RAFFAELE MACINA
BALSIGNANO
dal degrado al recupero
Edizioni Nuovi Orientamenti
Proprietà letteraria riservata
© NUOVI ORIENTAMENTI
Associazione culturale
Vico Venezia, 2 - Modugno
Pubblicazione a difusione periodica, dicembre 2012
Registrazione Tribunale di Bari N. 610 del 7-3-1980
ISBN 9788896722022
Direttore responsabile
Rafaele Macina
In copertina
Balsignano, la chiesa di San Felice
e il castello prima e dopo i restauri
Stampa Litopress Industria Graica s.r.l. - Modugno
RAFFAELE MACINA
BALSIGNANO
DAL DEGRADO AL RECUPERO
Edizioni Nuovi Orientamenti 2012
PREMESSA
Quando abbiamo cominciato a pensare ad una nuova pubblicazione
su Balsignano, avevamo ipotizzato di raccogliere in un unico volume
tutti i saggi e gli articoli sino ad ora pubblicati da Nuovi Orientamenti.
Abbiamo dovuto, però, desistere subito dall’idea perché per riproporre
tutti gli interventi apparsi sulla rivista sarebbe stato necessario un librone di almeno 400 pagine, il cui costo è lontano dalle nostre possibilità.
Abbiamo, così, fortemente ridimensionato il progetto iniziale, optando per una pubblicazione che da un lato, sia pure molto sinteticamente,
ricostruisca i momenti più importanti del passaggio di Balsignano dal
degrado al recupero, dall’altro fornisca su di esso le conoscenze storicoartistiche fondamentali.
Certo, la raccolta di tutti gli articoli e i saggi pubblicati da Nuovi Orientamenti nei suoi 33 anni di attività editoriale avrebbe dato
la possibilità sia di ricostruire analiticamente i momenti della vicenda
Balsignano (furti, vandalismi, scavi, ritrovamento di tombe, rinvenimento di monete, bracciali, e tanto altro ancora), sia di fornire un quadro storico, architettonico e artistico completo.
Questa pubblicazione, però, se non ofre il quadro completo e analitico della vicenda Balsignano, così come essa si è espressa negli ultimi
tre decenni, si presenta oggi con indubbia utilità, poiché i lavori attualmente in corso renderanno fruibile l’intero casale, col suo castello, le due
chiese e l’area circostante.
Di qui la necessità di conoscere da un lato il faticoso iter di recupero,
e dall’altro la storia e la natura di Balsignano, che qualsiasi progetto di
gestione dovrà rispettare ed anzi esaltare; di qui, ancora, la necessità che
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la città tutta senta Balsignano come luogo della sua storia e della sua
memoria; di qui, inine, l’esigenza di coinvolgere associazioni e gruppi
competenti che siano in grado di elaborare e realizzare progetti ed iniziative di grande respiro culturale.
Sono queste le precondizioni perché Balsignano possa ritornare a vivere e a svolgere l’importante ruolo che gli spetta all’interno dei beni
culturali della Terra di Bari e della Puglia.
In questa fase non può essere una gestione privata e meramente manageriale, che ovviamente si basa sulla sola logica economicistica, a far
decollare Balsignano. C’è bisogno del concorso di diverse realtà, e, soprattutto, della partecipazione di un numero crescente di giovani e di
cittadini. In questo senso, non si parte dall’anno zero, poiché come viene
documentato nelle pagine che seguono, tutto quello che si è fatto sino ad
ora per Balsignano è stato sempre il risultato del concorso di varie istituzioni, associazioni, enti di ricerca, e del crescente interesse dei cittadini.
Penso ad una fondazione che al suo interno veda insieme il Comune,
alcuni enti pubblici e privati di varia natura, ma soprattutto quelle associazioni che, fondandosi sul volontariato, dovranno essere protagoniste
della promozione del bene “Balsignano”.
Queste brevi considerazioni dimostrano quanto sia urgente e necessario riaprire oggi il dibattito sul futuro di Balsignano. Certo, il momento
che stiamo attraversando non è molto favorevole all’apertura di una discussione pubblica su un bene culturale, pure essa è necessaria se si vuole
costruire un futuro per Balsignano. E, d’altra parte, proprio nell’attuale
momento storico, quando il quadro economico dell’Occidente non volge
ancora verso il sereno, si aferma sempre più la convinzione che la cultura
e i beni culturali sono il fondamento di uno sviluppo equilibrato e stabile
dell’intera società.
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CAP. I
ORA BALSIGNANO PUò TORNARE A VIVERE
Quando nel giugno del 1979 venne pubblicato il numero zero di Nuovi
Orientamenti, fu subito chiaro ai suoi promotori che una delle inalità importanti del nuovo sodalizio, se non la più importante, dovesse essere necessariamente la difesa e la valorizzazione dei beni culturali del territorio.
Nonostante il pregevole impegno sino ad allora profuso nello studio e nella
ricerca anche da parte di studiosi locali, fra i quali si distinguono Vito Faenza
e Nicola Milano, l’opinione pubblica e, ancor più, i protagonisti della politica,
non avevano molta consapevolezza del valore e della complessità di alcune
strutture architettoniche e monumentali del passato, che, da veri e propri libri
pietriicati all’aperto, ofrono sempre all’osservatore attento una molteplicità di
sollecitazioni per inoltrarsi nei grandi problemi della storia e per capire il senso
e la natura della vita di una comunità.
Naturalmente, Balsignano fu da subito il bene culturale sul quale concentrare tutte le energie: si tenga presente che allora il casale medievale era spesso
indicato dall’opinione pubblica con parole del tipo “Ah, dove stanno le pietre”1.
Parole che, evidentemente, sono dure a morire, se è vero che un politico locale
di lungo corso, in un suo comizio di qualche anno fa, si cimentò in una improbabile operazione di derisione nei nostri confronti, afermando: “La domenica
se ne vanno a Balsignano e là si mettono a parlare con le pietre”. Nella sua
mente, a questo erano assimilabili le visite guidate, promosse da Nuovi Orientamenti a Balsignano la mattina della domenica, che hanno sempre registrato
una grande aluenza di pubblico, proveniente non solo da Modugno ma anche
da Bari e provincia, e, spesso, previa prenotazione, dall’intera regione e, in
qualche occasione, anche da altre regioni d’Italia.
Sino agli anni Cinquanta, venivano continuamente asportate pietre e chianche dal casale per poi essere utilizzate nelle abitazioni o in campagna; a detta di
alcuni anziani, pare che persino la Cementeria ne prelevasse in abbondanza per la
produzione del cemento.
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1. IL DELINEARSI DI UN IMPEGNO SISTEMATICO
Cominciammo ad impegnarci sul casale senza avere preventivamente una chiara visone d’insieme sul da farsi: all’inizio ci rendevamo conto che era fondamentale assicurare per lo meno un minimo di
vigilanza e di presenza, poiché gli atti di vandalismo e i furti di conci
scolpiti o di altro materiale erano all’ordine del giorno. Ricordo ancora il senso di desolazione e di scoramento quando scoprimmo che
un concio era stato sottratto alla porta d’ingresso della corte interna
del castello (v. foto a p. 21), o quando trovammo, rovinata a terra,
la cornice a dente di sega e quella a dentello della parte superiore del
portale della chiesa di San Felice, e notammo la sottrazione violenta
di due capitelli pensili della facciata principale della stessa chiesa di
San Felice (v. foto a p. 23 e 24), che determinò una pericolosa sconnessione di conci in vari punti della stessa facciata. A questi furti
bisogna aggiungerne altri, come l’acquasantiera che si trovava all’interno della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli (v. foto a p. 20);
addirittura, qualcuno, con tecniche complesse, tentò anche il colpo
grosso: scrostrare ed asportare i due afreschi di Santa Lucia e di un
Santo Vescovo dalla chiesa di Santa Maria di Costantinopoli.
Ebbene, cimentandoci quasi quotidianamente con questa triste
realtà, fummo sospinti alla elaborazione di un programma complessivo che mirasse innanzitutto alla salvaguardia dell’esistente e, poi, al
recupero e alla valorizzazione di Balsignano.
In primo luogo, ci ponemmo il problema di suscitare una generale
sensibilizzazione sull’importante bene culturale, promuovendo nelle
scuole e nell’opinione pubblica la conoscenza della storia e del valore
artistico-architettonico di Balsignano.
In questa fase iniziale fu preziosa la collaborazione del prof. Raffaele Licinio, ordinario di Storia medievale presso l’Università di
Bari, che non solo intervenne più volte sulle pagine della rivista, ma
ci mise in contatto con diversi studiosi che si erano già occupati del
casale, dei quali pubblicammo diverse ricerche.
Dopo questa prima fase di conoscenza, di sensibilizzazione e di
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pubblicazione di saggi,
si giunse al convegno del
1983, che potè contare
sulla collaborazione della
Soprintendenza ai Beni Architettonici, dell’ADIRT,
della Scuola Elementare
“E. De Amicis”, sul patrocinio del Ministero dei
Beni Culturali e, naturalmente, del Comune, della
Provincia e della Regione.
Sono in molti a conservare ancora oggi un bel
ricordo di quel convegno:
studiosi di Bari e provincia
parteciparono numerosi; il
pubblico, che riempì l’aula
magna e l’ampio corridoio
Manifesto del 1983 del primo convegno su
ad essa adiacente della “De Balsignano, che ripropose l’attenzione e l’interesse
per l’antico casale medievale fortiicato
Amicis”, fu entusiasta, e in
molti esclamavano: “Ma
noi a Modugno abbiamo queste cose!”; la videocassetta con la quale
venne aperto il convegno, che proponeva una vera e propria visita
guidata a Balsignano, precedentemente prodotta con la collaborazione dello stesso Licinio, ci fu richiesta da numerosi cittadini e da molti
docenti; i servizi interessanti sull’intero convegno, che vennero realizzati dalla RAI regionale, da Telenorba e da Telepuglia, contribuirono molto a rinnovare l’interesse per l’antico casale anche all’interno
della provincia e della regione.
Dopo il convegno avviammo, d’intesa con i proprietari del fondo
di Balsignano, un primo ciclo di visite guidate, molte delle quali
destinate alle scuole, con le quali abbiamo ininterrottamente collaborato e collaboriamo ancora. E così, negli ultimi tre decenni, con la
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Al convegno del 1983 ne sono seguiti altri che miravano sia a sollecitare
le istituzioni a coordinare un piano di intervento, sia ad aggiornare la situazione
su Balsignano. Sopra viene riproposto l’invito del convegno del 1996 .
partecipazione di bambini di scuola elementare e di ragazzi di scuola
media sono state promosse ed organizzate numerose iniziative sul
medioevo e su alcuni momenti della storia di Balsignano.
Ricordo ancora in tutti i particolari la bella, accurata e signiicativa
manifestazione di qualche anno fa promossa in collaborazione col 2°
Circolo, quando, i bambini, tutti in costumi d’epoca, rivissero una
giornata medievale, impegnandosi in un maestoso corteo, e poi in
musiche, danze medievali, e nella recitazione di brani letterari; nella corte interna del castello di Balsignano furono persino imbanditi
due grandi tavoli con piatti ricolmi di pietanze realizzate secondo un
rigoroso ricettario medievale.
E, sempre nella direzione della sensibilizzazione e della difusione
dell’interesse per l’antico casale, in collaborazione con “Teatroscalo”,
e con la regia di Michele Bia, nel 2002 fu rappresentato nella corte
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Balsignano, dicembre 1995: un gruppo di cittadini, davanti al cancello del casale,
partecipa ad una visita guidata, promossa da “Nuovi Orientamenti”.
Fanno da guida Seraino Corriero e Rafaele Macina
interna del castello “L’ultimo di Balsignano”, una pièce teatrale che
ripropone i momenti e i personaggi più importanti della storia del
casale medievale.
Accanto all’opera di sensibilizzazione e difusione delle conoscenze storico-artistico-architettoniche, una seconda direttrice d’impegno fu quella di inserire Balsignano in un quadro di riferimento più
generale, sottraendolo ad un’ottica meramente municipalistica e sottolineando la sua importanza per la Terra di Bari in particolare e per
la Puglia in generale; decisivo, in questa direzione, è stato il costante
rapporto con la cattedra di Storia medievale del prof. Rafaele Licinio, con il Centro di Studi Normanno-Svevi e con la Soprintendenza
ai Beni Culturali che, prima del complesso piano dei lavori oggi in
corso, ha assicurato i più consistenti inanziamenti per gli interventi
di salvaguardia e di recupero.
In questa ottica, Balsignano è stato oggetto di attenzione e di studio in due edizioni (la 17a e la 18a) delle Giornate normanno-sve11
Modugno, 12 ottobre 2006, Palazzo della Cultura: il tavolo di presidenza della giornata
di studio della 17a edizione delle “Giornate normanno-sveve”. Da sinistra, Rafaele Licinio,
ordinario di Storia medievale presso l’Università di Bari, Cosimo Damiano Fonseca,
accademico dei Lincei, Rafaele Macina, direttore di “Nuovi Orientamenti”
ve, alle quali solitamente partecipano i più noti medievisti d’Italia
e d’Europa; anzi, una delle giornate della diciassettesima edizione si
tenne proprio a Modugno, e in quella occasione fummo proprio noi
ad organizzare una visita guidata a Balsignano per gli illustri studiosi. Mi ritornano spesso alla mente le parole di Giovanni Cherubini,
noto medievista dell’Università di Firenze, il quale mi disse: «Professore, questo sito è assai importante non per quello che si vede, ma per
quello che non si vede e che deve ancora venire alla luce».
Forse val la pena qui di annotare che quando nella 17a e nella
a
18 edizione delle “Giornate normanno-sveve” toccò proprio a chi
scrive proporre due distinti interventi di presentazione di Balsignano
e dell’opera di recupero, sia il prof. Cosimo Damiano Fonseca sia
poi il prof. Franco Cardini, che presiedeva a Barletta i lavori della 18a edizione nel 2008, espressero giudizi assai positivi su quanto
era stato fatto sino ad allora; il prof. Cardini, in particolare, afermò
che “quanto è stato fatto per Balsignano costituisce un importante
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Balsignano, 12 ottobre 2006, lato occidentale della chiesa di San Felice:
gli storici e i convegnisti della giornata normanno-sveva, tenutasi a Modugno,
partecipano alla visita guidata, promossa dalla rivista Nuovi Orientamenti.
Nella foto, il prof. Maurizio Triggiani illustra la chiesa di San Felice
esempio da prendere in considerazione per il recupero di altri beni
culturali”.
Una terza direttrice di impegno è stata quella di avviare al nostro
interno una ricerca storica su Balsignano, per cui nel corso degli anni
abbiamo pubblicato veramente tanti saggi che hanno ricevuto lusinghieri giudizi anche dal mondo accademico.
Inine - e questo è stato complessivamente il compito più diicile e più faticoso - abbiamo sempre tentato di coinvolgere in tutto
quello che andavamo facendo i politici e gli amministratori, locali e
non; ricordo, al proposito, l’interessante ed organica interrogazione su Balsignano proposta alla Camera dei Deputati dall’on. Nicola
Magrone nel 1994, resasi necessaria perché si era perduta ogni traccia
dei inanziamenti previsti per Balsignano all’interno degli “Itinerari
turistico-culturali del Mezzogiorno”, deliberati nel 1982 dal Ministero ai Beni Culturali.
Sarà stato forse questo impegno multidirezionale a determinare
13
Balsignano, 18 ottobre 2007: foto ricordo della visita guidata da R. Macina degli alunni e
docenti della Scuola Media “Dante Alighieri”, davanti al portale della chiesa di San Felice
soprattutto nella città di Modugno, ma anche in ambienti provinciali e regionali, una attenzione per Balsignano, peraltro, ulteriormente sollecitata per la scoperta nelle vicinanze di un importante
insediamento neolitico che, addirittura, ha suscitato una riconsiderazione della frequentazione umana in età neolitica in Terra di Bari.
