Giovanni Maria Mazza
“Dal reale al possibile”
© 2004 AndreaOppureEditore
Via degli Aldobrandeschi, 67 - 00163 Roma
www.oppurelibri.it
[email protected]
Prima edizione luglio 2004
Finito di stampare nel mese di luglio2004
presso C.S.C. Graica - Roma
Giovanni Maria Mazza
Dal reale al possibile
AndreaOppureEditore
Presentazione dell’opera intitolata “Dal reale al possibile.Il determinismo tra filosofia e fisica”
Il libro che offro alla curiosità del lettore è la sintesi di una mia ricerca sul determinismo, su cui ho
condotto a lungo degli studi.
In questa esposizione della mia indagine muovo dalla considerazione del pensiero fisico e filosofico
di Galileo che, insieme a Newton, Kant e Laplace, è stato il riferimento classico su cui ho riflettuto
maggiormente.
La seconda parte della ricerca si fonda sull’esame dei risultati ottenuti dalla fisica dei quanti. A
partire da essa, ho messo in rilievo che tale fisica ha indotto, sulla base dei suoi principi
fondamentali ( di sovrapposizione degli stati e di indeterminazione) e delle sue equazioni, a
riesaminare il concetto di probabilità in rapporto al comportamento dei microoggetti e, quindi, in
relazione alla natura.
Tale concetto ho evidenziato riferendomi alle particelle elementari, delle quali si era soliti pensare
avessero un comportamento classico ( traiettorie ben definite ), tanto che Bohr, nel 1913, propose
un modello dinamico dell’atomo analogo ad un microsistema planetario.
Di fronte alla difficoltà d’ interpretare in modo classico l ‘equazione di Schrödinger ( proposta nel
1926 ), per la descrizione degli stati di una particella sottoposta a un campo, fu Born ad escogitare
un’interpretazione probabilistica della funzione d’onda ( più esattamente, del quadrato del modulo
della funzione d’onda ) che soddisfaceva l’equazione di Schrödinger.
Tuttavia fu con la scoperta del principio d’indeterminazione di Heisenberg, avvenuta nel 1927, dopo
la creazione dell’apparato formale della meccanica dei quanti, che divenne impossibile, in linea di
principio, descrivere il comportamento degli elettroni intorno al nucleo in termini di traiettorie. Il
concetto di traiettoria, fondamentale nella meccanica classica e nel determinismo meccanicistico,
non poteva più essere applicato al comportamento degli elettroni nell’atomo.
I principi di sovrapposizione degli stati e d’indeterminazione e le equazioni fondamentali della
fisica dei quanti hanno reso necessario introdurre un concetto di probabilità del tutto nuovo nella
spiegazione del comportamento dei microoggetti: un concetto di probabilità non dovuto alla nostra
parziale conoscenza del sistema osservato, ma richiesto necessariamente dal comportamento
imprevedibile delle particelle atomiche ( oggetti quantici, in genere ) nelle loro interazioni con gli
oggetti classici e, quindi, anche in quelle con gli apparati di misura. Tale concetto è quello di una
probabilità interamente stocastica, e comportò, dunque, una profonda e innovativa riflessione sulla
natura, sulla fisica classica e sulla concezione deterministica che ad essa era legata.
Fu così che anche il concetto classico di causalità venne profondamente scosso e ridimensionato da
Bohr, Heisenberg e Born.
Alla critica del determinismo classico e della causalità ad esso connessa si opposero sia Planck che
Heinstein, che approfondirono l’analisi sia dell’uno che dell’altra, contribuendo a chiarire
profondamente le caratteristiche distintive della fisica dei quanti.
Lo stesso Born, pioniere dell’interpretazione probabilistica dell’equazione di Schrödinger ( fin dal
1926 ), dopo un dibattito durato molti anni, in un suo libro del 1949, sostenne che “… la causalità è
il postulato il quale afferma che una situazione fisica dipende dall’altra, e la ricerca causale si
propone la scoperta di questa dipendenza.
Tutto ciò – egli aggiungeva – rimane vero anche nella fisica quantistica, sebbene gli oggetti
dell’osservazione, per i quali si sostiene esservi dipendenza, siano differenti: essi sono costituiti
dalle probabilità di eventi elementari, e non da singoli eventi in sé “( Filosofia naturale della
causalità e del caso, ed. Boringhieri, 1967, pag. 129 ).
Sulla stessa linea interpretativa della fisica dei quanti, nel 1957 il fisico russo V. A. Fock propose a
Bohr di rivedere le sue idee sul principio di causalità nella nuova fisica, e lo invitò a considerare
come necessaria l’idea di una causalità probabilistica strettamente connessa alle leggi quantiche e al
concetto di probabilità irriducibile che esse implicavano.
Per quanto riguarda il dibattito più vicino ai nostri giorni, ho particolarmente esaminato le
riflessioni di Roger Penrose sull’interpretazione dell’equazione di Schrödinger e del quadrato del
modulo della funzione d’onda e quelle di Ilja Prigogine sulla descrizione probabilistica dei processi
naturali.
In questa mia ricerca, suscitata dal fondamentale libro di Ernst Cassirer sul determinismo, filosofia
e fisica si intrecciano, convergendo verso un’analisi della concezione deterministica nel suo
sviluppo storico.
IL DETERMINISMO TRA FILOSOFIA E FISICA
Premessa
Ammetto di aver avuto e di avere ancora una grande ammirazione per l'ipotesi atomistica, che
spiegò col moto casuale di indistruttibili atomi eterni i fenomeni della natura.
Ancora oggi non possiamo non apprezzare l'idea che l'ordine cosmico sia stato concepito come un
portato di moti casuali, come un prodotto del moto disordinato degli atomi nel vuoto.
Disordine e ordine furono concepiti da Democrito come possibili stati degli atomi gli uni in
rapporto agli altri nello spazio vuoto e infinito. Egli riuscì ad elaborare una filosofia materialistica
meccanicistica profondamente penetrata di logica matematica (geometria, aritmetica e calcolo
combinatorio), che permetteva di spiegare in linea di principio l'infinita molteplicità e l'ordine
osservabile nella natura, nonché la stessa conoscenza, fondandola sul contatto degli atomi
provenienti dagli oggetti con i nostri organi di senso e, poi, con gli atomi psichici più interni al
nostro corpo (conoscenza sensibile e conoscenza intellettiva, ordinatamente).
Non c'è dubbio che la scienza in senso galileiano e newtoniano abbia fatto propria la filosofia
materialistica e meccanicistica ideata da Democrito, aggiungendovi la ricerca delle leggi
fenomeniche del moto dei corpi (masse) quale risultato della salda alleanza tra la misura delle
grandezze meccaniche (spazi, tempi, masse, velocità, accelerazioni) e la traduzione matematica dei
rapporti generali tra le grandezze misurate. Il divenire che interessa la scienza galileianonewtoniana è quello che si lascia descrivere secondo relazioni matematiche.
Tra i fondamenti atomistici che, secondo me, sono stati accettati da Galileo e Newton, indico i
seguenti: il vuoto come condizione del moto dei corpi, la prima intuizione del principio d'inerzia,
l'idea che la spiegazione dei fenomeni naturali vada ricondotta alle grandezze meccaniche,
l'essenzialità del pensiero matematico nell'interpretazione del comportamento della natura.
Come si sa, è stato Laplace a formulare una teoria deterministica del mondo, corredandola degli
opportuni concetti matematici e fisici. Il presupposto fondamentale del suo determinismo era
l'esistenza di traiettorie perfettamente definite per ogni corpo, comunque piccolo. Ora, questo
presupposto, derivato dallo studio dell'astronomia, è stato scalzato dallo sviluppo della meccanica
quantistica, le cui relazioni di indeterminazione vietano, in linea di principio, che siano
determinabili, contemporaneamente e con grande precisione, la posizione e la velocità di una
qualunque particella elementare lungo una stessa coordinata.
Quindi è sorto il problema di stabilire un ambito di validità per il determinismo meccanicistico o
addirittura quello della giustificazione di una filosofia profondamente indeterminista.
Mi sono addentrato nel campo del pensiero determinista e nella sua crisi novecentesca con
curiosità; e con curiosità spero che venga letta la mia ricerca, nata per capire quella crisi.
L'autore: Giovanni Mazza
Capitolo primo - Leonardo e Galileo
Nel tentativo di misurare il contributo di Galileo Galilei (1564-1642) al determinismo, mi sembra
necessario rilevare il suo legame con la scienza rinascimentale e, particolarmente, con quella
versione di essa che si concretizzò nell'opera scientifica di Leonardo da Vinci.
Di Leonardo va sottolineata la stretta alleanza che egli stabilì tra l’osservazione puntuale, attiva e
sistematica dei fenomeni naturali, matematica (geometria), tecnica e ragionamento; il suo
richiamarsi al modello archimedeo di indagine e dimostrazione; il suo aderire alla concezione
meccanicistica dell'ordine cosmico; il suo contributo alla definizione del principio d’inerzia,
allorché sostenne che la quantità d'impeto, posseduta inizialmente dal mobile, in assenza di attriti, o
comunque di forze frenanti, si sarebbe conservata immutata; e altrettanto immutato, di
conseguenza, sarebbe stato il moto del mobile; l'intuizione del principio di composizione delle
forze; l'intuizione del principio del piano inclinato; quella dell'analogia fra fenomeni luminosi e
ondulatori e la scoperta del principio dei vasi comunicanti; la scoperta delle due leggi dell'attrito
statico1.
“L’uso sistematico del disegno - osserva Ludovico Geymonat - per studiare i fenomeni naturali
pone in luce uno dei caratteri essenziali del metodo scientifico di Leonardo: metodo che non
consiste mai nella pura osservazione, ma nella interrogazione della natura, nel tentativo di
riprodurla, di immaginare il meccanismo dei suoi processi, di riconfrontare poi immediatamente
queste ‘immaginazioni’ con la realtà”2.
Non è pensabile che Galileo non conoscesse piuttosto bene l'approccio scientifico e ingegneristico
di Leonardo alla natura; nè è pensabile che ne ignorasse i più significativi risultati: infatti l’uno e
gli altri erano patrimonio delle persone colte frequentate da Galileo ed erano altresì documentati
sufficientemente.
D'altra parte, come osserva L. Geymonat, Galileo s'ispirò all'opera scientifica
Leonardesca, sia perché fu sostenitore del metodo matematico sperimentale nelle indagini
scientifiche sulla natura, sia perché utilizzò lo stesso modo d'interrogazione della stessa: modo
attivo, concreto e ideale insieme, perché selezionava quegli aspetti della natura che in prima
approssimazione sembravano decisivi per la comprensione di determinati fenomeni naturali; sia
perché anche le più calzanti intuizioni venivano verificate mediante esperimenti ripetuti e ripetibili;
sia perché accolse e sviluppò notevolmente, giustificandola, la necessità e l'utilità della
collaborazione fra scienza e tecnica; sia, ancora, perché condivise con Leonardo la sostanziale
concezione meccanicistica dell'ordine cosmico3.
1
2
3
Vedi Resnick, Halliday “Fisica”, - Ambrosiana, vol. I, p. 105.
L. Geymonat “Storia del Pensiero Filosofico e scientifico”, Vol. II Garzanti, p. 56 – 58.
Tale concezione, come noto, venne sostenuta da Democrito (460 a.C. – 370 a.C.), che, per evitare i problemi
Galileo e il meccanicismo
Un debito evidente Galileo lo contrasse con l’atomismo democriteo, come risulta dalla chiara e
motivata distinzione che egli opera tra qualità meccaniche (primarie) e qualità soggettive
(secondarie).
Discutendo la proposizione secondo la quale “il moto è causa di calore”, e parendogli la sensazione
di caldo dovuta alla nostra sensibilità e non già all'esistenza materiale d'un calore, dice, infatti,
quanto segue:
“…io dico che ben sento tirarmi dalla necessità, subito che concepisco una materia o sostanza
corporea, a concepire insieme ch’ella è terminata e figurata di questa o quella figura, ch’ella in
relazione ad altre è grande o piccola, ch’ella è in questo o quel luogo, in questo o quel tempo,
ch’ella si muove o sta ferma, ch'ella tocca o non tocca un altro corpo, ch'ella è una, poche o molte,
né per veruna immaginazione posso separarla da queste condizioni; ma ch’ella debba essere bianca
o rossa, amara o dolce, sonora o muta, di grato o ingrato odore, non sento farmi forza alla mente di
doverla apprendere da cotali condizioni necessariamente accompagnata: anzi, se i sensi non ci
fossero scorta, forse il discorso o l’immaginazione per se stessa non v’arriverebbe già mai. Per lo
che vo io pensando che questi sapori, odori, colori, etc., per la parte del suggetto nel quale ci par che
riseggano, non siano altro che puri nomi, ma tengano solamente lor residenza nel corpo sensitivo, sì
che rimosso l'animale, siano levate e annichilate tutte queste qualità...”4.
Galileo distingue nettamente "i primi e reali accidenti" da quelli che non sono tali, distingue le
qualità in obiettive e soggettive o, come dirà J. Locke, nel Saggio sull'intelletto umano, in qualità
primarie (quelle oggettive) e secondarie (quelle soggettive e non reali).
Risulta chiaro che Galileo condivideva aspetti assai importanti dell'atomismo: l'idea che le uniche
qualità della materia indipendenti dal soggetto percipiente siano quelle meccaniche; l'idea che le
cose materiali siano nello spazio e nel tempo e che entrino in relazione tra loro grazie ai loro moti;
l'idea, infine, che i fenomeni naturali si possano spiegare utilizzando solo le proprietà meccaniche
delle cose materiali ed i loro moti. A proposito della distinzione tra qualità meccaniche e qualità
soggettive e della riduzione delle seconde alle prime, tanto significativa per lo sviluppo della
4
derivanti dall’infinita divisibilità del continuo matematico, emersi con Zenone di Elea, postulò, limitatamente al
mondo materiale, l’esistenza di particelle indivisibili, dotate delle più svariate forme, impenetrabili, fornite da
sempre di movimento, che immaginava avvenire nel vuoto e in ogni possibile direzione. Gli urti degli atomi particelle indivisibili - del tutto casuali, avrebbero determinato, talvolta, allorché gli atomi s’incastravano gli uni
negli altri, gli aggregati. L’urto tra corpi poteva poi disaggregarli. La formazione dei mondi e la loro distruzione
veniva ricondotta agli urti dei corpi tra loro. I fenomeni conosciuti venivano spiegati col moto dei corpi
meccanicamente intesi e col moto di semplici atomi. La conoscenza stessa era ricondotta al contatto tra atomi
esterni ed il nostro corpo (v. “I Presocratici”, BUL, p. 681, ed anche vol. I della “Storia del pensiero filosofico e
scientifico”, di L. Geymonat, p. 174-179), Garzanti.
G. Galilei “Il Saggiatore”, p. 261, op. cit.
scienza, L. Geymonat ha osservato che “In realtà egli fece appello alla sua importante distinzione
più da scienziato che non da filosofo, cioè con mentalità più operativa che non speculativa”5.
Egli ha sostenuto che Galileo, senza analizzare “i presupposti conoscitivi generali” della predetta
distinzione dei due tipi di qualità, l’ha in qualche misura giustificata, argomentando che “essa si
basa sulla impossibilità in cui noi ci troveremmo di concepire “una materia o sostanza corporea”
senza concepire insieme con essa le sue proprietà aritmetiche… geometriche e meccaniche”. 6
Proprietà tutte che, filosoficamente, collegano Galileo al materialismo meccanicistico democriteo.
Galileo e il concetto di causalità
In relazione al concetto di causalità bisogna notare che, per la diffusione europea dell'occamismo
fin dal secolo XIV, non è plausibile ritenere che Galileo non fosse stato influenzato dalla causalità
che esso espresse.
Guglielmo di Occam aveva sostenuto che “...ciò che noi conosciamo è soltanto la diversità,
percepibile nell'esperienza, fra causa ed effetto, pur nell'effettivo e costante susseguirsi di questo a
quella; noi possiamo cioè conoscere le leggi che regolano il decorso dei fenomeni, non il preteso
nesso metafisico che li farebbe scaturire uno dall'altro: questo nesso è soltanto il frutto di
un'ingiustificabile postulazione… dobbiamo limitarci a quanto ci viene dato dall'esperienza, senza
pretendere di dedurre gli effetti dalle cause o di applicare la causalità fuori del campo in cui essa è
verificabile”7.
Galileo, da parte sua, sosterrà con riferimento alla fisica, che la causalità sussiste se nella
successione regolare di due fenomeni, tolto il primo, viene meno anche il secondo. Dice infatti ne
“Il Saggiatore” che “quella, e non altra, si debba propriamente stimar causa, la qual posta segue
sempre l’effetto, e rimossa si rimuove… ”Il nesso causale è, dunque, concepito come univoco e
costante.8 La definizione di causa fornita da Galileo presentava anche un’evidente somiglianza con
le cause sinettiche degli stoici, per i quali cause vere sono quelle “presenti le quali, è presente
l’effetto, tolte o diminuite le quali è tolto o diminuito anche l’effetto”, secondo quanto riferito da
Sesto Empirico nelle Ipotiposi9.
Galileo si differenzia dall'atomismo, che identificava le cause del mutamento solo negli urti tra
atomi e, quindi, anche tra corpi materiali: egli, infatti, considera causale ogni rapporto in cui causa
ed effetto si presentino regolarmente ed in modo tale che, tolta la presunta causa, venga meno anche
l'effetto; egli, cioè, non pone limiti ai modi di affermazione delle cause materiali, in quanto, nel
5
6
7
8
9
V. L. Geymonat “Galileo Galilei”, Piccola Biblioteca Einaudi, p. 133.
V. L. Geymonat “Galileo Galilei” op.cit. p. 133
L. Geymonat “Storia del pensiero filosofico e scient.”, Vol. I op. cit.
“Il Saggiatore”, ed. Feltrinelli, 1965, p. 98, v. anche Storia del pensiero fil. e scient., vol. II, p. 204.
Vedi dizionario filosofico di N. Abbagnano.
rapporto causale, giudica essenziale esclusivamente la stabilità dell’associazione ordinata causaeffetto. Ha, quindi, fatto proprio il canone di Occam nel definire in modo “economico” e non
metafisico, il concetto di causalità; nel contempo, però, ha indicato il criterio distintivo della
relazione causale: tolta la presunta causa, deve venir meno l’effetto.
Quello causale è, dunque, definito come un legame univoco e costante, meglio: come una relazione
univoca e costante tra due “fenomeni”10.
Un'altra differenza importante tra atomismo democriteo e meccanicismo galileiano è data dalla
diversa concezione di ciò che è naturale: per l'atomismo, naturale è il movimento ed il conseguente
mutamento delle cose composte di atomi; i mondi materiali sono infiniti e così pure i loro ordini; le
loro leggi sono temporali; non c’è da presumere che siano inesorabili ed eterne; invece Galileo
considera, come Aristotele, che la natura abbia leggi inesorabili ed immutabili.
A proposito delle leggi naturali, Galileo non è certo possibilista come lo fu Democrito. Tuttavia,
resta ben ferma la convinzione che i fenomeni naturali non richiedano per essere spiegati
obiettivamente altro che le proprietà meccaniche delle cose materiali ed i loro moti; ed appunto tale
convinzione era propria dell’atomismo. Più precisamente “nella fisica di Galileo, dove lo spazio era
un sistema geometrico di riferimento vuoto… …richiedono una spiegazione soltanto le variazioni
allo stato di moto o di quiete”11.
Con queste convinzioni teoriche, e dopo i successi già ottenuti da Leonardo e dagli altri ingegneri
rinascimentali con l'utilizzo della matematica nello studio della natura, anch’egli ritenne
indispensabile il suo uso per descrivere logicamente, oggettivamente e quantitativamente i fenomeni
naturali; e non più in termini magico-simbolici, come era avvenuto ai neo-platonici ed ai neopitagorici, bensì con la misura dei fenomeni oggetto d'indagine; bensì con le schematizzazioni
geometriche e con le proporzioni matematiche; bensì con l'enunciazione della teoria fisica, dei suoi
principi e delle sue deduzioni mediante la matematica, come dimostrò nello sviluppo della
dinamica, dove conseguì i più significativi risultati scientifici.
10
Max Born ha osservato che la legge di Galileo sulla caduta dei gravi, z= - ½ gt 2, ci parla di una causalità dovuta
alla terra.
La forza esercitata dalla terra si presenta come “una specificazione della nozione generale di causa, e precisamente una
causa misurabile, esprimibile in cifre”. Egli aggiunge che “L’opera di Galileo costituisce un caso di causalità
ordinaria nel senso della definizione da me data”., e cioè: “La causalità postula che esistano leggi per le quali il
verificarsi di un’entità B di una certa classe dipende dal verificarsi di una entità A di un’altra classe… A viene
chiamata causa, B effetto”.
Born ha anche notato che la legge oraria su citata viola il postulato di antecedenza e di contiguità di causa ed effetto.
Infatti il fattore g, che esprime il valore dell’attrazione terrestre, uguale per i diversi corpi (alla stessa distanza dalla
superficie del mare), non dipende dal tempo; quanto alla contiguità tra il corpo in caduta e la terra, essa è esclusa in
quanto la caduta dura fintanto che manca la contiguità. (Vedi “Filosofia naturale della causalità e del caso” di M.
Born, ed Boringhieri, p. 20-24).
11
Rupert Hall, “La rivoluzione scientifica 1500/1800”, Feltrinelli p. 90
Il concetto di legge di natura in Galileo
Era talmente profonda la convinzione di Galileo nella inesorabilità ed immutabilità delle leggi
naturali che, sebbene credente, sostenne non doversi seguire altra autorità, riguardo ai fenomeni
naturali, che quella della scienza che ne studia le leggi: non, quindi, la Bibbia ed i suoi interpreti
istituzionali potevano essere la fonte diretta cui attingere per capire i comportamenti della natura,
ma esclusivamente la natura stessa obbediente, fin dal suo inizio, alle leggi stabilite da Dio (Lettere
copernicane). Lo stesso concetto ribadisce ne “Il Saggiatore” quando, criticando il principio di
autorità, nella sua polemica col “Sarsi”, sostiene che la filosofia non è la creazione fantasiosa di un
uomo, come l’Iliade o l’Orlando Furioso, bensì essa “è scritta in questo grandissimo libro che
continuamente ci sta scritto innanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima
non s’impara a intender la lingua, e conoscere i caratteri, ne’ i quali è scritto. Egli è scritto in lingua
matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è
impossibile a intenderne umanamente parola…”12.
Galileo sostenne esplicitamente che, mentre il linguaggio della Bibbia era adeguato al grado di
maturità culturale degli uomini cui storicamente si rivolgeva, invece le leggi di natura erano da
ritenersi sempre uguali nel tempo (una volta stabilite da Dio); cioè, nessun elemento storico
culturale doveva offuscarne la chiarezza, ridurne l’universalità, metterne in dubbio la stabilità,
osservabili da tutti gli esseri umani, almeno in via di principio. L.Geymonat ha osservato che “la
similitudine della natura come “libro” non sembra celare alcun recondito significato metafisico, ma
risulta palesemente introdotta ad un puro fine polemico: quello di opporre un libro all’altro, cioè il
libro della natura (ove non vale il principio di autorità, non essendo opera di alcun uomo) ai libri dei
poeti…” e che Galileo, inoltre, “ci dice che i libri dei poeti sono dominati dalla fantasia.. mentre il
libro della natura è dominato dal rigore matematico, onde il suo scopo precipuo è quello di cogliere
la verità”.
Abbiamo a che fare con la “contrapposizione della matematica alla fantasia e non della matematica
ai fenomeni”13. Egli nota ancora che ne “Il – Saggiatore” è ben chiaro che “la vera logica
contrapposta alla falsa dialettica del Sarsi è la logica che si articola in dimostrazioni matematiche.
Questa, e questa sola, è secondo Galileo, lo strumento che ci permette di costruire, partendo dalle
sensate esperienze, dei discorsi non ingannatori.”; e, quindi, “il richiamo alla matematica resta per
lui un canone metodologico; la giustificazione filosofica di questo canone non lo interessa, ed è
quindi lasciata nel lontano sfondo del dibattito”14.
Dunque la legge di natura è legge fisico – matematica: fisica, nel presupposto materialistico –
12
13
14
G. Galilei“Il Saggiatore” op. cit., p. 38.
V. L. Geymonat , “Galileo Galilei”, op. cit., p.135.
Ivi, p.137-138.
meccanicistico; matematica, nella forma.
Leggi e determinismo
Il determinismo galileiano risentiva certamente dell'influenza dell'atomismo; era anche basato sulle
regolarità astronomiche già individuate da Eudosso e Tolomeo, sulla concezione copernicana del
cosmo e sulle proprie osservazioni astronomiche, in quanto, grazie ad esse, fu in grado di
dimostrare l'esistenza di regolari moti celesti aventi centro diverso dalla terra (pensiamo alla
scoperta dei quattro satelliti rotanti intorno a Giove!15
Ma poggiava anche, e in misura non meno significativa, sulla sua scoperta dei due principi
fondamentali della dinamica (applicati in chiave concettuale moderna); poggiava sulle leggi
generali del moto, nonché sul principio di conservazione della quantità di moto da lui scoperto e
posto a fondamento della dinamica16.
Grazie al principio di inerzia, la gravità poteva considerarsi una forza; grazie all’intuizione del
secondo principio della dinamica poté formulare la legge del moto naturalmente accelerato e la
legge dei moti composti che ne deriva (applicata alla descrizione del moto di un protettile); grazie al
principio d’inerzia, per ogni accelerazione (e non per le velocità costanti, come ritenne Aristotele),
si poteva individuare una causa materiale. Però il fine di Galileo “non è solo di dimostrare le leggi
del moto accelerato ma anche in modo preponderante di costruire un paradigma per l’applicazione
della matematica alla filosofia naturale” (in “Discorsi e dimostrazioni matematiche” a cura di
Enrico Giusti, p. XLII).
Avendo scoperto le leggi generali del moto in forma matematica (utilizzando la teoria delle
proporzioni), poteva da esse trarre la certezza dell'operare di un determinismo naturale non solo
meccanicamente determinato ma anche quantitativamente definito; e definito in modo tale da
consentire di fare previsioni fenomeniche mediante l’utilizzo fisico-matematico delle leggi da lui
scoperte17.
Il suo determinismo fisico trova l'elemento di maggiore saldezza proprio nella consapevolezza di
aver individuato le leggi generali del moto in forma matematica; leggi che, limitatamente al campo
di applicazione fisico - meccanico, non dovevano considerarsi inferiori alla conoscenza che in tale
campo doveva averne Dio stesso.
L’esistenza di leggi generali esatte che evidenziavano precise proporzioni matematiche tra i
15
16
17
Va ricordato che Galileo non accolse il moto ellitico dei pianeti, rifiutò, cioè, come vera la prima legge di Keplero.
Cfr. N. Russel Hanson “I modelli della scoperta scientifica” Feltrinelli, p. 93, ed anche A. Rupert Hall “Da Galileo
a Newton”, Feltrinelli , p. 34-35.
R. Hall “Da Galileo a Newton” op. cit., p. 55-56
2
S h gt ;2S v t; v gt; gt g 2h 2 g h K h
2
g
fenomeni dinamici, forniva a Galileo quella certezza sull'immutabilità e inesorabilità dei
comportamenti naturali che solo gli eventi quantitativamente definiti possono dare.
Galileo già nel periodo del “Dialogo sui massimi sistemi” (1632), era riuscito a unificare cinematica
e dinamica, che all'inizio del Seicento venivano concepite come scienze separate: descrittiva la
cinematica; causale e puramente qualitativa la dinamica.
Gli studi teorici e sperimentali lo condussero al concetto di universalità del moto: a ritenere che
sulla terra, come ovunque nel cielo, il moto avesse le stesse leggi e che ovunque nello spazio fosse
diffuso il moto dei corpi. Con ciò superava la distinzione aristotelica tra fisica terrestre, riguardante
le cose mutevoli e imperfette e i moti imperfetti, e la fisica celeste, riguardante invece le cose
incorruttibili e i moti perfetti, quelli circolari.
