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Preistoria di Giacomo Balla

"la Biblioteca di via Senato", febbraio 2017

febbraio 2017 – la Biblioteca di via Senato Milano dato rustico e ironico, un confronto con la produzione popolare di cui recupera forme e atteggiamenti, ma con una sfumatura di significato che ne produce un significativo scarto qualitativo. Melotti è infatti artista troppo colto e intelligente per cedere a stilemi troppo corsivi. Come fa notare Tonelli, «Melotti non aveva per la materia alcuna ossessione né particolare spinta emotiva, che almeno non provenisse da una formazione mentale». E un aspetto, come fa notare Sara Fontana, poteva tenere unita la scultura in metallo e quella in ceramica basata sull’uso della sfoglia anziché sulla modellazione: «l’assottigliamento della materia, spinto fino al minimo spessore indispensabile per poter sopportare le patine smaltate, e la strutturazione della forma mediante piani sovrapposti rendono […] a suo modo legittima la confusione tra le sottili sfoglie di maiolica e la lamiera di metallo smaltata». La ceramica, tuttavia, come fa giustamente notare Fiorucci, nonostante l’ambiguo atteggiamento dello scultore nei confronti del medium, svolge la funzione di punto di equilibrio tra le due stagioni del Melotti astratto. Un punto di passaggio essenziale, attento più di quanto si sia disposti a credere alle sollecitazioni del suo tempo: «la ceramica di Melotti è», osserva Fiorucci, «sostanza sensibile all’influenza di tendenza degli anni Cinquanta, alle deformazioni figurali realizzate attraverso colature pigmentose della materia liquida o dall’azione diretta dell’artista sull’argilla». [lpn] 39 LA MOSTRA/3 PREISTORIA DI GIACOMO BALLA Pittura e fotografia a Torino N el 1900 Pilade Bertieri, giovane pittore figlio del fotografo Oreste Bertieri, raggiunge un enorme e inaspettato successo presentando alla mostra della Promotrice di Belle Arti di Torino una grande tela intitolata Il conforto: un dipinto di tema macabro e di evidenti ascendenze del simbolismo nordico che non poteva non suscitare una forte impressione, con le conseguenti ricadute sulla stampa periodica, dalla riproduzione alla caricatura. Su un acceso tramonto in controluce si profila una lunga e sottile lingua di cielo all’orizzonte, mentre nella densa oscurità si snoda lungo un filare di alberi una schiera serpentinata di uomini che dal fondo del quadro arriva in fila ordinata in primissimo piano per essere accolta, sull’estrema destra della Giacomo Balla (1871–1958), Ritratto di Clelia Ghedini Marani,i 1907, olio su tela, Acquisto Fondazione Guido ed Ettore de Fornaris, 1983, GAM, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea 40 composizione, da una tetra prefigurazione della morte. La sinistra figura, restituita secondo la tradizionale iconografia dello scheletro nerovestito, accoglie in grembo fra le sue grandi ali il primo della fila: è il conforto degli ultimi e gli indigenti, che solo nella sua benedizione possono sperare di trovare sollievo agli affanni quotidiani. Temi di carattere sociale, dunque, si univano qui in una compagine simbolica solenne e visionaria, ma anche di inquieto verismo: componenti che il giovane Giacomo Balla, nato proprio a Torino nel 1871, giovanissimo apprendista presso lo studio fotografico Bertieri, doveva aver avuto ben presenti negli anni della sua formazione. A data 1900, in verità, Balla era già a Roma, dove si era trasferito cinque anni prima, ma l’ambiente e l’orizzonte visivo dei suoi primi passi nel monto artistico, compreso il quinquennio di studi all’Accademia Albertina di Torino fra 1886 e 1891, era lo stesso di Bertieri. Ne dà conto la raccolta e intensa la Biblioteca di via Senato Milano – febbraio 2017 Dall’alto in senso orario: Celestino Turletti (1845–1904), Il conforto da Pilade Bertieri, 1900, acquaforte, GAM, Gabinetto Disegni e Stampe; Anton Maria Mucchi Vignoli (1871–1945), Le cieche, 1899, olio su tela, dono della famiglia dell’autore, 1965, GAM, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea; Federico Boccardo (1869–1912) Mia moglie, (1899 ca.), olio su tela, Donazione Emilia e Rosina Boccardo, Sciolze 1967, GAM, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea; Giacomo Balla, Studio libero per il ritratto di Clelia Ghedini Marani, 1907, disegno a matita nera, tempera e carbone su carta, acquisto Fondaz. Guido ed Ettore De Fornaris, 1983, GAM, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea mostra curata da Virginia Bertone e Filippo Bosco per il progetto “Wunderkammer” della Civica Galleria d’Arte Moderna di Torino, dedicata espressamente a ProtoBalla. La Torino del giovane Balla, ai protagonisti e comprimari di quella stagione che dava ragione della produzione pittorica figurativa del maestro, che nel giro di pochi anni sarebbe diventato, come recita la parallela mostra curata da Ester Coen per la Fondazione Ferrero di Alba, “FuturBalla”. Balla è troppo giovane per partecipare attivamente alla vita artistica cittadina: salvo la fortunosa febbraio 2017 – la Biblioteca di via Senato Milano accettazione di un acquerello all’Esposizione della Promotrice del 1891, egli non comparirà mai nel profilarsi di una generazione di giovani artisti grosso modo suoi coetanei, quali il già ricordato Bertieri, Felice Carena e Antonio Maria Mucchi. Eppure uno sguardo al ritratto di Clelia Ghedini Marani dipinto da Balla nel 1907, quando Torino è ormai lontana, dimostra chiaramente che quel giro di orizzonte sulla cultura visiva dei primi anni piemontesi non è rimasto senza traccia: accostato anzi a dipinti di tema analogo, per esempio di Federico Boccardo, risulta più chiaro che una certa sobrietà di tono, una sensibilità verso certi accordi di colore, per una pittura dal tratto sfumato ma con una solida base di disegno tradisce una necessaria situazione genetica originaria. Di fatto, restituire l’orizzonte visivo in cui si è mosso l’artista significa offrire una traccia per una storia artistica di Torino a cavallo fra Otto e Novecento, puntando l’attenzione sulla generazione di allievi di Giacomo Grosso all’Accademia Albertina, fra cui Evangelina Alciati. Bisogna immaginare la città come raccontata dalle fotografie di Mario Gabinio e il suo album del 1900 su Torino che scompare, o come nei piccolissimi dipinti di Francesco Garrone, che descrive con minuzia fotografica le prospettive urbane osservate dal vero col binocolo. Ma a Torino Balla compie anche le prime esperienze lavorative, dapprima presso la casa litografica di Pietro Cassina e poi soprattutto presso lo studio fotografico di Paolo Bertieri, PROTOBALLA. LA TORINO DEL GIOVANE BALLA A cura di Virginia Bertone e Filippo Bosco TORINO, CIVICA GALLERIA D’ARTE MODERNA 4 novembre 2016 27 febbraio 2017 padre di Oreste: la fotografia non lo lascia indifferente, tanto che il taglio compositivo delle immagini e l’attenzione verso i partiti di luce e 41 ombra, così veristi e di chiaroscuro netto e solido vengono da quella matrice. Era questa la via che lo avrebbe portato al divisionismo, specialmente sulla traccia lasciata da Pellizza da Volpedo, che il giovane Balla incontra proprio grazie a Bertieri. Ma di Torino restava soprattutto a Balla lo spirito sobrio e disadorno, concentrato sulle cose nella loro verità frugale e privo di ridondanze, prima che irrompa la foga visionaria e tormentata degli anni futuristi. [lpn] Evangelina Emma Alciati (1883–1959), Triste Madre (Maternità), 1907, olio su tela, Donazione Elisa e Chiara Alice Italiano, Torino 2011, GAM, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea