753
Mitica fondazione della città di Roma.
Monarchia.
Dai primi anni fino al 509 Roma fu governata da una monarchia.
600
Nascita della città vera e propria.
600-509 Influenza etrusca.
Gli ultimi tre re sono nomi tipici etruschi: Tarquinio Prisco, Servio Tullio e
Tarquinio il Superbo.
La struttura sociale etrusca era fortemente aristocratica. Il potere era in mano a
poche grandi famiglie. I romani ereditarono dagli etruschi la distinzione tra patrizi
e plebei. I patrizi avevano il potere in virtù di due principi: appartenevano ad una
gens, gruppi d’individui legati da rapporti di parentela con un antenato in
comune che poteva essere anche mitico, e potevano trarre auspici, cioè
interpretare il volere delle divinità. I capifamiglia d’ogni gens sedevano al senato
(consiglio degli anziani). Plebei erano il resto della popolazione. Tra patrizi e
plebei s’instauravano rapporti di fiducia chiamati clientele. Il patrizio dava al
plebeo protezione e aiuto economico e riceveva in cambio sostegno per le lotte
politiche e di difesa con le armi.
509
Repubblica.
Nel 509 fu abbattuta la monarchia e i Tarquini furono cacciati dalla città.
Fu instaurata la repubblica e il governo della città fu affidato a due magistrati: i
consoli.
La costituzione romana non rimase immutata nel tempo ma si adattò ai tempi e
alle circostanze. Il numero dei magistrati, le competenze, le regole d’accesso
subirono mutamenti ma tre caratteristiche generali rimasero invariate: la
collegialità, cioè la parità dei poteri, l’annualità e la gratuità.
I magistrati supremi della repubblica erano i consoli che attraverso l’imperium
potevano comandare l’esercito, chiamare alla leva, nominare gli ufficiali, imporre
tributi per necessità belliche, punire i soldati; questi poteri non erano validi
dentro le mura della città, nella quale non potevano entrare eserciti in armi.
Dentro la città potevano convocare le assemblee popolari e il senato, giudicare
le cause civili e penali, però in caso d’appello la parola definitiva sulla sentenza
spettava al popolo. Altro limite era l’intercessio, il diritto di veto reciproco tra i
due consoli.
Col tempo s’istituirono altri magistrati: i pretori amministravano la giustizia; gli
edili curuli erano incaricati di sorvegliare le strade, gli edifici, i mercati, i luoghi
pubblici e le cerimonie religiose; i questori amministravano il tesoro pubblico; il
censore facevano il censimento per fini fiscali e di leva, controllava la moralità
dei senatori e cittadini e in momenti di particolare pericolo interno o esterno
poteva nominare un dittatore che aveva un potere civile e militare superiore a
tutti gli altri e senza rendere conto a nessuno per sei mesi.
Il senato era formato dalla classe dirigente patrizio-plebea. Interveniva su tutti gli
atti più importanti: decideva le operazioni militari, organizzava i territori
conquistati e distribuiva le terre, presiedeva ai culti religiosi e autorizzava la
spesa pubblica.
Si diventava senatori dopo aver ricoperto una magistratura, consolato e pretura
prima, poi anche questura.
I comizi centuriati erano una delle due assemblee popolari e aveva il potere di
eleggere i consoli, pretori e censori, votare le leggi su proposta dei magistrati,
dichiarare le guerre e giudicare in appello. I cittadini in base al censo erano divisi
in cinque classi e formavano 193 centurie, di cui 98 erano attribuite alla 1°
499
493
490-430
406-396
400
390
343-341
340-338
326-304
classe, i più ricchi, che avevano quindi la maggioranza assoluta. Gli
appartenenti alle centurie erano tenuti al servizio militare, i nullatenenti erano
esclusi.
L’altra assemblea popolare era i comizi tributi che aveva compiti analoghi ma di
grado inferiore: eleggeva magistrati minori, giudicavano in appello nelle
sentenze meno gravi, votava le leggi. I componenti erano i delegati di quattro
tribù urbane e 16 rustiche, unita territoriali in cui era diviso lo stato.
Roma sconfigge la lega latina nella battaglia presso il lago Regillo.
Roma entra nella lega latina.
Guerre contro i popoli appenninici.
I Volsci che dai monti Lepini scesero verso il mare fondando Terracina e Anzio
la loro capitale, gli Equi che dall’altipiano di Carsoli si spinsero nella pianura
latina e s’impadronirono di Tivoli e Prenestre, i Sabini che si erano insediati
lungo la riva sinistra del Tevere, lungo la Via Salaria.
La lotta contro questi popoli si protrasse per quasi un secolo prima che le città
confederate nella lega riuscirono a consolidare il controllo del Lazio e sbarrare
l’accesso ai popoli appenninici.
Guerra contro Veio, potente città etrusca situata 17 km a nord di Roma.
L’assedio durò 10 anni; la città fu espugnata scavando un cunicolo sotto le
mura. Artefice della vittoria fu Marco Furio Camillo.
Galli.
Verso il 2000 a.C., il popolo celtico era partito da una regione a sud degli Urali e
aveva iniziato una lenta migrazione verso l’occidente.
La loro tattica di combattimento si fondava sulla cavalleria e sulla forza d’urto dei
carri. Essi non erano legati alla terra, questo era il motivo della loro grande
espansione.
Scesero in Italia e si diffusero ovunque; verso il 400 distrussero il centro etrusco
di Melpum e fondarono la città di Mediolanum, occuparono Brescia, Verona e
Felsina, che chiamarono Bonomia.
I Celti, che i romani chiamavano Galli, passarono l’Appennino e sconfissero gli
etruschi a Chiusi e un piccolo distaccamento di forze romane e latine presso il
fiume Allia; quindi occuparono e saccheggiarono Roma, all’assedio resistette
solo il Campidoglio. Dopo il pagamento di un riscatto lasciarono la città.
Prima guerra sannitica.
Nel corso del V secolo mentre Volsci, Equi e Sabini avevano invano tentato di
invadere il Lazio, gli Osci, altro popolo appenninico appartenente al gruppo dei
Sanniti, avevano occupato tutte le città etrusche e greche della Campania,
tranne Napoli, e si erano assimilati alle popolazioni locali.
Questa situazione d’equilibrio si ruppe nei primi decenni del IV secolo sotto la
spinta di nuovi popoli sannitici. Per respingere l’invasione, Capua chiese aiuto a
Roma e alla lega latina. La coalizione riuscì a bloccare la discesa dei sanniti
nella prima guerra sannitica (343-341).
Guerra latina.
Capua e la lega latina, temendo la potenza di Roma, si allearono contro di essa.
Anche da questa guerra Roma uscì vincitrice, sciolse la lega e le singole città
del Lazio furono inglobate nell’ordinamento romano.
Seconda guerra sannitica.
Affermata la propria autorità sul Lazio, grande riserva d’uomini e mezzi, Roma
riprese la lotta contro i Sanniti.
La lotta, che si svolse nel territorio sannitico tra valli acquitrinose e alture fitte di
vegetazione, fu cruenta e a Caudio, tra Caserta e Benevento nel 321, due
legioni romane caddero in un’imboscata, furono disarmate e costrette ad una
resa umiliante (Forche Caudine).
312
Appio Claudio da avvio alla costruzione della Via Appia tra Roma e Capua
inizialmente, poi fino a Benevento e Brindisi.
298-290 Terza guerra sannitica.
L’episodio decisivo fu la battaglia di Sentino, vicino Camerino, nel 295, dove i
romani sconfissero una vasta coalizione di Sanniti, Galli ed Etruschi; fu definita
la battaglia delle nazioni.
Roma dopo questa vittoria si configurava come la potenza dominante in Italia.
282
Le città meridionali della Magna Grecia: Reggio, Crotone, Locri e Turii chiesero
aiuto a Roma, considerata ormai l’unica potenza in grado di fermare le bellicose
tribù appenniniche, Lucani, Bruttii e popoli sannitici.
La presenza romana nel meridione preoccupava Taranto e anche se tra le due
città nel 301/302 era stato fissato un accordo, che vietava alle navi romane di
oltrepassare capo Lacinio, sullo Ionio, certi gruppi di potere a Roma erano
interessati ad estendere i traffici verso l’Adriatico.
Nel 282, a causa di una provocazione secondo i Tarantini, un incidente secondo
i romani, scoppiò la guerra.
Dieci navi romane, davanti al porto di Taranto, furono assalite e messe in fuga,
quattro affondarono. Gli ambasciatori recatisi per chiedere spiegazioni furono
oltraggiati.
Il conflitto che ne derivò coinvolse anche la Sicilia, Cartagine e l’Epiro, lo stato
greco sulla costa balcanica dell’Adriatico, su cui regnava Pirro.
Il re Pirro aveva l’ambizione di creare un grande impero dei Greci d’Occidente
con l’Epiro, la Magna Grecia e la Sicilia, perciò accolse con entusiasmo l’invito
dei tarantini e sbarcò in Puglia con 25.000 uomini e decine d’elefanti ancora
sconosciuti dai romani.
280
Pirro in Italia.
Nel primo scontro ad Eraclea prevalse Pirro, anche se le perdite furono pesanti
per entrambi.
Pirro, quindi, si alleò con i Sanniti e i Lucani e salì verso Roma fino ad Anagni.
La gravità della situazione spinse i romani a trattare la pace, ma i negoziati non
ebbero successo.
In seguito ad un’altra vittoria di Pirro ad Ascoli Satriano, i Cartaginesi
preoccupati per i loro possedimenti in Sicilia, decisero di intervenire alleandosi
con i romani.
Pirro allora scese in Sicilia, e le città greche lo accolsero come un liberatore,
rispetto alla minaccia dei barbari cartaginesi.
La lotta di Pirro contro le roccaforti puniche però non ebbe successo.
275
Pirro tenta allora di risalire la penisola, però a Maleventum i romani gli inflissero
una pesante sconfitta, tanto che il re decise di ritornare in Epiro.
Dopo questa vittoria i romani chiamarono la città Beneventum.
275
Roma concede ai popoli e le città conquistate dei diritti in vario modo, chiamato,
ordinamento scalare, perché caratterizzato da una varietà di rapporti più o meno
privilegiati con lo stato romano.
In generale si distinguevano i soci latini, con diritti di matrimonio e commercio
con i romani e i soci italici, esclusi da questi diritti.
Gli alleati s’impegnavano a fornire a Roma soldati, navi e tributi.
Alcune città furono chiamate municipi, con o senza diritti di cittadinanza romana,
di matrimonio e commercio con i romani.
Nei punti strategici, lungo le coste e nell’entroterra, fondarono le colonie romane,
abitate da cittadini con pieni diritti.
Grazie a questa organizzazione lo stato romano riuscì a mantenere a lungo il
dominio sui vasti territori e sui diversi popoli conquistati.
264
Scontro con Cartagine.
I romani entrarono in Sicilia venendo meno al patto stretto con Cartagine e ne
derivò un lungo conflitto.
Per secoli romani e cartaginesi avevano intrattenuto ottimi rapporti.
Roma aveva stipulato con Cartagine dei trattati bilaterali nel 509 e nel 348 per
stabilire le rispettive sfere d’influenza. Con il trattato del 306, rinnovato nel 278,
Roma aveva il dominio sulla penisola, Cartagine sulla Sicilia. Nel 275 con la
cacciata di Pirro e la sconfitta di Taranto, Roma estese il suo dominio fino alla
stretto di Messina, a pochi chilometri dalla Sicilia, ambita per la fertilità del suolo,
per la ricchezza delle città e per la sua posizione al centro del Mediterraneo.
264-241 Prima guerra punica.
263
I romani presero Siracusa
262
I romani presero Agrigento.
260
La flotta romana, potenziata dal contributo delle città meridionali, grazie ai corvi
delle navi, sconfigge quella cartaginese davanti al promontorio di Milazzo
256
Una gigantesca flotta di 230 navi romane sconfigge l’intera flotta cartaginese di
250 navi presso capo S. Angelo, vicino Licata.
255
L’esercito romano sbarca in Africa con successo, però il console Attilio Regolo
non accetta le favorevoli condizioni di pace e con decisione marcia fino a
Cartegine. Però sorpreso dai nemici, che nel frattempo si erano rafforzati con
truppe mercenarie assoldate in Grecia, fu sconfitto.
Successivamente i romani conquistano Panormo, la principale roccaforte
cartaginese dell’isola. Seguirono aspre lotte in tutta l’isola
247
I cartaginesi, riorganizzati da Amilcare Barca, non danno tregua ai romani, con
rapide e ripetute azioni di guerriglia.
241
Roma costruì una grande flotta, e nei pressi delle isole Egadi il console Catulo
annientò la flotta cartaginese comandata dall’ammiraglio Annone.
Con questa vittoria la Sicilia passò ai romani e Cartagine s’impegnò a pagare un
contributo ventennale come risarcimento dei danni da guerra.
Il punto debole di Cartagine era il suo esercito: non aveva una base popolare, gli
ufficiali subalterni e la truppa erano mercenari, reclutati ovunque, che non furono
mai assimilati ai cittadini cartaginesi.
In una guerra rapida e con possibilità di un buon bottino, l’esercito mercenario
esperto e addestrato è difficilmente battibile, ma in una guerra di logoramento,
lenta, quando la paga tarda ad arrivare, l’esercito cittadino ha maggiori
motivazioni.
238-237 I romani conquistano la Sardegna e la Corsica.
La Sicilia, la Sardegna e la Corsica, le isole conquistate dai romani dopo la
prima guerra punica, furono chiamate province, governate da un magistrato
romano, dotato di poteri civili e militari; ai consoli e pretori alla scadenza del
mandato annuale era assegnato il governo di una provincia, con il titolo di
proconsole o propretore, di durata annuale prima e fino a tre anni in seguito.
Il suolo della provincia era di proprietà romana, i suoi abitanti non erano cittadini
ma sudditi sottoposti al pagamento delle tasse; una situazione molto diversa
dalle comunità italiche che avevano la cittadinanza.
Con la creazione delle provincie Roma cominciò a diventare una potenza
imperialistica.
230
Tribù illiriche.
Roma, dopo la vittoria su Pirro, aveva fondato alcune colonie sulla costa
adriatica: Rimini nel 268, Brindisi nel 244; continuamente minacciate dalla
pirateria illirica.
Le tribù illiriche avevano formato un regno protetto da un grande stato
ellenistico, la Macedonia. I pirati che si annidavano sulle loro coste effettuavano
frequenti incursioni sulle coste italiane a danno delle colonie romane.
Il senato inviò alcuni ambasciatori presso la regina degli Illiri, Teuta, intimandole
di sospendere la pirateria nell’Adriatico. La risposta fu sprezzante e gli
ambasciatori furono massacrati al ritorno in patria.
229
Roma intervenne con una grossa flotta e sconfisse la flotta illirica, imponendo
pesanti condizioni di pace.
Ma i patti non furono mantenuti e dieci anni dopo i romani ripresero la guerra
che si concluse con una nuova vittoria e l’occupazione dell’Illiria meridionale,
l’odierna Albania.
226
Galli.
Le tribù galliche della Pianura Padana diventano improvvisamente aggressivi,
scesero verso sud invadendo l’Umbria e l’Etruria.
225
I romani sconfiggono i Galli a Talamone.
223
Nuova vittoria presso il fiume Oglio.
224
I romani con Claudio Marcello ottengono il successo definitivo contro i Galli a
Casteggio, vicino Pavia.
Il territorio dei Galli, la fertile Pianura Padana, fu confiscato, furono fondate
nuove colonie: Cremona e Piacenza.
218-201 Sbarrata la via del Tirreno, Cartagine riprese l’espansione verso la Spagna.
La conquista fruttò le ricche miniere d’argento della Sierra Morena che
riassestarono le finanze e permisero di pagare in anticipo l’indennità di guerra
con Roma. Per cautelarsi i romani imposero un trattato che impediva a
Cartagine l’espansione oltre il fiume Ebro.
Con i generali Amilcare e Asdrubale, appartenenti alla famiglia Barca, Cartagine
si era limitata a consolidare il dominio spagnolo, con Annibale, dotato di grande
forza fisica e notevole capacità intellettuali, istruito alla guerra dai greci,
ripresero le aspirazioni contro Roma.
219
Annibale e seconda guerra punica.
Annibale assedia Sagunto, una città posta nel territorio cartaginesi, alleata dei
romani. Dopo otto mesi d’assedio la città fu conquistata e i romani, dopo aver
richiesto invano il ritiro da Sagunto, dichiararono guerra a Cartagine.
Annibale con 70.000 soldati varcò le Alpi al passo del Monginevro e scese in
Italia. Il piano di Annibale prevedeva di disgregare la federazione italica per
ridurre la potenza di Roma.
Alla mossa di Annibale Roma rispose inviando due legioni in Spagna, al
comando di G. Scipione, per impegnare dei contingenti cartaginesi lontano
dall’Italia e ostacolare i rifornimenti ad Annibale.
Annibale presso il fiume Ticino sconfigge le legioni del console P. C. Scipione e
subito dopo alla Trebbia ripetè il successo. Intanto le popolazioni celtiche della
Val Padana, da poco sottomesse, si ribellavano a Roma e passavano con gli
invasori.
217
Annibale sconfisse le legioni del console Gaio Flaminio presso il Trasimeno e
avanzò verso l’Italia meridionale.
Nel 217 fu eletto dittatore Fabio Massimo, il Temporeggiatore, che consapevole
della momentanea inferiorità, non accettava più battaglie in campo aperto ma
solo logoranti azioni di guerriglia, convinto che Annibale non sarebbe potuto
rimanere a lungo in Italia, mentre Roma, padrona dei mari, bloccava l’invio di
rinforzi e rifornimenti da Cartagine.
216
Mentre la tattica dell’attesa stava dando i propri frutti prevalse l’impazienza; i
consoli L.E. Paolo e G.T. Garrone con 50.000 soldati attaccarono Annibale
presso Canne e furono sconfitti, nella battaglia persero la vita 45.000 soldati.
