha dato vita alla civiltà della contaminazione.
I cani hanno più coraggio, donne che sono giumente indifese, che hanno paura dei poliziotti, i gatti hanno
paura di noi. Gli uomini sono bastardi fessi.
L’innocenza del raro volteggio del falco
nel ventre della valletta profonda.
Il beneficio della realtà ci è dato
e lo stiamo seppellendo.
Ai tavoli, viene la gente a mangiare
con la testa altrove, e le trenette o i calamari finiscono in un attimo:
si paga, e si va.
In catene.
Nella storia profonda siamo qui, in ceppi
agganciati all’amo.
Non so se sono folle o infelice.
Probabilmente idiota.
Come un vino, tutto finisce, effimero godimento
ci lascia un gran rimpianto. Tanto vale trangugiarlo.
Destino tragico di un pesce, dilaniato: spine, costato, ventre aperto, occhio fracassato, cervello testa e coda
mozzata.
Come un pesce che si dibatte.
È opprimente la nostra voracità naufragio del ben pensiero della virtù.
Resta solo il sostrato che
tu, indescrivibilmente,
divori.
32
Segnali di confine
poesia, prosa, prosa poetica
Comprendere il proprio volto originario
Ci vediamo sulla collina.
Quando in primavera il sole
si dirada, accarezza la pelle, il seno
il volto è scurito e felice,
acquista la consapevolezza di
nulla cogliere della vita e respirare,
la smorfia che sempre
trascende.
Essere malaticcio, ecco. Corpi accatastati. Questo grande miracolo.
Abbandono il tuo soffice risveglio.
Acqua dolce e pura come chiome nell’aria che sgorga
dalla manica, dalla coscia, dalla crepa
che è invano tutta contenuta in te; e non mi basti,
e scivoli via come gocce di rugiada sulla roccia.
Sulla brocca il nettare zampilla.
Ed è quel nettare che tutti noi dobbiamo sorbire,
perché la risorsa contenuta nel suo frutto,
il tuo Amato che tutto trapassa e diffonde
gioia per le mie palpebre, su per le ripide coste del
monte.
I Fianchi delle rive sono scoscese come
ossa che scricchiolano insaporendosi e
portano tutto questo immenso dolore sulle loro
natiche, sulle ali delle farfalle dee del Fallo bestia d’amore
Guizzante, su per le fiabe del mostro di primavera, erba d’autunno, brezza fresca,
scherzo infantile e innocente come un piccolo sorso di sesso.
Non va frainteso come un fratello.
Questo è il tuo fardello uomo.
Per sempre si rivelerà
un minuscolo granello di
composizione,
sotto le rapaci
velleità.
Limbo
Non sta succedendo niente
Le scale delle successioni
Sono interrotte
Che senso ha il tempo
Fragoroso
Se tempo non è altro che
Effimera
Luce
Vagante
In seno al tempo
Precoce
Io fuggo
Segnali di confine
33
Aperture
Gomitolo di nenia retrocesso nelle elucubrazioni sistemiche
di Glauco Piccione, foto di Damiano Boldrini
LO SCALO ARRUGGINITO GUIDERA' ALGHE NEL PORTICCIOLO SNEBBIATO
Mondo silurato, saluti. Tonfi sordi a generare l'estro,
pertosse saturata a rimpiattino. Lavora d'inquietudine
imprecata dal silenzio; quante persone hanno avuto bisogno
di scintille senza sconti... Stati d'animo costruiscono ponti
alla rovescia, danno default a un'esistenza anomala, spiazzata.
Ti rispetteranno per paura del disturbo, accondiscendendo il volo
contromano; nella concupiscenza sapessi cosa dicono, sosia di impiastri
rotolanti, navi in trincea sulla linea meridiana...
Dimentica le ali essicate nelle scapole, tra bastoni e sassi; placida
disintegrazione causale lascia in pace il padre con il piccolo,
l'onda è torbida; lo scalo arrugginito guiderà ammassi
d'alghe nel porticciolo snebbiato...
