R. Castagno, L’evergetismo di Traiano ed Adriano nelle città dell’Italia, “LANX” 1 (2008), pp. 110‐138
RAFFAELE CASTAGNO
L’evergetismo di Traiano ed Adriano nelle città dell’Italia.
Opere pubbliche e modalità di intervento.
1. Introduzione
«Fenomeno collocabile tra il politico, l’economico e il sociale l’evergetismo occupava un posto essenziale nella vita
delle comunità. Il termine è un neologismo contemporaneo che indica l’atteggiamento munifico e i benefici (evergesie) degli
individui verso le collettività […]. Questa dimensione civica è fondamentale e distingue l’evergetismo da altre forme di
generosità, giustificate dalla pietà religiosa, dalla carità o dal mecenatismo, così come dai benefici legati alle relazioni
personali». 1
Strade, porti, acquedotti, terme, teatri, anfiteatri, templi, magazzini, mercati. È questa l’immagine
dell’evergetismo di età imperiale, prodotto della liberalità delle città, dei magistrati locali, dei collegia, dei
privati ed infine strumento fondamentale della politica dei principes, da quando, con Augusto, l’immagine
del principe costruttore-architetto divenne il prototipo dell’imperatore “buono” quasi per
antonomasia 2 .
L’evergetismo di matrice imperiale, oggetto di questo breve contributo, costituisce, prendendo a
modello la classificazione elaborata da Helene Jouffroy, una delle fonti principali di finanziamento
nell’ambito della munificenza pubblica, affiancandosi alle evergesie riconducibili alle città (siano esse
prodotto dell’ordo municipale o dei magistrati) e a quelle riconducibili a soggetti privati 3 . Il ruolo
dell’imperatore si fece progressivamente più centrale, in particolare per la realizzazione di quelle che
potremmo definire, rubando un termine alla moda nelle discussioni politiche odierne, “grandi opere”.
Va però aggiunto, almeno per il periodo qui considerato (i regni degli imperatori Traiano ed Adriano),
che l’accresciuto ruolo del princeps non determinò tout court una scomparsa degli altri soggetti ricordati: si
nota, è vero, una progressiva erosione delle iniziative legate alle città o ai loro magistrati, che conobbero
la maggiore intensità nel corso del I secolo d.C., ma non un loro esaurimento in qualche misura
definitivo ed irreversibile. I testi epigrafici ci documentano liberalità che spaziano dal restauro di templi
1
JACQUES - SCHEID 2001, p. 416.
KIENAST 1999, pp. 417-419; 504-518.
3 JOUFFROY 1977, pp. 329-337.
2
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alla costruzione di terme, anfiteatri ed acquedotti 4 . L’azione imperiale, al pari delle grandi liberalità
legate a figure del tutto eccezionali come Plinio il Giovane, non può quindi essere addotta,
meccanicamente, come una prova in qualche modo risolutiva, per coltivare la visione di un quadro di
crisi e declino delle città, né tanto meno per sostenere l’idea, ugualmente radicata in una certa tradizione
di studi, di una limitazione dell’autonomia cittadina 5 .
Prima di esaminare il panorama delle evergesie ascrivibili a Traiano (98–117) ed Adriano (117–
138) è opportuna qualche ulteriore riflessione generale sull’evergetismo. Stupisce in particolare nella
maggior parte di studi sul tema la grande attenzione rivolta a quella che si potrebbe definire la
dimensione “ideologica-psicologica e politica” del fenomeno 6 , trascurando non solo le opere, ma anche
la natura delle committenze, le loro dinamiche e le modalità di realizzazione, che appaiono tanto più
complesse nel caso dell’evergetismo di matrice imperiale.
Ne risulta una prospettiva fortemente limitativa dal punto di vista della comprensione e
dell’interpretazione del fenomeno, insufficiente sia qualora si affronti l’evergetismo connesso all’ambito
municipale o privato, sia, ribadiamo, e tanto più, per quello legato all’intervento degli imperatori, che,
come si ricaverà dalle prossime pagine, appare estremamente articolato e complesso.
In questo contributo esamineremo quindi le evergesie riferibili a Traiano ed Adriano, basandoci
sulla documentazione epigrafica, le fonti letterarie e le evidenze archeologiche. Queste ultime in
particolare, senza nulla togliere alle pur preziose informazioni offerte dalle altre, hanno permesso,
seppur in via del tutto ipotetica, una migliore definizione del ruolo dell’imperatore nel campo
evergetico, come crediamo emerga in particolare nel caso ostiense, anche in ragione di una generale ed
attenta rilettura delle liberalità dei due imperatori, che ebbero particolare attenzione nei confronti della
città 7 .
La ricchezza dei casi offerta dalle città della penisola ha determinato la scelta di escludere
dall’indagine lo studio delle liberalità imperiali a Roma, benché sia indubbio che le imponenti e
grandiose realizzazione dell’Urbe costituiscano un modello ed un riferimento per le città dell’impero, e
4
L’evergetismo municipale e privato sarà oggetto specifico di un prossimo contributo. Giusto a titolo di esempio qui
possiamo ricordare la dedica di un aedem Romae et Augusti da parte dell’ordo Ulubranus (CIL X, 6585); per quanto attiene le
terme si veda il caso di Corfinium (CIL IX, 3100) dove la città integrò e completò il contributo finanziario di soggetti privati,
offrendo quindi un interessante caso di studio sulle modalità e le dinamiche che scandivano un atto di evergetismo. Da Lucus
Feroniae un testo ricorda il restauro dell’Aqua Augusta da parte dei duoviri Lucius Suedius Bassus e Caius Masurius Capito (AE
1978, n. 303 e cfr. le considerazioni di PAPI 2000 p. 141). Sugli anfiteatri vedi il caso di Capua, che sarà discusso nelle
prossime pagine.
5 Così per esempio GARNSEY - SELLER 1987, pp. 34-40; REYNOLDS 1988, pp. 41-46.
6 Vedi per es. HUIZINGA 1946 e VEYNE 1989. Sembra tradiscano queste medesime prospettive anche i più recenti lavori di
M.T. Boatwright (BOATWRIGHT 1989 e 2000).
7 Vedi ZEVI 2001; MAR 2001 e PENSABENE 2002.
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tanto più per quelle italiane. La complessità del caso “romano” ha sconsigliato quindi una trattazione
anche superficiale sul tema, meritevole invece di un’analisi accurata e di ampio respiro, ai fini di poter
arrivare a tracciare non solo una panoramica delle testimonianze, pur indubbiamente utile, ma anche,
così come si è tentato di fare per l’Italia, di comprendere le articolazioni e le modalità di intervento dei
principes, nonché cogliere i moventi e gli orientamenti della loro politica evergetica 8 .
In conclusione, lasciando alla parte dedicata all’analisi delle testimonianze ulteriori considerazioni,
la complessità del fenomeno, emerge con vivida chiarezza dalla parole di Bodei Giglioni: «le ragioni
dell’evergetismo appaiono molteplici e direttamente connesse alle motivazioni di chi lo promuove: occorre perciò distinguere
tra i diversi elementi e le diverse combinazioni per evitare di cadere in un doppio riduzionismo, quello economico teso a
sottolineare la natura di tassazione indiretta, di investimento, di antidoto alla disoccupazione, di modalità di
redistribuzione delle ricchezze accumulate; quello psicologistico, che trasforma l’evergetismo […] in volontà di regnare sulle
coscienze, non solo di venire obbediti, in un’attività senza scopo, puramente agonale». 9
2. L’evergetismo di Traiano
L’attività evergetica di Traiano ed Adriano appare particolarmente intensa: nei quarant’anni di
regno dei due principes è stato possibile identificare, sulla base dei resti archeologici, della
documentazione epigrafica e delle notizie desumibili dalle fonti letterarie, quarantotto interventi. Questi
coinvolsero un’ampia tipologia di opere: strade, acquedotti, porti, archi, teatri, anfiteatri, terme e
naturalmente templi ed edifici sacri. Il modello al quale i due imperatori vogliono richiamarsi pare
proprio Augusto, una scelta dettata forse dalla necessità di marcare una discontinuità rispetto alla
politica dei Flavi, in particolare dall’ultimo esponente della dinastia, Domiziano. La sue liberalità infatti
ebbero una connotazione particolarmente negativa nelle fonti, al punto che Svetonio imputò proprio al
loro sfarzo ed alla loro ampiezza la causa dell’esaurimento dei fondi sia pubblici che personali 10 .
Notevoli risultano le differenze di intervento dei due imperatori: Traiano, il cui regno segnò una
nuova intensa fase di lavori pubblici, sostenuti da una accorta gestione delle ricchezze delle guerre
daciche, concentrò il suo interesse nel campo delle “grandi opere” pubbliche e più in generale in quelle
definibili di “pubblica utilità”. Il solo esame statistico conferma l’assunto: su trentadue casi, ben ventitré
8
È certamente da apprezzare in questo caso il tentativo di BOATWRIGHT 1987.
BODEI GIGLIONI 1990, p. 108.
10 Svet., Dom. 12.1. Ma pare un giudizio eccessivamente severo, forse dovuto alla generale cattiva opinione di questo
imperatore. Alla sua morte infatti non si riscontrò alcun particolare dissesto finanziario (SYME 1930, pp. 55-70.). Per una
rapida rassegna delle opere vedi PACI 1999 pp. 197-198 e nt. n. 197, p. 197.