In efetti, tutte le manifestazioni e i convegni organizzato negli anni
su Balsignano, hanno registrato sempre una grande e attenta partecipazione di pubblico, proveniente anche da altri centri limitroi e dal
capoluogo.
2. E PALAZZO SANTA CROCE VIENE
CONTAGIATO DA BALSIGNANO
L’interesse per Balsignano ha inito così col contagiare anche il
mondo della politica, per cui nel 1999 l’Amministrazione guidata da
Franco Bonasia deliberò l’acquisizione del complesso di Balsignano
al patrimonio comunale; fra il 2001 e il 2006 la prima Amministrazione di Giuseppe Rana ha assicurato alcuni inanziamenti per una
serie di lavori di recupero e di salvaguardia del castello e della Chiesa
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“Notte di Balsignano”, edizione del 2007: la
cerimonia di investitura di un cavaliere, ricostruita
dall’Associazione “Historia”
“Un gruppo di bambini assiste alla esibizione di
giocolieri durante la “Notte di Balsignano” del 2008
della Madonna di Costantinopoli, grazie ai quali è
stata garantita un’agibilità
di diversi spazi dell’antico
casale.
Si è potuto, così, intensiicare per alcuni anni
l’opera di valorizzazione,
sia predisponendo un
programma organico di
visite guidate per le scuole, le associazioni e per
tutta la popolazione, sia
elaborando l’impegnativo progetto delle giornate
medievali a Balsignano,
sia ancora istituendo il
“Premio Balsignano - Città di Modugno”, che meriterebbe di essere ripreso
e riproposto.
Le due edizioni della
“Notte di Balsignano”,
svoltesi nel 2007 e nel
2008, registrarono una
grande partecipazione di
pubblico e, soprattutto,
tanto entusiasmo. Impossibile dimenticare gli occhi incantati dei bambini
che assistevano alla riproposizione della cerimonia
di investitura di un cavaliere, alle danze medievali,
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a scontri fra Crociati e Saraceni, alle mille esibizioni
di menestrelli e giocolieri,
e a tutti gli altri momenti
che i nutriti programmi
proponevano.
Il momento più entusiasmante della “Notte di
Balsignano” del 2008 fu
rappresentato dalla rievocazione storica dell’assalto
al castello di Balsignano,
realizzato nel 1349 da
gruppi armati iloangioini, provenienti da Bari,
che non solo suscitò grande interesse nel numeroso
pubblico, ma ebbe lusinghieri giudizi da parte di
diversi storici presenti.
Quella dell’assalto del
1349, realizzata in collaborazione con l’Associazione “Historia”, nelle
nostre intenzioni sarebbe
stata la prima di una serie
di rievocazioni di speciici momenti della storia di
Balsignano e della Terra di
Bari.
Purtroppo, dopo il
2008, non abbiamo avuto
alcuna possibilità di realizzare i nostri progetti e
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Balsignano, giugno 2008: si rievoca l’assalto
del 1349 da parte delle truppe iloangioine
LA NOTTE DI BALSIGNANO
DEL 2008 VISTA DA UN BAMBINO
È una bellissima notte di stelle.
Il paesino medievale di Balsignano è
illuminato da tante iaccole. Nelle tende
vicino al castello i cavalieri si preparano
ad indossare l’armatura. L’incantatore
di serpenti, con il turbante e con i bai
lunghi, suona una strana trombetta.
Ecco, inalmente, arrivano i giocolieri! Indossano vestiti colorati e bui
cappelli come i clown. Uno è grandissimo come un gigante, l’altro è basso ma
agile, Pusilla è la più piccola di statura e
ama il vino. I loro numeri sono eccezionali: fanno saltare tra le mani palline,
birilli e torce infuocate.
Che grande emozione! Mi sembra di
essere stato catapultato nel Medioevo.
Piernicola Bianchi
Il manifesto della seconda edizione della “Notte di Balsignano”
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Un momento della esibizione dei giocolieri nella “Notte di Balsignano del 2008”
di avere un rapporto di proicua e sistematica collaborazione con
l’Amministrazione Comunale in carica, per cui, a dicembre del 2009,
abbiamo inito col dichiarare la nostra indisponibilità a rinnovare la
convenzione fra la nostra rivista e il Comune di Modugno, inalizzata
alla valorizzazione di Balsignano.
In particolare, fummo fortemente delusi per la mancata realizzazione del progetto “Il sistema castellare in Puglia, con particolare
riferimento al suo interno dei castelli di Balsignano, Sannicandro
e Gioia del Colle”, che pure aveva superato il vaglio della Regione
Puglia ed era stato ammesso ai inanziamenti. Ci sembra importante
riproporre qui di seguito quel progetto, perché pensiamo che la sua
realizzazione in futuro possa ofrire sollecitazioni culturali interessanti alle nuove generazioni, all’intero mondo della scuola e alla città.
E proprio quando sembrava che Balsignano dovesse essere lasciato
a se stesso, ecco il 22 giugno del 2010 inalmente una bella notizia:
su proposta della seconda Amministrazioen Rana, il Consiglio Comunale di Modugno approva all’unanimità (presenti 22 consiglieri su
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30) il “Progetto di recupero del sito medievale - Borgo di Balsignano
- importo e 1.440.000”, dei quali e 1.100.000 provenienti da
fondi regionali, in particolare dai Piani Strategici, e 340.000 dal
Comune di Modugno.
Sin dagli anni Ottanta avevamo sollecitato invano tutte le Amministrazioni Comunali ad organizzarsi per accedere ai fondi europei
per il recupero di Balsignano. Solo nel 1996 il Comune di Modugno
presentò il “Progetto preliminare per il recupero del Casale e dell’area
archeologica del complesso Balsignano in Modugno”, che, però, non
fu ammesso ai inanziamenti.
Comunque sia, ora, grazie ai Piani Strategici, già sperimentati in
diverse città europee (Amburgo, Birminghan, Liverpool, Manchester, Lione, Barcellona, Amsterdam) e a Torino, e introdotti in Puglia
dalla prima Giunta Vendola, quello che per Modugno negli anni
Ottanta sembrava un sogno, ora sta diventando realtà e il casale medievale fortiicato di Balsignano può tornare a vivere.
I lavori attualmente in corso puntano a rendere fruibile l’intero casale e si inseriscono nella ilosoia di un progetto lungimirante
che fa di Balsignano un insediamento storico-architettonico rilevante
per tutta la Puglia. Il progetto, redatto dall’arch. Emilia Pellegrino,
funzionaria della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici, che segue ormai da decenni la lunga e tormentata vicenda di
Balsignano, non solo prevede interventi di recupero per opere assai
compromesse e l’agibilità dei luoghi, ma si presenta come una maglia
di una tela più vasta che intende – così aferma la Pellegrino – “rinnovare i caratteri consolidati del sistema insediativo di questa parte
signiicativa della Puglia centrale [...], nella prospettiva di lungo periodo per realizzare un efettivo ed equilibrato policentrismo”.
Insomma, a livello progettuale vi sono tutte le premesse perché
Balsignano possa avere nell’immediato futuro un ruolo importante
e di lunga durata all’interno dei beni culturali della Terra di Bari e
della Puglia. Saprà la città di Modugno inserirsi all’interno di questa
ilosoia progettuale e fare di di Balsignano una risorsa preziosa per il
suo sviluppo sociale e culturale?
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3. BALSIGNANO FRA VANDALISMI E RECUPERO
Nell’autunno del
1982 venne trafugata
dalla chiesa di
Santa Maria di
Costantinopoli
l’acquasantiera.
Un grosso foro
nella parete destra
della porta d’ingresso,
accanto al quale vi
è una croce greca
scolpita, è l’unica
traccia che rimane di
quella acquasantiera
(foto Lello Nuzzi,
novembre 1982)
L’altare della chiesa di S. Maria di Costantinopoli in una foto del 1982, contro il quale
negli anni vi è stato un particolare accanimento dei vandali che inirono col demolirlo e farlo
a pezzi. Nel 1989 quello che restava del vecchio altare fu rimosso (foto Lello Nuzzi)
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Porta ad arco acuto da cui si accede alla corte interna del castello, i cui stipiti sono costituiti
da bozze, sulle quali è leggermente rilevato un ramo con foglie. Ad agosto del 1988 venne
trafugata dai soliti ignoti una delle bozze dello stipite di destra. Sopra, a sinistra, la porta
con tutte le bozze in una foto degli anni Settanta; accanto è visibile l’adattamento di un
concio calcareo subito dopo il furto; sotto, particolare delle bozze prima e dopo il furto
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La Chiesa di San Felice
in una foto degli anni
Trenta (in G. Ceci,
Balsignano, “Iapigia”,
1932, p. 60).
Sotto, particolare dei due
capitelli della facciata,
trafugati nel 1988:
a sinistra, l’ultimo, disposto
nella direzione opposta alla
zona absidale; a destra,
quello che sormontava il
portale della facciata
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Così si presentava il portale della facciata meridionale della chiesa di
San Felice subito dopo il
ferragosto del 1988;
per asportare il capitello
pensile che sormontava
il portale, i ladri non
si preoccuparono di
rovinare parte della
cornice a denti di sega e
soprattutto di quella a
dentello, parallela alla
prima, che franarono a
terra, frantumandosi
in diversi pezzi.
La stessa facciata fu
ferita anche nella sua
parte estrema, in direzione opposta all’abisde,
con l’asportazione di un
secondo capitello pensile
(foto accanto).
Fu necessario poi un lavoro meticoloso di ricucitura dei conci calcarei
per ripristinare l’integrità e la stabilità della
facciata, che, comunque,
conserva ancora oggi la
ferita dell’ignobile atto
compiuto da persone
senza scrupoli.
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Sopra: l’immagine dell’intera
facciata come si presentava
dopo il furto dei due capitelli
Sotto: l’archetto, che sormontava
il capitello laterale trafugato,
viene sostenuto da un palo
collocato nei giorni immediatamente successivi al furto
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Sopra, la Chiesa di
San Felice, dopo
l’opera di ricucitura
della facciata, in seguito
al furto dei due capitelli
dell’agosto del 1988
Accanto, particolare
dei conci calcarei
adattati, che hanno
preso il posto dei due
capitelli trafugati
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Dopo il furto dei due capitelli della chiesa di San Felice, il dott. Nino Lavermicocca,
ispettore della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici, scrive un duro articolo
di denuncia su Nuovi Orientamenti, nel quale, in particolare aferma: “Cronaca di un
delitto annunciato, è ormai il titolo del «giallo» di Balsignano trasmesso in mille puntate e
del quale, comunque, non si indovina ancora l’assassino (o sì?). Il tempo, indiferente alle
volontà e ai capricci degli uomini, intanto trascorre e la caparbia resistenza di Balsignano
dà i primi segni di cedimento ai colpi dell’ignavia e dell’assedio dei nuovi «Ungari», a caccia
di qualche concio di pietra lavorata, una testa afrescata di Madonna, uno stemma, un
capitello. La difesa contro l’attacco è assai debole e disordinata. Coloro ai quali è devoluto il
compito della difesa nicchiano, lasciando l’impegno di esporsi ai vicini e questi agli altri nel
gioco meridionale dello scaricabarile”. Qualcosa, però, incomincia a muoversi e nel 1989,
grazie a inanziamenti statali, la Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici
avvia una serie di importanti lavori. Fra l’altro, vengono eseguiti saggi di scavo davanti
alla chiesa di san Felice, in seguito ai quali aiora una struttura (forse un’abside).
Sopra, in primo piano, la struttura aiorata in seguito ai lavori di scavo.
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Alcune monete in argento di età angioina (sec. XIII) rinvenute a Balsignano
intorno alla chiesa di San Felice durante i lavori di scavo del 1989
Anello in bronzo con raigurazione di colomba, rinvenuto intorno
alla chiesa di San Felice durante i lavori di scavo del 1989
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Sopra, Balsignano,
maggio 2001: nella
parte terminale delle
mura, in seguito a
piogge abbondanti,
si apre un grande
foro circolare
Sotto, Balsignano,
dicembre, 2004: nello
stesso punto in cui si
era aperto il grande
foro circolare, si
registra il crollo di un
pezzo delle mura
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La ricostruzione del pezzo crollato delle mura
Una immagine delle mura che un tempo circondavano l’intero casale
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Il castello, visto dalla corte interna, con la torre a sinistra franata nei primii anni Cinquanta
Il castello dopo la ricostruzione della torre (foto studio Conte-Mongiello)
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Un’altra immagine del castello dopo la ricostruzione della torre ((foto Lello Nuzzi)
Alcuni ambienti interni del primo piano del castello (foto G. Martino)
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CAP. II
DUE INIZIATIVE DA RIPROPORRE
Fra le iniziative assunte per la valorizzazione di Balsignano riteniamo che
siano da riprendere e da riproporre sia il “Premio Balsignano - Città di Modugno
di Storia e di Cultura popolare della Puglia”, realizzato nel 2006, sia il progetto
“Il sistema castellare in Puglia, e il ruolo al suo interno dei castelli di Balsignano,
Sannicandro e Gioia del Colle”, che potrebbero riaccendere l’interesse per l’antico
casale medievale fortiicato, soprattutto alla luce dei nuovi rinvenimenti di strutture e manufatti già emersi nei lavori attualmente in corso.
Infatti, il coinvolgimento dei tre livelli degli enti locali (Comune, Provincia
e Regione), di due importanti cattedre dell’Università di Bari, dell’Istituto per
la Storia del Risorgimento, delle Soprintendenze e di Associazioni che hanno
una lunga esperienza in materia di beni culturali, conferisce a queste due
iniziative quell’autorevolezza e quelle garanzie necessarie perché Balsignano
si imponga all’attenzione degli studiosi e dell’opinione pubblica provinciale
e regionale. è forse anche il caso di sottolineare che il “Premio Balsignano
– Città di Modugno” è stato il primo a livello regionale a prevedere una sezione
di cultura e tradizioni popolari, che, come è noto, sono da sempre oggetto di
ricerca della nostra rivista.
D’altra parte, queste due iniziative, opportunamente aggiornate e modiicate,
potrebbero mettere in rete diversi Comuni (Bitritto, Gioia del Colle, Sannicandro
e Modugno), che, così, unirebbero i loro sforzi economici per progetti riguardanti
i loro castelli. è noto, infatti, che i castelli dei tre centri interessati, insieme a
quello di Balsignano, erano presidi importanti per il controllo del territorio,
soprattutto per quell’area interna attraversata dalla “Via della Marina”, strada
assai antica che congiungeva le città della costa con l’entroterra.
Per questo, riproponiamo qui di seguito alcuni stralci del progetto sul sistema
castellare in Puglia e del bando del premio.
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IL SISTEMA CASTELLARE IN PUGLIA E
IL RUOLO, AL SUO INTERNO, DEI CASTELLI DI
BALSIGNANO, SANNICANDRO E GIOIA DEL COLLE
Nell’autunno del 2008, su sollecitazione dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Modugno, predisponemmo tempestivamente il progetto sul sistema castellare in Puglia: mancavano, infatti, pochi giorni alla scadenza di un bando della
Regione Puglia che assicurava il 50% del inanziamento a quei progetti, riguardanti i beni culturali, che avessero superato il vaglio di una commissione regionale
di esperti. In pochi giorni riuscimmo a stabilire una rete che comprendeva altri
due Comuni e diversi enti di ricerca. Il nostro progetto fu valutato positivamente
dalla commissione regionale di esperti e fu ammesso ai inanziamenti; i Comuni
coinvolti avrebbero dovuto coprire il restante 50%. Il progetto, però, non si realizzò perché il Comune di Modugno non riuscì a versare la sua quota: 2.500 euro!