PERDUTA NEL CUNICOLO CRESPO
Ah, sete mistica d'arcobaleno monocromo, fame
inestinguibile di noce germogliata, forbice arrugginita
nel cervello emotivo di Giacomo. . . Scendere a patti con un formicolio
gestazionale, regolato nell'anfiteatro cognitivo...
Il pulp è spiritosamente suola felice, ritaglio
di giornale a caratteri cubitali, condominio di lenti
graduate, elemento tipico tubulare. Perlustro
i cunicoli nel sottosuolo lunare, mentre eiaculo
con prudenza la sottomissione dell'ignavia,
pornografia insolentita dal denaro.
A sintetizzare agnelli microscopici non rimango
integro, ad udire vibrazioni la vela s’alza, abbaia
guai sfrontata per l'intruso, spira abbondanza
d'antidoto, perduta nel cunicolo crespo che ho scavato
con frastuono e sciabordio di metalli fusi insieme...
34
Segnali di confine
poesia, prosa, prosa poetica
CANNIBALE DI BUONE SPERANZE DAL TROTTO AL GALOPPO
Sapessi pantaloncini corti, sciarpe, cappotti nelle rughe
plasmate dal faro temporale; please poco fiato
spira sul chiavistello, l’illuminazione è fuoco fatuo,
regale miseria: un’intrallazzo spedito nell’incongruo;
cancello elettrico dal quale incontro l’assioma; pipistrelli
bevono calce sparsa come cocci scesi dai muri diroccati.
Davvero elevando distanza dalla psiche, assaporare
di lustro il meridiano di Greenwich con l’udito; carne
abbrustolita la quale odora l’aria, rastrellare di netto
la quiete che addolora. Sapessi apprezzare il melograno
in chicchi, l’ortica da volere yuppie, eleganza da stendere
a rafforzativo, plico di morsi; ma tutti rendono il periscopio vano.
La finestra è goccia, ladri lacerano membrane
farsesche d’umorismo a contendere l’atomo, una voltura
sprona il triplo a vangare spie in insubordinazione.
Cannibale mosso da buone speranze, dal trotto al galoppo
non perdere tempo, antropofago ghiotto
di molle sparpaglio, dai torchi allo spregio
non ripetere altro.
Segnali di confine
35
Errori di considerazione sul mondo
di Simone Dapelo, foto di Damiano Boldrini
Rivedi
Rivedi
Il confine
oltre,
e tu
Forza
La strada
semplicemente
le tue posizioni
è stato
di un passo,
sei rimasto
allora riprendi
non è
ancora
Il nulla mi parla dentro
Il nulla mi parla dentro
Ma quindi io?!(con tono ansioso).
Ci hanno insegnato
a chiamare un odore più forte
“puzza”.
A contrassegnare ogni paura con la
“Morte”.
A guardare i vicini come
“Estranei”.
Il nulla mi parla dentro;
non sono io a dirlo.
Chi sono io per dirlo?
36
Segnali di confine
amico
spostato
un momento
indietro.
il cammino
lunga
n’existe pas.
Errori di considerazione sul cosmo
Ci fu
tempesta.
Ricordi?
Tutto andò perso.
Io tu egli noi voi essi.
Ci fu
quiete.
Ricordi?
Tutto tornò.
Io tu egli noi voi essi.
Ci fu
pace.
Del tutto
rimase il nulla.
Nessuno,
per fortuna
o purtroppo,
può ricordare.
Segnali di confine
37
Aperture
Labirinto della riproduzione
di Lorenzo Zappia, foto di Damiano Boldrini
ARGENTO
Le insondabili profondità marmoree calibro, riposo
fra i comignoli che accolgono le tue cosce
la sera d'estate.
Da quando sono morto non esiste la nostalgia
ma nessuna crepa fra le creste dell'incoscienza
rassomiglia al sollievo
di compiangersi da soli.
