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Segnali di confine N1 - mar/apr 2016

2016, Segnali di confine N1 - mar/apr 2016

Segnali di confine - libero esperimento di ostinazione culturale. Rivista culturale bimestrale indipendente, fondata a Genova nel gennaio 2016. Tema N1: Il rapporto uomo-natura.

1 aprile 2016 anno I libero esperimento di ostinazione culturale Segnali di Confine #1 Sommario Amministrazione e Redazione Editoriale 4 L'eterna sfida tra l'uomo e la natura 6 Comunità ecologiche e vivere alternativo 8 Zanne di bestia 14 Libertà, natura e cultura 18 Soffio di frasi 20 Vestigia di un'armonia tramontata 24 Sogno rarefatto 30 L'immediata immanenza e la vecchia Dodò 32 Gomitolo di nenia retrocesso nelle elucubrazioni sistemiche 34 Damiano Boldrini Niccolò Pizzorno Errori di considerazione sul cosmo 36 Copertina Labirinto della riproduzione 38 L'isola della tartaruga 40 Il cielo, la terra e quel che sta nel mezzo 41 Presque rien No.1 42 La création du monde 43 Grizzly Man 44 Matango, il mostro 45 Vortice delle successioni 46 Via Andorra 9/8, 1 6031 Sori (Ge) telefono: 01 01 753020 cellulare: 349891 0365 e-mail: [email protected] web: segnalidiconfine.tumblr.com Editore Associazione culturale Segnali di confine Direttore responsabile Fabio Mazzari Direttore artistico Glauco Piccione Redazione Giacomo Caruso Simone Dapelo Fabio Giovinazzo Fabio Mazzari Glauco Piccione Simone Prati Fotografie Damiano Boldrini Giacomo Caruso Diletta Nicosia Simone Prati Disegni e Grafica Sebastiano Caruso Senza titolo, 201 5, incisione su metallo Stampa Press Up S.r.l. Via Catone 6, Roma Anno I, numero 1 Registrazione al Tribunale di Genova n.3359 registro stampa 2/201 6 del 23/02/201 6 Giacomo Caruso Fabio Mazzari Giacomo Caruso Glauco Piccione Simone Dapelo Diletta Nicosia Simone Prati Matteo Mezzano Giacomo Caruso Glauco Piccione Simone Dapelo Lorenzo Zappia Glauco Piccione Fabio Mazzari Matteo Traverso Martino Marini Fabio Giovinazzo Fabio Giovinazzo Niccolò Pizzorno 2 Segnali di confine Segnali di confine 3 Editoriale Qual è lo spirito che tiene unito un gruppo come quello dei Segnali di confine? È un affinità intellettuale e di vita. Questa nuova filosofia di vita arricchisce la visione di beatitudine e indipendenza creativa del gruppo. Questo modus vivendi è il sostrato spirituale e la linfa inesauribile dell’arte che feconda le nostre pagine; un'arte che vorremmo definire impegnata e di illuminata partecipazione alla vita di oggigiorno, almeno in queste latitudini liguri. È un’operazione indipendente e visionaria di ricreazione dello spazio in cui si inseriscono le nostre vite, perché il dovere dell’artista e del poeta è svelare ciò che è celato o che si ha paura di dire, in una società asfissiante regolata da determinati giochi (e gioghi) di potere, compromessi e consuetudini arbitrari e imposti. Scaliamo i monti impervi, solchiamo le strade meno battute, viaggiamo e parliamo in modo sincero con la gente di altri paraggi, senza preconcetti. Sono libero di arricchire la mia esplorazione metafisica e corporea. Voglio essere gentile. Desidero che l'animale sia mio amico, e che l'uomo sconosciuto diventi mio fratello, oppure che faccia un buon cammino. Il mondo deve essere un luogo di riposo e benessere, come il parco di Sarnath o Nara, dove uomini e cerbiatti convivono. L'uomo comune, l'uomo che soffre, la bestia schiacciata dalle macchine, tutti loro m'ispirano compassione e tenerezza. Provo una grande ammirazione verso il profeta, il portatore di valori antichi e immortali, il bardo, il cantastorie che viaggia narrando la buona favella nei villaggi dove lo straniero suscita incanto e curiosità. La strada e il sentiero sono quelli della liberazione dalla sofferenza e dall’ignoranza, e portano all’emancipazione e alla conoscenza dell’amore. In ogni uomo e animale c'è qualcosa da cui possiamo imparare. Una diversa visione del mondo. Voglio vivere con lo spazio e il tempo senza doverlo inghiottire voracemente. La strada per monti e selve è quel sentiero poco battuto, perché irto di pericoli, buio, faticoso; si tratta di una via di puro appassionato impegno, dedizione, amore verso la ricerca della Verità e della Bellezza, che potrà forse affrancare l’uomo dal suo destino miserevole di obbedienza tacita e di autodistruzione. La nostra rivista è costituita da un gruppo sempre in crescita e alla ricerca di visioni indipendenti (e generose), capaci di concepire in maniera sincera il mondo e l’arte, di dare origine a un'esistenza in armonia con l’ambiente, per abbracciare l’umanità nella sua essenza e non nella sua apparenza. Mar Baltico, inizio di primavera. Giacomo Caruso 4 Segnali di confine Segnali di Confine numero 1 Segnali di confine 5 Distanze L’ eterna sfida tra l’uomo e la natura di Fabio Mazzari È la “guerra” più antica dell’umanità, l’eterna sfida che non ha mai visto un vincitore: tra uomo e natura c’è un rapporto eterno di amore-odio che rappresenta l’essenza stessa dell’umanità. Da diversi secoli l’uomo cerca di dare spiegazioni ai fenomeni (“naturali”) catastrofici che, in ogni parte del globo, condizionano la vita delle persone. Dallo studio delle incisioni rupestri è emerso che gli uomini preistorici si chiedevano i motivi per cui si verificavano i fenomeni atmosferici (il temporale, la neve, la grandine, etc.). Dopo il periodo preistorico il rapporto tra l’uomo e la natura si è sempre alternato, allo stesso tempo, tra l’amore e l’odio e tra il rispetto e il conflitto. Dal racconto delle “piaghe d’Egitto” nell’Antico Testamento, alla cronaca di fatti realmente accaduti, nella narrazione di Plinio il Vecchio sull’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei, Ercolano e Stabia nel 79 d.C., sono numerosi i resoconti sull’ingiustizia della natura nei confronti dell’uomo. Proprio alla fine dell’Impero Romano (nel 476 d. C.) avviene uno degli episodi più tragici e oscuri della storia tra l’uomo e la natura. L’evento, poco conosciuto a livello storico, prese il nome di “Rotta della Cucca”; essa fu una disastrosa alluvione, avvenuta nell’ottobre del 589 d. C., che provocò la piena dell’Adige e di diversi affluenti. La narrazione del monaco Paolo di Varnefrido parla di “campagne e borghi ridotti in rovina, enormi perdite di vite umane e animali, distruzione di strade e di parti di diverse città”. Questa catastrofe, che colpì la pianura oggi compresa tra il Veneto e l’Emilia Romagna fu forse il primo disastro naturale provocato dall’uomo, causato dalla scarsa manutenzione dei fiumi e dall’abbandono delle terre coltivate dopo la caduta dell’Impero Romano. Cause che si leggono ancora oggi, quando avvengono frane e alluvioni, ma che erano ben note già agli uomini di quattordici secoli or sono. Già quindi dai tempi antichi il rapporto uomo-natura era contrastante; la natura era considerata un’entità incomprensibile e inattaccabile, capace di togliere la vita in modo subdolo, senza dare spiegazioni o avvisaglie. Solo durante il Rinascimento il rapporto tra l’uomo e la natura, almeno in parte, si modificò. Il concetto di natura nell’epoca rinascimentale differisce totalmente da quello dell’epoca medievale; la natura, secondo gli artisti rinascimentali, non viene retta da 6 Segnali di confine Dio ma si basa esclusivamente su cause naturali. Per conoscere la natura è necessario liberarsi dai principi di autorità, laici e religiosi, con l'intimo desiderio di trasformare il mondo secondo la propria volontà. Nell’epoca rinascimentale la natura viene vissuta con un senso di tristezza e di rimpianto per quello che fu la gloria dell’epoca classica. Durante queste ere non vi furono particolari testimonianze “reali” di dissidio contro la natura. Forse la prima voce a levarsi contro fu quella di Voltaire, quando nel 1 755 scrisse il “Poema sul disastro di Lisbona”, dedicato al terremoto che nell’autunno di quell’anno si era abbattuto sulla capitale portoghese. Voltaire utilizzò le vicende del tragico cataclisma per denunciare lo stato in cui l’Ancien Règime teneva la società dell’epoca. Visto che la maggioranza dei morti si era concentrata nei quartieri più poveri della capitale, il suo pamphlet diventò un atto di accusa anche contro la natura, che provocava vittime innocenti, risparmiando invece i colpevoli. Il miglior poema che tratta del rapporto tra l’uomo e la natura è quello di Giacomo Leopardi. Il grande poeta marchigiano nelle sue “Operette morali” diede alle stampe nel 1 824 il “Dialogo della natura e di un islandese”. L’Islanda non fu scelta a caso da Leopardi, ma rappresentava il paese più remoto e, per via del suo clima, uno dei posti più ostili dove l’uomo poteva vivere (in quegli anni, con i mezzi dell’epoca, le distanze erano enormemente maggiori di adesso, ndr). In questo brano Leopardi immagina un abitante dell’Islanda che, dopo aver trascorso tutta la sua vita fuggendo dalla natura, si imbatte nella sua gigantesca personificazione, che gli spiega i suoi scopi di produzione e distruzione. Leopardi quindi compie una dura requisitoria contro la natura, che diventa nemica del genere umano. Come non parlare degli indiani d'America e del loro rapporto reverenziale e rispettoso verso la natura, la “Madre Terra”, come essi l’hanno sempre definita. Nelle tribù native, pur molto diverse tra di loro e sparse su un territorio enorme tra l’Alaska e la Terra del Fuoco, la natura è il palcoscenico all’interno del quale si incontravano il regno degli spiriti ed il mondo degli uomini. I Nativi Americani li potremmo quasi definire i primi “ecologisti” della storia; l’equilibrio naturale e la conservazione delle risorse naturali erano per loro la garanzia affinché la specie umana potesse continuare ad esistere. La Terra, nel mondo saggistica dell’America pre-colombiana, è la Madre, dalla quale tutti gli esseri viventi traggono nutrimento. La Madre Terra dona il suo corpo per nutrire i propri figli, e la terra li unisce tutti in un sentimento di fratellanza e uguaglianza. Ugualmente variegato era il rapporto tra uomo e natura degli Aborigeni australiani. Nel mondo degli Aborigeni tutto ciò che appartiene alla terra (le rocce, i fiumi, il mare, etc.) possiede al proprio interno le storie della creazione e una grande sacralità: l’ambiente è l’essenza stessa del credo del popolo aborigeno. Non a caso il “monumento” più sacro degli aborigeni non è una costruzione umana ma una montagna, ovvero Ayers Rock (Uluru in lingua tribale), che i nativi, senza successo, hanno sempre cercato di tutelare e proteggere dal turismo selvaggio. In Cina, sotto la gloriosa dinastia dei Tang (tra il VII ed il X secolo d.C.) si assistette alla vera e propria nascita della poesia e dell’arte cinese. Esse