Academia.eduAcademia.edu

STORIA DI ROMA

Mitica fondazione della città di Roma.

753 Mitica fondazione della città di Roma. Monarchia. Dai primi anni fino al 509 Roma fu governata da una monarchia. 600 Nascita della città vera e propria. 600-509 Influenza etrusca. Gli ultimi tre re sono nomi tipici etruschi: Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. La struttura sociale etrusca era fortemente aristocratica. Il potere era in mano a poche grandi famiglie. I romani ereditarono dagli etruschi la distinzione tra patrizi e plebei. I patrizi avevano il potere in virtù di due principi: appartenevano ad una gens, gruppi d’individui legati da rapporti di parentela con un antenato in comune che poteva essere anche mitico, e potevano trarre auspici, cioè interpretare il volere delle divinità. I capifamiglia d’ogni gens sedevano al senato (consiglio degli anziani). Plebei erano il resto della popolazione. Tra patrizi e plebei s’instauravano rapporti di fiducia chiamati clientele. Il patrizio dava al plebeo protezione e aiuto economico e riceveva in cambio sostegno per le lotte politiche e di difesa con le armi. 509 Repubblica. Nel 509 fu abbattuta la monarchia e i Tarquini furono cacciati dalla città. Fu instaurata la repubblica e il governo della città fu affidato a due magistrati: i consoli. La costituzione romana non rimase immutata nel tempo ma si adattò ai tempi e alle circostanze. Il numero dei magistrati, le competenze, le regole d’accesso subirono mutamenti ma tre caratteristiche generali rimasero invariate: la collegialità, cioè la parità dei poteri, l’annualità e la gratuità. I magistrati supremi della repubblica erano i consoli che attraverso l’imperium potevano comandare l’esercito, chiamare alla leva, nominare gli ufficiali, imporre tributi per necessità belliche, punire i soldati; questi poteri non erano validi dentro le mura della città, nella quale non potevano entrare eserciti in armi. Dentro la città potevano convocare le assemblee popolari e il senato, giudicare le cause civili e penali, però in caso d’appello la parola definitiva sulla sentenza spettava al popolo. Altro limite era l’intercessio, il diritto di veto reciproco tra i due consoli. Col tempo s’istituirono altri magistrati: i pretori amministravano la giustizia; gli edili curuli erano incaricati di sorvegliare le strade, gli edifici, i mercati, i luoghi pubblici e le cerimonie religiose; i questori amministravano il tesoro pubblico; il censore facevano il censimento per fini fiscali e di leva, controllava la moralità dei senatori e cittadini e in momenti di particolare pericolo interno o esterno poteva nominare un dittatore che aveva un potere civile e militare superiore a tutti gli altri e senza rendere conto a nessuno per sei mesi. Il senato era formato dalla classe dirigente patrizio-plebea. Interveniva su tutti gli atti più importanti: decideva le operazioni militari, organizzava i territori conquistati e distribuiva le terre, presiedeva ai culti religiosi e autorizzava la spesa pubblica. Si diventava senatori dopo aver ricoperto una magistratura, consolato e pretura prima, poi anche questura. I comizi centuriati erano una delle due assemblee popolari e aveva il potere di eleggere i consoli, pretori e censori, votare le leggi su proposta dei magistrati, dichiarare le guerre e giudicare in appello. I cittadini in base al censo erano divisi in cinque classi e formavano 193 centurie, di cui 98 erano attribuite alla 1° 499 493 490-430 406-396 400 390 343-341 340-338 326-304 classe, i più ricchi, che avevano quindi la maggioranza assoluta. Gli appartenenti alle centurie erano tenuti al servizio militare, i nullatenenti erano esclusi. L’altra assemblea popolare era i comizi tributi che aveva compiti analoghi ma di grado inferiore: eleggeva magistrati minori, giudicavano in appello nelle sentenze meno gravi, votava le leggi. I componenti erano i delegati di quattro tribù urbane e 16 rustiche, unita territoriali in cui era diviso lo stato. Roma sconfigge la lega latina nella battaglia presso il lago Regillo. Roma entra nella lega latina. Guerre contro i popoli appenninici. I Volsci che dai monti Lepini scesero verso il mare fondando Terracina e Anzio la loro capitale, gli Equi che dall’altipiano di Carsoli si spinsero nella pianura latina e s’impadronirono di Tivoli e Prenestre, i Sabini che si erano insediati lungo la riva sinistra del Tevere, lungo la Via Salaria. La lotta contro questi popoli si protrasse per quasi un secolo prima che le città confederate nella lega riuscirono a consolidare il controllo del Lazio e sbarrare l’accesso ai popoli appenninici. Guerra contro Veio, potente città etrusca situata 17 km a nord di Roma. L’assedio durò 10 anni; la città fu espugnata scavando un cunicolo sotto le mura. Artefice della vittoria fu Marco Furio Camillo. Galli. Verso il 2000 a.C., il popolo celtico era partito da una regione a sud degli Urali e aveva iniziato una lenta migrazione verso l’occidente. La loro tattica di combattimento si fondava sulla cavalleria e sulla forza d’urto dei carri. Essi non erano legati alla terra, questo era il motivo della loro grande espansione. Scesero in Italia e si diffusero ovunque; verso il 400 distrussero il centro etrusco di Melpum e fondarono la città di Mediolanum, occuparono Brescia, Verona e Felsina, che chiamarono Bonomia. I Celti, che i romani chiamavano Galli, passarono l’Appennino e sconfissero gli etruschi a Chiusi e un piccolo distaccamento di forze romane e latine presso il fiume Allia; quindi occuparono e saccheggiarono Roma, all’assedio resistette solo il Campidoglio. Dopo il pagamento di un riscatto lasciarono la città. Prima guerra sannitica. Nel corso del V secolo mentre Volsci, Equi e Sabini avevano invano tentato di invadere il Lazio, gli Osci, altro popolo appenninico appartenente al gruppo dei Sanniti, avevano occupato tutte le città etrusche e greche della Campania, tranne Napoli, e si erano assimilati alle popolazioni locali. Questa situazione d’equilibrio si ruppe nei primi decenni del IV secolo sotto la spinta di nuovi popoli sannitici. Per respingere l’invasione, Capua chiese aiuto a Roma e alla lega latina. La coalizione riuscì a bloccare la discesa dei sanniti nella prima guerra sannitica (343-341). Guerra latina. Capua e la lega latina, temendo la potenza di Roma, si allearono contro di essa. Anche da questa guerra Roma uscì vincitrice, sciolse la lega e le singole città del Lazio furono inglobate nell’ordinamento romano. Seconda guerra sannitica. Affermata la propria autorità sul Lazio, grande riserva d’uomini e mezzi, Roma riprese la lotta contro i Sanniti. La lotta, che si svolse nel territorio sannitico tra valli acquitrinose e alture fitte di vegetazione, fu cruenta e a Caudio, tra Caserta e Benevento nel 321, due legioni romane caddero in un’imboscata, furono disarmate e costrette ad una resa umiliante (Forche Caudine). 312 Appio Claudio da avvio alla costruzione della Via Appia tra Roma e Capua inizialmente, poi fino a Benevento e Brindisi. 298-290 Terza guerra sannitica. L’episodio decisivo fu la battaglia di Sentino, vicino Camerino, nel 295, dove i romani sconfissero una vasta coalizione di Sanniti, Galli ed Etruschi; fu definita la battaglia delle nazioni. Roma dopo questa vittoria si configurava come la potenza dominante in Italia. 282 Le città meridionali della Magna Grecia: Reggio, Crotone, Locri e Turii chiesero aiuto a Roma, considerata ormai l’unica potenza in grado di fermare le bellicose tribù appenniniche, Lucani, Bruttii e popoli sannitici. La presenza romana nel meridione preoccupava Taranto e anche se tra le due città nel 301/302 era stato fissato un accordo, che vietava alle navi romane di oltrepassare capo Lacinio, sullo Ionio, certi gruppi di potere a Roma erano interessati ad estendere i traffici verso l’Adriatico. Nel 282, a causa di una provocazione secondo i Tarantini, un incidente secondo i romani, scoppiò la guerra. Dieci navi romane, davanti al porto di Taranto, furono assalite e messe in fuga, quattro affondarono. Gli ambasciatori recatisi per chiedere spiegazioni furono oltraggiati. Il conflitto che ne derivò coinvolse anche la Sicilia, Cartagine e l’Epiro, lo stato greco sulla costa balcanica dell’Adriatico, su cui regnava Pirro. Il re Pirro aveva l’ambizione di creare un grande impero dei Greci d’Occidente con l’Epiro, la Magna Grecia e la Sicilia, perciò accolse con entusiasmo l’invito dei tarantini e sbarcò in Puglia con 25.000 uomini e decine d’elefanti ancora sconosciuti dai romani. 280 Pirro in Italia. Nel primo scontro ad Eraclea prevalse Pirro, anche se le perdite furono pesanti per entrambi. Pirro, quindi, si alleò con i Sanniti e i Lucani e salì verso Roma fino ad Anagni. La gravità della situazione spinse i romani a trattare la pace, ma i negoziati non ebbero successo. In seguito ad un’altra vittoria di Pirro ad Ascoli Satriano, i Cartaginesi preoccupati per i loro possedimenti in Sicilia, decisero di intervenire alleandosi con i romani. Pirro allora scese in Sicilia, e le città greche lo accolsero come un liberatore, rispetto alla minaccia dei barbari cartaginesi. La lotta di Pirro contro le roccaforti puniche però non ebbe successo. 275 Pirro tenta allora di risalire la penisola, però a Maleventum i romani gli inflissero una pesante sconfitta, tanto che il re decise di ritornare in Epiro. Dopo questa vittoria i romani chiamarono la città Beneventum. 275 Roma concede ai popoli e le città conquistate dei diritti in vario modo, chiamato, ordinamento scalare, perché caratterizzato da una varietà di rapporti più o meno privilegiati con lo stato romano. In generale si distinguevano i soci latini, con diritti di matrimonio e commercio con i romani e i soci italici, esclusi da questi diritti. Gli alleati s’impegnavano a fornire a Roma soldati, navi e tributi. Alcune città furono chiamate municipi, con o senza diritti di cittadinanza romana, di matrimonio e commercio con i romani. Nei punti strategici, lungo le coste e nell’entroterra, fondarono le colonie romane, abitate da cittadini con pieni diritti. Grazie a questa organizzazione lo stato romano riuscì a mantenere a lungo il dominio sui vasti territori e sui diversi popoli conquistati. 264 Scontro con Cartagine. I romani entrarono in Sicilia venendo meno al patto stretto con Cartagine e ne derivò un lungo conflitto. Per secoli romani e cartaginesi avevano intrattenuto ottimi rapporti. Roma aveva stipulato con Cartagine dei trattati bilaterali nel 509 e nel 348 per stabilire le rispettive sfere d’influenza. Con il trattato del 306, rinnovato nel 278, Roma aveva il dominio sulla penisola, Cartagine sulla Sicilia. Nel 275 con la cacciata di Pirro e la sconfitta di Taranto, Roma estese il suo dominio fino alla stretto di Messina, a pochi chilometri dalla Sicilia, ambita per la fertilità del suolo, per la ricchezza delle città e per la sua posizione al centro del Mediterraneo. 264-241 Prima guerra punica. 263 I romani presero Siracusa 262 I romani presero Agrigento. 260 La flotta romana, potenziata dal contributo delle città meridionali, grazie ai corvi delle navi, sconfigge quella cartaginese davanti al promontorio di Milazzo 256 Una gigantesca flotta di 230 navi romane sconfigge l’intera flotta cartaginese di 250 navi presso capo S. Angelo, vicino Licata. 255 L’esercito romano sbarca in Africa con successo, però il console Attilio Regolo non accetta le favorevoli condizioni di pace e con decisione marcia fino a Cartegine. Però sorpreso dai nemici, che nel frattempo si erano rafforzati con truppe mercenarie assoldate in Grecia, fu sconfitto. Successivamente i romani conquistano Panormo, la principale roccaforte cartaginese dell’isola. Seguirono aspre lotte in tutta l’isola 247 I cartaginesi, riorganizzati da Amilcare Barca, non danno tregua ai romani, con rapide e ripetute azioni di guerriglia. 241 Roma costruì una grande flotta, e nei pressi delle isole Egadi il console Catulo annientò la flotta cartaginese comandata dall’ammiraglio Annone. Con questa vittoria la Sicilia passò ai romani e Cartagine s’impegnò a pagare un contributo ventennale come risarcimento dei danni da guerra. Il punto debole di Cartagine era il suo esercito: non aveva una base popolare, gli ufficiali subalterni e la truppa erano mercenari, reclutati ovunque, che non furono mai assimilati ai cittadini cartaginesi. In una guerra rapida e con possibilità di un buon bottino, l’esercito mercenario esperto e addestrato è difficilmente battibile, ma in una guerra di logoramento, lenta, quando la paga tarda ad arrivare, l’esercito cittadino ha maggiori motivazioni. 238-237 I romani conquistano la Sardegna e la Corsica. La Sicilia, la Sardegna e la Corsica, le isole conquistate dai romani dopo la prima guerra punica, furono chiamate province, governate da un magistrato romano, dotato di poteri civili e militari; ai consoli e pretori alla scadenza del mandato annuale era assegnato il governo di una provincia, con il titolo di proconsole o propretore, di durata annuale prima e fino a tre anni in seguito. Il suolo della provincia era di proprietà romana, i suoi abitanti non erano cittadini ma sudditi sottoposti al pagamento delle tasse; una situazione molto diversa dalle comunità italiche che avevano la cittadinanza. Con la creazione delle provincie Roma cominciò a diventare una potenza imperialistica. 230 Tribù illiriche. Roma, dopo la vittoria su Pirro, aveva fondato alcune colonie sulla costa adriatica: Rimini nel 268, Brindisi nel 244; continuamente minacciate dalla pirateria illirica. Le tribù illiriche avevano formato un regno protetto da un grande stato ellenistico, la Macedonia. I pirati che si annidavano sulle loro coste effettuavano frequenti incursioni sulle coste italiane a danno delle colonie romane. Il senato inviò alcuni ambasciatori presso la regina degli Illiri, Teuta, intimandole di sospendere la pirateria nell’Adriatico. La risposta fu sprezzante e gli ambasciatori furono massacrati al ritorno in patria. 229 Roma intervenne con una grossa flotta e sconfisse la flotta illirica, imponendo pesanti condizioni di pace. Ma i patti non furono mantenuti e dieci anni dopo i romani ripresero la guerra che si concluse con una nuova vittoria e l’occupazione dell’Illiria meridionale, l’odierna Albania. 226 Galli. Le tribù galliche della Pianura Padana diventano improvvisamente aggressivi, scesero verso sud invadendo l’Umbria e l’Etruria. 225 I romani sconfiggono i Galli a Talamone. 223 Nuova vittoria presso il fiume Oglio. 224 I romani con Claudio Marcello ottengono il successo definitivo contro i Galli a Casteggio, vicino Pavia. Il territorio dei Galli, la fertile Pianura Padana, fu confiscato, furono fondate nuove colonie: Cremona e Piacenza. 218-201 Sbarrata la via del Tirreno, Cartagine riprese l’espansione verso la Spagna. La conquista fruttò le ricche miniere d’argento della Sierra Morena che riassestarono le finanze e permisero di pagare in anticipo l’indennità di guerra con Roma. Per cautelarsi i romani imposero un trattato che impediva a Cartagine l’espansione oltre il fiume Ebro. Con i generali Amilcare e Asdrubale, appartenenti alla famiglia Barca, Cartagine si era limitata a consolidare il dominio spagnolo, con Annibale, dotato di grande forza fisica e notevole capacità intellettuali, istruito alla guerra dai greci, ripresero le aspirazioni contro Roma. 219 Annibale e seconda guerra punica. Annibale assedia Sagunto, una città posta nel territorio cartaginesi, alleata dei romani. Dopo otto mesi d’assedio la città fu conquistata e i romani, dopo aver richiesto invano il ritiro da Sagunto, dichiararono guerra a Cartagine. Annibale con 70.000 soldati varcò le Alpi al passo del Monginevro e scese in Italia. Il piano di Annibale prevedeva di disgregare la federazione italica per ridurre la potenza di Roma. Alla mossa di Annibale Roma rispose inviando due legioni in Spagna, al comando di G. Scipione, per impegnare dei contingenti cartaginesi lontano dall’Italia e ostacolare i rifornimenti ad Annibale. Annibale presso il fiume Ticino sconfigge le legioni del console P. C. Scipione e subito dopo alla Trebbia ripetè il successo. Intanto le popolazioni celtiche della Val Padana, da poco sottomesse, si ribellavano a Roma e passavano con gli invasori. 217 Annibale sconfisse le legioni del console Gaio Flaminio presso il Trasimeno e avanzò verso l’Italia meridionale. Nel 217 fu eletto dittatore Fabio Massimo, il Temporeggiatore, che consapevole della momentanea inferiorità, non accettava più battaglie in campo aperto ma solo logoranti azioni di guerriglia, convinto che Annibale non sarebbe potuto rimanere a lungo in Italia, mentre Roma, padrona dei mari, bloccava l’invio di rinforzi e rifornimenti da Cartagine. 