Come fuochi d'artificio musicalmente geometrici
volano piccioni viaggiatori nella siccità
delle tue narici screpolate,
e sono bellezze inutili quei fiori azzurri
che si riflettono sugli ulivi.
Fra gli spigoli dei tempi e delle correnti è l'indifferenza
a fare di me una nervatura molle, un frammento slabbrato
nel labirinto della riproduzione.
Celebrare la tua imperfezione può solo un canguro succulento
all'alba di cilindri giganteschi,
futuri mozziconi.
Intanto, sotto la tettoia, un uomo pappagallo
sfoglia carciofi con le zampe rugose,
incurante dell'alluvione che affoga
una calla.
38
Segnali di confine
poesia, prosa, prosa poetica
IL MOTORE E LA FARFALLA
Tumori spioventi ai tetti del divenire
liberano colature in ogni metropoli
scarlatta.
Solo fangose mani restaurano
il silenzio
e accarezzano una capra.
CINGHIALE
Cinghiale, di questo paese i tuoi sentieri sono le nervature.
Ci siamo solo io e te divoratori di carburante.
E il mantra "voglio morire" disegna la base su cui cantare.
Segnali di confine
39
Movimenti
L'isola della tartaruga
(di Gary Snyder, Stati Uniti d'America, 1975)
di Glauco Piccione
1975. Il poeta ambientalista e saggista Gary Snyder ottiene il premio Pulitzer per la poesia grazie alla
raccolta poetica “L'isola della tartaruga”, evocativo nome con cui i nativi americani identificavano il
continente americano. Attraverso la sua visione anticonformista, ecologista e pacifista, Snyder auspica un
mondo in cui l'uomo possa configurarsi come nativo dei propri luoghi, non alla stregua di un semplice
dominatore e distruttore del mondo.
Una perla rara e preziosa. Un opale composto dal 60% di acqua si distacca dal sanscrito antico. Una pietra
nobile, con notevoli effetti di opalescenza, dalle infinite sfumature nello spettro rigido dei colori. “L'isola
della tartaruga” è un ritorno alle origini, ai valori antichi e primitivi della solitudine, dell'iniziazione, del
timore, del rispetto, del terrore della natura. Una coincidenza tra una pratica derivante dal pensiero e un
rispettoso nome, tramite cui i nativi percepivano il continente americano. Una tela di valori che trascende i
popoli e le epoche. Un archetipo universale, il collasso delle imposizioni stucchevoli e superficiali, come
“Stati Uniti d'America”; denominazioni traditrici del più limpido e schietto aspetto dell'intero scibile,
osservabile con gli occhi e con i sensi.
Il messaggio del poeta e pensatore Gary Snyder è sovversivo, ma proprio per questo motivo tale da essere
obbligatoriamente appreso. Il mondo e la civiltà moriranno a causa della specie umana, se non si percorrerà
il cammino del cambiamento. Occorre trasformare questa civiltà della persuasione e del consumo in una
selvaticità oggettivizzante. Fondare una nuova cultura sorretta dai pilastri della scienza, dell'ecologia e
dello spirito. La nostra vera essenza è stata consumata dall'ansia e dal delirio di onnipotenza, di dominio e
di possesso. La nostra creatività, fulcro di tutta l'esistenza, è stata reificata in merce visibile.
Snyder è un pioniere dell'anima umana, in cerca di un'alternativa onesta e dignitosa ad una società marcia
e corrotta, fagocitatrice di parallelismi e crepuscoli. Snyder è realizzazione, in linea con il cosmo e
l'intelletto.
La testimonianza di cui si parla è composta da tre sezioni di poesia, “Manzanita”, “La canzone della gazza”,
“Per i bambini” e da una parte di saggi e riflessioni, “Parlar chiaro”.