Dalla relazione (legge oraria: S = h =
gt 2
) esistente tra distanze percorse ed i tempi che un corpo
2
qualsiasi, che parta da fermo, in caduta libera, impiega a percorrerle e dalla legge della doppia
distanza (2s = vt), ricavò che la velocità “complessiva” cresce in modo direttamente proporzionale
al tempo: v = at18.
Nei “Discorsi”, dalla definizione di moto uniformemente accelerato, che oggi esprimiamo con la
compatta espressione matematica v = at e dalla legge della doppia distanza, 2s = vt, ricavò la legge
1
2
oraria ed anche la velocità in funzione dell’altezza: v = (2gh) .
Tutte le leggi del moto erano da intendersi come valide in tutto il cosmo. Vale la pena di osservare
che la fisica galileiana è consapevolmente costruita come una rete di concetti, di principi e di leggi
che rimandano gli uni alle altre, tendendo a configurare un universo chiuso di relazioni
reciprocamente implicantisi.
Un’altra importante conquista scientifica, con evidenti riflessi per una articolata concezione
deterministica della materia, è stata la scoperta della legge di composizione dei moti, per la quale gli
impulsi (quantità di moto) si conservano nel corpo, agendo indipendentemente uno dall'altro
(additività lineare degli impulsi).
Galileo spiegò, anche graficamente, come la traiettoria risultante dalla composizione di una velocità
orizzontale e di quella verticale, in un proietto, risulti dalla composizione di due moti, considerati
18
Dalla legge oraria, S =
gt 2
, scoperta sperimentalmente e dalla legge della doppia distanza, 2S = vt , scoperta
2
ragionando sulla rappresentazione geometrica del moto uniformemente accelerato e su quella del moto uniforme
che si sviluppa, nello stesso intervallo di tempo, con velocità uguale quella finale del moto naturalmente accelerato,
ricava che la velocità istantanea di un grave in caduta libera (oppure in caduta su di un piano inclinato) è
proporzionale al tempo, cioè v = gt.
Vediamo infatti che, essendo S = vt/2 =gt 2/2, allora è anche v = gt, che viene riconosciuta come la legge generale del
moto uniformemente accelerato. Cfr. E. Giusti “Galilei e le leggi del moto” in “Discorsi e dimostrazioni
matematiche intorno a due nuove scienze”, Einaudi, p. 45-46).
indipendentemente uno dall'altro19.
A proposito della scoperta dell’universalità del moto, A.Rupert Hall osserva che “Il moto si rivelava
ora invariabilmente soggetto alle stesse leggi, dalla scala del sole alla scala di una mela, alla scala
delle più piccole particelle materiali”20.
Galileo non solo realizzò la fusione di cinematica e dinamica, ma, inoltre, unificò sotto uniche leggi
i moti terrestri e celesti.
Il cosmo intero appariva ora governato unicamente da leggi meccaniche esprimibili in forma
matematica, che rimandavano le une alle altre in modo necessario (deducibilità) costituendo una
rete che inquadrava matematicamente la natura.
In tal modo egli può essere considerato il fisico e matematico che diede consistenza scientifica
all'ipotesi atomistica di Democrito, matematico e filosofo di prima grandezza.
Galileo non solo criticò la fisica dei moti naturali e la connessa dottrina aristotelica del centro
dell'universo, ma riuscì anche a rimpiazzarla completamente con una concezione del cosmo
totalmente meccanica, dove il mondo appariva non solo dinamicamente ordinato, ma anche
unificato dalle stesse leggi che ne garantivano l'autosufficienza: leggi che poggiavano sul principio
di conservazione della quantità di moto, individuato come fondamento della dinamica.
Tale principio egli rese evidente sia nella teoria del moto del pendolo che nella composizione dei
moti in un proietto, dove l'impulso orizzontale e quello verticale, pur combinandosi, si conservano
per tutta la durata del moto.
Nella sua teoria del moto del pendolo, la risalita, in condizioni ideali, rendeva manifesto il principio
di conservazione della quantità di moto.
Concludo ricordando che A. Einstein non solo riconobbe che “La scoperta e l’uso del ragionamento
scientifico ad opera di Galileo, fu uno dei più importanti avvenimenti nella storia del pensiero
umano e segna il vero inizio della fisica”, 21 ma, inoltre, fondò la sua “relatività ristretta” sul
principio galileiano di relatività, che egli espresse con le seguenti parole: se le leggi meccaniche
19
Galileo, nella sua massima opera (I “Discorsi”), riesce a ricavare l'intera sua cinematica sulla base di due soli
teoremi, il I e il III: nel primo dimostra la legge della doppia distanza (2S = vt) mediante il confronto delle velocità
istantanee del moto uniformemente accelerato e di quello semplicemente uniforme, in cui la velocità sia metà di
quella finale, raggiunta nello stesso intervallo di tempo, nel moto uniformemente accelerato: S = vt/2, cioè 2S = vt;
nel terzo teorema prova la legge del piano inclinato: partendo dalla legge oraria (S = gt 2 /2) e da quella della doppia
distanza (2S = vt), ricava che la velocità istantanea è proporzionale al tempo, cioè v = gt. Osserva Enrico Giusti che
“Galileo può costruire, a partire dai due teoremi dimostrati tutta la sua cinematica, e trovare non solo le leggi del
moto dei gravi in caduta libera o lungo un piano inclinato, ma anche quelle che regolano il moto dei proiettili, che
così ricevono fondamenti sicuri”. (V. la premessa ai “Discorsi” di Galileo, p.LVII; cfr. anche p. XLIV-XLVI).
Trovato che S = vt/2 e che v = gt, sostituendo gt al posto di v nella legge della doppia distanza(2S = vt), si ottiene S =
gt2 /2,cioè la legge oraria che era stata già ottenuta col metodo sperimentale.
Molto opportunamente E. Giusti osserva che “Oltre che dalla loro rispondenza con gli esperimenti, le leggi del moto
traggono conferma dalla loro interdipendenza. “(ivi, p XLIV).
20
A. Rupert Hall “Da Galileo a Newton” op. cit., p. 29; Ludovico Geymonat “Storia del pensiero filosofìco e
scientifico”, volume II, capitolo XI; George Gamow “Biografia della fisica” ed. Mondadori, p.42-50; Norwood
Russell Hanson “I modelli della scoperta scientifica”, ed. Feltrinelli, p.51 e seguenti.
21
A. Einstein e L. Infeld “Evoluzione della fisica”, Boringhieri Univ. scient. 1969 p. 19
sono valevoli per un dato SC, esse lo sono altresì per qualsiasi altro SC, in moto uniforme
relativamente al primo”22.
L’idea di Galileo era che le leggi del moto valide sulla terra (considerata erroneamente sistema
inerziale) dovessero valere in ogni altro sistema naturale e che certamente valevano nella stessa
forma matematica in tutti i sistemi inerziali (quelli che si muovono di moto uniforme gli uni rispetto
agli altri).
Tale idea ed il connesso determinismo meccanicistico vennero valorizzati pienamente da Albert
Einstein nella sua teoria della relatività.
22
A. Einstein e L. Infeld “Evoluzione della fisica” op. cit. p. 168-169.
Capitolo secondo - Il meccanicismo cartesiano
In netta opposizione alle concezioni rinascimentali animistico-causali, Cartesio (1596-1650)
sostenne nel suo sistema di pensiero la netta separazione di anima e corpo, essendo la prima libera
nelle sue volizioni ed inestesa, il secondo, invece, esteso e dominato dalla causalità meccanica, che
si attua mediante contatto di corpo a corpo23.
Tutta la natura, in quanto “cosa estesa”, è dominata dal principio di causalità meccanica, che è
ritenuto necessario, ed anche sufficiente, a spiegare ogni fenomeno materiale.
La materia è dotata di movimento la cui quantità totale si conserva 24 inalterata nel tempo; ed è
appunto il movimento che rende possibile il mutamento per contatto e l’aggregazione tra corpi
come pure la loro disaggregazione.
Il principio di causalità opera presupponendo la conservazione della materia e della quantità di
movimento, quella che Dio avrebbe impresso quando impose le sue leggi alla materia stessa.
Ritenendo Dio immutabile come sostanza ed anche nelle sue decisioni, Cartesio giudica eterne
(perpetue) la quantità di movimento impressa alla materia e le leggi fisiche fondamentali, delle
quali dice che “se Dio avesse creato altri mondi, non ve ne sarebbe alcuno in cui non fossero
osservate”25.
Dunque le leggi fondamentali della natura hanno un’intima necessità connessa al mondo materiale;
il che è una conferma dell’affermazione galileiana secondo la quale nell'universo esistono leggi
generali del moto, dalle quali dalle quali nessun sistema fisico può derogare.
Le leggi fondamentali indicate da Cartesio sono il principio d’inerzia e quello di conservazione
della quantità di moto:
I.
“ogni cosa, in quanto semplice e indivisa, persevera sempre nel medesimo stato, e non può
essere mutata se non da una causa esterna” 26;
II.
“ogni cosa tende a muoversi in linea retta”27;
III.
“nell’urto dei corpi tra di loro il movimento non viene perduto ma la sua quantità rimane
23
“Orbene io immagino distintamente la quantità che comunemente i filosofi chiamano continua, vale a dire
l’estensione di una tale quantità (o meglio di una cosa che abbia tale quantità) in lunghezza, larghezza e profondità;
in questa estensione distinguo varie parti, che enumero, ed alle quali assegno grandezze, figure, posizioni e
movimenti locali i più vari, e a questi movimenti le durate più varie”.
Su cose simili, egli afferma di poter acquisire innumerevoli verità particolari oltre a quelle generali già raggiunte con
chiarezza.
Sull’”essenza delle cose materiali” vedi la quinta meditazione in “Meditazioni metafisiche” a cura di S. Landucci,
Economica Laterza, p. 105. Le qualità citate sopra, appartenenti alla natura corporea, sono ritenute semplici e
universali. (Cfr. la prima meditazione a p. 31).
24
vedi Galileo.
25
Discorso sul metodo.
26
Principia II,37.
27
Principia, II, 39.
costante”28.
Unendo le prime due leggi formiamo il moderno principio d’inerzia intuito da Galilei (salvo
l'affermazione in cui si dice che il moto spontaneo di ogni cosa è quello rettilineo); la terza legge
esprime la conservazione della quantità di moto totale presente nell’universo29.
La causalità meccanica, che si stabilisce sempre, per contatto, opera nel rispetto delle leggi predette
e, nel loro ambito, basta a spiegare tutti i fenomeni naturali, da quelli più semplici a quelli che, per
la loro complessa articolazione ci appaiono più intricati, come i fenomeni della vita vegetale ed
animale.
Egli ritiene che l’ordine cosmico ed anche i più complessi fenomeni naturali trovino la loro origine
in un caos iniziale, al quale Dio avrebbe conferito le leggi fondamentali della fisica, le quali, agendo
nel tempo, avrebbero determinato l'assetto cosmico.
Nell'universo cartesiano non c'è spazio né per forze vitali né per cause finali 30 né per azioni a
distanza: ogni azione fisica è dovuta al moto ed ha luogo mediante il contatto dei corpi di
qualsivoglia grandezza; cosicché il contatto è il modo generale, nel tempo, e universale, nello
spazio, dell’azione fisica e, quindi, della causalità materiale.
Causale è definito soltanto il rapporto che connette corpo a corpo in modo diretto, senza la
mediazione, cioè, di forze misteriose: nei fenomeni più semplici della natura ma anche in quelli più
complessi, come quelli vitali, si possono e si devono applicare i ragionamenti e le leggi meccanico matematiche.31
La realtà materiale è leggibile con chiarezza e distinzione solo se sappiamo interpretarla in termini
di estensioni e moti di corpi, in termini, cioè, dei suoi attributi oggettivi, osservabili da tutti con
accuratezza, e sui quali la razionalità logica e matematica si può applicare con rigore assoluto,
almeno in linea di principio. La natura corporea “fa da oggetto alla matematica pura”, dice
sinteticamente Cartesio nelle “Meditazioni di Filosofia prima”32.
Egli definisce come corpo “tutto quanto sia suscettibile di essere delimitato da una figura e
circoscritto in un luogo, di riempire uno spazio in modo da escluderne ogni altro corpo, di venir
percepito con il tatto, la vista, l’udito, il gusto e l’odorato, e di venir mosso in molti modi (ma non
già da se stesso, bensì da qualche altro corpo con cui venga in contatto),….”33.
Nella III meditazione quanto alle idee delle “cose corporee”, precisando il suo pensiero, Cartesio
afferma: “mi rendo conto che è soltanto ben poco quello che in esse io percepisco chiaramente e
28
29
30
31
32
33
Principia, II, 40, “Storia della Filosofia”, Vol. I N. Abbagnano.
La conservazione della quantità di moto è posta da Galileo a fondamento della dinamica.
V. “Meditazioni metafisiche”, quarta meditazione, di R. Descartes, op. cit.
Cfr. “Storia del pensiero filosofico e scientifico”, op. cit. Vol. II p. 290.
V. “Meditazioni di Filosofia prima”, quinta e sesta meditazione, in “Meditazioni metafisiche”, op. cit. p. 117 e p.
133.
V. “Meditazioni metafisiche”, II meditazione, di R. Descartes, op. cit., p. 43; vedi anche p. 51 e p. 55 dove si dice
che la cera è estesa, flessibile e mutevole. Sottolineo la flessibilità come proprietà della materia.
distintamente, e cioè: la grandezza ossia l’estensione in lunghezza, larghezza e profondità, la figura
che deriva dai limiti di tale estensione, la posizione che le diverse cose dotate di figura hanno l’una
rispetto all’altra, e il movimento, ossia il mutamento di tale posizione. A ciò si possono aggiungere
l’essere sostanza, la durata, e il numero.
Ma tutto il resto – come luce, colori, odori, sapori, caldo, freddo e le altre qualità tattili – io non lo
penso che molto confusamente e oscuramente, fino al punto che non so neppure se sia vero o,
invece, falso, ossia se le idee che io ne ho siano idee di cose oppure di non cose, per dir così”34.
Cartesio non ha però sentito, come Galileo, tutta l’importanza della misura come metodo di
controllo della razionalità fisica e, pertanto, gli è mancato, in parte, quel moderno ed efficace modo
della verifica che era centrale nel pensiero fisico galileiano.
Le leggi della fisica, quella d'inerzia e quella di conservazione della quantità di moto, completano la
teoria deterministica attraverso cui guardare nella interpretazione degli eventi della natura.
La matematica fornisce le relazioni, i teoremi e la teoria del calcolo necessari nella descrizione e
spiegazione dei fenomeni naturali.
La causalità meccanica e lo spazio pieno
La legge di conservazione della quantità di moto regola quantitativamente il trasferimento di
quantità di moto dalla causa all'effetto:
la somma totale delle quantità di moto parziali di corpi interagenti per contatto è identica prima,
durante e dopo l'interazione: m1v1+ m2v2 +.. .mn vn = m1 w1 + m2 w2 +...mn wn, se le masse si
conservano nell'interazione meccanica; se le masse si fondono o si spezzettano, i singoli contributi
della quantità di moto sommati verificheranno la legge sopraddetta durante l'interazione ed anche
dopo l’interazione.
Cartesio concepisce la permanenza della quantità di moto “come la legge fondamentale che regola il
passaggio dalla causa
all'effetto. Ed invero, tenendo presente che la quantità di moto è una
grandezza prettamente matematica, egli può concludere che tutto il processo di causazione è esso
pure esclusivamente matematico.
Per questa via riesce a concepire la nozione di causa in termini puramente matematico-meccanici,
spogliandola di ogni oscura implicanza mistico-magica”.35
Il concetto cartesiano di causalità, legato al trasferimento di una determinata quantità di moto sotto
la necessaria condizione del contatto meccanico dei corpi, conduce a sostenere che lo spazio è
pieno: infatti, se lo spazio fosse vuoto, i processi causali s’interromperebbero tra un urto e l’altro,
34
35
Ivi p. 71.
“Storia del pensiero filosofico e scientifico”, op. cit. Vol. II p. 296.
mentre le osservazioni astronomiche mostrano che i corpi celesti si muovono regolarmente con
continuità di moto vorticoso; e dato che tale moto non sembrava riconducibile al principio d’inerzia,
sarà spiegato in termini di composizione di moti circolari originari di parti di materia che si toccano.
D’altra parte, egli sostiene che “E’ necessario... che due corpi si tocchino quando non c'è nulla tra
loro, poiché sarebbe contraddittorio che questi due corpi fossero lontani; cioè che vi fosse distanza
dall'uno all'altro, e che non di meno tale distanza fosse un nulla, mentr’essa è una proprietà
dell’estensione, che non può sussistere senza qualcosa di esteso”36.
Cartesio, quindi, anche per ragioni di principio, di origine parmenidea e platonica, non ammette il
vuoto.
Lo spazio è ritenuto pieno, continuo ed infinitamente divisibile; ed il movimento degli oggetti nello
spazio pieno è analogo a quello di un pesce in una vasca d’acqua: quando qualcosa si muove da un
luogo ad un altro, corrispondentemente si ha uno spostamento di materia che compensa
completamente la materia spostatasi da un luogo con quella acquistata dal luogo stesso37.
Il movimento è allora spostamento di una porzione di materia esattamente bilanciata da un uguale
acquisizione di materia da parte del luogo dove si è verificato l'allontanamento d’una cosa estesa.
Poiché tutto si tiene nello spazio cartesiano, allora un singolo spostamento implica necessariamente
lo spostamento di tutte le altre porzioni di materia, se lo spazio è pieno.
Tutto avviene trasferendo quantità di moto da un corpo all'altro.
Una stessa cosa potrà partecipare di una pluralità di moti a causa dello stretto contatto con le altre.
Causalità e vortici
La materia estesa, per via delle pressioni, si può sminuzzare senza restrizioni: i corpuscoli che
formano la materia sono divisibili. In questo quadro Cartesio sviluppa la teoria dei vortici che si
formerebbero dalla composizione dei moti rotatori originari dei corpuscoli: “Come una pagliuzza
che galleggi sull'acqua è attirata da un vortice formatosi nella corrente, così una pietra è attirata
verso la terra da un vortice. Analogamente i pianeti (inclusa la terra) roteano, con i vortici che li
circondano, in un vortice più grande intorno al sole”38.
Si trattava d'una ipotesi onniesplicativa dei fenomeni della meccanica celeste, i cui limiti
matematici verranno evidenziati da Newton, che sostituirà la teoria dei vortici con quella della
gravitazione
universale,
non
semplicemente
verosimile,
come
quella
matematicamente consistente e verificabile.
36
Principia, II, 16 e 18, citaz. In “L’età cartesiana”, De Ruggero, p. 124, ed. U. Laterza.
37
Cfr. Principia II, citazione in “L'età cartesiana”, De Ruggero, p. 124.
“Storia del pensiero fil. e scientifico”, Vol II op. cit. , p. 296.
38
cartesiana,
ma
Gli animali come sistemi meccanici
Quanto al movimento animale esso è concepito come una risposta automatica dell'organismo
all'azione del mondo esterno. Come osservava il De Ruggero, nel caso dell’uomo, “In questa
continuità di azioni e reazioni c'è una cesura: perché gli ‘spiriti’ possano entrare nei canali nervosi
bisogna che alcuni pori siano vengano aperti. E a tale funzione presiede un ente immateriale,
l'anima, che ha sede in quella parte del cervello che prende il nome di glandola pineale: ad ogni
volizione dell’anima, la glandola si muove, aprendo e chiudendo i pori dei canali nervosi. Il
movimento che doveva essere una reazione meccanica, diviene così, in qualche misura volontario39.
In tal modo, osserva De Ruggero, si spiegano molte cose ma “resta inesplicabile la possibilità stessa
di quell'intervento”40.
Infatti, essendo l’anima concepita come “cosa” inestesa, quindi anche indivisibile e immateriale,
non si vede come essa possa agire meccanicamente sulla glandola pineale o in qualsivoglia parte del
cervello.
Dato che “la mente è completamente diversa dal corpo” nessuna causazione meccanica è
ammissibile tra l’una e l’altro41.
Va osservato che, secondo Cartesio, anche l’uomo, in quanto animale, è regolato dagli automatismi
della vita organica che, però, non entrano in contraddizione con le volizioni dell'anima razionale,
perché questa li sa usare come l'uomo sa usare le macchine. Come l’anima pensante e inestesa
possa, però, stabilire un contatto causale col corpo resta un mistero.
Gli animali sono considerati automi privi di coscienza, ad eccezione dell’uomo, che ha coscienza di
sé e delle proprie azioni.
Essi agiscono o per interna determinazione meccanica o per una esterna; le loro azioni possono
essere efficaci e precise soltanto in campi limitati; non sono, però, in grado di esibire pari efficienza
esecutiva in diversi campi; mentre l'uomo, in quanto dotato di un’anima sensibile, volitiva e
razionale, sa affrontare ogni genere di problemi.
Ciò che nell'animale appare fine azione ingegnosa, secondo Cartesio, deve considerarsi risposta
istintiva, e cioè risposta meccanica a qualche sollecitazione dello stesso genere, che si spiega con la
particolare disposizione degli organi corporei.
Ciò che nei vegetali e negli animali appare come vitalità, deve essere considerato come espressione
di processi automatici, che rimandano necessariamente a particolari automatismi (“meccanizzazione
delle funzioni organiche”)42.
39
40
41
42
“L’età cartesiana”, ediz. UL, p. 132-133; v. anche “Meditazioni metafisiche”, VI meditazione, p. 139-141.
“L’età cartesiana”, op. cit., p. 132-133.
In “Meditazioni metafisiche”, op. cit. VI meditazione, p. 141.
Vedi “L’età Cartesiana”, op. cit., p. 133.
Lo scienziato deve quindi interpretare i fenomeni naturali in termini di processi meccanici e
indagarli alla luce delle leggi della “meccanica”.
I fenomeni naturali che non si lasciano inquadrare nelle leggi meccanico-matematiche vanno
considerati come illusori, come dovuti esclusivamente ai nostri limiti percettivi o culturali.
Cartesio esemplifica chiaramente la sua prospettiva meccanicistica laddove, per esempio, tratta del
movimento del cuore e della circolazione del sangue: il cuore, risultando la parte più calda del
corpo degli animali è sede di un calore sufficiente a spingere il sangue dal cuore verso le estremità
del corpo e da queste verso il cuore stesso, che ha una struttura meccanica che gli impone
alternativamente una fase sistolica, di spinta del sangue nelle arterie, ed una fase diastolica, di
riflusso del sangue dalle vene afferenti (ai due ventricoli)43.
L’uomo come sistema misto
Nulla di misterioso nell'autonomo funzionamento del corpo umano: il calore che ha sede nel cuore
attiva il suo funzionamento in connessione con tutta la struttura corporea, alla quale il sangue porta
nutrimento. Al cervello, mediante l'aorta, giungerebbero gli elementi più fini e mobili del sangue,
gli “spiriti vitali” che gli consentono di svolgere le sue complesse funzioni, al servizio dell’anima
razionale; dal cervello gli elementi più fini e mobili discenderebbero nei canali nervosi per azionare
i muscoli.
La vita dell'uomo, tuttavia, non è regolata soltanto dalla struttura animale, analoga a quella degli
altri mammiferi: l’uomo non solo sente gli stimoli esterni ed interni, come gli altri animali, ma, in
più, sa di sentire; è cosciente dei propri stati; egli possiede un'anima razionale dotata di sensibilità,
pensiero e volontà, che è unita strettamente e profondamente al corpo mediante il suo stabile
collegamento con la ghiandola pineale del cervello: l'anima raziona1e “non basta che sia situata nel
corpo umano, quasi pilota nella nave, se non forse per muovere le membra, ma è necessario che sia
congiunta e unita ad esso più strettamente per avere, anche, sentimenti e appetiti simili ai nostri, e
costituire, così, un vero uomo”44.
Il determinismo meccanicistico cartesiano
Il determinismo meccanicistico cartesiano si cimenta così analisi di fenomeni circoscritti ed
estremamente limitati, come nell'analisi dei grandi e complessi sistemi in termini di modelli ideali
di tipo meccanico, ipotizzati per spiegare fenomeni osservati, ritenuti oggettivi:
43
44
Vedi il “Discorso sul metodo”, R. Descartes, ed Laterza, a cura di A. Carlini, p. V, p. 105 e ss.
Discorso sul metodo, p. V, 5; vedi anche “Meditazioni metafisiche”, sesta meditazione, p. 133 e p. 139, op. cit.
i modelli meccanici che la fantasia sa escogitare, qualora producano manifestazioni essenzialmente
simili a quelle naturali, acquistano un profondo valore interpretativo, e spingono Cartesio a ritenere
che Dio abbia creato il mondo e l'uomo in modo analogo (come sistemi meccanici).
L’analisi delle conseguenze ricavabili dal funzionamento dei modelli meccanici ideali permette alla
ragione di farsi delle idee chiare, distinte e complete in tutti i campi della fisica, nei quali egli
include anche la biologia45.
Basti ricordare la produzione del fenomeno luminoso attribuita al movimento della materia più fine,
il quale, essendo il mondo pieno, verrebbe trasmesso istantaneamente in un qualunque punto della
direzione di avanzamento, come succede alla trasmissione della pressione da una estremità all'altra
di un bastone; e, tra i modelli complessi, possiamo ricordare il già citato cuore a camere (ventricoli).
Forse proprio l’analogismo meccanico portò Cartesio a sottovalutare l'aspetto della misura dei
fenomeni, quello cui, invece, Galileo diede un'importanza fondamentale sia sul piano del primo
studio sperimentale che su quello della verifica delle teorie fisiche.
Volendo riassumere i fondamenti del determinismo cartesiano, mi sembra di poter dire che esso
poggi sulle seguenti proposizioni:
1. esiste solo uno spazio pieno di materia;
2. i singoli corpi si muovono nello spazio esclusivamente per contatto;
3. la quantità di moto dell'universo è costante nel tempo;
4. esiste una sola causalità oggettiva ed è quella che si manifesta nel contatto tra i corpi,
mediante il quale si hanno trasferimenti di quantità di moto;
5. i singoli corpi, se non fossero spinti per contatto da altri corpi, si muoverebbero in
linea retta, o, comunque, non modificherebbero il loro stato;
6. i corpi sono estesi e suscettibili di movimento e non hanno altre proprietà
fondamentali.
In base a queste proposizioni ogni fenomeno oggettivo deve essere spiegato mediante ragionamenti
di tipo meccanico-matematico.
Considerazioni conclusive
Nonostante Cartesio rigetti la divisibilità limitata della materia ed anche l'idea d'un vuoto fisico,
tuttavia accetta dell'atomismo la causalità che opera per contatto, la costanza del moto ed il
ragionamento fisico di tipo meccanico. Vi aggiunge l'applicazione sistematica della matematica e,
ovviamente, il confronto con i problemi fisici dibattuti nel suo tempo. Contro il proliferare di anime
e forze oscure, egli recupera la più chiara delle teorie filosofiche che abbiano cercato di rendere
45
Cfr. “Storia del pensiero fil. e scient.” Vol. II, p. 294, op. cit.
spiegabili, in linea di principio, tutti i fenomeni naturali.
La debolezza del determinismo cartesiano, rispetto a quello democriteo, sta nell'ammettere la
creazione degli elementi materiali, della associata quantità di moto, l’imposizione divina delle leggi
fondamentali della materia (natura), l’ammissione di una profonda unità tra anima razionale
immateriale e corpo umano e la connessa causalità di tipo volitivo; (che costituisce una eccezione
alla generale causalità meccanica, del tutto incoerente all’interno della logica meccanicistica);
laddove Democrito aveva sostenuto l'eternità degli elementi (atomi) e del movimento nel vuoto,
quali fondamenta dei mondi e di tutti gli aggregati, come pure quali “ragioni” di ogni processo di
disgregazione, ammettendo un solo tipo di causalità: quella meccanica.
Rispetto all'atomismo, però, la causalità cartesiana appare definita quantitativamente nel suo
vincolo alla conservazione della quantità di moto che permane in ogni urto.
Il principio di inerzia intuito da Democrito, e formulato chiaramente da Cartesio, ha un senso pieno
nello spazio vuoto; mentre nello spazio pieno, postulato da Cartesio stesso, risulta non
semplicemente problematico, ma addirittura incompatibile con esso. Da un lato si dice che ogni
cosa tende a muoversi in linea retta, se non interviene una causa esterna a mutare il suo stato,
dall’altra si afferma che ogni cosa è parte di una materia continua (senza spazi vuoti), la quale,
istante per istante, esercita un’azione su di essa.