216 Mentre la tattica dell’attesa stava dando i propri frutti prevalse l’impazienza; i consoli L.E. Paolo e G.T. Garrone con 50.000 soldati attaccarono Annibale presso Canne e furono sconfitti, nella battaglia persero la vita 45.000 soldati. Molti popoli italici, Sanniti, Apuli, Bruzi, Capua, alla notizia della sconfitta passarono con il nemico, anche Filippo V, re di Macedonia e la potente Siracusa si allearono con Annibale, ma gli Umbri, Etruschi, Latini e Sabelli, che erano i popoli che avevano ricevuti la cittadinanza, restarono alleati di Roma, costituendo un anello di protezione intorno alla città. Roma, con la concessione della cittadinanza e i rapporti instaurati con le singole comunità italiche, aveva unificato gran parte dell’Italia. Annibale, logorato da anni di guerra lontano dalla patria, ostacolato dalla difficoltà dei rifornimenti, non poteva resistere oltre; inoltre Filippo V di Macedonia fu neutralizzato con abili mosse diplomatiche e Siracusa fu conquistata tra il 213 e 211 dal console M.C. Marcello. 207 Asdrubale, fratello di Annibale, dalla Spagna era passato in Italia con un grosso esercito, fu sconfitto e ucciso presso il Metauro dai consoli Claudio Nerone e Livio Salinatore. 204 Protagonista della rivincita contro Cartagine fu P.C. Scipione, con un abile mossa sbarcò in Africa con un forte esercito e si alleò con Massinissa, principe della Numidia, una popolazione indigena sottomessa dai cartaginesi. 203 Scipione vinse i Cartaginesi ai Campi Magni. Annibale, preoccupato per le sorti della città lasciò l’Italia dopo 15 anni d’assedio. 202 Scipione sconfisse Annibale nella battaglia di Zama. Il genio militare di Annibale, la superiorità della sua cavalleria e l’organizzazione del suo esercito aveva inferto duri colpi ai romani ma in una guerra tanto lunga furono altri fattori determinanti: il dominio dei mari, grande disponibilità di uomini, uso di eserciti cittadini e la capacità di Cornelio Scipione. 200-197 Il re di Pergamo e la repubblica di Rodi alleati di Roma e altre città, tra cui Atene, le chiesero aiuto contro la minaccia di Filippo V re di Macedonia. Roma intimò al re di ritirarsi dai territori occupati e di rispettare l’autonomia delle città greche, al rifiuto del sovrano dichiarò guerra. Nel 197 i manipoli delle legioni romane comandate dal console Flaminino sconfissero la vecchia falange macedone di Filippo V a Cinoscefale in Tessaglia. Con la pace di Tempe Filippo V dovette ritirarsi dalla Grecia e Flaminino proclamò la libertà e l’indipendenza delle città greche nel 196 a Corinto. 189 Sconfitta la Macedonia, Roma si interessò della Siria, un’altra potenza che aspirava all’egemonia sul Mediterraneo. Roma sconfisse il re di Siria Antioco a Magnesia. Annibale, si era rifugiato alla corte del re di Siria per costituire intorno al re Antioco una coalizione di popoli contro Roma, la cui ascesa era una minaccia per la libertà di tutti i paesi mediterranei, alla sconfitta del re di Siria nel 183 preferì suicidarsi. 168 Le città greche non tolleravano la presenza delle legioni romane che limitavano le libertà solennemente proclamate a Corinto. Il protettorato di Roma era sentito come un abuso e una prepotenza. Interpretando questi sentimenti d’insofferenza Perseo re di macedonia e figlio di Filippo V dichiarò guerra ai romani ma fu sconfitto a Pidna. Il regno di Macedonia fu diviso in quattro piccole repubbliche e le città greche che avevano aiutato Perseo furono costrette a consegnare mille ostaggi tra i cittadini più in vista, tra i quali lo storico Polibio. 146 Roma saccheggiò e rase al suolo Corinto, una delle città più grandi e ricche della Grecia. 149-146 Terza guerra punica. Cartagine, in seguito alle sconfitte, si era dedicata allo sfruttamento del territorio africano e ai suoi traffici, ottenendo una rinascita economica che era mal vista dalla fazione romana più tradizionalista. Stanca di subire le continue provocazioni del re di Numidia Massinissa, Cartagine gli aveva dichiarato guerra senza chiedere il permesso a Roma. Mentre i consoli partivano per l’Africa, giunsero gli ambasciatori cartaginesi per offrire la completa sottomissione della città; nonostante accettassero le pesanti condizioni imposte dal senato, le legioni del console P.C. Scipione Emiliano sbarcarono in Africa e chiesero che la città venisse abbandonata e ricostruita a 15 km dal mare. A questa assurdità i cartaginesi decisero di resistere fino alla morte. La città fu distrutta dopo tre anni d’assedio. Le guerre di conquista, anche nel mondo antico, erano una grande impresa commerciale, per l’afflusso di ricchezza dalle città saccheggiate e per l’apertura di nuovi mercati. Le grandi e ricche città greche e orientali fruttarono bottini enormi. Sia per le guerre di conquista che per lo sfruttamento delle provincie, le condizioni economiche di tutti i cittadini romani migliorarono e dal 167 furono esentati dal pagamento del tributo; ormai le tasse le pagavano solo i provinciali. In realtà i vantaggi li trassero solo i vertici politici ed economici. A raccogliere i frutti delle conquiste furono soprattutto i senatori e i cavalieri (equites). I cavalieri erano quelli iscritti all’ordine equestre, cittadini che disponevano di redditi molto elevati. Lo stato romano, non disponendo di un’organizzazione per amministrare direttamente le provincie, ricorse all’appalto; affittò ai cavalieri la riscossione delle tasse, l’amministrazione delle miniere ed altro. Gli appaltatori erano tenuti a versare allo stato una cifra globale concordata. Per ottenere l’appalto erano necessari notevoli mezzi finanziari, per garantire lo stato da ogni rischio e per l’esercizio stesso dell’appalto che comportava la disponibilità d’esattori, contabili, ecc.. Gli interessi economici dei cavalieri non si limitavano solo ai grandi appalti ma erano un ceto d’affaristi, speculatori, imprenditori commerciali che investivano i loro capitali anche sulle proprietà fondiarie; come i senatori grandi proprietari terrieri investivano in campo commerciale. 133 123 122 Anche i senatori trassero grandi profitti dalle conquiste che fecero affluire nelle loro terre migliaia di prigionieri di guerra venduti come schiavi. Essi erano una manodopera ideale perché non ricevevano salario e non erano soggetti al servizio militare. Di fronte alla concorrenza delle grandi aziende con manodopera schiavile le piccole fattorie non avevano possibilità di sopravvivere. I contadini, costretti ad assentarsi per lunghi anni per partecipare alle campagne militari e incapaci di competere con i prezzi bassi dei latifondi, carichi di debiti, erano costretti a svendere il proprio campo ai grandi proprietari terrieri e si trasferivano con tutta la famiglia a Roma, sperando di trovare qualche espediente per sopravvivere. Fu eletto tribuno della plebe Tiberio Gracco. Il tribunato, istituito nel 449, era il punto di forza del proletariato, aveva all’inizio un carattere di contrasto con gli altri organi, col tempo fu riconosciuto anche dai patrizi. I tribuni erano 10 e avevano poteri enormi: erano inviolabili, chi arrecava loro un danno era considerato sacer, cioè vittima consacrata delle divinità plebee e poteva essere ucciso da qualsiasi privato cittadino, avevano il potere di bloccare con il veto qualsiasi iniziativa dei magistrati o del senato (intercessio) e nel 287 con la lex Hortensia, avevano conquistato il diritto di proporre leggi, valide per tutto il popolo, patrizi compresi. La prima proposta di Tiberio, che intendeva colpire il latifondo, fu che nessuno poteva possedere più di 1.000 iugeri (250 ha) d’ager publicus; il restante doveva tornare allo stato e distribuito tra i nullatenenti. Questi terreni erano di proprietà dello stato ed erano stati affittati a privati cittadini dietro pagamento di una tassa; col tempo i piccoli possessori, caduti in rovina li avevano venduti, a prezzi irrisori, ai latifondisti che non li distinguevano più dai terreni di proprietà; essi vi avevano investito capitali e come beni di famiglia passavano in eredità. Uno dei 10 tribuni, Marco Ottavio, possessore di latifondi e in accordo con i gruppi di potere oligarchici, pose il veto alla proposta di Tiberio, il quale con un atto illegale fece deporre Ottavio e la sua legge fu approvata. Per rendere esecutiva una legge così complessa richiedeva molto tempo e denaro. Allo scadere del mandato annuale, con nuovo atto illegale, Tiberio si fece rieleggere per realizzare la riforma. Però i suoi nemici fecero scoppiare dei disordini ed egli fu ucciso e buttato nel Tevere. La politica sociale di Tiberio fu ripresa dal fratello Gaio Gracco, che riuscì a farsi rieleggere l’anno successivo, appoggiato dai cavalieri e dalla borghesia italica fece approvare leggi di grande importanza politica e sociale. La legge frumentaria che stabiliva la vendita di frumento a prezzo agevolato per la plebe; una nuova legge agraria che riproponeva la legge di Tiberio; la legge giudiziaria che cercava di creare una divisione nella classe dominante dei senatori e dei cavalieri, per rendere possibile le riforme proposte. Con la legge giudiziaria, i senatori che si rendevano colpevoli di corruzione dovevano essere giudicati dai cavalieri e non più dagli stessi senatori. Ai senatori invece spettava il compito di controllare i cavalieri nei loro affari. Gaio propose la legge di concedere cittadinanza romana agli alleati latini, per avere un appoggio maggiore, ma la plebe, gelosa dei propri privilegi, reagì e la legge fu bloccata. I senatori approfittarono di questo passo falso e si appoggiò ad un “uomo di paglia”, Livio Druso, che presentò un programma ancora più filopopolare e fu eletto ai danni di Gaio Gracco. Alla prima occasione furono scatenati dei disordini, il senato decretò il senatusconsultum ultimum che sospendeva le garanzie costituzionali e affidava tutto il potere ai consoli, perché salvasse lo stato. I graccani furono massacrati per le strade e vistosi perduto Gaio si fece uccidere da uno schiavo. 111-105 Guerra contro Giugurta, re di Numidia, che aveva massacrato i mercanti italiani della città di Cirta. 107 Fu eletto console Gaio Mario, proveniente da una famiglia di cavalieri d’Arpino. 105 Gaio Mario sconfisse Giugurta. Egli fece un’importante innovazione nell’esercito: arruolò i nullatenenti e introdusse le coorti. I Cimbri e i Teutoni, popoli germanici, ad Aurasio (Orange, lungo il Rodano) massacrarono 60.000 soldati romani. 104-100 Gaio Mario fu eletto console per altre cinque volte. 102-101 Ad Aquae Sextiae (Aix-en-Provence) e ai Campi Raudii (Vercelli) Mario sconfigge definitivamente i Cimbri e i Teutoni. 100 100-90 91 90 90-88 89 88 I successi di Mario rinvigorirono i democratici e il tribuno Lucio Apuleio Saturnino, erede della politica graccana, appoggiato da Mario, fece approvare una serie di leggi per la distribuzione di grano per la plebe e di terra per i veterani e nullatenenti. In occasione delle elezioni scoppiarono dei disordini e il senato fece approvare il senatusconsultum ultimum dando tutti i poteri ad un magistrato. I democratici furono massacrati ed anche Saturnino perse la vita. Mario preferì allontanarsi e accettò un incarico diplomatico in oriente. Vi furono 10 anni di crisi istituzionale. Mario Livio Druso, tribuno della plebe, propose una serie di leggi che da una parte rafforzava la nobiltà e dall’altra avviava una serie di riforme sociali per combattere il malessere diffuso tra la plebe romana e i popoli italici. Propose una legge giudiziaria che restituiva i tribunali ai senatori e prevedeva l’immissione di cavalieri in senato; la legge giudiziaria e agraria che prevedeva la distribuzione di grano e di terre al proletariato; la concessione della cittadinanza romana a tutti gli italici per potenziare l’ordinamento scalare che era stata un’arma invincibile contro Pirro e Annibale. Druso però fu pugnalato e i problemi rimasero insoluti in particolare quello della cittadinanza agli italici con gravi conseguenze. La morte di Druso convinse gli italici che senza un’azione decisiva il governo della capitale non avrebbe mai affrontato i loro problemi e trasformò il malcontento in una ribellione organizzata. Numerosi popoli italici, Marsi, Sanniti, Lucani e Peligni si uniscono nella lega italica con centro nella città di Corfinium e dichiararono guerra a Roma, chiamata guerra sociale perché contro i socii. In tre anni di guerra vi furono 300.000 morti da ambo le parti, con città saccheggiate e campagne devastate. Il generale Pompeo Strabone prese la roccaforte italica d’Ausculum. Lucio Cornelio Silla si impadronì di Corfinium, ponendo fine al conflitto. Ma il principio per cui si erano battuti i popoli italici prevalse e la cittadinanza romana fu estesa a quasi tutta l’Italia. Naturalmente non tutti avevano la possibilità di far valere i propri diritti perché le assemblee si svolgevano solo a Roma e non tutti potevano affrontare un lungo viaggio. Quindi lo stato romano restò sempre lo stato di una sola città. Altra causa di debolezza fu che lo stato romano non affrontò mai il problema della partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica. 87 86 85 83 82-79 79 Lucio Cornelio Silla Nelle provincie orientali, intanto, cresceva l’odio contro i romani che dissanguavano con le tasse regioni una volta ricchissime. Mitridate VI Eupatore, re del Ponto, coalizzò popoli asiatici e greci e in pochi giorni massacrò 80.000 italici residenti in Asia. Erano passati pochi mesi dalla presa di Corfinium, ma al senato non restava che decretare una nuova guerra. Il comando delle legioni spettava a Lucio Cornelio Silla, nuovo idolo dei conservatori e nemico dei democratici, uomo avido e crudele. In caso di vittoria avrebbe dominato la scena politica, perciò i democratici con un atto illegale gli tolse il comando delle legioni per affidarlo al vecchio Gaio Mario. Silla che era in Campania, nella attesa di salpare per l’oriente, respinse la decisione e con un atto ancora più grave marciò verso Roma. Entrato a Roma sconfisse facilmente i soldati di Mario e partì per l’oriente. Silla sconfisse Mitridate a Cheronea. Silla sconfigge definitivamente ad Orcomeno Mitridate. Il re di Ponto firma la pace, il suo regno fu ridimensionato e l’Asia Minore fu costretta a pagare subito tutte le imposte arretrate. Silla rientrò in Italia vanamente contrastato dagli eserciti dei democratici. Il massacro sistematico di tutti i prigionieri, vendette indiscriminate e orrori di ogni genere furono i metodi di Silla per ristabilire l’ordine una volta rientrato in città. Egli inventò le tavole di proscrizione, elenchi con i nomi dei nemici dello stato sui quali era posto una taglia e si autorizzava chiunque ad eliminarli. I loro beni messi all’asta a prezzi irrisori andarono ad arricchire i patrimoni dei sillani. Dittatura di Silla. Dopo un anno i nemici di Silla furono tutti eliminati. Egli si fece eleggere dittatore a tempo indeterminato. Il potere dei tribuni fu ridimensionato, ogni loro legge doveva preventivamente passare per il senato. Il numero dei senatori fu raddoppiato, i tribunali furono di nuovo assegnati al senato, le distribuzioni di grano furono abolite. Dopo quattro anni di dominio assoluto Silla si ritirò in Campania a vita privata e nel 78 morì. L’anno 88 segnò una svolta nella storia romana, per la prima volta un esercito entrò nella città per contrastare una decisione presa da un’assemblea popolare. Da quell’anno si aprì l’età delle guerre civili, di sangue, di grandi sconvolgimenti, di crisi dei valori morali che durò quasi un secolo e finì con la fine della stessa repubblica. Durante questi anni l’esercito fu lo strumento fondamentale della lotta politica al servizio di una fazione o di un personaggio. Per secoli l’esercito romano era stato un esercito di non professionisti che si identificava con la repubblica, fedele al senato, ai magistrati e al popolo. I soldati, finito il servizio, tornavano nei campi. La leva era fatta in base al reddito, chi non possedeva nulla non era arruolato. Con Mario nel 107 entrarono nell’esercito anche i proletari, i nullatenenti che combattevano per arricchirsi, per il saccheggio ed erano fedeli più ai generali che alla patria. Durante il primo secolo a.C. le due fazioni che si contendevano il potere erano i 78-71 70 67 66-62 63 60 populares e gli optimes. I populares attraverso il tribunato della plebe e le assemblee popolari avevano l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita delle classi più povere con riforme agrarie, abolizioni dei debiti, leggi frumentarie, ecc. Gli optimes attraverso il senato cercavano di mantenere i loro privilegi. Gneo Pompeo e Crasso. La vita politica fu dominata da Gneo Pompeo e da Crasso. Pompeo era figlio di Pompeo Srabone, il generale che aveva conquistato Ausculum, aveva grandi latifondi nel Piceno. Nel 83 armò a sue spese tre legioni per aiutare Silla a scacciare Mario da Roma. Nel 76 fu in Spagna contro Sertorio, un democratico governatore delle due province spagnole che si era ribellato a Silla. Di ritorno dalla Spagna finì di massacrare l’esercito di Spartaco, già battuto da Crasso. Crasso come Pompeo era molto ricco, aveva