Il progetto conserva ancora oggi un indubbio valore, soprattutto perché esso è
rivolto alle nuove generazioni e alle scolaresche che potrebbero fare l’esperienza di
un laboratorio didattico-archeologico, in sintonia con le tendenze più qualiicate
dell’archeologia. Si tratta, cioè, di simulare uno scavo archeologico, attrezzando
preventivamente un’area e sotterrando copie e riproduzioni di reperti, nel nostro
caso di età medievale; in seguito, le scolaresche, con la guida di un archeologo,
fanno l’esperienza dello scavo e del ritrovamento di un reperto, che viene spiegato,
datato e schedato. Indubbia l’eicacia di una tale esperienza didattica; d’altronde,
le esperienze già realizzate in materia hanno sempre registrato grande entusiasmo
dei ragazzi, ma soprattutto hanno sollecitato la nascita di un interesse permanente
per la storia e i beni culturali fra le nuove generazioni.
Riproponiamo qui di seguito i punti più salienti dell’intero progetto.
COMUNI INTERESSATI:
Modugno (Comune capoila), Sannicandro, Gioia del Colle.
IN COLLABORAZIONE CON
Centro di Studi Normanno-Svevi dell’Università di Bari, Cattedra di
Storia Medievale, Soprintendenza ai Beni Architettonici e al Paesaggio,
Rivista “Nuovi Orientamenti” di Modugno, Pro Loco di Sannicandro; Associazione “Historia” di Bari
Nella premessa viene afermato:
“Negli ultimi due decenni la ricerca storica, a livello regionale, nazio33
nale ed internazionale, si è particolarmente interessata al sistema castellare
della Puglia, mettendone in luce sia la fondamentale funzione di presidio
e di difesa del territorio e della sua produzione, sia il ruolo da esso svolto
nella promozione della vita civile e culturale delle comunità pugliesi.
All’interno di tale sistema castellare, diverse e qualiicate ricerche si
sono sofermate sulla speciica e signiicativa funzione svolta dai castelli
di Balsignano, di Sannicandro e di Gioia del Colle che, disposti a ridosso di un’antica via che congiungeva l’entroterra al mare, svolgevano ruoli
importanti sia nel presidio del territorio, sia nel garantire la sicurezza del
trasporto della produzione agricola e dei manufatti artigianali verso il porto di Bari, sia ancora nell’ofrire ospitalità e nel garantire le possibilità di
viaggio a crociati, pellegrini e viaggiatori di diversa natura.
Per quanto riguarda Balsignano, inine, si tenga conto che il castello
è inserito all’interno dell’area del casale medievale fortiicato che, come è
noto, è un unicum nel suo genere, essendo appunto l’unico casale medievale di cui si conservano ancora resti e strutture artistico-architettoniche di
particolare pregio, tali da consentire la ricostruzione della vita quotidiana
di una comunità nel Medioevo. [...]”
Un obiettivo qualiicante del progetto è:
“Coinvolgere le scuole nelle giornate convegnistiche di studio sia mettendo a disposizione degli studenti e dei docenti materiale bibliograico
sul tema in oggetto, sia ofrendo incontri con studiosi; in particolare, a
Balsignano, durante le giornate convegnistiche sarà predisposto un “laboratorio didattico-archeologico”, allestendo una supericie di 30 mq circa
per simulare saggi di scavo, ai quali parteciperanno le scolaresche, che saranno assistite e guidate da un archeologo”.
Rilevante, inine, la inalità del progetto:
“Il progetto tende a realizzare sul territorio una rete permanente che stabilisca una sinergia fra studiosi locali, specialisti, scuole, in collaborazione
con l’Università, con i centri di ricerca e le Soprintendenze, non solo per
approfondire la problematica generale sulla realtà del Medioevo così come
si è determinato nel nostro territorio, ma anche e soprattutto per migliorare la fruibilità dei monumenti sul piano turistico e della conoscenza più
approfondita di tutti gli elementi architettonici, economici, funzionali e
simbolici che li compongono.
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[...] Naturalmente, nel concreto svolgimento del progetto si prenderanno rapporti con altri Comuni e si tenterà di rivolgere lo sguardo ad altri
siti (la Chiesa di Ognissanti di Cuti a Valenzano; la Domus dei Templari
di Bitetto; il Castello di Bitritto; la Torre Normanna di Adelia, ecc.) per
giungere nei prossimi anni ad un itinerario normanno-svevo sempre più
articolato e completo”.
* * *
PREMIO BALSIGNANO – CITTà DI MODUGNO
DI STORIA E DI CULTURA POPOLARE DELLA PUGLIA
Art. 1 - Il Comune di Modugno e la rivista “Nuovi Orientamenti”, col
patrocinio della Presidenza del Consiglio Regionale della Puglia e della
Provincia di Bari, in collaborazione con la cattedra di Storia Medievale
(A-Z) della Facoltà di Lettere e Filosoia, con la cattedra di Storia delle
Tradizioni Popolari di Scienze della Formazione dell’Università di Bari e
con l’Istituto per la Storia del Risorgimento-Comitato di Bari, indicono il
“Premio Balsignano – Città di Modugno di Storia e Cultura Popolare della
Puglia”, che si articola nelle seguenti sezioni:
- 1a sezione: studi speciici, tesi di laurea o tesi di dottorato su un bene
culturale o su un momento storico della città di Modugno, che comunque
dovranno essere contestualizzati all’interno della storia generale della Terra
di Bari e della Puglia;
- 2a sezione: studi speciici, tesi di laurea o tesi di dottorato su un momento storico della Puglia, con particolari riferimenti alla Terra di Bari.
Costituiranno titolo di merito gli eventuali riferimenti ad aspetti e problemi della storia di Modugno e del casale di Balsignano;
- 3a sezione: studi, tesi di laurea o tesi di dottorato sulle tradizioni popolari della Puglia, e in particolare della Provincia di Bari. Costituiranno
titolo di merito gli eventuali riferimenti ad aspetti e problemi della cultura
popolare modugnese.
Art. 2 - Per ciascuna sezione è prevista l’assegnazione di una borsa di
studio (somma da stabilirsi). Le borse di studio saranno consegnate in occasione di una giornata di studi promossa dall’Amministrazione Comunale e dalla rivista “Nuovi Orientamenti”.
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CAP. III
LA SPECIFICITà DI BALSIGNANO
Il casale di Balsignano è un unicum all’interno del territorio e della storia
pugliese e meridionale.
A ridosso dell’anno Mille, in Puglia e, in particolare, in Terra di Bari sorsero
diversi casali fortiicati, alcuni dei quali – è il caso, ad esempio, di Modugno e
Palo del Colle – si trasformarono poi in centri urbani ancora oggi esistenti, mentre altri – il più vicino al nostro territorio è Auricarro – furono completamente
distrutti, tanto che di essi restano solo poche e deboli tracce. Solo Balsignano, per
complessi motivi determinati dalla sua storia, pur essendo stato distrutto più
volte, conserva ancora oggi strutture architettoniche signiicative e un patrimonio
archeologico, ancora da esplorare, che permettono di ricostruire la natura e il
ruolo di un casale medievale all’interno del paesaggio agrario medievale della
Puglia e dell’Italia meridionale.
è stata questa sua speciicità ad aver attirato l’attenzione di numerosi studiosi, fra i quali è da annoverare il francese Emile Bertaux, che agli inizi del
Novecento visitò Balsignano, a cui dedicò alcune pagine nel suo saggio L’art dans
l’Italie méridionale (1904).
In questo capitolo, dopo una breve presentazione del casale medievale, così
come ancora oggi si presenta, utilizzando prevalentemente il saggio su Balsignano
di G. Ceci, da noi ripubblicato nel 1988, si ripercorrono i momenti più importanti della sua storia dal 962 sino al 1528, anno in cui risulta deinitivamente
abbandonato dai suoi abitanti, e, poi, a cura di Maria Franchini e Claudia Di
Liso, si ricostruiscono i passaggi di proprietà e gli interventi di cui fu oggetto sino
al 1981.
Quella di Balsignano è, dunque, una storia multisecolare che, incrociandosi
con quella di Modugno e della Terra di Bari, fornisce numerosi contributi e sollecitazioni per una più completa comprensione del nostro passato.
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1. IL COMPLESSO DI BALSIGNANO
Casale di Balsignano, veduta aerea. Ben visibili, a sinistra, il castello, la sua corte interna e la
chiesa di Santa Maria di Costantinopoli; a destra, la chiesa di San Felice; in evidenza, lungo
la stradella sterrata, perpendicolare alla provinciale Modugno-Bitritto, le mura medievali
Il termine Balsignano (Balsinianum), derivante, attraverso Balisinianum, dal primitivo Basilinianum, è un toponimo latino, derivante
da Basilio che, con molta probabilità, era il nome del proprietario di
un fondo (ager Basilii), a ridosso del quale si è poi formato il casale
medievale fortiicato..
Il Casale medievale fortiicato di “Balsignano”, situato a metà
strada sulla provinciale Modugno-Bitritto, è collocato fra due lame.
La prima documentazione storica su Balsignano è costituita da una
pergamena del maggio del 962, conservata presso la basilica di S.
Nicola di Bari.
Balsignano si sviluppa fra il X e l’XI secolo come nucleo insediativo
fortiicato, in posizione eminente e in un’area servita da una diramata
viabilità locale.
Il Casale di Balsignano è uno degli esempi più illuminanti di
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quel processo di trasformazione del panorama agrario dell’Italia
bizantina che tramutò molti piccoli centri rurali in luoghi fortiicati.
Distrutto una prima volta nel 988 in seguito ad una scorreria
saracena, Balsignano fu subito ricostruito e donato nel 1092 dal duca
normanno Ruggero alla lontana abbazia benedettina di S. Lorenzo
di Aversa. Nel settembre del 1349, il Casale fu teatro di guerra fra il
partito “iloangioino” e quello “iloungherese” che furono impegnati
nella complicata lotta di successione dinastica nel Regno di Napoli
dopo la morte di Roberto d’Angiò. Inine, Balsignano fu nuovamente
devastato e distrutto nel XVI secolo dalle truppe francesi e spagnole
che si contendevano l’egemonia nell’Italia meridionale.
Attualmente nel Casale di Balsignano vi sono:
- una parte consistente delle mura, con aperture a feritoia;
- la Chiesa di S. Felice del sec. XI;
- i resti del castello;
- un alto muro a secco di recinzione che chiude al suo interno una
corte e la chiesa di S. Maria di Costantinopoli (sec. XIV).
La chiesa di San Felice
La chiesa di S. Felice, risalente al secolo XI, ha sempre attirato su
di sé l’interesse di numerosi studiosi italiani e stranieri, che l’hanno
considerata uno degli esempi più antichi di struttura a cupola pugliese
poiché essa è il risultato di una sintesi originale, legata a complesse
vicende storiche, di elementi occidentali, bizantini e orientali di varia
provenienza.
La chiesa, ad unica navata a croce contratta che si conclude con
un’abside semicircolare, ha la lunghezza di m 9,75, la larghezza di m
4,38 e l’altezza massima di m 8,50; è coperta da una volta a botte,
al cui centro si eleva una cupola a tamburo ottagonale, il cui inizio è
segnalato da una cornice a gola.
La facciata a Sud, che si presenta come quella principale, è decorata
con archetti alternativamente pensili e su lesene; il portale è il risultato di
una paziente e valida opera di inserimento in una facciata preesistente.
Il motivo conduttore dell’intero manufatto è rappresentato dalla
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decorazione a denti di
sega, dalla quale vengono
interessate tutte le parti
(facciata, portale, abside,
tamburo).
Addossato alla facciata
a settentrione vi è un
secondo corpo rustico,
anch’esso costituito da
un’unica piccola navata
absidata.
Il castello e la chiesa di S.
Maria di Costantinopoli
Il castello, delimitato da
un alto muro a secco, è
costituito da due torri a
pianta rettangolare, collegate
da un corpo a due piani.
Balsignano, chiesa di Santa Maria di Costantinopoli: Da un portale ogivale
i due afreschi di Santa Lucia e di un santo vescovo
di buona fattura, forse
anonimo, che presentano chiare inluenze
inserito in un secondo
della scuola senese di Simone Martini
momento, si accede nella
corte interna che presenta al suo lato sinistro la Chiesa di S. Maria di
Costantinopoli, risalente al XIV secolo.
Due distinti corpi di fabbrica, appartenenti a due chiese addossate,
formano la struttura di S. Maria di Costantinopoli: il primo è costituito
da un’unica navata rettangolare che conserva ancora due interessanti
afreschi (S. Lucia e un santo vescovo); il secondo è anch’esso ad unica
navata con abside semicircolare afrescata; le volte sono a botte a sesto
acuto. Questo secondo corpo potrebbe essere solo una parte di una
chiesa più grande che non sarebbe stata mai completata o sarebbe
stata distrutta: la serie di arcate con intradossi afrescati, visibili sul
muro a sud davanti al prospetto, confermerebbe tale tesi.
39
1. BALSIGNANO DAL 962 AL 1528
Maggio 962. A quest’anno risale il primo documento in cui viene
citato Balsignano. Si tratta di una pergamena, conservata nell’archivio della Basilica di San Nicola, che contiene la dichiarazione di un
tale Teoilatto di Bari riguardante la divisione dei beni di famiglia in
loco Basiliniano. In particolare, Teoilatto dichiara i terreni e i fabbricati toccati a lui, e quelli rimasti in proprietà comune con i suoi due
fratelli, Mauro e Niceforo. Dalla pergamena apprendiamo anche che
Balsignano, già nel 962, è un casale; è dotato di un castello (castelutzo de ispsi Dalmatini); si presenta con colture diversiicate con ulivi,
amarene, termiti, calabrici, ma soprattutto con quella del grano.
988. Il casale viene devastato e distrutto dai Saraceni in una loro
scorreria nell’entroterra di Bari. Subito dopo, gli abitanti avviano
l’opera di ricostruzione, tanto che i documenti successivi lo presentano come borgo rurale lorido. La capacità di risollevarsi dei Balsignanesi sarà poi confermata anche in occasione di altre devastazioni,
assalti e distruzioni che puntelleranno la storia dell’antico casale.
Maggio 1092. Il duca normanno Ruggero, iglio di Roberto il
Guiscardo, dona alla abbazia benedettina di S. Lorenzo di Aversa
il castello di Balsignano con “tutte le appartenenze, terre coltivate e
incolte, oliveti, vigne e pascoli”. Il documento di donazione è importante perché sancisce che il casale è un feudo, che ha nel castello
il suo centro amministrativo e militare. La donazione alla abbazia
di S. Lorenzo di Aversa è poi riconfermata più volte nei secoli successivi dai legittimi sovrani: nel febbraio 1115 da Costanza, vedova
di Boemondo d’Antiochia, nel luglio 1202 da Innocenzo III, tutore
di Federico II per la sua minore età, nel 1223 dallo stesso Federico,
divenuto imperatore.
Per quasi due secoli, dalla donazione del 1092 e sino alla ine del
1200, Balsignano fu sede di una grancìa benedettina che, testimoniata dai resti delle celle monastiche ancora esistenti a ridosso del
40
lato nord della chiesa di San Felice, amministrava il casale. È questo
il periodo di massimo sviluppo del casale che alla ine del Duecento
raggiunge la punta massima di 300 abitanti circa, distribuiti in 60
fuochi. Dopo la partenza dei monaci benedettini, l’abbazia di S. Lorenzo di Aversa iniziò a dare in concessione Balsignano in cambio di
un canone annuo che negli anni passò da 25 a 50 once d’oro.
12 febbraio 1171, Tale Costucio di Bari dona alcuni terreni situati a Balsignano al monastero di S. Salvatore di Nusco, in provincia di
Avellino. Assai singolare il motivo della donazione: avendo egli cercato di assicurare un marito per ognuna delle sue tre sorelle, alle quali
aveva già garantito una buona dote, ed avendo fallito nell’impresa
perché “nemo unam illarum in coniugio volebat” (nessuno voleva una
di esse in matrimonio), in cambio della donazione in questione prega
suor Marina, abadessa del monastero di Nusco, di accoglierle nella
sua comunità di suore. L’intera faccenda si svolge e si risolve con l’intervento e l’assistenza del giudice (notaio) barese Amorusio che, su
richiesta dell’abadessa, innanzitutto si accerta che quella di dedicarsi
alla vita religiosa è una scelta libera delle tre donne e non una imposizione del fratello, successivamente cura il loro ritiro nel monastero
di Nusco e il trasferimento ad esso delle doti delle tre donne.