Il meccanicismo deterministico di Cartesio riguarda più il funzionamento del mondo che la sua
genesi (Dio avrebbe formato gli esseri secondo i modelli meccanici cartesiani o in modo molto
simile); mentre l'atomismo considerava secondo una logica di autosufficienza meccanica sia la
formazione che il funzionamento di ogni sistema fisico, nonché la eventuale disgregazione in
seguito ad urti, essendo gli atomi dotati di un eterno movimento.
Rispetto a Galileo Galilei, Cartesio sente il bisogno di costruire un articolato sistema filosofico per
sostenere le nuove scienze e garantirne l'autonomia rispetto alla religione, rispetto all'aristotelismo e
rispetto alle dottrine magico-occultistiche.
I principi a fondamento e sostegno delle scienze fisiche, che sono condivisi largamente e utilizzati
anche da Galileo (salvo il principio dell’inesistenza del vuoto) sono:
l’esistenza delle sole qualità primarie della materia, la costanza della quantità di moto, la causalità
meccanica come fondamento di ogni possibile spiegazione fisica e l’universalità delle leggi
meccaniche della natura.
Capitolo
terzo
-
Aspetti
essenziali
del
materialismo
deterministico hobbesiano.
Quando la fisica, la matematica, l’astronomia si stavano rinnovando profondamente particolarmente
grazie a Galilei, Cartesio e Keplero, Hobbes (1588-1679) sentì il bisogno di elaborare una filosofia
di sostegno e di rilancio per le nuove scienze della natura.
Egli contribuì a determinare sia il sostegno che il rilancio delle nuove scienze, elaborando
filosoficamente i risultati da esse raggiunti, e particolarmente quelli conseguiti da Galileo in quella
del moto.
Inoltre, aderendo in forme nuove all’atomismo46, sviluppò in modo organico e filosofico, alcune
idee di Galileo circa i fondamenti del pensiero fisico.
Ispirandosi chiaramente al pensiero galileiano, egli sostiene la possibilità d’inquadrare i fenomeni in
una dimensione convenzionale di tipo logico-matematico che consenta di calcolarli nel loro aspetto
formalmente definito.
L’analisi dei fondamenti di ogni sapere obiettivo muove dalla considerazione delle cause del
divenire fenomenico, delle qualità necessarie e sufficienti alla spiegazione degli eventi fisici
osservabili, delle relazioni necessarie e sufficienti a render conto della complessità del reale e delle
operazioni fondamentali alle quali possono essere ricondotte tutte le trasformazioni della realtà
esterna.
Il materialismo deterministico hobbesiano può essere condensato in un reticolo di proposizioni,
delle quali le prime tre sono fondamentali:
1. tutto ciò che esiste è corpo47;
46
47
Secondo Mario Bunge, Hobbes “tentò, senza riuscirci, di congiungere alla meccanica galileiana l’antico
atomismo”. V. “La causalità”, U.S. Boringhieri, p. 254.
Nel “De corpore”, Hobbes, a proposito del corpo afferma che: “…è necessario che esso… non solo occupi qualche
parte del detto spazio, vale a dire coincida e si coestenda con essa, ma anche che sia qualcosa che non dipende dalla
nostra immaginazione” (citazione in “Hobbes”, ed. Laterza, p. 104, di Arrigo Pacchi).
2. tutto è moto che si conserva48;
3. le proprietà fondamentali dei corpi sono l’estensione e il movimento49;
4. tutto è regolato da leggi causali meccaniche (deriva dalla composizione delle prime tre);
5. ogni trasformazione è riconducibile a spostamento di porzioni di materia nello spazio pieno e
nel tempo (meglio: secondo “il prima e il poi”)50;
6. la materia è, secondo natura, divisa in parti elementari;
7. i corpi sono aggregati di parti elementari;
8. ogni evento, anche il più complesso, è spiegabile mediante le operazioni del sommare e del
sottrarre (che sono il corrispettivo delle aggregazioni e delle disgregazioni di particelle di
materia), a condizione che somme e sottrazioni vengano applicate in modi appropriati alle
singole realtà oggetto di studio.
Qualità sensibili e moti della materia
In perfetto accordo col meccanicismo galileiano e cartesiano, Hobbes sostiene che le qualità
sensibili sono dovute ai moti della materia; moti con cui le cose materiali agiscono in diversi modi
sui nostri organi di senso e poi sul nostro cervello.
Egli così si esprime nel “Leviatano”:
“Tutte le qualità chiamate sensibili non sono, nell’oggetto che le genera, che svariatissimi moti della
materia, coi quali essa agisce diversamente sui nostri organi, e, in noi, che siamo stimolati, esse non
sono altro che moto - poiché il moto non produce che moto - ; ma a noi appaiono come
immaginazioni, e quando siamo desti, e quando dormiamo”51.
La materia, secondo il Nostro è ciò che, occupando spazio, sta fuori di noi: i corpi sono concepiti,
48
49
50
51
Quanto al moto, lo definisce nel modo seguente: “il moto è l’abbandono, senza soluzione di continuità, di un certo
luogo, e l’acquisizione di un altro…” (“De corpore”, citazione in “Hobbes”, op. cit., p. 105)
Cfr. “Storia del pensiero filosofico e scientifico”, op. cit., V. II, p. 317.
Cfr. “La struttura della scienza”, di Ernest Nagel, ed. Feltrinelli, p. 204.
In “Leviatano”, di T. Hobbes, a cura di A. Pacchi, ed. Laterza, 1974, “Dell’uomo”, I, p. 8.
non diversamente da Democrito e da tutto l’atomismo, come aggregati di atomi che, però,
diversamente da quanto sostenuto in genere dagli atomisti, si muoverebbero in un fluido distribuito
nello spazio; il quale, solo in modo astratto può essere considerato vuoto.
C’è da puntualizzare che l’atomo, o “minimo” hobbesiano, è un elemento indiviso per natura; ma è
ritenuto divisibile in via di principio. E’ che egli accetta l’idea d’una divisibilità illimitata della
materia, almeno come semplice possibilità. Anche in tale idea si differenzia dalla tradizione del
pensiero atomistico.
Delle qualità sensibili sono responsabili i moti della materia fuori di noi; moti che, quando agiscono
sui nostri organi di senso e in noi fino al cervello, producono l’effetto d’immaginazioni, qualunque
sia il nostro stato di coscienza. Tali immaginazioni, quanto al loro contenuto oggettivo, si
ridurrebbero a moti e composizioni di moti, dato che il moto non produce che moto.
Sensazioni e immaginazioni, sul piano della soggettività, costituiscono i riferimenti obbligati per
condurre un’indagine razionale legata al mondo.
La teoria della conoscenza
Il tipo di conoscenza della natura sostenuto da Hobbes, deriva dal modo di concepire la formazione
del reale e del suo divenire: ad una realtà spiegabile in tutti i suoi mutamenti solo in termini di moti
di atomi, che ora si aggregano ora si disgregano, corrisponde, sul piano conoscitivo, che il solo
modo corretto di ragionare sia quello basato sulla somma (corrispondente alla aggregazione fisica) e
sulla differenza (corrispondente alla disgregazione fisica).
Nello studio della natura tutte le proposizioni conoscitive devono essere riconducibili a somme o a
differenze, le quali sono l’esatto corrispettivo delle aggregazioni e delle disgregazioni che, nelle
forme più diverse, si possono presentare in natura.
Il ragionamento, come semplice calcolo logico-matematico, dal campo della natura viene esteso ad
ogni campo, come il solo possibile, chiaro e perfettamente definito.
Egli concepisce la ragione come strumento formale e la identifica con il calcolo (“computatio sive
logica”):
“così come nel calcolo non si possono sommare termini qualitativamente diversi, in logica saranno
false le connessioni tra nomi di oggetti diversi e poiché gli oggetti nominabili appartengono a
quattro sole categorie, vale a dire i corpi, gli accidenti, i fantasmi e gli stessi nomi, vanno
considerate coerenti, e quindi vere, solo quelle proposizioni che connettono nomi di corpi con nomi
di corpi, nomi di accidenti con nomi di accidenti, e così via52.
Non c’è dubbio che il Nostro concepisca la ragione come strumento di produzione della verità, a
condizione che il suo procedere sia regolato in un solo modo: si esprima, cioè, come somma o
differenza di termini.
In questo senso la sua è una ragione logico-matematica “deterministica”, come il suo sistema fisico.
C’è da evidenziare che, in generale, secondo Thomas Hobbes, noi ragioniamo su immagini delle
cose del mondo e, perciò, la sua teoria della conoscenza non presume di descrivere la realtà esterna,
anzi, con essa non ha nulla a che fare. Dal fenomenismo hobbesiano “si deduce che i nostri
ragionamenti, ivi inclusi quelli scientifici, essendo, in ultima istanza, elaborazioni di immagini…
non hanno nulla a che vedere con la realtà esterna, ma sono unicamente collegati alle idee”53.
52
53
“Hobbes”, op. cit., p. 95.
Vedi “Storia del pensiero filosofico e scientifico”, op. cit., V. II, p. 314 della prima edizione.
La spiegazione logico meccanica della realtà naturale
Hobbes mostra di voler spiegare meccanicisticamente, cioè in termini di “generazione” meccanica,
l’intera realtà naturale, concepita come una delle possibili realizzazioni conformi alla logica
deduttiva della geometria.
Egli cerca di realizzare una sintesi tra logica, matematica e meccanica, per legittimare una
conoscenza scientifica della natura. Ludovico Geymonat ha osservato che Hobbes, sulla base della
sua concezione materialistico-meccanicista, “delinea… una ‘geometria’ intesa come dinamica, cioè
come studio delle leggi matematiche del moto, e una fisica intesa come studio degli effetti del moto,
cioè come spiegazione di tutti i fenomeni – per esempio della luce – a partire dalle leggi della
dinamica”54.
Dentro la sua concezione geometrico-meccanica della natura pone come prima causa il moto:
“Le cause degli universali, d’altra parte (almeno di quelli di cui esistono le cause) sono manifeste
per sè o (come dicono) note alla natura...; infatti la causa di tutti questi universali è una sola, ed è il
moto; infatti anche la varietà di tutte le figure trae origine dalla varietà dei moti coi quali vengono
costruite, nè si può comprendere che il moto abbia altra causa che il moto, né le varietà delle cose
percepite col senso, come i colori, i suoni i sapori, ecc. hanno altra causa all’infuori del moto”55.
Dunque, le seguenti proposizioni formano il sistema di riferimento concettuale per l’inquadramento
meccanico del reale:
1. gli aspetti universali degli accidenti, cioè dei fenomeni naturali, si manifestano nella
natura;
2. la causa di tutti gli aspetti universali (o “semplici”) degli accidenti è una sola: il moto;
3. dal moto traggono origine tutte le figure geometriche e perciò è concepibile che anche le
forme naturali traggano origine dal moto di porzioni di materia;
54
55
“Storia del pensiero filosofico e scientifico”, op. cit., V. II, p. 312 della prima edizione.
“De corpore”, in “Hobbes”, op. cit., p. 98-99.
4. il moto non ha altra causa che il moto stesso (relazione circolare del moto al moto) (si
esclude, quindi, la possibilità di postulare l’azione di un primo motore immobile,
secondo quanto sostenuto nella fisica aristotelica)56;
5. tutte le cose percepite col senso sono originate dal moto e solo dal moto di porzioni di
materia;
6. il divenire fenomenico è completamente spiegabile, in linea di principio, tramite i moti e
le composizioni di moti di corpi.
La scienza hobbesiana non è galileiana
La scienza hobbesiana, nonostante il lungo e impegnativo tentativo di modernizzazione, si sviluppa
secondo una prospettiva aristotelica, in quanto segue la logica dello “scire per causas”, non quella
galileiana della ricerca delle leggi dei fenomeni; leggi che abbiano espressione matematica per il
controllo quantitativo delle variazioni fenomeniche. Dice Hobbes: “A proposito di coloro che
ricercano la scienza in generale, la quale consiste nella conoscenza delle cause, per quanto è
possibile, di tutte le cose, dal momento che le cause di tutti i singolari si compongono dalle cause
degli universali o semplici, è necessario che si conoscano le cause degli universali, cioè di quegli
accidenti che si trovano in tutti i corpi, vale a dire che sono comuni ad ogni materia”. Gli accidenti,
qui, sono quelli dell’estensione e del movimento57.
Dal brano citato si deduce che una scienza generale deve considerarsi tanto più perfetta quanto più
essa si avvicina alla conoscenza completa delle cause. Tale esigenza di onnicomprensione causale,
da un lato mette in ombra la necessità che la nuova scienza individui le leggi dei fenomeni in un
determinato dominio della natura; dall’altro, indica un obiettivo che nessuna scienza potrà mai
raggiungere, e che, supponendo che esso venga raggiunto, non consentirebbe di far altro che
delineare conoscenze di tipo qualitativo.
Le cause degli “universali o semplici” le cause, cioè, di quegli accidenti che si trovano in tutti i
56
57
Cfr. “Fisica” di Aristotele.
“De corpore”, in “Hobbes”, op. cit., p. 99.
corpi (estensione e movimento), sono i moti.
Le cause comuni ad ogni materia sono i moti; ma, posto di conoscerle tutte, ciò non farebbe
compiere alla scienza quel salto qualitativo che le ha fatto fare Galilei, esigendo che i fenomeni
venissero misurati e che i loro rapporti regolari si esprimessero con linguaggio matematico.
La scienza generale, cui Hobbes si riferisce, è una scienza ancora qualitativa, come quella
aristotelica; come questa è interessata alle origini dei fenomeni, non alle leggi del moto nè ad altre
che sappiano descrivere il comportamento regolare di certi fenomeni in relazione ad altri, mediante
espressioni matematiche (che permettano il controllo quantitativo della rispondenza delle leggi ai
fenomeni).
Si potrebbe dire che Hobbes è interessato allo sviluppo causale dei fenomeni più che al modo del
loro sviluppo in connessione con altri fenomeni; anche se postula, e tenta, spiegazioni “geometricomeccaniche”.
Il suo tentativo di combinare la logica sillogistica col calcolo, nella forma dell’addizione e della
sottrazione, in modo da sviluppare una scienza della natura deduttiva e completamente analitica (le
proposizioni scientifiche si otterrebbero per addizione o sottrazione di termini, purchè attribuiti in
modo proprio) approda ad un esito di tipo aristotelico.
Valga come esempio di “proposizione scientifica” la seguente:
“se al termine uomo sottraggo razionale, ottengo animale; se a questo sottraggo animato, ottengo
corpo...”58.
In tal modo “la scienza sembra ancora una volta ridursi alla ricerca delle essenze e alla loro
riconduzione alle strutture gerarchiche dei generi e delle specie: questa scienza - osserva Arrigo
Pacchi - appare piuttosto estranea a quel tipo di sapere matematico che trovava la sua migliore
espressione nella geometria euclidea...”59.
Si potrebbe dire che Hobbes cerca di costruire una nuova scienza applicando al ragionamento
58
59
“Hobbes”, op. cit., p. 96.
“Hobbes”, op. cit., p. 96.
sillogistico (di tipo aristotelico) l’operazione dell’addizione o della sottrazione, riferendole a termini
che indicano concetti o a quelli che sono costituiti da intere proposizioni.
Dal suo punto di vista, secondo il quale ogni autentico ragionamento matematico, e per estensione
ogni altro ragionamento, si riduceva al sommare o sottrarre dei termini in modo corretto, egli poteva
ritenere di aver applicato il ragionamento matematico alla conoscenza della natura; ciò faceva, però,
avendo di mira la ricerca delle essenze delle cose per ordinarle in una struttura gerarchica di specie
e generi (di classi e di classi di classi). In tal modo egli utilizza le operazioni fondamentali della
matematica per sviluppare una logica sillogistica e computistica che tratta delle essenze e dei loro
rapporti in termini di inclusioni in classi. In definitiva egli non compie ricerca scientifica in modo
nuovo, ma fornisce nuovo rigore a un modo qualitativo, classificatorio e gerarchico di
organizzazione e sviluppo delle conoscenze.
Le conoscenze sulla cui base sviluppare la scienza di tipo hobbesiano vengono considerate tutte già
date: il lavoro di costruzione della nuova scienza sembra che debba consistere nell’addizionare e nel
sottrarre in modo sensato concetti già noti (si sommano o sottraggono termini omogenei). Questa mi
sembra essere la spiegazione del suo tentativo di sviluppare un sistema di conoscenze della natura,
dell’uomo e della società in modo deduttivo e sommativo.
Possiamo affermare che Hobbes alla fondamentale ricerca del cause degli universali, cioè di quegli
accidenti che si trovano in tutti i corpi (estensione e movimento), aggiunge il ragionamento
sillogistico-computistico per formare delle conoscenze ordinate gerarchicamente in termini di classi
e classi di classi (specie, generi…).
Le cause degli accidenti che sono in tutti i corpi sono i moti dice Hobbes, ma non indaga i moti
stessi per scoprire le leggi che legano le diverse grandezze.
Il suo determinismo si configura come meccanicismo, come una filosofia materialistica delle
condizioni necessitanti; ma non si nutre di quelle ricerche che concretamente mostrino il modo di
operare delle condizioni materiali e non si concreta nella ricerca di regolarità fenomeniche da
descrivere con relazioni matematiche di valore generale.
Sul concetto di causa nel materialismo hobbesiano
A proposito del concetto di causa, A. Pacchi nota che Hobbes col termine causa intende sia il moto,
che genera gli universali, sia il concetto aristotelico di “forma sostanziale”.
Hobbes sostiene che, quando il nome di una cosa viene definito, allora, se la cosa stessa ha una
causa, nella sua definizione essa deve comparire.
Tra gli esempi che confermano la “confusione” di diversi concetti causali si può citare quello che
riguarda la definizione di uomo: “uomo” è “corpo animato, senziente, razionale”.
In essa si compie “la risoluzione di quel nome nelle sue parti più universali”60.
L’identificazione di ”causa” con “generazione” e con “forma sostanziale” riflette, secondo A.
Pacchi, il tentativo hobbesiano di fondere, a partire dalle fondamenta, la fisica seicentesca con la
scienza aristotelica. Hobbes sembra voler unire l’idea di ‘causa statica’ e di causa dinamica in
termini di somma o sottrazione delle relative parti.
L’aspetto veramente deterministico e moderno del suo pensiero, però, è quello che fa derivare ogni
accidente dai moti: solo l’azione dei corpi materiali per contatto determina gli accidenti (dei quali
solo due sono permanenti e universali: l’estensione e il moto).
Hobbes sostiene che la realtà naturale si può e si deve spiegare mediante il moto dei corpi
(materiali): corpo e moto costituiscono principi necessari e sufficienti a spiegare i fenomeni naturali
in tutta la loro varietà, nel loro ordine e secondo i loro nessi. Di null’altro c’è bisogno. In relazione
alla concezione hobbesiana della causalità, Nicola Abbagnano ha osservato che il carattere
meccanico della causalità non diminuisce, agli occhi di Hobbes, la natura razionale di essa: chè,
anzi, Hobbes vede nel meccanismo la sola spiegazione razionale del mondo, nel corpo e nel
movimento i due soli principi di spiegazione, e non riconosce altra realtà fuori di essi”.
Egli aggiunge che in Hobbes “prevale l’identificazione accettata da Cartesio di causa con ragione.”,
60
“Hobbes”, op. cit., p. 100.
e che, pertanto, “La causa è ciò che dà ragione dell’effetto, ne dimostra o giustifica l’esistenza o le
determinazioni”61.
Causa statica e causa dinamica sono accomunate dal rendere ragione, rispettivamente, delle
determinazioni o degli effetti.
Osserviamo che Hobbes nel concetto di corpo include quello di spazio, che appare come “il
fantasma di una cosa esistente, in quanto esistente”; nel concetto di moto include quello di tempo,
che definisce come “il fantasma del moto, in quanto nel moto immaginiamo un prima e un poi, cioè
una successione”62.
Il corpo non solo occupa spazio, ma si ritiene che esista indipendentemente dalla nostra
immaginazione, come succedeva nel caso della sostanza aristotelica.
Il moto è lo spostamento continuativo di un corpo nello spazio (pieno): “Il moto è l’abbandono,
senza soluzione di continuità, di un certo luogo, e l’acquisizione di un altro;… dico “senza
soluzione di continuità” per il fatto che, per quanto piccolo sia il corpo, non può uscire tutto insieme
dall’intero luogo precedente…”63.
Come ho già detto, la causalità naturale è solo quella che si esplica allorché un corpo agisce, per
contatto, su un altro corpo. I corpi sono parte di uno spazio pieno dove il concatenamento dei moti
determina la trama causale del mondo. Hobbes fornisce, inoltre, una definizione di causa in cui si
dice che essa64 è costituita dall’insieme delle condizioni che producono un effetto: la causa è
“l’aggregato di tutti gli accidenti, sia degli agenti, quanti sono, sia del paziente, supposta la presenza
dei quali non si può intendere che l’effetto non sia stato simultaneamente prodotto, e supposta
l’assenza di uno solo dei quali non si può intendere che l’effetto sia stato prodotto”65.
In tale definizione la causa è data dall’insieme delle condizioni materiali che, connettendosi,
producono un effetto; s’immagina che dal contatto di agenti e pazienti si generi necessariamente e
61
62
63
64
65
Cfr. “Dizionario filosofico”, di N Abbagnano, voce “causalità”.
“De corpore”, citaz. in “Hobbes”, op. cit., p. 103-104.
“De corpore”, in “Hobbes”, op. cit., p. 105.
Cfr. “Dizionario filosofico”, op. cit., alla voce “causalità”.
“De corpore”, in “Hobbes”, op. cit., p. 105.
contemporaneamente un determinato effetto, e che lo stesso (effetto) non si produca in assenza di
uno solo dei fattori implicati nella generazione di esso. Dunque, Hobbes distingue una causa
necessaria all’interno degli accidenti che, insieme, determinerebbero un effetto.
Questo concetto di causa porta ad equiparare un insieme di condizioni interagenti ad un unico
fattore, necessario e sufficiente a produrre un effetto determinato. Abbiamo, perciò, qui, un’idea
galileiana di causalità, all’interno della quale è ritagliata la causa necessaria66.
In questo modo la complessità, costituita da un numero grande, ma limitato, di elementi interagenti,
può essere considerata come una sola causa (risultante) se produce un solo effetto.
E’ chiaro che a una causa risultante possiamo far corrispondere un effetto risultante, ipoteticamente
immaginabile come un insieme grande, ma limitato di effetti tra loro connessi.
Per tali motivi penso che l’ultima definizione di causa abbia una capacità di cogliere il reale
(complesso) superiore a ciò che lo stesso Hobbes immaginava. Noi, oggi, sappiamo che l’effetto
d’insieme di tante particelle interagenti non è identico a quello che potrebbe essere prodotto dalle
stesse particelle in condizioni di non interazione.
La prospettiva di una “complessità causale”, necessaria e sufficiente a produrre una “complessità
effettuale”, va considerata una felice intuizione, dotata, tra l’altro, di un grande valore pratico, come
oggi sappiamo molto bene.
Dove non è praticabile l’analisi causale, strettamente analitica, si porta avanti un’analisi in termini
di insiemi di condizioni materiali capaci di spiegare effetti complessi.
Nella logica Hobbes ribadisce che la causa universale di ogni aspetto del reale va individuata nel
moto e solo in esso.
Non solo quella che chiamiamo dinamica, ma anche le sensazioni di piacere e dolore e le passioni,
66
Cfr. “La causalità”, op. cit., p. 56 e p. 405; v. anche “Dizionario filosofico”, op. cit., nel quale alla voce “causalità”,
in rapporto a Hobbes, si dice che:
a) “il rapporto causale si riduce all’azione di un corpo sull’altro e che perciò la causa sia ciò che genera e distrugge un
certo stato di cose in un corpo” (“De corpore”, IX, 1), e che:
b) “la causa perfetta, ciò da cui l’effetto infallibilmente segue, è l’aggregato di tutti gli accidenti attivi quanti sono:
con essa l’effetto è già dato”. (“De corpore”, IX, 3).
con esse collegate, nonchè ogni sensazione e immaginazione, i sogni ed ogni pensiero devono avere
una precisa spiegazione in termini di moti di porzioni di materia, che, agendo su di noi o in noi in
modi ben determinati, producono quegli effetti che chiamiamo sensazioni, immaginazioni, sogni e
pensieri.
La sensazione e l’immaginazione differiscono, secondo Hobbes, solo per la maggiore intensità della
prima rispetto alla seconda, come succede all’evoluzione del moto ondoso nello stagno, non appena
cessi l’impulso originario; i sogni sono attribuiti all’azione violenta che certe parti interne al corpo
umano eserciterebbero sul cervello; anche i pensieri altro non sarebbero se non reazioni del cervello
a precisi moti che giungono fino ad esso67.
Dato che Hobbes concepisce la realtà come “una successione concatenata e necessaria di fatti,
prodotti dal movimento dei corpi, e dalla trasmissione del movimento stesso da un corpo
all’altro”68, concludiamo che il suo materialismo meccanicistico risulta totalmente deterministico.
Importanti e significative mi sembrano le considerazioni di Ernest Cassirer sul meccanicismo
hobbesiano: “In Hobbes – egli afferma – meccanicismo e materialismo si associano e risolvono
l’uno nell’altro. Ma nel pensiero stesso di Hobbes il secondo è solo una conseguenza del primo: non
ne è in alcun modo il fondamento vero e proprio. Anche per Hobbes il fondamento del
meccanicismo sta altrove: va cercato nei principi della dinamica galileiana e in quelli della propria
logica nominalistica e razionalistica”69.
67
68
69
Cfr. “Hobbes”, in A. Pacchi, p. 30 e 31.
“Hobbes”, op. cit., p. 106; cfr. anche “Storia del pensiero filosofico e scientifico”, op. cit., V. II
in “Determinismo e indeterminismo nella fisica moderna”, ed. Nuova Italia, 1970, p. 227, a cura di Giulio Preti.
Capitolo quarto - Causalità e leggi nel pensiero di Newton
Newton (1642-1727) sviluppò il suo pensiero particolarmente nel campo fisico e, in connessione
con esso, (ma non solo in rapporto ad esso70), in quello matematico, filosofico e religioso. Si occupò
in misura notevole anche di chimica sperimentale.
Sul piano filosofico tenne costantemente presente la concezione meccanicistica cartesiana, anche
laddove essa si proponeva come un insieme di teorie fisiche non supportate da relazioni
matematiche, che ne consentissero una puntuale verifica, secondo l’insegnamento di Galileo71.
Galileo viene valorizzato da Newton soprattutto nel campo fisico; ma anche la filosofia
meccanicistica e, prudentemente, atomistica venne considerata con interesse e parziale
condivisione.
Inoltre, come per Galileo, “per Newton la realtà è la natura e la matematica costituisce lo strumento
più idoneo a farci penetrare questa realtà”72.
Nel campo sperimentale Newton studiò particolarmente R.Boyle.
Egli seppe tenere presenti e valorizzare Keplero, Huygens, Hooke e Halley.
Qui interessa delineare il contributo di Newton al pensiero deterministico, e, perciò, esamineremo il
suo concetto di causalità, di necessità, di legge e di ordine del mondo materiale ed anche i loro
rapporti.
Nel trattare approfonditamente e sistematicamente i problemi della meccanica e le sue leggi, egli
approdò alla teoria della gravitazione universale, in base alla quale individuò una nuova causalità,
diversa da quella meccanica: la causalità gravitazionale, che è considerata “principio attivo”73.
Questa si esprime nell'attrazione a distanza tra due masse.
Tale attrazione è direttamente proporzionale al prodotto delle grandezze delle masse ed è
inversamente proporzionale al quadrato della distanza compresa tra i loro centri di massa.
La causalità meccanica, invece, era stata sempre espressa come una forza che agiva su una
superficie, dipendendo in modo diretto dalla intensità della forza e in modo inverso dalla estensione
70
Sulla creatività matematica di Newton vedi “Storia della matematica”, di Carl B. Boyer, Mondadori.
Apertamente riconosciuto nei “Principia: assiomi o leggi del movimento”, traduz. di A. Pala, p. 129-130. Va
osservato, poi, che l’analisi del moto di un proiettile è analoga a quella del moto di un pianeta intorno al sole.