Molti popoli italici, Sanniti, Apuli, Bruzi, Capua, alla notizia della sconfitta
passarono con il nemico, anche Filippo V, re di Macedonia e la potente Siracusa
si allearono con Annibale, ma gli Umbri, Etruschi, Latini e Sabelli, che erano i
popoli che avevano ricevuti la cittadinanza, restarono alleati di Roma,
costituendo un anello di protezione intorno alla città.
Roma, con la concessione della cittadinanza e i rapporti instaurati con le singole
comunità italiche, aveva unificato gran parte dell’Italia.
Annibale, logorato da anni di guerra lontano dalla patria, ostacolato dalla
difficoltà dei rifornimenti, non poteva resistere oltre; inoltre Filippo V di
Macedonia fu neutralizzato con abili mosse diplomatiche e Siracusa fu
conquistata tra il 213 e 211 dal console M.C. Marcello.
207
Asdrubale, fratello di Annibale, dalla Spagna era passato in Italia con un grosso
esercito, fu sconfitto e ucciso presso il Metauro dai consoli Claudio Nerone e
Livio Salinatore.
204
Protagonista della rivincita contro Cartagine fu P.C. Scipione, con un abile
mossa sbarcò in Africa con un forte esercito e si alleò con Massinissa, principe
della Numidia, una popolazione indigena sottomessa dai cartaginesi.
203
Scipione vinse i Cartaginesi ai Campi Magni. Annibale, preoccupato per le sorti
della città lasciò l’Italia dopo 15 anni d’assedio.
202
Scipione sconfisse Annibale nella battaglia di Zama.
Il genio militare di Annibale, la superiorità della sua cavalleria e l’organizzazione
del suo esercito aveva inferto duri colpi ai romani ma in una guerra tanto lunga
furono altri fattori determinanti: il dominio dei mari, grande disponibilità di uomini,
uso di eserciti cittadini e la capacità di Cornelio Scipione.
200-197 Il re di Pergamo e la repubblica di Rodi alleati di Roma e altre città, tra cui
Atene, le chiesero aiuto contro la minaccia di Filippo V re di Macedonia.
Roma intimò al re di ritirarsi dai territori occupati e di rispettare l’autonomia delle
città greche, al rifiuto del sovrano dichiarò guerra.
Nel 197 i manipoli delle legioni romane comandate dal console Flaminino
sconfissero la vecchia falange macedone di Filippo V a Cinoscefale in
Tessaglia.
Con la pace di Tempe Filippo V dovette ritirarsi dalla Grecia e Flaminino
proclamò la libertà e l’indipendenza delle città greche nel 196 a Corinto.
189
Sconfitta la Macedonia, Roma si interessò della Siria, un’altra potenza che
aspirava all’egemonia sul Mediterraneo. Roma sconfisse il re di Siria Antioco a
Magnesia.
Annibale, si era rifugiato alla corte del re di Siria per costituire intorno al re
Antioco una coalizione di popoli contro Roma, la cui ascesa era una minaccia
per la libertà di tutti i paesi mediterranei, alla sconfitta del re di Siria nel 183
preferì suicidarsi.
168
Le città greche non tolleravano la presenza delle legioni romane che limitavano
le libertà solennemente proclamate a Corinto. Il protettorato di Roma era sentito
come un abuso e una prepotenza.
Interpretando questi sentimenti d’insofferenza Perseo re di macedonia e figlio di
Filippo V dichiarò guerra ai romani ma fu sconfitto a Pidna.
Il regno di Macedonia fu diviso in quattro piccole repubbliche e le città greche
che avevano aiutato Perseo furono costrette a consegnare mille ostaggi tra i
cittadini più in vista, tra i quali lo storico Polibio.
146
Roma saccheggiò e rase al suolo Corinto, una delle città più grandi e ricche
della Grecia.
149-146 Terza guerra punica.
Cartagine, in seguito alle sconfitte, si era dedicata allo sfruttamento del territorio
africano e ai suoi traffici, ottenendo una rinascita economica che era mal vista
dalla fazione romana più tradizionalista.
Stanca di subire le continue provocazioni del re di Numidia Massinissa,
Cartagine gli aveva dichiarato guerra senza chiedere il permesso a Roma.
Mentre i consoli partivano per l’Africa, giunsero gli ambasciatori cartaginesi per
offrire la completa sottomissione della città; nonostante accettassero le pesanti
condizioni imposte dal senato, le legioni del console P.C. Scipione Emiliano
sbarcarono in Africa e chiesero che la città venisse abbandonata e ricostruita a
15 km dal mare.
A questa assurdità i cartaginesi decisero di resistere fino alla morte.
La città fu distrutta dopo tre anni d’assedio.
Le guerre di conquista, anche nel mondo antico, erano una grande impresa
commerciale, per l’afflusso di ricchezza dalle città saccheggiate e per l’apertura
di nuovi mercati.
Le grandi e ricche città greche e orientali fruttarono bottini enormi.
Sia per le guerre di conquista che per lo sfruttamento delle provincie, le
condizioni economiche di tutti i cittadini romani migliorarono e dal 167 furono
esentati dal pagamento del tributo; ormai le tasse le pagavano solo i provinciali.
In realtà i vantaggi li trassero solo i vertici politici ed economici.
A raccogliere i frutti delle conquiste furono soprattutto i senatori e i cavalieri
(equites).
I cavalieri erano quelli iscritti all’ordine equestre, cittadini che disponevano di
redditi molto elevati.
Lo stato romano, non disponendo di un’organizzazione per amministrare
direttamente le provincie, ricorse all’appalto; affittò ai cavalieri la riscossione
delle tasse, l’amministrazione delle miniere ed altro. Gli appaltatori erano tenuti
a versare allo stato una cifra globale concordata.
Per ottenere l’appalto erano necessari notevoli mezzi finanziari, per garantire lo
stato da ogni rischio e per l’esercizio stesso dell’appalto che comportava la
disponibilità d’esattori, contabili, ecc..
Gli interessi economici dei cavalieri non si limitavano solo ai grandi appalti ma
erano un ceto d’affaristi, speculatori, imprenditori commerciali che investivano i
loro capitali anche sulle proprietà fondiarie; come i senatori grandi proprietari
terrieri investivano in campo commerciale.
133
123
122
Anche i senatori trassero grandi profitti dalle conquiste che fecero affluire nelle
loro terre migliaia di prigionieri di guerra venduti come schiavi. Essi erano una
manodopera ideale perché non ricevevano salario e non erano soggetti al
servizio militare.
Di fronte alla concorrenza delle grandi aziende con manodopera schiavile le
piccole fattorie non avevano possibilità di sopravvivere.
I contadini, costretti ad assentarsi per lunghi anni per partecipare alle campagne
militari e incapaci di competere con i prezzi bassi dei latifondi, carichi di debiti,
erano costretti a svendere il proprio campo ai grandi proprietari terrieri e si
trasferivano con tutta la famiglia a Roma, sperando di trovare qualche
espediente per sopravvivere.
Fu eletto tribuno della plebe Tiberio Gracco.
Il tribunato, istituito nel 449, era il punto di forza del proletariato, aveva all’inizio
un carattere di contrasto con gli altri organi, col tempo fu riconosciuto anche dai
patrizi.
I tribuni erano 10 e avevano poteri enormi: erano inviolabili, chi arrecava loro un
danno era considerato sacer, cioè vittima consacrata delle divinità plebee e
poteva essere ucciso da qualsiasi privato cittadino, avevano il potere di bloccare
con il veto qualsiasi iniziativa dei magistrati o del senato (intercessio) e nel 287
con la lex Hortensia, avevano conquistato il diritto di proporre leggi, valide per
tutto il popolo, patrizi compresi.
La prima proposta di Tiberio, che intendeva colpire il latifondo, fu che nessuno
poteva possedere più di 1.000 iugeri (250 ha) d’ager publicus; il restante doveva
tornare allo stato e distribuito tra i nullatenenti.
Questi terreni erano di proprietà dello stato ed erano stati affittati a privati
cittadini dietro pagamento di una tassa; col tempo i piccoli possessori, caduti in
rovina li avevano venduti, a prezzi irrisori, ai latifondisti che non li distinguevano
più dai terreni di proprietà; essi vi avevano investito capitali e come beni di
famiglia passavano in eredità.
Uno dei 10 tribuni, Marco Ottavio, possessore di latifondi e in accordo con i
gruppi di potere oligarchici, pose il veto alla proposta di Tiberio, il quale con un
atto illegale fece deporre Ottavio e la sua legge fu approvata. Per rendere
esecutiva una legge così complessa richiedeva molto tempo e denaro. Allo
scadere del mandato annuale, con nuovo atto illegale, Tiberio si fece rieleggere
per realizzare la riforma. Però i suoi nemici fecero scoppiare dei disordini ed egli
fu ucciso e buttato nel Tevere.
La politica sociale di Tiberio fu ripresa dal fratello Gaio Gracco, che riuscì a farsi
rieleggere l’anno successivo, appoggiato dai cavalieri e dalla borghesia italica
fece approvare leggi di grande importanza politica e sociale.
La legge frumentaria che stabiliva la vendita di frumento a prezzo agevolato per
la plebe; una nuova legge agraria che riproponeva la legge di Tiberio; la legge
giudiziaria che cercava di creare una divisione nella classe dominante dei
senatori e dei cavalieri, per rendere possibile le riforme proposte.
Con la legge giudiziaria, i senatori che si rendevano colpevoli di corruzione
dovevano essere giudicati dai cavalieri e non più dagli stessi senatori.
Ai senatori invece spettava il compito di controllare i cavalieri nei loro affari.
Gaio propose la legge di concedere cittadinanza romana agli alleati latini, per
avere un appoggio maggiore, ma la plebe, gelosa dei propri privilegi, reagì e la
legge fu bloccata. I senatori approfittarono di questo passo falso e si appoggiò
ad un “uomo di paglia”, Livio Druso, che presentò un programma ancora più
filopopolare e fu eletto ai danni di Gaio Gracco.
Alla prima occasione furono scatenati dei disordini, il senato decretò il
senatusconsultum ultimum che sospendeva le garanzie costituzionali e affidava
tutto il potere ai consoli, perché salvasse lo stato.
I graccani furono massacrati per le strade e vistosi perduto Gaio si fece uccidere
da uno schiavo.
111-105 Guerra contro Giugurta, re di Numidia, che aveva massacrato i mercanti italiani
della città di Cirta.
107
Fu eletto console Gaio Mario, proveniente da una famiglia di cavalieri d’Arpino.
105
Gaio Mario sconfisse Giugurta.
Egli fece un’importante innovazione nell’esercito: arruolò i nullatenenti e
introdusse le coorti.
I Cimbri e i Teutoni, popoli germanici, ad Aurasio (Orange, lungo il Rodano)
massacrarono 60.000 soldati romani.
104-100 Gaio Mario fu eletto console per altre cinque volte.
102-101 Ad Aquae Sextiae (Aix-en-Provence) e ai Campi Raudii (Vercelli) Mario
sconfigge definitivamente i Cimbri e i Teutoni.
100
100-90
91
90
90-88
89
88
I successi di Mario rinvigorirono i democratici e il tribuno Lucio Apuleio
Saturnino, erede della politica graccana, appoggiato da Mario, fece approvare
una serie di leggi per la distribuzione di grano per la plebe e di terra per i
veterani e nullatenenti.
In occasione delle elezioni scoppiarono dei disordini e il senato fece approvare il
senatusconsultum ultimum dando tutti i poteri ad un magistrato. I democratici
furono massacrati ed anche Saturnino perse la vita. Mario preferì allontanarsi e
accettò un incarico diplomatico in oriente.
Vi furono 10 anni di crisi istituzionale.
Mario Livio Druso, tribuno della plebe, propose una serie di leggi che da una
parte rafforzava la nobiltà e dall’altra avviava una serie di riforme sociali per
combattere il malessere diffuso tra la plebe romana e i popoli italici.
Propose una legge giudiziaria che restituiva i tribunali ai senatori e prevedeva
l’immissione di cavalieri in senato; la legge giudiziaria e agraria che prevedeva
la distribuzione di grano e di terre al proletariato; la concessione della
cittadinanza romana a tutti gli italici per potenziare l’ordinamento scalare che era
stata un’arma invincibile contro Pirro e Annibale.
Druso però fu pugnalato e i problemi rimasero insoluti in particolare quello della
cittadinanza agli italici con gravi conseguenze.
La morte di Druso convinse gli italici che senza un’azione decisiva il governo
della capitale non avrebbe mai affrontato i loro problemi e trasformò il
malcontento in una ribellione organizzata.
Numerosi popoli italici, Marsi, Sanniti, Lucani e Peligni si uniscono nella lega
italica con centro nella città di Corfinium e dichiararono guerra a Roma,
chiamata guerra sociale perché contro i socii.
In tre anni di guerra vi furono 300.000 morti da ambo le parti, con città
saccheggiate e campagne devastate.
Il generale Pompeo Strabone prese la roccaforte italica d’Ausculum.
Lucio Cornelio Silla si impadronì di Corfinium, ponendo fine al conflitto.
Ma il principio per cui si erano battuti i popoli italici prevalse e la cittadinanza
romana fu estesa a quasi tutta l’Italia.
Naturalmente non tutti avevano la possibilità di far valere i propri diritti perché le
assemblee si svolgevano solo a Roma e non tutti potevano affrontare un lungo
viaggio.
Quindi lo stato romano restò sempre lo stato di una sola città.
Altra causa di debolezza fu che lo stato romano non affrontò mai il problema
della partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica.
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Lucio Cornelio Silla
Nelle provincie orientali, intanto, cresceva l’odio contro i romani che
dissanguavano con le tasse regioni una volta ricchissime.
Mitridate VI Eupatore, re del Ponto, coalizzò popoli asiatici e greci e in pochi
giorni massacrò 80.000 italici residenti in Asia.
Erano passati pochi mesi dalla presa di Corfinium, ma al senato non restava che
decretare una nuova guerra.
Il comando delle legioni spettava a Lucio Cornelio Silla, nuovo idolo dei
conservatori e nemico dei democratici, uomo avido e crudele. In caso di vittoria
avrebbe dominato la scena politica, perciò i democratici con un atto illegale gli
tolse il comando delle legioni per affidarlo al vecchio Gaio Mario.
Silla che era in Campania, nella attesa di salpare per l’oriente, respinse la
decisione e con un atto ancora più grave marciò verso Roma. Entrato a Roma
sconfisse facilmente i soldati di Mario e partì per l’oriente.
Silla sconfisse Mitridate a Cheronea.
Silla sconfigge definitivamente ad Orcomeno Mitridate.
Il re di Ponto firma la pace, il suo regno fu ridimensionato e l’Asia Minore fu
costretta a pagare subito tutte le imposte arretrate.
Silla rientrò in Italia vanamente contrastato dagli eserciti dei democratici. Il
massacro sistematico di tutti i prigionieri, vendette indiscriminate e orrori di ogni
genere furono i metodi di Silla per ristabilire l’ordine una volta rientrato in città.
Egli inventò le tavole di proscrizione, elenchi con i nomi dei nemici dello stato sui
quali era posto una taglia e si autorizzava chiunque ad eliminarli. I loro beni
messi all’asta a prezzi irrisori andarono ad arricchire i patrimoni dei sillani.
Dittatura di Silla.
Dopo un anno i nemici di Silla furono tutti eliminati. Egli si fece eleggere dittatore
a tempo indeterminato. Il potere dei tribuni fu ridimensionato, ogni loro legge
doveva preventivamente passare per il senato. Il numero dei senatori fu
raddoppiato, i tribunali furono di nuovo assegnati al senato, le distribuzioni di
grano furono abolite.
Dopo quattro anni di dominio assoluto Silla si ritirò in Campania a vita privata e
nel 78 morì.
L’anno 88 segnò una svolta nella storia romana, per la prima volta un esercito
entrò nella città per contrastare una decisione presa da un’assemblea popolare.
Da quell’anno si aprì l’età delle guerre civili, di sangue, di grandi sconvolgimenti,
di crisi dei valori morali che durò quasi un secolo e finì con la fine della stessa
repubblica.
Durante questi anni l’esercito fu lo strumento fondamentale della lotta politica al
servizio di una fazione o di un personaggio.
Per secoli l’esercito romano era stato un esercito di non professionisti che si
identificava con la repubblica, fedele al senato, ai magistrati e al popolo.
I soldati, finito il servizio, tornavano nei campi. La leva era fatta in base al
reddito, chi non possedeva nulla non era arruolato.
Con Mario nel 107 entrarono nell’esercito anche i proletari, i nullatenenti che
combattevano per arricchirsi, per il saccheggio ed erano fedeli più ai generali
che alla patria.
Durante il primo secolo a.C. le due fazioni che si contendevano il potere erano i
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populares e gli optimes. I populares attraverso il tribunato della plebe e le
assemblee popolari avevano l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita delle
classi più povere con riforme agrarie, abolizioni dei debiti, leggi frumentarie, ecc.
Gli optimes attraverso il senato cercavano di mantenere i loro privilegi.
Gneo Pompeo e Crasso.
La vita politica fu dominata da Gneo Pompeo e da Crasso.
Pompeo era figlio di Pompeo Srabone, il generale che aveva conquistato
Ausculum, aveva grandi latifondi nel Piceno.
Nel 83 armò a sue spese tre legioni per aiutare Silla a scacciare Mario da Roma.
Nel 76 fu in Spagna contro Sertorio, un democratico governatore delle due
province spagnole che si era ribellato a Silla. Di ritorno dalla Spagna finì di
massacrare l’esercito di Spartaco, già battuto da Crasso.
Crasso come Pompeo era molto ricco, aveva inizialmente acquistato i beni dei
proscritti a prezzi irrisori durante le stragi sillane, poi aveva iniziato varie attività:
commercio, sfruttamento delle miniere d’argento spagnole, usura, speculazione
edilizia.