Il potere ancestrale della parola si coglie, molto chiaramente, nelle prove più preziose dal punto di vista
poetico, come “Anasazi”, evocazione degli antenati degli indiani Pueblo e “Il bagno”, fotografia, senza
intercessione della luce, della famiglia e del corpo umano. “Prima linea” è un inno alla lotta e alla difesa
dell'ambiente e delle minoranze, ”Fatti” è un realistico resoconto sulla politica e sull'economia degli anni di
Snyder.
“La grana delle cose” , resoconto di una gita avvenuta nei pressi di Alcatraz, nei dintorni di Angel Island,
mentre “Sul perché i camionisti che trasportano legname si alzano prima degli studenti zen” denuncia
l'insensatezza della vita contemporanea. “Uno non dovrebbe discutere con un abile cacciatore delle cose
proibite dal Buddha” è la riduzione della vita a segreto prima del segreto, a carta stagnola, “La canzone del
domani” è il canto di un mondo possibile.
La sezione dedicata ai saggi, anche se non sempre risulta chiara - anzi a tratti è un po' ambigua - ha il
merito di rendere ancora più esplicite le idee espresse attraverso la poesia; vale a dire l'augurio di un
mondo migliore, in cui l'essere umano possa vivere in armonia con se stesso, con i propri simili e con
animali, piante, minerali, favole, miti e cactus. Snyder consiglia di sostenere l'ordito esistenziale e la
comunità terrestre degli esseri dimezzando la popolazione; parafrasando Thoreau, invita l'agricoltore a
gioire anche nel caso in cui il raccolto non riempia il suo capanno.
Ma qual è, per Snyder, l'unica vera rivoluzione possibile? Prima di tutto cambiare se stessi, per modificare
di conseguenza il mondo. Cancellare il dominio del potere delle lobby, delle multinazionali, prospettive
univoche e malignamente dispettose.
Seppellire per sempre il proprio cuore pulsante, estrapolare il proprio cervello dalle connessioni sinaptiche,
per poi nascondere gli organi sotto la terra umida e feconda.
Tornare a essere porzione del cosmo.
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Segnali di confine
recensioni/letteratura
Il cielo, la terra e quel che sta nel mezzo
(di Marlo Morgan, Stati Uniti d'America, 1998)
di Fabio Mazzari
La drammatica storia di due giovani aborigeni australiani separati dalla nascita, sospesa tra la scoperta di
se stessi e la ricerca delle proprie radici.
Il popolo degli Aborigeni australiani ha vissuto per millenni, forse più di tutti gli altri, a strettissimo contatto
con la natura, amandola e venerandola.
A partire dalla fine del XVII secolo, con l’inizio della colonizzazione europea, la popolazione aborigena ha
subito un declino demografico drammatico sia per la perdita dei propri territori sia per colpa delle malattie
importate dall’Europa. Attualmente meno del due per cento della popolazione australiana (cioè circa 4-500
mila individui su 22 milioni di residenti) sono nativi o hanno origini native. Nella società australiana attuale,
inoltre, gli Aborigeni sono la fascia più debole e svantaggiata del paese e, fino agli anni Sessanta, furono
segregati dal Governo Australiano. È emerso addirittura che i bambini con la pelle più chiara venivano
portati via dalle loro famiglie originarie e dati in adozione agli australiani.
Due gemelli sottratti alla loro famiglia di origine sono i protagonisti del romanzo “Il cielo, la terra e quel che
sta nel mezzo”, scritto nel 1 998 e ancora oggi campione di incassi nelle librerie, scritto da Marlo Morgan.
L’autrice, una rappresentante di prodotti fito-farmaceutici (in particolare thè e tisane), si recò nel 1 990 per
quattro mesi in Australia. Nell’isola più estesa del mondo scoprì le enormi proprietà di una pianta
conosciuta dagli aborigeni, la ‘Melaleuca Alterifoglia’ chiamata anche “albero del thè” e soprattutto del suo
olio.