trattavano frequentemente del rapporto tra l’uomo e la natura, vissuto nel pieno rispetto della dottrina taoista dello Ying e dello Yang. Le rappresentazioni su pietra di giada nell’antica Cina, durate per circa un millennio, raffiguravano nella quasi totalità dei casi animali come testuggini, pesci e uccelli. Anche i tappeti cinesi, a differenza di quelli prodotti nel mondo arabo, conservano nel loro ordito motivi floreali, piante, uccelli, insetti e svariati animali, in particolare i panda. Sempre in estremo oriente, anche la Corea e il Giappone hanno avuto con la natura uno stretto legame. Come non citare, infatti, la tradizione dei giardini giapponesi, che nell’Impero del Sol Levante sono visti come un vero e proprio simbolo nazionale. Le prime testimonianze di giardini, con i pesci che allietavano l’Imperatore, risalgono addirittura al I secolo d.C., ma è dal VII secolo, proprio in contempora- nea con l’inizio dell’età d’oro in Cina, che essi si diffusero nel paese. I giardini giapponesi nell’antichità seguivano il Buddismo della Terra Pura, una variante religiosa locale (ancora oggi praticata da un discreto numero di persone) che era collegata alla natura, al suo rispetto e alla meditazione solitaria, con cui l’individuo poteva raggiungere il Nirvana. I giardini di quest'epoca sono stati chiamati “giardini del Paradiso”, perché erano un luogo di contemplazione e crescita personale, non una semplice ostentazione di bellezza. Tutto ciò che abbiamo appena letto riguarda il rapporto tra l’uomo e la natura nel passato, ma oggi come ci approcciamo con essa? L’enorme sviluppo mondiale, iniziato dalla metà del XIX secolo, ha portato ad uno stravolgimento dell’ecosistema: la nascita delle industrie, dell’inquinamento e la diffusione delle automobili hanno portato a un’innegabile benessere, ma hanno causato sconvolgimenti ambientali, dei quali paghiamo ancora oggi le conseguenze. È opinione ormai consolidata, infatti, che l’aumento delle emissioni di agenti inquinanti unito all’aumento abnorme della popolazione siano tra i principali responsabili di alcuni cambiamenti climatici, come piogge acide, le inondazioni e gli improvvisi sbalzi climatici. Per almeno tre-quattro generazioni quindi abbiamo dimenticato gli insegnamenti delle generazioni antiche e dei popoli considerati meno evoluti. Solo oggi, dopo aver avuto a che fare direttamente con terremoti, alluvioni e disastri naturali, stiamo cercando di recuperare una coscienza ambientale e di rimediare agli enormi errori del recentissimo passato. Auspico quindi che le generazioni dopo di noi non si ritroveranno davanti a un film di fantascienza distopico, ma a un mondo (e a un ambiente) sviluppato e in armonia con la vita dell'uomo. Segnali di confine 7 Distanze Comunità ecologiche e vivere alternativo testo e foto di Giacomo Caruso Sono sempre stato attratto da una filosofia esistenziale alternativa che si discostasse da quella comunemente accettata. Le comunità antiche e moderne sono state spesso fucine di uomini saggi e di idee, di interessanti messaggi spirituali e umanistici. Le religioni moderne “statali” o politicizzate, talvolta asservite al potere, sono nate quasi sempre come piccole comunità spirituali ai margini della società, più o meno chiuse al mondo esterno, in cui si conduceva uno scavo nelle profondità oscure dell'Io. Nient'altro che la coscienza, la consapevolezza, l'indomita intelligenza pura dell'uomo curioso, indagatore e viaggiatore potevano arrivare a questo processo mentale. Io sono convinto che ogni uomo, dotato di una coscienza critica, possa essere creativo e consapevole. La metafisica non è irraggiungibile. Vi era la comunità pitagorica, in occidente una delle prime, che aveva sede nelle città greche dell'Italia meridionale, e in cui vigevano alcune regole semplici: una dieta vegetariana, purificazioni quotidiane, il tempo per la meditazione e lo studio. Vi erano le comunità gnostiche dei primi seguaci del Cristianesimo, in Egitto, in Siria, in Libano, di cui si può cogliere qualcosa nei moderni monasteri del Monte Athos. Vestiti bianchi, bagni purificatori in vasche di acqua fredda, pranzi in comune, inni sacri, preghiera partecipata con canti, un lungo spazio dedicato alla meditazione come ricerca di dio in sé. Secondo gli gnostici la salvezza poteva essere raggiunta attraverso un percorso interiore di ricerca della Verità, frutto del vissuto individuale, che conduceva alla suprema conoscenza illuminata (gnosi). Non siamo tanto distanti dal Nirvana Buddhista o Induista; in entrambi i casi si può raggiungerlo grazie a una vita di dedizione e 8 Segnali di confine attraverso le buone azioni. Grazie agli scavi archeologici in Medio Oriente nel corso degli ultimi 1 50 anni sono emerse grandi biblioteche di antichi monasteri e comunità, come quella della città di Qumran, appartenuta a una comunità di Esseni degli albori (forse del II secolo a.C.). Questa antica comunità ebraica, di tipo cenobitico e eremitico, viveva nel deserto e i suoi eremiti, separati in grotte o spazi isolati, svolgevano attività semplici e si dedicavano anche a una rigida osservanza della Torah e dei suoi precetti. Praticavano l'astinenza dai peccati, dal sesso, da azioni malvagie e dal possesso di beni. Mettevano in comune quel poco che avevano, e si dedicavano ad attività come apicoltura, orticoltura, allevamento di ovini, artigianato, erboristeria. Vi era assoluta essenzialità di cose e pienezza di vita. Personalmente, non credo che la vita debba essere tanto diversa da così: suoni sapori passioni fondamentali rustici genuini, decrescita felice (e consapevole), ridimensionamento della tecnologia e dei comfort propri della modernità - spesso assurdamente aggressivi, inquinanti, superflui. Aggiungerei tanto amore però, felici amplessi con amorevoli compagni/e. L'Ashram, forse la più antica comunità spirituale del mondo, letteralmente “tempio nella foresta” in sanscrito, è un luogo di vita spirituale e comunitaria. Nell'ultimo secolo è stato oggetto di un “revival”, a partire dallo squisito esempio dell'Ashram di Rabindranath Tagore. In questo luogo incantevole, di nome Santiniketan, lui stesso con altri collaboratori accoglieva gente e studenti, insegnava musica, arte, Segnali di confine 9 Distanze poesia cantata, matematica, astronomia, letteratura. La scuola (di vita) era immersa nel verde dei boschi del Bengala, e nei giardini adiacenti si svolgevano feste e banchetti in onore dell'Amore devoto, con giochi, canti, danze, musiche e anche lezioni e dibattiti. Così i giovani si accostavano teneramente alla Natura e potevano sviluppare concordia, armonia, tenerezza, spirito di gruppo, sensibilità all'arte e al bello: tutto nell'adorazione degli dei induisti. Un modo di vivere analogo a questo, colmo di piacere e soddisfazioni, l'ho riscontrato in alcune comunità da me visitate in Italia e in Europa. Si va molto oltre l'ideologia hippy, che è ugualmente un modo sano di vivere insieme in unione con la natura, i colori e i sogni. Il lavoro è partecipato, la cooperazione, la fatica, il frutto del lavoro agricolo e artigianale portano a dei risultati ben visibili e di cui può godere tutto il gruppo, portando invece che astio, invidia tra le parti, compassione e gioia reciproca. Alcuni anni fa ho trascorso qualche tempo in una comunità in Francia, nella regione di Rhone-Alpes. Il luogo è bellissimo, si chiama Saint Antoine l'Abbaye, paesino medievale disposto su una collina a salire fino all'abbazia tardogotica, che splendidamente corona e domina dall'alto il villaggio di case di pietra e legno. L'abitato si è sviluppato intorno alla chiesa dell'abbazia, nella cui cripta erano sepolte le spoglie mortali di sant'Antonio Abate, padre degli eremiti nel deserto egiziano, e lui stesso, secondo la leggenda, primo santo eremita della storia della Chiesa. Adesso l'abbazia gotica, adiacente alla chiesa, la cui facciata è contraddistinta da iconografie di mostri e gargoyles, da guglie e decorazioni, è una delle sedi della comunità internazionale de l'Arche, fondata dal nobile siciliano Giuseppe Lanza del Vasto. Costui conobbe Gandhi, viaggiò molto, fu un uomo straordinario che coniugò umanismo e filantropia con l'amore per la natura e l'Induismo, senza mai dimenticare la sua formazione cristiana. La comunità al suo interno è grande, molto spaziosa, e contiene una cinquantina di membri solo a Saint Antoine, compresi gli occasionali visitatori, amici, lavoratori temporanei, giovani ri- 10 Segnali di confine belli, e gente pagante in visita all'Abbazia per uno dei tanti corsi o laboratori con cui la comunità si garantisce discreti introiti. I laboratori sono di vario tipo, e tutti condotti da esperti in materia: tai chi, yoga, danza celtica; corsi di musica (flauto, piano e arpa) e di permacultura (creare forme architettoniche con piante e natura), oltre a incontri e conversazioni con personalità buddhiste e pacifiste. C'è anche un'aula destinata alla musica, una biblioteca-computer, una sala meditazione (e preghiera universale), e una palestra che diventa sala da ballo tutti i martedì e i sabato sera. Poi sul retro c'è un grande giardino con tanti alberi, e un po' più indietro un grande orto con alberi da frutta, insalate e altri ortaggi. Nel cortile principale d'ingresso all'edificio c'è anche molto verde e spazi aperti, adibiti a lavoro comunitario. Ho lavorato per alcuni giorni nell'orto comunitario, così come nei campi sulle colline a monte dell'Abbazia, che ho zappato nel fango allegramente insieme a ragazzi e ragazze per due-tre ore al giorno. È stata una delle più ricche esperienze della mia vita; ho imparato ad assaporare e ad apprezzare la fatica fisica pura in comunione con gli altri, tutti consci di lavorare e spenderci per un lavoro utile al gruppo, utile a tutti nel presente e per il futuro. Il lavoro si fa a rotazione (pulizia di camere, bagni e corridoi, preparazione del cibo, e altro) e ogni ora suona la leggendaria campanella della cappella dell'Abbazia per segnalare cinque minuti di pausa: un'interruzione da qualsiasi lavoro che si sta compiendo, per riflettere in silenzio e introspezione sul significato che nella vita ha il lavoro e l'attività che ognuno svolge. Si mangia (colazione pranzo e cena) tutti insieme escluse le famiglie con bambini piccoli, che a cena di solito stanno tra di loro - nel grande refettorio dal sapore antico. Sopra un tavolo vengono messe le pietanze, tutte rigorosamente vegetariane, e a turno tutti si servono. Il cibo è sempre buono, si mangia insieme, si parla, si ride, ci si conosce e si stringono legami di amicizia. È un modo molto semplice e veloce di cementare il gruppo, stringere legami utili ai fini