72
“Principia”, p. 35.
73
V. gli “Scritti di ottica” di I. Newton, a cura di A. Pala, ed. UTET, XXXI questione, p. 601; v. anche i “Principia”,
a cura di A. Pala, ed. UTET, p. 41, 798 e 801. A. Pala, riassumendo una parte del pensiero di Newton, esposta nello
“Scolio generale”, dice: “il ragionamento di Newton è il seguente: essendo la forza d’inerzia e le leggi del moto
principi passivi, la varietà e la quantità di moto nel mondo dovrebbe decrescere continuamente. Se ciò non avviene
è perché intervengono principi attivi quali la causa della gravitazione e la causa della fermentazione” (Principia, p.
41). L’attrazione gravitazionale agisce come legge universale nel mondo materiale. La forza di gravità viene
utilizzata per spiegare i fenomeni del cielo e del mare e “opera non in relazione alla quantità delle superfici delle
particelle sulle quali agisce (come sogliono le cause meccaniche) ma in relazione alla quantità di materia solida. La
sua azione si estende per ogni dove ad immense distanze, sempre decrescendo in proporzione inversa al quadrato
delle distanze” (“Principia”, .Scolio generale, p. 801).
71
della superficie di contatto tra agente portatore della forza ed elemento che la subiva (P = F/Sc).
Nel caso della causalità gravitazionale l'azione d'attrazione reciproca avveniva a distanza (e non a
contatto), e non dipendeva dalle superfici delle due masse implicate ma dalla quantità delle loro
masse (prodotto delle masse) ed anche dall'inverso del quadrato della distanza tra i loro centri.
Sia la causalità meccanica che quella gravitazionale avevano un’espressione matematica che
permetteva di fare verifiche e, dunque, previsioni.
Va osservato, inoltre, che nella causalità gravitazionale non solo manca la contiguità dell'azione
delle due masse che s'attraggono ma, come osserva Mario Bunge, 74 la causa e l'effetto risultano
contemporanei: la traiettoria dei pianeti s'incurva per la forte attrazione che la massa del sole
esercita su di loro in senso radiale; senza tale attrazione i pianeti, in base alla seconda legge della
dinamica si muoverebbero di moto rettilineo uniforme ( se a = 0 allora v = costante ).
L'incurvarsi delle traiettorie dei pianeti è contemporaneo all'azione di attrazione che il sole esercita
su di loro, come accade alla traiettoria di un proiettile sparato parallelamente al “piano” terrestre.
Non solo l'attrazione gravitazionale ma ogni “forza newtoniana” (che obbedisca cioè alla seconda
legge della dinamica, per la quale una forza determina, se applicata ad una massa, un'accelerazione
proporzionale all'intensità della forza e lungo la sua direzione e verso) [F x = max = mdvx/dt =
md2x/dt2] configura un nuovo concetto di causalità, che non richiede necessariamente il contatto dei
corpi coinvolti nella interazione, e che esige la determinazione contemporanea della causa ( cioè
della forza ) e dell'effetto, cioè dell'accelerazione del corpo che subisce la forza, e, mentre la
subisce, la rivela (azione istantanea).
Galileo aveva sostenuto che è da ritenersi causa quella “condizione A” che produce sempre
“l’effetto B”, se quand’è tolta A vien meno anche B. Proponeva, cioè, un concetto di causa come
condizione necessaria e sufficiente a produrre un effetto determinato e perfettamente distinguibile,
lasciando indeterminata sia la questione della contemporaneità o meno dell'effetto rispetto alla
causa75, sia la condizione della contiguità.
Newton invece precisa che, laddove si manifesta una forza esprimibile con la seconda legge della
dinamica, ivi la causa deve risultare contemporanea all'effetto (accelerazione)76.
Come nota M. Bunge77, in tal modo Newton propone una nuova concezione della causalità, che
interviene a rendere ragione solo dei casi in cui compaiono delle accelerazioni e non dei casi in cui
compaiono delle velocità costanti.
Aristotele, invece, supponendo che ogniqualvolta si produce del moto ciò vada imputato ad una
74
75
76
77
V. “La causalità”, di Mario Bunge, U.S. Boringhieri, p. 133.
V. “Il Saggiatore”, op. cit., p. 98 :” se è vero che quella e non altra si debba propiamente stimar causa, la qual
posta segue sempre l’effetto, e rimossa si rimuove”.
V. la seconda legge fondamentale della dinamica in “Principi matematici della filosofia naturale”, di I. Newton,
assiomi e leggi del movimento, trad. di A. Pala, p. 118.
V. “La causalità”, op. cit., p. 133-134.
forza, impone una legge del moto interamente causale, che si può esprimere con i simboli seguenti:
Fx = Rdx/dt = Rvx, R0. R indica la resistenza opposta al moto. Se F è uguale a zero, risulta che
anche la velocità è uguale a zero, e con ciò viene rifiutato il principio d'inerzia e postulata una forza
per ogni movimento; il che era stato escluso sul piano filosofico da Democrito, sul piano fisico da
Leonardo, e da Galileo ancor più chiaramente: perché fu lui a stabilire un preciso nesso tra forza di
gravità e accelerazione; fu Newton invece a formulare nella forma d'una equazione differenziale del
II ordine la dipendenza dell'accelerazione (non della velocità) dall’azione istantanea d'una forza; fu
Newton a generalizzare il concetto fisico di forza e a farne il fondamento assiomatico della nuova
fisica78.
L'idea d'una causazione a distanza, sul piano fisico, nessuno l'aveva mai sostenuta: Newton
utilizzando i risultati dei grandi scienziati che l'avevano preceduto (Galileo, Keplero Huygens…),
trovò anche l'espressione matematica esatta per la causalità gravitazionale e un’espressione generale
analitica per ogni causa che avesse le conseguenze dell’applicazione di una forza [F x = d/dt px =
mdvx/dt , m = costante].
Giustamente M. Bunge ha osservato che “Nella teoria relativistica della gravitazione la situazione è
ancor meno favorevole alla causalità”, in quanto ciò che in essa “produce l’incurvarsi della
traiettoria d’un pianeta non è una forza classica, ma l’incurvarsi dello spazio-tempo intorno al sole”;
e, perciò, “La relatività generale amplia … a detrimento dell’ambito causale, il territorio
dell’automovimento”; anche se “Non elimina … il rapporto fra causa ed effetto: mantiene infatti
come cause forze diverse dalla gravità”79.
Newton, con la sua terza legge, [F12 = - F21], conferma il concetto dell'agire istantaneo della forza:
quando due corpi interagiscono, la forza che il primo esercita sul secondo è uguale in modulo ed
opposta nel verso, istante per istante, a quella che il secondo esercita sul primo80.
Abbiamo stabilito che Newton diversificò il concetto di causa ammettendo accanto alla causalità
meccanica quella agente a distanza ed istantanea: la causalità gravitazionale; che, inoltre, egli
riteneva lecito che si potesse parlare di cause fisiche solo laddove si manifestassero delle
accelerazioni. Il semplice moto rettilineo uniforme non richiedeva alcuna spiegazione fisica.
Possiamo affermare allora che inquadrò la causalità entro i limiti della ragione fisica, espressa
mediante equazioni matematiche.
Newton subordina la conoscenza delle cause a quella delle leggi: solo dove le leggi sono
chiaramente definite e accertate ha senso una ricerca di tipo causale: una causa è facilmente
intercettabile se viene individuata quale fattore responsabile di determinate variazioni di velocità o
78
79
80
Cfr. “Principi di Newton”, op. cit., p. 118, nota 1.
In “La causalità”, op. cit. p. 135.
V. “Assiomi e leggi del movimento” nei “Principia” op. cit. p. 117-119; v. anche la nota 2 sulla III legge della
dinamica e l’anticipazione cartesiana di essa a pag. 119;V. inoltre, la “Fisica di Berkley – meccanica”, di Kittel,
Knight, Ruderman, ed. Zanichelli, p. 69-70.
di massa o di altre variabili fisiche misurabili. Così, essendo valido il principio d'inerzia, si cercherà
una causa fisica solo nel caso in cui qualche corpo mostri di accelerare, variando in un modo
qualunque la sua velocità.
Le tre leggi della dinamica, nella formulazione newtoniana, sono valide in un qualunque sistema
inerziale per corpi macroscopici; tuttavia, come osserva Ludovico Geymonat, Newton, nella sua
trattazione matematica delle leggi fisiche e per l'espressione matematica delle leggi stesse, deve
aver sentito la necessità di inquadrarle in uno spazio assoluto ed in un tempo assoluto, rispetto ai
quali esse risultavano inattaccabili81.
Nel tentativo di riconoscere un ordine nella natura, Newton, ora parte da principi matematici per
ricavarne deduzioni fisiche, da verificare; ora parte da proposizioni fisiche, le cui conseguenze
elabora matematicamente: ciò perché ritiene che i principi della matematica abbiano le loro radici
nella fisica, nella osservazione della natura82.
Quel che interessa qui è che egli voleva contribuire a scoprire l'ordine naturale mediante
l'individuazione delle leggi dei fenomeni; che tali leggi cercava, secondo l'indicazione di Galileo, in
forma matematica, in modo che fosse possibile verificarle mediante misure fisiche, e non con
ragionamenti basati sulla semplice plausibilità di particolari ipotesi83; che egli affidava soltanto alle
leggi e a Dio il compito di conservare l'ordine cosmico.
L’intervento divino era ritenuto necessario laddove l'ordine gravitazionale del cosmo fosse in
qualche misura incrinato dalle perturbazioni della materia.
L'intervento divino rispetto alla materia è ritenuto essenziale da Newton, non solo nell'imposizione
delle leggi naturali alla materia, ma anche nel controllare e correggere eventuali deviazioni di
questa rispetto alle leggi stesse: “Da una cieca necessità metafisica 84, che è assolutamente identica
sempre e ovunque, non nasce alcuna varietà di cose.
L'intera varietà, per luoghi e per tempi, delle cose create potè essere fatta nascere soltanto dalle idee
e dalla volontà di un ente necessariamente esistente.” 85 Newton non a riuscì a valutare l'esatta entità
del disturbo che i pianeti s’arrecavano a vicenda nella loro rivoluzione attorno al sole: non riuscì a
valutare la consistenza del discostamento dall'orbita idealmente circolare, giustificata, secondo lui,
dalla forza di gravità: “... Newton non risolse mai completamente questo problema in modo da poter
essere sicuro del fatto che tutte le possibili perturbazioni delle orbite si annullassero a vicenda; egli
contemplò sempre la possibilità che, di tanto in tanto, potesse essere necessario un miracolo per
81
82
83
84
85
Cfr. “Storia del pensiero filosofico e scientifico”, Vol. II p. 635
Cfr. “Introduzione a Newton” di M. Mamiani.
Secondo quanto faceva Cartesio nella sua “Teoria dei vortici”. Tale teoria viene demolita nei “Principi matematici
della filosofia naturale”, op. cit. “Scolio generale”, p. 797. Newton osserva che se esistessero i vortici cartesiani
non verrebbero rispettate la II e la III legge di Keplero, che invece, son ben verificate e che il moto fortemente
eccentrico delle comete, in tutte le parti del cielo, non è compatibile con la “Teoria dei vortici”.
Il riferimento è al materialismo meccanicistico di Democrito e ai sostenitori dell’ipostesi atomistica della
formazione casuale del cosmo, o, meglio, dei mondi.
“Principia” op. cit. “Scolio Generale” p. 801.
impedire la distruzione globale dell'ordine celeste”86.
E' chiaro che Newton non teneva nettamente distinti il campo della fisica e quello religioso, in
quanto riteneva che il mondo materiale potesse essere dominato e costantemente influenzato da
un'entità ritenuta puramente spirituale.
Mentre Galileo aveva distinto, salvo per l'iniziale “creazione”, il mondo materiale da quello divino,
garantendo al primo un'autonomia di funzionamento in base alle leggi della fisica, Newton, invece,
non condivide una scelta di campo così netta; e pensa che un supporto divino all'ordine cosmico, di
tanto in tanto, possa essere necessario là dove si presentino pericolose perturbazioni 87. Cartesio
credeva, invece, non solo nella creazione degli elementi materiali e nell’imposizione di poche leggi
meccaniche ma anche che Dio dovesse conservare la materia creata88.
Mi domando ora:
a) se Dio aveva imposto, con supremo dominio delle leggi fisiche alla materia, e questa le aveva
recepite, perché, poi, se ne sarebbe dovuta discostare, se sussisteva un rapporto d'obbedienza
cieca e totale?;
b) qual è il concetto di legge fisica nel pensiero filosofico di Newton?
c) se la materia ammette comportamenti non regolari, allora possiede un'autonomia dal volere
divino?
Alla prima e alla terza domanda bisognerebbe rispondere che la materia ha una sua parziale
autonomia, misurata dall'entità delle deviazioni rispetto al corso normale delle leggi; per il resto,
essa andrebbe considerata obbediente alla imposizione divina, e non solo perché solitamente non si
danno deviazioni, ma anche perché Dio, contro di esse, è sempre pronto ad intervenire per
richiedere obbedienza. Quanto al concetto di legge fisica, esso è legato, da un lato, al “volere
divino”, che l’ha imposta alla materia, scegliendola nella sua infinita saggezza; dall'altro a noi che
osserviamo nella natura delle regolarità che si possono e si devono, per ragioni di chiarezza,
precisione e concisione, esprimere con relazioni matematiche.
Osserva Rupert Hall che "Per Newton le leggi della natura non erano certezze introspettive ma
certezze derivate dal ragionamento matematico.”89; e Maurizio Mamiani precisa, e ampiamente
dimostra, che Newton riteneva che si potesse sviluppare la fisica e , dunque, innanzi tutto le sue
leggi in due modi diversi: “Il metodo per stabilire conoscenze certe.. è unico: ma si possono seguire
due vie. Porre dei principi fisici mediante gli esperimenti e poi ricorrere alle dimostrazioni
matematiche; porre dei principi matematici e utilizzare in seguito gli esperimenti per confrontare
86
87
88
89
“Da Galileo a Newton” op. cit., p. 258.
Sull’unità del binomio creazione-conservazione del mondo v. anche “L’essenza della religione” di Ludwig
Feuerbach, paragrafo XVI.
“Discorso sul metodo”, op. cit., p. 98.
“Da Galileo a Newton”, op. cit., p. 269.
con i fenomeni le conseguenze tratte matematicamente dai primi”90.
Ciò poteva accadere perché Newton riteneva che, in effetti, “I principi della geometria non sono
geometrici, ma fisici e precisamente meccanici”91.
Dice, infatti, Newton nella prefazione ai “Principia”: la geometria dunque si fonda sulla prassi della
meccanica, e non è nient’altro che quella parte della meccanica universale che propone e dimostra
l’arte di misurare accuratissimamente”92.
Egli riteneva che “ . . l'ottica e molte altre scienze matematiche si fondano tanto su principi fisici
quanto su dimostrazioni matematiche...”93.
Sulla convergenza reale tra matematica e fisica, Newton dice: “Nei libri precedenti ho presentato i
principi della filosofia: tuttavia essi non sono principi filosofici ma soltanto matematici, sulla base
dei quali, come è facile vedere, si può discutere di cose filosofiche”, essendo le “cose filosofiche”
ciò che oggi chiamiamo fisica94.
Dunque l'ordine della natura poteva, e doveva essere, espresso in termini di leggi formalmente
matematiche e sostanzialmente fisiche (avendo la matematica le stesse radici della fisica).
Sull’ordine del mondo
A proposito dell'ordine del mondo, Newton afferma che “Da una necessità metafisica, che è identica
senz'altro sempre e ovunque, non nasce alcuna varietà di cose. L'intera varietà delle cose, ordinata
secondo i luoghi e i tempi, “poté nascere solamente dalle idee e dalla volontà di un ente
necessariamente esistente”95.
Per tale motivo, come osserva M. Mamiani, “Newton non crede che le spiegazioni meccanicistiche
possano dar conto della realtà intera.”
Quindi, secondo Newton, "L'ordine non può essere il risultato di forze cieche, di urti e di rimbalzi.
L'ordine del mondo può essere descritto fino a un certo punto in questo modo, ma già la forza di
gravità con la sua misteriosa proporzione rispetto alla massa dei corpi esce dal quadro
meccanicistico. L'ordine non può essere derivato da una situazione precedente che non sia a sua
volta ordinata”96.
Dice infatti Newton nell'ottica: “Non è filosofico cercare di trovare una qualunque origine diversa
90
“Introduzione a Newton”, op. cit. p. 60. La dimostrazione matematica verifica la legge fisica , la legge fisica
verifica i risultati matematici.
91
“Introduzione a Newton”, op. cit. p. 92.
92
“Principia”, op. cit., p. 58.
93
“Corrispondenza di Newton a Oldenburg”, in “Introduzione a Newton” p.68
94
V. l’inizio del III Libro dei “Prinicpia” op. cit. p. 69, 605.
95
Vol. II dei “Principia” , citazione in “Introduzione a Newton”, di N. Mamiani, p. 105; vedi i “Principia”, “Scolio
generale”, op. cit, p. 801.
96
“Introduzione a Newton”, op. cit., p. 105.
del mondo (dalla creazione di un agente intelligente) o pretendere che esso possa sorgere da caos
per mezzo delle semplici leggi di natura”97.
Osserva M. Mamiani che “L'aporia del caos risulta . . .evidente: il disordine del mondo non può in
alcun modo essere un elemento d'ordine del mondo. L'ordine è un carattere esterno alla materia, e
appartiene a Dio”98.
Dunque, secondo Newton, il mondo, a partire dalla sua completa creazione, è sempre stato ordinato,
perché dal caos non può nascere alcun ordine del mondo per mezzo delle semplici leggi di natura.
Netta, e opposta a quella dell’atomismo democriteo, la posizione filosofica di Newton. Infatti, una
delle fondamentali intuizioni di Democrito era stata quella di immaginare che dalla casualità degli
urti potessero originarsi mondi ordinati99. Newton esclude il caso dall’agire naturale.
Osserva R. Hall: “Nulla accade per caso, nulla è arbitrario, nulla è sui generis, nessuna legge è fine
a se stessa. (Convergenza con le tesi aristoteliche, nella “Fisica”).
La filosofia tanto dei Principia quanto dell'Optiks insiste tuttavia sul fatto che, per quanto vari,
sconnessi e disordinati possano apparire gli infiniti eventi che accadono in natura, si tratta solo di
apparenza: in realtà, infatti, tutti i fenomeni delle cose e tutte le loro proprietà devono essere
riconducibili a un piccolo gruppo di leggi fondamentali della natura, e mediante il ragionamento
matematico ciascuno di essi è a sua volta deducibile da queste leggi, una volta che siano note.
Newton rifuggì tuttavia dall'opinione che queste leggi siano innate in natura, cosa che, ai suoi occhi
avrebbe condotto alla necessità e alla deificazione della materia. La materia e le proprietà materiali
non possono essere eterne ed increate; la materia e le leggi della natura esistono invece in quanto
volute da Dio.
La perfezione delle leggi implicava per lui un legislatore, così come la perfezione dell'architettura
dell'universo un disegno cosmico…”100.
Dell'atomismo Newton condivide l'idea che “la materia di tutte le cose è una sola, ed essa si
trasforma mediante operazioni naturali nelle innumerevoli specie dei corpi”101.
Condivide, inoltre, il concetto espresso nel principio d’inerzia, intuito da Democrito, il quale, a
differenza di Newton ,non aveva supposto l'esistenza di forze di alcun genere, sembrandogli
sufficiente l'ipotesi del moto spontaneo degli atomi e dei loro urti casuali.
Newton considerò le spiegazioni meccaniche insufficienti a dar conto di tutti i fenomeni naturali:
“In una conclusione, che venne poi soppressa, ma doveva far parte della prima edizione dei
97
98
99
100
101
Cit. “Introduzione a Newton”, op. cit. p. 105; v. anche XXXI “Questione ottica” nella traduzione di A. Pala, p.
602.
“Introduzione a Newton”, op. cit. p. 105.
V. “I Pressopratici”, BUL, p. 681 e seg. Ed anche il Vol. I di “Storia del pensiero filosofico e scientifico”, op. cit.,
p. 178-179.
“Da Galileo a Newton”, op. cit., p. 275; v. XXXI questione dell’Ottica di Newton, p.602; v. ancora i “Principia”,
“Scolio generale”, p. 801.
“Introduzione a Newton”, op. cit. p. 97.
Principia, Newton afferma di aver spiegato il mondo visibile, ma non quello invisibile.
Quest’ultimo dipende dal movimento di particelle piccolissime, che sfuggono ai sensi, ma i cui
effetti sono manifesti: il calore, la fermentazione, la putrefazione, la vita, la sensibilità animale.
Newton sospetta che anche nel microcosmo agiscano forze di genere affine a quelle del
macrocosmo, del tipo della gravitazione, del magnetismo, dell'elettricità”102.
Il rapporto tra legge, causalità e ordine nel mondo
Le leggi del moto e quelle della luce hanno un fondamento empirico, e la causalità materiale è
relativa a queste leggi e ad altre che verranno scoperte. Solo le cause quantitativamente definite in
rapporto alle leggi di natura interessano veramente Newton, come scienziato: se osserviamo un
corpo che accelera, ha senso cercare la causa del mutamento di velocità, e cercarla riferendosi
all'equazione fondamentale della dinamica (F = dp/dt = mdv/dt, se m = costante); se un astro
accelera verso un qualche punto del cosmo, ha senso cercarne la causa in rapporto alla legge di
gravitazione universale (Fg = G M'M"/d2) ;dato che “al medesimo grado di rifrangibilità appartiene
il medesimo colore e al medesimo colore appartiene sempre il medesimo grado di rifrangibilità”, se
si osservano apparenti discostamenti da tale legge(newtoniana), occorre ricercarne la causa in “una
qualsiasi mescolanza di diversi tipi di raggi”103.
Newton riteneva che “il compito principale della filosofia naturale” fosse quello di “argomentare
muovendo dai fenomeni senza immaginare ipotesi e dedurre le cause dagli effetti...”104.
Credeva, inoltre, che solamente le cause e gli effetti inquadrati nelle leggi avessero un senso chiaro
e distinto, un senso compiuto e matematico. Infatti, trattando dell'attrazione, egli precisa che “prima
di indagare intorno alla causa efficiente dell'attrazione, dobbiamo apprendere dai fenomeni della
natura quali corpi si attraggono a vicenda, e quali sono le leggi e le proprietà dell'attrazione”105.
Esponendo il proprio meccanicismo atomistico, Newton dice: “Mi sembra inoltre che queste
particelle possiedano non soltanto una forza d'inerzia accompagnata da quelle passive leggi del
moto che risultano naturalmente da quella forza, ma che esse vengano anche mosse da certi principi
attivi come quello della gravità e quello che è causa della fermentazione 106 e della coesione dei
corpi. Io considero questi principi non come qualità occulte... ma come leggi generali della natura,
102
“Introduzione a Newton” di M. Mamiani, p. 96,97.
V. “l’introduzione agli scritti di Ottica”, di I. Newton, a cura di A. Pala, p. 21, p. 208-209.
104
“Ottica”, op. cit., p.576
105
“Ottica”, op. cit., XXXI questione, p.581.
106
Fermentazione: “nelle fermentazioni le particelle dei corpi, che erano quasi in quiete, sono spinte verso nuovi
movimenti da un principio potentissimo che agisce su di esse solo quando si avvicinano l’un all’altra, le costringe
ad incontrarsi e accozzare con estrema violenza…”, “Ottica”, op. cit., p. 585.
103
dalle quali le stesse cose sono formate. La realtà di questi principi ci si manifesta attraverso i
fenomeni...”107.
Data l'uniformità dei comportamenti della natura, data l'omogeneità della materia (composta di
particelle dure, solide, compatte, impermeabili e mobili…) 108, ciò che egli reputa importante e
decisivo per la filosofia naturale è “derivare dai fenomeni due o tre principi generali del moto e poi
spiegare come le proprietà e le azioni di tutte le cose corporee derivino da questi principi palesi..”109.
La causalità che interessa Newton, come scienziato, è quella costituita da azioni palesi e misurabili,
quella regolata da leggi generali espresse in forma matematica.
La necessità che egli considera, in sede fisica, è soltanto quella imposta dalle leggi della natura che
governano il moto e la formazione delle cose.
Quanto all'ordine del mondo, esso gli appare il risultato di un progetto divino, costituito delle
proprietà delle particelle elementari e delle leggi generali che ne governano il moto, l'aggregazione,
la disgregazione e, insomma, i reciproci rapporti in un quadro armonico e durevole.
Egli, in contrasto con Democrito, non crede al cieco fato; non crede che dal disordine possa nascere
l'ordine di molti secoli:
“mentre le comete si muovono in orbite molto eccentriche in tutte le direzioni, il cieco fato non
potrebbe mai far muovere tutti i pianeti nella stessa direzione in orbite concentriche, eccettuate
alcune irregolarità poco rilevanti...”110.
Sarà invece Kant, ispirandosi alla fisica newtoniana, colui che farà l'ipotesi della lenta formazione
del sistema solare a partire da una “nebulosa” di polvere cosmica, storicizzandone, quindi, la sua
costituzione.
107
108
109
110
Ivi p. 601.
cfr. “Ottica”, op. cit., p. 600.
Ivi p. 601-602.
“Scritti di Ottica”, op. cit., p. 602.
Capitolo quinto - Introduzione al determinismo kantiano
Dato che secondo Kant (1724.– 1804) la scienza fisica è conoscenza esatta, sintetica a priori, del
mondo fenomenico, cioè della realtà di cui abbiamo intuizioni sensibili, e che si lascia inquadrare e
interpretare esattamente mediante le forme a priori del pensiero, allora, per indagare la sua
posizione sul determinismo, conviene cominciare coll’esaminare il suo concetto di legge di natura e
di realtà fenomenica, che mi sembrano i due poli tra i quali si sviluppa il suo determinismo critico.
Ne “I postulati del pensiero empirico in generale”, Kant sostiene che “Ciò che s’accorda colle
condizioni formali dell’esperienza (per l’intuizione e pei concetti) è possibile.
Ciò che si connette con le condizioni materiali dell’esperienza (della sensazione) è reale.
Ciò la cui connessione col reale è determinato secondo le condizioni universali dell’esperienza è
(esiste) necessariamente”111.
Il postulato della possibilità delle cose richiede che il loro concetto si accordi con le condizioni
formali d’una esperienza in generale, quindi con le forme a priori dello spazio e del tempo
(intuizioni pure) e con le categorie (concetti puri).
La possibilità di una determinata realtà fenomenica richiede, allora, che essa si possa pensare nello
spazio e nel tempo mediante i concetti puri, cioè nel rispetto di tutte le condizioni formali
dell’esperienza, intesa in senso kantiano: “non c’è contraddizione nel concetto di una figura chiusa
fra due linee rette, giacché il concetto di due linee rette e quello del loro incontrarsi non contengono
la negazione di alcuna figura cioè viene rispettato il principio di non contraddizione; ma
l’impossibilità non sta nel concetto in se stesso, bensì nella costruzione di esso nello spazio, cioè
nelle condizioni dello spazio e della sua determinazione ….queste, alla lor volta, hanno la loro
realtà oggettiva, ossia si riferiscono a cose possibili, poiché contengono in sè a priori la forma
dell’esperienza in generale”112.
L’utilità del postulato della possibilità, riferito al pensiero empirico, si riscontra nella
rappresentazione di una sostanza in generale, in quella del rapporto causale ed in quella della
reciprocità d’azione.
Questi concetti, fondamentali nella meccanica newtoniana113, presi per se stessi, non costituiscono,
però, la possibilità empirica. Infatti, Kant afferma che “A volersi formare concetti nuovi di sostanze,
di forze, di azioni reciproche, dalla materia che la percezione ci offre, senza trarre dall’esperienza
stessa l’esempio della loro connessione, si verrebbe... a incorrere in manifeste fantasticherie
destituite di ogni carattere di possibilità, poiché per esse non si avrebbe a maestra l’esperienza, nè si
111
112
113
“Critica della ragion pura” p. 223, ed. U. Laterza, Traduzione di G. Gentile e di G. Lombardo – Radice.