L’esperienza australiana segnò fortemente Marlo Morgan, che pubblicò il suo primo libro, inizialmente
stampato in proprio, nel 1 992. Il volume, intitolato “E venne chiamata due cuori”, diventò in pochissimo
tempo un best-seller mondiale. Sebbene la descrizione storica-culturale delle popolazioni aborigene fosse
in alcuni punti errata e approssimativa, il chiaro messaggio del libro rimaneva valido. Sempre più spinta
dall’interesse verso la civiltà aborigena, diversa e ancestrale rispetto a quella del mondo occidentale,
pubblicò un secondo romanzo “Il cielo, la terra e quel che sta nel mezzo”, racconto inventato ma con precisi
riscontri storici.
Protagonisti di questo romanzo ambientato negli anni Trenta sono due gemelli separati alla nascita. Il
primo, adottato e ribattezzato come Jeff, vive un’infanzia triste, trovando rifugio solo nel disegno e nella
pittura per le quali dimostrava doti fuori dal comune; Jeff attraversa un’adolescenza turbolenta e
travagliata, costellata da piccoli furti che lo porteranno anche in carcere. La vita dell’altra protagonista,
Beatrice, è ancora più complicata: fino all’età di sedici anni cresce in un orfanotrofio dalle regole molto
rigide e compie lavori duri, che la segneranno per il resto della sua esistenza. L'incontro inaspettato con
una donna del deserto cambierà le vite dei due ragazzi, introducendoli alle dottrine spiritualistiche ed al
rispetto della natura e delle sue regole millenarie.
Segnali di confine
41
Movimenti
Presque rien No.1 – Le lever du jour au bord de la mer
(di Luc Ferrari, 1 967–70)
di Matteo Traverso
Luc Ferrari, uno dei massimi esponenti della musique concrète, realizza nel 1970 «Presque rien No.1 – le lever
du jour au bord de la mer». Il brano è frutto del missaggio di materiali sonori registrati all’alba in un villaggio di
pescatori della Dalmazia. Musique concrète è una corrente musicale basata sulla registrazione di suoni e
rumori ambientali su nastro magnetico. Questo materiale viene poi modificato e rielaborato dal compositore
attraverso processi di montaggio e missaggio analoghi a quelli cinematografici (taglio e riassemblaggio del
nastro, scorrimento a velocità variabile, ripetizione e inversione di frammenti).
Attraverso questo brano, Ferrari mette in discussione il paradigma stesso di musique concrète. Pierre Schaeffer
in «Traité des objets musicaux» conia il termine ‘o ggetto sonoro’, concetto di importanza fondamentale per la
realizzazione e l’analisi di elettroacustica. Questa denominazione sta a indicare la percezione di qualunque
suono come “oggetto a sé stante”, analizzabile indipendentemente dalla sua causa, solo per le sue qualità
intrinseche; quindi quando noi ascoltiamo un brano di musique concrète dobbiamo dimenticarci della
“sorgente” sonora degli oggetti che compongono il brano e concentrarci solo sulle loro caratteristiche:
brillantezza, rumorosità, ampiezza…
Quest’operazione libera il suono dal significato simbolico che esso si porta dietro. L’oggetto sonoro viene
decontestualizzato dal suo luogo d’origine, dal suo spazio naturale, e viene trasportato in un altro spazio,
accostato ad altri oggetti sonori derivanti da altri contesti. Questo processo di alienazione dell’oggetto sonoro
dalla sua sorgente originale viene solitamente accentuato dai processi elettronici che alterano le caratteristiche
del contesto.
Ascoltando i primi venti secondi di «Presque rien No.1 » ci accorgiamo che mancano questi aspetti all’interno del
processo compositivo.
Gli oggetti sonori che costituiscono il brano appartengono tutti al medesimo ambiente sonoro (il paesaggio di
pescatori) e mantengono, senza aver subito alterazioni, la loro pregnanza simbolica che ci permette di
riconoscerne le sorgenti e di immaginare ed esplorare il paesaggio sonoro organizzato da Ferrari.