Furono eletti consoli Pompeo e Crasso. In accordo intrapresero una politica
filopopolare: restituirono i poteri ai tribuni della plebe abrogati da Silla, affidarono
parte dei tribunali ai cavalieri.
Pompeo inizia una campagna militare contro i pirati che avevano le loro basi in
Cilicia. I pirati attaccavano le navi cariche di grano ed altro che rifornivano la
capitale. Siccome il mancato arrivo di un carico faceva salire il prezzo del grano
fu la plebe che richiese l’intervento militare. Pompeo in soli 49 giorni distrusse le
basi dei pirati, catturando centinaia d’imbarcazioni.
Pompeo vinse più volte contro il re di Ponto Mitridate che fu costretto a ritirarsi
sulle coste del Mar Nero dove, tradito dal figlio Farnace, si uccise nel 63.
Congiura di Catilina.
Lucio Sergio Catilina era il figlio di una famiglia patrizia ormai dissestata, aveva
aderito alla causa democratica con tendenze nuove rispetto ai movimenti
popolari dell’età graccana caratterizzata da un orientamento moderato per
l’alleanza con i cavalieri e la borghesia italica.
L’azione di Catilina fu più rivoluzionaria perché era appoggiato dai proletari ed
emarginati che non avevano niente da perdere. Egli aveva tentato già nel 66, 65
e 64 di farsi eleggere console ma per motivi formali il senato respinse la sua
candidatura. Quando nel 63, con mezzi più o meno leciti la sua candidatura fu
respinta nuovamente, egli tentò il colpo di stato. Il suo piano prevedeva
un’insurrezione generale che doveva partire dall’Etruria, una regione
dissanguata dal latifondo e decimata dalle stragi sillane.
Cicerone, un brillante avvocato, avvisato per tempo da Crasso, che in un primo
tempo aveva appoggiato Catilina, denunciò in senato quello che stava
accadendo (catilinarie).
Mentre Catilina lasciava Roma per raggiungere i congiurati in Etruria, Cicerone
venne in possesso di una lettera inviata da alcuni congiurati rimasti a Roma agli
ambasciatori dei Galli, che si trovavano in città, per incitare alla rivolta le
popolazioni galliche. Questo documento letto in senato fu la base della quarta
catilinaria. Questa fu una mossa imprudente che alienò le simpatie della plebe
romana ai congiurati. Gli autori della lettera furono condannati a morte e
giustiziati, era un atto illegale perché il senato non aveva poteri giudiziari e ai
condannati non fu concesso l’appello. Poi fu mandato un esercito in Etruria e
nella battaglia vicino Pistoia nel 62 morì anche Catilina.
Cesare.
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Pompeo tornato dall’Oriente non fu bene accolto dal senato (non riconobbe la
sua riorganizzazione politica e amministrativa dell’Oriente, inoltre per mettergli
contro i veterani si rifiutò di concedere loro degli appezzamenti di terreno come
premio al congedo) che non gli perdonava l'abolizione delle leggi sillane, fece un
accordo privato con Crasso e con Gaio Giulio Cesare, primo triumvirato.
Cesare era nato nel 100 e discendeva da un’antica famiglia patrizia, però
essendo debole economicamente e non avendo prestigio la sua carriera politica
fu possibile grazie a Crasso. Cesare era democratico, aveva avuto noie sotto
Silla e al Senato era stato l’unico a sollevare la questione dell’illegalità della
sentenza contro i seguaci di Catilina.
Cesare fu eletto console e subito fece approvare una legge per la distribuzione
di terre ai veterani di Pompeo.
Cesare si fece assegnare il governo della Gallia Cisalpina, della Gallia
Narbonense e dell’Illirico. Così mentre Pompeo e Crasso rimanevano soli sulla
scena romana, Cesare poteva cercare gloria militare e crearsi un esercito
fedele.
Campagne militari di Cesare in Gallia.
Gli Elvazi furono sconfitti a Bibracte, e poco dopo furono sconfitti gli Svevi, una
tribù germanica, guidati da Ariovisto. Per Cesare il Reno doveva essere una
frontiera invalicabile per i Germani, un baluardo a difesa del mondo romano.
Cesare fu il primo a distinguere i Galli dai Germani, separati dal Reno. Nel 57,
nel territorio dei Belgi, furono sconfitti altre tribù del nord.
Nel 57 Cesare annunciò al senato la conquista della Gallia.
Accordo di Lucca tra i triumviri. Proroga di cinque anni del proconsolato di
Cesare in Gallia. Elezione a consoli per il 55 di Pompeo e Crasso e successiva
assegnazione del proconsolato in Spagna a Pompeo e in Siria a Crasso.
La missione di Crasso in Siria aveva come obiettivo la conquista del regno dei
Parti.
I Parti erano un popolo d’origine nomade, discendente dagli Sciti. Il loro impero
era in una posizione chiave per i traffici tra Mediterraneo e Oriente. Erano
guerrieri fortissimi, combattevano a cavallo, erano molto veloci negli
spostamenti, coperti da pesanti gualdrappe corazzate.
Crasso, incapace come generale, stancò il suo esercito di 40.000 soldati nel
deserto mesopotamico e quando i nemici accettarono la battaglia nei pressi di
Carre i soldati romani stanchi furono sconfitti. Crasso, obbligato dai soldati a
trattare con i nemici, durante il colloquio fu ucciso a tradimento. In patria
tornarono 500 soldati.
Cesare nel frattempo continuava la conquista definitiva della Gallia affrontando
altre tribù che si erano spinte oltre il Reno. Si spinse fino in Britannia
sconfiggendo i Britanni, ma dovette tornare in Gallia perché altre tribù si erano
ribellate.
Cesare affrontò e vinse una ribellione degli Arverni, una popolazione della Gallia
centrale, con a capo il re Vercingetorice che aveva riunito intorno a se una vasta
confederazione di tribù. Da questo momento la Gallia entrò stabilmente
nell’impero di Roma.
Gli optimates intanto a Roma fecero uccidere il tribuno Clodio che aveva esiliato
Cicerone, la plebe inferocita attaccò la Curia, sede del senato, e le diede fuoco.
Di fronte al pericolo di una sommossa il senato affidò la repubblica a Pompeo.
Pompeo, che temeva il ritorno di Cesare, varò una serie di provvedimenti per
togliere Cesare dalla scena politica.
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Ormai era l’esercito che determinava la potenza di un uomo politico e nel 50 per
Cesare scadeva il mandato nelle Gallie e avrebbe dovuto congedare il suo
esercito, mentre Pompeo avendo ancora il proconsolato in Spagna aveva a
disposizione intere legioni armate.
Cesare però intuì il pericolo e nel 49 al comando di 10 legioni fedelissime varcò
il Rubicone, confine tra la Gallia Cisalpina e l’Italia, e marciò verso Roma, era
l’inizio di una nuova guerra civile.
Pompeo salpò verso la Grecia nella speranza di bloccare i rifornimenti per
l’Italia, però Cesare non diede il tempo per realizzare il piano e nominato
dittatore prima sconfisse i suoi eserciti in Spagna poi partì per l’Oriente e a
Farsalo sconfisse Pompeo. Pompeo riuscì a fuggire in Egitto però fu ucciso per
ordine del re Tolomeo XIII.
Cesare si recò in Egitto e innamoratasi di Cleopatra, l’aiutò a prendere il trono
contro il fratello Tolomeo.
Intanto il re di Ponto, Farnace, figlio di Mitridate, aveva ripreso la guerra contro
Roma; Cesare rapidamente si recò nel Ponto e a Zela lo sconfisse; questa
vittoria fu annunciata al senato con la frase veni, vidi vici.
Cesare si reca in Africa, dove si erano rifugiati i pompeiani, e li sconfigge a
Tapso.
Tornato a Roma celebra quattro trionfi, per le vittorie in Gallia, in Egitto, nel
Ponto e in Africa.
Cesare sconfigge definitivamente i seguaci di Pompeo a Munda, in Spagna.
Con la morte di Pompeo, Cesare era diventato il padrone di Roma.
Nel 48 la dittatura a tempo determinato fu trasformata a tempo indeterminato,
ebbe il consolato per cinque anni, fu dichiarato tribuno della plebe a vita; nel 46
gli fu conferita la dittatura per 10 anni e nel 44 fu trasformata a vita, ebbe la
carica di pontefice massimo (supremo sacerdozio della religione romana) e il
titolo di padre della patria. Fu autorizzato a portare sempre la toga di porpora dei
trionfatori, a sedere in senato su un seggio dorato, a nominare i magistrati. Gli
furono innalzate statue e la sua effigie fu riportata sulle monete.
Un potere fondato sull’esercito e sul consenso popolare, con le più alte cariche
civili e religiose assomigliava molto ad un potere monarchico.
Il senato, ridimensionato del suo ruolo, organizzò l’opposizione. Alle idi di marzo
del 44, Cesare fu pugnalato in pieno senato da un gruppo di congiurati guidati
dal figlio adottivo Bruto e dal pretore Cassio.
Cesare aveva iniziato una vasta opera legislativa: con la concessione della
cittadinanza alla Gallia Cisalpina aveva esteso i confini d’Italia fino alle Alpi, con
l’immissione di provinciali al senato aveva ampliato una classe dirigente troppo
egoista, emanò leggi contro l’usura, avviò una vasta politica di lavori pubblici,
assegnò terre ai veterani in Italia e ai poveri nelle provincie, cercò di alleviare il
problema dei debiti, un male cronico della società romana. Questa politica
filopopolare gli procurò il favore delle masse, ma aumentò il numero dei suoi
nemici in particolare i ricchi proprietari romani contrari alla riduzione o
cancellazione dei debiti.
I senatori che avevano promosso la congiura non furono in grado di proporre
alcun programma politico, segno evidente che la loro funzione nello Stato
romano era ormai esaurita.
Negli ultimi decenni del secolo mentre la situazione all’esterno era relativamente
tranquilla grazie alle legioni romane difficilmente battibili, la repubblica
attraversava una grave crisi politica. La scena politica era dominata da
personaggi che si contendevano il potere con tutti i mezzi grazie all’appoggio di
clientele smisurate e soldati fedeli più a loro che alla patria. Il senato, i magistrati
e i comizi non erano più in grado di gestire lo stato e la lotta politica era fatta con
le stragi, le proscrizioni e le congiure. Nuove prospettive di pace e stabilità si
erano aperte con Cesare, nel proprio programma politico intendeva conciliare le
proposte democratiche del movimento popolare e quelle autoritarie dei ricchi
proprietari, ma la congiura delle idi di marzo cancellò queste speranze.
Con l’uccisione di Cesare i senatori pensavano di poter restaurare la repubblica
nella sua forma più tradizionale e con essa il ruolo dell’oligarchia, ma
l’atteggiamento minaccioso e vendicativo della plebe e dei veterani alla morte di
Cesare, soprattutto dopo la lettura del suo testamento che lasciava 300 sesterzi
a testa alla plebe fece capire che la crisi era ormai irreparabile.
Bruto, Cassio e Cicerone temendo il peggio si allontanarono da Roma.
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L’uomo più autorevole dei democratici era Marco Antonio, figlio di Giulia, la
sorella di Cesare, che si era già distinto nelle campagne galliche e nella lotta
contro Pompeo.
Cesare però aveva lasciato come erede il figlio adottivo Gaio Ottavio, che prese
il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano, il quale per rivalità con Antonio si
mise dalla parte dei conservatori; Cicerone pensò di usare questo giovane
inesperto contro i cesariani e riprendere il controllo della situazione.
A Modena si scontrarono i democratici guidati da Antonio contro il governatore
della Cisalpina, Decimo Bruto, rimasto fedele al senato, insieme agli eserciti
inviati dal senato e ai soldati armati a proprie spese da Ottaviano.
Antonio ebbe la peggio, ma si ritirò nella Gallia con l’esercito quasi intatto.
Mentre Cicerone e i conservatori credevano di avere in pugno la situazione
Ottaviano reclamò il consolato e di fronte al rifiuto del senato marciò con
l’esercito su Roma. Si fece proclamare console con la forza e fece approvare
una legge che condannava all’esilio gli uccisori di Cesare.
Questa decisione provocò l’avvicinamento di Antonio e Ottaviano che insieme
con Lepido, seguace di Cesare e governatore di Gallia e Spagna, s’incontrarono
a Bologna e formarono un triumvirato per la riforma della costituzione.
Contrariamente all’accordo privato tra Cesare, Pompeo e Crasso questo ebbe
un riconoscimento legale e poneva i tre membri al vertice del potere.
Subito dopo iniziarono le proscrizioni, i nemici dei triumviri furono perseguitati in
tutta l’Italia: 300 senatori e 2.000 cavalieri furono giustiziati e i loro beni
confiscati. Uno dei primi a cadere vittima delle proscrizioni fu Cicerone, egli fu
raggiunto a Formia dai sicari di Antonio, che non aveva dimenticato le invettive
(Filippiche) a lui destinate dopo la morte di Cesare, e ucciso.
Antonio e Ottaviano sconfissero Bruto e Cassio a Filippi, in Macedonia, che
persa la battaglia si uccisero.
Mentre Ottaviano tornava in Italia, Antonio restò in Oriente
Antonio cominciò a punire tutti quelli che avevano aiutato Bruto e Cassio tra i
quali era sospettata la regina Cleopatra, però l’incontro con lei gli fu fatale,
Antonio s’innamorò di lei e restò per sempre in Oriente.
Tentò di conquistare il regno dei Parti per vendicare Crasso, però Ottaviano non
gli mandò i 20.000 uomini che gli aveva promesso e vi rinunciò.
Intanto in Italia Ottaviano andava screditando Antonio, presentandolo come un
debole nelle mani dell’astuta Cleopatra, che avrebbe fatto dell’Egitto il fulcro
dell’impero.
Ottaviano, grazie alla superiorità delle sue forze, confisse Antonio nella battaglia
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27 a.C.
14 d.C.
navale di Azio.
Antonio e Cleopatra si tolsero la vita chiudendo per sempre l’epoca delle guerre
civili.
Augusto.
Ottaviano assunse il cognome di Augustus, che non è solo colui che è venerato,
ma anche colui che accresce, che porta benessere e felicità
Il secolo Augusto indica ancora oggi il periodo dalla nascita, 29 settembre del 63
a.C., alla morte di Ottaviano, 19 agosto del 14 d.C. Periodo di pace e di
prosperità.
Il motto di quest’età, che Augusto diffuse ovunque, fu: ritorno alla terra, alla
religione, al costume dei padri.
Augusto si rivelò un maestro nel realizzare profonde rivoluzioni dando
l’impressione che nulla era cambiato.
I suoi poteri si fondarono sulla tribunicia potestas e sull’imperium proconsulare
majus et infinitum. I poteri del tribuno gli conferivano l’inviolabilità, la possibilità
di far votare leggi, convocare il senato, usare il diritto di veto, comando militare
su tutte le provincie (imperium proconsulare), senza limiti di spazio e di tempo
(majus et infinitum). Quindi egli esercitava il potere del tribuno senza il limite
dell’intercessio (diritto di veto degli altri tribuni) e l’imperio proconsolare senza
limiti territoriali. Dal 40 aveva assunto il titolo di imperator, titolo con cui era
acclamato dai soldati il generale vittorioso durante la repubblica. Questo titolo
divenne il suo pronome e indicò la sua posizione di comandante supremo. Egli,
quindi era chiamato: Imperatore Cesare Augusto, ma si faceva chiamare anche
princeps, primo tra tutti i cittadini.
Fin dalla cacciata dei Tarquini, la parola re suscitava nei romani odio e timore.
Nessun uomo politico, pur esercitando, di fatto, un potere eccezionale, avrebbe
osato farsi chiamare rex; e non lo fece neppure Augusto. Però nonostante le
assicurazioni formali, il potere d’Augusto era molto vicino a quello di un monarca
assoluto.
L’età augustea ci ha trasmesso un’immagine di sé troppo perfetta per essere del
tutto spontanea e casuale. Essa presuppone la presenza di un regista abilissimo
che poteva essere solo Augusto. Gli artisti che s’impegnarono a divulgare i
grandi temi suggeriti dal potere (carattere divino di Augusto, restaurazione delle
tradizioni nazionali, conformismo morale, ritorno alla terra) furono assistiti e
generosamente ricompensati.
Augusto creò un legame molto forte tra il potere e gli intellettuali che
condividevano il suo programma, come architetti, scultori, scrittori e poeti. Tra
questi Virgilio, Orazio, Tito Livio furono ammessi nell’ambiente di corte e protetti.
Il poeta Ovidio che rappresentò la gioventù ricca e viziata, era inviso al principe,
nell’8 d.C. fu mandato in esilio sul mar Nero fino alla morte avvenuta nel 18,
nonostante le suppliche per rientrare a Roma. In questa politica, che potremmo
chiamare organizzazione del consenso, fu aiutato da un collaboratore di qualità
eccelse, Mecenate, il cui nome è rimasto sinonimo di un modo di promuovere e
controllare la cultura. Era discendente degli Etruschi, molto raffinato, coltivava
ogni genere di piacere, come la tavola, l’infedeltà coniugale, la passione per la
musica. Per 35 anni fu il ministro più fidato di Augusto. Mecenate morì l’8 A. C.
lasciando tutti i suoi beni all’imperatore.
Sapendo che il popolo aveva bisogno di credere in qualcosa, Augusto iniziò una
vasta opera di riforme morali e religiose: restaurò i culti dimenticati, rafforzò il
ruolo dei sacerdoti, riedificò i templi andati distrutti nel corso delle guerre civili.
Ad Augusto risale il culto imperiale, cioè la divinizzazione dell’imperatore,
14-37
sebbene egli non volle mai essere chiamato dio.