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riguardarono la costruzione o il restauro di strade 11 (pari al 72% del totale), tre porti (Ostia,
Civitavecchia ed Ancona), tre acquedotti, due archi 12 ed un solo teatro 13 . Gli orientamenti traianei
appaiono dunque evidenti, e in generale il suo programma edilizio, tutto imperniato sulla costruzione di
strade, porti ed infrastrutture, viene considerato un richiamo, come già si accennava, alla politica di
Augusto e della dinastia giulio-claudia 14 . Considerate nel complesso circa il 90% delle azioni munifiche
di Traiano ebbero a concentrarsi verso opere di pubblica utilità: e conferma l’assunto l’impossibilità di
attribuire con certezza al princeps restauri di templi. L’interesse per le strade ed i porti va certamente
ricercato nella volontà del princeps di offrire un valido sostegno all’economia dell’Italia, «the renewal of
Italy» scrive Laurence 15 a commento dell’imponente piano di sistemazione dei tracciati viari.
Ugualmente un altro ruolo fondamentale deve aver giocato la politica “estera” di Traiano, tutta
orientata ad un approccio di tipo militare, e quindi al ruolo rivestito da strade e porti non solo per lo
spostamento delle truppe, ma per quegli aspetti, che oggi si definirebbero di “logistica”, primo tra tutti
l’adeguato vettovagliamento dei soldati, che solo un’efficiente rete di comunicazione poteva garantire.
Va de sé infine che di tali provvedimenti ed interventi beneficiarono le comunità locali, verso le quali
l’interesse del princeps non si mostrò meno esitante.
L’enumerazione degli interventi di Traiano sulla rete viaria ha dell’impressionante, considerati gli
alti costi che tali azioni comportavano, e che dunque rendeva quasi inevitabile la competenza in materia
dell’imperatore 16 . I miliari restituiscono in modo ineccepibile la portata e l’ampiezza delle azioni del
11
Segnaliamo che le venticinque iscrizioni epigrafiche relative alla costruzione della via Traiana, sono state lette come un
unico intervento complessivo.
12 I due archi, Benevento ed Ancona, sono strettamente connessi alle opere già ricordate: la costruzione della via Traiana per
il primo, l’ampliamento del bacino portuale per il secondo. Sebbene gli archi fossero dedicati dal Senato, appare indubbio il
loro legame con l’attività evergetica del princeps, tanto più considerato nello specifico lo stretto legame con le opere
menzionate. Al regno di Traiano potrebbe forse ascriversi un arco onorario a Puteoli, monumento del quale resterebbero due
rilievi, conservati rispettivamente a Berlino e Filadelfia. L’arco, secondo già l’ipotesi avanzata dal KÄHLER 1951, p. 434, e
sostanzialmente ripresa da DE MARIA 1988, p. 267 e KLEINER 1992, pp. 229-230, sarebbe stato dedicato dal Senato per
celebrare la costruzione della via Antiana, prolungamento della via Domitiana, per collegare Pozzuoli con Napoli, avvenuta
nel 102, che forse potrebbe essere anche l’anno di dedica del monumento. Per un esame ultimo della questione vedi
FLOWER 2001, pp. 626-648, la quale per altro si spinge ad ipotizzare l’esistenza di un arco quadrifronte, sulla base di un
riferimento ad una Porta Triumphalis citata in CIL X, 1695 = ILS, 1224. Considerata l’incertezza che grava sull’esatto luogo di
rinvenimento dei rilievi, l’ipotesi appare di difficile verifica.
13 È stato riferito a Traiano il teatro di Benevento, la cui aedificatio viene in genere posta in relazione con l’apertura della via
Appia nel 109 (cfr. BLAKE - BISHOP 1973, pp. 262-263). DE CARO - GRECO 1981, p. 188 ricordano tuttavia l’esistenza di
un’iscrizione (benché omettano di citarla) secondo la quale Adriano stabilì un curator per la costruzione del teatro, che fu
inaugurato nel 126. L’istituzione di curatores da parte di Adriano è per altro ben attestata a Beneventum: si può ricordare anche
C. Ennius Firmus (CIL IX, 1419 = ILS, 648), che vi compare con il titolo di curator operis thermarum, quindi incaricato della
costruzione delle terme. Si tratta di un’attestazione non da poco, vista, almeno secondo JACQUES - SCHEID 2001, p. 343,
l’assoluta eccezionalità di un curator nominato nell’ambito delle elites locali. Sul rapporto tra curatores ed evergetismo
torneremo in seguito.
14 Di “revival” augusteo parla JOUFFROY 1986, p. 138. Non molto chiaro il richiamo di PACI 1999, p. 199 alla politica
neroniana.
15 LAURENCE 1999, p. 48
16 Si potrebbe addurre al riguardo un testo (CIL X, 6075 = ILS, 5875 = AE 1997, n. 322) di età adrianea, relativo ad un
intervento di restauro compiuto sull’Appia da parte di Adriano, con la collaborazione dei possessores di terre ed immobili che
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sovrano sulle arterie di comunicazione, che nell’idea del princeps dovevano andare ad integrarsi con il
sistema portuale, legato ai nuovi scali di Ostia, Civitavecchia ed Ancona 17 . Possiamo iniziare ricordando
i testi relativi al rinnovamento della via Appia, in coabitazione con Nerva, 18 limitatamente al tratto
compreso con buona probabilità tra Terracina e Capua 19 , mentre di presumibile paternità traianea
sarebbero le opere di bonifica, la sistemazione idraulica e della viabilità nell’area pontina 20 . Di
fondamentale importanza per lo sviluppo delle città di Aecae, Herdonia e Canusium, l’inaugurazione della
via Traiana, che da Benevento conduceva a Brindisi, aperta nel 10921 . Infine si possono ancora
enumerare i suoi interventi sulla Flaminia 22 , sulla Salaria 23 , sulla via Latina Labricana 24 , sulla Subliacensis 25 .
Ed infine il completamento della via Domitiana da Puteoli a Napoli 26 .
I lavori compiuti sulle strade, abbiamo accennato, possono essere letti in parallelo all’attività
evergetica di Traiano in materia di porti. Le azioni del princeps interessarono gli scali di Ostia (il cui
porto era già stato oggetto di un ampliamento all’epoca dell’imperatore Claudio), Centumcellae ed
Ancona, dove l’intervento è ricordato nell’iscrizione inserita nell’attico dell’Arco 27 . Il rinnovamento
della rete portuale trova certamente, come già si è ricordato, la sua principale ratio in finalità di natura
economica e militare, comportando scali più sicuri per garantire adeguati rifornimenti a Roma ed un
costante flusso commerciale, sottraendolo all’arbitrio dei venti, nonché una gestione più razionale degli
scambi, vieppiù sviluppati dall’integrazione con la rete stradale 28 . Non si sbaglierà a parlare di sistema di
interscambio, usando un termine moderno.
davano sulla strada: per la pavimentazione di quindici miglia (pari a circa 22 km) si ebbe una spesa complessiva di 1.716.100
sesterzi, vale a dire all’incirca 114.000 sesterzi per miglio (poco meno di un chilometro e mezzo). La quota più consistente
toccò all’imperatore, che stanziò la cifra di 1.147.000 sesterzi, mentre i possidenti versarono un restante contributo di
569.000 sesterzi. I costi dunque erano assai ingenti. L’intervento per altro costituisce uno dei rari casi di liberalità di Adriano
in ambito viario; solo infatti un altro caso è riferibile a quest’imperatore: un restauro compiuto sulla Flaminia (cfr. CIL XI,
6619, testo che erroneamente LAURENCE 1999, p. 47 attribuisce a Traiano).
17 LAURENCE 1999, p. 47.
18 CIL X, 6819-6820, 6824, 6826, 6827, 6833, 6835, 6846, 6853.
19 PARIBENI 1927, p. 122.
20 DIO., 67.715. Non è comunque semplice distinguere gli interventi dei due imperatori. Più complessa la questione del
grande taglio del Pesco Montano che proprio sulla base degli interventi di restauro della via Appia e del cosiddetto “rilievo di
Terracina” (generalmente riconosciuto traianeo), raffigurante i lavori del porto, si attribuisce a Traiano (vedi per esempio
BOATWRIGHT 2002, p. 265). Ma Filippo Coarelli (COARELLI 1996, pp. 434 - 454), proponendo per ragioni stilistiche una
datazione ad età triumvirale del rilievo, e quindi del porto, ritiene conseguentemente che anche il taglio vada ricondotto ad
epoca più alta, stante la sua stretta connessione con tali interventi. (ivi pp. 451-452).
21 Sull’impatto che la strada ebbe sul centro di Herdonia torneremo in seguito. I testi relativi alla realizzazione della via sono
in CIL IX (6003, 6005, 6015-6017, 6021-6022, 6024-6025, 6029, 6031-6037, 6040, 6042, 6044, 6046-6047, 6049-6054).
22 CIL XI, 6622.
23 CIL IX, 5947.
24 CIL X, 6887, 6890.
25 CIL IX, 5971. Sono erroneamente attribuite a Traiano da LAURENCE 1999, p. 47 interventi sulla Tiburtina e la Valeria (CIL
IX, 5963, 5968, 5969), che spettano invece a Nerva.