della vita comune (strategia di buongoverno?). Ho incontrato persone molto ridenti e simpatiche in quel luogo, compresi i Segnali di confine 11 Distanze miei compagni di stanza, di nazionalità argentina e francese, due uomini socievoli, con una buona esperienza di vita. C'era anche una giovane donna, dall'incarnato color del miele, labbra di pesca, corpo sinuoso come l'airone e la gazzella; una berbera di cui ho potuto assaggiare la dolcezza che, dopo deliziosi momenti di disperato abbandono, non ho mai più riassaporato. Credo che una comunità di questo tipo sia una bella commistione tra realtà individuale e realtà di gruppo, personalità e cooperazione, svago e dovere - ma dovere al fine del benessere di tutti-: cultura e natura, mestieri materiali e libera ricerca della propria creatività (nel tanto tempo libero a disposizione). I bambini sono finalmente educati al rispetto e salvaguardia dell'ambiente, e alla bellezza di fiori, frutti, animali; all'amore che dà e riceve. Ho incontrato famiglie scappate dalla città per fare una vita di silenzio, tranquillità e serenità, con bambini che scorrazzavano nudi sull'erba, dopo le ore di apprendimento nella piccola scuola dell'Abbazia (dove vigono metodi certo più steineriani che classici). È anche un piacere ascoltare l'organo maestoso della Chiesa, fare un giro di notte sotto al firmamento, nelle vie strette del paesino, senza un'anima. È possibile scegliere una vita di questo tipo, alternativa rispetto alla vita della società occidentale, 12 Segnali di confine basata evidentemente su altre leggi e sistemi (di mercato)? Viaggiando ho incontrato situazioni sociali (in Nepal, in Tasmania, ma anche sulle Alpi bergamasche o in Basilicata ), spesso in luoghi poco affollati, che si avvicinano a una forma di vita sana e indipendente, emancipata e felice come quella dell'Abbazia di Saint Antoine. Forse è proprio nei margini, negli stretti passaggi di confine, spesso comunicanti con grandi foreste ricche di vita non-umana, che troviamo persone libere di seguire la propria via verso l'emancipazione. Non mi piace pensare all'uomo come a un essere assoggettato al potere, alle istituzioni, alla burocrazia, ma come persona capace di pensare, creare, immaginarsi e progettare una vita libera e appassionata. Quando si riconduce l'espressività coraggiosa del singolo a una macchina preordinata (per produrre, per distruggere materia), quando si incanala l'oblio e l'incertezza della vita (sua linfa) in vie facilmente percorribili e di breve distanza, l'esistenza è scarna, senza gran sapore. La comunità è un luogo in cui la compassione e il rispetto per la vita di sé e altrui (uomini, animali, natura) raggiunge la felicità, consapevolezza dell'insieme, forse la realizzazione di quella che Tagore, in Sadhana, con generosità e lungimiranza, chiamava la “realizzazione nell'Infinito”. Segnali di confine 13 Distanze Z an n e d i besti a I l feroce e ti m i d o u n gu l ato d ecapi terà l ' u om o di Glauco Piccione 44 denti, zanne a ricostituirsi in eterno a partire dal secondo anno dell'esistenza. Corpo squadrato, zampe sottili, coda ricoperta di setole, poi spazzola scacciamosche all'apice, talvolta segnalatrice dell'urto. Muso di osso fugnaiolo, feconda mitologia, ruolo da protagonista nell'araldica. Irrequieta anima dalla traiettoria rettilinea, su e giù al galoppo, sensibilità tattile, sicurezza olfattiva. Grossa testa, ad occhio umano quasi innestata sul torso. Tallone d'Achille per i morsi di vipera, il grugno. La pelle, corazza durissima. Bestie selvatiche e crepuscolari vorremmo che brucassero l'erba, salutassero, limassero le zanne e strizzassero l'occhio; vorremmo diventassero nostre amiche, poi creature potenzialmente innocue. La ferocia appare pericolo, il folto pelo sudiciume, nido di zecche. La robusta bestia rotola nelle pozze impastate d'urina, utilizzata in sostituzione dell'acqua grazie alla quale viene umidificata la preziosa terra, protezione per i raggi solari, cicatrizzante per le ferite. Crea profonde ed estese pozze acquatiche, sfrega il dorso e i fianchi sulle querce e sugli abeti rossi, traendo sollievo dai parassiti. Il cinghiale... Divoratore di funghi, polverizza le ghiande, schiaccia e sminuzza gli insetti e i piccoli invertebrati. Non disdegna le rane, i serpenti, i cerbiatti e gli agnelli. Disotterra le carcasse putrefatte di cui, con foga e piacere, si nutre. Fiuta la spazzatura. Il cinghiale. Fiuterà i vincoli, i sentimenti, le nevrosi. Il cinghiale. Piomba dall'alto e poi scompare, muore per dissanguamento (fuga, pallottola o dardo). Sparge, quasi sempre, il proprio sangue nei boschi dell'arrivo o della nascita. Segue le scie odorose dei propri simili, digiuna anche a lungo per portare a termine il valoroso fardello della discendenza. Il suo suono di vittoria è un motore endotermico. Durante il periodo della continuazione, l'armatura adiposa ricopre il collo e le spalle, fino all'altezza dell'ultima costola. Anche il corteggiamento è diretto e feroce. Direzione e ferocia, altro non riesce ad aggiungersi. Il suo verso è grugnito, raucedine gutturale, mancanza di educazione e di senso ultimo. 14 Segnali di confine Quando, nel vicino futuro, animali provenienti da altri continenti saranno utilizzati per stanare gli imboscati e sfoltire il loro numero, non ci sarà da stupirsi. L'essere umano è una condizione indescrivibile, inestricata. Aiuto, il feroce e timido ungulato decapiterà l'uomo! Goraz, Hogzilla, Nero…Foste classificati in base alla forma e alla lunghezza dei dotti lacrimali. Di origine indiana, indonesiana, occidentale, orientale, voi siete il globo intero. Siete storia antica, selezione in principio, a partire dalla Cina, dalla Turchia, dalla Mesopotamia, dalla Thailandia per la domesticazione. Diveniste così scomparsa delle zanne, massa sotto forma di carne: maiale domestico. La vostra attuale popolazione italiana discende da una selezione innaturale: dall'unione dei vostri antenati dell'Italia settentrionale con esemplari provenienti dall'Ungheria, introdotti a scopo venatorio, e con altri, appartenenti ad una popolazione di origine francese, insediatasi in tutto il Nord Italia, dove oggi si strumentalizza la consapevolezza della vostra scomoda presenza attraverso la recente cronaca: fonte di dubbi e perplessità, materia d(')istruttivi dibattiti televisivi da talk-show; di(s)informazione utilizzata per scopi d'indirizzamento e d'incanalamento psicologico. Queste opinioni, manipolano e controllano la coscienza umana, per poter rendere l'essere umano animale docile e sterilizzato. «- È un'emergenza nazionale, sono folli. Si teletrasportano con velocità, propagano malattie.- Le bestie risultano intelligenti, la situazione è incontrollabile. - Il nuovo dentifricio Dixen rende i denti bianchissimi.- Una piaga ha colpito viale Brecelli e via Ferregiano. Crescono ogni giorno di numero, radono il suolo a tabula rasa, distruggono ogni cosa si trovi sul loro cammino, crollano i muretti a secco. Non cresce più l'erba ovunque passino, riescono a smuovere persino il cemento vivo.- Mattatoi mobili per garantire una macellazione controllata! - Uccidono gli uomini.-» Grugniscono con bava le televisioni. saggistica Sono seicentomila, addirittura, secondo l'Ispra (l'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale) hanno superato il milione di esemplari. Precipitano tra monti e valli, attraversano lunghe colline. Si avvicinano alle zone rurali, si approssimano nelle vicinanze delle case, giungono senza pudore nelle città. Si sono diffusi nel 95% delle province italiane, spinti dal più onesto e schietto istinto di sopravvivenza, grazie al quale fuggono dalle pozze prosciugate e dal poco cibo rimasto. Con i corpi disidratati e le ferite cicatrizzate si avvicinano, attirati dal fortissimo odore dell'immondizia, incivilmente abbandonata al di fuori dei cassonetti della spazzatura. Guidati dalla loro natura onnivora deturpano le fertile può estendersi a tutto l'anno, per la gioia dei disturbati. Le scrofe di cinghiale appartenenti allo stesso gruppo sociale sincronizzano con precisione il loro estro, tramite il rilascio di ormoni. Ma la loro riproduzione stagionale, sebbene sia regolata attraverso questi meccanismi fisiologici, può subire ripetute variazioni. Nel caso in cui le scrofe vengano sottoposte a stress e a disturbo (ipoteticità resa concreta dalla forma di caccia attualmente più utilizzata, la braccata con i cani da seguito), il prolungamento del calore può portare addirittura alla perdita della sincronizzazione dell'estro tra le femmine che compongono il branco. Si provoca la nascita di un'alta percentuale di individui giovani, che porta da un lato alla destrutturazione della popolazione, dall'altro causa l'aumento dei colture degli agricoltori. La Città metropolitane si difendono con l'abbattimento e coi gabbioni, preoccupate per le coltivazioni e per l'incolumità. Solamente in Liguria, i danni quantificati per difetto ammontano a 700-800.000 euro l'anno. Continuano a crollare i muretti a secco e vengono compromessi quei manufatti agricoli fondamentali per il presidio del territorio. Le generazioni si susseguono con la fretta di disperdere le zolle. Il cinghiale, a differenza degli altri ungulati suoi prossimi, investe di più nella riproduzione invece di massimizzare la sopravvivenza dell'adulto. Le femmine di tutti gli ungulati europei hanno un breve periodo di estri ripetuti, oppure sono monoestre. Nelle femmine di cinghiale, invece, il periodo danni alle colture dell'uomo. Conseguenza deducibile, prendere il fucile e sparare, costringere il sopravvento. Ma la sola pressione venatoria, non può essere ritenuta idonea per mantenere il numero dei cinghiali costante, impedendone l'accrescimento. Il controllo del numero degli individui che fanno parte di questa specie non è un metodo efficace e risolutivo per contenere la gravità e l'entità dei danni provocati. Basse densità di ungulati non sempre sono associate con danni ridotti, né alte densità con danni elevati. Sembrava troppo semplice e efficace, a fini di lucro. A questo riguardo gli esperti consigliano l'utilizzo di approcci lontani dal senso comune: recinzioni elettriche e foraggiamenti dissuasivi. Le recinzioni elettriche consentirebbero la scomparsa Segnali di confine 15 Distanze dei danni, dei guasti, delle paturnie. Dovrebbero essere collocate in maniera lineare intorno al perimetro coltivato o meritevole di protezione, senza privilegiare singole parcelle coltivate. I foraggiamenti dissuasivi dovrebbero essere applicati su una vasta area, ad almeno un km dalla foresta, con densità di cinghiali inferiore alla quindicina per 1 000 ettari di estesa totalità. I