In politica estera fece degli accordi con i temibili Parti che minacciavano
l’Oriente e nel 15 a.C. Druso, nipote di Augusto, iniziò la conquista della
Germania e nel nove aveva conquistato le terre fino all’Elba, poco dopo Druso
morì e Tiberio subentratogli fu duramente impegnato dai Pannoni, stanziati
lungo il Danubio. Nel 9 d.C., approfittando della situazione, il germanico Arminio
incitò le tribù sottomesse da Druso alla rivolta e tre intere legioni romane furono
massacrate nella selva di Teutoburgo.
Lo stato augusteo era forte e autoritario, al vertice stava il principe con poteri
illimitati. La classe dirigente era composta da senatori e cavalieri. Ai senatori
assegnò il governo delle provincie, in qualità di proconsoli in quelle pacificate e
di propretori in quelle da pacificare con anche il comando militare delle legioni.
Ai cavalieri assegnò la prefettura d’Egitto che negli ultimi anni tempi aveva dato
dei problemi, lì avevano trovato rifugio Pompeo e Antonio, perciò non volle mai
assegnarla ai senatori, ma ai cavalieri in cui riponeva maggior fiducia. I cavalieri
avevano anche la prefettura al pretorio, cioè i pretoriani, la guardia del corpo
dell’imperatore; la prefettura della flotta, il comando delle squadre navali
stanziate a Capo Miseno e Ravenna; prefetto dell’annona che sovrintendeva
all’approvvigionamento; e prefetto dei vigili che dirigevano le squadre
antincendio. Nell’esercito ai senatori spettava il comando di 5.000 uomini, una
legione, i cavalieri erano gli ufficiali subalterni.
Nel 14 d.C. Augusto morì.
Tiberio.
Augusto non aveva figli e l’unico candidato alla successione fu Tiberio che la
moglie Livia aveva avuto da un precedente matrimonio.
A differenza di Augusto che discendeva da una famiglia equestre, Tiberio
apparteneva ad un’antica famiglia patrizia e aveva molto rispetto per la
tradizione repubblicana a cui non era più possibile tornare.
Tiberio fu a lungo indeciso prima di accettare. Egli mostrò sempre grande
rispetto per il parere dei senatori e rifiutò il culto della persona e onori eccessivi,
ma ciò non bastò a lasciare di lui un buon ricordo. La storiografia senatoriale
interpretò i suoi dubbi e incertezze come ipocrisie e falsità, egli fingeva solo di
disprezzare il potere.
In realtà la sua amministrazione fu eccellente, evitò ogni spesa inutile, non
intraprese guerre espansionistiche. Alla sua morte le casse dello stato erano
piene, l’impero solido e i confini sicuri.
La sua vita fu condizionata da un dramma, egli aveva un nipote, Germanico, che
al contrario dello zio era molto amato dal popolo e dalle legioni, che aveva già
destinato alla sua successione; nel 14 lo inviò in Germania per ristabilire l’ordine
dopo la disfatta di Teutoburgo, dopo i primi successi fu richiamato in patria
perché Tiberio voleva solo un’azione dimostrativa, ma questo non piacque al
popolo che giudicò il principe invidioso del nipote.
Nel 19 Germanico fu inviato in Oriente per trattare con i Parti e l’imperatore
conoscendo il suo carattere focoso e irruento gli affiancò un uomo di fiducia,
Pisone, con il quale Germanico entrò subito in contrasto; in questo clima teso
Germanico improvvisamente morì. Subito si diffuse la voce che fosse stato
avvelenato da Pisone e il mandante fosse Tiberio. L’imperatore non riuscì mai
ad allontanare questo sospetto.
Nel 26 Tiberio si ritirò nella sua villa di Capri e affidò il governo al prefetto al
pretorio Seiano.
Nel 31 accadde un fatto che offuscò definitivamente la sua fama, gli fu riferito
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che il prefetto aveva organizzato una congiura per impadronirsi del potere.
L’imperatore tornò a Roma fece uccidere Seiano e i suoi complici e scatenò una
violenta repressione, tra le vittime vi fu l’intera famiglia di Germanico, dalla quale
scampò solo il giovanissimo Caligola.
Alla morte di Tiberio nel 37 i pretoriani, con l’approvazione del senato, posero
sul trono proprio Caligola, il figlio dell’amatissimo Germanico.
Caligola.
Il venticinquenne Caligola volle subito instaurare una monarchia assoluta di tipo
orientale e impose cerimoniali scandalosi per la mentalità romana, come la
genuflessione a tutti coloro cui dava udienza. Pretese onori divini per se e per la
propria famiglia; si faceva chiamare Giove Laziale.
Molti senatori, cavalieri e uomini di corte caddero vittime dei suoi sospetti. In soli
quattro anni riuscì a vuotare le casse dello stato, grazie anche agli splendidi
giochi che fece allestire per conquistare l’affetto della plebe.
Nel 41 gli stessi pretoriani che lo avevano portato al trono lo uccisero.
Claudio.
Era fratello di Germanico e zio di Caligola.
I pretoriani lo elessero imperatore perché era fratello di Germanico.
A causa della sua timidezza e riservatezza era ritenuto un incapace; si era
sempre tenuto lontano dalla politica e aveva passato la sua vita tra i libri.
Sotto il suo governo, mite e tollerante verso gli oppositori, l’impero si estese alla
Britannia e alla Mauretania. Sostenne la necessità di estendere la cittadinanza
ai provinciali e portò al senato molti aristocratici della Gallia, sebbene i senatori
romani, gelosi dei loro privilegi, non condividessero tale iniziativa.
Altra riforma, che non piacque ai senatori e cavalieri, fu la creazione di una
burocrazia di corte composta dai liberti, divisa in quattro uffici: finanze,
suppliche, corrispondenza e cause demandate al principe.
Gli obiettivi di questa politica era di rendere più efficiente l’amministrazione
centrale con funzionari esperti e preparati e dare sfogo ad un nuovo ceto di
origine servile.
L’impiego di liberti era iniziata con Augusto e aveva l’origine in un’usanza diffusa
tra i ricchi romani, quella di affidare la cura e la gestione del loro patrimonio ai
liberti, legati al padrone da vincoli di fedeltà. In questo modo i liberti potevano
accumulare in modo legale o illegale ingenti fortune, come Trimalcione, il
personaggio inventato da Petronio nel Satyricon.
Il dramma della vita di Claudio furono le donne; si sposò quattro volte: con le
prime due divorziò, la terza Messalina era corrotta e fu uccisa per aver tramato
contro il marito, la quarta Agrippina, aveva un figlio avuto dal precedente marito,
Nerone, che voleva vedere sul trono e quando Claudio morì improvvisamente
nel 54 si sparse la voce che fosse stato avvelenato da lei nel timore che il marito
ponesse sul trono il figlio naturale Britannico.
Nerone.
Quando i pretoriani lo acclamarono imperatore aveva 17 anni.
Inizialmente fu assistito dal suo maestro Lucio Anneo Seneca e dal prefetto al
pretorio Afranio Burro che lo spinsero verso una politica di rispetto per il senato
e rispettosa della tradizione repubblicana.
Nerone fece uccidere la madre Agrippina che, gelosa di Seneca, era entrata in
forte contrasto con il figlio. Più tardi fece uccidere la moglie e il fratellastro.
Dopo questi fatti si allontanò sempre più dagli insegnamenti di Seneca, che
preferì farsi da parte, abbandonò l’atteggiamento filosenatorio e cercò il favore
della plebe: appariva in pubblico come suonatore di cetra o come auriga.
63
64
65
68
69-79
79-81
79
81-96
Fece un’importante riforma monetaria che aumentò il potere d’acquisto dei ceti
meno abbienti e della piccola borghesia.
In politica estera riportò un successo contro i Parti. Con il controllo dell’Armenia
e della regione del mar Caspio attuò una strategia di accerchiamento contro i
Parti. Il tentativo del re dei Parti Vologese di porre sul trono d’Armenia il fratello
Tiridate fu sconfitto con l’intervento del generale Corbulone; il re accettò una
soluzione di compromesso che aumentò il prestigio di Roma: Tiridate si poteva
insediare sul trono d’Armenia soltanto dopo aver ricevuto l’investitura dalle mani
di Nerone.
Un grande incendio distrusse in buona parte Roma. Fu accusato Nerone che
per difendersi da queste calunnie ritorse le accuse contro i cristiani. Vi fu una
sanguinosa persecuzione che placò il desiderio di vendetta della plebe.
Una spia rivelò a Nerone l’esistenza di una vasta congiura per abbatterlo,
questo episodio spinse definitivamente l’imperatore sulla strada della violenza
che coinvolse molti personaggi tra cui Seneca, Lucano, Petronio Arbitrio, che
ricevettero l’ordine di suicidarsi.
Scoppiò una rivolta nella Gallia e Nerone non seppe fronteggiare la situazione;
fu l’occasione propizia per i suoi numerosi nemici, infatti, abbandonato da tutti
anche dai fedeli pretoriani, cercò di fuggire in Egitto ma non riuscendo ad
imbarcarsi si uccise.
Vespasiano. Dinastia Flavia 69-96.
Alla morte di Nerone scoppiò una violenta lotta per la successione gettando
l’imperi nel caos. Su quattro contendenti prevalse Flavio Vespasiano,
comandante delle truppe stanziate in Giudea e iniziatore della dinastia Flavia.
Fu il primo imperatore di origine borghese, suo padre era appaltatore delle
imposte di Rieti.
Obiettivo della sua politica fu il risanamento delle casse dello stato, dissanguate
da Nerone e dalle lotte per la successione, attraverso il recupero delle terre
statali occupate dai privati. Nonostante una dura opposizione, Vespasiano uomo
deciso e autoritario, riuscì a prevalere.
Nel 79, alla sua morte, la situazione finanziaria era risanata.
Tito.
Successore di Vespasiano fu il figlio Tito, già famoso per aver domato una
rivolta ebraica nel 70. Gli ebrei non erano riusciti ad amalgamarsi con i romani
per il forte sentimento nazionale e per la religione troppo diversa dai culti pagani.
Tito aveva preso Gerusalemme dopo un’assedio durato sei mesi, distrutto il
tempio e deportato gli abitanti in altre zone. Iniziava così la diaspora, la
dispersione, degli ebrei nel Mediterraneo.
L’impero di Tito durò solo tre anni ma fu ricordato come il prototipo dell’ottimo
imperatore. Egli fu mite e tollerante, ebbe pieno rispetto per il senato.
Una violenta eruzione del Vesuvio distrusse tre fiorenti città: Ercolano, Pompei e
Stabia.
Domiziano.
A Tito, senza eredi, successe il fratello Domiziano.
Appena eletto pretese il titolo di Dominus et Deus stabilendo una forma di
governo autoritaria e senza compromessi.
Per far tacere l’opposizione sempre più forte iniziò una campagna militare contro
i Chatti, un popolo germanico che minacciava i confini del Reno. L’impresa ebbe
successo e la Germania fu divisa in due province: Germania Superiore e
Inferiore.
Più sfortunata fu la spedizione contro i Daci, sconfitto due volte preferì tornare a
96-98
98-117
101-106
106
114-116
117-138
132-135
Roma.
Le critiche e gli attacchi si moltiplicarono e Domiziano reagì con una serie di
processi che causarono numerose vittime illustri. I senatori reagirono a questa
persecuzione e un gruppo di congiurati pugnalarono a morte l’imperatore mentre
dormiva.
Nerva.
Liberatosi di Domiziano, il senato riuscì a portare al trono uno dei suoi, il vecchio
Nerva che attuò una politica di sgravi fiscali.
Egli si rese conto che senza l’appoggio dell’esercito e dei pretoriani la posizione
dell’imperatore era molto fragile, perciò come successore nominò un generale di
grande prestigio, Ulpio Traiano, comandante dell’armata della Germania
Superiore
Traiano.
Egli era spagnolo, un provinciale come anche molti esponenti della classe
dirigente, questo rivela che l’Italia stava perdendo l’egemonia, le province
cominciavano a svolgere un ruolo economico e politico sempre maggiore e che
l’impero romano diventava progressivamente un impero sopranazionale.
Sul trono successivamente si susseguirono imperatori di origine africana,
tracica, illirica senza che questo suscitasse scandalo e opposizioni di tipo
nazionalistico.
L’impero di Traiano fu caratterizzato da numerose campagne militari vittoriose
che portarono Roma alla sua massima espansione.
In due riprese (101-102 e 105-106) conquistò la Dacia. Fu colonizzata con una
fitta rete di insediamenti che determinarono una profonda penetrazione della
cultura romana. Le ricche miniere d’oro della Transilvania furono i mezzi per
continuare la politica d’espansione. Pacificate le frontiere settentrionali, Traiano
si rivolse in Oriente.
Un esercito romano sconfisse i Nabatei e s’impadronì del loro regno, sorse così
la provincia di Arabia.
Meno fortunata fu la spedizione contro i Parti. Traiano riuscì a conquistare
l’Armenia, la Mesopotamia, l’Assiria e a occupare la stessa capitale Ctesifonte
però solo per poco tempo.
I Parti approfittando di una rivolta ebraica in Palestina e di altre rivolte nelle
province orientali e della morte dell’imperatore in Cilicia, nel 117, riportarono la
frontiera romana in Oriente sull’Eufrate.
Traiano fu un imperatore che piacque a tutti: senatori, soldati e intellettuali che
furono chiamati a corte in gran numero.
Adriano. Impero umanistico 117-180.
Anche Adriano, cugino di Traiano, era di origine spagnola.
Adriano fu un monarca illuminato, amante del bello, della cultura, delle arti; con
lui sorse il mito delle classi colte ellenistiche. Egli trascorse molto tempo in
viaggio, soggiornò a lungo ad Atene dove assunse la carica di arconato.
In politica estera si limitò a difendere le conquiste di Traiano. Fece costruire
un’importante fortificazione in Inghilterra, il vallo di Adriano.
In Giudea scoppio una violenta rivolta per rivendicare l’indipendenza da Roma.
Le truppe romane furono impegnate severamente, la repressione romana fu
durissima e Gerusalemme da quel momento fu chiamata Elia Capitolina.
L’impero di Adriano insieme con quello di Antonino Pio e Marco Aurelio fu
ricordato dagli storici come l’impero umanistico per il modo di vita e di governo.
Questi imperatori attuarono una politica tollerante e illuminata perciò ci fu la
pace in tutti i territori, concordia con il senato, un forte impulso dell’economia e
dei traffici. Si diffusero parole come uguaglianza e libertà di parola. Si
realizzarono le aspirazioni dello storico Tacito, che aveva auspicato un impero
non più lasciato in eredità ma assegnato all’uomo più degno, da Nerva in poi fu
seguito per quasi 100 anni.
Il governo delle province fu più tollerante e il grande sviluppo economico che ne
derivò fece attenuare il distacco fra l’Italia e le province.
Gli intellettuali esaltarono il nuovo corso della storia dell’impero come l’età
dell’oro degli Antonini.
Si intensificarono gli scambi commerciali, dalla Cina, India, Africa nera,
Germania libera cominciarono ad affluire ogni sorta di merci rare ed esotiche.
A causa del limitato sviluppo delle attività industriali i capitali derivanti
dall’agricoltura e del commercio venivano solo in parte reinvestiti, soprattutto si
spendevano in generi di lusso e di prestigio. Queste merci erano pagate in
moneta pregiata, d’oro e d’argento, perciò si verificò un flusso di metalli preziosi
che usciva per sempre dall’impero, determinando nel tempo un grave squilibrio
per l’economia.
I traffici coinvolgevano i romani che in età imperiale non indicava solo gli abitanti
di Roma o dell’Italia, ma chiunque vivesse all’interno dello stato romano.
I traffici romani in Europa partivano da tre zone principali: l’Italia, la Gallia con le
province germaniche e la regione del mar Nero. I beni esportati erano: vino,
terrecotte, oggetti di bronzo e vetro, oreficeria, che andavano a adornare le
dimore dei principi barbari. In cambio i romani ottenevano schiavi e pelli
dall’Europa centrale, pellicce e pesce secco dalla Scandinavia, l’ambra dal mar
Baltico.
Con la Cina, i contatti iniziarono intorno al 166. Dalla Cina importavano la seta,
pagata a peso d’oro perché era sconosciuta la tecnica di produzione, era
commercializzata dai Parti, che furono un vero e proprio sbarramento tra i due
più grandi stati del mondo.
Anche l’India ebbe una certa importanza sia per le merci che produceva: perle e
pietre preziose, sia per aggirare il territorio dei Parti dopo che si scoprirono le
caratteristiche del vento monsone che soffia da giugno a settembre e che
consentiva, alle navi provenienti dal mar Rosso, di arrivare rapidamente fino alla
foce dell’Indio.
Dall’Africa nera arrivava avorio, pietre preziose, legni pregiati, spezie, penne di
struzzo, schiavi e belve feroci per gli spettacoli.
Nel secondo secolo terminate le guerre interne ed esterne, eliminata la pirateria,
il mondo mediterraneo raggiunse un grandioso sviluppo. In tutte le province
dell’Impero ci fu l’espansione delle produzioni agricole, dell’artigianato e dei
traffici.
Uno sviluppo enorme ebbe la Gallia grazie al clima, abbondanza di pascoli,
foreste e corsi d’acqua. Oltre all’agricoltura ebbe un grande sviluppo anche
l’artigianato e l’industria tessile. Il successo di quest’espansione era dovuta a
due fattori: alta qualità e prezzi bassi grazie ai trasporti per via acqua. Infatti, nel
mondo antico l’incidenza dei trasporti sul prezzo delle merci era elevatissima,
quelli via terra erano molto costosi perché lenti e difficoltosi mentre per acqua,
anche se comportavano un certo rischio, avevano un costo più basso. Nelle
Gallie, dotate di una fitta rete di canali e corsi d’acqua, il problema dei trasporti
era meno grave che altrove, perciò le merci provenienti dalla Gallia che
giungevano nei porti dell’Atlantico o del Tirreno costavano molto meno di quelle
prodotte da altre regioni.