1292. Su Balsignano governa Ruggero della Marra, che probabilmente è il primo censuario ad averlo ottenuto in concessione dall’abbazia di S. Lorenzo di Aversa. Il Della Marra, da signorotto prepotente e arrogante, autore di “continui maltrattamenti e soprusi” a danno
dei Balsignanesi, si riiuta di pagare il censo annuale alla abbazia di
S. Lorenzo di Aversa, che, dopo avergli intimato invano di lasciare il
casale, avvia un giudizio contro di lui per ottenere le annualità dovute. Nonostante la transazione concordata nel 1308 presso la Curia
del Capitano di Bari, che vincolava il signorotto di Balsignano a versare solo una parte dei canoni, l’abbazia di Aversa continuò ad avere
rapporti diicili con il Della Marra, e solo quando, nel 1911, questi
morì, poté esercitare nuovamente la sua giurisdizione sul casale.
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20 maggio 1311. I Sindaci del casale di Balsignano prestano giuramento a Gofredo da Montefuscolo, secondo concessionario del
feudo, la cui titolarità, come si è già detto, è dell’abbazia di S. Lorenzo di Aversa. Ed è proprio questa natura del feudo di Balsignano
a determinare una controversia fra il Montefuscolo e Oderisio de
Sangro, Giustiziere 1 di Terra di Bari: il primo, rivendicando la natura non regia del feudo di Balsignano, ritiene di non dover essere
sottoposto ai vincoli feudali verso il re (pagamento dell’adoa 2, obblighi militari, partecipazione alle adunate dei feudatari che si tenevano
periodicamente a Napoli o in altre grandi città davanti al re o ad un
suo rappresentante); il secondo, invece, è di parere contrario e, subito
dopo la morte di Gofredo da Montefuscolo, non permette al iglio
Nicola di insediarsi su Balsignano. Il Giustiziere è talmente convinto
delle sue ragioni che dopo un intervento del re (Roberto d’Angiò) a
favore di Nicola da Montefuscolo, ritorna alla carica, e nel 1324 sottrae nuovamente a costui il possesso di Balsignano; ma anche questa
seconda volta viene sconfessato da un atto regio che, ricordando una
concessione già fatta da Carlo d’Angiò, considera del tutto legittimo
il possesso di Balsignano da parte di Nicola da Montefuscolo.
1339. Balsignano, su cui evidentemente non governano più i
Montefuscolo, viene messo nuovamente in locazione dall’abbazia di
S. Lorenzo di Aversa, che nomina come suoi procuratori, autorizzati
a concludere l’atto di concessione, fra’ Nicola da Plumbarola e Barone Santoro, camerario 3 di Balsignano. Ad ofrirsi come nuovi conL’amministrazione della giustizia nel Regno di Napoli prevedeva la divisione
del territorio in circoscrizioni giudiziarie o giustizierati, istituite nel 1140 da Ruggero II. Il giustiziere, una sorta di giudice attuale, era a capo di una circoscrizione
col compito di risolvere controversie di natura iscale e legale.
2
L’ adoa era il tributo in denaro dovuto dal feudatario al re per i bisogni militari dello stato. Sostituiva il “servizio militare”, ovvero l’obbligo del feudatario di
mettere a disposizione del re un certo numero di armigeri, e si afermò sempre più
con lo sviluppo delle truppe mercenarie e delle compagnie di ventura.
3
Il camerario era una sorta di custode e amministratore dei beni del re o, a
livello inferiore, di chi deteneva la titolarità di un feudo.
1
42
cessionari del feudo di Balsignano non saranno stati in molti, perché
per tre anni il casale non risulta aidato a qualcuno.
13 ottobre 1342. Balsignano viene concesso per cinque anni al
nobile Amerucio de Ferrariis per un canone annuale di 40 once. A
irmare l’atto di concessione è l’abate Bernardo di Aversa,
Ottobre 1347. Trascorsi i cinque anni, Balsignano non risulta più
aidato ad Amerucio de Ferrariis, al quale subentra Franco de Caroilio, protontino 4 di Bari.
Fine settembre 1349. Gruppi armati di Baresi cercano di conquistare il castello di Balsignano, che, essendo “alquanto forte”, non
riescono ad espugnare, tanto che essi se ne impadroniscono solo
“con l’inganno di blande parole”, promettendo di essere clementi.
In realtà, non appena hanno il controllo del castello, imprigionano
Simonello e Jacono Angelo, capitani addetti alla sua difesa, e un nutrito gruppo di abitanti, che dopo alcuni giorni vengono portati nel
castello di Bari e rinchiusi nelle prigioni. Per di più, come punizione
esemplare che avrebbe dovuto sconsigliare soprattutto gli abitanti dei
tanti casali collocati nell’immediato entroterra di continuare a devastare il territorio e gli abitanti di Bari, “al detto Simonello e ad un
altro per nome Antonio fecero amputare le mani”.
I Baresi pongono a capo di Balsignano tal Giovanni, iglio di
Mazziotto da Carbonara, il quale, dopo aver riparato e migliorato le
strutture di difesa, aida il casale al fratello Guglielmo, che era abate,
e a 10 militi, deiniti ladruncoli da Domenico da Gravina ((di parte
iloungherese). Ora Balsignano diviene un avamposto dei Baresi, dal
quale partono diverse operazioni militari contro Bitetto e Bitonto.
L’episodio sopra descritto rinvia ad una pagina più generale e assai dolorosa del Regno di Napoli, che fra il 1347 e il 1351 diviene
Nell’Italia meridionale medievale il termine protontino designava i consoli
del mare, impegnati a far rispettare il diritto marittimo.
4
43
BALSIGNANO COINVOLTO NELLA CONTESA
FRA LA REGINA GIOVANNA I E LUIGI D’UNGHERIA
Dopo la morte di Roberto d’Angiò, sale sul trono di Napoli la nipote Giovanna che regna per quasi un quarantennio (1343-1382).
Nel 1333, dieci anni prima di salire al trono, a soli 7 anni, Giovanna, per volontà di Roberto d’Angiò, suo nonno, è andata in sposa ad
Andrea, suo cugino e fratello di Luigi I il Grande, re d’Ungheria.
Il 17 settembre 1345 Andrea viene assassinato in un complotto di
corte, di cui vengono sospettati la stessa Giovanna e soprattutto Luigi
d’Angiò, principe di Taranto, anch’egli suo cugino, che, già amanti, si
uniscono in matrimonio il 1347.
Nel 1348 Luigi d’Ungheria scende con un forte esercito nel Regno
di Napoli e ne rivendica il trono. Si formano, così, due schieramenti:
quello iloangioino parteggia per la regina Giovanna; quello iloungherese per Luigi I il Grande: baroni, conti, città e casali, in base ai loro
speciici interessi, si danno all’uno o all’altro partito, spesso assoldando
truppe mercenarie tedesche e lombarde.
In Terra di Bari si fronteggiano forze consistenti dei due schieramenti: Giovanni Pipino, conte palatino di Altamura, guida i iloangioini,
che hanno in Bisceglie la loro roccaforte; Filippo Schultz o Sulz, capitano di ventura, soprannominato il Malospirito, guida i iloungheresi,
che hanno invece la loro roccaforte in Bitonto.
Ai ini della comprensione dell’assalto del 1349 al castello del nostro
casale, di cui si è già detto, è opportuno precisare che Bari è iloangioina, mentre Balsignano è iloungherese.
A luglio del 1349 i mercenari tedeschi, già al soldo di Giovanni Pipino, non essendo stati pagati, passano al servizio del Malospirito, per
cui le truppe iloungheresi si raforzano notevolmente e passano all’offensiva contro i centri iloangioini: il 14 luglio, dopo un breve assedio,
distruggono il casale di Auricarro, il 16 minacciano, senza conquistarla,
Palo del Colle, il 18 ottengono la resa di Bitetto, il 19 e il 20 espugnano Grumo e Toritto, che vengono sottoposte ad un duro saccheggio,
nel quale si distinguono per accanimento contro le due popolazioni i
Bitontini, che, per l’occasione, avevano armato 1000 fanti per vendi44
carsi delle violenze subìte in precedenza dallo schieramento nemico e,
in particolare, dalle popolazioni dei due centri saccheggiati.
A questo punto, agli inizi di agosto, entrano in scena Simonello e
Jacono Angelo che in quel momento sono capitani di Balsignano: i
due, che hanno spiato i movimenti dell’esercito iloangioino, vanno
a Bitonto, sede del comando dell’esercito iloungherese, e riferiscono
che le truppe del conte Giovanni Pipino si sono accampate a Loseto,
dove sarebbero state raggiunte da rinforzi.
Gli uiciali ungheresi e i Bitontini decidono subito di cogliere di
sorpresa il nemico, si mettono in marcia con il loro esercito, fanno una
fermata a Balsignano, dove, arrivando “nell’ora più calda” del giorno,
si ristorano e rifocillano i cavalli; poi, dopo aver ricevuto gli ultimi
aggiornamenti da parte di Simonello e Jacono Angelo sui movimenti
dell’esercito iloangioino, puntano su di esso e, cogliendolo di sorpresa,
lo sbaragliano nei pressi di Bitritto. Lo stesso Giovanni Pipino rischia
di cadere nelle mani del nemico, e, rifugiatosi nel castello di Loseto,
dove trascorre la notte, riesce poi a raggiungere Bisceglie con quello che
resta delle sue truppe.
L’esercito iloungherese, che, dopo la battaglia, trascorre la notte
a Modugno, fra agosto e l’inizio di settembre ha il controllo di quasi tutto l’entroterra barese, ma non della città di Bari che non riesce
ad espugnare, nonostante i ripetuti assalti e, soprattutto, nonostante il
martellamento e le continue devastazioni del suo territorio al di fuori
delle mura ad opera dei mercenari stranieri, dei Bitontini e degli abitanti dei numerosi casali.
Fallito il tentativo di conquistare Bari, i iloungheresi decidono
così di marciare contro Bisceglie, roccaforte, come si è già detto, dello
schieramento iloangioino in Puglia,
L’assalto di Balsignano si ha proprio nei giorni successivi alla partenza dell’esercito iloungherese verso Bisceglie, poiché i Baresi pensano di
vendicarsi per le ostilità e le numerose devastazioni del loro territorio
subite nei mesi precedenti ad opera degli abitanti dei casali: dapprima
marciano contro Ceglie, devastandolo completamente, e poi giungono
a Balsignano per punire i suoi abitanti e soprattutto i due capitani Simonello e Jacono Angelo.
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teatro di una guerra assai cruenta fra due eserciti contrapposti: quello iloangioino e quello iloungherese, sostenitori, rispettivamente,
della regina Giovanna d’Angiò e di Luigi d’Ungheria che rivendica
il trono per sé. Ai ini della comprensione dell’assalto al castello di
Balsignano, è opportuno precisare che, quando esso si svolge, Bari è
iloangioina, mentre Balsignano è iloungherese.
Primavera del 1350. Bari, pressata da nuove scorrerie e da devastazioni del suo territorio ad opera dei casalini e delle truppe iloungheresi, cambia fronte, e riconosce il re Luigi d’Ungheria. Nella mutata situazione, l’arcivescovo barese, Bartolomeo Carafa, rivendica il
possesso di Balsignano, tentando di sottrarlo all’abbazia di Aversa. A
tal ine, “inaspettatamente una notte, ecco alcuni uomini armati del
Castello di Bitritto, che appartiene alla Curia Barese, si appressarono
sconsideratamente proprio al [...] casale di Balsignano, muniti di armi
illecite e occuparono il castello di detto casale sebbene nello stesso castello fosse stata stanziata una guarnigione del Re d’Ungheria”.
La rivendicazione di Balsignano da parte dell’arcivescovo Carafa, apparentemente contraddittoria per l’accettazione dell’autorità di
Luigi d’Ungheria e la contemporanea azione ostile verso una guarnigione ungherese, è espressione di quella politica fatta di particolarismi e localismi che spinge principi, città e casali, eternamente in lotta
fra di loro, a muoversi di volta in volta fra due schieramenti opposti
con prevalente spirito di opportunismo.
E così l’occupazione di Balsignano, fatta “con l’inganno di blande
parole” nel settembre del 1349 dai Baresi, allora iloangioini, diventa
il precedente per giustiicare l’incameramento del casale nel feudo
della curia arcivescovile di Bari. La rivendicazione del Carafa, però,
fallisce, poiché Franco de Caroilio, che possedeva Balsignano per
conto dell’abbazia di Aversa, riconquista il castello e caccia i militi
che lo hanno occupato per conto dell’arcivescovo di Bari.
14 febbraio 1351. Una deliberazione dell’Università di Balsignano ricostruisce le vicende legate al tentativo dell’arcivescovo di Bari
46
di appropriarsi del casale. In particolare, viene dichiarato che la popolazione e i diritti dell’abbazia di Aversa sono stati difesi da Franco
de Caroilio, il quale, dopo aver riconquistato il castello, “fece debitamente munire il detto castello di gente ed altre necessità, lo fece custodire molto scrupolosamente e spese per questa impresa una somma
non esigua”. La delibera si conclude con la nomina di Giovanni di
maestro Leone, “uomo distinto e originario di Balsignano”, a procuratore, amministratore dell’economia e messaggero speciale presso
l’abbazia di Aversa, alla quale dovrà recarsi per chiedere che Franco de
Caroilio “rimanga nostro difensore, amministratore e protettore, e
inoltre che il casale rimanga in futuro sotto il suo regime ino alla sua
morte e che le spese sostenute, e che era necessario sostenere per la fortiicazione e la custodia del detto castello, gli vengano rimborsate”.
11 agosto 1352. Nuova concessione di Balsignano da parte dell’abbazia di Aversa a Franco de Caroilio e a sua moglie Palagana de
Monticolo. Il canone annuale, che è il più basso registrato nella storia
del casale, viene issato in sole 20 once, in considerazione delle spese sostenute dal Caroilio per le opere di fortiicazioni realizzate. La
conferma della concessione al protontino di Bari e il modesto canone
annuale costituiscono la prova evidente del buon esito della missione
di Giovanni di maestro Leone e l’accettazione da parte dell’abbazia
di Aversa delle richieste contenute nella delibera dell’Università di
Balsignano del 14 febbraio 1351.
1371. Balsignano risulta aidato a Jacobo Sanseverino, già signore
del casale di Loseto
1377. Balsignano risulta aidato a Marcello Arcamone, signore
dei casali di Binetto e di Ceglie. Probabilmente il casale viene interessato nuovamente da azioni di guerra, poiché, durante la lotta di
successione al trono, apertasi nel 1382, dopo la morte della regina
Giovanna, fra Luigi d’Angiò, suo iglio adottivo, e Carlo di Durazzo,
Arcamone si schierò col primo. L’Arcamone non doveva distinguersi
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molto per virtù militari se è vero che, posto a capo della difesa di un
castello, non si accorse neppure dell’entrata degli assalitori che lo
imprigionarono mentre era ubriaco fradicio.
10 luglio 1417. Accettando la correzione del termine “Bastigiano”, contenuto in un atto della regina Giovanna II, in Balsignano, il
casale risulterebbe aidato a Domenico Attendolo, nipote del grande
condottiero Muzio Attendolo Sforza.
1450. Balsignano risulta aidato a Nicola de Barbiano di Trani
che paga all’abbazia di Aversa solo due once annuali. L’esiguità del
canone, che nel secolo XIV aveva toccato la somma di 50 once d’oro,
è una chiara prova della decadenza del casale, la cui popolazione viene certamente attirata soprattutto da Modugno, che proprio nella seconda metà del Quattrocento avvia più decisamente il suo sviluppo.
In mancanza di una precisa documentazione è diicile individuare le cause della decadenza del casale. Certo, la partenza dei benedettini alla ine del Duecento, la lontananza poi della legittima autorità
feudale (l’abbazia di Aversa) e la sua concessione, di volta in volta, a
signorotti che, possedendo Balsignano per lo più per un quinquennio, cercavano di trarre il massimo proitto, sono fra le cause più
importanti.
D’altronde, ben diverso è il destino di Modugno e di Bitritto,
casali sorti contemporaneamente a Balsignano o poco dopo, che, dipendendo direttamente dall’arcivescovo di Bari, hanno avuto altre
attenzioni ed un’altra storia.
24 marzo 1528. Sentenza del Sacro Regio Consiglio di Napoli,
eseguita a febbraio del 1529, con la quale si ordina l’espulsione da
Balsignano dei fratelli Eligio, Giovan Vincenzo, Rafaele e Alfonso della Marra che lo avevano occupato abusivamente, senza alcuna
concessione da parte dell’abbazia di Aversa.
Nella sentenza si parla del castello e dell’intero casale come rovinati
e abbandonati dalla popolazione, aluita soprattutto in Modugno.
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3. BALSIGNANO DAL 1529 al 1981
di Rosa Claudia De Liso e Maria Franchini
1529. Viene nominato procuratore in Bari per il Monastero di
S. Lorenzo d’Aversa Giovanni de Sermizano, con ampia podestà di
prendere possesso del castri Balsignani e di esigere tutte le rendite.
1533. Giovanni de Sermizano, procuratore del casale di Balsignano
e del suo territorio per conto dell’abbazia di Aversa, concede a censo
alcune terre di detto casale.
1561. Viene compilato un inventario di tutte le terre e fabbriche rurali che compongono la tenuta di Balsignano con i nomi dei
coloni, quasi tutti abitanti di Modugno, e le cifre dei censi annuali.
L’inventario si apre con queste parole:
“Il Casal di Balsignano.
Item Asseruit Dictum Monasteriu’ habuisse et habere ab antiquo
tempore Casali balsignani diruta, situm in provintia terri’ baroli, jux’
terram bitetti et jux’ terra’ modunii et jux’ casali ‘ s. meandri etjux ‘
territoriu ‘ civitatis baroli...”.
1606. Il monastero di San Lorenzo di Aversa vende a Giovanni
de Surdo di Modugno il fondo murato di Balsignano, che così viene
descritto:
“locum structum seu dirutum... cum non nullis arboribus fructum,
muratis circumcirca... nominatum casale Balsignani juxta bona Dom.
o Preschi juxta bona Modunei, juxta viam publicam, ... itur a’ dicta...
Medunei ad Biteti juxta alias viam veterem ...da Bari”.
1695. Nel diario della visita pastorale di Carlo Lofredo, arcivescovo di Bari e Canosa, a Modugno, in data 17 aprile 1695, si legge:
“La Cappella di S. Maria di Costantinopoli del Sig. Arcip.te Mafei
senza beneicio, né peso di messe... ornata... rivestire il vaso dell’acqua
bened.a con li cuscini”.
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Non dovrebbe trattarsi della chiesa collocata nella corte interna
del castello, perché più avanti si legge:
“Si commette la visita della Cappella... e quella di Balsignano al Sig.
Arcip.e Mafei”.
Potrebbe trattarsi della cappella diruta, collocata al di fuori del
fondo murato di Balsignano su quel terreno triangolare disposto sulla curva della provinciale Modugno-Bitritto. Sull’architrave del portale di detta cappella un’epigrafe recita:
SACRA GERENTI GRATIS HIC MANDVCARE LICEBIT
A. D. 1759
Un’altra epigrafe sull’architrave della inestra del lato occidentale
della chiesa ci fornisce il nome del committente:
VIRGINIS AD LAUDEM N. DOMINICHIELLO EREXIT.
Nei documenti notarili della metà del Settecento il fondo murato
di Balsignano risulta coninante con quello di proprietà dei Dominichiello, ed un R. Dominichiello pare essere il committente della
chiesa dedicata alla Vergine.
Una terza epigrafe, tagliata a destra, e pertanto con righe incomplete, è posta sul portale della chiesa, forse murata successivamente:
FERMATI MESSAGGIER...
PENA NON SIA...
IL DIR DIO TI SALVI...
MARIA
Nella “Risposta delli Primiceri e de’ Provveditori e clero della
Maggior Chiesa della Città di Modugno alle notizie generali ordinate
per informazione di Monsignor Arcivescovo circa lo Stato Ecclesiastico e circa le anime della Città Suddetta”, del 1774, si legge, in risposta alla domanda su quante e quali chiese vi siano nel territorio di
Modugno: “La Cappella di S. Maria di Costantinopoli. La Cappella
di S. Maria di Balsignano “.
Alla domanda chi sia il rettore o amministratore ed economo delle
suddette chiese, si risponde: “La cappella di S. Maria di Costanti50
nopoli da Signori Dominichiello n’è cappellano D. Rocco Dominichiello. La Cappella di S. Maria di Balsignano ha il titolo di Arcipretura in persona del Sign.re D. Giovanni Ciaula “.
Ancora nel 1844 il Garruba ricorda che, tra le cappelle rurali dell’agro modugnese, vi è S. Maria di Balsignano, di padronato dell’antica ed estinta famiglia Ruggi d’Aragona, e S. Maria di Costantinopoli in Balsignano, di padronato della famiglia Catilina.
1752. I sei aratra di terra (“aratra sei di Giardino murato con diversi
frutti con Torre e Chiesa nel luogo di Balsignano”) includenti l’antico
casale di Balsignano sono segnati nel Catasto Onciario di Modugno
come proprietà extrapatrimoniale di don Vito Nicola Faenza sacerdote (iglio legittimo e naturale di Francesco Faenza e di Domenica Bizzoco), che ne ricava una rendita di once 66 e tarì 20 e paga un censo
di once 33 e tarì 10 all’abbazia di S. Lorenzo di Aversa.
La suddetta abbazia possiede ancora nove aratra di terra in località Balsignano; compare tra i forestieri don Antonio Ruggi d’Aragona Patrizio della città di Salerno e Trani e accasato nella città di
Modugno, sposato con Giovanna Faenza di Modugno.
1760. Don Vito Nicola Faenza muore nel mese di giugno 1760
a Balsignano. Viene aperto il testamento, scritto di suo pugno in un
letto che si trova al “quarto di Basso del Casino di Balsignano”, ed
aidato al notaio Sabino Romita.
In seguito all’apertura del testamento di don Vito Nicola Faenza
si produce una lite tra le sue nipoti: da un lato, Giovanna e Domenica Faenza (iglie di suo fratello Giacomo); dall’altro, Giovanna e
Benedetta Petrobelli (iglie di sua sorella Francesca). La controversia sull’eredità dello zio sacerdote si conclude con una “Conventio
et Obligatio” a favore di Giovanna Faenza. L’atto contiene l’esito di
una stima del fondo ed una descrizione degli arredi della chiesa di S.
Maria di Balsignano.
1765-1804. Nei catastini di Modugno di questi anni il fondo di
51
Balsignano risulta di proprietà di Emanuele e Vito Ruggi d’Aragona,
igli di Antonio e Giovanna Faenza. L’abbazia di Aversa possiede ancora i nove aratra di terra in località Balsignano.
1813. Don Emanuele Ruggi d’Aragona, rimasto unico proprietario del fondo di Balsignano dopo la morte del fratello Vito, fa testamento e lo lascia al fratello don Benedetto, sacerdote di Modugno, e a
due sorelle monache, Maria Michela e a Maria Luigi, ed in usufrutto
a sua moglie, Cristina Cesena”. Morirà il 10 marzo 1813.
1825. Una nuova lite per la proprietà del fondo intercorre tra
Benedetto Ruggi d’Aragona e Cristina Cesena. Il fondo viene così
descritto:
“Predio rustico nel luogo detto Balsignano, della estensione di aratra
quattro circa, murato, di natura Giardino, con diversi frutti, con Casino, di più camere soprane, sottani, Chiesa, Sacrestia e largo avanti
il Casino, pozzi d’acqua ed altri membri a detto comprensorio di
fabbriche annesse”1825. Il sacerdote don Benedetto Ruggi vende il fondo di quattro
aratra sito in Balsignano ai coniugi Nicola Alfonsi e Rosa Paola Vessio, contadini di Modugno.
1827. Don Benedetto Ruggi d’Aragona fa presente al direttore della Contribuzione Diretta di aver venduto il fondo di Balsignano ai
coniugi Alfonsi, in quanto da un estratto del Catasto Provvisorio del
Comune di Modugno di esso risulta ancora essere lui il proprietario.
1858. Alfonsi Nicola e Rosa Paola Vessio donano il fondo di
Balsignano, di aratra quattro, al iglio Giovanni, come risulta dall’atto
di donazione, confermato nello stesso anno dai rispettivi testamenti.
1867. Dopo l’incameramento nel demanio statale dei beni dei
monasteri soppressi, vengono venduti in località Balsignano con asta
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dell’ 8 dicembre 1867 un fondo di “aratra uno”, e con asta del 10
dicembre 1867 un secondo fondo di “aratra otto di terra”. Presumibilmente si tratta degli ultimi beni posseduti ancora dall’Abbazia di
S. Lorenzo di Aversa in Balsignano.
1877. Progetto di sistemazione della strada fra Modugno e Bitritto,
a cura dell’ingegnere G. Revest. La documentazione consiste in: planimetria, proilo longitudinale, sezioni trasversali, prospetto, pianta
e sezione del ponte su lama Balsignano..
1891. Alfonsi Giovanni è costretto a vendere il fondo di Balsignano,
gravato da due ipoteche, a Lattanzio Francesco Sabino di Giuseppe,
notaio in Bari. Ecco la descrizione della proprietà contenuta nell’atto:
“Il fondo rustico cinto da muri con costruzioni entro e fuori terra, dell’Alfonsi, in Modugno, nella contrada Balsignano, di un ettaro, cinquantacinque ari e cinquantadue decimetri, pari ad aratro quattro della
vecchia misura locale, coninante alla via nuova per Bitritto, a due altre
vie campestri ed a Luigi Pantaleo, avente causa dal Demanio, iscritto in
catasto sotto l’articolo duemilanovecentoottantasei, intestato ad Alfonsi
Giovanni fu Nicola, col numero trecentoquarantaquattro della Sezione
B, a reddito di ducati trentadue e grana diciotto, lire centotrentaquattro e centesimi ottantasei, ed il fabbricato di terreni quattro e soprani
cinque al numero sedici di partita e centocinquantotto fuori mappa, col
reddito dichiarato di lire cinquanta”.
Più avanti l’atto recita:
“Il descritto podere si intende venduto e ceduto in pagamento per la
sua reale estensione tra i conini predetti; con tutte le costruzioni interne
entro e fuori terra, le perimetrali e le adiacenti, tra cui la cappella e colombaio; e nell ‘attuale stato di coltivazione”.
1892. Romualdo Moscioni, fotografo romano, nella sua opera “Apulia Monumentale”, ritrae la chiesa di S. Pietro (S. Felice) a
Balsignano e un afresco della chiesa di S. Maria. È la più antica documentazione fotograica esistente.
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1906. A causa di una alluvione, crolla il ponte della lama Balsignano
sulla strada Modugno-Bitritto; a segnalare il crollo al Sindaco di
Modugno è Domenico Sciannimanico, appaltatore della ordinaria
manutenzione delle strade.
25 gennaio 1911. Viene notiicato al proprietario, notaio Sabino
Lattanzio di Bari, il vincolo sulla chiesa di S. Pietro (S. Felice), previsto dalla legge n. 364 del 20-6-1909.
1929. La Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione, comunica alla Soprintendenza alle
Opere d’Antichità e d’Arte di Taranto l’assegnazione di lire 10.000,
come anticipazione “per lavori urgenti da eseguirsi al tempio di San
Pietro (S. Felice) in Balsignano”.
I lavori sono eseguiti dal Sig. Napoletano Francesco fu Mauro,
costruttore edile di Bisceglie.
7 agosto 1930. L’architetto Luigi Concari, incaricato del restauro
della chiesa di S. Pietro (S. Felice), scrive una lettera in cui descrive
come intende eseguire i lavori alla luce di quanto scoperto dopo la
rimozione delle macerie che coprivano l’abside.
1938. L’ispettore onorario ai monumenti di Modugno, avvocato
Nicola Capitaneo, in una sua lettera alla Soprintendenza di Taranto
scrive:
“La chiesa di S. Pietro in Balsignano, come già verbalmente feci cenno, necessita di restauri. La bella cupola, che internamente si conserva
bene, è invece esternamente in tale stato da non poter evitare la iniltrazione delle acque di pioggia. Occorre visita dell’architetto per i lavori
del caso. “
1940. Lo stesso Nicola Capitaneo scrive alla R. Soprintendenza ai
Monumenti di Puglia:
“Unisco la mia preghiera a quella di molti cittadini per trovare modo
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di tutelare il tempio diruto di Balsignano, nonché la vicina cappella,
che, nello stato attuale di abbandono, deperiscono rapidamente. Gli
atti vandalici si compiono impunemente. Dalle mura dell’antica badia,
lungo la strada, si asportano le pietre squadrate, che s’impiegano a pavimentare le case dei contadini. Nel cortile dell’attuale casa colonica sì
accende il fuoco, danneggiando un portale. I portoni che si chiudevano
ino a poco tempo fa, ora rimangono aperti, perché danneggiati dall’incuria del proprietario. Come provvedere a tale stato di cose? I carabinieri, i vigili campestri non hanno il tempo per sorprendere quelli che
danneggiano i monumenti antichi. Non resta che diidare il ittavolo
ad una più attenta sorveglianza delle antichità a lui aidate”.
1943. Il notaio Francesco Lattanzio vende il fondo di Balsignano
a Lacalamita Tommaso fu Giovanni di Modugno.
1950, Il Soprintendente Franco Schettini scrive, allegando 4 fotograie, al Ministero della Pubblica Istrazione, Direzione Generale
delle Arti, Div. II:
“In una recente ricognizione fatta a Modugno mi sono spinto ino a 6
km dal paese nell’antica località di Balsignano dove ho preso visione
della rovina che incombe sull’importantissima chiesetta di S. Pietro,
monumento di grande interesse architettonico e da annoverarsi tra ipiù
tipici dell’arte pugliese nei secoli XII-XIII.
L’immobile pregevole purtroppo ricade in una proprietà privata e manca di una qualunque manutenzione per cui questa Soprintendenza sente il dovere di segnalare a codesto Ministero la necessità di intervenire
per scongiurare l’irreparabile del monumento”.
1951. La Soprintendenza chiede al Comando dei Vigili Campestri
di intensiicare l’opera di vigilanza su tutto il complesso della chiesa
e del castelletto di Balsignano, poiché “in una recente ricognizione è
stato constatato che l’antica delimitazione in muratura a secco dello
sviluppo medioevale del complesso di Balsignano viene progressivamente disfatta per ricavarne materiale calcareo”.
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1956. Nel registro della Visita Pastorale dell’arcivescovo Enrico Nicodemo, tra le chiese e cappelle campestri igura quella di
Balsignano, del signor Tommaso Lacalamita. Vi si celebra messa una
volta all’anno.
1959. La Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie della Puglia
e della Lucania chiede all’Amministrazione Provinciale notizie in
merito al progetto di apertura di una strada che collega Modugno
a Bitritto, poiché “secondo le informazioni pervenute a questo uicio la strada in parola passerebbe nelle vicinanze della monumentale
chiesa di S. Pietro in Balsignano e sarebbe tracciata in modo da tagliare la muraglia dell’antico abitato”.