“Critica della ragion pura”, p. 225 ed. Universale Leterza
Nella meccanica razionale Newton parla di sostanza usando l’espressione “quantità di materia”, cioè massa,
connettendola al concetto di densità e alla II legge della dinamica. V. i “Principia”, definizione I p. 95-96 e nota 1.
desumerebbero da questa tali concetti”114.
Dunque la possibilità empirica si ricava avendo a maestra l’esperienza, unica a poter mostrare
l’esempio della connessione di sostanze, forze e azioni reciproche, secondo l’insegnamento di
Galileo, di Newton e di Locke.
I concetti nuovi di sostanze, di forze e di azioni reciproche, se vogliono essere realmente nuovi,
devono essere ricavati da esperienze che mostrino la connessione di determinate sostanze, forze e
azioni reciproche.
Questo concetto di possibilità empirica, fondato sull’esperienza delle connessioni fenomeniche e,
dunque, delle leggi verificate, può essere considerato un’anticipazione filosofica di quello che oggi
facciamo derivare dalla fisica dei quanti; per la quale, possibilità empirica è quella per cui è stata
individuata una distribuzione statistica, alla quale corrisponde una distribuzione di probabilità.
La materia percettiva, da sola, senza un inquadramento nello spazio e nel tempo, nelle categorie
(concetti puri) e nelle leggi della fisica già verificate, è cieca. Ma l’inquadramento teorico, senza i
riscontri empirici, non permette di accedere a concetti nuovi di sostanze, di forze e di azioni
reciproche.
Esemplificando, Kant spiega che “Una sostanza che fosse costantemente presente nello spazio, ma
senza riempirlo.. oppure una speciale facoltà del nostro spirito di prevedere il futuro (non già
semplicemente di argomentarlo), o infine una potenza dello spirito di stare in comunione di pensieri
con gli altri uomini (per quanto lontani possano essere), sono concetti la cui possibilità è priva di
ogni fondamento, poiché non può essere fondata sull’esperienza e sulle sue leggi conosciute, senza
di cui non è se non una costruzione soggettiva arbitraria; la quale, anche se non contiene alcuna
contraddizione, non può tuttavia avere alcuna pretesa alla realtà oggettiva, né, perciò, alla
possibilità di un oggetto...”115.
Chiaramente bisogna intendere come possibile empirico solo ciò che è fondato sull’esperienza e
sulle sue leggi verificate; non bastano le condizioni formali della conoscenza a individuare il
possibile empirico, la realtà possibile; ogni possibilità reale, empirica, può essere riconosciuta solo
sulla base dell’esperienza e delle sue leggi.
L’inquadramento teorico, se e è universalmente valido, permette di ordinare i fenomeni secondo
nessi e leggi verificabili, e consente anche di individuare il possibile empirico, che si ricava dalla
realtà fenomenica inquadrabile teoricamente.
Il materiale percettivo non inquadrabile teoricamente non può essere considerato un possibile
empirico finché non viene inserito, e non acquista un senso, nella teoria che lo concerne.
Kant osserva che ciò che sembra possibile per il fatto di non entrare in contraddizione con i concetti
puri e, in generale, con le condizioni formali dell’esperienza, non va ancora considerato un possibile
114
115
Ivi, p. 226
“Critica alla ragion pura”, op. cit., p. 226.
empirico, un possibile reale: serve ancora, e basta, il riscontro fenomenico inquadrabile
teoricamente.
Sulla determinazione di un esistente
Il reale, secondo Kant, è ciò che si connette con le condizioni materiali dell’esperienza: “Per ciò che
riguarda la realtà, vien da sé che non si potrebbe pensarla in concreto senza ricorrere all’aiuto
dell’esperienza; poiché essa può riferirsi solo alla sensazione come materia dell’esperienza...”116.
L’esistenza di una cosa ed il suo concetto vanno distinte, in quanto “Nel semplice concetto di una
cosa non può trovarsi nessun carattere della sua esistenza. Giacché, sebbene esso sia così completo,
che nulla gli manchi per pensare una cosa con tutte le sue determinazioni interne, pure l’esistenza
non ha che fare con tutto ciò, ma solo con la questione se una tale cosa ci è data, in modo che la
percezione di essa possa sempre andare innanzi al concetto. Infatti, che il concetto preceda la
percezione, significa la sua mera possibilità; ma la percezione, che fornisce al concetto la materia, è
l’unico carattere della realtà”117.
Dunque, ogniqualvolta decidiamo che una certa cosa esiste, la sua percezione precede il suo
concetto, e, quando di una determinata cosa ci formiamo un preciso concetto, questo non assume
nessun carattere della sua esistenza. Esistenza delle cose e conoscenza delle stesse si pongono su
due piani diversi: le cose, in quanto esistono, sono autonome dalla conoscenza che ne acquisiamo;
invece la conoscenza delle cose dipende dalle cose, oltre che da noi. Con l’idea di un biglietto, dirà
Kant, non si è ammessi ad una rappresentazione, teatrale: bisogna proprio esibire il biglietto.
Circa l’autonomia dell’oggetto, va osservato che nella fisica newtoniana non si poneva il problema
dell’osservazione - misurazione capace di determinare qualche aspetto di un esistente, come si porrà
nella fisica del micromondo, a causa dell’azione non trascurabile dello strumento di misura sui
microoggetti.
Kant, a proposito del riconoscimento della materia magnetica, rivelata dalla limatura di ferro,
osserva che “fin dove giunge la percezione e ciò che vi si connette secondo leggi empiriche, giunge
pure la nostra conoscenza dell’esistenza delle cose”118.
Non solo le percezioni, dunque, permettono di stabilire ciò che esiste, ma anche ciò che vi si
connette secondo le leggi fenomeniche: dunque possiamo ritenere che esistano anche le forze
magnetiche come riteniamo che esistano le forze gravitazionali. Non le vediamo, ma, secondo leggi
empiriche possiamo ricavarne l’esistenza.
Nel distinguere tra fenomeno e noumeno (detto anche “cosa in se”, cosa che non si lascia afferrare
da noi), Kant spiega che si può far scienza solo della realtà fenomenica, l’unica che stia in rapporto
con la nostra sensibilità e con il nostro intelletto. Il noumeno è presentato come il correlato
116
“Critica della ragion pura”, op. cit. p. 226.
Ivi, p. 228.
118
Ivi, p.228.
117
indeterminabile dei fenomeni: “significa solo il pensiero di un che in generale, in cui io astraggo da
tutte le forme dell’intuizione sensibile”119.
Nei “Prolegomeni” Kant si domanda, inoltre, “Com’è possibile la natura nel significato materiale,
cioè secondo la intuizione, come l’insieme dei fenomeni; com’è in generale, possibile lo spazio, il
tempo e ciò che riempie entrambi, l’oggetto della sensazione?”.
Egli risponde che è possibile “Per mezzo della costituzione della nostra sensitività, costituzione
secondo la quale essa viene eccitata nel modo che di essa è proprio, dagli oggetti che le sono in sé
sconosciuti e che son del tutto distinti da quei fenomeni”120.
La natura, dunque, è composta di oggetti che esistono indipendentemente dai fenomeni mediante i
quali la conosciamo: la natura, in quanto essa è per noi, è costituita e rivelata dai suoi fenomeni,
dall’insieme dei suoi fenomeni, dai nessi tra i fenomeni e dalle leggi empiriche che li connettono
secondo forme di dipendenza esprimibili matematicamente; esprimibili, dunque, anche nella forma
di proposizioni sintetiche a priori.
In modo più completo, egli così si esprime:
“Coll’espressione natura (in senso empirico) intendiamo la connessione dei fenomeni, per la loro
esistenza secondo regole necessarie, o leggi. Vi sono, dunque, certe leggi, e leggi a priori, che
rendono prima di tutto possibile una natura (come concetto); le leggi empiriche possono esserci ed
essere scoperte solo mediante l’esperienza, e però in seguito a quelle leggi originarie le condizioni
formali costanti e a priori di ogni esperienza possibile per cui comincia ad essere possibile
l’esperienza stessa”121.
I fenomeni che si connettono secondo leggi, cioè secondo regole universali e, perciò, necessarie,
costituiscono la natura di cui possiamo avere una conoscenza scientifica. L’insieme di tutti i
fenomeni, secondo i loro rapporti e leggi, è chiamato natura.
Posto che l’intelletto puro è “la facoltà delle regole riguardo a ciò che avviene” ed è cioè “la fonte
dei principi” che consentono di inquadrare, ordinare e connettere i fenomeni, è “quella fonte per cui
tutto (ciò che può presentarcisi comunque come oggetto) è subordinato necessariamente a
regole…”122; e posto che, senza regole, “ai fenomeni non potrebbe mai spettare la conoscenza di un
oggetto ad essi corrispondente.”, cioè, dato che senza regole non è possibile stabilire una
corrispondenza tra fenomeni ed oggetti che ci permetta di conoscerli allora le regole dell’intelletto
permettono di conoscere gli oggetti mediante i fenomeni che vi sono connessi, e permettono altresì
119
Ivi, p.253-254
V. “I prolegomeni” ad ogni futura metafisica che si presenterà come scienza, par. 36, trad. di P. Carraballese, ed.
Laterza, p. 149.
121
“Critica della ragion pura, analitica trascendentale”, ed. Laterza, p.221-222.
122
Ivi, p. 177. Tra i principi originari fondamentali per la costruzione dell’esperienza Kant pone il principio di ragion
sufficiente, che è il fondamento di tutte le leggi causali e di tutta l’esperienza possibile. V. Critica della ragion pura
, op. cit. p. 210
120
di cogliere i nessi regolari tra fenomeni e, quindi, anche fra diversi oggetti123.
Questi nessi, proprio per il fatto di ubbidire ad una regola, rimandano ad un mondo
oggettivo, se non si vuole seguire Hume nella sua tesi, secondo la quale le regolarità fenomeniche
sono soltanto posizioni della nostra immaginazione; il che Kant criticava sia nella Critica della
ragion pura che, più esplicitamente, nei “Prolegomeni”.
Sulle leggi di natura e principi dell’intelletto
Kant affermava che “la rappresentazione di una condizione universale secondo cui un certo
molteplice può essere posto, si dice regola, e, se così deve esser posto, legge”124.
Dunque, se il molteplice fenomenico deve essere sottoposto ad una regola, allora la
rappresentazione della condizione generale cui quel determinato molteplice fenomenico deve esser
sottoposto viene espressa da una legge fenomenica, che è qualcosa di più di una regola cui il
molteplice può sottostare.
Proseguendo il discorso sul rapporto tra fenomeni e leggi, Kant afferma che “Tutti i fenomeni..
stanno in una connessione completa secondo leggi necessarie, e però in una affinità trascendentale,
di cui quella empirica è la semplice conseguenza” 125. La natura, considerata nella sua immediatezza,
“non è altro che un insieme di fenomeni, quindi non una cosa in sè, bensì semplicemente una
moltitudine di rappresentazioni dello spirito... “e, quindi, non ci dobbiamo meravigliare” di vederla,
solo nella facoltà radicale d’ogni nostra conoscenza, ossia dell’appercezione trascendentale, in
quella unità, in grazia della quale soltanto essa può dirsi oggetto d’ogni possibile esperienza, cioè
natura…”126.
L’unità dei fenomeni naturali è data, come possibilità, dalla facoltà di ogni nostra conoscenza, dalla
facoltà, cioè, dell’appercezione trascendentale, che unifica in una sola coscienza il molteplice delle
intuizioni. Trattando dell’unità sintetica originaria dell’appercezione, Kant sostiene che “L’unità
sintetica del molteplice delle intuizioni, in quanto data a priori cioè come condizione formale di
ogni esperienza e, dunque, come presupposto d’ogni possibile esperienza, è dunque il fondamento
dell’identità dell’appercezione stessa, che il quale fondamento precede a priori ogni mio pensiero
determinato. Ma l’unificazione non è dunque negli oggetti, e non può essere considerata come
qualcosa di attinto da essi per via di percezione… ma è soltanto una funzione dell’intelletto, il quale
non è altro che la facoltà di unificare a priori, e di sottoporre all’unità dell’appercezione il
molteplice delle rappresentazioni date; ed è questo il principio supremo di tutta la conoscenza
umana.”, principio dell’unità necessaria dell’appercezione mediante la facoltà dell’intelletto,
123
Già Cartesio propose, come criterio di distinzione tra flusso percettivo nei sogni e flusso percettivo nella veglia, la
regolarità di quest’ultimo, che non si riscontra nei sogni: dunque, la regolarità del flusso percettivo spingerebbe a
credere nell’esistenza di un mondo materiale.
124
“Critica della ragion pura”, op. cit., I ed., Deduzione dei concetti puri, sez. II, p. 661.
125
Ivi, p.661
126
Ivi, p.661
principio dell’unità trascendentale dell’autocoscienza127.
A proposito delle leggi fenomeniche, egli osserva che “Le stesse leggi naturali se vengono
considerate come principi dell’uso empirico dell’intelletto, hanno insieme l’impronta della
necessità...” e, in questa prospettiva, “stanno innanzi ad ogni esperienza”; e precisa che “tutte le
leggi della natura senza distinzione, sottostanno a principi superiori dell’intelletto, poiché esse li
applicano a casi particolari del fenomeno”. E, dunque, “Questi principi soltanto.. danno il concetto
che contiene 1° condizione d’una regola in generale; ma l’esperienza dà il caso che è sottoposto alla
regola”128.
Vale la pena di ricordare i principi dell’intelletto puro:
gli assiomi dell’intuizione, il cui principio è che tutte le intuizioni sono quantità estensive; le
anticipazioni della percezione, il cui principio è che in tutti i fenomeni, il reale, che è oggetto della
sensazione, ha una quantità intensiva, cioè un grado; le analogie dell’esperienza, il cui principio è
che l’esperienza è possibile soltanto mediante la rappresentazione di una connessione necessaria
delle percezioni (ed anche: tutti i fenomeni sottostanno...a regole a priori della determinazione del
loro vicendevole rapporto in un tempo). Mi soffermo sulle “analogie”, data la loro centralità nel
pensiero filosofico e scientifico.
La prima analogia è data dal principio di permanenza della sostanza (nel tempo: in ogni
cangiamento dei fenomeni la sostanza permane, e la quantità di essa nella natura non aumenta nè
diminuisce); la seconda analogia è costituita dal principio della serie temporale secondo la legge di
causalità: tutti i cangiamenti avvengono secondo la legge del nesso di causa ed effetto (o anche:
tutto ciò che accade presuppone qualche cosa, a cui segue secondo una regola); la terza analogia è
costituita dal principio della simultaneità secondo la legge dell’azione vicendevole: tutte le
sostanze, in quanto possono essere percepite nello spazio come simultanee, sono tra loro in una
azione reciproca universale (tutte le sostanze, in quanto simultanee, sono in una reciprocità
universale).
Evidentissima la corrispondenza con i principi di conservazione della fisica (newtoniana) e con la
seconda e terza legge della dinamica. Dei postulati del pensiero empirico in generale ho già riferito
in precedenza129.
Va notato che i principi dell’intelletto sono le regole dell’uso oggettivo delle categorie, alle quali
sono necessariamente collegati (categorie della quantità, della qualità, della relazione e della
modalità, in “Analitica trascendentale”).
Osservava Kant che l’esperienza offre i casi sottoposti a regole, anche se “Non vi può essere
propriamente pericolo che si scambino semplici principi empirici per principi dell’intelletto puro, o
127
128
129
“Critica della ragion pura, analitica trascendentale”, libro I, cap. II, sez. II par. 16.
C.R P., “Analitica trascendentale”, libro II, Sez. III, p.177
V. “Analitica trascendentale” in C.R.P., p. 177 e seguenti.
viceversa; perché la necessità concettuale, che caratterizza i secondi, e la cui assenza in ogni
principio empirico, per quanto generalmente esso valga, ognuno percepisce facilmente, può
facilmente evitare tale scambio”130.
Egli riconosce che leggi e principi empirici sono elaborati dal nostro intelletto sulla base
dell’esperienza, ma sostiene che soltanto l’intelletto puro dispone di principi e leggi a priori,
concepite quali condizioni formali e universali di ogni principio e di ogni legge empirica.
Soltanto i principi, le leggi e le categorie dell’intelletto puro devono essere considerati come il
fondamento del valore universale, necessario e, quindi, obiettivo dei principi e delle leggi di natura.
E’ evidentissima la preoccupazione kantiana di garantire sul piano filosofico l’universalità, la
necessità e l’obiettività delle leggi fisico-matematiche di Galileo e Newton.
Ludovico Geymonat ha interpretato la Critica della ragion pura come il tentativo di giustificare e
fondare filosoficamente la fisica-matematica galileiana e, ovviamente, newtoniana.
Le leggi della natura, della meccanica classica, apparivano a Kant come leggi generali di tipo
soltanto empirico: mancavano ragioni sufficienti per affermare l’universalità, la necessità e
l’obiettività di tali leggi.
In una prospettiva di mediazione delle istanze razionalistiche presenti nella matematica e di quelle
sperimentalistiche presenti nella fisica classica “sembra lecito affermare -osservava L. Geymonat che il pensiero di Kant si riallaccia direttamente a quello di Galileo che... proclamò l’accordo fra
matematica e esperimento condizione indispensabile al progresso della scienza… Galileo cercò di
ideare una tecnica che dimostrasse operativamente possibile tale accordo; lasciò tuttavia ai posteri il
difficile compito di giustificarlo sul piano filosofico. Proprio questa giustificazione è al centro della
problematica filosofica kantiana”131.
Kant ritenne di aver trovato non solo la giusta impostazione per fornire universalità, necessità e
obiettività alle moderne leggi della fisica, ma anche i concetti puri, i principi e le leggi
trascendentali che ne costituivano il più valido fondamento132.
Mi sembra che egli faccia propria, riproponendola in forma filosofica, la tesi galileiana secondo la
quale nella conoscenza delle scienze matematiche, ed evidentemente anche della fisica matematica,
gli intelletti umani raggiungono la perfezione della conoscenza come la possiede Dio stesso, che
solo estensivamente ne sa più di noi, non anche intensivamente: “pigliando l’intendere intensive, in
quanto cotal termine importa intensivamente, cioè perfettamente, alcuna proposizione, dico che
l’intelletto umano ne intende alcune così perfettamente, e ne ha così assoluta certezza, quanto
n’abbia l’istessa natura; e tali sono le scienze matematiche pure, cioè la geometria e l’aritmetica,
130
131
132
Ivi, p.177. La necessità concettuale dei principi dell’intelletto era stata nettamente rifiutata da Hume.
“Storia del pensiero filosofico e scientifico”, op. cit., vol. III, p. 575.
Sulle leggi trascendentali (pure) e sul loro rapporto con le leggi empiriche, vedi i paragrafi 36 e 38 de “I
prolegomeni”.
delle quali l’intelletto divino ne sa bene infinite proposizioni di più, perché le sa tutte, ma di quelle
poche intese dall’intelletto umano credo che la cognizione agguagli la divina nella certezza
obiettiva, poiché arriva a comprenderne la necessità, sopra la quale non par che possa esser
sicurezza maggiore”133.
Nella teoria della conoscenza scientifica proposta da Kant tutti i fenomeni della natura sottostanno,
quanto alla loro unificazione, alle categorie (concetti puri), “dalle quali dipende la natura... ,come da
principio originario delle sue leggi necessarie (quale natura formaliter spectata)”134.
Egli considera natura in generale quella che presenta una regolarità dei fenomeni nello spazio e nel
tempo: la natura è ordine fenomenico. Infatti, definendo i limiti della facoltà pura dell’intelletto,
precisa che essa non arriva a “prescrivere a priori ai fenomeni mediante le sole categorie più leggi
di quelle, sulle quali riposa una natura in generale, intesa come regolarità dei fenomeni nello
spazio e nel tempo”135.
Quanto alle leggi particolari ed al loro rapporto con le categorie, Kant chiarisce che “Le leggi
particolari, poiché riguardano fenomeni empiricamente determinati, non possono quindi essere
desunte esclusivamente dalle categorie, sebbene sottostiano tutte alle categorie. Deve intervenire
l’esperienza per imparare a conoscere queste leggi in generale; ma intorno all’esperienza in
generale e a quel che può essere conosciuto come suo oggetto, soltanto quelle leggi a priori danno
lume”136.
Risulta chiaro che:
1. l’intelletto puro non può prescrivere a priori più leggi di quante non siano le regolarità
fenomeniche osservate nello spazio e nel tempo;
2.
le leggi che riguardano i fenomeni empiricamente determinati presuppongono l’inquadramento
categoriale, ma soltanto se interviene anche l’esperienza fenomenica possiamo scoprirle;
3.
riguardo alla possibilità d’una esperienza in generale, dobbiamo presupporre tutte le condizioni
formali generali che permettono l’inquadramento fenomenico: spazio, tempo, concetti puri
(categorie) e i principi che regolano l’uso oggettivo dei concetti puri (particolarmente le analogie
dell’esperienza).
Egli, dunque, nel riconoscere che le leggi empiriche derivano dallo studio scientifico della natura,
dalla nostra esperienza della natura, senza la quale esse sarebbero impossibili, ci vuole persuadere
che ogni possibile esperienza che tenda a conseguire una conoscenza scientifica, deve basarsi su
delle condizioni formali generali che permettano l’inquadramento e l’elaborazione dei dati empirici;
ci vuole convincere che l’universalità, la necessità e l’oggettività delle leggi di natura non si
133
134
135
136
“Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, dialogo I, p.127, ed. Einaudi, a cura di Libero Sosio.
“Critica della ragion pura” ,op. cit., analitica trascendentale, Lib.I, Cap.II, sez. II, par. 26, pag. 154.
“Critica della ragion pura” ,op. cit., p. 154.
Ivi, p. 154. Vedi anche i par. 36 e 38 de “I prolegomeni”; entrambi molto chiari in rapporto alla relazione tra leggi
dell’intelletto (puro) e leggi empiriche della natura.
possono sostenere se non si presuppone la sintesi categoriale dell’intelletto puro.
Soltanto le condizioni formali generali del pensiero rendono possibile il conseguimento di leggi che
non siano solo empiriche ma anche universali, che valgano sempre e per tutti gli uomini e non
dipendano da infiniti riscontri, da infinite verifiche, aspettando le quali non si potrebbe conseguire
alcuna certezza.
In controluce, non possiamo non vedere Galileo che rivendica la universalità, la perfezione e la
necessità delle proposizioni elaborate dall’intelletto umano nel campo delle scienze matematiche.
Non possiamo non vedere che Kant cerca di fondare su basi filosofiche generali il mirabile accordo
tra le regolarità dei fenomeni naturali e la matematica, tra le regolarità delle dipendenze
fenomeniche e la matematica.
Quest’accordo Galileo non solo aveva sostenuto, ma anche aveva operativamente mostrato come si
attuava, a partire dalla misura delle grandezze fenomeniche e ricercando i rapporti matematici che
legavano le grandezze fra loro secondo una regola quanto più possibile semplice e verificabile con
l’esperimento; questo accordo Kant lo fa risalire alla logica del pensiero puro, che, per le sue
condizioni formali e per le sue regole, può rendere possibile la formulazione di leggi di natura, che
abbiano, proprio in virtù della forma logica, che le ha rese pensabili in forma generale, l’universalità
e la necessità delle proposizioni della logica.
In tal modo Kant ritiene di aver superato le critiche di Hume concernenti le regolarità empiriche e le
pretese leggi di natura basate su di esse.
Egli sostiene che se il molteplice fenomenico deve essere sottoposto ad una regola, allora la
rappresentazione della condizione generale cui quel determinato molteplice fenomenico deve essere
sottoposto viene espressa da una legge fenomenica, che è qualcosa di più specifico di una regola cui
il molteplice può sottostare137.
Di una regola, cioè, che l’intelletto puro mette a disposizione per 1’attività conoscitiva.
137
Deduzione dei concetti puri, “Critica della ragion pura”.
Il ruolo del principio di causalità e della legge di causalità nel determinismo
critico
Kant situa la causalità tra le categorie di relazione dell’intelletto puro che, come sappiamo, unifica il
molteplice fenomenico. Essa viene intesa come quel concetto puro che ci permette di cogliere e di
connettere classi di fenomeni secondo una relazione univoca, costante e necessaria. Al concetto
galileiano di causalità, egli aggiunge l’idea della necessità, che scaturisce dall’esigenza di
riconoscere che gli accadimenti naturali sono determinati in modo necessario, in ogni possibile
esperienza, ed anche dal bisogno di superare la critica humeana del principio di causalità, sul piano
della pura ragione e della conoscenza scientifica.
La causalità è considerata categoria dell’intelletto ma è concepita anche come la legge di tutti i
cambiamenti fenomenici138: è quindi implicata in ogni legge di mutamento fenomenico 139 e, perciò,
occupa una posizione centrale nel concetto di scienza fisica.
La causalità è anche intesa come quel principio che ci è necessario “per assegnare le condizioni
naturali dei fatti”140. Essa non è intesa come una semplice associazione regolare di eventi contigui
succedutisi nel tempo, non è concepita come l’estensione arbitraria di una associazione psicologica
regolare, secondo il concetto che ne ebbe Hume (1711-1776).
Nel sostenere il dominio esclusivamente fenomenico del principio di causalità, Kant afferma che
“Noi abbiamo bisogno del principio di causalità dei fenomeni tra loro, per cercare e poter assegnare
dei fatti naturali le condizioni naturali, cioè le cause dei fenomeni.
Se si ammette ciò senza attenuarlo per nessuna eccezione, allora l’intelletto, che nel suo uso
empirico non vede in tutti i fatti null’altro che natura, e a ciò è anche autorizzato, ha tutto quel che
può esigere, e le spiegazioni fisiche seguono liberamente il loro corso.”141
Dunque il principio di causalità è necessario per individuare le condizioni naturali dei fatti naturali,
cioè le cause dei fenomeni, e solo nel campo dei fenomeni può essere applicato sensatamente.
Se nell’uso empirico dell’intelletto applichiamo il principio di causalità, le spiegazioni seguiranno
senza intoppi.
Considerando il concetto puro di causa, egli dice che essa “significa una particolare maniera di
sintesi in cui a qualche cosa A, secondo una regola, viene associata qualche altra cosa affatto
diversa B”, e che, però, “si può dubitare se un concetto simile non sia alcunché di assolutamente
vuoto”142.
Si potrebbe pensare che, rispetto all’intelletto, “tutto si trovasse in tale stato di confusione che, ad
esempio, nella serie dei fenomeni non si presentasse nulla, che potesse darci una regola della sintesi,
138
139
140
141
142
“Critica della ragion pura”, p.221.
Per esempio, è implicata nella seconda legge della dinamica.
“Critica della ragion pura” p. 436. V. anche il Trattato della natura umana, D. Hume, sez. XIV e XV.
“Critica della ragion pura” p.436.
“Critica della ragion pura” p.125
e corrispondesse perciò al concetto di causa e di effetto; talchè questo concetto sarebbe affatto
vuoto, nullo e senza significato.”143 Non è possibile eliminare un tale dubbio, una tale difficoltà
semplicemente sostenendo che “l’esperienza offre costantemente esempi di una tal regolarità dei
fenomeni, da dar sufficiente appiglio a ricavarne il concetto di causa, ed a provare così ad un tempo
la validità oggettiva di un tal concetto..”144.
Chi volesse sostenere tale tesi, “non si accorgerebbe che, in questa maniera, non è possibile che
sorga mai il concetto di causa; ma che esso o dev’essere fondato del tutto a priori nell’intelletto,
oppure dev’essere abbandonato come una semplice chimera”145.
In tal modo Kant trae frutto dalle osservazioni critiche di Hume contro l’idea del valore oggettivo e
necessario del nesso causale.
Il concetto di causalità deve avere una fondazione a priori, dev’essere una condizione formale e
generale per la connessione dei fenomeni nell’intelletto: connessione che diventa legittima se, e
soltanto se, la successione dei fenomeni nel tempo avviene secondo una determinata regola. In caso
contrario, alla “serie dei fenomeni” non può essere applicato il principio di causalità.