L’Africa, con il declino della Sicilia, divenne il granaio dell’impero, dal secondo
secolo il grano e l’olio africano invasero tutti i mercati dell’impero. Molti
proprietari romani acquistarono terre e stabilirono la residenza in Africa. L’Africa
ebbe anche un imperatore, Settimio Severo, retori come Frontone, personaggi
come Apuleio, autore dell’Asino d’oro, Lattanzio, Arnobio e Agostino nei secoli
seguenti.
Le zone più floride dell’impero però erano le province orientali. I territori erano
ricchi di materie prime e manodopera, sistema viario efficiente, una tradizione
agricola e artigianale plurisecolare, la favorevole collocazione geografica, ponte
tra occidente e oriente che dava una dimensione mondiale ai loro commerci.
Essi producevano mantelli di lana e lino molto fini, seta che la Siria importava
dalla Cina allo stato grezzo, armi, gioielli, vetro e porpora.
Mentre le province si arricchivano l’Italia si impoveriva.
Il forte sviluppo economico della Gallia, dell’Oriente e dell’Africa aveva creato
una concorrenza spietata nei confronti della produzione italiana.
Le province più progredite si chiudevano alla penetrazione economica romana e
producevano da sole i beni che prima acquistavano dai romani, mentre sui
mercati esterni i commercianti italiani erano schiacciati dalla concorrenza di
quelli della Gallia e della Siria.
Il declino economico dell’Italia determinò anche il declino del modo di
produzione schiavistico.
Esso era fondato sulla villa schiavile e sulla manifattura urbana.
La villa schiavistica era un’azienda agricola basata sull’impiego razionale degli
schiavi, che si integrava ai grandi latifondi agro-pastorali, dove i greggi erano
allevati da schiavi-pastori e si coltivavano grandi estensioni di cereali.
Le manifatture urbane erano organizzate per una produzione di massa ma di
scarsa qualità.
Il modo di produzione schiavistico aveva determinato una crescita economica
eccezionale nella storia mondiale che si sarebbe ripetuta solo con il capitalismo.
Le merci italiane avevano invaso tutti i mercati facendo affluire ingenti ricchezze
che avevano dato all’Italia oltre al primato politico anche quello economico.
Inizialmente furono imposte delle misure restrittive per le merci provinciali, poi
con l’ingrandirsi dell’impero non era più possibile far leva sulla forza delle
invincibili legioni, era indispensabile anche il consenso dei provinciali e in
particolare delle oligarchie locali costituite da indigeni romanizzati o romani
immigrati e quindi non fu possibile imporre misure restrittive per le merci
provinciali e il commercio fu sempre più liberalizzato.
Fu proprio la concorrenza dei prodotti agricoli dei provinciali sia in Italia che nei
mercati esterni a mettere in crisi il modello di produzione schiavistico che
presupponeva la disponibilità di mercati vastissimi su cui riversare le grandi
quantità di beni prodotti. Venendo a mancare questi mercati, le ville, che erano
aziende costose da tenere in vita e di difficile controllo, furono trasformate in
pascoli, che richiedevano bassi investimenti, o furono divise in unità più piccole
e date in affitto a coloni liberi.
Anche le manifatture urbane subirono la concorrenza e si ridimensionarono.
Naturalmente questo non comportò l’eliminazione della schiavitù; essi nelle ville
vivevano ammassati negli ergastoli e lavoravano sotto stretta sorveglianza, ora,
invece, erano insediati in nuclei familiari e potevano avere moglie e figli, quindi
più interessati al lavoro e non presentavano più problemi di sorveglianza.
La crisi dell’economia italiana era determinata anche da un’altra causa
connessa con il reclutamento dell’esercito.
Fino a tutto il primo secolo le legioni erano formate da italiani che erano sottratti
al lavoro dei campi per 20-25 anni. Dal secondo secolo si cominciò ad arruolare
anche i provinciali ma era ormai troppo tardi, l’economia italiana non si riprese e
presto anche lo sviluppo economico delle province fu bloccato e tutto l’impero
subì una gravissima crisi.
Le origini di questa crisi sono da ricercarsi nella struttura economica e sociale
dello stato romano.
La ricchezza che era decantata nell’età degli Antonini aveva una circolazione
limitata alle classi superiori. La struttura politica ed economica dell’impero restò
chiusa alle grandi masse.
138-161 Antonino Pio.
Il regno di Antonino Pio fu uno dei periodi più tranquilli della storia romana; egli
si limitò a gestire il potere.
161-180 Marco Aurelio.
Diverso fu il regno di Marco Aurelio che in 19 anni dovette affrontare 17 guerre.
161
Il re dei Parti Vologese III partì alla conquista dei territori romani in Oriente, dopo
le prime vittorie egli fu costretto al ritiro dalle truppe del generale Avidio Cassio e
nel 163 occupò anche la capitale Ctesifonte.
163
Le popolazioni germaniche dei Goti e dei Gepidi si spostarono dai territori lungo
il mar Baltico e della Vistola verso la Prussia meridionale, questo mise in moto
altre popolazioni barbariche, Quadri e Marcomanni, stanziate a ridosso del limes
romano che trovando poca resistenza a causa dell’impegno romano in Oriente si
riversarono nell’impero.
168-169 Quadri e Marcomanni giunsero in Italia compiendo saccheggi fino alle mura di
Verona e Aquileia.
Altri barbari entrarono in Asia Minore e in Grecia. Dal 161 al 180 Marco Aurelio
con una serie di scontri fronteggiò la situazione ma i costi furono altissimi.
180
Marco Aurelio morì colto dalla peste che causò stragi e distruzioni in tutto
l’impero.
Essa fu la prima epidemia di peste bubbonica nel Mediterraneo e ridusse della
metà della popolazione dell’impero.
Le lunghe campagne militari e la peste diedero il colpo finale all’economia, la
manodopera diminuì drasticamente causando un crollo della produzione che
generò un aumento dei prezzi. La diminuzione del valore reale dei salari che ne
derivò portò ad un generale impoverimento.
La guerra e la peste furono dunque le cause che scatenarono una grave crisi
economica che si aggravò nel corso del 3° secolo. I nemici esterni dell’impero
romano erano sempre i Germani e i Parti, nel corso del 3° secolo diventarono
sempre più aggressivi e pericolosi, le province furono ripetutamente devastate e
saccheggiate. Le capacità aggressive dei popoli nordici furono potenziate dalla
debolezza dell’impero, dalle trasformazioni economiche e sociali avvenute nel
mondo germanico e dagli spostamenti di popoli che si ebbe nell’Europa
orientale.
La storia delle popolazioni germaniche è nota per due opere: il “de bello Gallico”
di Cesare del 51 a.C., e la “Germania” di Tacito del 98 d.C..
A Cesare la società germanica appariva ancora molto primitiva, le attività
economiche fondamentali erano la caccia e la pastorizia, non esisteva la
proprietà privata delle terre e le varie tribù conducevano per lo più una vita
nomade.
Tacito dopo 150 anni descrisse una società che era cambiata: le popolazioni
erano diventate sedentarie e vivevano sparse in piccole tribù.
180-192
193-211
197
211-217
212
217-218
218-222
222-235
Agli inizi del 3° secolo le tribù sparse cominciarono ad unirsi in vaste
confederazioni politiche guidati da capi potenti e autorevoli allo scopo di
difendersi dall’arrivo di nuovi popoli.
Queste confederazioni capaci di mobilitare migliaia di guerrieri diventarono una
minaccia per i confini romani.
Il regno dei Parti era stato da sempre nemico irriducibile dei romani. Il regno che
discendeva da quello persiano esisteva da cinque secoli, dal 250 A.. Nel 226
d.C. un nobile Ardashir, che si vantava di discendere dagli antichi sovrani
persiani, proveniente dalla Perside, con una rivolta abbatte il re Artabano V.
Ardashir rivendicava ai Persiani tutti i territori governati da Ciro il grande fino a
Dario, ultimo re di Persia, il cui trono era stato abbattuto da Alessandro Magno.
Commodo.
Con Commodo, figlio di Marco Antonio, si abbandonò il principio dell’adozione
per la successione al trono. Commodo che non era un soldato, preferì
concludere una pace con i barbari e tornare a Roma. Cercò di guadagnarsi la
fiducia della plebe con distribuzioni alimentari, fissando un calmiere dei prezzi e
organizzando grandiosi giochi nel circo. Nei confronti del senato ebbe un
atteggiamento dispotico e crudele, molti senatori caddero vittima dei suoi
sospetti, e nel 192 una congiura lo uccise.
Settimio Severo. Dinastia dei Severi 193-235.
Per la successione al trono vi fu una guerra civile che fu vinta da Settimio
Severo, comandante delle legioni pannoniche.
Campagna militare contro i Parti che si concluse positivamente con la creazione
di una nuova provincia, la Mesopotamia.
Sul fronte interno cercò di ridurre il potere della prefettura al pretorio, centro di
potere e d’interessi, riducendo il numero delle guardie pretoriane e arruolando
elementi non italici.
Favorì l’esercito concedendo ai soldati il diritto di convivere con le proprie donne
e dando aumenti di stipendio per compensare il continuo aumento dei prezzi.
Per la politica di potenziamento dell’esercito il suo regno è definito monarchia
militare.
Durante una campagna in Britannia, Settimio Severo morì, gli successe il figlio
Caracalla.
Caracalla.
Editto di Caracalla, con cui si dava cittadinanza a tutti gli abitanti dell’impero. A
questa concessione dovevano essere esclusi gli elementi inferiori delle masse
contadine che pur vivendo all’interno dell’impero non si erano romanizzati.
Questi elementi avrebbero giocato un ruolo importante quando, disgregato
l’impero romano, avrebbero fatto risorgere le culture indigene.
Caracalla convinto che il destino dell’impero fosse ad Oriente, chiese in moglie
la figlia del re dei Parti, ma ottenendo un netto rifiuto decise di dichiarargli
guerra, sognando di ripetere l’impresa di Alessandro.
Nel corso dei preparativi fu ucciso per ordine del prefetto al pretorio Macrino.
Macrino.
Regnò solo pochi mesi. Una nuova rivolta militare portò al trono Elagabalo,
nipote di Caracalla.
Elagabalo.
Nipote di Caracalla, fu ucciso dai pretoriani.
Severo Alessandro.
Subito volle ripercorrere le orme di Alessandro, però la sua spedizione contro i
Persiani si concluse senza esito. Egli allora si dedicò al fronte renano per
235-238
238-244
242
244-249
247
248
249
249-251
251-253
253-260
253-268
contrastare i Germani e gli Alamanni, ma i soldati stanchi delle sue incertezze lo
uccisero e portarono al trono uno di loro, Massimino il Trace.
Massimino il Trace.
Era un ufficiale originario della Tracia. Egli, consapevole della gravità della
situazione, intraprese subito una guerra contro i Germani.
Il senato gli fu contrario sempre sia per i natali non certo illustri e per l’origine in
una regione ancora popolata da barbari, sia per la politica fiscale. Infatti, per le
esigenze di guerra egli fece delle requisizioni sui loro latifondi.
La rivolta dei senatori partì dall’Africa e dall’Italia, dove erano più vaste le
proprietà dei senato. In Africa furono acclamati due senatori, il proconsole
Antonio Giordano e suo figlio Antonio Giordano junior. Il senato li riconobbe però
questa rivolta fu domata e si concluse con la morte dei due usurpatori. Però in
Italia la situazione non era normalizzata ed egli fu costretto ad invadere l’Italia
come un nemico per riportare la calma.
Nel 238 mentre assediava Aquileia fu ucciso dai suoi soldati.
Giordano III.
Molto giovane fu uno strumento nelle mani dei senatori tradizionalisti che lo
avevano eletto. Il suo regno fu caratterizzato dallo strapotere della prefettura al
pretorio. Sotto Giordano III aumentò fortemente la barbarizzazione dell’esercito
a causa della crisi demografica e delle continue guerre e, fatto molto pericoloso,
furono arruolati intere tribù.
Giordano III intraprese una spedizione contro i Persiani, però i soldati romani
non tolleravano la forte presenza di mercenari goti e nel 244 uccisero
l’imperatore.
Filippo l’Arabo.
Salì al trono l’organizzatore della congiura, il prefetto al pretorio Filippo, il quale
concluse la pace con i Persiani e licenziò i mercenari goti.
Durante il suo regno si celebrò il millesimo anno della fondazione di Roma.
Le legioni pannoniche si ribellarono e acclamarono imperatore il governatore
Decio che sotto la sua guida marciarono verso l’Italia.
Nello scontro decisivo a Verona Filippo fu vinto e ucciso.
Decio.
L’impero fu attaccato dai Germani e dai Persiani. Decio morì combattendo
contro i Goti.
Treboniano Gallo.
Governò insieme al figlio Volusiano. Furono uccisi dai loro soldati.
Le legioni in Mesia proclamarono imperatore Emiliano, il governatore della
provincia.
Dopo tre mesi fu attaccato e vinto da Valeriano.
Valeriano.
L’attacco dei Germani e dei Persiani continuò anche sotto Valeriano il quale nel
268 fu catturato dal re Persiani Shapur e morì in prigione.
Le province dell’Europa Centrale, la Grecia, la Siria e l’Italia subirono invasioni e
distruzioni. Antiochia fu occupata dai Persiani e Atene dai Goti.
Sembrava che dovesse arrivare la fine dell’impero però alcuni imperatori illirici,
tutti di grande valore, riuscirono a fronteggiare la situazione.
Gallieno.
Figlio di Valeriano, non riuscì a liberare il padre dai Persiani. Fermò le
persecuzioni contro i cristiani. Combattè contro Postumo in Gallia e contro lo
stato Palmireno della regina Zenobia nell’est.
Fu ucciso da una congiura dai suoi uomini di palazzo.
253-268 Postumo.
Proclamato imperatore dai suoi soldati in Gallia. Nel 258 creò un regno
autonomo in Gallia, Spagna, Britannia e Germania con capitale Treviri.
Successori di Postumo in Gallia furono Mario per pochi giorni e Vittorino (268270). L’ultimo imperatore della Gallia fu Tetrico (270-274), battuto da Aureliano.
268-270 Claudio II. Imperatori illirici 268-304.
Egli si dedicò alla lotta contro i Goti e gli Alamanni con grande successo. Si
parla di 50.000 uccisi e gli altri sottomessi. Egli si meritò l’appellativo di Gothicus
Maximus. Quando la peste lo uccise nelle regioni danubiane, i soldati illirici,
ormai arbitri della situazione, acclamarono imperatore il comandante della
cavalleria Domizio Aureliano.
270-275 Domizio Aureliano.
Riunificò l’impero Vincendo Tetrico in Gallia e la regina Zenobia a Palmira.
Egli fu costretto a combattere contro i Vandali, Iazigi, Iutungi che erano penetrati
in Italia e li sconfisse ripetutamente. L’impressione che si ebbe fu enorme e
subito dopo l’imperatore fece costruire le mura aureliane per proteggere Roma.
A scopo difensivo egli abbandonò la Dacia ritirando le truppe romane al di qua
del Danubio, ripristinando il confine naturale. Mentre si apprestava a fare una
spedizione contro i Persiani fu ucciso da una congiura.
275-276 Claudio Tacito.
Egli era un nobile italiano e fu designato dal senato. Vinse i Goti in Cilicia e fu
poi assassinato.
276-282 Aurelio Probo.
Dopo la breve parentesi il trono tornò ad un illirico, comandante delle truppe
orientali. Egli riuscì ad arginare l’invasione dei Burgunti, Vandali e Franchi in
Gallia, e vincere i Sarmati sul fronte danubiano.
Nel 282 i suoi soldati stanchi della rigida disciplina lo uccisero.
282-284 Seguirono due anni di disordini e lotte per il potere. Prevalse un giovane ufficiale
di origine dalmata, Diocleziano.
284-305 Diocleziano.
Egli dedicò i suoi vent'anni di regno ad una vasta opera di riforme per ridare
efficienza all’amministrazione. Riordinò il sistema fiscale e impose un calmiere
sui prezzi che pubblicò in tutto l’impero, però ebbe scarsi risultati.
Riformò la struttura dell’impero che divise in grandi unità territoriali, le prefetture,
a loro volta divise in diocesi e queste in province. Ogni unità amministrativa
aveva i suoi governatori e funzionari, Anche l’Italia fu divisa in provincie e gli
abitanti per la prima volta furono costretti a pagare le tasse come le altre
province dell’impero.
Contro l’instabilità politica riformò il governo con l’introduzione della tetrarchia.
Due imperatori con il titolo di Augusti avrebbero regnato l’occidente e l’oriente,
assistiti da due Cesari che avrebbero preso il loro posto.
Diocleziano avrebbe regnato in Oriente e Massimiano in Occidente, i due Cesari
furono Galerio e Costanzo Cloro.
305
Per mettere alla prova l’ordinamento egli nel 305 abdicò insieme con
Massimiano.
I nuovi Augusti nominarono come Cesari Massimino e Severo. Alla morte di
Costanzo il sistema si sfasciò, le legioni galliche nominarono imperatore suo
figlio Costantino, mentre i pretoriani il figlio di Massimiano Massenzio. Prevalse il
principio della successione ereditaria e la riforma fallì.
Intanto una nuova religione, il Cristianesimo, nata tre secoli prima in Palestina si
stava diffondendo in tutto l’impero. Diocleziano la perseguitò aspramente.
312
Quando Diocleziano si ritirò l’ordinamento tetrarchico si dissolse e si scatenò
una lotta per il potere tra i pretendenti, tra questi emerse Costantino figlio di
Costanzo Cloro che vinse Massenzio nella battaglia di ponte Milvio, nel 312, e
rimasto solo divenne padrone dell’impero.
Restava una parte d’oriente sotto Licinio che eliminò nel 324.
306-337 Costantino. Impero cristiano.