1960. La Soprintendenza in una sua comunicazione al Presidente
dell’Amministrazione Provinciale aferma:
“Il proprietario della chiesa in oggetto lamenta che nell’eseguire la
strada Modugno-Bitritto, è stato demolito una parte del muro a
secco di recinzione del suolo su cui sorge il su indicato monumento e che dal varco rimasto aperto entrano greggi di pecore e ragazzi
che producono danni e ingombrano detto terreno “.
1981. Con D.M. del 14 febbraio 1981 l’intero complesso di
Balsignano viene dichiarato “di interesse particolarmente importante
ai sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1089, in quanto eccezionale
esempio di complesso medievale” e, pertanto, viene sottoposto a tutte le disposizioni di tutela previste dalla legge.
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CAP. IV
LE LEGGENDE DI BALSIGNANO
Sono qui di seguito presentate tre leggende su Balsignano, sino a qualche decennio tramandate solo oralmente di generazione in generazione, che attestano
quanto l’antico casale facesse parte della cultura popolare di Modugno.
In tutte e tre sono presenti elementi peculiari delle leggende pugliesi e meridionali: il ritrovamento nelle acque di un quadro della Madonna, miracolosamente asciutto; il suicidio di una nobile giovinetta, che trova nella soppressione
di se stessa l’unica possibilità di sfuggire ad un destino impostole dal padre; il
mistero di un tesoro, celato nei luoghi storici di una comunità.
Un altro aspetto importante che si ritrova nelle tre leggende è rappresentato
da speciici riferimenti storici.
E, così, in Adelasia e Giovanni da Balsignano si parla di un dispotico
“signore e capitano” del casale, che versava in cattive condizioni economiche,
tanto da non riuscire a pagare i censi annuali dovuti all’abbazia di Aversa;
sembra quasi che in questa leggenda venga tratteggiata la igura di Ruggero della Marra che tenne Balsignano fra la ine del Duecento e l’inizio del Trecento.
La seconda leggenda, U Sindeche de Valzegnane, allude alla struttura
amministrativa del casale, fondata anche sull’università e sulla presenza al
suo interno della igura del Sindaco, come ci viene attestato da due delibere,
rispettivamente del 1351 e del 1352.
Inine, la terza leggenda, La befa del tesoro di Balsignano, scritta da Pasqua D’Agostino Trentadue, parla di scorrerie di Saraceni, che, in efetti, non
solo hanno devastato il casale nel 988, ma successivamente si sono ripresentati
con la loro furia devastatrice.
Insomma, sono sì leggende, ma, al contempo, rendono familiare la storia di
Balsignano, conferendole un fascino del tutto particolare.
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ADELASIA E GIOVANNI DA BALSIGNANO
Un tempo viveva a Balsignano la bella Adelasia, iglia di Fiammetta de Montefuscolo e di Roberto della Marra, signore e capitano
dell’antico casale.
Adelasia, dopo un’infanzia trascorsa in modo spensierato e sereno
nei vicoli e fra le case di Balsignano, confondendosi in mille giochi
con i suoi coetanei anche di umile origine, era giunta alla giovane età
e, come il suo nome preannunciava, si distingueva per una grande
nobiltà d’animo.
Quanto il padre era borioso e dispotico verso i Balsignanesi, ormai
rassegnati ai suoi soprusi e ai suoi maltrattamenti, tanto lei era dolce,
amorevole e solidale verso tutti. Se Roberto rincorreva piaceri e disegni per procurarsi in qualsiasi modo il denaro necessario a sostenere
la sua vita smodata, Adelasia, presa com’era dall’amore per l’arte e per
la natura, rivolgeva tutto il suo interesse alle piccole cose, nelle quali
ritrovava sempre sollecitazioni al bello e alla serenità d’animo, tanto
minacciata dal clima che regnava nella casa paterna.
Insomma, Adelasia, che aveva perduto la madre in tenera età, non
sembrava afatto la iglia di Roberto della Marra.
Ogni mattina ella si impegnava in lunghe passeggiate per le campagne e per i boschi, che allora erano folti e numerosi in quella contrada. I contadini, che attendevano il suo passaggio, non appena il
suo armonioso proilo si delineava da lontano, lasciavano il lavoro,
raccoglievano qualche primizia e le andavano incontro ofrendogliela
amorevolmente.
Se i Balsignanesi non furono mai protagonisti di atti di ribellione
verso il loro signore e lo sopportarono con iera rassegnazione, non
fu per paura di eventuali punizioni e ritorsioni, ma per l’afetto nei
confronti di Adelasia, la cui sola presenza suscitava in loro sentimenti
di pace e propositi che trascendevano la loro dura realtà quotidiana.
Un giorno, però, accadde qualcosa di particolare, destinato a cambiare radicalmente la vita di Adelasia e la storia di Balsignano.
Come ogni mattina, ella aveva cominciato da un pezzo la sua pas58
seggiata per i campi ed era già
vicina al grande bosco che allora ricopriva il letto e i costoni di un lungo tratto di lama
Lamasinata. Si inoltrò per lo
stretto sentiero che, fra una
vegetazione itta e secolare,
scorreva sul ciglio del costone
destro, e dopo qualche centinaio di metri si fermò, come
faceva ogni volta, perché proprio lì si apriva davanti agli
occhi un quadretto della natura, che lei non si stancava
mai di contemplare.
Ai piedi del costone, la
itta vegetazione scemava e,
in quel punto, nel letto della
Daniela Saliani:
lama si formava una radura
“Adelasia e Giovanni da Balsignano”
quasi circolare, in cui la natura celebrava il trionfo dei suoi colori e dei suoi odori: ciui di ciclamini si accompagnavano a veri e propri bouquet di margheritine;
qua e là svettava il papavero che si alternava con un iore bianco, che
i bambini chiamavano ombrello; manti soici di pratoline e tappeti
di camomilla indicavano il tratto da percorrere per giungere ad un
piccolo stagno che, ai piedi dell’altro costone, contribuiva a rendere
ancora più idilliaco quel luogo. Lì il silenzio, cui faceva da compagno
il canto dell’usignolo, si esprimeva in tutta la sua realtà e sospingeva
il passante alla contemplazione.
Anche quella mattina Adelasia dapprima diede uno sguardo d’insieme alla radura e poi, come sempre, si sofermò a contemplare i
particolari di ogni angolo. Poneva in questo suo compito giornaliero
molta cura, poiché veniva rasserenata dall’osservare che tutto fosse
rimasto come il giorno precedente. Quella quiete e quel senso di
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sospensione del tempo erano diventati per lei una sorta di unguento
necessario per addolcire i momenti tristi da trascorrere in casa.
Stava quasi terminando la sua minuziosa contemplazione, quando dietro un cespuglio, lì a ridosso dello stagno, intravide la sagoma
di un uomo, fermo e in piedi. Aprì bene gli occhi, si mise la mano
alla fronte per poter scrutare meglio, ma non riuscì a cogliere alcun
elemento utile a capire chi fosse quell’uomo e cosa stesse facendo lì
nel “suo” angolo.
Fece qualche metro e, come sempre, ma questa volta con più lena
del solito, guadagnò il piccolo sentiero scosceso che portava nella radura. Ora, quanto più si inoltrava, tanto più la sagoma indeinita cominciò ad acquistare contorni precisi. Dapprima capì che quella era la
sagoma di un uomo di giovane età, il cui abbigliamento ricercato era
inusuale fra i contadini di Balsignano; poi notò che aveva lo sguardo
isso verso qualcosa che gli era di fronte; inine, quando arrivò a metà
della radura, il delinearsi di un cavalletto sul quale era poggiata una
grande tela sciolse inalmente il mistero: si trattava di un pittore.
«Un pittore qui a Balsignano?» si chiese Adelasia.
«E chi l’ha chiamato? E da dove viene? E cosa sta dipingendo nel
“mio” luogo?»
Tutta presa da questi interrogativi, allungò il passo, si avvicinò
allo stagno e, giunta ad una decina di metri dal cavalletto, si fermò
dietro ad un secolare pino mediterraneo, tese il collo e aguzzò la vista
per scoprire che cosa quel pittore stesse dipingendo. Purtroppo, il
cavalletto era interamente circondato dal cespuglio che, formando lì
un semicerchio assai folto, impediva la vista della tela. Per di più, il
giovane, tutto intento nella sua opera, non aveva sollevato neppure
per un istante gli occhi dalla sua creatura.
Adelasia, per segnalare la sua presenza, fece un leggero colpo di
tosse. Il pittore sobbalzò, si girò di scatto e, riconoscendo subito
la giovane donna, che pure era quasi interamente coperta dal pino,
aferrò un panno e coprì la tela; poi, dominato da un profondo turbamento, restò lì immobile con lo sguardo quasi smarrito.
«Ma tu, tu sei Giovanni di maestro Leone» disse Adelasia, avvici60
nandosi a lui. La sua voce, alquanto tremula, non esprimeva soltanto
sorpresa, ma anche quella gioia controllata che si prova quando dopo
lungo tempo si rivede una persona alla quale si è uniti dall’afetto
maturato nell’infanzia.
Lui, iglio di un maestro d’ascia, lei, discendente dello storico casato dei Della Marra, erano amici di gioco nella loro comune infanzia, anzi erano gli amici.
«Ma come mai sei qui? Maestro Leone mi ha sempre detto che sei
a Siena in una grande bottega di frescanti» disse Adelasia, rompendo
quel silenzio fatto di impaccio che si era impadronito dei due giovani
dopo essersi salutati.
«Ricordi quando vennero qui i frescanti per dipingere nell’abside
della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli quel meraviglioso “Cristo in Maestà”, che viene fuori da una mandorla, e poi tutte le altre
igure di angeli, apostoli e santi?» rispose lui.
«E come dimenticarlo! Quando incominciarono ad afrescare, stavamo insieme incantati sotto i palchetti e invano i pittori ci dicevano
di allontanarci, di andare via: eravamo completamente rapiti dalla
genesi e dal graduale delinearsi della igura su quell’intonaco bianco
e ancora fresco. Poi, purtroppo, morì mia madre, e a me non fu più
concesso di uscire liberamente. Mio padre mi diceva che non ero più
una bambina e mi impose di frequentare solo ambienti e persone
compatibili col nostro rango.»
«Tu, allora, forse non sai che io finii col diventare il garzone dei
frescanti: facevo di tutto pur di stare lì a vederli all’opera mentre
erano impegnati al massimo delle loro capacità e delle loro risorse,
poiché un errore o un segno maldestro avrebbe pregiudicato il tutto
se l’intonaco si fosse asciugato. Quando i lavori furono ultimati, mi
chiesero se li volessi seguire, e a me sembrò di toccare il cielo con un
dito. Ora sono anch’io un frescante e faccio parte della bottega di
Duccio Sanese»
«Come mai sei qui? La tua bottega ha avuto una commissione da
queste parti?»
«No, no, qui ormai nessuno pensa ad un affresco. Sono qui per
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aiutare mio padre, ormai vecchio, nei lavori della mietitura, poi ripartirò subito».
I due giovani si immersero nei ricordi della loro infanzia, ricordarono gli amici comuni, ricordarono soprattutto i giochi innocenti
che li impegnavano per le viuzze e le piazzette di Balsignano.
Adelasia, disponendosi al sorriso, cominciò a ricordare il loro
gioco preferito: quello del serpente. Prendevano un panno scuro e
piuttosto lungo, lo attorcigliavano in modo che sembrasse un serpente e, dopo averlo legato ad una delle due estremità con lo spago,
lo posavano seminascosto al centro di un crocicchio. Intanto, loro
due, al riparo dell’angolo di una casetta, non appena vedevano arrivare qualcuno, agitavano lo spago facendo assumere al panno scuro i
movimenti di un vero serpente. La sorpresa e lo spavento dell’ignaro
passante erano assicurati, così come assicurate erano anche le colorite
invettive. Ne ricordarono alcune, e risero molto.
Ora i due sembravano aver ritrovato la familiarità e la vicinanza
della loro infanzia, tanto che fu naturale per Adelasia chiedergli che
cosa stesse dipingendo. Giovanni, però, si irrigidì subito e, pur non
manifestando un esplicito diniego, rispose vagamente e disse che si
trattava di cosa di poco conto.
L’indisponibilità del giovane a rendere partecipe dell’opera la sua
antica compagna di gioco raffreddò alquanto quell’inizio di recuperata familiarità, e a tutti e due non restò che salutarsi.
Giunta al castello, Adelasia notò che anche quel giorno suo padre era impegnato in colloqui con rappresentanti di conti e baroni
della Terra di Bari. Inutilmente, anche quella volta chiese quale fosse
il motivo del continuo andirivieni di dignitari, giudici e notai. La
risposta di Roberto della Marra era sempre la stessa: problemi di giurisdizione feudale.
Non fu facile per Giovanni e Adelasia superare la notte: tutti e
due si rimproveravano di aver troncato sul nascere quell’atmosfera
delicata e di grande impatto emotivo che si ha quando due persone,
già unite da tanti momenti vissuti insieme da bambini, si ritrovano
per la prima volta dopo molti anni.
62
Quante volte, rigirandosi nel letto, Giovanni si rimproverò di aver
gettato quel panno sulla tela. Certo, questo lo avrebbe messo a nudo,
ma, almeno, non sarebbe stato lui a interrompere bruscamente l’incanto di quell’incontro.
Adelasia, mordendosi le labbra, non finiva di chiedersi come mai
proprio lei, sempre discreta e riservata, avesse fatto quella colpevole
domanda.
Tutti e due attendevano con ansia l’alba, proponendosi in qualche modo di cercarsi e di riprendere i loro ricordi dal punto in cui li
avevano interrotti.
Come sempre, ma prima del solito, la mattina del nuovo giorno
Adelasia incominciò la sua quotidiana passeggiata. In verità, la sua
andatura questa volta era spedita, i suoi occhi non si soffermavano
su cose e persone che incontrava e il suo saluto ai contadini, se non
mancava di cortesia, era piuttosto sbrigativo. Insomma, si capiva che
aveva una meta ben precisa da raggiungere quanto prima possibile.
Giunse sul ciglio della radura col cuore che le arrivava in gola: era
stata assalita per tutto il tragitto dal dubbio di ritrovarsi lì sola. Fissò
subito il cespuglio e intravide il cavalletto che reggeva la tela. Il suo
passo ora divenne veloce.
Più si avvicinava e più l’immagine del dipinto appariva maggiormente definita: dapprima avvistò una immagine sacra indistinta, poi
intravide il volto di una Madonna, infine scorse il profilo di una
Santa Maria di Costantinopoli. Quando si fermò a pochi metri dalla
tela ebbe quasi un sussulto: i lineamenti di quella Madonna richiamavano quelli del suo viso. Si avvicinò ancora di più, si fermò, fissò
intensamente l’immagine e non ebbe più dubbi: quel volto ritratto
a forma di Madonna era il suo volto.
Si guardò intorno e vide seduto su un masso a ridosso dello stagno
Giovanni, che, incrociando i suoi occhi, le disse: «Capisci ora perché
ieri ho coperto la tela? Ti piace? L’ho completato questa notte.»
Lei non rispose. Pensava a quel suo viso ritratto così fedelmente,
alla dolcezza, alla serenità e a quella atmosfera sospesa che esso emanava; pensava anche che Giovanni aveva sempre conservato in qual63
che angolo dell’anima la sua immagine, evidentemente l’immagine
della sua madonna. Si avvicinò a lui, gli allungò la mano e lo aiutò
ad alzarsi.
I due giovani, da sempre presi l’uno dall’altro, camminarono e
camminarono, dicendosi tutto, progettando il loro futuro. Fu bella
ed innocente quella mattinata per loro, ma fu terribile il ritorno alla
realtà.
Dopo essersi salutati, dichiarandosi una infinità di volte fedeltà
eterna, Adelasia non era ancora giunta al castello, quando due servi,
spuntati in lontananza da un viottolo, agitando le mani e, chiamandola più volte, la invitarono a fermarsi: portavano l’ordine del padre
di presentarsi subito al suo cospetto.
«È assai strano che lui mi cerchi. Chissà cosa ha da dirmi.» disse
fra sé.