inizialmente acquistato i beni dei proscritti a prezzi irrisori durante le stragi sillane, poi aveva iniziato varie attività: commercio, sfruttamento delle miniere d’argento spagnole, usura, speculazione edilizia. Furono eletti consoli Pompeo e Crasso. In accordo intrapresero una politica filopopolare: restituirono i poteri ai tribuni della plebe abrogati da Silla, affidarono parte dei tribunali ai cavalieri. Pompeo inizia una campagna militare contro i pirati che avevano le loro basi in Cilicia. I pirati attaccavano le navi cariche di grano ed altro che rifornivano la capitale. Siccome il mancato arrivo di un carico faceva salire il prezzo del grano fu la plebe che richiese l’intervento militare. Pompeo in soli 49 giorni distrusse le basi dei pirati, catturando centinaia d’imbarcazioni. Pompeo vinse più volte contro il re di Ponto Mitridate che fu costretto a ritirarsi sulle coste del Mar Nero dove, tradito dal figlio Farnace, si uccise nel 63. Congiura di Catilina. Lucio Sergio Catilina era il figlio di una famiglia patrizia ormai dissestata, aveva aderito alla causa democratica con tendenze nuove rispetto ai movimenti popolari dell’età graccana caratterizzata da un orientamento moderato per l’alleanza con i cavalieri e la borghesia italica. L’azione di Catilina fu più rivoluzionaria perché era appoggiato dai proletari ed emarginati che non avevano niente da perdere. Egli aveva tentato già nel 66, 65 e 64 di farsi eleggere console ma per motivi formali il senato respinse la sua candidatura. Quando nel 63, con mezzi più o meno leciti la sua candidatura fu respinta nuovamente, egli tentò il colpo di stato. Il suo piano prevedeva un’insurrezione generale che doveva partire dall’Etruria, una regione dissanguata dal latifondo e decimata dalle stragi sillane. Cicerone, un brillante avvocato, avvisato per tempo da Crasso, che in un primo tempo aveva appoggiato Catilina, denunciò in senato quello che stava accadendo (catilinarie). Mentre Catilina lasciava Roma per raggiungere i congiurati in Etruria, Cicerone venne in possesso di una lettera inviata da alcuni congiurati rimasti a Roma agli ambasciatori dei Galli, che si trovavano in città, per incitare alla rivolta le popolazioni galliche. Questo documento letto in senato fu la base della quarta catilinaria. Questa fu una mossa imprudente che alienò le simpatie della plebe romana ai congiurati. Gli autori della lettera furono condannati a morte e giustiziati, era un atto illegale perché il senato non aveva poteri giudiziari e ai condannati non fu concesso l’appello. Poi fu mandato un esercito in Etruria e nella battaglia vicino Pistoia nel 62 morì anche Catilina. Cesare. 59 58-50 56 53 52 Pompeo tornato dall’Oriente non fu bene accolto dal senato (non riconobbe la sua riorganizzazione politica e amministrativa dell’Oriente, inoltre per mettergli contro i veterani si rifiutò di concedere loro degli appezzamenti di terreno come premio al congedo) che non gli perdonava l'abolizione delle leggi sillane, fece un accordo privato con Crasso e con Gaio Giulio Cesare, primo triumvirato. Cesare era nato nel 100 e discendeva da un’antica famiglia patrizia, però essendo debole economicamente e non avendo prestigio la sua carriera politica fu possibile grazie a Crasso. Cesare era democratico, aveva avuto noie sotto Silla e al Senato era stato l’unico a sollevare la questione dell’illegalità della sentenza contro i seguaci di Catilina. Cesare fu eletto console e subito fece approvare una legge per la distribuzione di terre ai veterani di Pompeo. Cesare si fece assegnare il governo della Gallia Cisalpina, della Gallia Narbonense e dell’Illirico. Così mentre Pompeo e Crasso rimanevano soli sulla scena romana, Cesare poteva cercare gloria militare e crearsi un esercito fedele. Campagne militari di Cesare in Gallia. Gli Elvazi furono sconfitti a Bibracte, e poco dopo furono sconfitti gli Svevi, una tribù germanica, guidati da Ariovisto. Per Cesare il Reno doveva essere una frontiera invalicabile per i Germani, un baluardo a difesa del mondo romano. Cesare fu il primo a distinguere i Galli dai Germani, separati dal Reno. Nel 57, nel territorio dei Belgi, furono sconfitti altre tribù del nord. Nel 57 Cesare annunciò al senato la conquista della Gallia. Accordo di Lucca tra i triumviri. Proroga di cinque anni del proconsolato di Cesare in Gallia. Elezione a consoli per il 55 di Pompeo e Crasso e successiva assegnazione del proconsolato in Spagna a Pompeo e in Siria a Crasso. La missione di Crasso in Siria aveva come obiettivo la conquista del regno dei Parti. I Parti erano un popolo d’origine nomade, discendente dagli Sciti. Il loro impero era in una posizione chiave per i traffici tra Mediterraneo e Oriente. Erano guerrieri fortissimi, combattevano a cavallo, erano molto veloci negli spostamenti, coperti da pesanti gualdrappe corazzate. Crasso, incapace come generale, stancò il suo esercito di 40.000 soldati nel deserto mesopotamico e quando i nemici accettarono la battaglia nei pressi di Carre i soldati romani stanchi furono sconfitti. Crasso, obbligato dai soldati a trattare con i nemici, durante il colloquio fu ucciso a tradimento. In patria tornarono 500 soldati. Cesare nel frattempo continuava la conquista definitiva della Gallia affrontando altre tribù che si erano spinte oltre il Reno. Si spinse fino in Britannia sconfiggendo i Britanni, ma dovette tornare in Gallia perché altre tribù si erano ribellate. Cesare affrontò e vinse una ribellione degli Arverni, una popolazione della Gallia centrale, con a capo il re Vercingetorice che aveva riunito intorno a se una vasta confederazione di tribù. Da questo momento la Gallia entrò stabilmente nell’impero di Roma. Gli optimates intanto a Roma fecero uccidere il tribuno Clodio che aveva esiliato Cicerone, la plebe inferocita attaccò la Curia, sede del senato, e le diede fuoco. Di fronte al pericolo di una sommossa il senato affidò la repubblica a Pompeo. Pompeo, che temeva il ritorno di Cesare, varò una serie di provvedimenti per togliere Cesare dalla scena politica. 49 48 47 46 45 44 Ormai era l’esercito che determinava la potenza di un uomo politico e nel 50 per Cesare scadeva il mandato nelle Gallie e avrebbe dovuto congedare il suo esercito, mentre Pompeo avendo ancora il proconsolato in Spagna aveva a disposizione intere legioni armate. Cesare però intuì il pericolo e nel 49 al comando di 10 legioni fedelissime varcò il Rubicone, confine tra la Gallia Cisalpina e l’Italia, e marciò verso Roma, era l’inizio di una nuova guerra civile. Pompeo salpò verso la Grecia nella speranza di bloccare i rifornimenti per l’Italia, però Cesare non diede il tempo per realizzare il piano e nominato dittatore prima sconfisse i suoi eserciti in Spagna poi partì per l’Oriente e a Farsalo sconfisse Pompeo. Pompeo riuscì a fuggire in Egitto però fu ucciso per ordine del re Tolomeo XIII. Cesare si recò in Egitto e innamoratasi di Cleopatra, l’aiutò a prendere il trono contro il fratello Tolomeo. Intanto il re di Ponto, Farnace, figlio di Mitridate, aveva ripreso la guerra contro Roma; Cesare rapidamente si recò nel Ponto e a Zela lo sconfisse; questa vittoria fu annunciata al senato con la frase veni, vidi vici. Cesare si reca in Africa, dove si erano rifugiati i pompeiani, e li sconfigge a Tapso. Tornato a Roma celebra quattro trionfi, per le vittorie in Gallia, in Egitto, nel Ponto e in Africa. Cesare sconfigge definitivamente i seguaci di Pompeo a Munda, in Spagna. Con la morte di Pompeo, Cesare era diventato il padrone di Roma. Nel 48 la dittatura a tempo determinato fu trasformata a tempo indeterminato, ebbe il consolato per cinque anni, fu dichiarato tribuno della plebe a vita; nel 46 gli fu conferita la dittatura per 10 anni e nel 44 fu trasformata a vita, ebbe la carica di pontefice massimo (supremo sacerdozio della religione romana) e il titolo di padre della patria. Fu autorizzato a portare sempre la toga di porpora dei trionfatori, a sedere in senato su un seggio dorato, a nominare i magistrati. Gli furono innalzate statue e la sua effigie fu riportata sulle monete. Un potere fondato sull’esercito e sul consenso popolare, con le più alte cariche civili e religiose assomigliava molto ad un potere monarchico. Il senato, ridimensionato del suo ruolo, organizzò l’opposizione. Alle idi di marzo del 44, Cesare fu pugnalato in pieno senato da un gruppo di congiurati guidati dal figlio adottivo Bruto e dal pretore Cassio. Cesare aveva iniziato una vasta opera legislativa: con la concessione della cittadinanza alla Gallia Cisalpina aveva esteso i confini d’Italia fino alle Alpi, con l’immissione di provinciali al senato aveva ampliato una classe dirigente troppo egoista, emanò leggi contro l’usura, avviò una vasta politica di lavori pubblici, assegnò terre ai veterani in Italia e ai poveri nelle provincie, cercò di alleviare il problema dei debiti, un male cronico della società romana. Questa politica filopopolare gli procurò il favore delle masse, ma aumentò il numero dei suoi nemici in particolare i ricchi proprietari romani contrari alla riduzione o cancellazione dei debiti. I senatori che avevano promosso la congiura non furono in grado di proporre alcun programma politico, segno evidente che la loro funzione nello Stato romano era ormai esaurita. Negli ultimi decenni del secolo mentre la situazione all’esterno era relativamente tranquilla grazie alle legioni romane difficilmente battibili, la repubblica attraversava una grave crisi politica. La scena politica era dominata da personaggi che si contendevano il potere con tutti i mezzi grazie all’appoggio di clientele smisurate e soldati fedeli più a loro che alla patria. Il senato, i magistrati e i comizi non erano più in grado di gestire lo stato e la lotta politica era fatta con le stragi, le proscrizioni e le congiure. Nuove prospettive di pace e stabilità si erano aperte con Cesare, nel proprio programma politico intendeva conciliare le proposte democratiche del movimento popolare e quelle autoritarie dei ricchi proprietari, ma la congiura delle idi di marzo cancellò queste speranze. Con l’uccisione di Cesare i senatori pensavano di poter restaurare la repubblica nella sua forma più tradizionale e con essa il ruolo dell’oligarchia, ma l’atteggiamento minaccioso e vendicativo della plebe e dei veterani alla morte di Cesare, soprattutto dopo la lettura del suo testamento che lasciava 300 sesterzi a testa alla plebe fece capire che la crisi era ormai irreparabile. Bruto, Cassio e Cicerone temendo il peggio si allontanarono da Roma. 43 42 36 31 L’uomo più autorevole dei democratici era Marco Antonio, figlio di Giulia, la sorella di Cesare, che si era già distinto nelle campagne galliche e nella lotta contro Pompeo. Cesare però aveva lasciato come erede il figlio adottivo Gaio Ottavio, che prese il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano, il quale per rivalità con Antonio si mise dalla parte dei conservatori; Cicerone pensò di usare questo giovane inesperto contro i cesariani e riprendere il controllo della situazione. A Modena si scontrarono i democratici guidati da Antonio contro il governatore della Cisalpina, Decimo Bruto, rimasto fedele al senato, insieme agli eserciti inviati dal senato e ai soldati armati a proprie spese da Ottaviano. Antonio ebbe la peggio, ma si ritirò nella Gallia con l’esercito quasi intatto. Mentre Cicerone e i conservatori credevano di avere in pugno la situazione Ottaviano reclamò il consolato e di fronte al rifiuto del senato marciò con l’esercito su Roma. Si fece proclamare console con la forza e fece approvare una legge che condannava all’esilio gli uccisori di Cesare. Questa decisione provocò l’avvicinamento di Antonio e Ottaviano che insieme con Lepido, seguace di Cesare e governatore di Gallia e Spagna, s’incontrarono a Bologna e formarono un triumvirato per la riforma della costituzione. Contrariamente all’accordo privato tra Cesare, Pompeo e Crasso questo ebbe un riconoscimento legale e poneva i tre membri al vertice del potere. Subito dopo iniziarono le proscrizioni, i nemici dei triumviri furono perseguitati in tutta l’Italia: 300 senatori e 2.000 cavalieri furono giustiziati e i loro beni confiscati. Uno dei primi a cadere vittima delle proscrizioni fu Cicerone, egli fu raggiunto a Formia dai sicari di Antonio, che non aveva dimenticato le invettive (Filippiche) a lui destinate dopo la morte di Cesare, e ucciso. Antonio e Ottaviano sconfissero Bruto e Cassio a Filippi, in Macedonia, che persa la battaglia si uccisero. Mentre Ottaviano tornava in Italia, Antonio restò in Oriente Antonio cominciò a punire tutti quelli che avevano aiutato Bruto e Cassio tra i quali era sospettata la regina Cleopatra, però l’incontro con lei gli fu fatale, Antonio s’innamorò di lei e restò per sempre in Oriente. Tentò di conquistare il regno dei Parti per vendicare Crasso, però Ottaviano non gli mandò i 20.000 uomini che gli aveva promesso e vi rinunciò. Intanto in Italia Ottaviano andava screditando Antonio, presentandolo come un debole nelle mani dell’astuta Cleopatra, che avrebbe fatto dell’Egitto il fulcro dell’impero. Ottaviano, grazie alla superiorità delle sue forze, confisse Antonio nella battaglia 30 27 a.C. 14 d.C. navale di Azio. Antonio e Cleopatra si tolsero la vita chiudendo per sempre l’epoca delle guerre civili. Augusto. Ottaviano assunse il cognome di Augustus, che non è solo colui che è venerato, ma anche colui che accresce, che porta benessere e felicità Il secolo Augusto indica ancora oggi il periodo dalla nascita, 29 settembre del 63 a.C., alla morte di Ottaviano, 19 agosto del 14 d.C. Periodo di pace e di prosperità. Il motto di quest’età, che Augusto diffuse ovunque, fu: ritorno alla terra, alla religione, al costume dei padri. Augusto si rivelò un maestro nel realizzare profonde rivoluzioni dando l’impressione che nulla era cambiato. I suoi poteri si fondarono sulla tribunicia potestas e sull’imperium proconsulare majus et infinitum. I poteri del tribuno gli conferivano l’inviolabilità, la possibilità di far votare leggi, convocare il senato, usare il diritto di veto, comando militare su tutte le provincie (imperium proconsulare), senza limiti di spazio e di tempo (majus et infinitum). Quindi egli esercitava il potere del tribuno senza il limite dell’intercessio (diritto di veto degli altri tribuni) e l’imperio proconsolare senza limiti territoriali. Dal 40 aveva assunto il titolo di imperator, titolo con cui era acclamato dai soldati il generale vittorioso durante la repubblica. Questo titolo divenne il suo pronome e indicò la sua posizione di comandante supremo. Egli, quindi era chiamato: Imperatore Cesare Augusto, ma si faceva chiamare anche princeps, primo tra tutti i cittadini. Fin dalla cacciata dei Tarquini, la parola re suscitava nei romani odio e timore. Nessun uomo politico, pur esercitando, di fatto, un potere eccezionale, avrebbe osato farsi chiamare rex; e non lo fece neppure Augusto. Però nonostante le assicurazioni formali, il potere d’Augusto era molto vicino a quello di un monarca assoluto. L’età augustea ci ha trasmesso un’immagine di sé troppo perfetta per essere del tutto spontanea e casuale. Essa presuppone la presenza di un regista abilissimo che poteva essere solo Augusto. Gli artisti che s’impegnarono a divulgare i grandi temi suggeriti dal potere (carattere divino di Augusto, restaurazione delle tradizioni nazionali, conformismo morale, ritorno alla terra) furono assistiti e generosamente ricompensati. Augusto creò un legame molto forte tra il potere e gli intellettuali che condividevano il suo programma, come architetti, scultori, scrittori e poeti. Tra questi Virgilio, Orazio, Tito Livio furono ammessi nell’ambiente di corte e protetti. Il poeta Ovidio che rappresentò la gioventù ricca e viziata, era inviso al principe, nell’8 d.C. fu mandato in esilio sul mar Nero fino alla morte avvenuta nel 18, nonostante le suppliche per rientrare a Roma. In questa politica, che potremmo chiamare organizzazione del consenso, fu aiutato da un collaboratore di qualità eccelse, Mecenate, il cui nome è rimasto sinonimo di un modo di promuovere e controllare la cultura. Era discendente degli Etruschi, molto raffinato, coltivava ogni genere di piacere, come la tavola, l’infedeltà coniugale, la passione per la musica. Per 35 anni fu il ministro più fidato di Augusto. Mecenate morì l’8 A. C. lasciando tutti i suoi beni all’imperatore. Sapendo che il popolo aveva bisogno di credere in qualcosa, Augusto iniziò una vasta opera di riforme morali e religiose: restaurò i culti dimenticati, rafforzò il ruolo dei sacerdoti, riedificò i templi andati distrutti nel corso delle guerre civili. Ad Augusto risale il culto imperiale, cioè la divinizzazione dell’imperatore, 14-37 sebbene egli non volle mai essere chiamato dio. In politica estera fece degli accordi con i temibili Parti che minacciavano l’Oriente e nel 15 a.C. Druso, nipote di