313
Costantino e Licinio firmano a Milano l’editto di tolleranza che riconosceva
legalmente la religione cristiana e poneva fine alle persecuzioni. Questa
decisione fu presa dopo la vittoriosa battaglia contro Massenzio perché in sogno
gli era apparso dio che l’aveva incitato a combattere e Costantino suggestionato
dalla visione fece dipingere il simbolo cristiano, la croce, sugli scudi dei soldati
prima della battaglia sul ponte Milvio. L’esito della battaglia fu per lui la prova
decisiva della potenza di Dio.
313
Costantino esentò il clero dagli oblighi fiscali.
321
Costantino riconosce la validità civile dei tribunali civili dei vescovi.
330
Trasferimento della capitale dell’impero a Bisanzio, che fece ingrandire e
abbellire con un Campidoglio, un senato, un foro e che ribattezzo
Costantinopoli.
La decisione del trasferimento fu presa per motivi strategici, Costantinopoli era
situata in un punto d’incontro tra Europa e Oriente e tra il Mediterraneo e il mar
Nero, e per motivi religiosi perché il senato era legato in gran parte alla religione
pagana e non accettava la politica filocristiana dell’imperatore; mentre i nuovi
senatori di Costantinopoli erano tutti cristiani fedeli all’imperatore.
Roma perse la supremazia politica ma acquisì quella religiosa.
Roma vantava sulle altre comunità il primato di essere la depositaria della
tradizione apostolica e di aver mantenuto un patrimonio di dottrine ortodosso
che risaliva agli apostoli Pietro e Paolo.
Con il passare del tempo il vescovo di Roma divenne il capo della chiesa
cattolica.
Il cristianesimo all’inizio dovette affrontare diverse eresie, che proponevano
interpretazioni diverse dei principali argomenti di fede, la più pericolosa fu
l’arianesimo.
Ario era un prete di Alessandria d’Egitto, sosteneva che il figlio di Cristo era
completamente subordinato al padre, Dio, contro le idee del popolo che tendeva
a identificare Cristo con Dio. Il suo insegnamento ebbe grande successo fino a
quando il vescovo cattolico di Alessandria gli vietò di predicare.
325
Contro questa eresia fu convocato da Costantino un concilio ecumenico nel
palazzo imperiale di Nicea. Oltre 250 vescovi elaborarono un credo che è
sostanzialmente identico a quello odierno e Ario e i suoi seguaci che si
rifiutarono di accettarlo furono esiliati e partirono per le regioni danubiane.
Nel 3° secolo il principale problema per l’impero fu la crescente minaccia dei
barbari ai confini.
Per fronteggiarli si doveva mantenere un esercito di 600.000 uomini alla
frontiera. Questo comportava costi enormi che si ripercuoteva sul prelievo
fiscale. Il pagamento delle tasse divenne il problema del secolo e molti cittadini
romani delle zone di confine cercavano scampo tra i barbari. I più colpiti dalle
tasse erano gli abitanti della campagna. Quelli della città erano esentati da molti
tributi e ricevevano la distribuzione gratuita dei generi alimentari.
La pressione fiscale fece indebitare i piccoli contadini che chiedevano prestiti al
grande proprietario offrendo in cambio la propria manodopera. Quindi era
interesse del grande proprietario che il contadino restasse sulla propria terra per
non sottrarsi al debito contratto, questo era anche l’interesse dello stato dato
che le tasse gravavano soprattutto sui contadini.
Quindi a partire dall’età costantiniana vi furono una serie di leggi per legare il
contadino alla terra.
Lo stato inoltre chiedeva manodopera gratuita per la costruzione e
manutenzione di opere pubbliche (strade, edifici) e, ancora più temuta, la leva
militare che durava più di 20 anni. Solo il signore, dominus, con la sua influenza
e la sua ricchezza poteva salvare il colono; una raccomandazione o una mancia
ai funzionari imperiali poteva salvare il colono, soprattutto se egli aveva denaro
per pagare un sostituto, un barbaro, che si arruolava al posto del colono. In
queste modo le condizioni dei coloni peggiorarono e si avvicinarono a quelle
degli schiavi.
Molte aziende padronali avevano sostituito la manodopera schiavile a quella
fornita dai coloni, ambedue i sistemi avevano pregi e difetti. Il colono lavorava
con maggiore impegno perché poteva dedicare parte della giornata al proprio
campo e alla famiglia, ma presentava il grosso svantaggio di essere soggetto al
servizio militare e assentarsi per lunghi anni.
Con Costantino la struttura della società romana divenne più rigida e aumentò
sempre più la differenza tra ricchi e poveri.
Questa società fu chiamata a piramide: al vertice c’era l’imperatore e la classe
dirigente composta da senatori e burocrati in gran parte latifondisti, alla base le
masse popolari schiacciate dai tributi e dalla crisi economica. Il senatore
latifondista domina la società romana dal 2° secolo in poi. A questa classe
dirigente laica si contrapponeva quella ecclesiastica.
Anche la chiesa aveva la sua gerarchia: i diaconi, con compiti di assistenza e
amministrazione; i preti che celebravano la messa e il vescovo a capo delle
comunità locali. Mentre l’organizzazione politica dell’impero diventava sempre
più rigida, la chiesa si apriva ai più umili. I vescovi erano al centro di
organizzazioni volontarie, fondavano e controllavano istituzioni di carità,
difendevano i fedeli contro i funzionari statali. Quando la resistenza militare
peggiorò organizzarono la resistenza armata contro i barbari. Quindi man mano
che lo stato decadeva la chiesa si organizzo.
Costantino modificò anche l’organizzazione della difesa dei confini, gli eserciti
non furono più dislocati lungo il limes ma furono ammassati nelle grandi città
pronti ad intervenire dovunque con una maggiore forza d’urto. Per sopperire alle
difficoltà di rinnovare i contingenti militari si ricorse all’arruolamento di barbari
federati, intere tribù sottoscrivevano un contratto in cui si impegnavano a fornire
soldati equipaggiati agli ordini di ufficiali romani. Con il passare del tempo i
barbari arruolati richiesero un loro capo e a pretendere oltre la paga anche lotti
di terra.
La riforma amministrativa iniziata da Diocleziano e portata a termine da
Costantino fece dello stato romano uno stato burocratico con un elevato numero
di funzionari ai quali faceva capo la giustizia, l’organizzazione fiscale, strutture
politiche e militari.
Era una categoria improduttiva che gravava pesantemente sullo stato. Al vertice
della carriera di corte c’era il quaestor sacri palatii, esperto in materia giuridica, il
magister officiorum, responsabile della burocrazia, il comes rerum privatarum,
che amministra la casa privata dell’imperatore, il comes sacrarum largitionum
sovrintendeva al tesoro imperiale.
Seguiva un gran numero di impiegati, addetti ai servizi vari, corrieri.
337-361
360-363
363-364
364-375
375-383
378
379-395
382
I corrieri, chiamati agentes in rebus erano molto temuti e odiati perché in
contatto con i diversi ambienti potevano raccogliere notizie e riferirle alle
autorità.
La tassa più importante era la capitazione, versata annualmente.
Costanzo.
Alla morte di Costantino l’impero fu diviso tra i figli Costanzo, Costante e
Costantino II. Costantino II prefetto della Gallia perse la vita nel conflitto contro
Costante nel 340. Costante a sua volta fu ucciso nel 350 dall’usurpatore Gallo
Magnenzio, uno dei generali di Costante. Costanzo poi sconfisse Magnenzio e
regnò fino al 361.
Giuliano.
Proclamato Augusto dalle legioni romane in Gallia, divenne imperatore alla
morte di Costanzo. Egli tentò un ritorno alla religione pagana, ma ormai era in
decadenza.
Durante una campagna contro i Persiani morì.
Gioviano.
Egli concluse una pace svantaggiosa con i Persiani.
Valentiniano e Valente suo fratello.
Si dedicarono alla riorganizzazione amministrativa e a rafforzare la difesa
dell’impero.
Valentiniano morì nel 375 e fu acclamato il figlio Graziano. Valente continuò a
regnare nell’est fino al 378.
Graziano e il fratellastro Valentiniano II.
Intanto i Visigoti, sospinti da una migrazione in massa degli Unni, sfondavano le
difese e si riversarono nei territori dell’impero romano. Valente rendendosi conto
che non avrebbe potuto ricacciarli, propose ai Visigoti di arruolarsi nell’esercito
romano e stabilirsi in Tracia, odierna Bulgaria.
I Goti erano un popolo costituito da numerose tribù stanziate tra il mar Baltico e
le steppe dell’Europa sud-orientale, odierna Polonia e Russia bianca. A partire
dal 2° secolo i Goti iniziaron o ad espandersi anche verso sud, lungo il corso
della Vistola, fino a raggiungere l’Ucraina e la Romania.
Fu in questa espansione che le tribù iniziarono a differenziarsi in Ostrogoti, Goti
dell’est, stanziati tra i fiumi Dniestr e Don, odierna Ucraina, e Visigoti, Goti
dell’ovest, stanziati tra i fiumi Danubio e Dniestr, odierna Romania e Moldavia.
Intorno al 370 le regioni del mar Nero furono invase dagli Unni che travolsero gli
Ostrogoti. Alcune tribù si stanziarono in Crimea, altre migrarono nelle regioni
dell’Europa Centrale.
Nel 376 gli Unni invasero anche il territorio dei Visigoti che iniziarono a
sconfinare nel territorio romano.
La popolazione locale, profondamente romanizzata non accettò i Visigoti che nel
378 devastarono e saccheggiarono tutta al Tracia.
Valente intervenne e nella battaglia di Adrianopoli perse la vita.
I Visigoti dilagarono in tutta la penisola balcanica, si salvò solo Costantinopoli.
Nel 379 Graziano proclama Teodosio imperatore d’Oriente.
Teodosio stipulò un trattato con i Visigoti; essi avrebbero continuato a militare
nell’esercito come federati e si sarebbero stanziati nell’Illirico, odierna Croazia,
Bosnia e Montenegro.
Graziano abolì le immunità e le rendite alle Vestali e ai sacerdoti romani,
abbandonò il titolo di Pontefice massimo e tolse dal senato la statua della
vittoria, simbolo del favore che gli dei pagani concedevano all’impero.
Graziano muore a Lione cercando di sedare la rivolta del suo comandante
390
391
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395-408
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spagnolo Massimo.
Valentiniano II che all’arrivo di Teodosio è mandato in Gallia fu ucciso nel 392
dal suo stesso comandante.
La popolazione di Tessalonica uccise il comandante supremo visigoto delle
truppe illiriche, che aveva fatto arrestare un’auriga idolo della folla. Teodosio
volle punire la popolazione di Tessalonica con una strage di spettatori durante lo
svolgimento dei giochi nel circo. Siccome la popolazione era cristiana il vescovo
di Milano Ambrogio scomunicò Teodosio e dichiarò che lo avrebbe riammesso
solo dopo un atto pubblico di pentimento. Al cristiano Teodosio non restò che
inginocchiarsi di fronte al vescovo.
Teodosio dette un colpo di grazia alla religione pagana, con un editto vietava i
culti pagani, segnando la fine della libertà di culto nell’impero.
Teodosio morì e lasciò l’impero ai suoi figli: Arcadio in Oriente e Onorio in
Occidente. Da questo momento l’impero fu definitivamente diviso in due parti.
Arcadio.
Figlio di Teodosio fu imperatore della parte orientale dell’impero.
Onorio.
Figlio di Teodosio fu imperatore della parte occidentale sotto la protezione di
Stilicone, un generale romano di origine Vandala. Stilicone fu costantemente
impegnato nella lotta contro i barbari.
Stilicone sconfigge i Visigoti di Alarico a Pollenzo, nella valle del Tanaro e a
Verona costringendo Alarico a tornare nell’Illiria.
Gli Ostrogoti, barbari non romanizzati, guidati dal crudele Radagaiso, pressati
dagli Unni, entrarono dalla Pannonia, odierna Austria, e dalle Alpi orientali nella
penisola italiana. Anche in questo caso Stilicone riesce a sconfiggerli a Fiesole.
Alla fine dell’anno grandi masse di popolazioni barbariche, Vandali, Sarmati,
Svevi Alani, Alemanni, spinte dalla pressione degli Unni, attraversarono le acque
gelate del Reno e si riversarono in Germania e in Gallia.
Stilicone, accusato di non aver saputo organizzare la difesa e sospettato per la
sua origine Vandala, fu condannato a morte da Onorio e decapitato.
Alarico occupò Roma e la saccheggiò per tre giorni. Alarico uscito da Roma si
diresse verso sud forse per raggiungere la Sicilia, ma la morte lo colse a
Cosenza. Il comando dei Visigoti passò al fratello Ataulfo che risalì la penisola e
si stanziò nella Gallia sud-occidentale, odierna Aquitania, d’accordo con i romani
e, a Narbona, sposò Galla Placida, la sorella dell’imperatore Onorio, che aveva
preso a Roma come ostaggio.
L’imperatore riconobbe i loro possedimenti e nacque così il primo stato
barbarico d’Europa, il regno Visigoto con capitale a Tolosa.
Svevi, Alani e Vandali occuparono la Spagna.
Giovanni.
Egli era un ufficiale imperiale e usurpò il potere per due anni, poi fu ucciso.
Valentiniano III.
Figlio del generale Flavio Costanzo e di Galla Placida, figlia di Teodosio.
Sposò Eudoxia figlia di Teodosio II, imperatore d’oriente successo al padre
Arcadio.
I Vandali di Genserico stanziati in Vandalicia, da cui poi Andalusia, passarono lo
stretto di Gibilterra e occuparono le province dell’Africa occidentale, Cartagine,
la Mauritania e la Numidia, Ippona, dove nel corso dell’assedio morì anche il
vescovo sant’Agostino.
Nel 442 fondarono un regno autonomo. Valentiniano III riconobbe il loro
dominio. Fatto grave perché l’Africa era il granaio dell’impero.
442
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452
453
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455.456
457-461
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473-474
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476
La Britannia fu occupata dagli Angli e Sassoni.
I Burgunti furono riconosciuti signori della Savoia.
Gli Unni con il loro re Attila invadono le Gallie ma il generale Ezio, grazie
all’appoggio degli alleati Goti, Burgunti e Franchi li sconfisse nella battaglia dei
Campi Catalaunici, nella Francia nord-orientale.
Attila scese in Italia e occupò Aquileia, Padova, Verona, Milano e Pavia,
pensava di spingersi fino Roma ma papa Leone lo raggiunse e lo convinse a
lasciare l’Italia dietro il pagamento di un riscatto.
Attila morì e gli Unni si dispersero.
I Vandali padroni di una flotta con basi nell’Africa settentrionale sbarcarono ad
Ostia e saccheggiarono Roma.
Valentiniano III uccise il generale Ezio, ma fu ucciso sua volta dai sostenitori di
Ezio.
Petronio Massimo.
Era senatore, costrinse Eudoxia a sposarlo ma fu ucciso da Genserico, re dei
Vandali.
Avito.
Senatore della Gallia, posto sul trono da Genserico, re dei Vandali.
Maiorano.
Senatore, fu fatto imperatore dal barbaro Ricimero e poi da lui ucciso.
Libio Severo.
Egli si dichiarò imperatore ma il suo titolo non fu riconosciuto dall’imperatore
d’oriente.
Anthemio.
Divenuto Cesare fu poi proclamato Augusto in Italia. Fu attaccato e ucciso a
Roma dal genero Ricimero.
Glicerio.
Eletto dal burgundo Gundobade, non fu riconosciuto dall’oriente. Sconfitto da
Giulio Nepote, divenne vescovo di Salona.
Giulio Nepote.
Eletto da Oreste, un generale di origine illirica, e poi deposto dallo stesso per
eleggere suo figlio Romolo Augustolo.
Romolo Augustolo.
Figlio di Oreste.
Odoacre, un ufficiale germanico lo depose dopo un anno e ne prese il posto con
il nome di patrizio, non si attribuì il titolo di imperatore, e dichiarò che avrebbe
governato l’occidente in nome dell’imperatore d’oriente. L’impero romano
d’occidente terminava di esistere dopo 1.300 anni di vita.
Cause della decadenza dell’impero romano.
Una crisi demografica esplosa nell’età di Marco Aurelio fece calare la
produttività, l’aumento dei prezzi che ne derivò fu la causa di un impoverimento
generale.
Parallelamente vasti movimenti di popoli nell’Europa Orientale determinò una
reazione a catena che interessò le frontiere dell’impero. Lo stato romano reagì
con una grande mobilitazione di forze. Lo sforzo per mantenere un esercito
imponente di 600.000 uomini e una burocrazia di 30.000 funzionari e impiegati
fu insostenibile per la popolazione già stremata.
Nel corso del 4° e 5° secolo il problema principale per la popolazione era quello
fiscale. Il contadino si affidava al latifondista diventando servo della gleba.
Quindi lo squilibrio tra le ingenti necessità dello stato e le debolezze della sua
produttività fu la causa principale della caduta dell’impero romano d’occidente.
La parte orientale, meno colpita dalla crisi demografica, fu sostenuta da una
maggiore produttività e potè resistere alle pressioni dei barbari.
Regni romano-barbarici.
488
493
I barbari che avevano invaso l’impero romano d’occidente consolidarono le loro
posizioni e fondarono nuovi stati, i regni romano-barbarici.
Il regno dei Vandali comprendeva la costa settentrionale dell’Africa, le Baleari, la
Corsica, la Sardegna e la Sicilia.
Il regno dei Visigoti tutta la penisola iberica.
Il regno dei Franchi tutta la Gallia.
In Inghilterra si formarono vari regni Anglosassoni. Le popolazioni celtiche della
Scozia e dell’Irlanda mantennero la loro indipendenza.
Il regno degli Ostrogoti in Italia.
Gli Ostrogoti in qualità di federati dell’impero romano avevano ricevuto delle
terre in Pannonia. Nel 488 il loro re Teodorico, insignito dall’imperatore di
Costantinopoli Zenone del titolo di patrizio, chiese energicamente di insediarsi
con il suo popolo in Italia e Zenone acconsentì. Teodorico in qualità di patrizio e
di magister militum ricevette l’incarico di strappare l’Italia a Odoacre e regnarvi in
nome dell’imperatore.