cereali tricomatosi, come l'orzo, non vengono divorati dai cinghiali e dovrebbero essere piantati in prossimità delle foreste, mentre i cereali non tricomatosi, come il mais, di cui i cinghiali sono ghiotti, dovrebbero essere piantati lontano dalle foreste. Il tenebroso ungulato, trovando assicurato cibo abbondante, sarebbe portato ad abbandonare la via della vicinanza e del disturbo. A questi metodi efficaci, non dimentichiamo di accostare l'approccio più moderno e innovativo: la telecontraccezione. Si spara dalla breve distanza il vaccino GonaCon nel corpo degli animali, con lo speciale, inedito fucile. L'effetto di una fiala sarà durevole per qualche noiosissimo anno. Il ritratto è delineato. Il presente spiegato facile. Se lo scenario è da ritenersi problema irrisolvibile, le soluzioni si auspicano intervenendo alle radici e non alle diramazioni (a priori e non a posteriori). Trappole, tagliole, lacci emostatici, impiccagioni, calunnie, telecontraccezione, cereali, pressione venatoria e recinzioni. I cambiamenti, senza dubbio, non dovrebbero derivare tanto da operazioni o da azioni concrete, quanto 16 Segnali di confine da inediti ed innovativi metodi culturali. Il nostro è un protagonista tutelato, ma, allo stesso tempo, è rapportato al beneficio di coloro che lo accorciano di numero. Mancano un approccio, una dimestichezza, una prorompente (e non autoreferenziale) riflessione a vantaggio dell'ambiente naturale. Si desidera vivere la campagna, ma si detestano le api, le mosche e le zanzare. Si organizza una gita in barca, ma si ha paura dell'acqua salata, dolce e piovana. Sono state sterminate intere specie in nome della stupidità e della crudeltà umana. Si è compiuto il genocidio di intere etnie e popolazioni native in nome della civiltà e del futuro. Il mondo viene caricato a molla, in un continuo succedersi di comfort, delle esigenze, dei capricci, dei desideri e dei sogni inconfessabili dell'uomo. È indiscutibile che i cinghiali possano causare danni e, a seconda delle circostanze, possano creare pericoli. Tuttavia le strategie concrete ed i metodi culturali dovrebbero portare ad una realtà effettiva, morale ed etica, che rasenti un equilibrio tra uomo e ambiente, tra natura e artificio, ad una visione ecologica che si estenda al di là dell'angusto spazio abitativo in cui viviamo per renderci consapevoli di essere parte di un ecosistema simbiotico. Un luogo in cui vivere come animali intelligenti, che rispettino il proprio habitat e tutte le forme di vita, dalle più semplici alle più complesse, dalle più innocue alle più temibili. saggistica Segnali di confine 17 Distanze Libertà, natura e cultura di Simone Dapelo I problemi di fondo L’argomento di cui tratto si presenta molto complesso, in quanto pone delle problematiche ontologiche ed etiche di fondo. Esiste infatti una effettiva separazione tra il concetto di natura e quello di cultura? E dove si colloca questa frattura? Vediamo di analizzare alcune idee a riguardo. Effettiva sussistenza dei concetti La prima domanda che uno potrebbe porsi è se, trattandosi di concetti (o teorie filosofiche ad essi connesse), sia possibile trovare un riscontro nella realtà. Natura: l’estensione di questo concetto potrebbe panteisticamente comprendere ogni cosa; pensate al deus sive natura di Spinoza -dio ovvero natura- : due parole utilizzate per il medesimo concetto. Natura sarebbero l’universo intero, il cosmo e persino il ragionamento astratto o le idee, essendo anch’esse prodotto della nostra mente; secondo molti esseri umani tuttavia il concetto di natura non si estende alla totalità del reale, ma viene in parte a scindersi dal concetto di uomo, e di tutto ciò a esso connesso: coscienza, autocoscienza, divino, creatività, ragione, linguaggio e ciò che li riassume (o li comprende); vale a dire la Cultura. Cultura: l’origine prima di questo concetto sembra potersi applicare ad un punto preciso (per quanto empiricamente ignoto) della storia evolutiva: ovvero il momento in cui l’uomo ha preso coscienza di sè come entità ed ha elaborato l’idea di una differenza tra uomo-io e natura-tutto. L'istante in cui ha sviluppato un linguaggio capace di astrazione ed è stato in grado di trasmettere questo concetto ad un altro “uomo” è stato la spia di un processo evolutivo di cambiamento. Da allora è andata via via sviluppandosi l’idea di una differenza tra l’uomo e la natura, che si è espressa nella capacità di modificare e modellare la natura per i propri fini e nell'atto della creazione, sconosciuto a qualsiasi animale diverso dall’uomo. Per rendere meglio l’idea della frattura tra coscienza umana e realtà possiamo usare una metafora: è come se l’ominide ad un certo punto del suo percorso evolutivo avesse avuto la possibilità di guardarsi in 18 Segnali di confine uno specchio d’acqua e capire che esisteva come differenza rispetto a tutto ciò che lo circondava. Divenuto sapiens l’ominide poteva ora lasciare traccia di sè, cominciare a sviluppare la memoria a lungo termine e testimoniare la sua presenza come differenza rispetto alla totalità naturale, come necessità di astrarsi, di isolarsi dal flusso ininterrotto del reale. In Francia sono stati ritrovati alcuni dei più grandi e antichi disegni rupestri, che testimoniano con efficacia il desiderio dell’elemento umano - insito già nei Cromagnon e Neanderthal - di produrre, mediante disegni rupestri, momenti di vita sociale (ad es. scene di caccia ai Mammut), lontani da una semplice rappresentazione naturale. La cultura nasce quindi in pratica anche con l’artefatto; resta da capire poi in che misura la cultura ci diversifichi dal regno naturale e quanto di naturale sia rimasto in noi dopo centinaia di migliaia di anni di evoluzione culturale. Personalmente ritengo che i meccanismi inconsci che possiede la nostra mente (i tempi di reazione, la paura e il conseguente rilascio di adrenalina, ecc.) indichino una sostanziale contiguità con il mondo naturale: l’istinto, il desiderio sessuale, la ricerca di piacere sono legami forti con il mondo della natura. Probabilmente la nostra evoluzione culturale non è altro che un'evoluzione naturale più stratificata e complessa. Il legante libertà Aristotele diceva che ci distinguiamo dagli altri animali per la nostra razionalità; la felicità si raggiunge quando raggiungiamo questa nostra presunta condizione, mantenendo uno stretto controllo sugli impulsi e sugli istinti più bassi. Anche Platone (e poi gli Stoici e poi i Cristiani e poi i Tomisti fino ad arrivare a Freud) pensava che nell’essere umano coesistessero una natura animale (e istintiva) e una virtus razionale, simbolo della civiltà, della conoscenza e della consapevolezza. Questo modo di pensare ha inevitabilmente portato ad una contrapposizione sempre più forte tra natura e cultura, tra corpo e anima; un dualismo nocivo in quanto impedisce una libera coesistenza delle due parti che ci rendono umani. Questa demonizzazione (forse paura) degli istinti, saggistica che sorge già dalla frattura io-mondo (dall’Adamo che mangiata la mela si vergogna di essere nudo), ha provocato una sorta di confusione nella mente dell’uomo,che non è più riuscito a capire quale delle due componenti dovesse assecondare per essere libero e quindi felice e appagato. E qui veniamo al concetto di Libertà, il legante tra natura e cultura. Da quando l’uomo ha preso coscienza di sé ha finito per pensare di essere libero di autodeterminarsi, di poter essere artefice del proprio destino; a differenza dell’animale che è in preda agli istinti e determinato dalla natura. Peccato che l’uomo sia comunque inscritto nella natura-totalità-reale, e questo suo bisogno di assoluto, di ultraterreno, di ulteriorità, costituisca a mio avviso l’ostacolo principale al raggiungimento di una certa tipologia di libertà. Scindere l’astratto, il metafisico,l’assoluto, l’ultraterreno dal reale (dagli alberi, le rocce,la carne e il sole), significa rinnegare una parte di noi: la nostra natura originaria, che chiaramente protesta internamente per questa contraddizione, facendo lamentare la nostra parte razionale dell’impossibilità di essere liberi, di sapere il perché dell’universo, dell’insensatezza dell’esistenza. A questo punto bisogna rispondere alle domande introduttive sulla possibilità, sulla realizzabilità della libertà e sul modo in cui si esplica. Diciamo innanzitutto che un animale, privo per quanto ne sappiamo di coscienza, non si pone i problemi di cui ho parlato poco fa, non ha nemmeno una identità come la nostra -problematica per il fatto di essere costruita nel tempo attraverso la memoria-, non possiede un io che si tormenta costantemente su come debba essere, e il fatto stesso di non porsi questi problemi lo rende libero, in quanto in totale sintonia con la natura, con l’assoluto che decide per lui. Non si tratta di libertà da, di libertà negativa, di essere liberi dagli impegni, dal lavoro, dai problemi. Si tratta di essere liberi di non attaccarsi a nulla col pensiero (che è proprio ciò che fanno gli animali), seguendo liberamente sensazioni, intuito e istinti. Secondo questo sviluppo sembra che sia possibile essere liberi. La libertà sembrerebbe realizzabile a patto che l’essere umano sia in grado di riportare la sua coscienza al grado zero, iperconsapevole (interessanti gli sviluppi delle filosofie orientali come il buddhismo a proposito del non attaccarsi alle rappresentazioni mentali, molto simile all’antico concetto di epochè o sospensione del giudizio) e iperpercettivo, attento in ogni istante ai sensi e capace di non allontanarsi dalla pura sensazione percettiva a causa delle problematizzazioni e rielaborazioni concettuali del pensiero. La conclusione sembrerebbe portare inevitabilmente all’idea di ricercare la libertà solo nel nostro lato naturale, puro, istintivo. Ma si tratterebbe di una conclusione sbagliata, in quanto dimentica del nostro lato razionale, strutturato, creativo, intellettuale. Sebbene in un certo senso la cultura sia dannosa ai fini del raggiungimento della libertà naturale di cui ho parlato poco fa (dato che specifica la nostra mente universale e iper-recettiva, configurandola in modelli e categorie di educazione, giusto, sbagliato, bello, brutto, noioso, divertente ecc…), essa offre una possibilità che la sola libertà naturale non consente, la possibilità della realizzazione creativa autentica, individuale. Demetrio Stratos, cantante degli Area, così tradusse la frase di Eraclito "polemos panton pater": “Dal conflitto nasce la creatività” e aggiungerei che ogni conflitto parte sempre e comunque da un confronto, da una categorizzazione del reale ed un successivo accrescimento creativo per accumulamento