Augusto, iniziò la conquista della Germania e nel nove aveva conquistato le terre fino all’Elba, poco dopo Druso morì e Tiberio subentratogli fu duramente impegnato dai Pannoni, stanziati lungo il Danubio. Nel 9 d.C., approfittando della situazione, il germanico Arminio incitò le tribù sottomesse da Druso alla rivolta e tre intere legioni romane furono massacrate nella selva di Teutoburgo. Lo stato augusteo era forte e autoritario, al vertice stava il principe con poteri illimitati. La classe dirigente era composta da senatori e cavalieri. Ai senatori assegnò il governo delle provincie, in qualità di proconsoli in quelle pacificate e di propretori in quelle da pacificare con anche il comando militare delle legioni. Ai cavalieri assegnò la prefettura d’Egitto che negli ultimi anni tempi aveva dato dei problemi, lì avevano trovato rifugio Pompeo e Antonio, perciò non volle mai assegnarla ai senatori, ma ai cavalieri in cui riponeva maggior fiducia. I cavalieri avevano anche la prefettura al pretorio, cioè i pretoriani, la guardia del corpo dell’imperatore; la prefettura della flotta, il comando delle squadre navali stanziate a Capo Miseno e Ravenna; prefetto dell’annona che sovrintendeva all’approvvigionamento; e prefetto dei vigili che dirigevano le squadre antincendio. Nell’esercito ai senatori spettava il comando di 5.000 uomini, una legione, i cavalieri erano gli ufficiali subalterni. Nel 14 d.C. Augusto morì. Tiberio. Augusto non aveva figli e l’unico candidato alla successione fu Tiberio che la moglie Livia aveva avuto da un precedente matrimonio. A differenza di Augusto che discendeva da una famiglia equestre, Tiberio apparteneva ad un’antica famiglia patrizia e aveva molto rispetto per la tradizione repubblicana a cui non era più possibile tornare. Tiberio fu a lungo indeciso prima di accettare. Egli mostrò sempre grande rispetto per il parere dei senatori e rifiutò il culto della persona e onori eccessivi, ma ciò non bastò a lasciare di lui un buon ricordo. La storiografia senatoriale interpretò i suoi dubbi e incertezze come ipocrisie e falsità, egli fingeva solo di disprezzare il potere. In realtà la sua amministrazione fu eccellente, evitò ogni spesa inutile, non intraprese guerre espansionistiche. Alla sua morte le casse dello stato erano piene, l’impero solido e i confini sicuri. La sua vita fu condizionata da un dramma, egli aveva un nipote, Germanico, che al contrario dello zio era molto amato dal popolo e dalle legioni, che aveva già destinato alla sua successione; nel 14 lo inviò in Germania per ristabilire l’ordine dopo la disfatta di Teutoburgo, dopo i primi successi fu richiamato in patria perché Tiberio voleva solo un’azione dimostrativa, ma questo non piacque al popolo che giudicò il principe invidioso del nipote. Nel 19 Germanico fu inviato in Oriente per trattare con i Parti e l’imperatore conoscendo il suo carattere focoso e irruento gli affiancò un uomo di fiducia, Pisone, con il quale Germanico entrò subito in contrasto; in questo clima teso Germanico improvvisamente morì. Subito si diffuse la voce che fosse stato avvelenato da Pisone e il mandante fosse Tiberio. L’imperatore non riuscì mai ad allontanare questo sospetto. Nel 26 Tiberio si ritirò nella sua villa di Capri e affidò il governo al prefetto al pretorio Seiano. Nel 31 accadde un fatto che offuscò definitivamente la sua fama, gli fu riferito 37-41 41-54 54-68 59 che il prefetto aveva organizzato una congiura per impadronirsi del potere. L’imperatore tornò a Roma fece uccidere Seiano e i suoi complici e scatenò una violenta repressione, tra le vittime vi fu l’intera famiglia di Germanico, dalla quale scampò solo il giovanissimo Caligola. Alla morte di Tiberio nel 37 i pretoriani, con l’approvazione del senato, posero sul trono proprio Caligola, il figlio dell’amatissimo Germanico. Caligola. Il venticinquenne Caligola volle subito instaurare una monarchia assoluta di tipo orientale e impose cerimoniali scandalosi per la mentalità romana, come la genuflessione a tutti coloro cui dava udienza. Pretese onori divini per se e per la propria famiglia; si faceva chiamare Giove Laziale. Molti senatori, cavalieri e uomini di corte caddero vittime dei suoi sospetti. In soli quattro anni riuscì a vuotare le casse dello stato, grazie anche agli splendidi giochi che fece allestire per conquistare l’affetto della plebe. Nel 41 gli stessi pretoriani che lo avevano portato al trono lo uccisero. Claudio. Era fratello di Germanico e zio di Caligola. I pretoriani lo elessero imperatore perché era fratello di Germanico. A causa della sua timidezza e riservatezza era ritenuto un incapace; si era sempre tenuto lontano dalla politica e aveva passato la sua vita tra i libri. Sotto il suo governo, mite e tollerante verso gli oppositori, l’impero si estese alla Britannia e alla Mauretania. Sostenne la necessità di estendere la cittadinanza ai provinciali e portò al senato molti aristocratici della Gallia, sebbene i senatori romani, gelosi dei loro privilegi, non condividessero tale iniziativa. Altra riforma, che non piacque ai senatori e cavalieri, fu la creazione di una burocrazia di corte composta dai liberti, divisa in quattro uffici: finanze, suppliche, corrispondenza e cause demandate al principe. Gli obiettivi di questa politica era di rendere più efficiente l’amministrazione centrale con funzionari esperti e preparati e dare sfogo ad un nuovo ceto di origine servile. L’impiego di liberti era iniziata con Augusto e aveva l’origine in un’usanza diffusa tra i ricchi romani, quella di affidare la cura e la gestione del loro patrimonio ai liberti, legati al padrone da vincoli di fedeltà. In questo modo i liberti potevano accumulare in modo legale o illegale ingenti fortune, come Trimalcione, il personaggio inventato da Petronio nel Satyricon. Il dramma della vita di Claudio furono le donne; si sposò quattro volte: con le prime due divorziò, la terza Messalina era corrotta e fu uccisa per aver tramato contro il marito, la quarta Agrippina, aveva un figlio avuto dal precedente marito, Nerone, che voleva vedere sul trono e quando Claudio morì improvvisamente nel 54 si sparse la voce che fosse stato avvelenato da lei nel timore che il marito ponesse sul trono il figlio naturale Britannico. Nerone. Quando i pretoriani lo acclamarono imperatore aveva 17 anni. Inizialmente fu assistito dal suo maestro Lucio Anneo Seneca e dal prefetto al pretorio Afranio Burro che lo spinsero verso una politica di rispetto per il senato e rispettosa della tradizione repubblicana. Nerone fece uccidere la madre Agrippina che, gelosa di Seneca, era entrata in forte contrasto con il figlio. Più tardi fece uccidere la moglie e il fratellastro. Dopo questi fatti si allontanò sempre più dagli insegnamenti di Seneca, che preferì farsi da parte, abbandonò l’atteggiamento filosenatorio e cercò il favore della plebe: appariva in pubblico come suonatore di cetra o come auriga. 63 64 65 68 69-79 79-81 79 81-96 Fece un’importante riforma monetaria che aumentò il potere d’acquisto dei ceti meno abbienti e della piccola borghesia. In politica estera riportò un successo contro i Parti. Con il controllo dell’Armenia e della regione del mar Caspio attuò una strategia di accerchiamento contro i Parti. Il tentativo del re dei Parti Vologese di porre sul trono d’Armenia il fratello Tiridate fu sconfitto con l’intervento del generale Corbulone; il re accettò una soluzione di compromesso che aumentò il prestigio di Roma: Tiridate si poteva insediare sul trono d’Armenia soltanto dopo aver ricevuto l’investitura dalle mani di Nerone. Un grande incendio distrusse in buona parte Roma. Fu accusato Nerone che per difendersi da queste calunnie ritorse le accuse contro i cristiani. Vi fu una sanguinosa persecuzione che placò il desiderio di vendetta della plebe. Una spia rivelò a Nerone l’esistenza di una vasta congiura per abbatterlo, questo episodio spinse definitivamente l’imperatore sulla strada della violenza che coinvolse molti personaggi tra cui Seneca, Lucano, Petronio Arbitrio, che ricevettero l’ordine di suicidarsi. Scoppiò una rivolta nella Gallia e Nerone non seppe fronteggiare la situazione; fu l’occasione propizia per i suoi numerosi nemici, infatti, abbandonato da tutti anche dai fedeli pretoriani, cercò di fuggire in Egitto ma non riuscendo ad imbarcarsi si uccise. Vespasiano. Dinastia Flavia 69-96. Alla morte di Nerone scoppiò una violenta lotta per la successione gettando l’imperi nel caos. Su quattro contendenti prevalse Flavio Vespasiano, comandante delle truppe stanziate in Giudea e iniziatore della dinastia Flavia. Fu il primo imperatore di origine borghese, suo padre era appaltatore delle imposte di Rieti. Obiettivo della sua politica fu il risanamento delle casse dello stato, dissanguate da Nerone e dalle lotte per la successione, attraverso il recupero delle terre statali occupate dai privati. Nonostante una dura opposizione, Vespasiano uomo deciso e autoritario, riuscì a prevalere. Nel 79, alla sua morte, la situazione finanziaria era risanata. Tito. Successore di Vespasiano fu il figlio Tito, già famoso per aver domato una rivolta ebraica nel 70. Gli ebrei non erano riusciti ad amalgamarsi con i romani per il forte sentimento nazionale e per la religione troppo diversa dai culti pagani. Tito aveva preso Gerusalemme dopo un’assedio durato sei mesi, distrutto il tempio e deportato gli abitanti in altre zone. Iniziava così la diaspora, la dispersione, degli ebrei nel Mediterraneo. L’impero di Tito durò solo tre anni ma fu ricordato come il prototipo dell’ottimo imperatore. Egli fu mite e tollerante, ebbe pieno rispetto per il senato. Una violenta eruzione del Vesuvio distrusse tre fiorenti città: Ercolano, Pompei e Stabia. Domiziano. A Tito, senza eredi, successe il fratello Domiziano. Appena eletto pretese il titolo di Dominus et Deus stabilendo una forma di governo autoritaria e senza compromessi. Per far tacere l’opposizione sempre più forte iniziò una campagna militare contro i Chatti, un popolo germanico che minacciava i confini del Reno. L’impresa ebbe successo e la Germania fu divisa in due province: Germania Superiore e Inferiore. Più sfortunata fu la spedizione contro i Daci, sconfitto due volte preferì tornare a 96-98 98-117 101-106 106 114-116 117-138 132-135 Roma. Le critiche e gli attacchi si moltiplicarono e Domiziano reagì con una serie di processi che causarono numerose vittime illustri. I senatori reagirono a questa persecuzione e un gruppo di congiurati pugnalarono a morte l’imperatore mentre dormiva. Nerva. Liberatosi di Domiziano, il senato riuscì a portare al trono uno dei suoi, il vecchio Nerva che attuò una politica di sgravi fiscali. Egli si rese conto che senza l’appoggio dell’esercito e dei pretoriani la posizione dell’imperatore era molto fragile, perciò come successore nominò un generale di grande prestigio, Ulpio Traiano, comandante dell’armata della Germania Superiore Traiano. Egli era spagnolo, un provinciale come anche molti esponenti della classe dirigente, questo rivela che l’Italia stava perdendo l’egemonia, le province cominciavano a svolgere un ruolo economico e politico sempre maggiore e che l’impero romano diventava progressivamente un impero sopranazionale. Sul trono successivamente si susseguirono imperatori di origine africana, tracica, illirica senza che questo suscitasse scandalo e opposizioni di tipo nazionalistico. L’impero di Traiano fu caratterizzato da numerose campagne militari vittoriose che portarono Roma alla sua massima espansione. In due riprese (101-102 e 105-106) conquistò la Dacia. Fu colonizzata con una fitta rete di insediamenti che determinarono una profonda penetrazione della cultura romana. Le ricche miniere d’oro della Transilvania furono i mezzi per continuare la politica d’espansione. Pacificate le frontiere settentrionali, Traiano si rivolse in Oriente. Un esercito romano sconfisse i Nabatei e s’impadronì del loro regno, sorse così la provincia di Arabia. Meno fortunata fu la spedizione contro i Parti. Traiano riuscì a conquistare l’Armenia, la Mesopotamia, l’Assiria e a occupare la stessa capitale Ctesifonte però solo per poco tempo. I Parti approfittando di una rivolta ebraica in Palestina e di altre rivolte nelle province orientali e della morte dell’imperatore in Cilicia, nel 117, riportarono la frontiera romana in Oriente sull’Eufrate. Traiano fu un imperatore che piacque a tutti: senatori, soldati e intellettuali che furono chiamati a corte in gran numero. Adriano. Impero umanistico 117-180. Anche Adriano, cugino di Traiano, era di origine spagnola. Adriano fu un monarca illuminato, amante del bello, della cultura, delle arti; con lui sorse il mito delle classi colte ellenistiche. Egli trascorse molto tempo in viaggio, soggiornò a lungo ad Atene dove assunse la carica di arconato. In politica estera si limitò a difendere le conquiste di Traiano. Fece costruire un’importante fortificazione in Inghilterra, il vallo di Adriano. In Giudea scoppio una violenta rivolta per rivendicare l’indipendenza da Roma. Le truppe romane furono impegnate severamente, la repressione romana fu durissima e Gerusalemme da quel momento fu chiamata Elia Capitolina. L’impero di Adriano insieme con quello di Antonino Pio e Marco Aurelio fu ricordato dagli storici come l’impero umanistico per il modo di vita e di governo. Questi imperatori attuarono una politica tollerante e illuminata perciò ci fu la pace in tutti i territori, concordia con il senato, un forte impulso dell’economia e dei traffici. Si diffusero parole come uguaglianza e libertà di parola. Si realizzarono le aspirazioni dello storico Tacito, che aveva auspicato un impero non più lasciato in eredità ma assegnato all’uomo più degno, da Nerva in poi fu seguito per quasi 100 anni. Il governo delle province fu più tollerante e il grande sviluppo economico che ne derivò fece attenuare il distacco fra l’Italia e le province. Gli intellettuali esaltarono il nuovo corso della storia dell’impero come l’età dell’oro degli Antonini. Si intensificarono gli scambi commerciali, dalla Cina, India, Africa nera, Germania libera cominciarono ad affluire ogni sorta di merci rare ed esotiche. A causa del limitato sviluppo delle attività industriali i capitali derivanti dall’agricoltura e del commercio venivano solo in parte reinvestiti, soprattutto si spendevano in generi di lusso e di prestigio. Queste merci erano pagate in moneta pregiata, d’oro e d’argento, perciò si verificò un flusso di metalli preziosi che usciva per sempre dall’impero, determinando nel tempo un grave squilibrio per l’economia. I traffici coinvolgevano i romani che in età imperiale non indicava solo gli abitanti di Roma o dell’Italia, ma chiunque vivesse all’interno dello stato romano. I traffici romani in Europa partivano da tre zone principali: l’Italia, la Gallia con le province germaniche e la regione del mar Nero. I beni esportati erano: vino, terrecotte, oggetti di bronzo e vetro, oreficeria, che andavano a adornare le dimore dei principi barbari. In cambio i romani ottenevano schiavi e pelli dall’Europa centrale, pellicce e pesce secco dalla Scandinavia, l’ambra dal mar Baltico. Con la Cina, i contatti iniziarono intorno al 166. Dalla Cina importavano la seta, pagata a peso d’oro perché era sconosciuta la tecnica di produzione, era commercializzata dai Parti, che furono un vero e proprio sbarramento tra i due più grandi stati del mondo. Anche l’India ebbe una certa importanza sia per le merci che produceva: perle e pietre preziose, sia per aggirare il territorio dei Parti dopo che si scoprirono le caratteristiche del vento monsone che soffia da giugno a settembre e che consentiva, alle navi provenienti dal mar Rosso, di arrivare rapidamente fino alla foce dell’Indio. Dall’Africa nera arrivava avorio, pietre preziose, legni pregiati, spezie, penne di struzzo, schiavi e belve feroci per gli spettacoli. Nel secondo secolo terminate le guerre interne ed esterne, eliminata la pirateria, il mondo mediterraneo raggiunse un grandioso sviluppo. In tutte le province dell’Impero ci fu l’espansione delle produzioni agricole, dell’artigianato e dei traffici. Uno sviluppo enorme ebbe la Gallia grazie al clima, abbondanza di pascoli, foreste e corsi d’acqua. Oltre all’agricoltura ebbe un grande sviluppo anche l’artigianato e l’industria tessile. Il successo di quest’espansione era dovuta a due fattori: alta qualità e prezzi bassi grazie ai trasporti per via acqua. Infatti, nel mondo antico l’incidenza dei trasporti sul prezzo delle merci era elevatissima, quelli via terra erano molto costosi perché lenti e difficoltosi mentre per acqua, anche se comportavano un certo rischio, avevano un costo più basso. Nelle Gallie, dotate di una fitta rete di canali e corsi d’acqua, il problema dei trasporti era meno grave che altrove, perciò le merci provenienti dalla Gallia che giungevano nei porti dell’Atlantico o del Tirreno costavano molto