Odoacre sconfitto ripetutamente si ritirò a Ravenna.
Teodorico dopo un lungo assedio sconfisse e fece uccidere Odoacre a Ravenna
nel 493 e gli Ostrogoti si insediarono in Italia.
Teodorico in una prima fase cercò la collaborazione con la classe dirigente
romana e tra essa scelse i suoi più stretti collaboratori, uomini di cultura come
Cassiodoro e Boezio. Più difficili furono i rapporti con la chiesa romana perché
gli Ostrogoti essendo ariani vedevano con sospetto il crescente potere del
vescovo di Roma. Quando l’imperatore di Costantinopoli prese a perseguitare gli
ariani la frazione antiromana degli Ostrogoti si allarmò temendo una congiura tra
il papa e l’imperatore a danno di loro. Teodorico allora cambiò politica,
imprigionò il papa e uccise Boezio e altri esponenti della classe dirigente
romana.
526
Teodorico morì lasciando una stato in crisi. La figlia Amalasunta regnò in nome
di suo fratello, Atalarico, che aveva solo otto anni, e associò al governo il cugino
Teodato.
535
Teodato fece imprigionare e uccidere la cugina e moglie Amalasunta, per
governare da solo, con l’accusa di aver tramato con l’imperatore d’oriente ai
danni del suo popolo.
Atalarico era morto prematuramente da alcuni anni.
535-554 Guerra gotica-bizantina.
Fu il pretesto per l’intervento Bizantino in Italia e l’inizio di una guerra tra Goti e
Bizantini di 19 anni.
552
I Bizantini sconfissero l’ultimo re Goto, Teia, in ottobre, a giugno era stato
sconfitto il grande re Totila, e dopo poche resistenze il regno Ostrogoto crollò
definitivamente.
Così uno dei più grandi sovrani Bizantini, Giustiniano, riuscì a far crollare uno
degli Stati romano-barbarici.
554
Con la Prammatica Sanzione, Giustiniano, ristabilì l’autorità imperiale
annullando tutte le leggi dei re Goti, ed estese poteri politici ai signori e ai
vescovi, ai quali fu concesso anche il potere di eleggere i governatori delle
province.
Monachesimo.
Verso la fine del 400 si sviluppò il monachesimo occidentale, prima in Irlanda,
poi in Italia. In Italia l’avvio fu dato da Benedetto da Norcia ai primi del 500; nel
529 si trasferì a Montecassino dove fondò un’abbazia ed elaborò la regola “ora
et labora”.
568
590
I LONGOBARDI.
I Longobardi, un popolo di barbari nomadi, invadono l’Italia settentrionale
conquistando Aquileia, Verona e Milano nel 569 e Pavia nel 572.
Conquistorono anche parte dell’Italia meridionale formando i ducati di Spoleto e
Benevento, governati da duchi Longobardi.
Sotto il dominio bizantino restava la Sicilia, la Sardegna, la Calabria, la
Basilicata, la Puglia, Napoli, Roma, Ravenna e Venezia.
I Longobardi erano un popolo con una debole coesione politica e solo
lentamente riuscirono a creare uno stato. Erano divisi in bande ognuna con un
capo autonomo. Fino al 590 si succedettero vari re tutti uccisi dagli altri capi.
Diventa re Agilulfo, già duca di Torino, che inizia ad esercitare effettivamente il
potere regio.
Il territorio fu diviso in ducati con duchi di nomina regia. Un gruppo di funzionari
regi, Gastaldi, aveva il compito di amministrare le terre che il re possedeva in
ogni ducato e di esercitare il controllo sui duchi. I duchi nel loro territorio
avevano pieni poteri di amministrazione, giustizia e riscossione delle tasse. Era
un sistema embrionale del potere politico feudale.
ECONOMIA.
Decaduti i centri cittadini, che avevano subito ripetute invasioni dei Goti e Longobardi e
saccheggi durante la guerra tra Goti e Bizantini, abbandonata la campagna, la nuova
organizzazione economica è esercitata nelle curtes, le antiche ville romane.
Le curtes sono costituite da una parte gestita direttamente dal signore e coltivata dai servi
dipendenti e da vari appezzamenti, i mansi, dati in concessione a famiglie di coltivatori
tenuti a pagare un canone annuo, census. A differenza delle ville romane esse hanno
scarsissimi contatti con il mercato, tendono ad acquisire un’autonomia economica.
Spesso il nucleo centrale è un luogo fortificato. Tra i membri della comunità e il signore si
instaurano rapporti che riguardano la vita politica, amministrativa e la difesa del territorio.
Attorno a questa vita economica vi sono zone di selve e paludi dove è esercitata la caccia
e l’allevamento brado del bestiame, specie i suini. Nelle terre coltivate le colture dominanti
sono i cereali. Economia cerealicola-pastorale in zone limitate circondate da vaste zone
incolte e boschi.
LEGISLAZIONE. Tutti i sudditi erano assoggettati alla stessa legislazione (superata la
concezione personale del diritto) scaturita da una fusione del diritto popolare germanico e
le leggi romane in vigore. Il sistema primitivo era basato soprattutto sulla riparazione in
denaro del delitto commesso.
PAPATO.
Per la debolezza dell’impero d’oriente e degli stessi ducati aumenta l’autorità politica del
papato. Verso la fine del 500, con il papa Gregorio I Magno (590-604) la chiesa si
sostituisce ai magistrati, aumenta il potere dei vescovi e il papa svolge una politica
autonoma; il ducato romano fu quasi una stato indipendente: fu l’inizio del potere
temporale della chiesa che si accrebbe con le donazioni di territori fatte dai Longobardi e
dai Franchi. L’opera del papa Gregorio Magno non fu indirizzata al rafforzamento
dell’autorità politica della chiesa, questa fu una conseguenza dello scarso potere
imperiale; egli operò una vasta riforma interna della chiesa e dette un contributo
essenziale per cristianizzare gli Anglo-Sassoni e i Longobardi, in quest’opera fu
appoggiato da Teodolinda, principessa bavarese, moglie di Autari prima e di Agilulfo poi.
La conversione dei Longobardi al cristianesimo avvenne successivamente nel 653.
726
L’imperatore Leone III di Bisanzio con un decreto vietava il culto delle immagini
sacre e ne ordinava la distruzione, iconoclastia, inoltre fece confiscare i bene
ecclesiastici e ordinò la chiusura dei conventi allo scopo di rafforzare l’autorità
imperiale. La chiesa di Roma condannò tale decreto rendendosi insieme a
Napoli, Ravenna e Venezia sempre più indipendente da Bisanzio.
727
Il funzionario bizantino inviato a reggere il ducato di Roma fu accecato e al suo
posto fu eletto un rappresentante dell’aristocrazia romana. Poco dopo anche
Ravenna insorse e uccise l’esarca. A Venezia fu eletto il primo Doge autonomo.
Il re longobardo Liutprando visto il momento favorevole occupò i territori
dell’esarcato e la pentapoli e si spinse nel ducato romano fino a Sutri. Il papa,
insieme ai duchi di Spoleto e Benevento e a Venezia si oppose energicamente
all’espansione longobarda e Liutprando dovette ritirarsi e abbandonare i territori
conquistati e restituì Sutri non a Bisanzio ma alla Chiesa <<ai beatissimi apostoli
Pietro e Paolo>>.
L’espansione longobarda non trovava più ostacolo nella resistenza bizantina ma
nel papato con la sua autorità morale. A questo episodio si fa risalire il potere
temporale dei papi, anche se era già iniziato sotto il papa Gregorio Magno.
La chiesa si stava sviluppando anche come organismo politico in quanto anche
senza il diritto stava, di fatto, costituendo un suo stato nel territorio del ducato
751
752
756
771
774
romano: aveva ormai un vasto patrimonio, costituito da grandi possedimenti
fondiari, formato dalle donazioni dei fedeli; e soprattutto aveva esteso la sua
influenza spirituale in tutte le regioni che erano appartenute all’impero romano.
Fu soprattutto la resistenza all’espansionismo longobardo a favorire l’alleanza
tra il papato e i Franchi.
Il re longobardo Astolfo riprese l’offensiva e conquistò l’esarcato e la pentapoli.
Nel regno franco terminava la dinastia merovingia e veniva eletto re Pipino il
Breve, figlio di Carlo Martello che nel 722 fermò gli arabi a Poiters, con il
consenso del Papa Zaccaria e del Monaco Bonifacio.
Il successore di Zaccaria Papa Stefano III strinse l’alleanza con Pipino contro la
minaccia longobarda con le seguenti condizioni: Pipino avrebbe cacciato Astolfo
dall’esarcato e dalla pentapoli e il papa diede a Pipino il titolo di patrizio romano.
Pipino, prima nel 754 poi nel 756 venne in Italia e tolse i territori conquistati da
Astolfo ai Longobardi e li trasferì alla Chiesa. Fu costituito così ufficialmente lo
Stato Pontificio che comprendeva il ducato romano, l’Esarcato e la Pentapoli
sotto la protezione politica del re franco.
Desiderio re dei Longobardi, salito al trono con l’appoggio del papa dopo aver
promesso delle concessioni territoriali allo stato pontificio, volle stringere rapporti
con i Franchi e dette sua figlia in sposa a Carlo, figlio di Pipino. Morto Pipino nel
768 salirono al trono Carlo e il fratello Carlomanno.
Morto Carlomanno, nel 771, Carlo riprese il programma contro i Longobardi.
Ripudiata la moglie longobarda, Carlo venne in Italia con un forte esercito che
presto ebbe la meglio di Desiderio. Nel 774 fu liberata Pavia, Desiderio fu
rinchiuso in un convento e suo figlio Adelchi costretto a fuggire in Oriente.
Carlo stabilì il dominio franco su tutta l’Italia settentrionale e fece delle cessioni
al papato: la Toscana e i ducati di Spoleto e Benevento.
Scomparso il regno Longobardo nel 774, il ducato di Benevento restò autonomo,
ultimo baluardo longobardo, Bisanzio conservò l’Italia meridionale, Venezia
ottenne la completa autonomia da Bisanzio.
CARLOMAGNO.
Salito al trono nel 771 e sconfitti i Longobardi nel 774, Carlo rafforzò i legami con la
Chiesa al punto di intromettersi anche sulle questioni religiose come quando rifiuta le
decisioni del Concilio di Nicea, 787, sulla iconoclastia e condanna la dottrina degli
adoratori delle immagini. Il mondo ecclesiastico tende a riconoscere in Carlo il sovrano
politico di tutto il popolo cristiano, difensore della cristianità, era un nuovo concetto di
imperatore. D’altra parte tutti i funzionari di Carlo erano ecclesiastici, perché dopo secoli di
decadenza e crisi non vi era più istruzione e cultura al di fuori della chiesa.
Dopo il frazionamento politico dei secoli precedenti nel 700 si assiste ad un processo di
unificazione che portò all’espansione della monarchia franca, allo sviluppo dell’autorità
politica del papato e nell’alleanza tra queste due forze.
Carlo inizia l’espansione verso il territorio germanico e la lotta contro gli arabi in Spagna al
solo scopo di proteggere i territori di confine dalle continue incursioni nemiche.
772-785 Spedizione contro i Sassoni. Solo nel 785 fu vinto il valoroso capo Vitikindo e
Carlo impose la loro conversione al cattolicesimo.
776
Nel 776 iniziò la prima spedizione contro gli Arabi della Spagna che si concluse
con una disfatta, la retroguardia franca, sorpresa in un’imboscata, fu distrutta a
Roncisvalle, capo era il paladino Roland. Successivamente riprese l’offensiva e
fu conquistata la Gothalandia, attuale Catalogna, con capitale Barcellona. Alle
vicende di questa guerra appartengono le gesta dei paladini, i cavalieri di Carlo
800
esaltati nei poemi epici (chansons de geste), primi capolavori francesi.
Spedizione contro gli Avari con due eserciti: Carlo scese lungo il Danubio e il
figlio Pipino, re d’Italia, avanza dal Friuli. Occuparono il territorio degli Avari e si
impadronirono dell’immenso tesoro che essi avevano accumulato con le razzie.
Successivamente anche gli slavi della Slavonia e Croazia furono sottomessi. Di
conseguenza alla fine del 700 intorno al regno franco si era ricostituito un
impero solido, forte militarmente e sicuro ai confini.
Il 25 dicembre, nella basilica di San Pietro, il papa Leone III proclamava Carlo
imperatore. Si riformava il Sacro Romano Impero che comprendeva buona parte
dell’Europa Occidentale, il mondo romano e germanico. L’impero fu diviso in
Contee e Marche, i territori di confini; i conti molto indipendenti dall’imperatore
erano controllati dai Missi Dominici, che facevano visite annuali.
Nel regno di Carlo ci fu anche una rinascita culturale, fu istituita un’accademia,
la schola palatina, presieduta dal monaco Alcuino.
L’economia del periodo carolingio è soprattutto agricola. I villaggi rurali, così
come le città in quanto non vi era molta differenza nell’economia e nella cultura
tra città e campagna, erano un insieme di lotti di terreno, chiamati mansi,
costituite da un appezzamento recintato, una casa in legno o fango e frasche,
dove abitava una famiglia. La terra in genere era di proprietà del signore:
sovrano, chiesa o nobile laico (conte o avvocato), che la cedeva in concessione.
Questi villaggi devono essere considerati come isole in mezzo a grandi distese
incolte.
Carlo promosse anche un’importante riforma monetaria con la quale stabiliva
che solo il sovrano aveva il diritto di coniare monete e che queste dovevano
essere di un solo metallo, l’argento. Poco dopo la morte del sovrano questo
privilegio non era solo del sovrano ma anche conti e abbazie maggiori potevano
coniare monete.
Fine700 FEUDALESIMO.
Inizi800 E’ un sistema di organizzazione del potere politico che si basa su determinate
condizioni economiche.
Il centro della vita sociale si sposta dalla città alla villa a causa della decadenza
del grande commercio, dell’insicurezza determinata dalle invasioni e dalla rovina
delle città. La villa diventa il punto di riferimento dell’organizzazione politica,
amministrativa e militare, gli stessi contadini si pongono sotto la protezione del
signore (SIGNORIA RURALE). La grande proprietà fondiaria, frutto di donazioni
del sovrano ai suoi compagni d’armi, prede di guerra o patrimonio di antiche
aristocrazie, coordina le attività produttive e assicura al sovrano
un’organizzazione militare già verso la fine della dinastia merovingia e tende a
diventare un organismo politico sociale autonomo, chiuso.
I Signori, Vassalli, ricevono un beneficio dal sovrano e gli promettono fedeltà e
aiuto militare, in questo modo acquisiscono una certa sovranità nel loro territorio
e diventano immuni dall’intervento del regio potere.
Nel momento in cui questa situazione verrà riconosciuta e codificata attraverso
una serie di norme e un rituale che regolano questi rapporti sociali e politici
nasce il Feudalesimo.
Le zone di proprietà libere, non soggette al feudo, si chiamano Allodi.
Il Signore amministra la giustizia per tutti gli abitanti del villaggio percependo le
ammende. Obbliga gli abitanti a servirsi dei suoi mulini, dei suoi forni, della sua
taverna e vieta l’impianto di tali attrezzature (potere di banno). Impone tasse
sugli scambi, pedaggi sulle strade e ponti, esige prestazioni di lavoro (corvee,
angerie) ed emette imposte straordinarie, taglie. Nel villaggio non c’è spazio per
l’esercizio di attività economiche indipendenti.
I rapporti di vassallaggio non esistevano soltanto tra il sovrano e i grandi signori
ma anche tra questi e nobili minori con una serie di vincoli di dipendenza
personali.
Questa organizzazione del potere, in cui l’ordinamento rigidamente gerarchico si
unisce alla quasi completa autonomia in ogni grado della scala di autorità è il
sistema feudale vero e proprio.
VASSALLAGGIO. Contratto per il quale un uomo diventa il fedele di un altro.
INVESTITURA. Quella parte del rito in cui il Signore dava un dono simbolico al
suo vassallo per riconoscerli la concessione di un feudo.
Conseguenza del feudalesimo fu che il sovrano vide ridotti i suoi poteri. I grandi
signori tendono a dare carattere di ereditarietà al loro feudo. Quindi vi è una
tendenza a cristallizzare e rendere permanente la suddivisione del potere.
Anche la Chiesa partecipò al sistema feudale con la formazione delle Signorie
Fondiarie sulle quali gli enti ecclesiali acquistano gli stessi poteri dei feudatari.
Sotto l’Impero Carolingio, contro le signorie ecclesiastiche che godevano
dell’immunità, il sovrano istituì l’avvocatura per limitare il potere agli enti religiosi.
L’avvocato era un rappresentante laico che amministrava la giustizia ed
esercitava le funzioni pubbliche. Col tempo i legami tra sovrano e avvocato si
ruppero e quest’ultimo divenne un vassallo della signoria ecclesiastica. Soltanto
con la riforma del Papa Gregorio VII questa situazione cambiò e molti signori
persero l’avvocatura.
Per limitare il potere dei conti e dei grandi signori feudali, i sovrani, attribuirono
parte delle funzioni politiche-amministrative ai vescovi. Inizialmente al vescovo
fu riservato il governo del centro della diocesi, delle città mentre il conte
esercitava il potere nella campagna circostante (da qui il contado). In seguito gli
imperatori affidarono intere contee ai vescovi per contrastare lo spirito di
indipendenza dei signori laici. Da qui sorsero i conflitti tra l’autorità religiosa e
politica.
NORMANNI (uomini del nord).
Erano i vichinghi provenienti dalla Danimarca e dai paesi scandinavi. Con la loro flotta
formata da imbarcazioni molto agili iniziarono le loro escursioni alla fine del 700
saccheggiando le città costiere della Francia e della penisola iberica. Nel 911 si stabilirono
sulla riva della bassa Senna, la regione prese poi il nome di Normandia.