di idee, credenze, fantasie. Questo per dire che la varietà offerta da tutte le esplorazioni e le stratificazioni della cultura, dona ad ogni individuo la possibilità di creare qualcosa per primo, di riuscire in un problema dove altri non sono riusciti, di fare qualcosa di nuovo o farlo meglio. Questa spinta umana all’innovazione costante (da non confondere con l’idea capitalistica di progresso a tutti i costi), questo bisogno di emersione di una singola personalità, questo far sentire la propria voce, contribuiscono alla realizzazione di questo secondo tipo di libertà: la libertà culturale. La domanda finale che dobbiamo porci è se questi due tipi di libertà siano riconducibili ad un unico concetto, o se comunque siano realizzabili congiuntamente. Io credo che l’uomo sia un essere naturale-culturale e che necessiti, per il raggiungimento della felicità o libertà o pace dei sensi o piacere sommo, della soddisfazione di entrambe le sue potenzialità, che garantiscono un'esplorazione attraverso due differenti modalità di vedere e sentire la realtà in cui siamo immersi. Segnali di confine 19 Frontiere Soffio di frasi foto di Diletta Nicosia, testo di Glauco Piccione Un punto decide. Un lichene o un rovo propagato decidono. Una sfocatura divisa a ¾ o una terapia di benessere non bastano. Non percepiscono in toto il quadro d'insieme. Un controllo imparziale, sottile membrana sfuggente, sottile nella vita emotiva, desidera una scissione repentina tra un ordine compiaciuto nelle stagioni e nell'invecchiare, un incartapecorirsi a seconda del tempo, dell'uso degli attrezzi. Prosciugati i pozzi, spianate le colline e ammansite le bestie, la prima e l'ultima scelta, comprese quelle che stanno nel mezzo, rientrano nelle sinapsi. Un + cicatrizza la smania, le giornate e i gesti si assottigliano. Craccato da un nudo veleno, capisce la sfera indiscutibile delle squadriglie armate, delle bollette, dei banchieri. Asciugato su di un isola segreta, getta una spugna sul valore. Una fiaccola timida, annacquata da una cera sciolta con l'intercambiarsi delle mansioni. La rondine emigra, il guanto essica e arretra, la formica non ha bisogno di sbalzi di umore o di endorfina. Fuori fa freddo, dilata, fuori dall'ordine, senza percepirlo a mani vuote, a mani candide, nelle stanze, nelle brande, nelle grazie il tempo circola senza di noi. L'asino e il filo spinato non basteranno, le coccole dopo l'affare non basteranno, neppure i cieli fotografati, il filo d'erba spuntato a tradimento o la didascalia. Conquistato il globo, piegata la mente alla materia, la chimica e le formule, più che i sogni, vorrebbero vaporizzare le ciminiere, collegare i punti. Dolcezze e fili spinati. Proseliti e autovetture. La mente comprende in piccolo, ma tenta, sfugge, interroga, senza fili o prostrazioni. La mente senza saperlo evapora, si espande come un gas esilarante senza limiti. La barriera, le cave, i cyborg non contano, il pensiero pensa, non conta, non calcola, non si rinchiude nelle scatole o nelle costruzioni. Si scrive la vita sul foglio, comandati dal controllo sui mezzi, ovvero su flora&fauna&fatti naturali. Il pensiero si espanderà del tutto comprendendolo. Ritornando nello spazio inutilmente controllato, lo svuoterà moltiplicandolo verso altri quasar. Il desiderio di modificare il mondo, la fabbrica, l'aeroplano saranno solo pensiero rigettato in materia, la quale, finito il suo corso, si estinguerà in un soffio di frasi, libere dalla logica della sopravvivenza. “Ritornello di bronzo”, Roma, Giardini Vaticani 20 Segnali di confine Nella pagina seguente: “Materia inerte da cui deriva la luce in primo piano”, Genova, periferia fotografia Segnali di confine 21 Frontiere “Asino e filo spinato”, Campenave, Ponente Ligure “Ciuffo d'erba sull'artificiale”, Genova, Centro Storico 22 Segnali di confine fotografia "Volo emozionale", Genova Nervi, Passeggiata mare “Comodo abisso grigio”, Genova Nervi, obbiettivo verso l'alto Segnali di confine 23 Frontiere Vestigia di un'armonia tramontata di Simone Prati Nel corso della storia dell'umanità il rapporto ancestrale che da sempre esiste tra l'uomo e la natura è variato in modo radicale. I nostri più lontani antenati, i primi ominidi, erano completamente dipendenti dall'ambiente circostante; il loro giardino consisteva in una sorta di orto naturale dove quel che cresceva spontaneamente veniva consumato. E quindi l'uomo era soggetto ai capricci e alle abbondanze della natura. Con il tempo e l'ingegno - che verrà tramandato alle generazioni successive creando quella bellissima cosa che è la cultura - l'essere umano è però riuscito lentamente ad influenzare a sua volta la natura circostante e l'ambiente in cui viveva. Piccoli esempi di questo possono essere la creazione e l'uso dei primi utensili in ossidiana e selce, come punte per frecce e piccole lame per i più svariati utilizzi. Dopo diverse centinaia di migliaia di anni l'uomo è poi riuscito a domare più direttamente la natura, con l'avvento dell'agricoltura. Fino alla rivoluzione industriale di metà Ottocento, il rapporto tra queste due entità era di reciproco rispetto. O almeno, l'uomo rispettava la forza della natura, conscio della dipendenza diretta cui doveva sottostare per la sua sopravvivenza. Il rispetto era dovuto proprio a questo: senza l'opera della natura l'esistenza del genere umano era compromessa. Purtroppo però nell'ultimo secolo e mezzo l'uomo è diventato avido ed ha scordato in un lampo di frusta tutte le conoscenze acquisite in milioni di anni. Un sapere che ha permesso ai nostri genitori, ai nostri nonni e ai nostri trisavoli di sopravvivere, di mangiare, di procreare e portare avanti la nostra presenza sulla terra. Invece oggi i suoli vengono stuprati da giganteschi macchinari, l'aria viene inondata da fumi cancerogeni, le acque sono utilizzate come fonti miracolose per ripulire ogni male - che si accumula però negli oceani creando mostri marini deformi e isole di plastica galleggianti. Ma facciamo un passo indietro. Mi piace pensare ai manufatti che, creati in tempi più o meno remoti, sono sopravvissuti in qualche modo fino ad oggi, proprio perchè figli di quel rapporto d'amore che esisteva tra gli esseri umani, consci della loro fragilità e della loro dipendenza dalla natura, e l'ambiente in cui erano obbligati a sopravvivere. Uno tra i più importanti materiali impiegati dall'uomo era sicuramente la pietra. Pietra come arma, pietra come utensile, ma anche pietra come casa, come delimita- 24 Segnali di confine zione territoriale e come ostacolo. Ed ecco allora che per costruire un capanno si è utilizzato qualcosa di più durevole del legno e delle fronde d'albero. Le vestigia di queste tecniche si perdono indietro nel tempo, ma alcuni famosi esempi chiariscono come le pietre abbiano permesso a certi popoli di vivere, sopravvivere e, in alcuni casi, svilupparsi enormemente. Si pensi quindi al “muretto a secco” utilizzato per creare dei terrazzamenti pianeggianti ad uso agricolo, che ha permesso all'uomo di prosperare e di sopravvivere in un ambiente difficile. Di seguito presento alcune fotografie di manufatti, testimoni dell'armonia che esisteva tra gli uomini di una volta e il mondo naturale: alcuni muretti a secco e un riparo ormai in disuso della regione del monte Brè che, abbandonati a se stessi, hanno un destino ormai segnato. Anche se sono ancora in discrete condizioni, presto o tardi scompariranno, risucchiati e fagocitati dalla natura e dal bosco, che si riprenderanno le pietre, riordinandole disordinatamente tra alberi e rovi. Altri scatti sono invece di alcuni Nuraghi sardi, testimoni di un passato difficile da leggere ed interpretare, ma che sicuramente mostra quanto arduo e faticoso dovesse essere abitare in quelle lande migliaia di anni fa. Altri scatti ancora immortalano l'archeologia architettonica del paesaggio urbano e agricolo irlandese, con le foto di alcuni edifici in dissesto del loro recente passato e di pietre segna confine. Anche in questo caso lo scopo è duplice: spietrare e permettere la coltivazione agricola o facilitare il pascolo e al contempo creare delle barriere fisiche attorno alle proprietà. Infine ho scelto un paio di scatti di una tomba micenea che ho visitato in Grecia. fotografia “Muri e corone”, Grande muro a secco, con magnifico coronamento, che permetteva di ampliare la zona coltivabile al di fuori dell'area pianeggiante del muro stesso e, quindi, in sospensione. Rispecchia l'enorme fame di terra dei contadini di allora, Monte Brè “Al riparo”, Piccolo rifugio costruito in pietra a secco. Probabilmente conteneva materiali di lavoro ed eventuali scorte di cibo. Inoltre, poteva essere utilizzato come riparo, in caso di condizioni atmosferiche avverse, Monte Brè Segnali di confine 25 Frontiere “Nuraghe”, Complesso nuragico a Dumusnovas, Sardegna, provincia di Carbonia-Iglesias “Nuraghe”, Dettaglio di un primo edificio in pietra, nel quale si può facilmente riconoscere la forma circolare della base della costruzione. Sullo sfondo, in primo piano, si possono notare le basi di una seconda struttura e, come sfondo imponente, quello che poteva essere l'edificato più importante, Sardegna 26 Segnali di confine fotografia “Loher stone fort”, Antica vestigia, Waterville, contea di Kerry, Irlanda “Linee guida”, Muri a secco, a ridosso della costa. Delimitano la proprietà privata ed indicano recinti invalicabili per le bestie, Irlanda Segnali di confine 27 Frontiere “Verso il sotto”, Entrata di un sito tombale, scoperto per caso durante un viaggio, Entroterra dell'isola di Kefalonia, Tzanata, Grecia “Sottoterra”, Tomba per i defunti, Entroterra dell'isola di Kefalonia, Tzanata, Grecia nella pagina seguente: “Mosaici cubici”, Dettaglio su muro, all'interno di una tomba micenea di Kefalonia, Tzanata, Grecia 28 Segnali di confine Segnali di confine 29 Aperture Sogno rarefatto di Matteo Mezzano, foto di Damiano Boldrini Noi non esistiamo il tempo La nebulosa ingloba la percezione del reale. Il reale è solo una concezione creata dai simili. L'inamovibile è ciò che coesiste con lo spazio. Noi siamo spazio. La nostra felicità non è applicabile al nostro creato. La felicità è esente dal nostro cervello. Le droghe non sono portali, solo un frammento di visione del vero. Non ci sono strade. Nessun redentore, nessuna credenza, nessuna religione. L'universo è la creazione di una mente isolata. Il paradiso è nato solo due millenni fa. Continuate a crederlo. Aggrappatevi per paura di avvicinarvi al “reale”. Il reale è surreale. Rilassatevi. Eiaculate pure. Noi non esistiamo il tempo. Astrazione. Nebulismo, inglobaci. La morte dello scarafaggio Lo scarafaggio gigante galleggia inerme sulla superficie del mare. Le navi girano intorno come mosche sulla carcassa. Sembrano piccole larve che si nutrono dei contenitori a scacchi. L'amico protettore è stato abbattuto, hanno voluto così. Fluttuando nel cielo osservo questo scenario. Orribile visione. Realtà che manda in putrefazione la vita. Amico caro, hai sacrificato la vita per noi. E noi ti abbiamo sempre creduto un parassita. I delfini, le balene arrivano in soccorso con i loro pianti. Riecheggia un lamento funebre. Il sangue degli innocenti. Le navi militari affondano le creature del mare. L'acqua si tinge di porpora. Sono sospeso nell'aria, osservo la carneficina. Guerra infondata. Tutto ciò è solo ripetizione. Ripetizione nei secoli, nelle ere, nel cosmo. Questa realtà è già stata tradita. Il sopruso è stato consumato. Partono le navi verso una nuova meta. Spiegano le vele nere verso una nuova guerra. Gli scarafaggi che non sono ritenuti idonei vengono schiacciati dalle suole. Coloro che commettono tale atto provano un enorme orgasmo, nel udire lo scricchiolio degli insetti prima che esalino l'ultimo respiro. 