La registrazione dello scenario sonoro è stata effettuata posizionando i microfoni sul davanzale della finestra
dell’abitazione dove Ferrari soggiornava. Le registrazioni iniziano prima del sorgere del sole e finiscono al suo
tramonto. Durante il brano, questo aspetto temporale viene sottolineato dal frinire delle cicale, rumore che
diventa sempre più intenso man mano che il sole illumina il villaggio, fino a sovrastare qualsiasi altro oggetto
sonoro (1 9’ ca.).
L’azione del compositore in questo brano è quasi impercettibile. Egli rinuncia a buona parte del controllo che la
tecnologia offre per lasciare più spazio alla “concretezza” e alla complessità naturale dell’ambiente; quando noi
siamo immersi in uno spazio qualsiasi siamo circondati da un mondo sonoro che si mostra a noi su vari piani
prospettici. Immaginiamo di essere all’interno della stanza di una casa: su un primo piano d’ascolto potremmo
avere un interlocutore, su un secondo piano potrebbero esserci uccelli che cinguettano sul davanzale della
finestra, su un piano più lontano potrebbe esserci il ticchettio dell’orologio e su un altro ancora più lontano il
rumore prodotto dalla televisione accesa al piano di sotto. Tutti questi suoni noi non li ascoltiamo in maniera
conscia, tuttavia li percepiamo e possiamo potenzialmente ascoltarli. In «Presque rien No.1 » questa “naturale
molteplicità” di stimoli sonori, che ci suggerisce l’immagine di uno spazio ampio e multiforme, viene trattenuta e
mantenuta intatta nell’organizzazione dei materiali. Come già detto, l’intervento del compositore sul materiale è
minimo, tuttavia egli lo sfrutta completamente, lo utilizza nella sua interezza lasciandolo immacolato. Questo
materiale non solo si presenta pressoché identico in fase di organizzazione, ma è più ricco all’interno di un
succedersi di eventi dettato dalla logica musicale e dal gusto del compositore. In musica, anche e soprattutto
nei brani nei quali sembra che il compositore (es. 4’33’’ di John Cage) abbia lasciato al caso o non abbia dato
importanza ai parametri musicali (come durate, altezze etc.), il livello formale della composizione risulta sempre
meticolosamente organizzato o si carica del peso della poetica dell’intera opera. In questo brano dunque c’è un
controllo forte dell’uomo sulla natura (rappresentata simbolicamente dal suono che ne scaturisce) ed è
nell’organizzazione e attraverso la narrazione sonora che il compositore racconta una realtà naturale filtrata da
una soggettività pacata, umile, asservita alla funzione (ideale) di messaggero.
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Segnali di confine
recensioni/musica
La création du monde
(di Bernard Parmegiani, Francia, 1984)
di Martino Marini
Il geniale compositore francese Bernard Parmegiani costruisce un epico viaggio elettronico di 72 minuti, in cui si
tenta di descrivere la formazione dell'universo tramite un affascinante linguaggio sonoro.
La creazione di un linguaggio sonoro, lo sviluppo di nuove prassi e abilità tecniche atte alla produzione e alla
manipolazione del suono. La liuteria che diventa composizione.
Il misuso di apparecchiature nate per misurare, testare e perfezionare comunicazioni militari: per cercare una
narrazione a 76 centimetri di nastro al secondo.
La creazione di un mondo che si può solo ascoltare ed immaginare.
Una tenda copriva Pitagora durante le sue lezioni, in modo che il suono della sua voce fosse l’unico a significare.
Nel trattato degli oggetti musicali di Schaeffer, il telo viene sostituito dagli altoparlanti. La catena che seguiva
prima l’esecutore come perno tra le articolazioni musicali messe su carta dal compositore e l’eccitamento di
corde, pelli o ance costruite da artigiani viene disintegrata. L’ascoltatore si trova al centro di una sala, vuota di
strumenti, dove la musica non proviene da una sorgente identificabile, ma da freddi magneti che pilotano coni
di cartone.