meno di quelle prodotte da altre regioni. L’Africa, con il declino della Sicilia, divenne il granaio dell’impero, dal secondo secolo il grano e l’olio africano invasero tutti i mercati dell’impero. Molti proprietari romani acquistarono terre e stabilirono la residenza in Africa. L’Africa ebbe anche un imperatore, Settimio Severo, retori come Frontone, personaggi come Apuleio, autore dell’Asino d’oro, Lattanzio, Arnobio e Agostino nei secoli seguenti. Le zone più floride dell’impero però erano le province orientali. I territori erano ricchi di materie prime e manodopera, sistema viario efficiente, una tradizione agricola e artigianale plurisecolare, la favorevole collocazione geografica, ponte tra occidente e oriente che dava una dimensione mondiale ai loro commerci. Essi producevano mantelli di lana e lino molto fini, seta che la Siria importava dalla Cina allo stato grezzo, armi, gioielli, vetro e porpora. Mentre le province si arricchivano l’Italia si impoveriva. Il forte sviluppo economico della Gallia, dell’Oriente e dell’Africa aveva creato una concorrenza spietata nei confronti della produzione italiana. Le province più progredite si chiudevano alla penetrazione economica romana e producevano da sole i beni che prima acquistavano dai romani, mentre sui mercati esterni i commercianti italiani erano schiacciati dalla concorrenza di quelli della Gallia e della Siria. Il declino economico dell’Italia determinò anche il declino del modo di produzione schiavistico. Esso era fondato sulla villa schiavile e sulla manifattura urbana. La villa schiavistica era un’azienda agricola basata sull’impiego razionale degli schiavi, che si integrava ai grandi latifondi agro-pastorali, dove i greggi erano allevati da schiavi-pastori e si coltivavano grandi estensioni di cereali. Le manifatture urbane erano organizzate per una produzione di massa ma di scarsa qualità. Il modo di produzione schiavistico aveva determinato una crescita economica eccezionale nella storia mondiale che si sarebbe ripetuta solo con il capitalismo. Le merci italiane avevano invaso tutti i mercati facendo affluire ingenti ricchezze che avevano dato all’Italia oltre al primato politico anche quello economico. Inizialmente furono imposte delle misure restrittive per le merci provinciali, poi con l’ingrandirsi dell’impero non era più possibile far leva sulla forza delle invincibili legioni, era indispensabile anche il consenso dei provinciali e in particolare delle oligarchie locali costituite da indigeni romanizzati o romani immigrati e quindi non fu possibile imporre misure restrittive per le merci provinciali e il commercio fu sempre più liberalizzato. Fu proprio la concorrenza dei prodotti agricoli dei provinciali sia in Italia che nei mercati esterni a mettere in crisi il modello di produzione schiavistico che presupponeva la disponibilità di mercati vastissimi su cui riversare le grandi quantità di beni prodotti. Venendo a mancare questi mercati, le ville, che erano aziende costose da tenere in vita e di difficile controllo, furono trasformate in pascoli, che richiedevano bassi investimenti, o furono divise in unità più piccole e date in affitto a coloni liberi. Anche le manifatture urbane subirono la concorrenza e si ridimensionarono. Naturalmente questo non comportò l’eliminazione della schiavitù; essi nelle ville vivevano ammassati negli ergastoli e lavoravano sotto stretta sorveglianza, ora, invece, erano insediati in nuclei familiari e potevano avere moglie e figli, quindi più interessati al lavoro e non presentavano più problemi di sorveglianza. La crisi dell’economia italiana era determinata anche da un’altra causa connessa con il reclutamento dell’esercito. Fino a tutto il primo secolo le legioni erano formate da italiani che erano sottratti al lavoro dei campi per 20-25 anni. Dal secondo secolo si cominciò ad arruolare anche i provinciali ma era ormai troppo tardi, l’economia italiana non si riprese e presto anche lo sviluppo economico delle province fu bloccato e tutto l’impero subì una gravissima crisi. Le origini di questa crisi sono da ricercarsi nella struttura economica e sociale dello stato romano. La ricchezza che era decantata nell’età degli Antonini aveva una circolazione limitata alle classi superiori. La struttura politica ed economica dell’impero restò chiusa alle grandi masse. 138-161 Antonino Pio. Il regno di Antonino Pio fu uno dei periodi più tranquilli della storia romana; egli si limitò a gestire il potere. 161-180 Marco Aurelio. Diverso fu il regno di Marco Aurelio che in 19 anni dovette affrontare 17 guerre. 161 Il re dei Parti Vologese III partì alla conquista dei territori romani in Oriente, dopo le prime vittorie egli fu costretto al ritiro dalle truppe del generale Avidio Cassio e nel 163 occupò anche la capitale Ctesifonte. 163 Le popolazioni germaniche dei Goti e dei Gepidi si spostarono dai territori lungo il mar Baltico e della Vistola verso la Prussia meridionale, questo mise in moto altre popolazioni barbariche, Quadri e Marcomanni, stanziate a ridosso del limes romano che trovando poca resistenza a causa dell’impegno romano in Oriente si riversarono nell’impero. 168-169 Quadri e Marcomanni giunsero in Italia compiendo saccheggi fino alle mura di Verona e Aquileia. Altri barbari entrarono in Asia Minore e in Grecia. Dal 161 al 180 Marco Aurelio con una serie di scontri fronteggiò la situazione ma i costi furono altissimi. 180 Marco Aurelio morì colto dalla peste che causò stragi e distruzioni in tutto l’impero. Essa fu la prima epidemia di peste bubbonica nel Mediterraneo e ridusse della metà della popolazione dell’impero. Le lunghe campagne militari e la peste diedero il colpo finale all’economia, la manodopera diminuì drasticamente causando un crollo della produzione che generò un aumento dei prezzi. La diminuzione del valore reale dei salari che ne derivò portò ad un generale impoverimento. La guerra e la peste furono dunque le cause che scatenarono una grave crisi economica che si aggravò nel corso del 3° secolo. I nemici esterni dell’impero romano erano sempre i Germani e i Parti, nel corso del 3° secolo diventarono sempre più aggressivi e pericolosi, le province furono ripetutamente devastate e saccheggiate. Le capacità aggressive dei popoli nordici furono potenziate dalla debolezza dell’impero, dalle trasformazioni economiche e sociali avvenute nel mondo germanico e dagli spostamenti di popoli che si ebbe nell’Europa orientale. La storia delle popolazioni germaniche è nota per due opere: il “de bello Gallico” di Cesare del 51 a.C., e la “Germania” di Tacito del 98 d.C.. A Cesare la società germanica appariva ancora molto primitiva, le attività economiche fondamentali erano la caccia e la pastorizia, non esisteva la proprietà privata delle terre e le varie tribù conducevano per lo più una vita nomade. Tacito dopo 150 anni descrisse una società che era cambiata: le popolazioni erano diventate sedentarie e vivevano sparse in piccole tribù. 180-192 193-211 197 211-217 212 217-218 218-222 222-235 Agli inizi del 3° secolo le tribù sparse cominciarono ad unirsi in vaste confederazioni politiche guidati da capi potenti e autorevoli allo scopo di difendersi dall’arrivo di nuovi popoli. Queste confederazioni capaci di mobilitare migliaia di guerrieri diventarono una minaccia per i confini romani. Il regno dei Parti era stato da sempre nemico irriducibile dei romani. Il regno che discendeva da quello persiano esisteva da cinque secoli, dal 250 A.. Nel 226 d.C. un nobile Ardashir, che si vantava di discendere dagli antichi sovrani persiani, proveniente dalla Perside, con una rivolta abbatte il re Artabano V. Ardashir rivendicava ai Persiani tutti i territori governati da Ciro il grande fino a Dario, ultimo re di Persia, il cui trono era stato abbattuto da Alessandro Magno. Commodo. Con Commodo, figlio di Marco Antonio, si abbandonò il principio dell’adozione per la successione al trono. Commodo che non era un soldato, preferì concludere una pace con i barbari e tornare a Roma. Cercò di guadagnarsi la fiducia della plebe con distribuzioni alimentari, fissando un calmiere dei prezzi e organizzando grandiosi giochi nel circo. Nei confronti del senato ebbe un atteggiamento dispotico e crudele, molti senatori caddero vittima dei suoi sospetti, e nel 192 una congiura lo uccise. Settimio Severo. Dinastia dei Severi 193-235. Per la successione al trono vi fu una guerra civile che fu vinta da Settimio Severo, comandante delle legioni pannoniche. Campagna militare contro i Parti che si concluse positivamente con la creazione di una nuova provincia, la Mesopotamia. Sul fronte interno cercò di ridurre il potere della prefettura al pretorio, centro di potere e d’interessi, riducendo il numero delle guardie pretoriane e arruolando elementi non italici. Favorì l’esercito concedendo ai soldati il diritto di convivere con le proprie donne e dando aumenti di stipendio per compensare il continuo aumento dei prezzi. Per la politica di potenziamento dell’esercito il suo regno è definito monarchia militare. Durante una campagna in Britannia, Settimio Severo morì, gli successe il figlio Caracalla. Caracalla. Editto di Caracalla, con cui si dava cittadinanza a tutti gli abitanti dell’impero. A questa concessione dovevano essere esclusi gli elementi inferiori delle masse contadine che pur vivendo all’interno dell’impero non si erano romanizzati. Questi elementi avrebbero giocato un ruolo importante quando, disgregato l’impero romano, avrebbero fatto risorgere le culture indigene. Caracalla convinto che il destino dell’impero fosse ad Oriente, chiese in moglie la figlia del re dei Parti, ma ottenendo un netto rifiuto decise di dichiarargli guerra, sognando di ripetere l’impresa di Alessandro. Nel corso dei preparativi fu ucciso per ordine del prefetto al pretorio Macrino. Macrino. Regnò solo pochi mesi. Una nuova rivolta militare portò al trono Elagabalo, nipote di Caracalla. Elagabalo. Nipote di Caracalla, fu ucciso dai pretoriani. Severo Alessandro. Subito volle ripercorrere le orme di Alessandro, però la sua spedizione contro i Persiani si concluse senza esito. Egli allora si dedicò al fronte renano per 235-238 238-244 242 244-249 247 248 249 249-251 251-253 253-260 253-268 contrastare i Germani e gli Alamanni, ma i soldati stanchi delle sue incertezze lo uccisero e portarono al trono uno di loro, Massimino il Trace. Massimino il Trace. Era un ufficiale originario della Tracia. Egli, consapevole della gravità della situazione, intraprese subito una guerra contro i Germani. Il senato gli fu contrario sempre sia per i natali non certo illustri e per l’origine in una regione ancora popolata da barbari, sia per la politica fiscale. Infatti, per le esigenze di guerra egli fece delle requisizioni sui loro latifondi. La rivolta dei senatori partì dall’Africa e dall’Italia, dove erano più vaste le proprietà dei senato. In Africa furono acclamati due senatori, il proconsole Antonio Giordano e suo figlio Antonio Giordano junior. Il senato li riconobbe però questa rivolta fu domata e si concluse con la morte dei due usurpatori. Però in Italia la situazione non era normalizzata ed egli fu costretto ad invadere l’Italia come un nemico per riportare la calma. Nel 238 mentre assediava Aquileia fu ucciso dai suoi soldati. Giordano III. Molto giovane fu uno strumento nelle mani dei senatori tradizionalisti che lo avevano eletto. Il suo regno fu caratterizzato dallo strapotere della prefettura al pretorio. Sotto Giordano III aumentò fortemente la barbarizzazione dell’esercito a causa della crisi demografica e delle continue guerre e, fatto molto pericoloso, furono arruolati intere tribù. Giordano III intraprese una spedizione contro i Persiani, però i soldati romani non tolleravano la forte presenza di mercenari goti e nel 244 uccisero l’imperatore. Filippo l’Arabo. Salì al trono l’organizzatore della congiura, il prefetto al pretorio Filippo, il quale concluse la pace con i Persiani e licenziò i mercenari goti. Durante il suo regno si celebrò il millesimo anno della fondazione di Roma. Le legioni pannoniche si ribellarono e acclamarono imperatore il governatore Decio che sotto la sua guida marciarono verso l’Italia. Nello scontro decisivo a Verona Filippo fu vinto e ucciso. Decio. L’impero fu attaccato dai Germani e dai Persiani. Decio morì combattendo contro i Goti. Treboniano Gallo. Governò insieme al figlio Volusiano. Furono uccisi dai loro soldati. Le legioni in Mesia proclamarono imperatore Emiliano, il governatore della provincia. Dopo tre mesi fu attaccato e vinto da Valeriano. Valeriano. L’attacco dei Germani e dei Persiani continuò anche sotto Valeriano il quale nel 268 fu catturato dal re Persiani Shapur e morì in prigione. Le province dell’Europa Centrale, la Grecia, la Siria e l’Italia subirono invasioni e distruzioni. Antiochia fu occupata dai Persiani e Atene dai Goti. Sembrava che dovesse arrivare la fine dell’impero però alcuni imperatori illirici, tutti di grande valore, riuscirono a fronteggiare la situazione. Gallieno. Figlio di Valeriano, non riuscì a liberare il padre dai Persiani. Fermò le persecuzioni contro i cristiani. Combattè contro Postumo in Gallia e contro lo stato Palmireno della regina Zenobia nell’est. Fu ucciso da una congiura dai suoi uomini di palazzo. 253-268 Postumo. Proclamato imperatore dai suoi soldati in Gallia. Nel 258 creò un regno autonomo in Gallia, Spagna, Britannia e Germania con capitale Treviri. Successori di Postumo in Gallia furono Mario per pochi giorni e Vittorino (268270). L’ultimo imperatore della Gallia fu Tetrico (270-274), battuto da Aureliano. 268-270 Claudio II. Imperatori illirici 268-304. Egli si dedicò alla lotta contro i Goti e gli Alamanni con grande successo. Si parla di 50.000 uccisi e gli altri sottomessi. Egli si meritò l’appellativo di Gothicus Maximus. Quando la peste lo uccise nelle regioni danubiane, i soldati illirici, ormai arbitri della situazione, acclamarono imperatore il comandante della cavalleria Domizio Aureliano. 270-275 Domizio Aureliano. Riunificò l’impero Vincendo Tetrico in Gallia e la regina Zenobia a Palmira. Egli fu costretto a combattere contro i Vandali, Iazigi, Iutungi che erano penetrati in Italia e li sconfisse ripetutamente. L’impressione che si ebbe fu enorme e subito dopo l’imperatore fece costruire le mura aureliane per proteggere Roma. A scopo difensivo egli abbandonò la Dacia ritirando le truppe romane al di qua del Danubio, ripristinando il confine naturale. Mentre si apprestava a fare una spedizione contro i Persiani fu ucciso da una congiura. 275-276 Claudio Tacito. Egli era un nobile italiano e fu designato dal senato. Vinse i Goti in Cilicia e fu poi assassinato. 276-282 Aurelio Probo. Dopo la breve parentesi il trono tornò ad un illirico, comandante delle truppe orientali. Egli riuscì ad arginare l’invasione dei Burgunti, Vandali e Franchi in Gallia, e vincere i Sarmati sul fronte danubiano. Nel 282 i suoi soldati stanchi della rigida disciplina lo uccisero. 282-284 Seguirono due anni di disordini e lotte per il potere. Prevalse un giovane ufficiale di origine dalmata, Diocleziano. 284-305 Diocleziano. Egli dedicò i suoi vent'anni di regno ad una vasta opera di riforme per ridare efficienza all’amministrazione. Riordinò il sistema fiscale e impose un calmiere sui prezzi che pubblicò in tutto l’impero, però ebbe scarsi risultati. Riformò la struttura dell’impero che divise in grandi unità territoriali, le prefetture, a loro volta divise in diocesi e queste in province. Ogni unità amministrativa aveva i suoi governatori e funzionari, Anche l’Italia fu divisa in provincie e gli abitanti per la prima volta furono costretti a pagare le tasse come le altre province dell’impero. Contro l’instabilità politica riformò il governo con l’introduzione della tetrarchia. Due imperatori con il titolo di Augusti avrebbero regnato l’occidente e l’oriente, assistiti da due Cesari che avrebbero preso il loro posto. Diocleziano avrebbe regnato in Oriente e Massimiano in Occidente, i due Cesari furono Galerio e Costanzo Cloro. 305 Per mettere alla prova l’ordinamento egli nel 305 abdicò insieme con Massimiano. I nuovi Augusti nominarono come Cesari Massimino e Severo. Alla morte di Costanzo il sistema si sfasciò, le legioni galliche nominarono imperatore suo figlio Costantino, mentre i pretoriani il figlio di Massimiano Massenzio. Prevalse il principio della successione ereditaria e la riforma fallì. Intanto una nuova religione, il Cristianesimo, nata tre secoli prima in Palestina si stava diffondendo in tutto l’impero. Diocleziano la perseguitò aspramente. 312 Quando Diocleziano si ritirò l’ordinamento tetrarchico si dissolse e si scatenò una lotta per il potere tra i pretendenti, tra questi emerse Costantino figlio di Costanzo Cloro che vinse Massenzio nella battaglia di ponte Milvio, nel 312, e rimasto solo divenne padrone dell’impero. Restava una parte d’oriente sotto Licinio che eliminò nel 324. 