26 CIL X, 6926, 6931. Per quest’opera fu forse dedicato un arco a Puteoli (vedi nt. n. 12).
27 CIL X, 5894 = ILS 298.
28 Cfr, MEIGGS 1960, pp. 59-60; CORRENTI 1992, p, 213; LILLI 1997, p. 60; LAURENCE 1999, p. 47; ZEVI 2000, pp. 509-510.
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Ad Ostia Traiano diede vita ad un’opera che per dimensioni non aveva eguali nel mondo antico,
bastino le dimensioni del solo bacino esagonale: 357,77 m. per lato; 715,54 m. di diametro; la superficie
d’acqua di oltre 32 ettari; la superficie complessiva dell’intero sistema portuale ostiense stimata in 200
ettari, «corredato dal più grandioso insieme di strutture di supporto alla navigazione, di magazzini di derrate mai
esistito». 29 Il porto fu certamente concepito per garantire la sicurezza economica di Roma, in particolare i
rifornimenti annonari, che sino ad allora avevano avuto il loro punto di riferimento nello scalo di
Puteoli. In questo senso il sistema Ostia–Centumcellae e forse Terracina andò a sostituire il vecchio
incentrato sul sistema Puteoli–Ostia 30 . Dunque con Traiano la città campana sembrò passare in secondo
piano. La costruzione del nuovo scalo ebbe come principale conseguenza il progressivo trasferimento
delle navi annonarie egizie verso Ostia 31 , ma pare un eccesso di determinismo storico vedere la
realizzazione del nuovo porto come l’elemento catalizzatore della crisi che avrebbe colpito la città di
Puteoli 32 . Lo scalo ebbe inoltre per Ostia gli effetti paragonabili ad un vero e proprio “boom”
commerciale, regalando alla città una prosperità di cui è testimone l’imponente fase edilizia di età
soprattutto adrianea 33 .
Un secondo porto fu realizzato a Centumcellae, forse per la considerazione che non esisteva uno
scalo sicuro tra Cosa ed Ostia, e probabilmente per alleggerire quest’ultimo dal traffico navale diretto
verso le Gallie e la Spagna 34 . L’attribuzione della costruzione del nuovo scalo a Traiano è corroborata
dalla testimonianza di Plinio il Giovane, che ci ha lasciato una descrizione delle strutture di cui
disponeva l’impianto 35 . Al di là del tono adulatorio di Plinio, il nuovo bacino può certamente essere
considerato un capolavoro di ingegneria portuale: si trattava infatti di una vera e propria struttura
artificiale, con le sue dighe (400 m. di lunghezza) poste a protezione di un bacino di circa 200.000 mq.
È indubbio che lo scalo, insieme a quello ostiense, dimostri la grandiosità della concezione che animava
l’attività evergetica di Traiano e le straordinarie disponibilità tecniche e finanziare di cui poteva
avvalersi.
29
ZEVI 2000, p. 520.
Mancano fonti sicure, come già si ricordava, per attribuire con certezza il porto di Terracina a Traiano. Alla già citata
opera di Coarelli (COARELLI 1996, pp. 434-454), si può aggiungere per lo status quaestionis, ZEVI 2000, pp. 509-510, e in
particolare nt. n.1, p. 509. Su Puteoli l’autore rileva che anche il porto creato da Claudio non contraddiceva
quell’impostazione, tanto più, conclude, che Nerone fu l’autore del progetto del canale tra il lago d’Averno e il Tevere, che di
fatto avrebbe accresciuto il ruolo della città campana (Vedi Plin., Nat. 14.61; Tac., Ann. 15.42.2; Svet., Nero 31). Non si può
neppure trascurare l’opera di completamento della via Domitiana da parte di Traiano, qui ricordata.
31 ZEVI 2001, p. 176. La costruzione del Serapeo nel 127 potrebbe esserne un indizio.
32 Così per esempio MEIGGS 1960, p. 60. D’ARMS 1974, pp. 105-122 invita ad una maggiore cautela sull’uso di termini quale
crisi e declino per la città campana, che ancora ai tempi di Antonino Pio mostrò una certa vitalità. Va ricordato poi che il
trasferimento della flotta annonaria avverrà ufficialmente solo con Commodo.
33 Sugli effetti e le dinamiche dell’evergetismo imperiale ad Ostia torneremo in seguito.
34 MEIGGS 1960, pp. 59-60. La relativa vicinanza a Roma, 60 km, dovette essere un ulteriore punto a favore della città.
35 Plin., Ep. 6.31. Sullo scalo vedi BASTIANELLI 1954, CORRENTI 1990, pp. 209-214; CARUSO 1999, pp. 121-126.
30
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Il princeps completò la sua politica di sviluppo delle infrastrutture portuali con l’ampliamento dello
scalo di Ancona, così come ci ricorda l’epigrafe posta sull’Arco, datata tra il dicembre del 114 e il
dicembre del 115. I lavori, intrapresi, ancora si ricava dal testo, per migliorare la sicurezza del porto ai
naviganti, furono finanziati dall’imperatore sua pecunia, il che sta a significare che l’opera gravò sulle
finanze private di Traiano e non su quelle pubbliche 36 . Dell’impianto sono state poste in luce diversi
strutture nel corso di varie campagne di scavo, ma l’aspetto senz’altro più interessante emerso dalle
indagini è la stretta connessione del bacino con un asse stradale, che aveva probabilmente funzione di
raccordo tra magazzini e banchine 37 . Conclude così Lilli: «[…] questi interventi, sebbene la natura parziale e
incompleta dei dati, sembrano confermare il preminente interesse di Traiano per il potenziamento delle strutture portuali,
abbinato a quello del miglioramento della rete stradale». 38
La cura per il benessere delle comunità locali è quindi documentata dagli interventi di Traiano in
materia di acquedotti. Singolarmente tutti e tre gli interventi dell’imperatore ebbero luogo nella Regio
VII: a Centumcellae, dove certamente la costruzione dell’acquedotto va vista nel quadro di generale
espansione della città, dovuta alla costruzione del nuovo scalo portuale 39 ; due epigrafi attestano gli
interventi del princeps rispettivamente a Forum Clodii, dove l’atto di liberalità fu reso possibile anche in
ragione della costruzione dell’aqua Traiana 40 , e a Veii, dove la munificenza avvenne nuovamente
attingendo al patrimonio personale dell’imperatore, come si ricava dalla menzione dell’espressione sua
pecunia nel testo 41 .
L’attenzione per le comunità locali da parte di Traiano si conclude infine rammentando una serie
di provvedimenti che non sono inquadrabili nell’ambito dell’attività evergetica strictu sensu, ma che in
qualche modo risultano complementari all’attività edilizia dell’imperatore: alludiamo prima di tutto alla
Institutio alimentaria, provvedimento varato da Nerva, ma perfezionato da Traiano, e celebrato, come
noto, in uno dei rilievi posti all’interno del fornice dell’Arco di Benevento 42 . E si può ancora ricordare,
per concludere, un provvedimento quale la restitutio coloniae (nel 107) che dette nuova linfa e prosperità
36
CANCRINI - DELPLACE 2000, p. 189. Vedi anche le considerazioni di PANCIERA 1992, pp. 137-148.
SEBASTIANI 1996, p. 7, cui si rinvia per i risultati degli scavi, da integrare con LILLI 1997, pp. 49-76.
38 LILLI 1997, p. 60.
39 L’attribuzione di quest’opera a Traiano sembra trovare una conferma dal recupero di una serie di laterizi, rinvenuti in
diverse porzioni dell’acquedotto, recanti il bollo “porttrai”. Su questi bolli cfr. BRUNORI 1990, p. 217: l’autore afferma che
questi medesimi bolli sarebbero stati recuperati anche all’interno delle terme, ma la notizia non ha alcun seguito nella
letteratura archeologica disponibile sull’impianto delle Terme Taurine.
40 PAPI 2000, p. 140. Sull’aqua Traiana vedi VIRGILI 1993, pp. 70-72. L’iscrizione è in CIL XI 3309.
41 Cfr. CIL XI, 3793 e PAPI 2000, nt. 65, pp. 139-140. Sull’espressione sua pecunia vedi nt. n. 36.
42 Sul rilievo raffigurante la Institutio alimentaria cfr. PARIBENI 1927, p. 261; BEAUJEAU 1955, p. 436, HASSEL 1966, pp. 9-11;
ROTILI 1972, pp. 97-98. Il funzionamento del provvedimento è ricostruibile grazie alla celebre tabula Baebiana (CIL IX, 1455
= ILS, 6509), significativamente proveniente dal territorio beneventano. Sul tema cfr. TORELLI M. 1999, nt. 142 e 143, p.
207.
37
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alla colonia di Lucus Feroniae, che determinò una nuova fase di monumentalizzazione, con il restauro
dell’aqua Augusta e l’edificazione di un impianto termale 43 .
3. L’evergetismo di Adriano
L’attività evergetica di Adriano appare sotto certi aspetti più modesta, ma al contempo più
articolata. Dei quindici interventi compiuti nella varie regiones dell’Italia dall’imperatore ben sei ebbero
come oggetto templi ed edifici sacri, tre riguardarono impianti termali 44 , mentre le “grandi opere” od
opere di “pubblica utilità”, tra strade, porti ed acquedotti, ammontano a un totale di cinque; infine
l’imperatore partecipò all’evergesia, in coabitazione con la città, per la costruzione dell’anfiteatro di
Capua 45 .
A fronte della grande azione di Traiano intrapresa sulle strade, Adriano limitò la propria iniziativa
a due soli casi: sull’Appia, già ricordato, e sulla Flaminia. Per gli acquedotti non si dispongono di
maggiori notizie: sappiamo di un intervento a Gabiae nella Regio I e di un’analoga iniziativa a Cingulum 46 .