Bernard Parmegiani studia da mimo: lo ritiene un elemento fondamentale per comprendere la sua musica.
"La création du monde" è uno dei picchi massimi dell’espressione acusmatica francese. È divisa in tre
movimenti: la luce nera delle prime forme/forze, la metamorfosi del vuoto in luce e la manifestazione dei segni
di questa vita.
Durante il mio primo viaggio negli Stati Uniti sono andato a bussare ad una porta, più esattamente ad una
staccionata. Fuori c’erano un rimorchio con sopra un piccolo motoscafo e dei giochi per bambini, senza sabbia.
Dopo una cena messicana ed una partita a baseball della squadra Junior di una scuola non precisata di
Sacramento (California) stavo aspettando mia zia per avere un primo assaggio di quelle che parevano essere le
mie radici d'oltreoceano. Dopo diversi giorni e qualche centinaia di miglia mi trovavo in uno dei negozi di dischi
piu’ grande del mondo. Sicuramente il piu’ grande che io avessi (ed abbia) mai visto. Si chiama Amoeba Records
e come gli esseri monocellulari descritti sonicamente da Parmegiani è un mondo confusionale e vasto di pulsioni
viscerali, in cui un grande cestino di plastica può essere riempito con ogni tipo di media bio/tecnologico che
l’umanità (divinità?) abbia concepito. Iniziava il primo decennio del nuovo millennio ed 8.50$ (+taxes) mi hanno
permesso di appropriarmi della foto di Centaurus A dell’osservatorio Sud Europeo, oltre ad una custodia di
plastica rigata ed un disco della durata di 72.58 minuti.
Segnali di confine
43
Movimenti
Grizzly Man
(di Werner Herzog, Stati Uniti d'America, 2005)
di Fabio Giovinazzo
Alaska. L'ambientalista ed esploratore Timothy Treadwell trascorre molti anni della sua
vita a stretto contatto con gli orsi grizzly, proteggendoli e dando vita ad una fitta
documentazione. La morte lo coglierà proprio attraverso questo legame che pareva
essere diventato fraterno.
Solo caos, conflitto e morte. Una delle opere più originali del regista tedesco che nasce e
cresce attraverso la perdita di un sogno, ovvero quello di portare la natura selvaggia
sotto il controllo dell'essere umano. Un dramma realizzato attraverso immagini che - se
comprese in profondità - generano quindi un raro siluramento del nostro rapporto con
l'aspetto più violento ed affascinante del pianeta Terra.
Follow me
Follow me down
You got to follow me down
Follow me down
Tell all the people that you see
We'll be free
Follow me down
Il pazzo eroismo di Timothy Treadwell accende la filosofia naturale di Herzog poichè la
bocca dell'orso assassino non ha ceduto alla pietà. E, di conseguenza, sia con il pubblico
un pessimismo tanto spontaneo quanto impotente. In Alaska non c'è Paradiso mentre
l'Età dell'oro assegna un ruolo di interpretazione al campo visivo; il contatto è
ingannevole quindi ricco di sfumature da porre sotto analisi.
Deer woman in a silk dress
Girls with beads around their necks
Kiss the hunter of the green vest
Who has wrestled before
With lions in the night
Herzog apre gli occhi alla storia aggiungendo al materiale dell'esploratore alcune
interviste e donando la propria voce. Si partorisce, in tal modo, un'atmosfera che assegna
alle immagini l'inafferabilità del mito, dando energia contemporaneamente allo sfacelo e
all'angoscia. Prima di morire Treadwell parla di se stesso, della Natura, del mondo. E lo fa
insieme ai suoi amici orsi.
When all else fails
We can whip the horses' eyes
And make them sleep
And cry...
The Movie, cantò Jim Morrison.