30 Segnali di confine poesia, prosa, prosa poetica I l m i o m i gl i or am i co Ho tanti amici. Ma il mio migliore amico non l'ho mai conosciuto. Abita vicino a me, lo vedo tutti i giorni. Non conosco il suo nome anche se ci parlo tutti i giorni. Lui cerca di parlarmi, mi chiama, urla perché io possa ascoltarlo ma la sua voce non mi raggiunge. Ho molti amici...Consapevole di tutto ciò mi addormento sereno. Quando mi sveglio la stanza è vuota, loro non ci sono più. Sono andati a divertirsi altrove lasciandomi qui. Il mio migliore amico è affianco a me, mi parla di continuo ma non riesco a sentire quello che dice. Sempre maggiore. La distanza... I l q u ad ro. I l gi gan te d el m are Guardo il quadro. Sono dentro il quadro. La spiaggia è deserta, il cielo è coperto. Niente brezza. Il mare è una lastra inamovibile. All'orizzonte si erge il vulcano e la creatura che vi dimora non è affatto serena e si contorce dentro la lava. Occhi impazziti dalle orbite rosse e sporgenti mi assaltano. Sto morendo... Mi accascio per terra e comincio a contorcermi anch'io. Soffro atrocemente. Gli occhi si stanno chiudendo, la vista sta svanendo. Solo ora la vedo. Il vulcano è una creatura vivente. Apre gli occhi. Non sono più quelli di prima. Mi osserva. Le dolci e tristi pupille caleidoscopiche, come due gocce infossate, sono puntate su di me. Il suo sguardo mi rasserena. Non sono mai stato così tranquillo prima d'ora. I suoi occhi dolci mi accompagnano nel mio ultimo sogno, e prima di morire rido come quando ero bambino. Segnali di confine 31 Aperture L'immediata immanenza e la vecchia Dodò di Giacomo Caruso, foto di Damiano Boldrini Beneficio in sintagma multiplo Chiasso. Rose espunte dal loro sudore. Madido di siero rosa. Il riccio emette un dolore suono, vivido, caldo, venefico, quasi da impazzire. Sola, la vecchia Dodò con la cuffietta sul lungomare. Veranda stanca nel sole del meriggio, stantìa, sorbendo la zuppetta da vomito rancido di cozze e patelle, simile a melma. Si sorregge al bastone, si muove tra i tavoli, geme. Ovvio. Le strategie di Putin e sommergibili americani nel Baltico, turisti francesi borghesi ordinano le vin acetoso allungato con acqua tiepida. Leggo notizie di terrore da lupi prataioli nell’entroterra genovese strangolato dal cemento, bambini non escono più la sera, evasioni notturne, gli uomini saranno sempre vittime delle loro sciocche credenze, l’ignoranza in pasto ai lupi di Masone che sono molto più liberi e belli. Calore. Siamo troppo chiusi nelle nostre macchine enormi. Nelle nostre tane temiamo la folla, l’umanità ha dato vita alla civiltà della contaminazione. I cani hanno più coraggio, donne che sono giumente indifese, che hanno paura dei poliziotti, i gatti hanno paura di noi. Gli uomini sono bastardi fessi. L’innocenza del raro volteggio del falco nel ventre della valletta profonda. Il beneficio della realtà ci è dato e lo stiamo seppellendo. Ai tavoli, viene la gente a mangiare con la testa altrove, e le trenette o i calamari finiscono in un attimo: si paga, e si va. In catene. Nella storia profonda siamo qui, in ceppi agganciati all’amo. Non so se sono folle o infelice. Probabilmente idiota. Come un vino, tutto finisce, effimero godimento ci lascia un gran rimpianto. Tanto vale trangugiarlo. Destino tragico di un pesce, dilaniato: spine, costato, ventre aperto, occhio fracassato, cervello testa e coda mozzata. Come un pesce che si dibatte. È opprimente la nostra voracità naufragio del ben pensiero della virtù. Resta solo il sostrato che tu, indescrivibilmente, divori. 32 Segnali di confine poesia, prosa, prosa poetica Comprendere il proprio volto originario Ci vediamo sulla collina. Quando in primavera il sole si dirada, accarezza la pelle, il seno il volto è scurito e felice, acquista la consapevolezza di nulla cogliere della vita e respirare, la smorfia che sempre trascende. Essere malaticcio, ecco. Corpi accatastati. Questo grande miracolo. Abbandono il tuo soffice risveglio. Acqua dolce e pura come chiome nell’aria che sgorga dalla manica, dalla coscia, dalla crepa che è invano tutta contenuta in te; e non mi basti, e scivoli via come gocce di rugiada sulla roccia. Sulla brocca il nettare zampilla. Ed è quel nettare che tutti noi dobbiamo sorbire, perché la risorsa contenuta nel suo frutto, il tuo Amato che tutto trapassa e diffonde gioia per le mie palpebre, su per le ripide coste del monte. I Fianchi delle rive sono scoscese come ossa che scricchiolano insaporendosi e portano tutto questo immenso dolore sulle loro natiche, sulle ali delle farfalle dee del Fallo bestia d’amore Guizzante, su per le fiabe del mostro di primavera, erba d’autunno, brezza fresca, scherzo infantile e innocente come un piccolo sorso di sesso. Non va frainteso come un fratello. Questo è il tuo fardello uomo. Per sempre si rivelerà un minuscolo granello di composizione, sotto le rapaci velleità. Limbo Non sta succedendo niente Le scale delle successioni Sono interrotte Che senso ha il tempo Fragoroso Se tempo non è altro che Effimera Luce Vagante In seno al tempo Precoce Io fuggo Segnali di confine 33 Aperture Gomitolo di nenia retrocesso nelle elucubrazioni sistemiche di Glauco Piccione, foto di Damiano Boldrini LO SCALO ARRUGGINITO GUIDERA' ALGHE NEL PORTICCIOLO SNEBBIATO Mondo silurato, saluti. Tonfi sordi a generare l'estro, pertosse saturata a rimpiattino. Lavora d'inquietudine imprecata dal silenzio; quante persone hanno avuto bisogno di scintille senza sconti... Stati d'animo costruiscono ponti alla rovescia, danno default a un'esistenza anomala, spiazzata. Ti rispetteranno per paura del disturbo, accondiscendendo il volo contromano; nella concupiscenza sapessi cosa dicono, sosia di impiastri rotolanti, navi in trincea sulla linea meridiana... Dimentica le ali essicate nelle scapole, tra bastoni e sassi; placida disintegrazione causale lascia in pace il padre con il piccolo, l'onda è torbida; lo scalo arrugginito guiderà ammassi d'alghe nel porticciolo snebbiato... PERDUTA NEL CUNICOLO CRESPO Ah, sete mistica d'arcobaleno monocromo, fame inestinguibile di noce germogliata, forbice arrugginita nel cervello emotivo di Giacomo. . . Scendere a patti con un formicolio gestazionale, regolato nell'anfiteatro cognitivo... Il pulp è spiritosamente suola felice, ritaglio di giornale a caratteri cubitali, condominio di lenti graduate, elemento tipico tubulare. Perlustro i cunicoli nel sottosuolo lunare, mentre eiaculo con prudenza la sottomissione dell'ignavia, pornografia insolentita dal denaro. A sintetizzare agnelli microscopici non rimango integro, ad udire vibrazioni la vela s’alza, abbaia guai sfrontata per l'intruso, spira abbondanza d'antidoto, perduta nel cunicolo crespo che ho scavato con frastuono e sciabordio di metalli fusi insieme... 34 Segnali di confine poesia, prosa, prosa poetica CANNIBALE DI BUONE SPERANZE DAL TROTTO AL GALOPPO Sapessi pantaloncini corti, sciarpe, cappotti nelle rughe plasmate dal faro temporale; please poco fiato spira sul chiavistello, l’illuminazione è fuoco fatuo, regale miseria: un’intrallazzo spedito nell’incongruo; cancello elettrico dal quale incontro l’assioma; pipistrelli bevono calce sparsa come cocci scesi dai muri diroccati. Davvero elevando distanza dalla psiche, assaporare di lustro il meridiano di Greenwich con l’udito; carne abbrustolita la quale odora l’aria, rastrellare di netto la quiete che addolora. Sapessi apprezzare il melograno in chicchi, l’ortica da volere yuppie, eleganza da stendere a rafforzativo, plico di morsi; ma tutti rendono il periscopio vano. La finestra è goccia, ladri lacerano membrane farsesche d’umorismo a contendere l’atomo, una voltura sprona il triplo a vangare spie in insubordinazione. Cannibale mosso da buone speranze, dal trotto al galoppo non perdere tempo, antropofago ghiotto di molle sparpaglio, dai torchi allo spregio non ripetere altro. Segnali di confine 35 Errori di considerazione sul mondo di Simone Dapelo, foto di Damiano Boldrini Rivedi Rivedi Il confine oltre, e tu Forza La strada semplicemente le tue posizioni è stato di un passo, sei rimasto allora riprendi non è ancora Il nulla mi parla dentro Il nulla mi parla dentro Ma quindi io?!(con tono ansioso). Ci hanno insegnato a chiamare un odore più forte “puzza”. A contrassegnare ogni paura con la “Morte”. A guardare i vicini come “Estranei”. Il nulla mi parla dentro; non sono io a dirlo. Chi sono io per dirlo? 36 Segnali di confine amico spostato un momento indietro. il cammino lunga n’existe pas. Errori di considerazione sul cosmo Ci fu tempesta. Ricordi? Tutto andò perso. Io tu egli noi voi essi. Ci fu quiete. Ricordi? Tutto tornò. Io tu egli noi voi essi. Ci fu pace. Del tutto rimase il nulla. Nessuno, per fortuna o purtroppo, può ricordare. Segnali di confine 37 Aperture Labirinto della riproduzione di Lorenzo Zappia, foto di Damiano Boldrini ARGENTO Le insondabili profondità marmoree calibro, riposo fra i comignoli che accolgono le tue cosce la sera d'estate. Da quando sono morto non esiste la nostalgia ma nessuna crepa fra le creste dell'incoscienza rassomiglia al sollievo di compiangersi da soli. Come fuochi d'artificio musicalmente geometrici volano piccioni viaggiatori nella siccità delle tue narici screpolate, e sono bellezze inutili quei fiori azzurri che si riflettono sugli ulivi. Fra gli spigoli dei tempi e delle correnti è l'indifferenza a fare di me una nervatura molle, un frammento slabbrato nel labirinto della riproduzione. Celebrare la tua imperfezione può solo un canguro succulento all'alba di cilindri giganteschi, futuri mozziconi. Intanto, sotto la tettoia, un uomo pappagallo sfoglia carciofi con le zampe rugose, incurante dell'alluvione che affoga una calla. 