306-337 Costantino. Impero cristiano. 313 Costantino e Licinio firmano a Milano l’editto di tolleranza che riconosceva legalmente la religione cristiana e poneva fine alle persecuzioni. Questa decisione fu presa dopo la vittoriosa battaglia contro Massenzio perché in sogno gli era apparso dio che l’aveva incitato a combattere e Costantino suggestionato dalla visione fece dipingere il simbolo cristiano, la croce, sugli scudi dei soldati prima della battaglia sul ponte Milvio. L’esito della battaglia fu per lui la prova decisiva della potenza di Dio. 313 Costantino esentò il clero dagli oblighi fiscali. 321 Costantino riconosce la validità civile dei tribunali civili dei vescovi. 330 Trasferimento della capitale dell’impero a Bisanzio, che fece ingrandire e abbellire con un Campidoglio, un senato, un foro e che ribattezzo Costantinopoli. La decisione del trasferimento fu presa per motivi strategici, Costantinopoli era situata in un punto d’incontro tra Europa e Oriente e tra il Mediterraneo e il mar Nero, e per motivi religiosi perché il senato era legato in gran parte alla religione pagana e non accettava la politica filocristiana dell’imperatore; mentre i nuovi senatori di Costantinopoli erano tutti cristiani fedeli all’imperatore. Roma perse la supremazia politica ma acquisì quella religiosa. Roma vantava sulle altre comunità il primato di essere la depositaria della tradizione apostolica e di aver mantenuto un patrimonio di dottrine ortodosso che risaliva agli apostoli Pietro e Paolo. Con il passare del tempo il vescovo di Roma divenne il capo della chiesa cattolica. Il cristianesimo all’inizio dovette affrontare diverse eresie, che proponevano interpretazioni diverse dei principali argomenti di fede, la più pericolosa fu l’arianesimo. Ario era un prete di Alessandria d’Egitto, sosteneva che il figlio di Cristo era completamente subordinato al padre, Dio, contro le idee del popolo che tendeva a identificare Cristo con Dio. Il suo insegnamento ebbe grande successo fino a quando il vescovo cattolico di Alessandria gli vietò di predicare. 325 Contro questa eresia fu convocato da Costantino un concilio ecumenico nel palazzo imperiale di Nicea. Oltre 250 vescovi elaborarono un credo che è sostanzialmente identico a quello odierno e Ario e i suoi seguaci che si rifiutarono di accettarlo furono esiliati e partirono per le regioni danubiane. Nel 3° secolo il principale problema per l’impero fu la crescente minaccia dei barbari ai confini. Per fronteggiarli si doveva mantenere un esercito di 600.000 uomini alla frontiera. Questo comportava costi enormi che si ripercuoteva sul prelievo fiscale. Il pagamento delle tasse divenne il problema del secolo e molti cittadini romani delle zone di confine cercavano scampo tra i barbari. I più colpiti dalle tasse erano gli abitanti della campagna. Quelli della città erano esentati da molti tributi e ricevevano la distribuzione gratuita dei generi alimentari. La pressione fiscale fece indebitare i piccoli contadini che chiedevano prestiti al grande proprietario offrendo in cambio la propria manodopera. Quindi era interesse del grande proprietario che il contadino restasse sulla propria terra per non sottrarsi al debito contratto, questo era anche l’interesse dello stato dato che le tasse gravavano soprattutto sui contadini. Quindi a partire dall’età costantiniana vi furono una serie di leggi per legare il contadino alla terra. Lo stato inoltre chiedeva manodopera gratuita per la costruzione e manutenzione di opere pubbliche (strade, edifici) e, ancora più temuta, la leva militare che durava più di 20 anni. Solo il signore, dominus, con la sua influenza e la sua ricchezza poteva salvare il colono; una raccomandazione o una mancia ai funzionari imperiali poteva salvare il colono, soprattutto se egli aveva denaro per pagare un sostituto, un barbaro, che si arruolava al posto del colono. In queste modo le condizioni dei coloni peggiorarono e si avvicinarono a quelle degli schiavi. Molte aziende padronali avevano sostituito la manodopera schiavile a quella fornita dai coloni, ambedue i sistemi avevano pregi e difetti. Il colono lavorava con maggiore impegno perché poteva dedicare parte della giornata al proprio campo e alla famiglia, ma presentava il grosso svantaggio di essere soggetto al servizio militare e assentarsi per lunghi anni. Con Costantino la struttura della società romana divenne più rigida e aumentò sempre più la differenza tra ricchi e poveri. Questa società fu chiamata a piramide: al vertice c’era l’imperatore e la classe dirigente composta da senatori e burocrati in gran parte latifondisti, alla base le masse popolari schiacciate dai tributi e dalla crisi economica. Il senatore latifondista domina la società romana dal 2° secolo in poi. A questa classe dirigente laica si contrapponeva quella ecclesiastica. Anche la chiesa aveva la sua gerarchia: i diaconi, con compiti di assistenza e amministrazione; i preti che celebravano la messa e il vescovo a capo delle comunità locali. Mentre l’organizzazione politica dell’impero diventava sempre più rigida, la chiesa si apriva ai più umili. I vescovi erano al centro di organizzazioni volontarie, fondavano e controllavano istituzioni di carità, difendevano i fedeli contro i funzionari statali. Quando la resistenza militare peggiorò organizzarono la resistenza armata contro i barbari. Quindi man mano che lo stato decadeva la chiesa si organizzo. Costantino modificò anche l’organizzazione della difesa dei confini, gli eserciti non furono più dislocati lungo il limes ma furono ammassati nelle grandi città pronti ad intervenire dovunque con una maggiore forza d’urto. Per sopperire alle difficoltà di rinnovare i contingenti militari si ricorse all’arruolamento di barbari federati, intere tribù sottoscrivevano un contratto in cui si impegnavano a fornire soldati equipaggiati agli ordini di ufficiali romani. Con il passare del tempo i barbari arruolati richiesero un loro capo e a pretendere oltre la paga anche lotti di terra. La riforma amministrativa iniziata da Diocleziano e portata a termine da Costantino fece dello stato romano uno stato burocratico con un elevato numero di funzionari ai quali faceva capo la giustizia, l’organizzazione fiscale, strutture politiche e militari. Era una categoria improduttiva che gravava pesantemente sullo stato. Al vertice della carriera di corte c’era il quaestor sacri palatii, esperto in materia giuridica, il magister officiorum, responsabile della burocrazia, il comes rerum privatarum, che amministra la casa privata dell’imperatore, il comes sacrarum largitionum sovrintendeva al tesoro imperiale. Seguiva un gran numero di impiegati, addetti ai servizi vari, corrieri. 337-361 360-363 363-364 364-375 375-383 378 379-395 382 I corrieri, chiamati agentes in rebus erano molto temuti e odiati perché in contatto con i diversi ambienti potevano raccogliere notizie e riferirle alle autorità. La tassa più importante era la capitazione, versata annualmente. Costanzo. Alla morte di Costantino l’impero fu diviso tra i figli Costanzo, Costante e Costantino II. Costantino II prefetto della Gallia perse la vita nel conflitto contro Costante nel 340. Costante a sua volta fu ucciso nel 350 dall’usurpatore Gallo Magnenzio, uno dei generali di Costante. Costanzo poi sconfisse Magnenzio e regnò fino al 361. Giuliano. Proclamato Augusto dalle legioni romane in Gallia, divenne imperatore alla morte di Costanzo. Egli tentò un ritorno alla religione pagana, ma ormai era in decadenza. Durante una campagna contro i Persiani morì. Gioviano. Egli concluse una pace svantaggiosa con i Persiani. Valentiniano e Valente suo fratello. Si dedicarono alla riorganizzazione amministrativa e a rafforzare la difesa dell’impero. Valentiniano morì nel 375 e fu acclamato il figlio Graziano. Valente continuò a regnare nell’est fino al 378. Graziano e il fratellastro Valentiniano II. Intanto i Visigoti, sospinti da una migrazione in massa degli Unni, sfondavano le difese e si riversarono nei territori dell’impero romano. Valente rendendosi conto che non avrebbe potuto ricacciarli, propose ai Visigoti di arruolarsi nell’esercito romano e stabilirsi in Tracia, odierna Bulgaria. I Goti erano un popolo costituito da numerose tribù stanziate tra il mar Baltico e le steppe dell’Europa sud-orientale, odierna Polonia e Russia bianca. A partire dal 2° secolo i Goti iniziaron o ad espandersi anche verso sud, lungo il corso della Vistola, fino a raggiungere l’Ucraina e la Romania. Fu in questa espansione che le tribù iniziarono a differenziarsi in Ostrogoti, Goti dell’est, stanziati tra i fiumi Dniestr e Don, odierna Ucraina, e Visigoti, Goti dell’ovest, stanziati tra i fiumi Danubio e Dniestr, odierna Romania e Moldavia. Intorno al 370 le regioni del mar Nero furono invase dagli Unni che travolsero gli Ostrogoti. Alcune tribù si stanziarono in Crimea, altre migrarono nelle regioni dell’Europa Centrale. Nel 376 gli Unni invasero anche il territorio dei Visigoti che iniziarono a sconfinare nel territorio romano. La popolazione locale, profondamente romanizzata non accettò i Visigoti che nel 378 devastarono e saccheggiarono tutta al Tracia. Valente intervenne e nella battaglia di Adrianopoli perse la vita. I Visigoti dilagarono in tutta la penisola balcanica, si salvò solo Costantinopoli. Nel 379 Graziano proclama Teodosio imperatore d’Oriente. Teodosio stipulò un trattato con i Visigoti; essi avrebbero continuato a militare nell’esercito come federati e si sarebbero stanziati nell’Illirico, odierna Croazia, Bosnia e Montenegro. Graziano abolì le immunità e le rendite alle Vestali e ai sacerdoti romani, abbandonò il titolo di Pontefice massimo e tolse dal senato la statua della vittoria, simbolo del favore che gli dei pagani concedevano all’impero. Graziano muore a Lione cercando di sedare la rivolta del suo comandante 390 391 395 395-408 395-423 402 406 408 410 418 409-411 423-425 425-455 429 spagnolo Massimo. Valentiniano II che all’arrivo di Teodosio è mandato in Gallia fu ucciso nel 392 dal suo stesso comandante. La popolazione di Tessalonica uccise il comandante supremo visigoto delle truppe illiriche, che aveva fatto arrestare un’auriga idolo della folla. Teodosio volle punire la popolazione di Tessalonica con una strage di spettatori durante lo svolgimento dei giochi nel circo. Siccome la popolazione era cristiana il vescovo di Milano Ambrogio scomunicò Teodosio e dichiarò che lo avrebbe riammesso solo dopo un atto pubblico di pentimento. Al cristiano Teodosio non restò che inginocchiarsi di fronte al vescovo. Teodosio dette un colpo di grazia alla religione pagana, con un editto vietava i culti pagani, segnando la fine della libertà di culto nell’impero. Teodosio morì e lasciò l’impero ai suoi figli: Arcadio in Oriente e Onorio in Occidente. Da questo momento l’impero fu definitivamente diviso in due parti. Arcadio. Figlio di Teodosio fu imperatore della parte orientale dell’impero. Onorio. Figlio di Teodosio fu imperatore della parte occidentale sotto la protezione di Stilicone, un generale romano di origine Vandala. Stilicone fu costantemente impegnato nella lotta contro i barbari. Stilicone sconfigge i Visigoti di Alarico a Pollenzo, nella valle del Tanaro e a Verona costringendo Alarico a tornare nell’Illiria. Gli Ostrogoti, barbari non romanizzati, guidati dal crudele Radagaiso, pressati dagli Unni, entrarono dalla Pannonia, odierna Austria, e dalle Alpi orientali nella penisola italiana. Anche in questo caso Stilicone riesce a sconfiggerli a Fiesole. Alla fine dell’anno grandi masse di popolazioni barbariche, Vandali, Sarmati, Svevi Alani, Alemanni, spinte dalla pressione degli Unni, attraversarono le acque gelate del Reno e si riversarono in Germania e in Gallia. Stilicone, accusato di non aver saputo organizzare la difesa e sospettato per la sua origine Vandala, fu condannato a morte da Onorio e decapitato. Alarico occupò Roma e la saccheggiò per tre giorni. Alarico uscito da Roma si diresse verso sud forse per raggiungere la Sicilia, ma la morte lo colse a Cosenza. Il comando dei Visigoti passò al fratello Ataulfo che risalì la penisola e si stanziò nella Gallia sud-occidentale, odierna Aquitania, d’accordo con i romani e, a Narbona, sposò Galla Placida, la sorella dell’imperatore Onorio, che aveva preso a Roma come ostaggio. L’imperatore riconobbe i loro possedimenti e nacque così il primo stato barbarico d’Europa, il regno Visigoto con capitale a Tolosa. Svevi, Alani e Vandali occuparono la Spagna. Giovanni. Egli era un ufficiale imperiale e usurpò il potere per due anni, poi fu ucciso. Valentiniano III. Figlio del generale Flavio Costanzo e di Galla Placida, figlia di Teodosio. Sposò Eudoxia figlia di Teodosio II, imperatore d’oriente successo al padre Arcadio. I Vandali di Genserico stanziati in Vandalicia, da cui poi Andalusia, passarono lo stretto di Gibilterra e occuparono le province dell’Africa occidentale, Cartagine, la Mauritania e la Numidia, Ippona, dove nel corso dell’assedio morì anche il vescovo sant’Agostino. Nel 442 fondarono un regno autonomo. Valentiniano III riconobbe il loro dominio. Fatto grave perché l’Africa era il granaio dell’impero. 442 443 451 452 453 455 455.456 457-461 461-465 467-472 473-474 474-475 475-476 476 La Britannia fu occupata dagli Angli e Sassoni. I Burgunti furono riconosciuti signori della Savoia. Gli Unni con il loro re Attila invadono le Gallie ma il generale Ezio, grazie all’appoggio degli alleati Goti, Burgunti e Franchi li sconfisse nella battaglia dei Campi Catalaunici, nella Francia nord-orientale. Attila scese in Italia e occupò Aquileia, Padova, Verona, Milano e Pavia, pensava di spingersi fino Roma ma papa Leone lo raggiunse e lo convinse a lasciare l’Italia dietro il pagamento di un riscatto. Attila morì e gli Unni si dispersero. I Vandali padroni di una flotta con basi nell’Africa settentrionale sbarcarono ad Ostia e saccheggiarono Roma. Valentiniano III uccise il generale Ezio, ma fu ucciso sua volta dai sostenitori di Ezio. Petronio Massimo. Era senatore, costrinse Eudoxia a sposarlo ma fu ucciso da Genserico, re dei Vandali. Avito. Senatore della Gallia, posto sul trono da Genserico, re dei Vandali. Maiorano. Senatore, fu fatto imperatore dal barbaro Ricimero e poi da lui ucciso. Libio Severo. Egli si dichiarò imperatore ma il suo titolo non fu riconosciuto dall’imperatore d’oriente. Anthemio. Divenuto Cesare fu poi proclamato Augusto in Italia. Fu attaccato e ucciso a Roma dal genero Ricimero. Glicerio. Eletto dal burgundo Gundobade, non fu riconosciuto dall’oriente. Sconfitto da Giulio Nepote, divenne vescovo di Salona. Giulio Nepote. Eletto da Oreste, un generale di origine illirica, e poi deposto dallo stesso per eleggere suo figlio Romolo Augustolo. Romolo Augustolo. Figlio di Oreste. Odoacre, un ufficiale germanico lo depose dopo un anno e ne prese il posto con il nome di patrizio, non si attribuì il titolo di imperatore, e dichiarò che avrebbe governato l’occidente in nome dell’imperatore d’oriente. L’impero romano d’occidente terminava di esistere dopo 1.300 anni di vita. Cause della decadenza dell’impero romano. Una crisi demografica esplosa nell’età di Marco Aurelio fece calare la produttività, l’aumento dei prezzi che ne derivò fu la causa di un impoverimento generale. Parallelamente vasti movimenti di popoli nell’Europa Orientale determinò una reazione a catena che interessò le frontiere dell’impero. Lo stato romano reagì con una grande mobilitazione di forze. Lo sforzo per mantenere un esercito imponente di 600.000 uomini e una burocrazia di 30.000 funzionari e impiegati fu insostenibile per la popolazione già stremata. Nel corso del 4° e 5° secolo il problema principale per la popolazione era quello fiscale. Il contadino si affidava al latifondista diventando servo della gleba. Quindi lo squilibrio tra le ingenti necessità dello stato e le debolezze della sua produttività fu la causa principale della caduta dell’impero romano d’occidente. La parte orientale, meno colpita dalla crisi demografica, fu sostenuta da una maggiore produttività e potè resistere alle pressioni dei barbari. Regni romano-barbarici. 