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Segnali di confine
recensioni/cinema
Matango, il mostro
(di Ishiro Honda, Giappone, 1963)
di Fabio Giovinazzo
Considerato folle e rinchiuso nel buio di una stanza, il mutante Kenji Murai racconta la
sua storia: sopravvissuto ad un naufragio insieme ad altre persone giunge per miracolo
su una piccola isola sconosciuta; il cibo scarseggia e l'unica speranza sembra arrivare da
strani funghi misteriosi.
Lo scrittore William Hope Hodgson chiamò nella notte, la sua voce percorse il tempo e si
presentò al padre di Gojira.
Strani avvenimenti accadono al largo delle coste del Giappone:
alcune navi esplodono e affondano senza motivo.
Ma lasciate che questa sia un'altra storia.
Ricco di fascino e sottilmente evocativo, è uno dei migliori film di Honda. Of course,
ladies and gentelmen. Gli spunti di natura psicologica tagliano le gambe al buon pensiero
e, scavalcando gli scienziati tossici del 1 958, diventano gocce di pioggia acida che si
abbattono sul film generando una scenografia magica e morbosa. L'animo dei
protagonisti è feroce identikit alla Ted Bundy altresì attento come la studentessa con gli
occhiali vittima prescelta. Ma torniamo alla pioggia evocativa. Non esiste solo il diluvio di
Deucalione, il diluvio di Manu e quello che portò alla distruzione il "Quarto Sole" degli
aztechi, ma anche quello di Noè.
È venuta per me la fine di ogni uomo, perchè la terra, per causa loro, è piena di violenza;
ecco, io li distruggerò insieme con la terra.
Ragionate per assurdo e date credito ai vostri occhi, almeno per qualche momento. I
funghi rappresentano la mela del Signore, quindi la tentazione di buttarli nello stomaco
dovrebbe esser combattuta e vinta; tuttavia i nostri eroi, in una grottesca parodia del
Paradiso Terrestre, decidono proprio di rendere omaggio al primo uomo e alla prima
donna, di conseguenza ad esser vinta è l'originalità. Ma il film, come ho già fatto intuire, è
di spessore. Ottimo, pensando alla contaminazione. Sogno dalle tinte oscure reso celebre
dal fungo "divino", riflesso di certe sperimentazioni allucinogene che fecero furore.
Suggestione concettuale nella visuale unità: matrimonio che si perde nella
trasformazione, nel vizio che si può accettare. Kenji Murai apre il cuore alla speranza? La
risposta viene in prestito da Oscar Wilde:
Se la nostra vita insieme fosse stata come il mondo immaginava: soltanto di piacere,
dissolutezze e allegria, non sarei in grado di ricordarne un solo momento. È perchè è
stata piena di momenti e di giorni tragici, amari, sinistri nei loro avvertimenti, tediosa o
terribile nelle sue scenate monotone e nelle sue violenze sconvenienti, che io posso
vedere o sentire ogni singolo evento in dettaglio.
Segnali di confine
45
Tracciati
illustrazione
Vortice delle successioni
dipinto di Niccolò Pizzorno, testo di Glauco Piccione
“Nel vortice si mescolano desideri, tronchi vivificati dalla clorofilla, bestie
feroci ora sognanti, vecchie paure addomesticate. Nella lenta spirale della
suggestione riposano, esistono, nell'attesa di tramutarsi.
Capra, casa. Utensile, animale domestico. Serpente, vernice. Facile a dirsi.
La foresta è rimasta identica seppure spianata, ma la mente non registra,
allacciata come sempre alla rappresentazione sensoriale.”
46
Segnali di confine
Crediti
pag 2/3 - Senza Titolo
foto di Damiano Boldrini
pag 7 - L' eterna sfida tra l'uomo e la natura
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"Itsme"
CC0 1 .00 (pubblico dominio)
pag 15 - Zanne di bestia
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Andreas N. "domekopol"
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pag 17 - Zanne di bestia
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Segnali di confine
47
Gratuito