Il concetto di causalità è condizione formale dell’intelletto puro per la connessione del molteplice
fenomenico, presiede (e precede) alla formazione dell’esperienza scientifica, essendo uno dei poli
implicati in essa. Esso va fondato a priori nell’intelletto “giacchè questo concetto richiede
addirittura che qualche cosa A sia di tal guisa che un’altra B ne segua necessariamente e secondo
una regola assolutamente universale”146. Egli osserva che non possiamo certamente ricavare dai
fenomeni una connessione necessaria che segua una regola assolutamente universale, in quanto “I
fenomeni ci danno, sì, casi, da cui è possibile trarre una regola secondo la quale qualche cosa suole
accadere, ma non possono mai assicurarci che il conseguente sia necessario... La rigorosa
universalità della regola, non è punto una proprietà delle regole empiriche, le quali per induzione
non possono raggiungere mai niente più che una
universalità relativa, cioè una diffusa
applicabilità...”147.
Il nesso causale, in quanto necessario e universale, sta dentro la logica del pensiero puro; è fondato
a priori nell’intelletto puro e non può derivare dalla semplice osservazione delle regolarità
fenomeniche.
In tal modo Kant risponde allo scetticismo humeano, basato sull’attribuzione d’un carattere solo
psicologico all’origine del principio di causalità, e giustifica e fonda, sul piano filosofico, la
necessità e universalità delle leggi della fisica galileiana e newtoniana, che presuppongono
l’universalità del nesso causale nel dominio dei fenomeni naturali.
143
“Critica della ragion pura” p.126
Ivi, p. 126
145
Ivi, p.126
146
Ivi, p. 126.
147
Ivi, p.126. V. anche il Trattato della natura umana, op. cit., Bompiani, Milano 2001, p. 324-325.
144
Trattando delle regole dell’uso oggettivo delle categorie (cioè trattando dei principi dell’intelletto
puro), vi include le “analogie dell’esperienza” relative al principio di conservazione della sostanza,
alla legge della causalità e a quella della reciprocità d’azione148.
La seconda analogia dell’esperienza è riferita alla legge causale e viene definita come “Principio
della serie temporale secondo la legge di causalità. Tutti i cangiamenti avvengono secondo la legge
del nesso di causa e di effetto”149.
Assodato che la semplice contiguità dei fenomeni percepiti non permette di decidere quale dei due
sia causa e quale effetto, quale sia l’antecedente che necessariamente determina un certo
conseguente, Kant evidenzia la necessità dell’applicazione della sintesi causale ai fenomeni che
seguono l’uno all’altro secondo una regola: “l’esperienza stessa, cioè la conoscenza empirica dei
fenomeni, è possibile solo a patto che sottoponiamo il loro succedersi, e quindi ogni cangiamento,
alla legge di causalità; quindi i fenomeni stessi, in quanto oggetti d’esperienza, sono possibili
soltanto secondo questa legge”150. Solo l’ordine causale dei fenomeni nel tempo, secondo una
qualche regola, permette lo sviluppo della conoscenza scientifica dei fenomeni; soltanto applicando
la legge di causalità ad ogni cambiamento possiamo costruire la conoscenza empirica del reale
fenomenico. Conoscenza non basata su semplici giudizi percettivi, validi soltanto soggettivamente,
ma fondata sul “giudizio d’esperienza”: esperienza intesa in senso universale, necessario e
oggettivo. Dice infatti Kant: “Ciò che l’esperienza m’insegna in certe circostanze, deve insegnarlo
sempre a me ed anche ad ogni altro; la validità di essa non si limita al soggetto o al suo stato attuale.
Perciò io annunzio tutti i giudizi cosiffatti come validi oggettivamente…”151.
E, più avanti, chiarisce che “La intuizione data deve essere subordinata ad un concetto, che
determina la forma del giudicare in generale riguardo all’intuizione, collega la coscienza empirica
di quest’ultima in una coscienza in generale, e così procura la validità universale ai giudizi
empirici…”152.
Il determinismo fenomenico kantiano si rivela anche nel valore che egli attribuisce alla legge di
reciprocità (legge dell’azione vicendevole), che egli esprime nel modo seguente: “Tutte le sostanze,
in quanto possono essere percepite nello spazio come simultanee, sono tra loro in una azione
reciproca universale.”153.
Qui è rifiutato il concetto newtoniano d’un tempo assoluto, com’è rigettato in altra parte degli scritti
kantiani 154 ed è proposto un concetto relativo di simultaneità grazie alla quale le sostanze si trovano
148
149
150
151
152
153
154
Cfr. “Critica della ragion pura”, op. cit. p. 178, 195,201,217.
“Critica della ragion pura” p. 201.
Ivi, p. 202
Prolegomeni, paragrafo 19
“I prolegomeni”, op. cit., par. 20.
"Critica della ragion pura", op. cit. , p.2l7
Vedi Prolegomeni
in un’azione reciproca universale155.
Diversamente da quanto accade nel nesso causale, tra cose poste nel rapporto di reciprocità l’azione
è simultanea, e, perciò, ugualmente bene percepiamo l’azione di una cosa A su una cosa B e di una
cosa B su una cosa A: è assente la successione cronologica univoca tipica del nesso causale: per
esempio, nel rapporto di reciproca attrazione gravitazionale concernente la Terra e la Luna,
possiamo dirigere la nostra attenzione indifferentemente verso la Terra o verso la Luna, perché
entrambe agiscono l’una sull’altra istante per istante, lungo la linea che congiunge i loro centri di
massa.
Kant sostiene che è necessario che tutte le sostanze che si rapportano a noi come fenomeni, “in
quanto simultanee, stiano fra loro in una generale reciprocità di scambievole azione”, 156 e che “solo
mediante il suo influsso reciproco la materia può manifestare la sua simultaneità e mediante la
simultaneità la coesistenza degli oggetti (sebbene solo mediatamente) sino ai più lontani”157.
La coesistenza degli oggetti è ricavata dall’azione reciproca che si manifesta come interazione
simultanea tra le sostanze (le cose della natura), e, perciò, egli può affermare che “Senza reciprocità,
ogni percezione(dei fenomeni nello spazio) è staccata dalle altre, e la catena delle rappresentazioni
empiriche, cioè l’esperienza, dovrebbe cominciare da capo ad ogni nuovo oggetto, senza che la
precedente potesse minimamente collegarsi o trovarsi con essa nel rapporto temporale”158.
Dato che l’azione vicendevole tra le cose della natura richiede la continuità della materia nello
spazio empiricamente inteso, egli precisa che non vuole “per nulla confutare lo spazio vuoto;
giacché esso può essere sempre dove non giungano punto percezioni e però non abbia luogo
nessuna conoscenza empirica della simultaneità...”; un tale spazio, egli osserva, “non è punto un
oggetto per tutta la nostra esperienza possibile”159.
Dunque esso non interessa la scienza fisica (come aveva ritenuto Newton, erroneamente, secondo
Kant).
Egli aggiunge, infatti, che “in quanto gli oggetti, come coesistenti, debbono essere rappresentati
come collegati, essi debbono determinare scambievolmente l’uno il posto dell’altro in un tempo, e
costituire perciò un tutto unico. Se questa soggettiva reciprocità (che si trova nella nostra coscienza
in una comunanza di appercezione) bisogna che sia fondata su una base oggettiva, o esser riferita ai
fenomeni come sostanze, la percezione degli uni deve render possibile, come fondamento, quella
degli altri, e viceversa, affinché la successione, che si riscontra sempre nelle percezioni, in quanto
apprensioni, non venga attribuita agli oggetti, ma questi possano essere rappresentati come
155
156
157
158
159
“Critica della ragion pura”, op. cit., p. 217.
“Critica della ragion pura” p. 2l9
Ivi, p.220
Ivi p.220
Ivi p. 220
coesistenti.”, il che implica il reciproco influsso160 tra le sostanze della natura.
I fenomeni sono concepiti come gli uni fuori degli altri e tuttavia come connessi, cosicché essi
formano “un composto” (compositum reale) che si articola in vari modi, secondo i tre rapporti
dinamici: dell’inerenza, cui corrisponde il principio di conservazione delle sostanze, pur nel mutare
dei loro accidenti; della conseguenza, cui corrisponde la legge di causalità; della composizione, cui
corrisponde la legge di reciprocità161.
Soffermandosi sul ruolo che appartiene alla legge dell’azione reciproca, Kant osserva che “L’unità
dell’universo, in cui tutti i fenomeni bisogna che siano connessi, è, evidentemente, una semplice
conseguenza del principio tacitamente ammesso della reciprocità di azione di tutte le sostanze che
sono simultanee: giacché, se fossero isolate non costituirebbero come parti un tutto; e se la
connessione loro… non fosse già necessaria per la simultaneità, da questa, che è un rapporto
semplicemente ideale, non si potrebbe concludere a quella [la reciproca azione], che è un rapporto
reale”162.
Egli considera l’azione reciproca, tra le sostanze dell’universo, come “il fondamento della
possibilità di una conoscenza empirica della coesistenza”, e, perciò, sostiene che la condizione per
la quale è possibile la coesistenza delle sostanze è costituita proprio dalla reciprocità di azione tra di
esse.
L’unità dell’universo deriva, secondo Kant, dalla legge dell’azione reciproca tra le sostanze che lo
compongono; la reciprocità d’azione, poi, richiede necessariamente la coesistenza delle sostanze.
Dunque, nella legge di gravitazione universale egli doveva vedere la massima espressione della
reciproca azione delle sostanze ed anche, ovviamente, dell’unità dell’universo.
Sebbene Kant distingua la legge di causalità da quella dell’azione reciproca, tuttavia egli mostra di
ritenere che l’azione reciproca non sia altro che lo sviluppo contemporaneo di più causazioni, che
producono effetti contemporanei: dunque l’azione reciproca è fondata sulla legge universale della
causalità fenomenica e ne costituisce un’espressione composta che si sviluppa necessariamente sul
piano della simultaneità. Dice infatti Kant: “io posso rappresentare varie cose (sostanze) così
costituite che lo stato dell’una importi un effetto nello stato dell’altra, e viceversa...” 163; e sostiene
che tale rappresentazione è appropriata quando si osserva l’azione reciproca degli oggetti:
“Nelle nostre esperienze è facile notare che soltanto gli influssi continui in tutti i luoghi dello spazio
possono condurre il nostro senso da un oggetto all’altro; che la luce che agisce fra il nostro occhio e
il mondo corporeo, può produrre una reciprocità mediata fra noi e questo, e provarne così la
160
161
162
163
Ivi, p. 221
Come spiegato nelle analogie dell’esperienza. Vedi C.R.P. , p. 199, 220-221.
Ivi, p. 223, nota n. 1. Nella “Critica della ragion pura”, Kant afferma: “la reciprocità è la causalità di una sostanza
in vicendevole determinazione con un’altra”. M. Bunge si lascia sfuggire questa relazione. Vedi anche “ Critica
della ragion pura”, p. 217 e 225.
Ivi, p.225
simultaneità... e che solo mediante il suo influsso reciproco la materia può manifestare la sua
simultaneità e mediante la simultaneità la coesistenza degli oggetti (sebbene solo mediatamente)
sino ai più lontani”.
Queste considerazioni egli propone trattando della comunione dinamica, cioè dell’azione reciproca
delle cose della natura, come si mostrano nei fenomeni164.
La reciprocità come causalità bidirezionale e simultanea.
Kant aveva ben presente la legge di Newton secondo la quale ad ogni azione corrisponde una
reazione uguale in valore assoluto e contraria nel verso (terza legge della dinamica),e, perciò, fu in
grado di estendere l’area di applicazione della legge di causalità a tutte le azioni meccaniche
esercitate dai corpi gli uni sugli altri; poté quindi concepire “la reciprocità” come “la causalità di
una sostanza in vicendevole determinazione con un’altra”165.
L’azione (causa) di un corpo A su un corpo B viene considerata in una prospettiva di completezza
allorché egli pone, sulla base della terza legge della dinamica, l’esigenza imprescindibile di
associare all’azione di A su B la simultanea reazione di B su A.
Nello sviluppo di questa causalità bidirezionale, la legge dell’azione reciproca estende il campo di
applicazione della legge di causalità. Nasce così di fronte alla causalità diretta la corrispondente
causalità inversa (reattiva) e simultanea; e crolla, qui, il postulato di antecedenza della causa rispetto
all’effetto.
La causalità che si mostra nella legge di reciproca azione è priva dell’elemento “successione
temporale”, che viene, in questa legge, sostituito dalla simultaneità.
Kant non arretra di fronte a tale generalizzazione del concetto di causazione fisica, in quanto questa
estrema riduzione gli permette di estendere l’ambito di applicazione della legge causale, che giudica
fondamentale per l’ordinamento ed anche per la connessione dei fenomeni tra loro. In tal modo la
seconda legge della dinamica
F = m { a ¿ e la legge dell’azione reciproca (terza legge della
dinamica) vengono comprese, sul piano filosofico, entro la più generale legge di causalità.
D’altra parte, il concetto di una causalità bidirezionale e simultanea (valida nei fenomeni della
meccanica classica) costituisce una nuova elaborazione del concetto di causalità, in cui la
successione temporale di causa ed effetto si mostra come non necessaria ad una causazione in
generale. Kant si accorge di tale implicazione e non arretra di fronte a questa novità filosofica e
fisica, anche se, di solito, quando parla di causalità vi associa l’aspetto della successione temporale
causa – effetto, secondo una determinata regola, ricavata dall’esperienza fenomenica 166. Kant non
sostiene che “la causa non è altro che la forma assunta in precedenza dall’effetto” e che “l’effetto è
la forma assunta dalla causa”; non sostiene che “Il vero significato della legge causale è... che non
164
165
166
Cfr. “Critica della ragion pura”., op. cit., p. 219-220.
“Critica della ragion pura”, op. cit., p. 117.
La reciprocità d’azione nel mondo “pieno” di materia e “luce” garantisce la loro coesistenza nel tempo.
c’è nulla di nuovo nel mondo”167. Che il “nesso causale non produce nulla di nuovo” non è una tesi
kantiana, come invece riteneva M. Bunge nella sua trattazione sistematica (ed eccellente) della
causalità168.
Basti ricordare che Kant propose, contro il creazionismo sostenuto anche da Newton, la teoria della
formazione del sistema solare a partire da una nebulosa; e ciò fece utilizzando le leggi di Newton,
( si tratta della nota “ipotesi Kant-Laplace”). Riteneva, dunque, che nel tempo la materia si
organizzasse secondo ordini variabili.
Aggiungo, inoltre, le seguenti proposizioni chiarificatrici:
Il “Principio della serie temporale secondo la legge di causalità” è che “Tutti i cangiamenti
avvengono secondo la legge del nesso di causa ed effetto”169; che la legge causale è una legge della
successione dei fenomeni secondo una regola.
Quando io vedo una nave scendere la corrente - dice Kant – “La mia percezione della sua posizione
più in giù segue alla percezione del posto che occupava più su nel corso del fiume, e non è possibile
che nell’apprensione di questo fenomeno la nave possa essere percepita prima giù poi su.
L’ordine nella successione delle percezioni nell’apprensione qui dunque è determinato, e
l’apprensione è legata ad esso”170; mentre nell’apprensione di una casa la percezione di essa
potrebbe cominciare da un punto qualunque e proseguire in piena libertà, senza seguire una regola
necessaria nella unificazione del molteplice empirico che forma la casa. 171 “Nel nostro caso
[esempio della nave che discende il fiume] - egli osserva - io dovrò ricavare la successione
soggettiva dell’apprensione dalla successione oggettiva dei fenomeni; poiché altrimenti la prima
[successione soggettiva] è affatto indeterminata....”172.
Egli precisa che la successione oggettiva “consisterà nell’ordine del molteplice fenomenico,
secondo il quale l’apprensione di una cosa (che succede) segue, conformemente a una regola, a
quella dell’altra (che precede).
Soltanto così io posso essere autorizzato a dire del fenomeno stesso, e non solamente della mia
apprensione, che in esso c’è una successione”173.
Kant ritiene che la categoria della causalità (e le altre categorie dell’intelletto) non si giustifichi sul
piano gnoseologico in base alla semplice osservazione dei fenomeni, ma sia la condizione formale
più importante nell’interpretazione della natura, intesa come l’insieme dei fenomeni secondo il loro
ordine e nesso.
Il riscontro d’una successione fenomenica secondo una regola, nell’ambito della la fisica classica, è
167
168
169
170
171
172
173
Das causal prinzip in der neuen Phisik, L.Von Strauss und Torney, citato in “La causalità”, p 234.
“La causalità” U.S.B., p. 234.
“Critica della ragion pura”, op. cit., 201.
“Critica della ragion pura”, op. cit., p. 204.
Confronta la “Critica della ragion pura”, p. 204.
Ivi, p.204-205
Ivi, p.205
il riscontro di un ordine fenomenico causale, che è obiettivo e necessario: obiettivo perché la regola
del nesso può essere verificata da tutti gli esseri umani (e in genere è verificata da molti) con
identico esito conoscitivo; necessario, perché se una successione fenomenica obbedisce ad una
regola, allora essa risulta vincolata al preciso ordine espresso dalla regola stessa, la quale può essere
considerata come una conferma del valore necessario della “causalità a priori”.
Dalla continuazione del ragionamento sulle regole di successione dei fenomeni si evince che egli
crede nell’esistenza della “freccia del tempo”: “Secondo una tale regola, dunque, in ciò che precede
in generale un avvenimento deve trovarsi la condizione d’una regola, per la quale esso avvenimento
segue sempre e necessariamente [secondo un unico ordine]; ma, viceversa, io non posso
retrocedere, movendo da ciò che accade, per determinare (con l’apprensione) ciò che precede.
Perocché non c’è fenomeno che ritorni dal momento seguente al precedente; ma si riferisce tuttavia
a qualche momento precedente; da un tempo dato, invece, il passaggio ad un determinato tempo
successivo è necessario.
Quindi, poiché c’è qualche cosa che segue, io debbo di necessità riferirla a qualche altra, in
generale, che precede, e a cui essa segue secondo una regola, cioè in modo necessario; per modo
che l’avvenimento, in quanto condizionato, richiama sicuramente a una condizione, ma questa
determina ciò che accade”174.
Come ognuno può notare, non c’è traccia dell’idea che “il nesso causale non produce nulla di
nuovo”, secondo quanto creduto da L. Von Strauss e da M.Bunge. Anzi, Kant, accogliendo alcune
importanti osservazioni di Hume sulla impossibilità di ricavare il principio di causalità dalla pura
ragione, cioè a partire dal semplice principio d’identità, lascia intendere che dall’identità A=A, e
dalla sua esplicitazione, non si può ricavare nessun contenuto che non sia, fin dall’inizio, presente in
A; al contrario, egli sostiene che nella causa non è contenuto fin dall’inizio l’effetto: “Egli - dice
riferendosi a Hume - a buon diritto affermava che con la ragione noi non intendiamo in alcun modo
la possibilità della causalità cioè della relazione dell’esistenza di una cosa con l’esistenza di un
qualcos’altro che sia posto necessariamente [cioè secondo una regola] da quella”175.
E’ con l’esperienza che si apprende ogni particolare legge causale, perché ognuna di queste descrive
una dipendenza tra fenomeni, secondo una regola, in un flusso irreversibile del reale fenomenico nel
tempo.
Il principio di causalità semplicemente ci impone di cogliere il nesso causale, là dove osserviamo un
mutamento fisico secondo una particolare regola.
La critica di Karl Popper alla teoria Kantiana della conoscenza.
Karl Popper considera la teoria kantiana della conoscenza (e il determinismo che vi è connesso)
174
175
“Critica alla ragion pura”, op. cit., p. 205.
“Prolegomeni”, par. 27, p. 131, ediz. del 1996.
come “una strana combinazione di assurdità e di verità”. Al problema “Come è possibile la scienza
naturale pura”, Kant avrebbe, sostanzialmente, risposto nel modo seguente: “La conoscenza episteme - è possibile perché noi non siamo passivi recettori di dati sensibili, bensì attivi
assimilatori. Assimilandoli diamo loro forma e li organizziamo in un cosmo, l’universo della natura.
Nel corso di tale processo, imponiamo al materiale presentatoci dai sensi le leggi matematiche che
fanno parte del nostro meccanismo di assimilazione e organizzazione. Quindi - conclude Popper non è che il nostro intelletto scopra delle leggi universali nella natura, ma è esso a prescrivere le sue
proprie leggi e ad imporle alla natura”176.
K. Popper giudica la teoria kantiana della conoscenza scientifica come “assurda nella misura in cui
è erroneo il problema che si propone di risolvere; essa infatti dimostra più del necessario, essendo
concepita per dimostrare più di quanto è possibile”177.
Spiegare più di quanto è possibile significa, secondo Popper, che Kant cercò di dimostrare il solo
modo possibile del conseguimento dell’episteme, (cioè, della conoscenza obiettiva, necessaria,
universale ed esatta: la conoscenza fisico-matematica), che egli ebbe il torto di considerare come
“un dato di fatto”; mentre Popper ritiene che l’episteme alla quale Kant si riferiva, e cioè la teoria
newtoniana della meccanica, fosse solo una meravigliosa congettura “e un’approssimazione
sorprendentemente buona... ma non come la verità divina”178.
Kant, come prima di lui Galileo, credeva che le leggi e le proposizioni scientifiche fossero perfette
come quelle che Dio, nella sua onniscienza, avrebbe dovuto possedere. Con ciò esaltava la grossa
novità costituita dall’affermazione delle leggi fisico-matematiche, le quali avevano sostituito le
espressioni prevalentemente qualitative della conoscenza fisica.
Egli riteneva che tutte le proposizioni scientifiche fossero non solo teoriche ma anche
dimostrabili179.
Bisogna ammettere che i fisici ritenevano, e tuttora ritengono, che la fisica galileiano-newtoniana
fosse una teoria scientifica in ampio accordo con i comportamenti meccanici del mondo
macroscopico.
Kant non ha, dunque, sbagliato nel tentare di spiegare quel che non solo è possibile, [cioè la
conoscenza scientifica della realtà naturale] ma che si è attuato nel corso della civiltà umana, sia
pure senza conseguire l’esattezza “assoluta”, ma solo quella “relativa”, connessa cioè con le nostre
modalità intellettive, con i nostri concetti, con la nostra tecnica, con i gradi della nostra conoscenza
scientifica e, necessariamente, col grado generale di sviluppo delle nostre società.
Carlo Bernardini, trattando de “I rischi dell’equivoco sulle vie del sapere”, si è soffermato sul modo
176
177
178
179
“Congetture e confutazioni”, ed. U.P. Il Mulino, p. 164.
Ivi, p.165.
“Congetture e confutazioni”, op. cit., p.164.
I. Lakatos, “Critica e crescita della conoscenza”, ed. Feltrinelli, p. 164.
d’intendere il superamento delle teorie fisiche: “Se è vero . . che la meccanica relativistica di
Einstein ha soppiantato la meccanica classica di Newton, in quanto teoria generale dei fenomeni
meccanici, non bisogna però pensare che la meccanica classica sia da abbandonare: ha solo un
campo di applicazione più circoscritto di quanto non pensasse un fisico dell’Ottocento”. E ha
aggiunto che “Forse è proprio questo il tratto distintivo più peculiare del modo di pensare della
scienza rispetto agli altri modi del pensiero umano”180.
La credenza nelle verità assolute e la conseguente aspirazione a raggiungerle, derivava dalla
metafisica religiosa, che attribuiva a Dio una conoscenza perfetta della natura e delle sue leggi, e
proveniva inoltre dai prestigiosi risultati ottenuti nei campi della matematica e della logica; risultati
che si riteneva di poter uguagliare nel dominio della fisica.
K.Popper ha individuato soltanto un elemento di verità nella concezione kantiana della conoscenza
scientifica, consistente nell’affermazione secondo la quale, nel processo conoscitivo, “non siamo
recettori passivi di dati sensoriali; bensì organismi attivi”181.
Ma se soltanto questo elemento di verità fosse contenuto nella teoria kantiana della conoscenza
scientifica, allora Kant non avrebbe saputo andar oltre il più grande risultato scientifico e filosofico
di Alcmeone di Crotone (VI sec. a.C.), primo sostenitore del ruolo attivo del nostro cervello
nell’elaborazione dei dati fornitigli dagli organi di senso.
Kant, invece, è andato oltre la pur valida teoria dell’elaborazione dei dati sensoriali di Alcmeone di
Crotone; ha superato in chiarezza e distinzione anche la teoria lockeana della conoscenza, alla quale
si è ispirato nell’elaborazione della propria gnoseologia.
Nella sua teoria empiristico – razionalistica della conoscenza, J. Locke considerava passiva la
mente umana nell’acquisizione delle idee semplici 182 provenienti dalle qualità primarie
(meccaniche) degli oggetti, secondo l’insegnamento di Galileo, Cartesio e Newton; ma riconosceva
attivo l’intelletto nell’elaborazione delle idee complesse che egli riconduceva alle categorie delle
sostanze, dei modi e delle relazioni; attivo altresì nella formazione delle idee generali, intese come
modelli necessari per una classificazione delle cose particolari esistenti.
Le idee semplici erano concepite da Locke come le reali apparizioni delle cose e dei loro moti, ma il
loro possesso non costituisce ancora un valido livello di conoscenza: questo si avrà solo quando con
la mente si percepirà l’accordo o il disaccordo, la connessione o ripugnanza tra determinate idee:
“Dove questa percezione non ha luogo, potrà esserci l’immaginare, il congetturare, il credere ma
non il conoscere”183.
180
“La Repubblica”, 23-06-89.
“Congetture e confutazioni”, op. cit., p. 165.
182
Quali quelle di colore, suono, figura, quiete, movimento in rapporto con i sensi, e del pensare e del volere in
rapporto con la via della riflessione; quelle di piacere o diletto, di esistenza e di unità connesse con la sensazione ed
anche con la riflessione.
183
“Storia del pensiero filosofico e scientifico”, op. cit., vol. II, p. 572, ed. 1970.
181
L’accordo tra le idee semplici può venir percepito mediante l’intuizione, in modo diretto, o
mediante la dimostrazione, per via indiretta, cioè individuando la successione delle idee che porti a
vedere l’accordo tra quelle che, in prima istanza, non sembrino goderne.
Dunque, la percezione diretta o indiretta dell’accordo fra le idee semplici costituisce la (più valida)
conoscenza ed essa implica l’impegno attivo dell’intelletto di ciascun uomo.
Kant certamente “si appropria” dell’idea secondo la quale ogni uomo, potenzialmente, può accedere
alla conoscenza grazie al proprio “intelletto attivo”, capace di riunire in una sintesi obiettiva i dati
dell’esperienza; ma rielabora sia la conoscenza di livello intuitivo, quando pone come necessario
l’inquadramento nelle forme pure dello spazio e del tempo, sia quella di livello riflessivo, in cui fa
intervenire la sintesi a priori dell’intelletto mediante i concetti puri, intesi come le condizioni
formali generali necessarie all’intelletto puro per giungere, sulla base dei dati forniti
dall’esperienza, ai giudizi sintetici a priori, alle proposizioni, cioè, estensive della conoscenza
puramente intuitiva, e di livello scientifico.
Kant, nell’accettare sostanzialmente il realismo gnoseologico lockeano, sente però il bisogno di
fondarlo su delle condizioni di tipo formale, che attribuisce all’intelletto umano in generale: spazio,
tempo, concetti puri consentono, nella appercezione trascendentale, di sintetizzare in modo
scientifico i fenomeni della natura.
Egli accetta da Locke la tesi secondo la quale non solo le scienze matematiche sono capaci di
produrre una conoscenza dimostrativa, rigorosa e scientifica; ma, contrariamente al filosofo inglese,
che non aveva ritenuto che la fisica fosse interamente trattabile con metodo dimostrativo, egli
sostiene che la fisica è interamente costruita con le forme pure della sensibilità e dell’intelletto
(spazio, tempo e concetti puri); che è scientifica nella sua interezza, perché, sulla base delle
condizioni formali pure e generali e sulla base dei dati fenomenici, approda, mediante la sintesi
dell’intelletto puro, alle leggi fisico-matematiche: sintesi dovuta alla attenta osservazione delle
regolarità fenomeniche nel tempo e nello spazio; sintesi concretamente dovuta all’applicazione del
metodo e del ragionamento matematico-sperimentale.
Nelle leggi causali della meccanica galileiano-newtoniana Kant ha visto le leggi matematico-fisiche
dei fenomeni naturali, leggi che ogni essere umano può scoprire in quanto capace di pensare in
termini di condizioni formali generali in relazione ai fenomeni naturali.