Ancor più povere sono le informazioni relative all’unico intervento in materia di porti da parte di
Adriano: Pausania infatti gli attribuisce la costruzione di quello di Lupiae (Regio II) 47 .
Il quadro muta invece a favore di Adriano se prendiamo in esame l’altra sfera di interventi, a
cominciare dai templi, dove il principe palesò particolare attenzione, con ben sei interventi, di contro
alla totale assenza, come si ricordava, di liberalità da parte di Traiano. Affronteremo in seguito la
costruzione del nuovo Capitolium ad Ostia, in quanto caso particolarmente istruttivo per cogliere le
dinamiche e le articolazioni dell’evergetismo imperiale. I rimanenti interventi si concentrarono in buona
parte nella Regio I (Antium, Caiatia, Lanuvium, Nemus Dianae) con la sola eccezione di Cupra Marittima,
nella Regio V 48 .
43
Vedi nt. n. 4.
Accanto alla Terme di Nettuno (Ostia), sono state riferite ad Adriano, su un piano esclusivamente di ipotesi di lavoro,
anche le Terme di Porta Marina e quelle della Trinacria (entrambe ancora ad Ostia), pur mantenendo aperta la questione
della relazione con il Serapeum, dedicato da un Caltilius P […], ricordato dai Fasti Ostienses (cfr. INSCR. IT. XIII I, p. 207).
Sulle Terme Taurine di Civitavecchia, lo stato lacunoso dei dati non permette di sviluppare considerazioni neppur a livello di
ipotesi, tenendo comunque come valida l’idea di una collocazione ad età adrianea dell’impianto. Ma per l’esame di tutte le
questioni qui accennate si rinvia alla considerazioni esposte nel testo.
45 Di questo intervento si darà conto al paragrafo n. 4.
46 CIL XIV, 2797 = AE 2002, n. 299; CIL IX, 5681 = AE 1998, n. 420. Questa cura aquarum fu comunque ben presente
nell’attività evergetica di Adriano, anche in ambito provinciale: si possono ricordare i casi di Caesarea in Giudea (AE 1928, n.
136) e di Italica in Baetica (BOATWRIGHT 1997, pp. 116-135).
47 Paus., 6.19.6. Sull’errore di Pausania che confonde Copiae con Lupiae cfr. BOATWRIGHT 2000, p. 119. Alcuni resti rinvenuti
sulla spiaggia di S. Cataldo, a 11 km da Lecce, sono genericamente ricondotti alla testimonianza di Pausania (cfr.
BERNARDINI 1961, pp. 522-523).
48 L’interesse di Adriano per gli edifici templari trova ulteriore riscontro, considerando sia le evergesie compiute a Roma, con
la costruzione, come noto, del Pantheon e del Tempio di Venere e Roma, sia, nel mondo provinciale, dove possiamo
ricordare il grande intervento per il completamento dell’Olympeion ad Atene, od ancora il restauro del tempio di Zeus a
Cizico.
44
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Ad Antium Adriano restaurò un tempio non identificabile per lo stato lacunoso del testo, mentre a
Caiatia l’intervento imperiale, realizzato sua pecunia, si limitò probabilmente all’apparato decorativo 49 .
Ben più noti i tre diversi interventi posti in essere dal princeps nei santuari del Nemus Dianae e Iuno Sospita
mater, nella Regio I, ed in quello di Cupra nella Regio V. I tre templi sono accomunati dal fatto di essere
sedi di antichi ed importanti culti, il che ha indotto a motivare queste iniziative come il riflesso di un
preciso movente culturale dell’imperatore, vale a dire una certa predilezione per l’arcaismo, benché non
si possa escludere che questa philia per il passato sia legata più in generale allo Zeitgeist dell’epoca 50 .
I tre intervento si verificarono nell’arco di un decennio (databili grazie alla presenza della tribunicia
potestas nei testi epigrafici): nel 123 il santuario di Nemi, nel 127 a Cupra ed infine nel 136, con la dedica
del nuovo simulacro di Iuno Sospita. Nel Nemus Dianae, il cui culto rimonta ad epoche particolarmente
arcaiche 51 , l’imperatore avrebbe probabilmente ristrutturato una porticus, della quale gli scavi hanno
messo in luce alcune parti, confermando la notizia epigrafica (benché il testo non precisi, causa lacuna,
l’oggetto del restauro adrianeo) e la datazione dell’intervento al regno di Adriano, avvalorata anche dal
rinvenimento di due bolli laterizi, impiegati nelle colonne in opus mixtum, pertinenti alla officine di
Lucanus e Tullius, e a quelle urbane di Papirius, liberto di Domitius 52 . Ricordiamo ancora, senza entrare nel
merito per ragioni di spazio, che il testo epigrafico, al di là della sua importanza per la ricostruzione di
49 Cfr. CIL X, 6652 e CIL X, 4574. Per BOATWRIGHT 1989, p. 250 l’intervento adrianeo ad Antium potrebbe collegarsi
con il viaggio intrapreso dall’imperatore in Campania nel 119-120. Il testo che qui è stato riferito a Caiatia, sulla base del suo
luogo di ritrovamento, potrebbe anche intendersi come un tempio dedicato invece agli abitanti di Cubulteria, riferendo
«Cubulternis» non già a «marmoribus», come qui si è fatto, bensì ad «aedem». A Cubulteria comunque pare esistessero buone cave
di marmo (Cfr. JOUFFROY 1986, p. 121 e PANCIERA 1992, p. 154).
50 Essa è per altro ben presente nel filone della seconda sofistica, testimoniato da autori legati per altro al principe, quali
Favorino, Polemos di Smirne, Elio Aristide ed Erode Attico. Cfr. ANDERSON 1993, passim. La Historia Augusta (H.A., Hadr.
22.10) ricorda, nella biografia dell’imperatore, la passione di Adriano per i culti arcaici dell’Italia, ma questa notizia appare
sopravvalutata da M.T. Boatwright nei diversi contributi sull’argomento (BOATWRIGHT 1989, p. 256, e BOATWRIGHT 2000,
p. 132). Essa infatti andrebbe sfumata o comunque interpretata nel contesto della biografia complessiva dell’imperatore: il
principe non fu affatto poco entusiasta o partecipe dei culti stranieri, basti richiamare i suoi legami con il culto di Serapide
(cfr. BEAUJEAU 1955, pp. 228-257 e GRENIER 2000, pp. 73 - 75) testimoniatoci dalle dediche dei Serapei di Luxor ed Ostia,
entrambi nel dies natalis dell’imperatore. Boatwright (BOATWRIGHT 2000, p. 132) inoltre aggiunge a ulteriore complicazione
del quadro la notizia che Adriano ricoprì la dignità di prafectus urbi feriarum Latinarum causa (ILS, 308), a suo dire, un ulteriore
impulso per motivare gli interventi nei santuari, in particolare in quelli del Lazio. Difficile cogliere un puntuale legame causaeffetto considerando il solo aspetto cronologico: la dignità ricoperta da Adriano risale al 108 (datazione consolare), mentre il
primo intervento come detto si colloca nel 123; inoltre non motiverebbe quello a Cupra (per il quale potrebbero addursi
moventi di natura diversa, vedi COLONNA 1992, p. 16 e ancora H.A., Hadr. 1.1); l’ultimo intervento si colloca nel 136, quasi
alla fine del regno.
51 Il santuario era già antico per Catone (Origines 68). Venne fondato da Manio Egerio di Ariccia o Egerio Bebio di Tuscolo,
dittatore latino, su preciso incarico della Lega Latina, che riuniva le città di Tuscolo, Ariccia, Lanuvio, Laurento, Cori, Tivoli,
Ardea e Pomezia. Il tempio dunque almeno nella sua fase iniziale ebbe pure una valenza politica, in quanto sede della Lega
Latina; quando questa fu sciolta, nel 338 a.C., conservò solo il suo carattere religioso, recuperando l’aspetto salutare, alla
base della sua fondazione originaria. Per la storia del santuario e del culto vedi da ultimo GREEN 2007.
52 Il testo è in CIL XIV, 2216 = ILS, 843 = AE, 2000 n. 251. Sulle ultime campagne di scavo cfr. GHINI 2000, pp. 53-63, in
particolare per ciò che qui interessa pp. 53-55. Sui bolli cfr. CIL XV, 994 e 1356. Anche i bolli su tegole e coppi, ascrivibili
alle officine Caniniane (CIL XV, 134), a quelle di Mercurio Felice (CIL XV, 333), di Tetellus Donatus (CIL XV, 713), di Sabina
(CIL XV, 354), di T. Statilius Maximus Severus Hadrianus (CIL XV, 287), di Domitius (CIL XV, 979), di Naevius Asclepiades (CIL
XV, 1323) e quelle Negariane (CIL XV, 354), confermano questa datazione.
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un atto di evergetismo religioso da parte di Adriano, è stato al centro di una lunga controversia per la
questione dell’identità del rex Darius, autore di una precedente liberalità, e che oggi si tende ad
identificare con argomenti piuttosto sicuri con il figlio di Artabano III, re dei Parti, inviato a Roma,
come ostaggio, sia durante il principato di Tiberio che quello di Caligola 53 .
Il secondo intervento di Adriano si concretizzò nel tempio della dea Cupra, importante divinità
venerata nell’Umbria e nel Piceno 54 , e si data al 127, forse nel contesto del viaggio in Italia che
l’imperatore intraprese il 3 marzo del 127 55 . L’azione di Adriano può certamente trovare sufficiente
giustificazione nel prestigio di cui godeva il santuario, ma non è certamente da scartare la possibile
motivazione “biografica” addotta da Colonna, che ricorda le origini a Picentibus della famiglia del
princeps 56 .