Un dubbio, però, si impadronì di lei mentre si affrettava a raggiungere il castello: pensò al patrimonio di famiglia, composto prevalentemente dalla dote della madre, andato perduto per la vita dissoluta
del padre; ricordò l’ingiunzione del camerario di Bari che ordinava
di pagare i censi annuali, evasi da tanto tempo, alla lontana abbazia
di Aversa, proprietaria del feudo di Balsignano; rivide lo sguardo del
tutto particolare che i rappresentanti di diversi baroni e conti della
Terra di Bari le rivolgevano quando la incrociavano per i corridoi, per
le scale o nella corte interna del castello.
«Che l’ordine di presentarmi al suo cospetto abbia a che fare con
tutto questo?» si chiedeva, mentre bussava alla porta dello studio del
padre.
«Sì, sì, entra e siediti là» disse con voce metallica Roberto della
Marra, continuando a leggere il documento che aveva sullo scrittoio.
L’espressione severa più del solito, i folti sopraccigli increspati e
la fronte sensibilmente corrugata del padre non lasciavano presagire
nulla di buono e rafforzarono il dubbio che aveva tormentato Adelasia mentre raggiungeva il castello.
«Ecco» soggiunse lui, indicando il documento dello scrittoio, «ho
64
firmato il contratto del tuo matrimonio. Benedetto Arcamone, signore dei casali di Loseto, Ceglie e Bitritto, ha accettato tutte le mie
richieste. Dovrai sposarlo alla fine di questa estate»
«No, no» gridò per la prima volta davanti al padre Adelasia, chiudendosi poi in uno stato di disperazione indescrivibile.
«Sapevo già della tua reazione. A partire da questo momento e
sino al giorno del matrimonio sarai relegata nella torre di isolamento
del castello». Poi chiamò due guardie e ordinò di accompagnare la
figlia lì sulla torre, di vigilare notte e giorno e di non permettere ad
alcuno di avvicinarsi.
Benedetto Arcamone, a dispetto del suo nome, si distingueva per
il carattere violento e volgare; vedovo da qualche tempo e già molto
avanti negli anni, aveva l’unico pregio, ma solo per Roberto della Marra, di disporre di un grande patrimonio. Di lui si dicevano cose tristi
e non mancava chi giurasse che avesse fatto morire la moglie di crepacuore. Contadini e servi, dopo aver ostentato formale rispetto davanti
a lui, si scambiavano subito dopo complici sorrisi alle sue spalle e il loro
pensiero puntualmente andava all’impresa che lo aveva reso ridicolo in
tutto il Regno: Arcamone, chiassoso millantatore di vittorie in duelli e
tornei, posto a capo della difesa di un importante castello della Terra di
Bari, non si accorse neppure dell’entrata degli assalitori che lo imprigionarono mentre era ubriaco fradicio. La sua famiglia dovette pagare
un consistente riscatto per ottenere la sua liberazione.
Intanto, nei giorni successivi inutilmente Giovanni attese l’arrivo
di Adelasia lì in quella radura. Cercò di ottenere qualche notizia, ma
nessuno fu in grado di dirgli qualcosa. E così, terminati i lavori della
mietitura, partì, raccomandando agli anziani genitori di tenerlo informato su ogni novità che si veriicasse a Balsignano.
La madre, che aveva osservato più volte la Madonna dipinta e aveva colto in dall’inizio l’espressione trasognata del iglio, salutandolo
al momento della partenza gli sussurò: «Non ti preoccupare, appena
sapremo qualcosa di Adelasia, in qualche modo ti informeremo».
La prima domenica di settembre fu assai animata a Balsignano:
l’araldo uiciale di Roberto della Marra, cavalcando un cavallo bar65
dato secondo le grandi occasioni, girava per le viuzze del casale annunziando il matrimonio di Adelasia. Fermandosi ad ogni crocicchio
e attendendo che si radunasse la folla, srotolando lentamente una
pergamena, con tono solenne annunziava ad alta voce: «Gente di
Balsignano, il nobile Roberto della Marra, nostro signore e capitano,
vi informa che l’ultima domenica di questo mese verrà celebrato il
matrimonio di sua figlia, madonna Adelasia con Benedetto Arcamone, signore dei casali di Loseto, Ceglie e Bitritto. Quel giorno saranno sospesi tutti i lavori e le case dovranno essere abbellite da drappi
e coperte ricamate».
Quella stessa mattina, il padre di Giovanni si recò al porto di Bari,
dal quale al tramonto di ogni domenica partiva una nave per Pisa,
e pregò il capitano, al quale si era rivolto anche nel passato, di far
giungere a suo figlio Giovanni la notizia del matrimonio di madonna
Adelasia.
Arrivò così la data fatidica. In ogni angolo della corte interna di
Balsignano v’erano damigelle, nobildonne, giovani cavalieri, conti
e baroni; fuori, ai due lati del viale che congiungeva il castello alla
chiesa di San Felice, dove si sarebbe dovuto celebrare il matrimonio,
i Balsignanesi si accalcavano, cercando di guadagnare la prima posizione per guardare da vicino la sposa.
Fra squilli di trombe e rulli di tamburi fu aperta la porta della
corte interna del castello di Balsignano e il corteo nuziale cominciò
a muoversi.
Alle vistose espressioni di soddisfazione del Della Marra e di Arcamone si opponeva la profonda mestizia di Adelasia che procedeva
con gli occhi bassi, quasi stesse dirigendosi verso il patibolo. La folla,
anch’essa triste e silenziosa, era tutta con lei e partecipava visibilmente alla sua tragedia.
Nel punto in cui il viale era ricoperto da un noce secolare, Adelasia, rispondendo ad uno di quegli impulsi inspiegabili, sollevò lo
sguardo e i suoi occhi si incrociarono con quelli di Giovanni, presente anche lui fra la folla ammutolita.
Fu un attimo: liberandosi del braccio del padre, Adelasia comin66
ciò a correre con tutta la sua disperazione, gettando via il copricapo
bianco, i monili e pezzi del vestito nuziale. Tutti restarono lì come
paralizzati e quasi incapaci di fare qualcosa.
Solo Giovanni capì e cercò di raggiungerla, facendosi strada disperatamente fra la folla. Purtroppo, non gli riuscì di fermarla: Adelasia,
giunta con una velocità sorprendente sul ciglio della lama, si gettò
giù nel fiume. Giovanni, che pensava quasi di poterla afferrare, la seguì e i due corpi scomparvero nelle acque che proprio in quel punto
erano più profonde, violente e particolarmente limacciose.
Tutti si portarono lì sulla lama e si sporgevano pericolosamente
nella speranza di vedere affiorare i due giovani. Solo Roberto della
Marra e Benedetto Arcamone restarono lì fermi sul viale a discutere
animatamente.
Nessuno può dire con certezza se i due giovani siano morti o se si
siano salvati, poiché i loro corpi non furono mai trovati, nonostante
nei giorni seguenti tutto il fiume fosse stato scandagliato minuziosamente sino alla foce. Quel che è certo, invece, è che una sorta di
maledizione cadde sull’antico casale: le vessazioni di Roberto della
Marra si moltiplicarono, pessimi raccolti si susseguirono per diverse
annate, un velo di tristezza si impadronì dei Balsignanesi, che così
sempre più numerosi abbandonarono l’antico casale.
Quasi a custodia del castello, delle chiese e delle case restò solo
un vecchio saggio, che narrava ai passanti la tragedia di Adelasia e di
Giovanni. Alla fine del racconto egli profettizzava immancabilmente: «Giorno verrà in cui l’interesse per le opere d’arte del casale e la
commozione per la tragedia dei due giovani sveglieranno i cuori degli
abitanti di Modugno: solo allora si dileguerà quel sortilegio malefico
che avvolge Balsignano».
Verso la fine dei suoi giorni quel saggio ebbe quasi una conferma
della sua profezia: alcuni bambini, giocando fra le rovine del villaggio, entrarono nella casa che fu dei genitori di Giovanni, trovarono
una grande tela raffigurante la Madonna e, mirandola con religioso
silenzio, la portarono nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli,
depositandola sull’altare principale.
67
IL SINDACO DI BALSIGNANO
In un autunno di tanto tempo fa, di cui ormai nessuno più
conserva memoria, a Modugno ci fu un lungo periodo di piogge:
l’acqua scendeva ininterrottamente dal cielo, allagando i campi e
annullando l’intero lavoro della semina, in cui tante speranze erano
riposte. Molti terreni, e particolarmente quelli disposti sulle serre o
lungo le lame, erano minacciati dalla furia travolgente delle méne,
che, ancora oggi, quando si formano, sono assai temute dai contadini,
poiché cospargono di pietre i fondi attraversati, si portano via il
terreno supericiale facendo aiorare il sostrato roccioso, sdradicano
ortaggi, viti, arbusti e persino, in casi di particolare violenza, alberi
secolari.
Le méne, questi improvvisi corsi d’acqua a carattere torrentizio,
hanno il loro letto naturale a fondo delle lame che, quasi a cerchio,
delimitano il territorio agricolo di Modugno: una ména passa per la
lama della via di Palese; un’altra percorre la lama Risotti (la-mersotte) e
tocca la piccola vallata del bosco; un’altra ancora si forma in contrada
Piscina Nuova e continua a scorrere nell’avvallamento sottostante il
casale di Balsignano, congiungendosi poi in contrada Percédde con la
ména che proviene dalla lama Risotti.
Fu proprio per l’avvallamento sottostante il casale di Balsignano
che in quel tempo per le piogge abbondanti scorreva una ména
impetuosa e imponente. I contadini, che avevano dei fondi nei pressi
della ména de Valsegnene, quotidianamente scendevano verso il corso
d’acqua per osservarne il livello e per tentare di porre qualche rimedio
alla sua furia.
Una mattina uno di questi contadini, compiendo la sua solita
ispezione, intravide in un grosso cespuglio un grande quadro della
Madonna, trascinato in li chissà da dove e trattenuto dai rami itti
e capaci della pianta. Si avvicinò subito al cespuglio, si inginocchiò,
prese con dolcezza e con senso di venerazione il quadro fra le mani
e il suo volto si illuminò tutto: l’immagine della Madonna era
completamente integra e asciutta, la furia delle acque non l’aveva
68
scalita minimamente. Il suo
animo fu preso da un senso
profondo di turbamento e di
commozione: era chiaro, egli
pensava, che quel quadro non
era capitato lì per caso, esso era
stato inviato certamente dal cielo
come dono e lieto presagio.
Quel contadino, dopo i
comprensibili primi attimi
di smarrimento, si alzò e,
stringendo
gelosamente
il
quadro fra le braccia, incominciò
a correre con tutte le sue forze
dirigendosi verso la chiesa di S.
Maria di Costantinopoli, situata
nella corte interna del castello di
Balsignano, e correndo gridava:
Cartolina postale, viaggiata nel 1900,
«Meracle, meracle, la Madonne
che ripropone la foto di un contadino,
soprannominato il “Sindaco di Balzignano”
n’a fatte u meracle» (Miracolo,
miracolo, la Madonna ci ha
fatto il miracolo). Giunto nella chiesa, posò il quadro sull’altare, si
inginocchiò e cominciò a pregare; un primo gruppo di contadini e
di abitanti del casale di Balsignano, che lo avevano sentito gridare
e visto correre, lo raggiunse subito e, dopo essere stato informato
dell’evento, si unì a lui in preghiera.
La notizia del miracoloso ritrovamento del quadro toccò anche gli
angoli più sperduti della campagna modugnese e giunse persino in
paese ,e in men che non si dica una folla curiosa e pia si raccolse in
preghiera davanti all’eigie della Madonna all’interno della chiesa di
S. Maria di Costantinopoli.
La tradizione orale ci tramanda che dopo qualche ora di preghiera
si ebbe un repentino e positivo mutamento delle condizioni
atmosferiche: le nubi, che minacciose opprimevano gli animi, si
69
Michele Cramarossa: “U Sindeche de Valzegnene” (1982)
dissiparono improvvisamente, la pioggia, che cadeva ininterrottamente da tanti giorni, cessò completamente e il sole ritornò sorridente
in un cielo azzurro e terso.
La gioia di quella folla fu indescrivibile: abbracci, baci al quadro e
alle persone, esclamazioni di felicità, lacrime di commozione e tanti
buoni proponimenti, giurati solennemente davanti alla Madonna,
non si contarono.
Quel quadro miracoloso fu ben presto al centro della devozione
popolare, anzi esso fu subito portato in processione a Modugno e,
dopo essere stato esposto’ al culto per diversi giorni, fu riportato con
una solenne nuova processione nella chiesa di S. Maria di Costantinopoli.
Naturalmente, al centro di queste manifestazioni religiose
fu senz’altro quel contadino che aveva trovato il quadro, al quale
andarono molti riconoscimenti a tal punto che lo si cominciò a
chiamare u Sindeche de Valzegnene (il Sindaco di Balsignano), quasi a
voler richiamare l’antica carica che il casale aveva nel medioevo.
70
LA BEFFA DEL TESORO DI BALSIGNANO
Balsignano, con il suo fascino misterioso, evoca sempre alla mia
memoria una vecchia storia di tesori, di demòni (guai, nella mia infanzia, anche solo a pronunciare questa parola), di tradimenti, di
preti avidi ed ipocriti.
La raccontava la nonna, in un timoroso sussurrare, per far star
buoni i bambini, nelle lunghe sere d’inverno. Sgridata bonariamente
da igli e nuore scettici, perché turbava la fantasia dei piccoli con
vecchie e stupide chiacchiere, si difendeva dicendo che il «fatto» era
vero, perché lei era uno dei personaggi della vicenda. Non per niente
era soprannominata Pasque de Valzegnene (Pasqua di Balsignano)! E
ridessero pure le sapute (i saccenti) increduli, ma c’era mancato poco
che lei diventasse ricca.
Il «fatto» risale a molto tempo addietro, quando sulla nostra costa
approdarono i pirati saraceni e facevano razzie, spingendosi anche
nell’entroterra.
La famiglia Alfonsi, che all’epoca risiedeva a Balsignano, ebbe notizia dell’avvicinarsi di un’orda di Saraceni, per cui nascose tutti i suoi
averi, denaro, preziosi, vasellame ine, in un pozzo, collegato ad un
cunicolo sotterraneo, identiicabile con due alberi di olivo, collocati
in una determinata posizione a ridosso della chiesa di San Felice.
Quindi fuggirono tutti verso la località corrispondente all’odierna
Valenzano, dagli stessi fondata, a detta della nonna.
Verso la metà dell’Ottocento, l’altalena delle vicende ci fa ritrovare
coloni a Balsignano i discendenti della famiglia Alfonsi, che sapevano
dell’esistenza del tesoro e, vuoi per i racconti tramandati, vuoi per un
poco probabile sogno rivelatore, riuscirono ad individuare l’accesso
al cunicolo.
Dopo alcuni scavi, inalmente, trovarono il pozzo che era stato
ben occultato, e notarono, dall’alto, un afascinante luccichìo. Cominciarono a scendere ma, assuefatti gli occhi all’oscurità, intravidero sul fondo una grossa serpe acciambellata, che così parlò: «Non è
per voi, ma per la terza generazione dopo di voi».
71
Terrorizzati, ma nel contempo ben decisi a non rinunciare a quelle
ricchezze, si afrettarono a raccontare il fatto ad un prete (forse di
Modugno) e ad invitarlo al pozzo per benedirlo, perché evidentemente posseduto da uno spirito maligno.
Il sacerdote li seguì, ed accertatosi dell’esistenza di quella fortuna,
riiutò di inoltrarsi e negò la benedizione liberatrice, raccomandandosi di non conidare ad altri del ritrovamento e di attendere, nel rispetto della volontà espressa dal serpente, pena chissà quali tormenti
infernali.