488 493 I barbari che avevano invaso l’impero romano d’occidente consolidarono le loro posizioni e fondarono nuovi stati, i regni romano-barbarici. Il regno dei Vandali comprendeva la costa settentrionale dell’Africa, le Baleari, la Corsica, la Sardegna e la Sicilia. Il regno dei Visigoti tutta la penisola iberica. Il regno dei Franchi tutta la Gallia. In Inghilterra si formarono vari regni Anglosassoni. Le popolazioni celtiche della Scozia e dell’Irlanda mantennero la loro indipendenza. Il regno degli Ostrogoti in Italia. Gli Ostrogoti in qualità di federati dell’impero romano avevano ricevuto delle terre in Pannonia. Nel 488 il loro re Teodorico, insignito dall’imperatore di Costantinopoli Zenone del titolo di patrizio, chiese energicamente di insediarsi con il suo popolo in Italia e Zenone acconsentì. Teodorico in qualità di patrizio e di magister militum ricevette l’incarico di strappare l’Italia a Odoacre e regnarvi in nome dell’imperatore. Odoacre sconfitto ripetutamente si ritirò a Ravenna. Teodorico dopo un lungo assedio sconfisse e fece uccidere Odoacre a Ravenna nel 493 e gli Ostrogoti si insediarono in Italia. Teodorico in una prima fase cercò la collaborazione con la classe dirigente romana e tra essa scelse i suoi più stretti collaboratori, uomini di cultura come Cassiodoro e Boezio. Più difficili furono i rapporti con la chiesa romana perché gli Ostrogoti essendo ariani vedevano con sospetto il crescente potere del vescovo di Roma. Quando l’imperatore di Costantinopoli prese a perseguitare gli ariani la frazione antiromana degli Ostrogoti si allarmò temendo una congiura tra il papa e l’imperatore a danno di loro. Teodorico allora cambiò politica, imprigionò il papa e uccise Boezio e altri esponenti della classe dirigente romana. 526 Teodorico morì lasciando una stato in crisi. La figlia Amalasunta regnò in nome di suo fratello, Atalarico, che aveva solo otto anni, e associò al governo il cugino Teodato. 535 Teodato fece imprigionare e uccidere la cugina e moglie Amalasunta, per governare da solo, con l’accusa di aver tramato con l’imperatore d’oriente ai danni del suo popolo. Atalarico era morto prematuramente da alcuni anni. 535-554 Guerra gotica-bizantina. Fu il pretesto per l’intervento Bizantino in Italia e l’inizio di una guerra tra Goti e Bizantini di 19 anni. 552 I Bizantini sconfissero l’ultimo re Goto, Teia, in ottobre, a giugno era stato sconfitto il grande re Totila, e dopo poche resistenze il regno Ostrogoto crollò definitivamente. Così uno dei più grandi sovrani Bizantini, Giustiniano, riuscì a far crollare uno degli Stati romano-barbarici. 554 Con la Prammatica Sanzione, Giustiniano, ristabilì l’autorità imperiale annullando tutte le leggi dei re Goti, ed estese poteri politici ai signori e ai vescovi, ai quali fu concesso anche il potere di eleggere i governatori delle province. Monachesimo. Verso la fine del 400 si sviluppò il monachesimo occidentale, prima in Irlanda, poi in Italia. In Italia l’avvio fu dato da Benedetto da Norcia ai primi del 500; nel 529 si trasferì a Montecassino dove fondò un’abbazia ed elaborò la regola “ora et labora”. 568 590 I LONGOBARDI. I Longobardi, un popolo di barbari nomadi, invadono l’Italia settentrionale conquistando Aquileia, Verona e Milano nel 569 e Pavia nel 572. Conquistorono anche parte dell’Italia meridionale formando i ducati di Spoleto e Benevento, governati da duchi Longobardi. Sotto il dominio bizantino restava la Sicilia, la Sardegna, la Calabria, la Basilicata, la Puglia, Napoli, Roma, Ravenna e Venezia. I Longobardi erano un popolo con una debole coesione politica e solo lentamente riuscirono a creare uno stato. Erano divisi in bande ognuna con un capo autonomo. Fino al 590 si succedettero vari re tutti uccisi dagli altri capi. Diventa re Agilulfo, già duca di Torino, che inizia ad esercitare effettivamente il potere regio. Il territorio fu diviso in ducati con duchi di nomina regia. Un gruppo di funzionari regi, Gastaldi, aveva il compito di amministrare le terre che il re possedeva in ogni ducato e di esercitare il controllo sui duchi. I duchi nel loro territorio avevano pieni poteri di amministrazione, giustizia e riscossione delle tasse. Era un sistema embrionale del potere politico feudale. ECONOMIA. Decaduti i centri cittadini, che avevano subito ripetute invasioni dei Goti e Longobardi e saccheggi durante la guerra tra Goti e Bizantini, abbandonata la campagna, la nuova organizzazione economica è esercitata nelle curtes, le antiche ville romane. Le curtes sono costituite da una parte gestita direttamente dal signore e coltivata dai servi dipendenti e da vari appezzamenti, i mansi, dati in concessione a famiglie di coltivatori tenuti a pagare un canone annuo, census. A differenza delle ville romane esse hanno scarsissimi contatti con il mercato, tendono ad acquisire un’autonomia economica. Spesso il nucleo centrale è un luogo fortificato. Tra i membri della comunità e il signore si instaurano rapporti che riguardano la vita politica, amministrativa e la difesa del territorio. Attorno a questa vita economica vi sono zone di selve e paludi dove è esercitata la caccia e l’allevamento brado del bestiame, specie i suini. Nelle terre coltivate le colture dominanti sono i cereali. Economia cerealicola-pastorale in zone limitate circondate da vaste zone incolte e boschi. LEGISLAZIONE. Tutti i sudditi erano assoggettati alla stessa legislazione (superata la concezione personale del diritto) scaturita da una fusione del diritto popolare germanico e le leggi romane in vigore. Il sistema primitivo era basato soprattutto sulla riparazione in denaro del delitto commesso. PAPATO. Per la debolezza dell’impero d’oriente e degli stessi ducati aumenta l’autorità politica del papato. Verso la fine del 500, con il papa Gregorio I Magno (590-604) la chiesa si sostituisce ai magistrati, aumenta il potere dei vescovi e il papa svolge una politica autonoma; il ducato romano fu quasi una stato indipendente: fu l’inizio del potere temporale della chiesa che si accrebbe con le donazioni di territori fatte dai Longobardi e dai Franchi. L’opera del papa Gregorio Magno non fu indirizzata al rafforzamento dell’autorità politica della chiesa, questa fu una conseguenza dello scarso potere imperiale; egli operò una vasta riforma interna della chiesa e dette un contributo essenziale per cristianizzare gli Anglo-Sassoni e i Longobardi, in quest’opera fu appoggiato da Teodolinda, principessa bavarese, moglie di Autari prima e di Agilulfo poi. La conversione dei Longobardi al cristianesimo avvenne successivamente nel 653. 726 L’imperatore Leone III di Bisanzio con un decreto vietava il culto delle immagini sacre e ne ordinava la distruzione, iconoclastia, inoltre fece confiscare i bene ecclesiastici e ordinò la chiusura dei conventi allo scopo di rafforzare l’autorità imperiale. La chiesa di Roma condannò tale decreto rendendosi insieme a Napoli, Ravenna e Venezia sempre più indipendente da Bisanzio. 727 Il funzionario bizantino inviato a reggere il ducato di Roma fu accecato e al suo posto fu eletto un rappresentante dell’aristocrazia romana. Poco dopo anche Ravenna insorse e uccise l’esarca. A Venezia fu eletto il primo Doge autonomo. Il re longobardo Liutprando visto il momento favorevole occupò i territori dell’esarcato e la pentapoli e si spinse nel ducato romano fino a Sutri. Il papa, insieme ai duchi di Spoleto e Benevento e a Venezia si oppose energicamente all’espansione longobarda e Liutprando dovette ritirarsi e abbandonare i territori conquistati e restituì Sutri non a Bisanzio ma alla Chiesa <<ai beatissimi apostoli Pietro e Paolo>>. L’espansione longobarda non trovava più ostacolo nella resistenza bizantina ma nel papato con la sua autorità morale. A questo episodio si fa risalire il potere temporale dei papi, anche se era già iniziato sotto il papa Gregorio Magno. La chiesa si stava sviluppando anche come organismo politico in quanto anche senza il diritto stava, di fatto, costituendo un suo stato nel territorio del ducato 751 752 756 771 774 romano: aveva ormai un vasto patrimonio, costituito da grandi possedimenti fondiari, formato dalle donazioni dei fedeli; e soprattutto aveva esteso la sua influenza spirituale in tutte le regioni che erano appartenute all’impero romano. Fu soprattutto la resistenza all’espansionismo longobardo a favorire l’alleanza tra il papato e i Franchi. Il re longobardo Astolfo riprese l’offensiva e conquistò l’esarcato e la pentapoli. Nel regno franco terminava la dinastia merovingia e veniva eletto re Pipino il Breve, figlio di Carlo Martello che nel 722 fermò gli arabi a Poiters, con il consenso del Papa Zaccaria e del Monaco Bonifacio. Il successore di Zaccaria Papa Stefano III strinse l’alleanza con Pipino contro la minaccia longobarda con le seguenti condizioni: Pipino avrebbe cacciato Astolfo dall’esarcato e dalla pentapoli e il papa diede a Pipino il titolo di patrizio romano. Pipino, prima nel 754 poi nel 756 venne in Italia e tolse i territori conquistati da Astolfo ai Longobardi e li trasferì alla Chiesa. Fu costituito così ufficialmente lo Stato Pontificio che comprendeva il ducato romano, l’Esarcato e la Pentapoli sotto la protezione politica del re franco. Desiderio re dei Longobardi, salito al trono con l’appoggio del papa dopo aver promesso delle concessioni territoriali allo stato pontificio, volle stringere rapporti con i Franchi e dette sua figlia in sposa a Carlo, figlio di Pipino. Morto Pipino nel 768 salirono al trono Carlo e il fratello Carlomanno. Morto Carlomanno, nel 771, Carlo riprese il programma contro i Longobardi. Ripudiata la moglie longobarda, Carlo venne in Italia con un forte esercito che presto ebbe la meglio di Desiderio. Nel 774 fu liberata Pavia, Desiderio fu rinchiuso in un convento e suo figlio Adelchi costretto a fuggire in Oriente. Carlo stabilì il dominio franco su tutta l’Italia settentrionale e fece delle cessioni al papato: la Toscana e i ducati di Spoleto e Benevento. Scomparso il regno Longobardo nel 774, il ducato di Benevento restò autonomo, ultimo baluardo longobardo, Bisanzio conservò l’Italia meridionale, Venezia ottenne la completa autonomia da Bisanzio. CARLOMAGNO. Salito al trono nel 771 e sconfitti i Longobardi nel 774, Carlo rafforzò i legami con la Chiesa al punto di intromettersi anche sulle questioni religiose come quando rifiuta le decisioni del Concilio di Nicea, 787, sulla iconoclastia e condanna la dottrina degli adoratori delle immagini. Il mondo ecclesiastico tende a riconoscere in Carlo il sovrano politico di tutto il popolo cristiano, difensore della cristianità, era un nuovo concetto di imperatore. D’altra parte tutti i funzionari di Carlo erano ecclesiastici, perché dopo secoli di decadenza e crisi non vi era più istruzione e cultura al di fuori della chiesa. Dopo il frazionamento politico dei secoli precedenti nel 700 si assiste ad un processo di unificazione che portò all’espansione della monarchia franca, allo sviluppo dell’autorità politica del papato e nell’alleanza tra queste due forze. Carlo inizia l’espansione verso il territorio germanico e la lotta contro gli arabi in Spagna al solo scopo di proteggere i territori di confine dalle continue incursioni nemiche. 772-785 Spedizione contro i Sassoni. Solo nel 785 fu vinto il valoroso capo Vitikindo e Carlo impose la loro conversione al cattolicesimo. 776 Nel 776 iniziò la prima spedizione contro gli Arabi della Spagna che si concluse con una disfatta, la retroguardia franca, sorpresa in un’imboscata, fu distrutta a Roncisvalle, capo era il paladino Roland. Successivamente riprese l’offensiva e fu conquistata la Gothalandia, attuale Catalogna, con capitale Barcellona. Alle vicende di questa guerra appartengono le gesta dei paladini, i cavalieri di Carlo 800 esaltati nei poemi epici (chansons de geste), primi capolavori francesi. Spedizione contro gli Avari con due eserciti: Carlo scese lungo il Danubio e il figlio Pipino, re d’Italia, avanza dal Friuli. Occuparono il territorio degli Avari e si impadronirono dell’immenso tesoro che essi avevano accumulato con le razzie. Successivamente anche gli slavi della Slavonia e Croazia furono sottomessi. Di conseguenza alla fine del 700 intorno al regno franco si era ricostituito un impero solido, forte militarmente e sicuro ai confini. Il 25 dicembre, nella basilica di San Pietro, il papa Leone III proclamava Carlo imperatore. Si riformava il Sacro Romano Impero che comprendeva buona parte dell’Europa Occidentale, il mondo romano e germanico. L’impero fu diviso in Contee e Marche, i territori di confini; i conti molto indipendenti dall’imperatore erano controllati dai Missi Dominici, che facevano visite annuali. Nel regno di Carlo ci fu anche una rinascita culturale, fu istituita un’accademia, la schola palatina, presieduta dal monaco Alcuino. L’economia del periodo carolingio è soprattutto agricola. I villaggi rurali, così come le città in quanto non vi era molta differenza nell’economia e nella cultura tra città e campagna, erano un insieme di lotti di terreno, chiamati mansi, costituite da un appezzamento recintato, una casa in legno o fango e frasche, dove abitava una famiglia. La terra in genere era di proprietà del signore: sovrano, chiesa o nobile laico (conte o avvocato), che la cedeva in concessione. Questi villaggi devono essere considerati come isole in mezzo a grandi distese incolte. Carlo promosse anche un’importante riforma monetaria con la quale stabiliva che solo il sovrano aveva il diritto di coniare monete e che queste dovevano essere di un solo metallo, l’argento. Poco dopo la morte del sovrano questo privilegio non era solo del sovrano ma anche conti e abbazie maggiori potevano coniare monete. Fine700 FEUDALESIMO. Inizi800 E’ un sistema di organizzazione del potere politico che si basa su determinate condizioni economiche. Il centro della vita sociale si sposta dalla città alla villa a causa della decadenza del grande commercio, dell’insicurezza determinata dalle invasioni e dalla rovina delle città. La villa diventa il punto di riferimento dell’organizzazione politica, amministrativa e militare, gli stessi contadini si pongono sotto la protezione del signore (SIGNORIA RURALE). La grande proprietà fondiaria, frutto di donazioni del sovrano ai suoi compagni d’armi, prede di guerra o patrimonio di antiche aristocrazie, coordina le attività produttive e assicura al sovrano un’organizzazione militare già verso la fine della dinastia merovingia e tende a diventare un organismo politico sociale autonomo, chiuso. I Signori, Vassalli, ricevono un beneficio dal sovrano e gli promettono fedeltà e aiuto militare, in questo modo acquisiscono una certa sovranità nel loro territorio e diventano immuni dall’intervento del regio potere. Nel momento in cui questa situazione verrà riconosciuta e codificata attraverso una serie di norme e un rituale che regolano questi rapporti sociali e politici nasce il Feudalesimo. Le zone di proprietà libere, non soggette al feudo, si chiamano Allodi. Il Signore amministra la giustizia per tutti gli abitanti del villaggio percependo le ammende. Obbliga gli abitanti a servirsi dei suoi mulini, dei suoi forni, della sua taverna e vieta l’impianto di tali attrezzature (potere di banno). Impone tasse sugli scambi, pedaggi sulle strade e ponti, esige prestazioni di lavoro (corvee, angerie) ed emette imposte straordinarie, taglie. Nel villaggio non c’è spazio per l’esercizio di attività economiche indipendenti. I rapporti di vassallaggio non esistevano soltanto tra il sovrano e i grandi signori ma anche tra questi e nobili minori con una serie di vincoli di dipendenza personali. Questa organizzazione del potere, in cui l’ordinamento rigidamente gerarchico si unisce alla quasi completa autonomia in ogni grado della scala di autorità è il sistema feudale vero e proprio. VASSALLAGGIO. Contratto per il quale un uomo diventa il fedele di un altro. INVESTITURA. Quella parte del rito in cui il Signore dava un dono simbolico al suo vassallo per riconoscerli la concessione di un feudo. Conseguenza del feudalesimo fu che il sovrano vide ridotti i suoi poteri. I grandi signori tendono a dare carattere di ereditarietà al loro feudo. Quindi vi è una tendenza a cristallizzare e rendere permanente la suddivisione del potere. Anche la Chiesa partecipò al sistema feudale con la formazione delle Signorie Fondiarie sulle quali gli enti ecclesiali acquistano gli stessi poteri dei feudatari. Sotto l’Impero Carolingio, contro le signorie ecclesiastiche che godevano dell’immunità, il sovrano istituì l’avvocatura per limitare il potere agli enti religiosi. L’avvocato era un rappresentante laico che amministrava la giustizia ed esercitava le funzioni pubbliche. Col tempo i legami tra sovrano e avvocato si ruppero e quest’ultimo divenne un vassallo della signoria ecclesiastica. Soltanto con la riforma del Papa Gregorio VII questa situazione cambiò e molti signori persero l’avvocatura. Per limitare il potere dei conti e dei grandi signori feudali, i sovrani, attribuirono parte delle funzioni politiche-amministrative ai vescovi. Inizialmente al vescovo fu riservato il governo del centro della diocesi, delle città mentre il conte esercitava il potere nella campagna circostante (da qui il contado). In seguito gli imperatori affidarono intere contee ai vescovi per contrastare lo spirito di indipendenza dei signori laici. Da qui sorsero i conflitti tra l’autorità religiosa e politica. NORMANNI (uomini del nord). Erano i vichinghi provenienti dalla Danimarca e dai paesi scandinavi. Con la loro flotta formata da imbarcazioni molto agili iniziarono le loro escursioni alla fine del 700 saccheggiando le città costiere della Francia e della penisola iberica. Nel 911 si stabilirono sulla riva della bassa Senna, la regione prese poi il nome di Normandia. Durante l’anno 1000 da qui partirono nuovi gruppi che giunsero in Inghilterra e in Italia Meridionale. Intorno all’anno 882 i Vareghi, un gruppo di normanni provenienti dalla Svezia emigrarono in Russia a Kiev creando le premesse per lo stato russo. Verso la fine dell’800 vi furono delle devastanti incursioni degli Ungari nell’Italia Settentrionale, Baviera, Francia con saccheggi e distruzioni; Pavia fu presa nel 904. Nello stesso periodo gli Aglabiti (popolo arabo) invasero l’Italia meridionale e la Francia; la conquista della Sicilia iniziata nel 827 terminò nel 965, anno in cui cadde Rometta ultima roccaforte bizantina. Il risultato di queste incursioni furono il peggioramento delle condizioni di vita, la disgregazione della società e la decadenza delle attività commerciali. Le masse dei contadini colpiti in modo particolare dalle invasioni si strinsero sempre di più attorno ai signori ed ai capi militari consolidando sempre di più il sistema feudale. Alla morte di Carlo magno ci fu la disgregazione dell’Impero carolingio perché nessuno dei suoi successori ebbe doti necessarie per proseguire la sua opera. 