Resta da considerare, per chiudere questa veloce panoramica dell’evergetismo “templare”
adrianeo l’intervento che ebbe a compiersi a Lanuvium nel 136 57 . Il santuario dedicato a Iuno Sospita mater
era particolarmente importante in ragione degli innumerevoli e strani prodigi che vi si verificavano, al
punto da indurre gli stessi consoli ed il Senato ad offrirvi sacrifici prima di intraprendere una campagna
militare 58 . L’epigrafe ci informa che Adriano, usando le ricchezze stipate all’interno del tempio 59 , dedicò
un nuovo simulacro alla dea. L’intervento dell’imperatore dunque non risulta abbia riguardato
direttamente l’edificio templare, benché secondo Plinio il Vecchio esso giacesse in condizioni assai
disastrate nel I secolo d.C. 60 Questo nuovo simulacro avrebbe sostituito quello precedente cui andrebbe
collegata una testa datata al primo periodo repubblicano, dedicata a seguito della disfatta della Lega
53
Vedi MORPURGO 1931, p. 280, che ricorda il rinvenimento di cinque fistulae, nell’area del teatro, con la dicitura rex Darius,
cosa che ha spinto a ritenerlo responsabile di qualche intervento anche in questa zona del santuario. Sui sovrani orientali
presenti a Roma nella prima età imperiale vedi RICCI 1996, pp. 561-592, mentre per l’identificazione cfr. LEONE 2000, pp.
29-34 e Svet., Cal. 14.3; 19.19, dove il personaggio è ricordato come membro del seguito che accompagnò Caligola nel
soggiorno nemorense.
54 COLONNA 1992, pp. 3-25. Il testo epigrafico è in CIL IX, 5294 = ILS, 313.
55 INSCR. IT. XIII I, pp. 205 e 233. Viaggio che toccò diverse tappe scandite da una serie di interventi evergetici, come a
Cingulum (CIL IX, 5681), con il restauro dell’acquedotto, o presso gli Equicoli, dove furono restaurate opere publica vetustate
dilapsa (CIL IX, 4116) ed infine appunto Cupra.
56 H.A., Hadr. 1.1 e COLONNA 1992, p. 16.
57 CIL XIV, 2088 = ILS, 316.
58 Liv., 21.1; 21.62; 21.31; 24.4; 21.12; 41.21; 42.2; Cic., Pro Mur. 41.90. Sul santuario cfr. in generale COARELLI 1987 e
CECERE 2000, pp. 35-44.
59 L’edificio infatti svolgeva anche la funzione di deposito delle ricchezze della città, come sappiamo ancora da Livio (21.62.
8), il quale ricorda che in occasione di una serie di prodigi avvenuti nel 218 a.C., furono deposte nel santuario ben 40 libbre
d’oro grezzo.
60 Plin., Nat. 35.17. Si è proposto al riguardo di collegare questo testo ad un altro concernente sempre un intervento di
munificenza di Adriano a Lanuvium, da interpretarsi come restauro del tempio (BOATWRIGHT 1989, p. 256; per l’epigrafe
vedi HORSTER 2001, n. Ia8, 2 p. 266). Sfortunatamente però il carattere frammentario non offre sostegno a questa ipotesi:
non è possibile identificare l’edificio né stabilire una datazione precisa dell’intervento dell’imperatore, mentre sappiamo con
certezza che la dedica della nuova statua di culto si pone nel 136, quindi verso la fine del regno di Adriano.
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Latina del 338 a.C. subita contro i Romani, per celebrare la presa del controllo del tempio da parte di
questi ultimi 61 .
Adriano manifestò un certo interesse anche nel campo degli edifici termali. Sfortunatamente, con
la sola eccezione delle Terme di Nettuno, non possediamo iscrizioni che permettano di riferire con
certezza all’imperatore anche gli altri due impianti termali ostiensi, le Terme di Porta Marina e quelle
della Trinacria, che abbiamo ricondotto alla figura del princeps in via del tutto ipotetica. Certo la
costruzione di tre impianti termali nell’arco del regno di Adriano è prova quanto mai eloquente del
grande sviluppo cui andò incontro il porto di Roma, dopo le grandi evergesie traianee. Un quarto
impianto termale è poi realizzato a Civitavecchia, le cosiddette Terme Taurine 62 , di cronologia
sicuramente adrianea 63 , ma per il quale, considerato ancora lo stato frammentario dei dati di scavo e dei
materiali, appare difficile anche abbozzare un’ipotesi sulla natura della committenza. Certo l’abbondante
presenza di marmi (lunense, pavonazzetto e proconnesio, solo per citare i litotipi quantitativamente più
consistenti) 64 e la ricca decorazione, in analogia con il caso degli edifici ostiensi, potrebbe indurre a
propendere per un possibile coinvolgimento dell’imperatore, tanto più considerando anche le azioni di
evergetismo di Traiano verso la città, con la costruzione del porto e dell’acquedotto. Queste opere
d’altronde possono certo aver determinato una nuova fase di prosperità della città, tale da indurre ad un
ampliamento delle terme, ampliamento che ancora può essere motivato con l’elevata frequentazione
dell’impianto, del quale va anche posta in evidenza la sua funzione non solo “ricreativa”, ma anche di
centro “terapeutico” per la presenza delle sorgenti termali 65 .
Il caso ostiense, certamente più conosciuto, si presta a migliori considerazioni. Abbiamo
accennato che possediamo informazioni per un sicuro coinvolgimento di Adriano solo per le Terme di
Nettuno, essendo sopravvissuto il testo epigrafico relativo alla costruzione dell’impianto 66 . Testo che
suscita ulteriore interesse anche da un punto di vista della dinamiche “interne” che potevano scandire
un atto evergetico, e di cui tratteremo più diffusamente nel paragrafo successivo: apprendiamo infatti
che la somma di due milioni di sesterzi stanziati da Adriano venne integrata dal suo successore
61
CHIARUCCI 1983 pp. 72-74. La testa del simulacro repubblicano, conservata ai Musei Vaticani, avrebbe sostituito una
precedente, risalente alle metà circa del V secolo a.C., anch’essa conservata ai Vaticani. Sulla questione vedi HEFNER 1966,
pp. 186-205.
62 Il nome deriva dalle stesse fonti sulfuree utilizzate fin da epoca remota e sgorgate, secondo la leggenda riferitaci da Rutilio
Namaziano (Rut. Nam., De red. suo 1) per opera di una divinità, che sotto l’aspetto di un toro le avrebbe fatte venire alla luce,
donde quindi il nome dato alla località (Aquae Tauri), spiegazione che rientra bene nel filone dell’eziologia. Sulla possibilità di
riferire i resti alla villa pulcherrima di Traiano di cui parla Plinio il Giovane nell’epistola a Cornelliano (Ep. 6.31.15), oramai da
escludere, vedi le considerazioni di CORRENTI 1990, pp. 210-212 e soprattutto GUIDOBALDI - ANGELELLI 2001, pp. 359361.
63 Così infatti inducono a pensare i bolli, riferibili tutti al regno di Adriano: dal 123, il più antico, al 133 il più recente. Cfr.
CIL XV 98, 124, 674, 1053, 1054, 1056, 1211, 1363, 1365, 1367.
64 Ma vedi BRUNO - BIANCHI 2006, pp. 191-197 per un esame complessivo dei marmi presenti all’interno dello stabilimento.
65 Vedi BASTIANELLI 1954, p. 399, BLAKE - BISHOP 1973, pp. 271-272 e KÖHLER 1999, p. 376.
66 CIL XIV 98, = ILS, 334 = AE 2002, n. 281. Il nome dell’impianto deriva dallo splendido mosaico che orna l’omonima
sala di Nettuno. Sui mosaici cfr. Scavi di Ostia 4, 1961, p. 47, n. 69, tav. 131, 132, 133, 134, 166 e p. 48, n. 70, tav. 124-130.
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Antonino Pio, nel primo anno di regno, per consentire il completamento dell’opera 67 . L’epigrafe dà per
altro anche un’idea dei costi legati alla realizzazione di un impianto, seppur vada tenuta presente
l’eccezionalità dell’evergesia ostiense, considerate le dimensioni delle terme (4000 mq.). Ubicate nella
parte orientale della città, sul lato nord del decumano, con pianta pressappoco quadrata, si
caratterizzano per la presenza della grande palestra nel settore occidentale, dove si ritrovano sicuri
elementi adrianei 68 . L’intervento di Adriano ebbe luogo sul precedente impianto domizianeo, distinto
dalla presenza di una grande natatio, eliminata nella fase successiva, e consistette verosimilmente in un
generale rifacimento degli elevati, dei pavimenti musivi e marmorei, e della decorazione. Si
configurerebbe dunque una situazione analoga a quello del Capitolium, con il contributo finanziario
dell’imperatore particolarmente indirizzato all’apparato architettonico e alle decorazioni, mentre la
messa in opera delle strutture murarie andrebbe inquadrata più genericamente nelle direttive imperiali 69 .
Possiamo dunque iniziare a cogliere un ulteriore aspetto dei meccanismi che presiedevano ad un atto
evergetico, precisando al contempo il ruolo “finanziario ed esecutivo” del princeps.
I restanti impianti pongono problemi differenti: per le Terme di Porta Marina la sontuosità
dell’arredo scultoreo, nonché la presenza di ritratti frammentari di Marciana, sorella di Traiano, di
Sabina, moglie di Adriano, e di un busto dello stesso Traiano, fanno propendere per una committenza
imperiale dell’impianto 70 . I bolli laterizi inducono oramai a collocare la costruzione dello stabilimento in
età adrianea 71 , datazione, nonché presunto coinvolgimento imperiale, che paiono trovare un ulteriore
indizio nei frammenti di capitelli, non dissimili da quelli del portico che circonda il Capitolium e delle
Terme di Nettuno, e forse riferibili a due pilastri collocati ai lati di una grande vasca in una sala a nord
del frigidarium. A questi si devono inoltre aggiungere otto capitelli corinzi, di fattura analoga ai
precedenti 72 . Si potrebbe quindi supporre un ruolo del princeps almeno per quanto riguarda il contributo
relativo agli elevati architettonici e all’apparato decorativo.
67
Dell’intervento di Antonino Pio dà notizia pure la Historia Augusta (Ant. 8.2-3). Anche i bolli laterizi confermano l’inizio
dei lavori negli ultimi anni del regno di Adriano (BLOCH 1969, p. 272), forse dopo la realizzazione del Capitolium (Scavi di
Ostia 1 1953, p. 135 ).
68 Delle 26 colonne della palestra abbiamo undici fusti frammentari di portasanta, tre di bigio antico e uno di cipollino con
basi di marmo lunense, tranne una in proconnesio (PENSABENE 2002, p. 232 nt. n. 80). Sui capitelli vedi Scavi di Ostia 7
1973, p. 41, n. 122, tav 10; p. 53, n. 201, tav. 18; pp. 67-68, n. 262-267, tav. 35. I capitelli hanno confronti precisi con quelli
di villa Adriana oltre che con i capitelli del portico intorno al Capitolium di Ostia (PENSABENE 2002, p. 249, e vedi qui
paragrafo 4). Per le sculture in marmo recuperate da questa zona cfr. MANDERSCHEID 1981 p. 77, n. 84; p. 78, n. 85, tav 19,
nn. 87-88, tav. 20.
69 PENSABENE 2002, pp. 243-224.
70 MANDERSCHEID 1981, p. 79 n. 100, tav. 21; n. 101, tav. 21; n. 99, tav. 20. Per la testa di Traiano p. 78, n. 99, tav 20.
71 La maggioranza dei bolli risale al periodo 134-138 (PAVOLINI 1980, p. 118). Se è quindi oramai da escludere una datazione
dell’impianto al regno di Antonino Pio (Scavi di Ostia 1 1953, p. 146), rimane da valutare un ipotetico ruolo di Traiano nella
costruzione dell’impianto, sostenuta dal MEIGGS 1969, pp. 407-408, sulla base della notizia dello Hamilton che asseriva di
aver visto un’iscrizione recante il nome di Traiano, inducendo a pensare ad una prima fase riferibile al regno di quest’ultimo.
72 Cfr. PENSABENE 2002, pp. 221-222.
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L’ultimo complesso da considerare è quello delle Terme della Trinacria (siamo sul lato orientale di
via del Serapide), nella fase che data al 123 73 . La questione della possibile paternità adrianea della
committenza deve affrontare il problema del legame tra le terme e il tempio di Serapide, opera, come
già si ricordava di Caltilius P[…]. Infatti i bolli dello stabilimento sono analoghi a quelli dell’edificio
sacro, e il legame appare rafforzato dai ritrovamenti scultorei ed epigrafici effettuati nelle terme 74 . A
questi dati si deve poi aggiungere anche il fatto che nel corso del II secolo l’ampliamento dell’impianto
ebbe come conseguenza l’occupazione del caseggiato di Bacco ed Arianna, compreso nel recinto del
santuario. Ricardo Mar ritiene sulla base di quanto esposto che tutti questi edifici “pertencian a un mismo
proprietario”, e che le terme furono costruite come parte del grande Serapeo ostiense 75 . Si tratterebbe dei
Caltilii? Su questa famiglia non si dispongono di molte informazioni 76 : erano liberti, che videro
accrescere la propria ricchezza durante il regno di Traiano, facendo forse fortuna con l’attività
portuale 77 . La questione trova un suo arricchimento considerando il rapporto tra Adriano e Serapide,
che dovette essere certamente particolare, considerando che esattamente un anno prima della
costruzione del Serapeum ostiense (127), a Luxor fu dedicato un analogo tempio ancora nel compleanno
dell’imperatore 78 . È sufficiente per sostenere un’evergesia imperiale o comunque un coinvolgimento del
sovrano, magari legato all’istituzione di un culto ufficiale 79 ? Certamente la questione merita di ulteriori
indagini, impossibili da sviluppare in questa sede, ma risuonano opportune le considerazioni di Zevi: «Il
dio egizio rappresenta dunque una religiosità legata ad ambienti e ad attività economiche di ampia portata; anche se
valutata nei soli termini edilizi, la sua installazione in Ostia investe una dimensione che trascende quella dei Caltilii ed
interessa la struttura sociale della città, rinviando, in dimensione più ampia, alla storia stessa della città di Roma ». 80
73
Datazione basata sull’esame dei bolli (cfr. MAR 2001, p. 71). L’impianto fu infatti il risultato di una serie di interventi. Il
nome delle terme deriva dal mosaico posto nel corridoio vicino al frigidarium, con la personificazione della Sicilia,
rappresentata da un busto femminile che reca sulla testa tre gambe (Scavi di Ostia 4 1961, p. 140, n. 275, tav. 140).
74 Nel tepidarium è stato scoperto infatti un altare dedicato a Serapis.
75 MAR 2001, p. 75.
76 Il gentilizio ad Ostia è attestato da CIL XIV, 21, 251, 266, 310, 311, 332, 469, 621, 741, 761, 1154.
77 L’origine schiavile sembra potersi affermare per i cognomina decisamente grecanici ovvero servili di tutti i membri della
famiglia (ZEVI 2001, p. 172 e nt. n. 7). Ancora secondo Zevi (ivi., pp. 172-174) a questa famiglia sono da riferire una serie di
lastre a rilievo con ritratti maschili e femminili, accompagnate dai nomi e pertinenti a un monumento funerario, che hanno
consentito una, seppur parziale, ricostruzione prosopografica. Non disponendo del cognomen dell’evergete del Serapeo,
l’identificazione è sfortunatamente impossibile.
78 Si veda in generale BEAUJEU 1955, pp. 228-257 e GRENIER 2000, pp. 73-75.
79 BOLLMANN 1998, p. 177.
80 ZEVI 2001, p. 177. Un ulteriore spunto d’indagine in particolare dovrebbe essere offerto da una analisi dell’effettiva
diffusione della consuetudine di dedicare un tempio nel dies natalis dell’imperatore. La prassi appare indubbiamente
consolidata per il periodo augusteo, che segna, come noto, in particolare dopo la vittoria di Azio, la genesi di tali dediche. È
possibile una considerazione analoga per l’età adrianea, cioè all’incirca 150 anni dopo? Tornado quindi al problema delle
dediche dei serapei, siamo di fronte al semplice ripetersi di una tradizione oramai cementata dal tempo ovvero ad un caso
eccezionale, dovuto proprio dagli stretti legami che Adriano intratteneva con il culto di Serapide?
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4. Dinamiche e modalità dell’evergetismo imperiale
Con quali modalità e dinamiche si concretizzava l’evergetismo imperiale? La menzione ricorrente
nelle epigrafi della formula pecunia sua fa pensare ad una azione diretta e finanziata dal sovrano, senza
lasciare spazio a figure “intermediarie” e collaborazioni con le realtà locali. Il quadro, che emerge da un
esame di alcuni casi particolari, pare rivelare una realtà se non più complessa, sicuramente più articolata.
Prima di tutto prendiamo in esame il ruolo dei curatores rerum publicarum, istituiti da Traiano.
Costoro erano i “commissari” che il princeps inviava nelle città per amministrare il denaro pubblico; si
trattava in genere di senatori di rango pretorio, cui venivano assegnate mansioni piuttosto precise, e che
restavano in carica non più di qualche mese 81 . Potevano essere coinvolti in azioni di evergetismo?
Qualche indicazione viene da un testo relativo alla dedica di un phetrium (sala delle riunioni) per gli
Augustali di Caere (Regio VII) 82 . Qui infatti vi troviamo citato il curator Curiatius Cosanus, che sancì,
congratulandosi, l’iniziativa di un benefattore locale, il libertus Vesbinus. Il commissario in questo caso
svolse semplicemente un ruolo “notarile” dell’atto evergetico, senza parteciparvi attivamente, ma anzi,
incoraggiando, come evidentemente faceva parte delle sue mansioni, la comunità locale a compiere
nuove donazioni. Si può immaginare un coinvolgimento più diretto? È molto difficile dare una risposta,
perché i dati sono pochi: per Curatius Cosanus infatti non abbiamo altre attestazioni, mentre da
Beneventum si ha notizia di C. Ennius Firmus, designato da Adriano, come curator operis thermarum, e quindi
in qualche modo, forse, coinvolto nella costruzione delle terme. L’epigrafe è comunque importante
perché ci offre un esempio di curator nominato in ambito locale: il nostro uomo infatti ha svolto la sua
carriera nella stessa Beneventum 83 . Tornando al ruolo dei curatori, sono troppo poche le attestazioni, che
del resto si fanno più intense solo a partire dall’età di Antonino Pio, per valutare il loro ruolo nel
partecipare direttamente alle opere evergetiche. D’altronde il loro incarico era essenzialmente
finanziario, e non esplicitamente destinato ad essere una sorta di “longa manus evergetica”
dell’imperatore.