E sono appunto le condizioni formali generali quelle che consentono agli esseri umani, dotati tutti di
intelletto puro, di conseguire una conoscenza non soltanto empirica, non soltanto induttiva, ma
scientifica, e cioè necessaria e universale, e, perciò, obiettiva.
La necessità nei giudizi d’esperienza, non è semplicemente empirica (perché in tal caso sarebbe una
necessità solo ipotetica) ma, in quanto fondata sulle condizioni formali dello spazio, del tempo, dei
concetti puri, sui principi di conservazione, di causalità e di reciprocità (concetti puri della
relazione, centrali nello sviluppo della fisica), essa (necessità) assume valore universale, analogo a
quello della matematica.
La universalità delle leggi e proposizioni fisico-matematiche non ha una base induttiva, per cui,
sulla base di qualche regolarità fenomenica, s’inferisca a gradi crescenti di regolarità e, poi, a una
legge fenomenica che connetta determinate classi di fenomeni, conservando quella ipoteticità ben
sottolineata dalla critica Humeana; ha, invece, una base matematico-sperimentale: quindi, formale
ed empirica al tempo stesso, secondo quanto mostrato praticamente da Galileo e, con maggiore
consapevolezza, da Newton, entrambi ben conosciuti da Kant.
La obiettività delle leggi d’esperienza e dei conseguenti giudizi (di esperienza) deriva dalla loro
necessità e universalità: “la validità oggettiva del giudizio di esperienza non significa altro se non
la necessaria validità universale di esso. Ma anche inversamente se noi abbiamo ragione di ritenere
necessariamente valido in universale un giudizio... dobbiamo pur ritenerlo oggettivo, ritenere cioè
che esso non esprima soltanto una relazione della percezione con un soggetto, ma anche una qualità
dell’oggetto…”, sulla quale tutti devono esser d’accordo tra loro184.
Sul concetto di validità oggettiva di un giudizio
Approfondendo il concetto di validità oggettiva di un giudizio, Kant così afferma nei
“Prolegomeni”: “Validità oggettiva e validità necessaria ed universale (per ognuno) sono dunque
concetti reciproci [equivalenti], e, sebbene non conosciamo l’oggetto in sè, pure, quando
consideriamo un giudizio come universalmente valido e perciò necessario, vi sottintendiamo
appunto la validità oggettiva. Mediante questo giudizio noi riconosciamo l’oggetto..., lo
riconosciamo dal valore universale e necessario del nesso delle percezioni date; e siccome questo è
il caso di tutti gli oggetti dei sensi, così i giudizi di esperienza, la loro validità oggettiva toglieranno
in prestito, non dalla conoscenza immediata dell’oggetto (ché ciò è impossibile), ma soltanto dalla
condizione del valore universale dei giudizi empirici: il quale… non si fonda mai su condizioni
empiriche e in generale sensibili, ma su un concetto puro dell’intelletto”185.
Egli osserva, poco più avanti, che mentre i “giudizi percettivi” esprimono soltanto una relazione di
una o più sensazioni su uno stesso soggetto, ed anche soltanto nel suo attuale stato percettivo, “e
non devono perciò valere anche per l’oggetto...”, invece, “Col giudizio di esperienza la cosa è
affatto diversa. Ciò che l’esperienza m’insegna in certe circostanze, deve insegnarlo sempre a me ed
anche ad ogni altro; la validità di essa non si limita al soggetto o al suo stato attuale. Perciò io
annunzio tutti i giudizi cosiffatti come validi oggettivamente...”186.
Dunque, le leggi della fisica e, in generale, i giudizi di esperienza, quando siano fondati sulle
condizioni formali della conoscenza fenomenica (cioè su spazio, tempo e concetti puri) acquistano
184
185
186
Prolegomeni ad ogni futura metafisica, op. cit., par. 18.
Prolegomeni, I. Kant, op. cit., par. 19.
Ivi, par 19.
un valore oggettivo, nel senso di universalmente valido e necessario.
Al contrario, un giudizio percettivo ha un valore solo soggettivo; però, se lo si vuole portare al
livello d’un giudizio d’esperienza, la cosa è possibile soltanto se il nesso percepito dal soggetto fra
diverse sensazioni (dovute alla rappresentazione di qualcosa di oggettivo) venga sottoposto ad una
condizione ( concetto puro ), che lo renda valido universalmente.
In casi di questo genere “Io voglio dunque che io sempre, e come me ogni uomo, debba, nelle stesse
circostanze, collegare necessariamente questa percezione”187.
Dunque, quando i nessi percettivi riusciamo ad inquadrarli nelle forme pure dell’intelletto (i
concetti puri) ed operiamo una sintesi universalmente valida, conseguiamo una conoscenza
oggettiva: giungiamo ad essere legislatori fenomenici. Non legislatori arbitrari, però, perché i nostri
giudizi di esperienza devono essere universalmente validi in ogni tempo, nelle medesime
circostanze.
Il determinismo kantiano risulta, perciò, fondato sul valore universale dei giudizi d’esperienza, e,
tra questi, primeggiano le leggi della fisica, e, tra queste, la legge di causalità: che, in definitiva,
secondo Kant, è implicata in ogni legge fisica in cui si stabilisca una dipendenza fenomenica
secondo una regola matematicamente espressa.
Sulla necessità nel reale e del reale
Ernst Cassirer ha osservato che, mentre per Hume “una necessità nel reale e del reale resta…
inintellegibile” sulla base dell’analisi delle nostre percezioni, le quali, secondo lui, esauriscono il
concetto di realtà, senza mai mostrare “una impressione che corrisponda all’idea della connessione
necessaria”, invece, in Kant, una necessità del reale è intelligibile: non, però, sulla base
dell’esperienza percettiva, ma su quella delle condizioni formali universali che applichiamo al
mondo fenomenico, al reale fenomenico.
Questo, secondo Kant, ha regole di comportamento empirico che non contrastano mai con le
condizioni formali universali della conoscenza scientifica: egli evidenzia la perfetta concordanza tra
la serie delle leggi empiriche e quella delle corrispondenti leggi, o categorie, dell’intelletto puro: la
legge di causalità, il principio dell’azione reciproca, e quello di conservazione della sostanza sono
concepite come leggi a priori, non derivate cioè dai dati empirici: leggi che possiedono universalità
e necessità, e che vengono intese come quelle condizioni formali che rendono possibile riconoscere
e aderire all’ordine fenomenico, alle leggi empiriche che connettono i fenomeni tra loro, pur
appartenendo alla sfera dell’intelletto puro.
Le leggi dell’intelletto puro consentono di ordinare e connettere i fenomeni senza entrare in
contraddizione con i dati empirici osservati (misurati). Trattando della scienza pura della natura,
egli dice che “Si trovano... tra i principi fondamentali di tal fisica universale, alcuni che realmente
187
Prolegomeni, op. cit., par. 19.
hanno l’universalità che richiediamo, come la proposizione: che la sostanza rimane e perdura; che
tutto ciò che avviene è sempre determinato prima da una causa secondo leggi costanti, ecc. Queste egli aggiunge - sono realmente leggi universali della natura che sussistono completamente a priori.
V’è adunque nel fatto una scienza pura della natura...”188.
Per “natura” egli intende, qui, “l’esistenza delle cose in quanto determinata da leggi universali”189.
Poco più avanti Kant formula un altro significato della parola “natura”: “Natura… considerata
materialiter, è l’insieme di tutti gli oggetti dell’esperienza”190.
Mi sembra importante rimarcare che Kant considera “la scienza universale della natura”, cioè “la
fisica universale”, come quella particolare scienza in cui “si trova la matematica applicata ai
fenomeni, e anche proposizioni semplicemente discorsive (tratte da concetti), le quali costituiscono
la parte filosofica della conoscenza pura della natura”191.
Dunque la fisica galileiano-newtoniana, che è fisica-matematica, fondata sulla sintesi delle
condizioni formali (dell’intelletto puro) e dei dati empirici, è scienza universale, necessaria e
obiettiva.
La natura, materialmente considerata, è soggetta alla natura formalmente considerata; è sottoposta
alle leggi delle determinazioni delle cose, e, tali leggi della natura, in quanto universali e necessarie,
sono leggi dell’intelletto puro, che connettono perfettamente le regolarità osservabili nel mondo
naturale.
Il mondo fenomenico, se esaminato in termini puramente percettivi, ci può condurre soltanto verso
giudizi soggettivi, variabili da individuo a individuo e, per uno stesso individuo, da momento a
momento; se esaminato poi nella prospettiva della conoscenza empirica, esso può condurci a
concetti di validità limitata ed anche alla individuazione di regolarità prive di universalità, perché,
essendo elaborate soltanto sulla base di dati osservativi, sono limitate, nel grado di
generalizzazione, da eventuali altri dati empirici che le possono invalidare. Lo stesso mondo, però,
se viene esaminato sul piano delle condizioni formali generali, sul piano, cioè, delle forme pure
dello spazio e del tempo e sul piano dei concetti puri, si mostra a noi secondo una nuova
prospettiva: quella delle conoscenze oggettive, cioè, universalmente valide. In tale prospettiva,
logico-sintetica, si può giungere ai “giudizi d’esperienza”, ai giudizi, cioè, sintetici a priori, alle
leggi di valore universale, che possiedono un valore oggettivo proprio in quanto universali e
necessarie ( nel senso che inquadrano classi di fenomeni in una regola valida per tutti gli esseri
umani in un tempo qualunque).
Per Kant i fenomeni naturali non entrano in contraddizione con la logica dell’intelletto puro; ma, al
188
189
190
191
Prolegomeni, op. cit., par. 15.
Prolegomeni, op. cit., par. 14.
Prolegomeni, op. cit., par. 16.
Prolegomeni, op. cit., par. 15.
contrario, nel quadro di questa logica costruttiva, acquistano quei caratteri dell’universalità e
necessità che non possono essere garantiti sul solo piano dell’osservazione di limitate regolarità
fenomeniche, temporaneamente registrate.
Dunque, il reale fenomenico, soltanto se interpretato con i concetti puri dell’intelletto può essere
colto secondo le dimensioni dell’universalità e necessità. In un approccio semplicemente
empiristico, invece, potremmo solamente elaborare concetti empirici ipotetici, in quanto frutto di
una elaborazione di tipo induttivo; suscettibili, perciò, di cambiamenti, anche notevoli.
L’intuizione profonda di Kant mi sembra che sia la seguente: universalità e necessità si colgono con
l’intelletto umano (nel senso che si possono cogliere), dato che Hume ha ampiamente dimostrato
che le associazioni percettive, per quanto regolari, non permettono di rilevare alcun nesso
necessario e universale. Il principio di conservazione della sostanza, la legge di causalità e quella
dell’azione reciproca sono acquisizioni dovute al fatto che l’intelletto umano può pensare in termini
di concetti puri, quali, nell’ordine, il concetto di sostanza, di causalità e di reciprocità.
Universalità e necessità provengono dall’elaborazione dell’intelletto umano, senza che esso cada
nell’arbitrarietà: infatti, le regolarità fenomeniche, nel livello semplicemente empirico di
elaborazione “immaginativo-riproduttiva”192, non contraddicono mai l’elaborazione compiuta al
livello dell’intelletto puro, che interviene sui dati e sui nessi empirici attivando i concetti puri
(categorie), per formare giudizi sintetici a priori e per definire leggi universali e necessarie.
Il fatto che non si riscontri mai disaccordo tra i risultati conseguiti nel livello empirico
(immaginativo-riproduttivo) e quelli acquisiti al livello intellettivo, dimostra la non arbitrarietà
dell’elaborazione categoriale.
Cassirer sul principio di causalità in Kant
E. Cassirer (1874-1945) osservava che il principio di causalità, secondo Kant, non vale per le
sostanze assolute, “non vale per ‘cose in generale’, per quell’essere di cui trattano la metafisica e
l’ontologia razionalistiche, bensì vale solo per ‘oggetti di esperienza’ possibile” 193. Il principio di
causalità “non è altro che una determinata direttiva, la quale serve ‘a sillabare i fenomeni per poterli
leggere come esperienze’.” affermava Cassirer citando i “Prolegomeni”. E, riprendendo ancora
Kant, riportava i seguenti passi a sostegno della propria interpretazione: “Io scorgo dunque
benissimo... il concetto di causa come un concetto appartenente necessariamente alla semplice
forma dell’esperienza; ma non scorgo affatto la possibilità di una cosa in generale come causa, e
precisamente per la ragione che il concetto di causa, non indica per nulla affatto una determinazione
inerente alle cose bensì solo all’esperienza”194.
192
193
194
L’immaginazione è detta “riproduttiva” se è soggetta alle leggi empiriche dell’associazione.
Determinismo e indeterminismo nella fisica moderna, E. Cassirer, ed. La Nuova Italia, p. 33.
Citazione tratta dai Prolegomeni e proposta in Determinismo e indeterminismo, p. 33.
Esperienza e causalità
L’esperienza “è il primo prodotto che dà il nostro intelletto quando elabora la materia greggia delle
sensazioni.”195; essa non è un puro aggregato di percezioni, bensì “determinazione dell’esistenza nel
tempo, secondo leggi necessarie.”196; e le leggi sono necessarie perché “l’esperienza ha... a
fondamento, principi della sua forma a priori, cioè regole universali dell’unità nella sintesi dei
fenomeni; regole la cui realtà obiettiva può essere provata sempre nell’esperienza, e come di
necessarie condizioni di essa, anzi della sua possibilità”197.
Cassirer conclude che “secondo Kant, il principio di causalità vale per la ‘natura’ solo nella misura
in cui definiamo la natura, considerata materialiter, come l’insieme di tutti gli oggetti
dell’esperienza, considerata formalmente come l’esistenza delle cose in quanto è determinata
secondo leggi universali”.198
Egli sostiene, giustamente, che nella teoria di Kant i concetti di legalità e di oggettività sono
strettamente correlati, in modo che l’uno sia il presupposto dell’altro, l’uno condizione della
possibilità dell’altro: “E’ possibile riferire i fenomeni ad un ‘oggetto’ “solo nella misura in cui è
possibile inserirli in un ordinamento legale”199.
Perciò “I giudizi d’esperienza non possono mai mutuare la loro validità oggettiva dalla conoscenza
immediata dell’oggetto bensì dalla validità universale dei giudizi empirici”200.
La validità universale dei giudizi d’esperienza si basa sull’applicazione dei concetti puri, universali,
al mondo fenomenico. Soltanto i concetti puri permettono di stabilire tra i fenomeni nessi universali
secondo regole, quindi nessi necessari.
Le analogie dell’esperienza e il principio di ragion sufficiente
Trattando delle “analogie dell’esperienza”, e cioè dei “Principi della determinazione dell’esistenza
dei fenomeni nel tempo”, intesi come “leggi trascendentali della natura”, Kant sostiene che esse non
si possono dimostrare dogmaticamente, cioè per concetti, in quanto “da un oggetto e dalla sua
esistenza non si può assolutamente venire all’esistenza o al modo di esistere dell’altro, per via di
semplici concetti di queste cose in qualunque modo si analizzano questi concetti”201.
Infatti, in base al principio d’identità, non si perviene, comunque si articoli un concetto di una cosa,
a giudizi estensivi della conoscenza, ma solo a giudizi puramente analitici.
Proseguendo il suo discorso sulle analogie dell’esperienza, cioè sul “Principio di permanenza della
sostanza”, sul “Principio della serie temporale secondo la legge di causalità” e sul “Principio della
195
196
197
198
199
200
201
Critica della ragion pura, op. cit., p. 39.
Critica della ragion pura, op. cit., p. 175-176.
Critica della ragion pura, op. cit. p. 175-176.
Det. e indet., p. 33, riferimento ai par. 14, 16, 19 dei Prolegomeni.
Ivi, p. 33-34.
Ivi, p.34, riferimento di Cassirer al paragrafo 19 dei Prolegomeni.
Citazione tratta dalla Critica della ragion pura, in Determinismo e inteterminismo, op. cit., di E. Cassirer, p. 34.
simultaneità secondo la legge dell’azione vicendevole, o reciprocità”, Kant sosteneva che restava
soltanto “la possibilità dell’esperienza come conoscenza, nella quale tutti gli oggetti ci devono
infine poter essere dati, se la loro rappresentazione deve avere per noi realtà oggettiva…”202.
Rappresentazione della realtà oggettiva che viene resa possibile grazie all’intelletto puro. Dice
infatti Kant, trattando della seconda analogia dell’esperienza, che “Per ogni esperienza e per la sua
possibilità occorre l’intelletto…”203, e che la “regola per determinare qualcosa nella successione
cronologica è che in ciò che precede ha da trovarsi la condizione sotto la quale segue sempre
(necessariamente) l’evento. Dunque, il principio della ragion sufficiente è il fondamento
dell’esperienza possibile, cioè della conoscenza oggettiva dei fenomeni, rispetto al loro rapporto
nella serie successiva del tempo.”204 Il principio di ragion sufficiente, posto da Leibniz a
fondamento della serie delle verità di fatto (che non soggiacciono, nella conoscenza umana, ai
principi di identità e di non contraddizione), in quanto contengono fattori contingenti, ci dice che
nulla accade senza che vi sia una ragione sufficiente perché accada in un determinato modo anziché
altrimenti.
C. Wolff (1679-1754) lo considerò come il principio dell’intera filosofia intesa come scienza delle
cose possibili.
Kant, invece, lo pone a fondamento dell’esperienza possibile, cioè a fondamento della conoscenza
oggettiva dei fenomeni nel tempo. Dunque, il principio di ragion sufficiente è il fondamento logico
del principio di causalità e di ogni legge causale: acquista così un carattere necessitante che non
possedeva in Leibniz.
Cassirer sul principio del nuovo determinismo critico
Nella “possibilità dell’esperienza come conoscenza”, Cassirer vede il “principio di fondo del nuovo
determinismo critico”:
“Tale determinismo non afferma nulla intorno al ‘fondamento delle cose’, anzi nemmeno si riferisce
immediatamente alle cose empiriche come tali. Esso è piuttosto un principio della formazione di
concetti empirici: un’affermazione e una norma intorno al come dobbiamo prendere e foggiare i
nostri concetti empirici affinché essi siano all’altezza del loro compito, il compito della
oggettivazione dei fenomeni.
Quando i nostri concetti di causalità soddisfano questa richiesta, è inutile cercare per essi un’altra
giustificazione e una presunta dignità superiore”205.
A proposito di tale interpretazione, occorre osservare che la possibilità dell’esperienza come
conoscenza, purché si tratti di conoscenza scientifica, dunque universalmente valida e necessaria,
202
203
204
205
Citazione da Determinismo e indeterminismo, op. cit., E Cassirer, p. 34.
“Critica della ragion pura”, op. cit., p. 209.
“Critica della ragion pura”, op. cit., p. 210.
Determinismo e indeterminismo, op. cit., E. Cassirer, p. 35.
non costituisce soltanto il principio di fondo del determinismo critico, ma anche la convinzione ben
salda, basata sui successi della fisica galileiano-newtoniana; convinzione che ha stimolato Kant a
giustificare filosoficamente sia il sistema di leggi della meccanica classica sia il determinismo ad
esse connesso.
Volendo precisare i meriti di Kant, Cassirer nota che “Contro Hume, Kant tiene fermo che una
deduzione semplicemente soggettiva di questo principio (di causalità) non può mai riuscire
adeguata a quanto esso significa. La causalità è un’affermazione sull’accadere naturale, non sul
semplice decorso della nostra rappresentazione di esso”206.
Mentre secondo Hume il determinismo concerne immaginazione e intelletto “che non possono
sottrarsi alla coazione dell’associazione, all’impulso dell’abitudine”, Kant “Contro Hume… mostra
che non è lecito fare di questa determinazione psicologica il fondamento della determinazione
oggettiva, proprio perché essa presuppone già quest’ultima.”
Infatti, “Se in generale non vi fosse nessuna costanza dell’accadere ‘esterno’, allora non si
riuscirebbe ad intendere come poter pervenire a quella costanza dell’accadere ‘interno’ a cui Hume
tiene fermo”207.
Cassirer osservava che “Se non nelle forze della natura, Hume doveva presupporre una regolarità
oggettiva per lo meno nel gioco delle nostre forze conoscitive. Abitudine ed esercizio, memoria e
immaginazione secondo lui sono le vere fonti della causalità. Ma esse tutte - egli nota - non
designano propriamente altro se non concetti psicologici generali che Hume contrappone ai concetti
generali propri della fisica”208.
E’ ben evidente che “Per poter formare questi concetti generali deve darsi una costanza
nell’accadere psichico.” Quindi, se si vuole “rendere comprensibile l’origine della rappresentazione
della causalità, memoria e immaginazione devono agire secondo regole...” e non a casaccio.
Giustamente Cassirer rilevava che “A questo riguardo il ‘meccanismo delle associazioni’ non è
minor problema nè più facilmente solubile di quel meccanismo che è presupposto dalla scienza
della natura”209.
Il determinismo in Cassirer
E. Cassirer espone il proprio concetto di determinismo quando riflette sull’esempio kantiano di
nesso causale, consistente nella necessaria successione di stati per una nave che discenda la corrente
di un fiume.
Egli prima critica tale esempio di nesso causale, in quanto “Per allacciare l’una all’altra le due
posizioni della nave sopra e sotto, non possiamo certo accontentarci di seguirle nella semplice
206
207
208
209
Ivi,, p. 35.
Ivi, p. 36.
Ivi, p. 35
Ivi, p. 35-36
sequenza temporale ma dobbiamo cercare le forze con cui abbiamo a che fare in tale processo”210.
Bisogna però rilevare che Kant sottolinea che la semplice successione degli stati della nave non
basta ad esprimere il nesso causale: lo definisce, invece, l’idea che lo stato successivo sia
determinato come effetto dello stato precedente nel tempo, se si riscontra sempre che il fenomeno A
è seguito secondo una regola dal fenomeno B, e mai viceversa.
Kant richiede che nel nesso causale sia contenuto il principio che oggi chiamiamo di contiguità
degli stati, ma esige anche che in esso sia essenziale l’ordine delle percezioni successive.
Egli nota che, nella osservazione della nave che discende il corso di un fiume, l’ordine delle nostre
percezioni risulta essere necessario in quanto obbedisce ad una regola, mentre la stessa necessità
non è affatto presente quando noi osserviamo una casa, perché in tale caso possiamo osservare a
partire dal comignolo fino alla base della casa o viceversa: l’ordine delle percezioni in tale caso è
arbitrario; mentre nel caso dell’osservazione della nave che discende il fiume, l’ordine delle
percezioni degli stati della nave è univoco: “Questa regola, invece si riscontrerà sempre nella
percezione di ciò che accade, ed essa rende necessario l’ordine delle percezioni successive
(nell’apprensione di questo fenomeno)”211. La percezione di ciò che accade ha sempre un ordine
temporale che non dipende da noi; non come nel caso della successione arbitraria di osservazioni di
una casa.
Cassirer, definendo il proprio concetto di determinismo, afferma che:
“Se escludiamo dalla rappresentazione di queste ‘forze’ tutte le rappresentazioni secondarie di cosesostanze, ci vediamo condotti unicamente a certe leggi generali - la legge di gravitazione, le leggi
dell’idrostatica e dell’idrodinamica, ecc. - dalle quali pensiamo determinato il moto della nave.
Queste leggi - egli afferma – sono i veri e propri elementi componenti della relazione causale
assunta; ma per formularle esattamente la fisica deve servirsi di un suo proprio linguaggio
simbolico che è molto lontano dal linguaggio delle ‘cose’212.
In generale, Cassirer giunge alla conclusione che il determinismo causale deriva dal fatto che i
fenomeni si trovano nell’area di intersezione delle leggi fisiche che noi escogitiamo e formuliamo
per inquadrarli scientificamente213: “Al postulato del ‘tutto in tutto’ [di Anassagora (496 a.C.-428
a.C.)] ora non si può più soddisfare con una reciproca inclusione di cose e qualità originarie bensì
con una reciproca inclusione di leggi. Ora gli enunciati di legge sono l’unica via, e la sola
ammissibile per congiungere l’individuale al tutto e fondere il tutto con l’individuale, per instaurare
così fra essi quella ‘armonia’ [potenza del Pitagorismo!] che costituisce il fine vero e proprio di ogni
210
211
212
213
Determinismo e indet., E. Cassirer, op. cit., p. 38.
Critica della R.P., op. cit., p. 204.
Ivi, p. 38-39.
Vedi in proposito La causalità di M. Bunge, U.S. Boringhieri, p. 403: Bunge riconosce che per Cassirer il
significato sostanziale del principio causale è “un’affermazione in merito all’interconnessione sistematica di
conoscenze”.
conoscenza della natura”214.
Esperimento, legge di natura e determinismo nel pensiero di Cassirer
Cassirer chiarisce poi il proprio concetto di legge di natura, essenziale nella sua definizione del
determinismo:
“Negli enunciati di legge il semplice ‘qui-così’ contenuto nei singoli enunciati di misura subisce una
trasformazione caratteristica: si converte in un ‘se-allora’. E questo ‘se-allora’, questo giudizio
ipotetico ‘se x, allora y’ non si allaccia più a sole grandezze singole che noi pensiamo appartenenti a
determinati punti spazio-temporali e in essi localizzate, ma riguarda intere classi di grandezze che in
genere constano di infiniti elementi”215.
Egli osserva che le leggi di natura non sono, come credeva J.S. Mill, un ‘aggregato di verità
particolari’: “Se così fosse – osserva Galilei – dei giudizi universali intorno alla realtà sarebbero o
impossibili o superflui.
Sarebbero impossibili quando la serie dei casi individuali da noi considerati è infinita, perché una
serie siffatta non si può esaurire per enumerazione…; sarebbero superflui quando la serie fosse
limitata, poiché in tal caso potremmo accontentarci benissimo di constatare ciascuno dei suoi
singoli membri in particolare”216.
Solo l’esperimento fisico, come fondamento di tutti gli enunciati di legge di natura, decide come
funziona la natura, nella presupposizione che, per essa, nello spazio-tempo, valga un principio di
uniformità naturale, secondo il quale “Quando le stesse condizioni sono realizzate, in due istanti
differenti, in due luoghi differenti dello spazio, gli stessi fenomeni si riproducono trasferiti
solamente nello spazio e nel tempo”217.
Ancor meglio si potrebbe dire che, quando le stesse condizioni sono realizzate in due istanti
differenti, in due luoghi differenti dello spazio, le stesse leggi governano lo stesso genere di
fenomeni.
Cassirer nota che nell’esperimento fisico “non compare in nessun punto l’inferenza discutibile e
precaria da ‘alcuni’ casi a ‘molti’ da ‘molti’ a ‘tutti’: infatti in quello che l’esperimento enuncia non
si conclude da un qui a un non-qui, da un ora a un non-ora, ma si oltrepassa di proposito il punto di
vista del semplice qui e ora. Non ha luogo un ampliamento entro la sfera spazio-temporale ma quasi
una sospensione di tutta quanta questa sfera; ha luogo il progresso a una dimensione nuova: ed è
questo mutamento della dimensione a differenziare gli enunciati di legge dai semplici enunciati di
misura”218.
Il determinismo di E. Cassirer mi sembra, rispetto a quello Kantiano, più spostato verso il ruolo
214
215
216
217
218
Determinismo e indeterminismo, op. cit., p. 60.
Determinismo e indeterminismo, op. cit., p. 64.
Ibidem, p. 64, riferimento a Galilei, Op., ed. Albèri, v. XII, p. 513.
Painlevè, citato in Determinismo e indeterminismo, op. cit., p. 66-67.
Determinismo e indeterminismo, op. cit., p. 65.
creativo dell’intelletto umano nella definizione delle leggi della natura, più autonomo verso
quell’ordine dell’accadere secondo regole, che non dipende da noi. Tuttavia l’inquadramento dei
fenomeni nell’area della intersezione delle leggi che li concernono e la percezione chiara del ruolo
cruciale degli esperimenti fisici nella determinazione del valore universale di una legge di natura,
portano a ritenere che il suo determinismo fosse, in definitiva, ben legato all’ordine delle cose.
Heisenberg e la teoria trascendentale della conoscenza
Notevoli mi sembrano alcune osservazioni svolte da Werner Heisenberg a proposito di un “raffronto
delle dottrine di Kant con la fisica moderna”, in quanto egli cerca di stabilire i limiti di validità
dell’intera teoria trascendentale della conoscenza.