38 Segnali di confine poesia, prosa, prosa poetica IL MOTORE E LA FARFALLA Tumori spioventi ai tetti del divenire liberano colature in ogni metropoli scarlatta. Solo fangose mani restaurano il silenzio e accarezzano una capra. CINGHIALE Cinghiale, di questo paese i tuoi sentieri sono le nervature. Ci siamo solo io e te divoratori di carburante. E il mantra "voglio morire" disegna la base su cui cantare. Segnali di confine 39 Movimenti L'isola della tartaruga (di Gary Snyder, Stati Uniti d'America, 1975) di Glauco Piccione 1975. Il poeta ambientalista e saggista Gary Snyder ottiene il premio Pulitzer per la poesia grazie alla raccolta poetica “L'isola della tartaruga”, evocativo nome con cui i nativi americani identificavano il continente americano. Attraverso la sua visione anticonformista, ecologista e pacifista, Snyder auspica un mondo in cui l'uomo possa configurarsi come nativo dei propri luoghi, non alla stregua di un semplice dominatore e distruttore del mondo. Una perla rara e preziosa. Un opale composto dal 60% di acqua si distacca dal sanscrito antico. Una pietra nobile, con notevoli effetti di opalescenza, dalle infinite sfumature nello spettro rigido dei colori. “L'isola della tartaruga” è un ritorno alle origini, ai valori antichi e primitivi della solitudine, dell'iniziazione, del timore, del rispetto, del terrore della natura. Una coincidenza tra una pratica derivante dal pensiero e un rispettoso nome, tramite cui i nativi percepivano il continente americano. Una tela di valori che trascende i popoli e le epoche. Un archetipo universale, il collasso delle imposizioni stucchevoli e superficiali, come “Stati Uniti d'America”; denominazioni traditrici del più limpido e schietto aspetto dell'intero scibile, osservabile con gli occhi e con i sensi. Il messaggio del poeta e pensatore Gary Snyder è sovversivo, ma proprio per questo motivo tale da essere obbligatoriamente appreso. Il mondo e la civiltà moriranno a causa della specie umana, se non si percorrerà il cammino del cambiamento. Occorre trasformare questa civiltà della persuasione e del consumo in una selvaticità oggettivizzante. Fondare una nuova cultura sorretta dai pilastri della scienza, dell'ecologia e dello spirito. La nostra vera essenza è stata consumata dall'ansia e dal delirio di onnipotenza, di dominio e di possesso. La nostra creatività, fulcro di tutta l'esistenza, è stata reificata in merce visibile. Snyder è un pioniere dell'anima umana, in cerca di un'alternativa onesta e dignitosa ad una società marcia e corrotta, fagocitatrice di parallelismi e crepuscoli. Snyder è realizzazione, in linea con il cosmo e l'intelletto. La testimonianza di cui si parla è composta da tre sezioni di poesia, “Manzanita”, “La canzone della gazza”, “Per i bambini” e da una parte di saggi e riflessioni, “Parlar chiaro”. Il potere ancestrale della parola si coglie, molto chiaramente, nelle prove più preziose dal punto di vista poetico, come “Anasazi”, evocazione degli antenati degli indiani Pueblo e “Il bagno”, fotografia, senza intercessione della luce, della famiglia e del corpo umano. “Prima linea” è un inno alla lotta e alla difesa dell'ambiente e delle minoranze, ”Fatti” è un realistico resoconto sulla politica e sull'economia degli anni di Snyder. “La grana delle cose” , resoconto di una gita avvenuta nei pressi di Alcatraz, nei dintorni di Angel Island, mentre “Sul perché i camionisti che trasportano legname si alzano prima degli studenti zen” denuncia l'insensatezza della vita contemporanea. “Uno non dovrebbe discutere con un abile cacciatore delle cose proibite dal Buddha” è la riduzione della vita a segreto prima del segreto, a carta stagnola, “La canzone del domani” è il canto di un mondo possibile. La sezione dedicata ai saggi, anche se non sempre risulta chiara - anzi a tratti è un po' ambigua - ha il merito di rendere ancora più esplicite le idee espresse attraverso la poesia; vale a dire l'augurio di un mondo migliore, in cui l'essere umano possa vivere in armonia con se stesso, con i propri simili e con animali, piante, minerali, favole, miti e cactus. Snyder consiglia di sostenere l'ordito esistenziale e la comunità terrestre degli esseri dimezzando la popolazione; parafrasando Thoreau, invita l'agricoltore a gioire anche nel caso in cui il raccolto non riempia il suo capanno. Ma qual è, per Snyder, l'unica vera rivoluzione possibile? Prima di tutto cambiare se stessi, per modificare di conseguenza il mondo. Cancellare il dominio del potere delle lobby, delle multinazionali, prospettive univoche e malignamente dispettose. Seppellire per sempre il proprio cuore pulsante, estrapolare il proprio cervello dalle connessioni sinaptiche, per poi nascondere gli organi sotto la terra umida e feconda. Tornare a essere porzione del cosmo. 40 Segnali di confine recensioni/letteratura Il cielo, la terra e quel che sta nel mezzo (di Marlo Morgan, Stati Uniti d'America, 1998) di Fabio Mazzari La drammatica storia di due giovani aborigeni australiani separati dalla nascita, sospesa tra la scoperta di se stessi e la ricerca delle proprie radici. Il popolo degli Aborigeni australiani ha vissuto per millenni, forse più di tutti gli altri, a strettissimo contatto con la natura, amandola e venerandola. A partire dalla fine del XVII secolo, con l’inizio della colonizzazione europea, la popolazione aborigena ha subito un declino demografico drammatico sia per la perdita dei propri territori sia per colpa delle malattie importate dall’Europa. Attualmente meno del due per cento della popolazione australiana (cioè circa 4-500 mila individui su 22 milioni di residenti) sono nativi o hanno origini native. Nella società australiana attuale, inoltre, gli Aborigeni sono la fascia più debole e svantaggiata del paese e, fino agli anni Sessanta, furono segregati dal Governo Australiano. È emerso addirittura che i bambini con la pelle più chiara venivano portati via dalle loro famiglie originarie e dati in adozione agli australiani. Due gemelli sottratti alla loro famiglia di origine sono i protagonisti del romanzo “Il cielo, la terra e quel che sta nel mezzo”, scritto nel 1 998 e ancora oggi campione di incassi nelle librerie, scritto da Marlo Morgan. L’autrice, una rappresentante di prodotti fito-farmaceutici (in particolare thè e tisane), si recò nel 1 990 per quattro mesi in Australia. Nell’isola più estesa del mondo scoprì le enormi proprietà di una pianta conosciuta dagli aborigeni, la ‘Melaleuca Alterifoglia’ chiamata anche “albero del thè” e soprattutto del suo olio. L’esperienza australiana segnò fortemente Marlo Morgan, che pubblicò il suo primo libro, inizialmente stampato in proprio, nel 1 992. Il volume, intitolato “E venne chiamata due cuori”, diventò in pochissimo tempo un best-seller mondiale. Sebbene la descrizione storica-culturale delle popolazioni aborigene fosse in alcuni punti errata e approssimativa, il chiaro messaggio del libro rimaneva valido. Sempre più spinta dall’interesse verso la civiltà aborigena, diversa e ancestrale rispetto a quella del mondo occidentale, pubblicò un secondo romanzo “Il cielo, la terra e quel che sta nel mezzo”, racconto inventato ma con precisi riscontri storici. Protagonisti di questo romanzo ambientato negli anni Trenta sono due gemelli separati alla nascita. Il primo, adottato e ribattezzato come Jeff, vive un’infanzia triste, trovando rifugio solo nel disegno e nella pittura per le quali dimostrava doti fuori dal comune; Jeff attraversa un’adolescenza turbolenta e travagliata, costellata da piccoli furti che lo porteranno anche in carcere. La vita dell’altra protagonista, Beatrice, è ancora più complicata: fino all’età di sedici anni cresce in un orfanotrofio dalle regole molto rigide e compie lavori duri, che la segneranno per il resto della sua esistenza. L'incontro inaspettato con una donna del deserto cambierà le vite dei due ragazzi, introducendoli alle dottrine spiritualistiche ed al rispetto della natura e delle sue regole millenarie. Segnali di confine 41 Movimenti Presque rien No.1 – Le lever du jour au bord de la mer (di Luc Ferrari, 1 967–70) di Matteo Traverso Luc Ferrari, uno dei massimi esponenti della musique concrète, realizza nel 1970 «Presque rien No.1 – le lever du jour au bord de la mer». Il brano è frutto del missaggio di materiali sonori registrati all’alba in un villaggio di pescatori della Dalmazia. Musique concrète è una corrente musicale basata sulla registrazione di suoni e rumori ambientali su nastro magnetico. Questo materiale viene poi modificato e rielaborato dal compositore attraverso processi di montaggio e missaggio analoghi a quelli cinematografici (taglio e riassemblaggio del nastro, scorrimento a velocità variabile, ripetizione e inversione di frammenti). Attraverso questo brano, Ferrari mette in discussione il paradigma stesso di musique concrète. Pierre Schaeffer in «Traité des objets musicaux» conia il termine ‘o ggetto sonoro’, concetto di importanza fondamentale per la realizzazione e l’analisi di elettroacustica. Questa denominazione sta a indicare la percezione di qualunque suono come “oggetto a sé stante”, analizzabile indipendentemente dalla sua causa, solo per le sue qualità intrinseche; quindi quando noi ascoltiamo un brano di musique concrète dobbiamo dimenticarci della “sorgente” sonora degli oggetti che compongono il brano e concentrarci solo sulle loro caratteristiche: brillantezza, rumorosità, ampiezza… Quest’operazione libera il suono dal significato simbolico che esso si porta dietro. L’oggetto sonoro viene decontestualizzato dal suo luogo d’origine, dal suo spazio naturale, e viene trasportato in un altro spazio, accostato ad altri oggetti sonori derivanti da altri contesti. Questo processo di alienazione dell’oggetto sonoro dalla sua sorgente originale viene solitamente accentuato dai processi elettronici che alterano le caratteristiche del contesto. Ascoltando i primi venti secondi di «Presque rien No.1 » ci accorgiamo che mancano questi aspetti all’interno del processo compositivo. Gli oggetti sonori che costituiscono il brano appartengono tutti al medesimo ambiente sonoro (il paesaggio di pescatori) e mantengono, senza aver subito alterazioni, la loro pregnanza simbolica che ci permette di riconoscerne le sorgenti e di immaginare ed esplorare il paesaggio sonoro organizzato da Ferrari. La registrazione dello scenario sonoro è stata effettuata posizionando i microfoni sul davanzale della finestra dell’abitazione dove Ferrari soggiornava. Le registrazioni iniziano prima del sorgere del sole e finiscono al