813 814 817 823 877 881 887 987 996 1.031 1.060 Carlo Magno, morti i figli Carlo e Pipino, lasciò l’impero al terzo figlio Ludovico. Morte di Carlo Magno. Ludovico, detto il Pio, associò all’impero il figlio Lotario, agli altri due figli, Pipino e Ludovico, fece svolgere funzioni di vicere in Francia meridionale ed in Germania (ordinatioo imperii). Nasce Carlo, detto poi il Calvo e Ludovico fu costretto a rimettere in discussione l’ordinatioo imperii ai danni del primogenito Lotario. Fu l’inizio di una guerra civile che terminàò nel 843 con la Pace di Verdun, in cui fu diviso definitamente l’impero. Dopo Ludovico II ebbe la corona Carlo Il Calvo. Capitolare di Quierzy. Sanciva il riconoscimento della ereditarietà dei grandi feudi che Carlo il Calvo fu costretto a cedere per sedare la ribellione dei principi. Nello stesso anno moriva Carlo Il Calvo. Durante il suo regno vi furono: incursioni normanne, pirateria saracena, rivolte interne, tendenze indipendentistiche dei grandi signori che portano lo stato alla sfacelo. Dopo un periodo di conflitti dinastici fu imperatore Carlo il Grosso, che incapace per personali debolezze e difficoltà della situazione, fu deposto nel 887. Il suo ultimo gesto umiliante fu il pagamento di un riscatto ad una banda di Normanni che assediava Parigi. Deposizione dell’imperatore Carlo il Grosso e fine della dinastia carolingia. L’impero era finito e tutto il suo territorio era coperto da una rete di signorie feudali. Dopo il periodo carolingio, in Francia, divisa da grandi feudatari, si assiste ad un periodo di anarchia in cui l’autorità regia era nullo al di fuori del territorio della corona e un aumento del potere dei grandi feudatari come il duca d’Aquitania, il conte di Tolosa, l’arcivescovo di Reims. Viene eletto re Ugo Capeto che da avvio alla dinastia dei capetingi che fece istituire la prassi della ereditarietà della monarchia. Divenne re Roberto il Pio, figlio di Ugo Capeto. Enrico I. Filippo I. In Inghilterra il sistema feudale fu impiantato dai normanni. 1.066 Guglielmo il Conquistatore, duca della Normandia, sbarcò in Inghilterra con un forte esercito e vinse i sassoni del re Aroldo nella battaglia di Hastings anche per merito della cavalleria pesante. Guglielmo si fece incoronare re d’Inghilterra e divise il territorio in feudi che distribuì ai capi militari che lo avevano seguito, seguendo il modello francese. Durante il suo regno egli realizzò la fusione tra anglosassoni e normanni. Regno d’Italia. Nell’Italia centro-settentrionale, che faceva parte del regno Longobardo prima e dell’Impero di Carlomagno poi, esplose contese per il potere regio tra l’887 e il 960 e quelli che riuscirono a conquistarlo, Berengario I, Guido da Spoleto, Rodolfo da Borgogna, Ugo di Arles, Berengario II, ebbero solo un’autorità formale e furono travolti dalle ribellioni di altri feudatari. 888 926 950 Fu re Berengario I marchese del Friuli, subito detronizzato fu rieletto nel 898 e di nuovo detronizzato prima da Ludovico, re di Provenza, poi da Rodolfo duca di Borgogna che lo fece assassinare nel 924. Fino al 946 ci fu il regno di Ugo di Arles, a cui fu imposto di abdicare a favore del figlio Lotario. Fu re Berengario II, marchese d’Ivrea, con il quale terminò il regno d’Italia autonomo. Stato pontificio. Anche lo Stato pontificio e il papato fu colpito dalla crisi dopo la fine dell’impero carolingio. Con l’assassinio del papa Giovanni VIII, voluto dall’aristocrazia romana, si aprì il periodo più fosco della storia del papato. Roma fu teatro di feroci contese tra le famiglie feudali. 882 897 962 L’aristocrazia romana fece assassinare papa Giovanni VIII. Processo a papa Formoso in seguito ai contrasti per la corona imperiale tra Arnolfo di Carinzia e Lamberto di Spoleto. Assassinio di papa Stefano VII. Il capo della nobiltà romana, Teofilatto, che era il comandante della milizia romana, insieme a sua figlia Marozia furono i padroni della città e del seggio pontificio e dal 900 al 963 fecero eleggere diversi papa. Ottone di Sassonia pose fine a questa situazione di disordine e corruzione, fece deporre da un concilio il papa Giovanni VII, nipote di Marozia e fece eleggere Leone VIII. In quella stessa occasione egli ricevette la corona imperiale. Emanò la Privilegium Othonis che dava disposizioni procedurali per l’elezione del pontefice e da quel momento i papi furono eletti dietro il consenso dell’imperatore Ottone. Egli inoltre sconfisse Berengario e aggregò il Regno d’Italia alla Germania. Impero germanico. Il regno di Germania era composto da quattro gruppi etnici: Sassonia, Franconia, Svevia e Baviera. La lotta contro le invasioni dei Scandinavi, Ungari e Slavi fece superare le rivendicazioni e i particolarismi regionali. 919 936 950 962 972 973 996 1002 Elezione del primo re di Germania della dinastia di Sassonia, Enrico che riuscì a fare intese politiche e ad avere contatti economici con gli Scandinavi. Elezione del figlio Ottone I che assicurò definitivamente la difesa dei confini e fece superare le tendenze particolaristiche che minacciavano l’unità del regno. Questi risultati furono raggiunti con la trasformazione della Chiesa nel più importante organismo di governo politico del regno e rinunciando in parte alla collaborazione dell’aristocrazia laica. A questa svolta fu costretto anche dalle frequenti rivolte interne. Scelti e nominati da re, i vescovi furono i cardini dell’amministrazione del regno. Ottone creò una forza militare, alla cui organizzazione provvedevano gli stessi vescovi, tra le più potenti allora, che gli permise un’azione efficace per la difesa e l’espansione del regno. Egli sconfisse gli Ungari a Lechfeld nel 955 e pose fine alle loro periodiche incursioni in Germania e Italia e ricostituì la marca d’Austria, creata da Carlomagno. Egli incorporò il ducato di Boemia al regni di Germania. Venne in Italia e aiutò Berengario II a conquistare il regno d’italia, contro Ugo di Provenza e suo figlio Lotario. La protezione durò poco perché nel 962 l’Italia venne annessa alla Germania. Tornò in Italia chiamato da Giovanni XII, emanò la Privilegium Othonis e si fece eleggere imperatore il 2 febbraio. Sconfisse Berengario II e aggregò il regno d’Italia alla Germania. Nel 963 fece deporre Giovanni XII e eleggere Leone III. La sua presenza in Italia e soprattutto la spedizione militare che giunse fino in Puglia suscitarono l’ostilità dei bizantini che non volevano riconoscere l’impero ad un barbaro. Ottone con trattative superò queste difficoltà e l’imperatore d’Oriente gli riconobbe il titolo di imperatore e acconsentì le nozze tra suo figlio e la principessa bizantina Teofane nel 973. L’impero di Ottone I anche se universale per il suo carattere cristiano e per il richiamo alla tradizione romana aveva le sue basi nel mondo germanico e la sua azione politica si concentrò in questa realtà. Diverso fu l’atteggiamento dei suoi successori. Ottone II fu impegnato a superare la crisi successiva alla morte del padre nel 973 e a rivendicare le terre promesse in dote a Teofane. In questo tentativo si spinse fino in Calabria dove a Stilo ricevette una grave sconfitta da parte dei mussulmani. Ottone III aveva tre anni alla morte del padre e giunse all’esercizio effettivo del potere nel 996, all’età di 19 anni. Il suo programma di restaurazione dell’antico impero universale di Roma lo allontanò dalla Germania, si trasferì a Roma dove elesse al pontificato prima suo cugino Gregorio V (996-999), poi il suo ex precettore Gerberto d’Aurillac (Silvestro II, 999-1003). In questo modo perdette i legami con la sua terra causando risentimenti tra i signori tedeschi perché la Germania perdeva l’egemonia nell’impero, mentre a Roma non trovò un ambiente favorevole ai suoi progetti. La sua debolezza politica determinò il riaccendersi delle lotte aristocratiche finchè nel 1001 dovette abbandonare la città insieme a Silvestro II. Morte di Ottone III per malattia all’età di 22 anni. I fatti più importanti per l’impero germanico durante il regno dei suoi successori Enrico II (1002-1024) e Corrado II il Salico della dinastia di Franconia (1024- 1039) fu la ripresa dell’offensiva della grande feudalità laica italiana con la rivolta di Arduino d’Ivrea, il rafforzamento degli stati Ungheria e Polonia a est della Germania, l’annessione della Borgogna, le rivolte all’interno della classe feudale. Il movimento di trasformazione del sistema feudale pur interessando tutto l’occidente ebbe l’epicentro nell’Italia settentrionale dove i valvassori, vassalli dei baroni, rivendicarono il diritto di ereditarietà dei loro feudi che i grandi feudatari avevano conquistato nell’ottocento. Dal contrasto si passo alla guerra quando i valvassori di Milano si unirono con giuramento e sconfissero l’esercito dei grandi signori che comprendeva la grande aristocrazia laica ed ecclesiastica a Campomalo. L’imperatore Corrado II richiamato in Italia si schierò a favore dei piccoli feudatari emanando una legge la Constitutio de feudis, nel 1037 con la quale accoglieva le loro richieste. Intanto nelle città emergeva un nuovo fattore di mutamento, il popolo. A Milano sotto la guida di Lanzone della Corte i popolani presero parte alla lotta prima a sostegno dell’arcivescovo Ariberto contro Corrado, successivamente contro Ariberto cacciandolo dalla città e con un accordo parteciparono insieme ai nobili al governo della città. CAVALLERIA. Verso la fine dell’anno 1000 fu istituita la cavalleria, una corporazione di guerrieri professionali. Si ritiene che a formarla siano stati i cadetti, figli non primogeniti, esclusi dalla successione feudale. Inizialmente erano guerrieri pronti a combattere non solo per buoni ideali ma pronti a sfruttare tutte le occasioni. Per limitare il dilagare della violenza la chiesa reagisce e pian piano riesce a trasformare le masse dei cavalieri in un’organizzazione regolata da un’insieme di norme ispirate in parte alla religiosità cristiana. Si elabora in questo modo il concetto di guerra santa contro gli infedeli, che diventò in un certo periodo la principale attività della cavalleria. 1.0001.300 Verso la fine del X secolo si verifica un aumento della popolazione dovuto pare ad un clima politico-sociale meno sfavorevole; le popolazioni barbare dell’Europa orientale si sono stabilizzate, l’anarchia feudale si attenua. Come conseguenza dello sviluppo demografico si assiste al dissodamento di nuove terre, creazione di nuovi centri rurali, aumento di abitanti nelle città e l’allestimento di nuove crociate. La rinascita delle città dopo il Mille porta ad un’espansione del mercato agricolo. Protagonista della ripresa commerciale dopo il Mille sono in primo luogo le città marinare italiane: Venezia, che già alla fine dell’800 aveva acquistato l’autonomia da Bisanzio, aveva intensificato il mercato con l’Oriente; Amalfi che perse l’autonomia nel 1.000 perché incorporata nel regno normanno; Genova e Pisa. MOVIMENTO CLUNIACENSE. Nel corso dei secoli la Chiesa si era integrata con il sistema feudale e le autorità ecclesiastiche molto spesso si identificarono con i detentori del potere politico al punto di perdere il contatto spirituale e religioso con la società e il mondo cattolico. Manifestazione tipica di questo fenomeno era la consuetudine diffusa tra le autorità politiche di conferire ai vescovi e abati l’investitura delle funzioni spirituali e politiche, spesso anche militari. Veniva meno in questo modo la missione spirituale della Chiesa. Un movimento di riforma si sviluppo nel 900 con la fondazione del monastero di Cluny in Borgogna nel 910. Il monastero cluniacense, che si estese in Europa e in Italia ebbe i suoi centri nei monasteri di Camaldoli, Vallombrosa, Montevergine e Fonte Avellana, si propose il compito di moralizzare la vita ecclesiastica e di riportare il clero alla funzione spirituale. Essi furono contro il concubinato del clero e contro la simonia, l’acquisto delle cariche ecclesiastiche per denaro. I monasteri aderenti si sottrassero all’autorità dei vescovi, i principali responsabili della corruzione, e si posero direttamente alle dipendenze del pontefice. I monaci riformatori inoltre incoraggiarono le ribellioni dei ceti popolari contro i vescovi-conti che governavano le città. 1.052 1.059 1.073 Viene eletto papa Niccolò II che insieme al suo consigliere, il monaco Ildebrando di Soana appartenevano al movimento riformatore. Nel 1.059 fu convocato il sinodo del Laterano per affrontare i problemi dell’organizzazione ecclesiastica. Le soluzioni a cui pervenne il concilio fu la necessità di sottrarre la chiesa al potere dei sovrani e dei signori. Fu modificato il sistema di elezione del pontefice che prima spettava al clero e al popolo di Roma, ora fu riservata ai cardinali, cioè ai titolari delle chiese di Roma e delle diocesi vicine. Sancì il divieto di ricevere cariche ecclesiastiche da parte delle autorità politiche. Fu eletto papa Ildebrando di Soana col nome di Gregorio VII, le riforme si svilupparono ulteriormente e nel 1.075 fu convocato un nuovo sinodo in cui si affermava la superiorità del pontefice su tutti i sovrani e lo stesso imperatore. Il potere politico dei sovrani era considerato legittimo solo se riconosciuto dal papa. Enrico IV si ribellò e nel 1.076 convocò a Worms un nuovo sinodo di vescovi tedeschi che dichiararono decaduto il papa. Gregorio VII rispose scomunicando il re Enrico IV, significava sciogliere i sudditi dal vincolo di fedeltà all’imperatore. Enrico IV preoccupato per le ribellioni che si manifestarono tra i feudatari si impegnò per riscattare il perdono del papa. Nel gennaio del 1.077 con la mediazione della contessa Matilde e l’abate Ugo di Cluny il papa lo liberò dalla scomunica. In questo modo Enrico IV riuscì ad indebolire l’opposizione dell’aristocrazia laica e nel 1.080 riuscì a sedare tutte le ribellioni. Nel 1.080 fu nuovamente scomunicato perché aveva ripreso l’investitura dei vescovi. Enrico IV convocò un nuovo sinodo a Brixen e fece deporre Gregorio VII e fece eleggere al suo posto Ghiberto di Ravenna, Clemente III. Enrico IV venne a Roma e fece insediare l’antipapa e si fece proclamare imperatore. Gregorio rimase assiedato a Castel S. Angelo, poi un gruppo di normanni, dopo aver saccheggiato Roma lo prelevò e lo portarono a Salerno, dove morì nel 1.085. Il programma del papa Gregorio VII fu continuato dai suoi successori e nella stessa Germania, nel monastero di Hirsau che seguiva le regole cluniacensi, l’azione di riforma fu portata avanti creando attorno all’imperatore un’atmosfera di ostilità e fomentando la ribellione della feudalità laica. Lo stesso figlio di Enrico IV, Enrico V si schierò con l’opposizione e l’imperatore fu costretto a fuggire, morì a Liegi nel 1.106. CONCORDATO DI WORMS. Pose fine alla lotta delle investiture. La lotta tra il papato e l’impero terminò e il compromesso fu stipulato tra il papa Callisto II e l’imperatore Enrico V nel 1.122. Con questo accordo l’investitura dei vescovi era riservata al papa mentre all’imperatore veniva concessa la facoltà di concedere ai vescovi anche poteri politici. Solo in Germania l’investitura secolare era preceduta da quella religiosa. Veniva confermata la nuova modalità di elezione del pontefice. In questo modo si indeboliva e cadeva quasi del tutto il potere imperiale in Italia. Le aspirazioni delle città a rendersi indipendenti dal dominio feudale trovarono possibilità pratica di realizzarsi. In molte città dell’Italia settentrionale indebolita l’autorità politica del vescovo-conte, il vuoto di potere fu colmato dagli stessi cittadini uniti da comuni interessi e più forti per lo sviluppo delle loro attività economiche.