Si giunse così agli anni precedenti la seconda guerra mondiale,
allorché i discendenti designati erano ormai adulti, e decisero (escludendo intenzionalmente la mia ava, che, appartenendo a quella terza
generazione vaticinata dal serpente, pure sarebbe dovuta essere beneiciaria) di andare a prendere possesso del tesoro. Ma... quale befa!
Trovarono solo alcuni «pittali» pieni di carbone, scorze di mandorle
e stracci.
Nell’intrecciarsi delle supposizioni, ci furono gravi accuse reciproche, che minacciarono la pace tra le famiglie, in quanto si pensò
che un furbo tra i furbi si era già nascostamente impossessato delle
ricchezze. Il tempo, però, non denunciò l’emergere economico di
alcuno fra i cugini.
Pasque de Valzegnene, con la soddisfazione del tradito che ha ricevuto giustizia dall’Altissimo, sentenziò: «Il tesoro, custodito dal diavolo, se l’è preso il diavolo, perché gli eredi, cercando di frodare uno
del loro stesso sangue, hanno confermato l’antica maledizione».
Ma un furbo tra i furbi c’era stato davvero, anche se in famiglia si
preferiva non ammetterlo apertamente, in quanto sarebbe emersa la
troppa ingenuità degli avi, che avevano raccontato tutto al prete!
Ma come non essere comprensivi con quella gente semplice di
campagna, uomini timorati di Dio, che si sforzavano di disdegnare
le «brame terrene» perché opera del demonio, secondo una credenza
medievale non solo popolare, ma difusa anche nei ceti superiori, che
le successive epoche storiche non erano riuscite a cancellare, perché
opportunamente alimentata dal Clero.
72
Quali potenti suggestioni avrà acceso
nelle loro menti la vista della serpe accanto
al tesoro, sì che essi
l’udirono parlare! Da
sempre nella religione
cristiana, questo animale, peraltro abitatore consueto delle nostre campagne, è simbolo del demonio. E
a chi altro meglio del
prete, essi potevano
conidare il timore che
il tesoro potesse essere
maledetto? E il prete
non poteva smentirsi nella parte assegnatagli dal popolo (lo si
riscontra anche in altre
Antonio Longo: “La befa del tesoro” (1983)
leggende modugnesi),
e che la storia conferma, cioè, di rappresentante degno di una potenza, quella ecclesiale appunto, che regolava a suo vantaggio tutta
la vita del paese negli accadimenti giornalieri e visibili e nei tormenti
nascosti delle anime. Avido e freddo calcolatore, s’impadronisce del
tesoro, così ingenuamente denunciato, e quasi trova in ciò una giustizia alla sua tentazione.
Se «la storia» sia vera o no a noi non vale. Vale ricordarla come
ulteriore esempio di come all’epoca si svolgeva il gioco fra la chiesa,
la povera gente, e la genda bbone (la gente buona, quella cosiddetta
per bene), complice spettatrice. E si sa chi vinceva la partita.
E così, ancora una volta, giustizia è resa a Pasque de Valzegnene.
Pasqua D’agostino Trentadue
73
CAP. V
BALSIGNANO: POESIA DI UN LUOGO
Dalla raccolta “Amor di pietre ritte e sepolte”
di Vito Ventrella
Fra le diverse attività e ricerche che sono state promosse per la valorizzazione di Balsignano, non poteva non trovare posto la poesia.
Conservo ancora un nitido ricordo di quelle conversazioni con Vito Ventrella sul fascino del casale, su quelle pietre che parlano ancora e “trasudano
speranze di vecchi stallieri che ne fecero guanciali”. Dopo qualche giorno, Vito
mi inviò alcune poesie che non mi stancavo di leggere e di rileggere: sino a quel
momento pensavo che un componimento poetico potesse cogliere l’anima e il
senso profondo di un bene culturale, ma non che lo potesse descrivere e lo potesse
far rivivere secondo i suoi peculiari caratteri storici.
Ebbene, le poesie di Vito Ventrella, che qui di seguito riproponiamo, ci introducono nel casale, ci aiutano a vedere in modo nuovo le sue pietre, ricostruiscono l’immagine originaria della “bella San Felice”, di Santa Maria di
Costantinopoli, del castello e dei sassi sparsi qua e là sulla nuda terra, tanto che
al lettore si presenta il mondo vivo e pulsante della comunità di Balsignano,
ancora impegnata nella sua vita quotidiana con tutto il suo carico di fatica e
di speranza.
Non è questo un risultato casuale, perché Vito è profondamente convinto
che «c’è un mondo che ci precede e che ci supera e la pietra ne fa parte. In essa
“scorre” il iume della storia del territorio, dei ricordi e delle suggestioni di
ognuno di noi. Ogni granello di pietra o di polvere, visto controluce, è una promessa di avvenire. Ma la poesia, pur facendosi carico del bisogno, altrimenti
detto oggi domani, ogni tanto si interroga sul passato e chiede al mondo di ieri
la promessa di essere stato».
Le otto poesie di Vito Ventrella, qui di seguito proposte, fanno parte di una
più ampia sua raccolta, dal titolo Amor di pietre ritte e sepolte. Ruderi e
borghi tra Modugno e Mostar.
74
La pietra-icona del casale
Le pietre che hanno servito il duca,
il signorotto, sono qui,
ben disciplinate nelle mura del casale,
brune e accigliate, l’una su l’altra,
in itti drappelli,
chiuse come pigne verdi,
serrate nei ranghi,
pronte a sostenere l’ultima
sortita di archibugieri urlanti.
Svanito il polso
che le conciò con asce sonanti,
perduto il vento che ne ha limato la fronte,
ognuna di esse ha guadagnato
per sé e per la pietra
che le sta accanto
il virtuoso nome di Icona.
Insieme si accorano
a tenere in piedi ciò che resta,
un iato le imperla,
ogni pietra una palpebra,
occhi che ci scrutano
di contadini poco loquaci,
armenti tosati e sudore che avanza
alla carne di olive-operaie.
In alcuni di questi conci
una voce tuona
dall’interno del casale
“Spicciatevi, ché l’aria è amara!”,
da altri trasudano le speranze di vecchi stallieri
che ne fecero guanciali.
75
Se una pietra ha impresso il nitrito dei cavalli,
l’altra è tesa come un arco
a rilettere la tosse degli inverni.
Sì, questa pietra così ferma
e che rapida fugge lungo le pareti,
questa icona così colma e attiva,
è la mano callosa di chi ha
impugnato vanghe, rastrelli,
è la caviglia robusta della tata,
la luce crociissa.
…Ma se questa è la pietra
che ha iltrato il delirio dei mosti,
quella potrebbe avere ancora un bimbo nel ventre…
Qual è la pietra-icona
d’un rumore d’acqua a valle?
Odo le voci della piena
e un lontano canto di usignoli.
Alina, oggi, questo è il casale
appena venerato
da uno sguardo in bicicletta,
e quella che vedi possente assecondare
il rialzo dell’altura,
è la sua parete imperiosa,
il grido roccioso
che cinge Balsignano e lo fortiica.
76
Un icodindia a guardia del casale
Se un giorno qualcuno
dovesse chiedermi chi è rimasto
a guardia del Casale
nel suo progressivo dirupare,
chi, nel temporale delle stelle
e nel bianco fuoco
di neve abbagliante,
gesticolando
ha messo in fuga i cani e i corvi,
se tu, Alina, mi inviti a ricordare
con quale arma il casale già prostrato
ha difeso la sua lunga degenza
tra mandorli noci e ulivi,
io troverò che una penna
ha schierato il fascino della storia
intorno ai rumori del suo lento quotidiano,
ma oserò pensare
che a sentinella di questa altura
e del suo terso respiro
ci restò quel icodindia
che vedi piantato
nel costato del fortilizio
simile a un pugno di soldati con pale
a mo’ di elmi in testa.
A giugno iorisce ancora il bardo
e si sporge allato del sentiero
con tutto il peso
del suo verde stralunato,
nulla è mutato,
alla sua acqua continua a bere
una vena del casale
che in alto taglia con pietra diruta
l’orlo di un cielo azzurro azzurro.
77
Una famiglia unita
Fresche all’alba
e colme come guance riposate
le pietre icone del casale
hanno l’aspetto sereno
di una famiglia unita,
fuori hanno lo sguardo obliquo
di chi segue il forestiero
che passa oltre
e va verso Modugno o Bitritto,
dentro, in un cortile che resta sempre aperto
a un immobile latrato,
ascoltano lo scalpitare di uno zoccolo
che s’è fermato nel sasso.
Nessun grido le muove, Alina,
ma sul dorso sofuso di polverosa umiltà,
hanno inciso i rituali della noia
e delle feste,
il clamore dei giorni profumati
d’arancio,
il fruscio delle gonne,
le note di un valzer,
il becchettare dei pulcini,
le colazioni di morbidi conigli,
questi che spogliano verdi ramoscelli,
le capre dimenando le loro mammelle
in un rigido lamenco.
78
Spenta la luna sul casale
Ma la prima volta
che fui al borgo,
la prima volta che di Balsignano
respirai l’aria e il tramonto,
fui immerso in una tale profondità
e nettezza di volumi che
in me si fece ombra,
tutte le pietre visibili
erano un gregge ammutito
e il loro belato, l’avessi cercato,
sarei impazzito
scivolando in un accumulo
di secoli starnuti.
Allora, misteriosi
apparvero subito
non già i silenzi schierati
intorno al chiaro frantume
di una chiesetta,
ma i rosolacci indipendenti,
i vermi indiferenti,
le piccole bestie oziose a guardie campestri
e più su i padri miei e tuoi,
e i nonni dei dintorni
che, spenta la luna sul casale,
videro sfollare servi mariti e mogli
da come il bue muoveva l’occhio
alla pallida luce di un nuovo giorno.
79
La sera sul borgo
Qui, al casale,
si può ancora dire
che la sera scende sul borgo
e lo trasforma in un calmo
e muto restare
quel che domani sarà
di nuovo un laico altare,
anche su di noi la sera
scende benigna,
Alina, ma in nulla ci trasforma
la poca luce
che qui invece sostiene la curva
e imbocca un sentiero
che vuole rivelarti il dopo
dopo l’ultimo alberello d’ulivo,
dopo quel sasso viola in bilico,
dopo l’intrico dei rami
e delle stoppie,
dopo che avrai udito nel buio
il grido della civetta.
Qui, ogni svolta
inaugura un mistero,
puoi inire nel dissidio di un rovo,
in un sussurro di vigneti
o in un sogno di insetti
al riparo della pietra
come sotto la volta di un Castello.
La sera - che qui, al casale,
ripara i buchi,
riempie i fossi,
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chiude le finestre
e gli usci spalancati,
al paese inarca un fremito di lampadine,
squarcia il buio,
beve fiotti di luce elettrica,
serpeggia dagli specchi,
si danna,
ostenta il suo inchiostro
come fosse giorno
e la vita riparte con un bramito
dal punto in cui,
scesa di bocca al suo contadino,
si era accartocciata in una foglia
al suono di una dolce ninnananna.
La bella San Felice
Quando i lumi a petrolio
e le speranze
dissero addio al borgo,
vi tralasciarono il suo più caro gioiello,
lei, la luminosa
e bella San Felice
che ailava il volto
a un broncio
che ha sempre conservato
l’eleganza delle sue origini
principesche,
una solitudine pensosa
e tessile,
orlata di una ragionevole calma
che non aveva
nulla di volubile,
sebbene femminea
s’erge la sua cupola
e da ogni tempia
emani il nobile
profumo dell’inferma
col suo rovinato burqa.
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Quando il sole avvampa l’altura
Non venire, non venire qui
quando il sole avvampa l’altura,
quando il borgo
a schiena aperta
lamenta l’arsura,
non venire all’imbrunire
se non vuoi portarti nel cuore
e nella coda dell’occhio
l’ombra che taglia con la scure
Santa Maria di Constantinopoli,
vieni con un verso di cicale
segui le farfalle
che danzano al vento
entra a capoitto nella pietra
se ne riconosci il grembo
e se nel grembo
avverti il canto
della tua vecchia carne in esilio.
82
È difficile lasciarti
È difficile lasciarti
nell’ora in cui
il viaggio di tutto un giorno
si fa più terso,
quando i saluti,
gli addii vengono giù a grappoli,
quando le pietre vedo stringersi
come ordinate suorine
nel loro casale
ed io, ebbro di stanchezza,
passo sul labbro
l’orlo del mio bicchiere sbeccato
e brindo con te,
ultima goccia di luce,
mia ultima radiosa ferita.
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INDICE
Premessa
5
1. ORA BALSIGNANO PUÒ TORNARE A VIVERE
1. Il delinearsi di un impegno sistematico
2. E Palazzo Santa Croce viene contagiato da Balsignano
3. Balsignano fra vandalismi e recupero
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8
20
25
2. DUE INIZIATIVE DA RIPROPORRE
1. Il sistema castellare in Puglia e il ruolo, al suo interno,
dei castelli di Balsignano, Sannicandro e Gioia del Colle
2. Premio Balsignano - Città di Modugno
di storia e cultura popolare
32
3. LA SPECIFICITÀ DI BALSIGNANO
1. Il complesso di Balsignano
2. Balsignano dal 962 al 1528
3. Balsignano dal 1529 al 1981
di Claudia Di Liso e Maria Franchini
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37
40
4. LE LEGGENDE DI BALSIGNANO
1. Adelasia e Giovanni da Balsignano
2. Il Sindaco di Balsignano
3. La befa del tesoro di Pasqua D’Agostino Trentadue
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58
68
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5. BALSIGNANO: LA POESIA DI UN LUOGO
Poesie di Vito Ventrella
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1. La pietra-icona del casale
2. Un icodindia a guardia del casale
3. Una famiglia unita
4. Spenta la luna sul casale
5. La sera sul borgo
6. La bella San Felice
7. Quando il sole avvampa l’altura
8. È diicile lasciarti
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VOLUMI PUBBLICATI DA NUOVI ORIENTAMENTI
Vito Faenza, La vita di un Comune, (a cura di R. Macina), 1982;
Rafaele Macina, Il 1799 in provincia di Bari, 1985;
Anna Longo Massarelli, Costume e società nei proverbi modugnesi, 1986;
Seraino Corriero, Alla scuola del fascismo, 1987;
Sandro De Feo, Gli inganni, (presentazione di A. Moravia), 1988;
Giuseppe Ceci, Balsignano, 1988;
Ivana Pirrone, Stagioni di Puglia, 1990;
Anna Longo Massarelli, La vita quotidiana nella cultura popolare, 1991;
Vincenzo Romita, Liriche, 1991;
Rafaele Macina, Modugno nell’età moderna, 1993;
Anna Longo Massarelli, Dizionario del dialetto modugnese, (presentazione
di Seraino Corriero), 1995;
Rafaele Macina, Estro e malizia negli agnomi popolari, 1996;
Anna Longo Massarelli-Ivana Pirrone, I sapori della terra, 1997;
Quinto Tullio Cicerone, Commentariolum petitionis (Vademecum del
candidato, a cura di Cristina Macina), 1997;
Lucio Anneo Seneca, Epistula XVIII ad Lucilium (Intorno ai Saturnali, a
cura di Cristina Macina), 1997;
Rafaele Macina, Viaggio nel Settecento, 1998;
Rafaele Macina, Viaggio nel 1799, 1999;
Dina Lacalamita, Storia segreta di un converso del 1799, 1999;
Vincenzo Romita, Uno stupido fondo di bottiglia, 2000;
Rafaele Macina, Antologia di una città, 2004;
Vincenzo Romita, Entroterra, 2004;
Anna Longo Massarelli, L’arguzia del popolo, 2007.
Seraino Corriero-Rafaele Macina, La magia del racconto nella cultura
popolare, 2009.
Rafaele Macina, La Puglia dall’Unità d’Italia al fascismo, 2010.
Rafaele Macina, L’Unità d’Italia in Terra di Bari. Un caso particolare:
Modugno fra il 1860 e il 1861, 2011.
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Finito di stampare
nel mese di novembre 2012
da Litopress