suo tramonto. Durante il brano, questo aspetto temporale viene sottolineato dal frinire delle cicale, rumore che diventa sempre più intenso man mano che il sole illumina il villaggio, fino a sovrastare qualsiasi altro oggetto sonoro (1 9’ ca.). L’azione del compositore in questo brano è quasi impercettibile. Egli rinuncia a buona parte del controllo che la tecnologia offre per lasciare più spazio alla “concretezza” e alla complessità naturale dell’ambiente; quando noi siamo immersi in uno spazio qualsiasi siamo circondati da un mondo sonoro che si mostra a noi su vari piani prospettici. Immaginiamo di essere all’interno della stanza di una casa: su un primo piano d’ascolto potremmo avere un interlocutore, su un secondo piano potrebbero esserci uccelli che cinguettano sul davanzale della finestra, su un piano più lontano potrebbe esserci il ticchettio dell’orologio e su un altro ancora più lontano il rumore prodotto dalla televisione accesa al piano di sotto. Tutti questi suoni noi non li ascoltiamo in maniera conscia, tuttavia li percepiamo e possiamo potenzialmente ascoltarli. In «Presque rien No.1 » questa “naturale molteplicità” di stimoli sonori, che ci suggerisce l’immagine di uno spazio ampio e multiforme, viene trattenuta e mantenuta intatta nell’organizzazione dei materiali. Come già detto, l’intervento del compositore sul materiale è minimo, tuttavia egli lo sfrutta completamente, lo utilizza nella sua interezza lasciandolo immacolato. Questo materiale non solo si presenta pressoché identico in fase di organizzazione, ma è più ricco all’interno di un succedersi di eventi dettato dalla logica musicale e dal gusto del compositore. In musica, anche e soprattutto nei brani nei quali sembra che il compositore (es. 4’33’’ di John Cage) abbia lasciato al caso o non abbia dato importanza ai parametri musicali (come durate, altezze etc.), il livello formale della composizione risulta sempre meticolosamente organizzato o si carica del peso della poetica dell’intera opera. In questo brano dunque c’è un controllo forte dell’uomo sulla natura (rappresentata simbolicamente dal suono che ne scaturisce) ed è nell’organizzazione e attraverso la narrazione sonora che il compositore racconta una realtà naturale filtrata da una soggettività pacata, umile, asservita alla funzione (ideale) di messaggero. 42 Segnali di confine recensioni/musica La création du monde (di Bernard Parmegiani, Francia, 1984) di Martino Marini Il geniale compositore francese Bernard Parmegiani costruisce un epico viaggio elettronico di 72 minuti, in cui si tenta di descrivere la formazione dell'universo tramite un affascinante linguaggio sonoro. La creazione di un linguaggio sonoro, lo sviluppo di nuove prassi e abilità tecniche atte alla produzione e alla manipolazione del suono. La liuteria che diventa composizione. Il misuso di apparecchiature nate per misurare, testare e perfezionare comunicazioni militari: per cercare una narrazione a 76 centimetri di nastro al secondo. La creazione di un mondo che si può solo ascoltare ed immaginare. Una tenda copriva Pitagora durante le sue lezioni, in modo che il suono della sua voce fosse l’unico a significare. Nel trattato degli oggetti musicali di Schaeffer, il telo viene sostituito dagli altoparlanti. La catena che seguiva prima l’esecutore come perno tra le articolazioni musicali messe su carta dal compositore e l’eccitamento di corde, pelli o ance costruite da artigiani viene disintegrata. L’ascoltatore si trova al centro di una sala, vuota di strumenti, dove la musica non proviene da una sorgente identificabile, ma da freddi magneti che pilotano coni di cartone. Bernard Parmegiani studia da mimo: lo ritiene un elemento fondamentale per comprendere la sua musica. "La création du monde" è uno dei picchi massimi dell’espressione acusmatica francese. È divisa in tre movimenti: la luce nera delle prime forme/forze, la metamorfosi del vuoto in luce e la manifestazione dei segni di questa vita. Durante il mio primo viaggio negli Stati Uniti sono andato a bussare ad una porta, più esattamente ad una staccionata. Fuori c’erano un rimorchio con sopra un piccolo motoscafo e dei giochi per bambini, senza sabbia. Dopo una cena messicana ed una partita a baseball della squadra Junior di una scuola non precisata di Sacramento (California) stavo aspettando mia zia per avere un primo assaggio di quelle che parevano essere le mie radici d'oltreoceano. Dopo diversi giorni e qualche centinaia di miglia mi trovavo in uno dei negozi di dischi piu’ grande del mondo. Sicuramente il piu’ grande che io avessi (ed abbia) mai visto. Si chiama Amoeba Records e come gli esseri monocellulari descritti sonicamente da Parmegiani è un mondo confusionale e vasto di pulsioni viscerali, in cui un grande cestino di plastica può essere riempito con ogni tipo di media bio/tecnologico che l’umanità (divinità?) abbia concepito. Iniziava il primo decennio del nuovo millennio ed 8.50$ (+taxes) mi hanno permesso di appropriarmi della foto di Centaurus A dell’osservatorio Sud Europeo, oltre ad una custodia di plastica rigata ed un disco della durata di 72.58 minuti. Segnali di confine 43 Movimenti Grizzly Man (di Werner Herzog, Stati Uniti d'America, 2005) di Fabio Giovinazzo Alaska. L'ambientalista ed esploratore Timothy Treadwell trascorre molti anni della sua vita a stretto contatto con gli orsi grizzly, proteggendoli e dando vita ad una fitta documentazione. La morte lo coglierà proprio attraverso questo legame che pareva essere diventato fraterno. Solo caos, conflitto e morte. Una delle opere più originali del regista tedesco che nasce e cresce attraverso la perdita di un sogno, ovvero quello di portare la natura selvaggia sotto il controllo dell'essere umano. Un dramma realizzato attraverso immagini che - se comprese in profondità - generano quindi un raro siluramento del nostro rapporto con l'aspetto più violento ed affascinante del pianeta Terra. Follow me Follow me down You got to follow me down Follow me down Tell all the people that you see We'll be free Follow me down Il pazzo eroismo di Timothy Treadwell accende la filosofia naturale di Herzog poichè la bocca dell'orso assassino non ha ceduto alla pietà. E, di conseguenza, sia con il pubblico un pessimismo tanto spontaneo quanto impotente. In Alaska non c'è Paradiso mentre l'Età dell'oro assegna un ruolo di interpretazione al campo visivo; il contatto è ingannevole quindi ricco di sfumature da porre sotto analisi. Deer woman in a silk dress Girls with beads around their necks Kiss the hunter of the green vest Who has wrestled before With lions in the night Herzog apre gli occhi alla storia aggiungendo al materiale dell'esploratore alcune interviste e donando la propria voce. Si partorisce, in tal modo, un'atmosfera che assegna alle immagini l'inafferabilità del mito, dando energia contemporaneamente allo sfacelo e all'angoscia. Prima di morire Treadwell parla di se stesso, della Natura, del mondo. E lo fa insieme ai suoi amici orsi. When all else fails We can whip the horses' eyes And make them sleep And cry... The Movie, cantò Jim Morrison. 44 Segnali di confine recensioni/cinema Matango, il mostro (di Ishiro Honda, Giappone, 1963) di Fabio Giovinazzo Considerato folle e rinchiuso nel buio di una stanza, il mutante Kenji Murai racconta la sua storia: sopravvissuto ad un naufragio insieme ad altre persone giunge per miracolo su una piccola isola sconosciuta; il cibo scarseggia e l'unica speranza sembra arrivare da strani funghi misteriosi. Lo scrittore William Hope Hodgson chiamò nella notte, la sua voce percorse il tempo e si presentò al padre di Gojira. Strani avvenimenti accadono al largo delle coste del Giappone: alcune navi esplodono e affondano senza motivo. Ma lasciate che questa sia un'altra storia. Ricco di fascino e sottilmente evocativo, è uno dei migliori film di Honda. Of course, ladies and gentelmen. Gli spunti di natura psicologica tagliano le gambe al buon pensiero e, scavalcando gli scienziati tossici del 1 958, diventano gocce di pioggia acida che si abbattono sul film generando una scenografia magica e morbosa. L'animo dei protagonisti è feroce identikit alla Ted Bundy altresì attento come la studentessa con gli occhiali vittima prescelta. Ma torniamo alla pioggia evocativa. Non esiste solo il diluvio di Deucalione, il diluvio di Manu e quello che portò alla distruzione il "Quarto Sole" degli aztechi, ma anche quello di Noè. È venuta per me la fine di ogni uomo, perchè la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Ragionate per assurdo e date credito ai vostri occhi, almeno per qualche momento. I funghi rappresentano la mela del Signore, quindi la tentazione di buttarli nello stomaco dovrebbe esser combattuta e vinta; tuttavia i nostri eroi, in una grottesca parodia del Paradiso Terrestre, decidono proprio di rendere omaggio al primo uomo e alla prima donna, di conseguenza ad esser vinta è l'originalità. Ma il film, come ho già fatto intuire, è di spessore. Ottimo, pensando alla contaminazione. Sogno dalle tinte oscure reso celebre dal fungo "divino", riflesso di certe sperimentazioni allucinogene che fecero furore. Suggestione concettuale nella visuale unità: matrimonio che si perde nella trasformazione, nel vizio che si può accettare. Kenji Murai apre il cuore alla speranza? La risposta viene in prestito da Oscar Wilde: Se la nostra vita insieme fosse stata come il mondo immaginava: soltanto di piacere, dissolutezze e allegria, non sarei in grado di ricordarne un solo momento. È perchè è stata piena di momenti e di giorni tragici, amari, sinistri nei loro avvertimenti, tediosa o terribile nelle sue scenate monotone e nelle sue violenze sconvenienti, che io posso vedere o sentire ogni singolo evento in dettaglio. Segnali di confine 45 Tracciati illustrazione Vortice delle successioni dipinto di Niccolò Pizzorno, testo di Glauco Piccione “Nel vortice si mescolano desideri, tronchi vivificati dalla clorofilla, bestie feroci ora sognanti, vecchie paure addomesticate. Nella lenta spirale della suggestione riposano, esistono, nell'attesa di tramutarsi. Capra, casa. Utensile, animale domestico. Serpente, vernice. Facile a dirsi. La foresta è rimasta identica seppure spianata, ma la mente non registra, allacciata come sempre alla rappresentazione sensoriale.” 46 Segnali di confine Crediti pag 2/3 - Senza Titolo foto di Damiano Boldrini pag 7 - L' eterna sfida tra l'uomo e la natura pixabay.com "Itsme" CC0 1 .00 (pubblico dominio) pag 15 - Zanne di bestia pixabay.com Andreas N. "domekopol" CC0 1 .00 (pubblico dominio) pag 17 - Zanne di bestia pixabay.com Heiko Stein CC0 1 .0 (pubblico dominio) Segnali di confine 47 Gratuito