Si è accennato anche a figure definite “intermediarie” e al rapporto degli imperatori con le
comunità locali. Ostia pare un terreno decisamente fertile al riguardo, stante il forte ruolo
dell’evergetismo imperiale, già parzialmente affrontato nelle pagine precedenti 84 . Il problema è quello di
81
Sui curatores vedi JACQUES 1983, passim.
CIL XI, 3614. Vedi PAPI 2000, pp. 138-139.
83 Su questo personaggio vedi nt. n. 13. Il che smentisce nuovamente quelle visioni, già denunciate nell’introduzione, di un
governo centrale orientato a limitare l’autonomia di cui avevano sempre goduto le città (GARNSEY - SALLER 1987, pp. 34-40;
REYNOLDS 1988, pp. 41-46). «Né la personalità, né le prerogative dei curatori li predisponevano ad esser gli affossatori dell’autonomia locale;
soprattutto erano designati troppo irregolarmente perché pensassero di sostituirsi alle comunità locali. La nomina di questi commissari era
innanzitutto una risposta all’instabilità finanziaria delle cittadinanze» (JACQUES - SCHEID 2001, p. 340; vedi anche BURTON 1979, pp.
465-487; CAMODECA 1980, pp. 453-534).
84 L’interesse imperiale riceve un ulteriore impulso, ricordando come sia Traiano nel 105 (duovir “in assenza”, FRASCHETTI
2000, p. 143) che Adriano nel 121 e nel 126 ricoprirono il duovirato (PENSABENE 2002, p. 183). Il ricoprire una magistratura
82
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123
R. Castagno, L’evergetismo di Traiano ed Adriano nelle città dell’Italia, “LANX” 1 (2008), pp. 110‐138
comprendere «quale sia stato il ruolo degli imperatori, di servizi dell’amministrazione pubblica quali l’Annona, della
colonia stessa di Ostia e infine dell’evergetismo imperiale e privato nella trasformazione urbanistica ed edilizia». 85 La
città dopo la costruzione del porto andò incontro ad una straordinaria fase di prosperità, destinata ad
esplodere chiaramente in età adrianea, e che determinò una radicale trasformazione urbana 86 . Il nuovo
porto comportò la costruzione di grandi horrea, necessari allo stoccaggio delle merci e delle derrate,
magazzini costruiti secondo quello che Ricardo Mar definisce un vero e proprio “piano regolatore” 87 . E
con essi, contestualmente, ebbe luogo, una riorganizzazione dell’Annona, il che consente di introdurre
la prima figura che in qualche modo dovette svolgere un ruolo di esecutore e coordinatore di un
progetto che risulta difficile non collegare ad una grande evergesia di tipo imperiale: alludiamo a M.
Rutilius Lupus, il cui coinvolgimento non è certamente determinato dal solo fatto di essere tra i
fabbricanti di mattoni figuranti nei bolli rinvenuti negli horrea dei mensores (tra i più grandi della città) e
nei cosiddetti horrea traianei, alla spalle del Serapeo 88 . Possessore dunque di importanti fabbriche
laterizie, coinvolte nella maggiori costruzioni ad Ostia, ricco proprietario terriero 89 , ricoprì la carica di
prefetto dell’Annona nel 107 e di prefetto dell’Egitto dal 114 al 117, il che conferma i suoi stretti
rapporti con l’imperatore. È proprio in ragione della prima carica, la prefettura dell’Annona, dalla quale
dipendevano gli horrea ostiensi, che si può convalidare l’idea, già espressa dal Mar, di considerare il
nostro uomo come una sorta di “supervisore esecutivo” del progetto di sistemazione dell’area 90 .
Un ruolo per qualche misura analogo si ritagliò anche M. Acilius Priscus Egrilius Planarius,
verosimilmente coinvolto nella costruzione del Capitolium. Costui infatti rivestì l’importante dignità di
pontifex Volkani et aedium sacrarum Volkani (dal 105 al 126) 91 , al quale spettava, tra le altre, la
responsabilità di tutti gli edifici sacri della città. Si deve presumere dunque una sua presenza nella
realizzazione dell’opera, per la quale tuttavia si potrebbe azzardare l’idea di una probabile committenza
mista, pur originando da una iniziativa di matrice senza dubbio imperiale, vista la portata
dell’intervento. Il nuovo Capitolium 92 infatti fu costruito attorno al 120 93 , demolendo il precedente
o un sacerdozio da parte dell’imperatore era un fenomeno frequente per originare un atto di evergetismo di matrice
imperiale all’interno di una città. Così fecero per esempio Traiano a Didyma nel 97 e nel 102, ed Adriano ad Italica (vedi
BARRESI 2003, p. 31).
85 PENSABENE 2002, p. 182.
86 FRASCHETTI 2000, p. 142; ZEVI 2000, p. 512 e ZEVI 2001, p. 176.
87 MAR 2002, p. 147.
88 BLOCH 1969, pp. 316-320. I bolli di questo personaggio sono stati rinvenuti anche nel Capitolium adrianeo. Inoltre, a
dimostrazione dei legami stretti che doveva avere con gli imperatori, anche in ragione della sua carriera, suoi bolli sono
presenti anche nell’Arco di Benevento (del quale forse “sponsorizzò” l’iniziativa di costruzione, cfr. ROTILI 1972, pp. 57-58),
sua città natale. (Cfr. CAMODECA 1982, p. 119).
89 Il suo nome compare infatti nella già ricordata tabula Baebiana (cfr. CIL IX, 1455).
90 MAR 2001, pp. 152-153.
91 MEIGGS 1960, p. 514; ZEVI 1970, pp. 279-303. Sulla gens Egrilia vedi LICORDARI 1982, pp. 36-37.
92 Sul Capitolium vedi ALBIO 2002, pp. 363-390.
93 I bolli laterizi datano con esattezza tra il 117 e il 124 (BLOCH 1969, p. 347). Sui Capitolia vedi DE AZEVEDO 1940 pp. 1-36
(p. 9 per quello di Ostia).
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edificio della fine del I secolo a.C., e procedendo ad una generale risistemazione del foro augusteotiberiano, che vide il nuovo monumento più arretrato rispetto al vecchio, permettendo così di realizzare
la piazza antistante cinta dai due portici laterali, il che comportò anche la demolizione di un altro
tempio adiacente, per realizzare il porticato occidentale 94 . Appare piuttosto chiaro che solo il princeps
poteva ordinare un simile intervento nel cuore della città, smantellando ben due templi, dei quali uno
era la sede del culto più importante della città. Ciò non toglie che sia possibile ipotizzare, in mancanza
di testi epigrafici che diano conferma 95 , una articolazione dell’evergesia vera e propria, in particolare
per quanto riguarda l’identificazione del contributo dell’imperatore e di un possibile contributo della
colonia. Le considerazioni più pertinenti al riguardo sono state avanzate da Patrizio Pensabene in
relazione, per esempio, ai materiali marmorei impiegati nella cella e nel portico: la soglia della cella
infatti è ricavata da un unico blocco in marmo di Teos, mentre le colonne del portico avevano fusti in
granito e bigio, sormontati da capitelli in proconnesio. Questi ultimi, come già si accennava, sono
confrontabili sia, in ultima istanza, con quelli di Villa Adriana che con quegli delle terme di Nettuno ad
Ostia, al punto da indurre ad ipotizzare un’unica maestranza e ravvisare quindi un possibile contributo
dell’imperatore “limitato” all’elevato architettonico e decorativo. Tornando ai marmi, secondo lo
studioso la soglia della cella potrebbe essere legata ad una iniziativa imperiale, basandosi sulla
considerazione che i grandi monoliti di Teos siano soprattutto legati all’architettura templare, mentre le
colonne del portico non arriverebbero da cave di marmi colorati di proprietà imperiale, bensì sarebbero
prodotti di “largo consumo”, originari da cave di proprietà privata o comunque assegnate in appalto,
ovvero controllate dalle città che sorgevano nei dintorni 96 .
Abbiamo dunque già sulla base dei materiali una possibilità di cogliere la presenza di più soggetti
coinvolti nella realizzazione del Capitolium,, uno dei quali, accanto ad Adriano e al citato M. Acilius
Priscus Egrilius Planarius, potrebbe essere proprio la colonia, prendendo a paragone il caso di Ulubra 97 . In
conclusione si desume una ridefinizione dell’atto evergetico dell’imperatore, che non significa
necessariamente «un suo diretto intervento finanziario, ma più spesso l’intervento sulla progettazione di edifici se non di
città, con il concorso di forze pubbliche e private». 98
94 R. Meiggs (MEIGGS 1960 pp. 352 e 381) propone di identificare l’altro edificio con il tempio di Giove: il suo culto sarebbe
allora confluito nel nuovo Capitolium?
95 Effettivamente va notato che un riferimento al Capitolium si ha solo in CIL XIV, 32, dove si menziona un aeditus Capitoli,
carica attestata anche a Roma per il tempio di Roma ed Augusto (CIL XIV, 73). Meiggs (MEIGGS 1960, p. 380) precisa che il
testo è stato in realtà rinvenuto a Roma, ma il nome di A. Ostiensis Asclepiades ricorre nelle liste della familia publica di Ostia, a
cui l’epigrafe è dedicata. E verosimile ritenere che il Capitolium menzionato sia proprio quello di Ostia.