Durante l’anno 1000 da qui partirono nuovi gruppi che giunsero in Inghilterra e in Italia
Meridionale.
Intorno all’anno 882 i Vareghi, un gruppo di normanni provenienti dalla Svezia emigrarono
in Russia a Kiev creando le premesse per lo stato russo.
Verso la fine dell’800 vi furono delle devastanti incursioni degli Ungari nell’Italia
Settentrionale, Baviera, Francia con saccheggi e distruzioni; Pavia fu presa nel 904.
Nello stesso periodo gli Aglabiti (popolo arabo) invasero l’Italia meridionale e la Francia; la
conquista della Sicilia iniziata nel 827 terminò nel 965, anno in cui cadde Rometta ultima
roccaforte bizantina. Il risultato di queste incursioni furono il peggioramento delle
condizioni di vita, la disgregazione della società e la decadenza delle attività commerciali.
Le masse dei contadini colpiti in modo particolare dalle invasioni si strinsero sempre di più
attorno ai signori ed ai capi militari consolidando sempre di più il sistema feudale.
Alla morte di Carlo magno ci fu la disgregazione dell’Impero carolingio perché nessuno dei
suoi successori ebbe doti necessarie per proseguire la sua opera.
813
814
817
823
877
881
887
987
996
1.031
1.060
Carlo Magno, morti i figli Carlo e Pipino, lasciò l’impero al terzo figlio Ludovico.
Morte di Carlo Magno.
Ludovico, detto il Pio, associò all’impero il figlio Lotario, agli altri due figli, Pipino
e Ludovico, fece svolgere funzioni di vicere in Francia meridionale ed in
Germania (ordinatioo imperii).
Nasce Carlo, detto poi il Calvo e Ludovico fu costretto a rimettere in discussione
l’ordinatioo imperii ai danni del primogenito Lotario. Fu l’inizio di una guerra civile
che terminàò nel 843 con la Pace di Verdun, in cui fu diviso definitamente
l’impero.
Dopo Ludovico II ebbe la corona Carlo Il Calvo.
Capitolare di Quierzy. Sanciva il riconoscimento della ereditarietà dei grandi
feudi che Carlo il Calvo fu costretto a cedere per sedare la ribellione dei principi.
Nello stesso anno moriva Carlo Il Calvo. Durante il suo regno vi furono:
incursioni normanne, pirateria saracena, rivolte interne, tendenze
indipendentistiche dei grandi signori che portano lo stato alla sfacelo.
Dopo un periodo di conflitti dinastici fu imperatore Carlo il Grosso, che incapace
per personali debolezze e difficoltà della situazione, fu deposto nel 887. Il suo
ultimo gesto umiliante fu il pagamento di un riscatto ad una banda di Normanni
che assediava Parigi.
Deposizione dell’imperatore Carlo il Grosso e fine della dinastia carolingia.
L’impero era finito e tutto il suo territorio era coperto da una rete di signorie
feudali.
Dopo il periodo carolingio, in Francia, divisa da grandi feudatari, si assiste ad un
periodo di anarchia in cui l’autorità regia era nullo al di fuori del territorio della
corona e un aumento del potere dei grandi feudatari come il duca d’Aquitania, il
conte di Tolosa, l’arcivescovo di Reims.
Viene eletto re Ugo Capeto che da avvio alla dinastia dei capetingi che fece
istituire la prassi della ereditarietà della monarchia.
Divenne re Roberto il Pio, figlio di Ugo Capeto.
Enrico I.
Filippo I.
In Inghilterra il sistema feudale fu impiantato dai normanni.
1.066
Guglielmo il Conquistatore, duca della Normandia, sbarcò in Inghilterra con un
forte esercito e vinse i sassoni del re Aroldo nella battaglia di Hastings anche
per merito della cavalleria pesante.
Guglielmo si fece incoronare re d’Inghilterra e divise il territorio in feudi che
distribuì ai capi militari che lo avevano seguito, seguendo il modello francese.
Durante il suo regno egli realizzò la fusione tra anglosassoni e normanni.
Regno d’Italia.
Nell’Italia centro-settentrionale, che faceva parte del regno Longobardo prima e
dell’Impero di Carlomagno poi, esplose contese per il potere regio tra l’887 e il 960 e quelli
che riuscirono a conquistarlo, Berengario I, Guido da Spoleto, Rodolfo da Borgogna, Ugo
di Arles, Berengario II, ebbero solo un’autorità formale e furono travolti dalle ribellioni di
altri feudatari.
888
926
950
Fu re Berengario I marchese del Friuli, subito detronizzato fu rieletto nel 898 e di
nuovo detronizzato prima da Ludovico, re di Provenza, poi da Rodolfo duca di
Borgogna che lo fece assassinare nel 924.
Fino al 946 ci fu il regno di Ugo di Arles, a cui fu imposto di abdicare a favore del
figlio Lotario.
Fu re Berengario II, marchese d’Ivrea, con il quale terminò il regno d’Italia
autonomo.
Stato pontificio.
Anche lo Stato pontificio e il papato fu colpito dalla crisi dopo la fine dell’impero carolingio.
Con l’assassinio del papa Giovanni VIII, voluto dall’aristocrazia romana, si aprì il periodo
più fosco della storia del papato. Roma fu teatro di feroci contese tra le famiglie feudali.
882
897
962
L’aristocrazia romana fece assassinare papa Giovanni VIII.
Processo a papa Formoso in seguito ai contrasti per la corona imperiale tra
Arnolfo di Carinzia e Lamberto di Spoleto.
Assassinio di papa Stefano VII.
Il capo della nobiltà romana, Teofilatto, che era il comandante della milizia
romana, insieme a sua figlia Marozia furono i padroni della città e del seggio
pontificio e dal 900 al 963 fecero eleggere diversi papa.
Ottone di Sassonia pose fine a questa situazione di disordine e corruzione, fece
deporre da un concilio il papa Giovanni VII, nipote di Marozia e fece eleggere
Leone VIII. In quella stessa occasione egli ricevette la corona imperiale. Emanò
la Privilegium Othonis che dava disposizioni procedurali per l’elezione del
pontefice e da quel momento i papi furono eletti dietro il consenso
dell’imperatore Ottone. Egli inoltre sconfisse Berengario e aggregò il Regno
d’Italia alla Germania.
Impero germanico.
Il regno di Germania era composto da quattro gruppi etnici: Sassonia, Franconia, Svevia e
Baviera. La lotta contro le invasioni dei Scandinavi, Ungari e Slavi fece superare le
rivendicazioni e i particolarismi regionali.
919
936
950
962
972
973
996
1002
Elezione del primo re di Germania della dinastia di Sassonia, Enrico che riuscì a
fare intese politiche e ad avere contatti economici con gli Scandinavi.
Elezione del figlio Ottone I che assicurò definitivamente la difesa dei confini e
fece superare le tendenze particolaristiche che minacciavano l’unità del regno.
Questi risultati furono raggiunti con la trasformazione della Chiesa nel più
importante organismo di governo politico del regno e rinunciando in parte alla
collaborazione dell’aristocrazia laica. A questa svolta fu costretto anche dalle
frequenti rivolte interne. Scelti e nominati da re, i vescovi furono i cardini
dell’amministrazione del regno. Ottone creò una forza militare, alla cui
organizzazione provvedevano gli stessi vescovi, tra le più potenti allora, che gli
permise un’azione efficace per la difesa e l’espansione del regno. Egli sconfisse
gli Ungari a Lechfeld nel 955 e pose fine alle loro periodiche incursioni in
Germania e Italia e ricostituì la marca d’Austria, creata da Carlomagno. Egli
incorporò il ducato di Boemia al regni di Germania.
Venne in Italia e aiutò Berengario II a conquistare il regno d’italia, contro Ugo di
Provenza e suo figlio Lotario. La protezione durò poco perché nel 962 l’Italia
venne annessa alla Germania.
Tornò in Italia chiamato da Giovanni XII, emanò la Privilegium Othonis e si fece
eleggere imperatore il 2 febbraio. Sconfisse Berengario II e aggregò il regno
d’Italia alla Germania. Nel 963 fece deporre Giovanni XII e eleggere Leone III.
La sua presenza in Italia e soprattutto la spedizione militare che giunse fino in
Puglia suscitarono l’ostilità dei bizantini che non volevano riconoscere l’impero
ad un barbaro. Ottone con trattative superò queste difficoltà e l’imperatore
d’Oriente gli riconobbe il titolo di imperatore e acconsentì le nozze tra suo figlio e
la principessa bizantina Teofane nel 973. L’impero di Ottone I anche se
universale per il suo carattere cristiano e per il richiamo alla tradizione romana
aveva le sue basi nel mondo germanico e la sua azione politica si concentrò in
questa realtà. Diverso fu l’atteggiamento dei suoi successori.
Ottone II fu impegnato a superare la crisi successiva alla morte del padre nel
973 e a rivendicare le terre promesse in dote a Teofane. In questo tentativo si
spinse fino in Calabria dove a Stilo ricevette una grave sconfitta da parte dei
mussulmani.
Ottone III aveva tre anni alla morte del padre e giunse all’esercizio effettivo del
potere nel 996, all’età di 19 anni. Il suo programma di restaurazione dell’antico
impero universale di Roma lo allontanò dalla Germania, si trasferì a Roma dove
elesse al pontificato prima suo cugino Gregorio V (996-999), poi il suo ex
precettore Gerberto d’Aurillac (Silvestro II, 999-1003). In questo modo perdette i
legami con la sua terra causando risentimenti tra i signori tedeschi perché la
Germania perdeva l’egemonia nell’impero, mentre a Roma non trovò un
ambiente favorevole ai suoi progetti. La sua debolezza politica determinò il
riaccendersi delle lotte aristocratiche finchè nel 1001 dovette abbandonare la
città insieme a Silvestro II.
Morte di Ottone III per malattia all’età di 22 anni.
I fatti più importanti per l’impero germanico durante il regno dei suoi successori
Enrico II (1002-1024) e Corrado II il Salico della dinastia di Franconia (1024-
1039) fu la ripresa dell’offensiva della grande feudalità laica italiana con la rivolta
di Arduino d’Ivrea, il rafforzamento degli stati Ungheria e Polonia a est della
Germania, l’annessione della Borgogna, le rivolte all’interno della classe feudale.
Il movimento di trasformazione del sistema feudale pur interessando tutto
l’occidente ebbe l’epicentro nell’Italia settentrionale dove i valvassori, vassalli dei
baroni, rivendicarono il diritto di ereditarietà dei loro feudi che i grandi feudatari
avevano conquistato nell’ottocento. Dal contrasto si passo alla guerra quando i
valvassori di Milano si unirono con giuramento e sconfissero l’esercito dei grandi
signori che comprendeva la grande aristocrazia laica ed ecclesiastica a
Campomalo. L’imperatore Corrado II richiamato in Italia si schierò a favore dei
piccoli feudatari emanando una legge la Constitutio de feudis, nel 1037 con la
quale accoglieva le loro richieste. Intanto nelle città emergeva un nuovo fattore
di mutamento, il popolo. A Milano sotto la guida di Lanzone della Corte i
popolani presero parte alla lotta prima a sostegno dell’arcivescovo Ariberto
contro Corrado, successivamente contro Ariberto cacciandolo dalla città e con
un accordo parteciparono insieme ai nobili al governo della città.
CAVALLERIA.
Verso la fine dell’anno 1000 fu istituita la cavalleria, una corporazione di guerrieri
professionali. Si ritiene che a formarla siano stati i cadetti, figli non primogeniti, esclusi
dalla successione feudale. Inizialmente erano guerrieri pronti a combattere non solo per
buoni ideali ma pronti a sfruttare tutte le occasioni. Per limitare il dilagare della violenza la
chiesa reagisce e pian piano riesce a trasformare le masse dei cavalieri in
un’organizzazione regolata da un’insieme di norme ispirate in parte alla religiosità
cristiana. Si elabora in questo modo il concetto di guerra santa contro gli infedeli, che
diventò in un certo periodo la principale attività della cavalleria.
1.0001.300
Verso la fine del X secolo si verifica un aumento della popolazione dovuto pare
ad un clima politico-sociale meno sfavorevole; le popolazioni barbare
dell’Europa orientale si sono stabilizzate, l’anarchia feudale si attenua. Come
conseguenza dello sviluppo demografico si assiste al dissodamento di nuove
terre, creazione di nuovi centri rurali, aumento di abitanti nelle città e
l’allestimento di nuove crociate.
La rinascita delle città dopo il Mille porta ad un’espansione del mercato agricolo.
Protagonista della ripresa commerciale dopo il Mille sono in primo luogo le città
marinare italiane: Venezia, che già alla fine dell’800 aveva acquistato
l’autonomia da Bisanzio, aveva intensificato il mercato con l’Oriente; Amalfi che
perse l’autonomia nel 1.000 perché incorporata nel regno normanno; Genova e
Pisa.
MOVIMENTO CLUNIACENSE.
Nel corso dei secoli la Chiesa si era integrata con il sistema feudale e le autorità
ecclesiastiche molto spesso si identificarono con i detentori del potere politico al punto di
perdere il contatto spirituale e religioso con la società e il mondo cattolico. Manifestazione
tipica di questo fenomeno era la consuetudine diffusa tra le autorità politiche di conferire ai
vescovi e abati l’investitura delle funzioni spirituali e politiche, spesso anche militari.
Veniva meno in questo modo la missione spirituale della Chiesa.
Un movimento di riforma si sviluppo nel 900 con la fondazione del monastero di Cluny in
Borgogna nel 910. Il monastero cluniacense, che si estese in Europa e in Italia ebbe i suoi
centri nei monasteri di Camaldoli, Vallombrosa, Montevergine e Fonte Avellana, si
propose il compito di moralizzare la vita ecclesiastica e di riportare il clero alla funzione
spirituale. Essi furono contro il concubinato del clero e contro la simonia, l’acquisto delle
cariche ecclesiastiche per denaro. I monasteri aderenti si sottrassero all’autorità dei
vescovi, i principali responsabili della corruzione, e si posero direttamente alle dipendenze
del pontefice. I monaci riformatori inoltre incoraggiarono le ribellioni dei ceti popolari contro
i vescovi-conti che governavano le città.
1.052
1.059
1.073
Viene eletto papa Niccolò II che insieme al suo consigliere, il monaco Ildebrando
di Soana appartenevano al movimento riformatore.
Nel 1.059 fu convocato il sinodo del Laterano per affrontare i problemi
dell’organizzazione ecclesiastica. Le soluzioni a cui pervenne il concilio fu la
necessità di sottrarre la chiesa al potere dei sovrani e dei signori. Fu modificato
il sistema di elezione del pontefice che prima spettava al clero e al popolo di
Roma, ora fu riservata ai cardinali, cioè ai titolari delle chiese di Roma e delle
diocesi vicine. Sancì il divieto di ricevere cariche ecclesiastiche da parte delle
autorità politiche.
Fu eletto papa Ildebrando di Soana col nome di Gregorio VII, le riforme si
svilupparono ulteriormente e nel 1.075 fu convocato un nuovo sinodo in cui si
affermava la superiorità del pontefice su tutti i sovrani e lo stesso imperatore. Il
potere politico dei sovrani era considerato legittimo solo se riconosciuto dal
papa.
Enrico IV si ribellò e nel 1.076 convocò a Worms un nuovo sinodo di vescovi
tedeschi che dichiararono decaduto il papa.
Gregorio VII rispose scomunicando il re Enrico IV, significava sciogliere i sudditi
dal vincolo di fedeltà all’imperatore. Enrico IV preoccupato per le ribellioni che si
manifestarono tra i feudatari si impegnò per riscattare il perdono del papa. Nel
gennaio del 1.077 con la mediazione della contessa Matilde e l’abate Ugo di
Cluny il papa lo liberò dalla scomunica. In questo modo Enrico IV riuscì ad
indebolire l’opposizione dell’aristocrazia laica e nel 1.080 riuscì a sedare tutte le
ribellioni.
Nel 1.080 fu nuovamente scomunicato perché aveva ripreso l’investitura dei
vescovi. Enrico IV convocò un nuovo sinodo a Brixen e fece deporre Gregorio
VII e fece eleggere al suo posto Ghiberto di Ravenna, Clemente III. Enrico IV
venne a Roma e fece insediare l’antipapa e si fece proclamare imperatore.
Gregorio rimase assiedato a Castel S. Angelo, poi un gruppo di normanni, dopo
aver saccheggiato Roma lo prelevò e lo portarono a Salerno, dove morì nel
1.085. Il programma del papa Gregorio VII fu continuato dai suoi successori e
nella stessa Germania, nel monastero di Hirsau che seguiva le regole
cluniacensi, l’azione di riforma fu portata avanti creando attorno all’imperatore
un’atmosfera di ostilità e fomentando la ribellione della feudalità laica.
Lo stesso figlio di Enrico IV, Enrico V si schierò con l’opposizione e l’imperatore
fu costretto a fuggire, morì a Liegi nel 1.106.
CONCORDATO DI WORMS.
Pose fine alla lotta delle investiture. La lotta tra il papato e l’impero terminò e il
compromesso fu stipulato tra il papa Callisto II e l’imperatore Enrico V nel 1.122. Con
questo accordo l’investitura dei vescovi era riservata al papa mentre all’imperatore veniva
concessa la facoltà di concedere ai vescovi anche poteri politici. Solo in Germania
l’investitura secolare era preceduta da quella religiosa. Veniva confermata la nuova
modalità di elezione del pontefice.
In questo modo si indeboliva e cadeva quasi del tutto il potere imperiale in Italia. Le
aspirazioni delle città a rendersi indipendenti dal dominio feudale trovarono possibilità
pratica di realizzarsi. In molte città dell’Italia settentrionale indebolita l’autorità politica del
vescovo-conte, il vuoto di potere fu colmato dagli stessi cittadini uniti da comuni interessi e
più forti per lo sviluppo delle loro attività economiche.