96 PENSABENE 2002, pp. 251-253. Contributo cui si rinvia per ulteriori esemplificazioni al riguardo.
97 JOUFFROY 1986, p. 121, ricorda la dedica dell’aedes Romae et Augusti di Ulubra (CIL X, 6485) ex pecunia publica.
98 PENSABENE 2002, p. 185.
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Una molteplicità di soggetti è invece esplicita nella realizzazione dell’anfiteatro di Capua 99 .
Possiamo infatti tranquillamente parlare di una “joint venture” che coinvolse due imperatori, Adriano ed
Antonino Pio, nonché la stessa città. A quest’ultima spetterebbe la costruzione dell’edificio, forse sotto
l’impulso dell’intervento di riparazione della via Appia, nel tratto tra Beneventum ed Aeclanum, compiuto
da Adriano nel 123 100 . Il princeps avrebbe invece curato il restauro e l’abbellimento del monumento (il
testo parla infatti di imagines). Antonino Pio lo dedicò 101 .
Completiamo questa veloce rassegna portando l’attenzione su un ultimo caso che potrebbe
presentare alcune delle dinamiche già indicate sopra, benché si dispongano di molti meno elementi
rispetto alla realtà ostiense: ci riferiamo ad Herdonia, città, come si ricorderà, ubicata lungo la via Traiana,
che proprio grazie all’apertura di questa nuova arteria di comunicazione andò incontro a una nuova fase
di sviluppo. In un certo senso riscontriamo le stesse dinamiche che hanno accompagnato lo sviluppo di
Ostia: la costruzione di una grande opera pubblica (lì il porto, qui una strada) che, agendo come
elemento catalizzatore dell’economia locale, originò una serie di atti di evergetismo, che determinarono
la generale risistemazione del foro (con la costruzione di un nuovo tempio sul lato orientale e
soprattutto la creazione del macellum a pianta circolare 102 ) e l’edificazione di un impianto termale proprio
nei pressi della via Traiana, occupando un’intera insula (2700 mq.). 103 Lo stretto legame sembra trovare
conferma nella cronologia di tutte queste opere, che risalgono ai primi decenni del II secolo e più in
generale in età traianea. Certamente l’apertura della via può avere motivato l’evergetismo locale, così
come non si può escludere un incoraggiamento se non addirittura un coinvolgimento, magari a livello
progettuale -richiamando le parole di Pensabene citate precedentemente- dell’imperatore, come sembra
suggerire la possibile individuazione di un’altra di quelle figure di “raccordo” già segnalate per Ostia. In
questo caso tutto pare deporre a favore di un membro della famiglia dei Publilii Patruini, quel L. Publilius
Celsus, consul suffectus nel 102 e consul iterum nel 113, pubblicamente onorato da Traiano con una statua 104 .
È dunque forse in costui e in più generale nella sua famiglia, secondo quanto già ipotizzato da Marina
Silvestrini, che si potrebbero cogliere i protagonisti del grande sviluppo che la città conobbe nell’età
traianea 105 .
99
CIL X, 3832 = AE 2001, n. 85.
Vedi nt. n. 16.
101 Un caso analogo di monumenti che vedono coinvolti più imperatori è quello già citato delle terme di Nettuno ad Ostia,
mentre in ambito provinciale, si ricorda la cooperazione tra lo stesso Adriano e la città di Smirne per la realizzazione del
ginnasio (cfr. BARRESI 2003, p. 444).
102 Cfr. DE RUYT 1983, pp. 82-88; MERTENS 1995, pp. 198-201.
103 MERTENS 1995, pp. 216-218.
104 SYME 1988, pp. 297-298.
105 SILVESTRINI 1995, p. 242.
100
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6. Considerazioni finali
Quale bilancio si può trarre da questa sommaria e provvisoria indagine relativa alle evergesie
imperiali di Traiano ed Adriano? Riprenderemo in parte alcune considerazioni già enunciate, nel
tentativo di dare una parziale risposta all’interrogativo. Emerge chiaramente una netta differenza negli
orientamenti evergetici dei due principi. Differenze culturali e di carattere? Tentativi di distinguersi e
“smarcarsi” dal predecessore? Desiderio di emulazione? Sono argomentazioni che hanno trovato
accoglienza in qualche studioso, nel tentativo, piuttosto inutile dal punto di vista della conoscenza del
fenomeno, di stilare una sorta di “hit parade” dell’evergetismo imperiale 106 . Più semplicemente si
potrebbe porre l’accento sulla complementarietà e continuità nella politica che caratterizzò i due
imperatori. Che l’interesse di Adriano tenda a concentrarsi in buona parte in altri settori rispetto a
Traiano, appare logica conseguenza delle scelte operate da quest’ultimo, che in certa misura avevano
esaurito le possibilità di interventi in tali ambiti. Continuità nel senso che il criterio ispiratore che guidò i
due sovrani fu essenzialmente quello del benessere dell’Italia, delle sue città, di offrire sostegno alla
crescita economica, in breve una politica che oggi non si avrebbe difficoltà a definire di “buon
governo” 107 .
Ma al di là di queste ovvie considerazioni certamente gli aspetti più interessanti che si sono
evidenziati risiedono nei moventi, nelle dinamiche e articolazioni liberalità, spesso più complesse di
quanto superficialmente possa apparire ad un primo sguardo. Le ragioni di un atto evergetico sono
chiaramente molteplici, spaziando da interventi legati a necessità di “manutenzione ordinaria” quale
poteva essere quella richiesta dalle strade, ad opere di eccezionale grandiosità, legate ad interessi più
generali e che travalicarono persino lo stesso ambito di riferimento locale, come la costruzione dei
grandi bacini portuali. Va da sé che l’imperatore poteva decidere di intervenire, più o meno
direttamente, sulla base di legami personali con una data comunità, o per risollevare le sorti di realtà
depresse economicamente e demograficamente. Sia l’Italia (per es. a Lucus Feroniae) sia le province (con
l’intervento di Adriano nella sua amata Italica) offrono ampi riscontri a tutti questi fenomeni. Tali azioni
non annullarono la dimensione locale, il ruolo dei magistrati, dell’ordo municipale o di evergeti privati,
ma al contrario finirono con l’essere un formidabile “volano evergetico”, stimolando lo spirito di
emulazione o portando le comunità cittadina ad affiancarsi all’imperatore.
106 Non sfugge a queste considerazioni il contributo di BOATWRIGHT 2000, p. 12 tra le altre, che muove in una prospettiva
neppur troppo velatamente adrianocentrica.
107 Opportuno il ricordo, segnalato anche da BOATWRIGHT 2000, pp. 14-15, di provvedimenti da parte di Adriano che
andavano proprio a favorire le città, quali il senatum consultum che confermava la possibilità di lasciare l’eredità ad ogni città
dell’impero (e già Traiano nei confronti di Helvia Ricina prese una disposizione simile, vedi CIL IX, 5746 = ILS, 5675) ed
ancora la proibizione di demolire le case con lo scopo di trasferirne il materiale in un’altra città (vedi anche BOATWRIGHT
1987, pp. 23-24).
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Rimane un grande limite per chi si dedica alle tematiche connesse all’evergetismo: la difficoltà di
tracciare confronti in una dimensione prettamente diacronica, non tanto per arrivare a un mero
computo statistico degli edifici e delle loro tipologie (cosa che pur sarebbe straordinariamente utile), ma
per cercare di capire se le dinamiche, le azioni, le evergesie stesse si siano organizzate secondo un
medesimo schema, o se ogni età abbia sperimentato modi di intervento differenti 108 .
Tutto ciò costituisce un ostacolo non indifferente non solo per la conoscenza del fenomeno
evergetico in età imperiale, l’età dell’evergetismo par excellence, ma visto il ruolo centrale dello stesso
come strumento politico, economico, sociale e finanche culturale, visto il suo impatto sulla vita dei
singoli come su quella delle città, costituisce, si diceva, una difficoltà anche per la comprensione delle
dinamiche storiche di età imperiale. Ma onde evitare di ribadire quanto già argomentato, è forse più
opportuno concludere con l’auspicio di poter approdare, procedendo ad una più sistematica analisi
delle testimonianze, in un’ottica di prospettiva della ricerca, a una visione complessiva dell’evergetismo
in età imperiale, tanto più necessaria, visto il suo ruolo fondamentale nella genesi e nel consolidamento
dell’Impero romano.
Raffaele Castagno
[email protected]
108
È certamente utile il lavoro di JOUFFORY 1986. Epigraficamente indispensabile, per chi si occupi di evergetismo italiano,
almeno per un repertorio delle testimonianze dell’Italia settentrionale, GOFFIN 2002.
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128
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Illustrazioni
Fig. 1. Panorama complessivo in valori assoluti dei 32 interventi esegetici attribuibili a Traiano.
Fig. 2. Panorama complessivo in percentuale dei 32 interventi evegetici attribuibili a Traiano.
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R. Castagno, L’evergetismo di Traiano ed Adriano nelle città dell’Italia, “LANX” 1 (2008), pp. 110‐138
Fig. 3.. Panorama complessivo in valori assoluti dei 15 interventi evergetici attribuibili ad Adriano.
Fig 4. Panorama complessivo in percentuale dei 15 interventi evergetici attribuibili ad Adriano.
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