Egli non critica Kant per non aver previsto le nuove scoperte della fisica ma perché “era convinto
che i suoi concetti sarebbero stati ‘la base di ogni futura metafisica che si presenti in forma di
scienza’...”219.
Per dimostrare l’erroneità degli argomenti kantiani, Heisenberg comincia la discussione con la legge
di causalità, che è il fondamento del determinismo kantiano: “Kant afferma - egli dice - che ogni
qualvolta osserviamo un evento noi presumiamo che esiste un evento precedente da cui il primo
deve seguire secondo una certa regola. E’ questo, come dice Kant, la base di ogni lavoro scientifico.
In questo caso - egli osserva- non ha importanza se noi possiamo o meno sempre trovare l’evento
precedente da cui l’altro seguiva. In realtà molte volte possiamo trovarlo. Ma anche se non
possiamo, nulla può impedirci di chiederci quale avrebbe potuto essere quell’evento precedente e di
cercarlo. Quindi, - egli conclude - la legge di causalità si risolve nel metodo stesso della ricerca
scientifica: è la condizione che rende possibile la scienza. Giacché noi in effetti applichiamo questo
metodo, la legge di causalità è ‘a priori’ e non derivata dall’esperienza”220.
Dunque, in sintesi, la legge di causalità, nella formulazione kantiana, gli sembra risolversi soltanto
nel metodo della ricerca scientifica: quello che rende possibile la scienza.
Si potrebbe subito rilevare che la validità della legge causale, sul piano metodologico della ricerca
scientifica, implica che tale metodo sia stato fruttuoso nello sviluppo della fisica classica, perché
esso rimanda a quelle condizioni universali dell’esperienza scientifica della natura, evidenziate da
Kant.
Heisenberg evita qui il problema della corrispondenza fra legge causale e comportamento della
realtà fenomenica del macromondo.
Si domanda quindi se la legge di causalità, kantianamente intesa, sia metodologicamente valida
anche nella fisica atomica e, per rispondere, considera uno dei tanti eventi statistici
219
220
In Fisica e filosofia, ed. Il Saggiatore, W. Heisenberg, p. 107. Va osservato che Kant non credeva nella metafisica
come scienza, poiché in essa non si poteva applicare il concetto centrale della fisica, il concetto di causalità; la
metafisica, concernendo la totalità delle condizioni in un determinato campo (psicologico cosmologico o teologico)
non si lascia afferrare dal concetto di causa. Questo concetto non si può applicare all’incondizionato!
Ibidem p. 107.
(irriducibilmente statistici) tipici della meccanica quantistica: “consideriamo un atomo di radio che
possa emettere una particella alfa. Il tempo dell’emissione della particella alfa, non può essere
previsto. Possiamo soltanto dire che in media l’emissione potrà avvenire in circa duemila anni.
Perciò - egli nota - quando osserviamo l’emissione noi non cerchiamo in realtà un evento
precedente dal quale l’emissione deve derivare secondo una regola”.
Ammette che “Logicamente sarebbe perfettamente possibile ricercare tale evento precedente...”; ma
spiega che in relazione all’importantissimo problema quantistico sollevato, “il metodo scientifico si
è veramente trasformato” perché “noi (fisici) ci siamo convinti con l’esperienza che le leggi della
teoria dei quanta sono giuste e che, se lo sono, sappiamo che un evento precedente da considerare
come causa dell’emissione ad un momento dato, non può essere trovato (in base al sistema della
meccanica quantistica)221. Egli avverte che si può dare un’altra risposta al quesito proposto, e cioè
che “noi conosciamo l’evento precedente, ma non in modo del tutto preciso. Noi conosciamo le
forze del nucleo atomico che sono responsabili dell’emissione della particella alfa. Ma questa
conoscenza contiene l’incertezza prodotta dall’interazione fra il nucleo e il resto del mondo 222
(secondo le fondamentali relazioni d’indeterminazione scoperte da Heisenberg stesso). Se
volessimo sapere perché la particella alfa è stata emessa in quel momento particolare dovremmo
conoscere la struttura microscopica del mondo intero ivi inclusi noi stessi, il che è impossibile.
Perciò - egli conclude - gli argomenti di Kant a favore del carattere a priori della legge di causalità
non possono più ritenersi validi”223. Dato che un discorso analogo potrebbe farsi sulle forme a
priori dello spazio e del tempo, ne conclude che “I concetti apriori che Kant considerava come
un’indiscutibile verità non sono più accolti nel sistema scientifico della fisica moderna”. Anche se
“Essi formano… parte essenziale di questo sistema in un senso alquanto diverso.” E cioè “noi
usiamo i concetti classici nel descrivere la nostra attrezzatura sperimentale e più in generale nel
descrivere quella parte del mondo che non appartiene all’oggetto dell’esperimento. L’uso di questi
concetti (classici), includenti spazio tempo e causalità è in effetti la condizione per osservare gli
eventi atomici ed è, in questo senso, a priori’”224.
Conclude, infine, che “Ciò che Kant non aveva previsto era che questi concetti a priori potessero
essere le condizioni per la scienza e avere, nello stesso tempo, soltanto un’area limitata di
applicabilità.”: quella della fisica classica. Tiene però ben fermo che “Quando facciamo un
esperimento dobbiamo assumere una catena causale di eventi che conduce dall’evento atomico
attraverso l’apparecchiatura sperimentale fino all’occhio dello sperimentatore; se non si ammette
221
222
223
224
Ivi, p. 108.
Kant avrebbe detto, a questo punto, che non si può ragionare scientificamente sul nucleo e tutto il resto del mondo,
perché essi formerebbero un incondizionato e sull’incondizionato non c’è modo di applicare le categorie
dell’intelletto.
In Fisica e filosofia p. l07-108.
Ivi, p. 108-109.
questa catena causale nulla si potrebbe conoscere circa l’evento atomico”225.
E’ qui importante precisare le affermazioni di Heisenberg sulla validità della legge di causalità. La
precisazione è stata proposta da Vladymir Fock a N. Bohr, e compare, perfettamente espressa, in un
importante libro di M.Born: “Gli eventi osservabili (nel campo della fisica quantistica) obbediscono
alle leggi del caso, ma la probabilità per questi stessi eventi si manifesta secondo leggi che sono, in
tutti i loro caratteri sostanziali, leggi causali”226.
Trovo degno di nota che Heisenberg abbia notato molto di valido nel determinismo kantiano ed
implicitamente ne abbiano riconosciuto il valore, ed anche i limiti, V. Fock, M. Born e N. Bohr,
mentre K.Popper, filosofo della scienza, ne ha fatto una stroncatura incauta227.
225
226
227
Ivi, p.109.
In Filosofia naturale della causalità e del caso, di M.Born,. ed.Boringhieri, p. 13l.
Cfr. Congetture e confutazioni,K. Popper, ed. Il Mulino, p. 165.
Capitolo sesto - Il determinismo laplaciano
Mentre Newton aveva sostenuto che le anomalie osservate nei movimenti del sole e di Giove, ed
altre analoghe, venivano corrette da Dio, Laplace (1749-1827) dimostrò di non aver bisogno d'una
ipotesi del genere, in quanto aveva scoperto, insieme a Lagrange, che “il sistema solare era un
meccanismo
perfettamente
autoregolato,
nel
quale
ogni
irregolarità
si
correggeva
automaticamente”228.
In particolare, egli mostrò che “l'apparente accelerazione del movimento della luna era un
fenomeno che si autorettificava, in quanto l'accelerazione si invertiva nel giro di circa 24000 anni.
Dimostrò poi che le notevoli variazioni manifestate dalle velocità dei pianeti Giove e Saturno erano
il risultato delle loro interazioni gravitazionali. Infine mostrò che tutte queste irregolarità si
correggevano da sé, giacché, per dirla con le sue parole - in base alla sola considerazione che i
movimenti dei pianeti si compiono in orbite quasi circolari, nella stessa direzione e in piani
leggermente inclinati gli uni rispetto agli altri, il sistema oscillerà attorno a uno stato medio, dal
quale devierà soltanto per quantità molto piccole”229.
S. F. Mason osserva che “Dall'opera di Laplace risultava che l'universo non aveva storia: esso era
una macchina perfettamente autoregolata che aveva funzionato per un periodo indefinito nel passato
e che avrebbe continuato a funzionare all'infinito nel futuro”230.
228
Storia delle scienze della natura, di F. S. Mason, p. 307, ed. Feltrinelli. Kant, generalizzando la teoria
dell’astronomo dilettante Thomas Wright, “suggerì che le nebulose fossero vasti sistemi di stelle simili alla via
lattea e che tutti i sistemi stellari contenuti nell’universo potessero muoversi attorno ad un centro comune e formare
così un sistema ancor più vasto.
Kant avanzò l’ipotesi che all’inizio vi fosse un caos di particelle materiali dotate delle proprietà di attrazione e
repulsione e che in virtù della proprietà di attrazione queste particelle si fossero conglomerate venendo a formare i
corpi celesti, mentre per effetto della proprietà di repulsione i corpi celesti avrebbero assunto un movimento
vorticoso, venendo a formare i sistemi solari, i sistemi stellari e infine il vasto sistema cosmico.” (in Storia delle
scienze della natura, di Stephen Mason, ed. Feltrinelli, p. 312). A proposito della “Storia naturale generale e teoria
del cielo, o ricerca intorno alla costituzione e all’origine meccanica dell’intero sistema del mondo condotta secondo
i principi newtoniani”, scritte da Kant nel 1755, Ludovico Geymonat ha osservato che “malgrado quanto asserito
nel titolo, e cioè che l’opera risulterebbe condotta secondo principi newtoniani, essa segna in realtà un
notevolissimo passo innanzi rispetto alla concezione dello scienziato inglese.
Infatti, mentre l’ordinamento presente dell’universo rinvierebbe in modo necessario – secondo Newton – a un essere
divino quale architetto e signore del mondo, Kant ritiene al contrario che tale ordinamento possa venire
integralmente spiegato col semplice ricorso alle leggi generali della natura: la spiegazione da lui proposta, …
afferma che il sistema celeste trarrebbe origine dal moto vorticoso di una nebulosa primitiva…”. Kant, inoltre,
“resta fedele alla concezione newtoniana… nell’attribuire alla materia alcune proprietà non puramente geometriche
(afferma infatti che essa può avere densità diversa da un luogo all’altro e che è sottoposta a forze di attrazione e di
repulsione)…”.
Quanto ai vortici di cui Kant parla, essi “sono da lui concepiti come effetti delle forze elementari, attrattive e repulsive,
che agirebbero sulla materia, e quindi risultano del tutto diversi da quelli ideati da Cartesio, il quale, partendo
dall’identificazione della materia con la pura estensione geometrica – doveva escludere da essa ogni nozione di
forza e doveva perciò concepire i vortici come moti assolutamente originari”. (in Storia del pensiero filosofico e
scientifico, di L. Geymonat, v. III, p. 568).
Per Cartesio il moto fondamentale, originario, è quello circolare e il principio dell’azione per contatto è concepito come
principio universale e assoluto di spiegazione. (vedi I principia, di I. Newton, a cura di A. Pala, UTET, nota 1, p.
585).
229
Ivi p.307.
230
Ivi p.307.
In contrasto con la concezione astorica dell'universo, quantitativamente definita, egli nel 1796
elaborò l'ipotesi d'una nebulosa generatrice del sistema solare “che incorporava l'idea di evoluzione
che mancava al suo modello quantitativo231:
In definitiva il sole, i pianeti ed i satelliti avrebbero avuto origine da una nebulosa che era andata
raffreddandosi e contraendosi man mano che accelerava in senso rotatorio.
La stessa ipotesi suggerita da Kant, che, nel 1755, nel libro intitolato “Storia naturale generale e
teoria del cielo”, aveva ipotizzato l’evoluzione temporale dell’intero universo con il solo ricorso
alle leggi naturali232. Il grande valore che gli scienziati attribuivano alle ricerche sulla stabilità del
sistema solare, il grande valore che Laplace attribuiva non solo alle proprie ricerche astronomiche
ma, in generale, alla legge dell'inverso del quadrato della distanza, intesa come legge generale della
natura, e non solo dei gravi (tanto che affermò che “la legge dell'inverso del quadrato relativa alla
forza vale per tutte le emanazioni che provengono da un centro come quella della luce”) 233,
condusse il grande scienziato a ritenere che le leggi verificate nel cosmo, puramente meccaniche,
dovessero valere allo stesso modo anche nel campo delle microparticelle.
Non solo a lui, ma alla gran parte degli scienziati contemporanei “Il mondo sembrava essere
interamente comprensibile in termini di leggi di tipo newtoniano, e appariva completamente
determinato”234.
Fu però Laplace ad esprimere in termini generali l'idea d'un onnicomprensivo determinismo
meccanicistico con le seguenti parole:
“Dovremmo considerare lo stato presente dell'universo come l'effetto del suo stato antecedente e
come la causa235 dello stato che viene a seguirlo. Un’intelligenza che conoscesse tutte le forze che
agiscono in natura ad un dato istante, nonché le posizioni occupate in quell'istante da tutte le cose
dell'universo, sarebbe in grado di comprendere in un'unica formula i moti dei corpi più grandi
altrettanto come dei più leggeri atomi del mondo, purché il suo intelletto fosse sufficientemente
capace di sottoporre ad analisi tutti i dati; per essa nulla sarebbe incerto, il futuro come il passato
sarebbero presenti ai suoi occhi. La perfezione che l'umana mente è riuscita a dare all'astronomia
offre una pallida idea d'una simile intelligenza. Le scoperte di meccanica e di geometria, abbinate a
quelle sulla gravitazione universale, hanno portato la mente alla possibilità di comprendere nella
stessa formula analitica lo stato passato e futuro del sistema del mondo. Tutti gli sforzi della mente
alla ricerca del vero tendono ad approssimarsi all'intelligenza che abbiamo or ora immaginato, pur
231
232
233
234
235
Ivi p. 308.
Vedi Storia delle scienze della natura di S.F. Mason, op. cit., p. 312, Vol. III della Storia del pensiero filosofico e
scientifico, di L. Geymonat, p. 568 e i Principia di Newton, op. cit., p. 585, nota 1.
Ivi p. 309.
Ivi p. 309.
Anche se la legge di gravitazione è stata considerata “tipicamente non causale” perché esprime un’interazione, non
un’azione unilaterale; secondo Laplace, uno stato del cosmo deve generare un altro stato del cosmo (Cfr. M. Bunge,
La causalità, p. 173).
essendo la mente destinata a restare per sempre infinitamente distante da una simile intelligenza”236.
In questo celebre passo, Laplace chiarisce in che cosa consista la concezione rigorosamente
meccanica del cosmo, dal più grande sistema al più piccolo atomo:
a)
lo stato meccanico dell’universo in un dato istante deve essere considerato l’effetto del suo
stato precedente, sottintendendo che ogni mutamento fisico sia riconducibile, in ultima istanza, al
moto di porzioni di materia;
b)
lo stato dell'universo, in un dato istante, è compiutamente definito se sono esattamente
conosciute, in quell’istante, le forze che agiscono su tutte le cose ed anche le posizioni occupate
dalle cose stesse;
c)
il passato, il presente ed il futuro sono assolutamente equivalenti nella considerazione
totalmente meccanica dell'universo;
d)
in via di principio, se sono date con esattezza le condizioni iniziali del sistema del mondo,
cioè le posizioni e le forze, in un dato istante, è possibile, mediante equazioni differenziali, scoprire
il passato del mondo come pure il futuro, senza la minima incertezza, sia che si tratti dei corpi
celesti sia che ci riferiamo ai semplici atomi;
e)
il mondo è da ritenersi interconnesso in modo tale che, per l'esattezza d'una revisione
meccanica, relativa a tutto il cosmo o riguardante una sola parte, nulla, per quanto piccolo, può
essere trascurato.
Oggi sappiamo che le condizioni iniziali di una sola particella elementare non possiamo, in via di
principio, conoscerle con precisione, perché la misurazione esatta della posizione rende incerta
quella della velocità, e viceversa. Tale affermazione risulta fondata sulle relazioni di
indeterminazione formulate da Heisenberg all'interno della fisica quantistica: ∆qx ∙ ∆px ≥ (∆qx
indica il grado di imprecisione nella misura della posizione lungo l’asse x; ∆px, il grado di
imprecisione nella misura dell’impulso).
Dato che il valore del quanto d'azione e della massa m della particella elementare (a velocità non
relativistiche) sono costanti, allora, una misura molto esatta della posizione lungo una direzione x
comporta necessariamente, in senso fisico, una notevole imprecisione nella misura della quantità di
moto (p = mv), ancora nella direzione x, scelta a piacere237.
Come osserva Heisenberg, nel ragionamento di Laplace l'errore fondamentale riguarda la possibilità
di conoscere, in un dato istante, con esattezza, le condizioni iniziali di ogni corpo: infatti le relazioni
d'indeterminazione fissano, in linea di principio, il valore massimo della precisione raggiungibile
nella misurazione simultanea delle grandezze coniugate: posizione e quantità di moto.
Se il valore della massa, che si considera, è molto grande rispetto ad , allora il prodotto delle
236
237
Teoria analitica delle probabilità, 1820, prefazione; citazione in La struttura della scienza di E. Nagel, Feltrinelli,
p. 289.
Cfr. W. Heisenberg “Fisica e filosofia” Il Saggiatore, p. 55.
incertezze della posizione e dell'impulso è così piccolo che può essere trascurato; ma, se invece
consideriamo particelle elementari, elettroni, per esempio, allora il rapporto h/m ha un valore così
grande da rendere impossibile una misura esatta simultanea della posizione e della quantità di moto:
o misuriamo con precisione la posizione o misuriamo con precisione l'impulso.
Se misuriamo con precisione la posizione di una particella elementare saremo impossibilitati, in via
di principio, a misurarne contemporaneamente, con precisione, la quantità di moto, e viceversa:
questo dicono le relazioni d'indeterminazione.
Il sogno d'una conoscenza completa ed esatta delle posizioni dei corpi e delle loro velocità in un
dato istante si scontra con i limiti imposti dalle relazioni di Heisenberg alla precisione della
misurazione simultanea delle grandezze coniugate incompatibili, quali posizione e impulso.
Ludovico Geymonat ha osservato, giustamente, che il modello da cui Laplace “ricava la propria
concezione della conoscenza è quello della conoscenza astronomica, che sulla base di ben precisi
dati osservativi e di elevate elaborazioni matematiche riesce a presentarci una visione unitaria del
cielo, ove ogni fenomeno rinvia a tutti gli altri e non è quindi spiegabile indipendentemente da essi.
Proprio l'astronomia, inoltre, è in grado di prevedere con notevole esattezza gli eventi futuri ed
anche di determinare la data precisa di quelli trascorsi”238.
Infatti Laplace scrisse: “La regolarità che l'astronomia ci presenta nel movimento delle comete, ha
luogo, senza dubbio, in tutti i fenomeni.
La curva descritta da una semplice molecola d'aria o di vapore è regolata con la stessa certezza delle
orbite planetarie: non v'è tra esse nessuna differenza, se non quella che vi pone la nostra
ignoranza”239.
Evidente la netta affermazione del dominio assoluto delle leggi della meccanica classica su tutta la
natura materiale: dagli astri alle molecole, tutto appare regolato dalle stesse leggi del movimento,
verifìcate in campo astronomico.
La fiducia riposta nelle leggi della meccanica dei corpi macroscopici viene estesa anche a tutto il
mondo microscopico delle particelle elementari, senza richiedere sufficienti verifiche per tale
estensione; sfociando così in una concezione deterministico-meccanicistica che comprendeva ogni
cosa della natura come parte di un mondo meccanicamente interconnesso.
Laplace identificò la causa fisica di un effetto fisico “con lo stato dell'universo che precede
immediatamente l'evento considerato”; ciò “nel quadro della teoria dell'interconnessione causale
universale”240.
La qual cosa, osserva M.Bunge, “destituisce il concetto di causa di ogni valore pratico: il numero
infinito di fattori…,che presumibilmente costituiscono la causa, rende le analisi causali impossibili.
238
239
240
“Storia del pensiero filosofico e scientifico”, op. cit., Vol. IV, p. 91.
ivi, op. cit., Vol. IV, p. 92.
“La causalità”, op. cit., p.56-57.
Una concezione siffatta rende del pari impossibile il controllo empirico dell'ipotesi causale:
l'eliminazione di uno qualsiasi degli infiniti fattori non può infatti venir considerata; richiede
pertanto il controllo di una infinità di parametri”241.
Quindi il fatto di accettare acriticamente la definizione galileiana di causalità, che non distingue tra
causa necessaria e l’insieme delle cause sufficienti, porta Laplace a vanificare il concetto di una
causalità determinata, circoscritta, e, quindi, controllabile compiutamente.
La causalità Laplaciana risulta inverificabile, persa com'è nella serie infinita dei fattori concausali.
Con la sua definizione di causalità, Galileo intendeva ben altro:
individuare i fattori decisivi, necessari ed anche sufficienti ma limitati e controllabili, nella
produzione di un determinato effetto, colto nella sua essenzialità meccanica (considerazione delle
posizioni relative dei corpi, delle loro velocità, delle loro accelerazioni, delle masse).
E Kant, sulla stessa linea, sosteneva la concatenazione causale nei processi di mutamento limitati.
Karl Popper ha sostenuto che il determinismo di Laplace non è coincidente con quello della fisica
classica.
In effetti, il grande scienziato francese diluisce la causalità nell'interconnessione causale universale;
il che non è proprio della fisica galileiano-newtoniana242.
Laplace, pur considerando possibile in via di principio, una conoscenza completa ed esatta dello
stato meccanico dell'universo ed anche che le equazioni differenziali possano, fissate le condizioni
iniziali, consentire predizioni esatte per il futuro e conoscenze esatte del passato, tuttavia, per la
mancanza di informazioni sufficienti sullo stato meccanico dei corpi, propone che si adotti come
“strumento” utile ad avvicinarsi ad una conoscenza perfetta, il calcolo delle probabilità. Esso
permetterebbe di tener conto sia delle limitate conoscenze che della parziale ignoranza di un sistema
fisico.
Il tipo di probabilità cui Laplace si riferisce ha dunque sia un fondamento oggettivo, nelle
misurazioni di variabili macroscopiche, sia un fondamento soggettivo, legato ai valori che, secondo
una provata distribuzione di probabilità, relativa a posizioni e velocità, permette di fare previsioni
sufficientemente vicine ad una conoscenza perfetta, ma solo in rapporto a campi limitati
d'esperienza.
Di fatto agli esseri umani conviene valorizzare la conoscenza probabile “che rappresenta l’autentica
situazione di tutto il conoscere umano”243.
Dunque, “il determinismo della natura e l'uso del calcolo delle probabilità non si escludono ma si
integrano a vicenda:
quello è il presupposto di ogni conoscenza scientifica (anche delle conoscenze approssimate),
241
242
243
“La causalità”, op. cit., p.56-57.
Cfr. “Congetture e confutazioni”, op. cit. p. 109.
“Storia del pensiero filosofico e scientifico”, op. cit. Vol. IV, p. 93.
questo è l'unica via, realmente in possesso dell’uomo, per accertarsi che il mondo è effettivamente
regolato da leggi…”244.
La conoscenza della natura è conoscenza via via più esatta di leggi, all’interno delle quali si giudica
delle cause meccaniche e dei loro pesi relativi.
Per tale motivo “a differenza di Newton, Laplace non giudicò necessario introdurre Dio nelle sue
ipotesi” al fine di “correggere” le irregolarità riscontrate nei moti planetari245.
Nella Meccanica celeste, Laplace “estese nel tempo le leggi che Newton aveva tracciato nello
spazio”246 e, inoltre, nel suo libro intitolato “Le comete”, del 1816, “tramite considerazioni
probabilistiche cercò di rendere ragione della frequenza osservata delle orbite ellittiche e
iperboliche di questi corpi celesti. Basato su ipotesi fisiche e statistiche ben definite, tale tipo di
studio ci consente di spiegare i fatti osservati (ad esempio i rapporti di frequenza) e di valutare la
probabilità che il membro successivo della collezione possieda talune precise caratteristiche (ad
esempio che percorra un'orbita ellittica)”247.
A proposito della versione laplaciana del principio di causalità, Ernst Nagel così osserva: “Laplace
assumeva che la meccanica classica fosse la scienza universale della natura, e adottava quindi la
definizione meccanica di stato nella sua formulazione delle circostanze nelle quali le cose debbono
essere simili se debbono avere conseguenze simili.
La versione di Laplace del principio di causalità asserisce quindi che, se un sistema fisico si trova in
due istanti diversi nello stesso stato meccanico, esso attraverserà le stesse evoluzioni
successivamente a quei due istanti e possiederà tutte le proprietà in comune in istanti corrispondenti
di quella evoluzione.
Ciò nonostante - osserva E. Nagel - il principio di causalità incontra difficoltà anche in questa
formulazione. In primo luogo…. è erroneo il credere che lo stato meccanico di un sistema determini
tutte le proprietà di un sistema. In secondo luogo, questa formulazione del principio è quasi
altrettanto vuota di contenuto empirico quanto la versione di Mill 248, e, come quest'ultima, appare
compatibile con qualsiasi possibile stato delle cose”249.
Se lo stesso sistema, nonostante si sia trovato in due istanti diversi nello stesso stato meccanico, non
presentasse la stessa evoluzione temporale, si potrebbe conservare il principio di causalità
laplaciano sostenendo che “il sistema contiene componenti nascoste”, e che quindi il sistema nei
due istanti considerati non si trovava nello stesso stato meccanico.
244
245
246
247
248
249
“Storia del pensiero filosofico e scientifico”, op. cit. Vol. IV, p. 93.
R. Hall, “La rivoluzione scientifica: 1500 – 1800”, p. 314, Feltrinelli.
Ivi, p.256
“La causalità”, op. cit., p. 340.
Secondo J.S. Mill “il principio dell’uniformità della natura (il nome dato da Mill al principio di causalità) asserisce
che “esistono in natura dei casi paralleli; ciò che è accaduto una volta, accadrà nuovamente, in circostanze aventi un
sufficiente grado di similitudine”. In “La struttura della scienza”, di Ernest Nagel, ed. Feltrinelli, p. 326.
“La struttura della scienza”, di Ernest Nagel, ed. Feltrinelli, p. 327.
“Infine - nota Nagel - anche se il principio appare non refutabile da alcuna prova empirica, è stato di
fatto abbandonato... in molti campi dell'indagine fisica, e ciò perché quei tratti caratteristici delle
cose (per esempio lo stato meccanico) sui quali esclusivamente mette l'accento, non son risultati
adatti come base per far avanzare la nostra comprensione teorica di molti processi fisici.
Se quindi, conclude, il principio di causalità viene inteso nel senso stabilito dalla versione di
Laplace, è evidentemente giustificata la tesi che esso sia inapplicabile nella fisica atomica” 250 dove,
come si sa, nelle misure non si ragiona in termini di stati meccanici che determinano univocamente
altri stati meccanici; dove non si parla della traiettoria, ma di probabilità di trovare una particella
determinata in una certa posizione e con un certo valore della velocità, lungo una determinata
direzione.
I due studiosi V. S. Gott e A. F. Pereturin, a proposito del determinismo laplaciano, osservano che
“Una prima prova del carattere limitato del determinismo di Laplace, Engels la vide nel fatto che
tale forma di determinismo ammette il manifestarsi della necessità soltanto attraverso l’inevitabilità,
e nega il manifestarsi di essa [della necessità e, quindi, di una qualche logica] attraverso
l’accidentalità e la possibilità”251.
Proseguendo il discorso in una prospettiva filosofica materialistica, rilevano che “Il determinismo di
Laplace, o, come lo chiamava Engels, il determinismo meccanicistico, poggia sulla negazione
dell'esistenza obiettiva dell’accidentalità: per esso la realtà obiettiva esiste soltanto nell'ambito della
necessità. Da qui deriva - essi dicono - la sua incompatibilità con il riconoscimento dell'esistenza
obiettiva delle regolarità statistiche. Nel determinismo di Laplace, notava Engels, la necessità si
trasforma in predeterminabilità, in un certo fato, cioè resta in contraddizione con la conoscenza
scientifica dei fenomeni della natura…”252.
Giudicando il determinismo laplaciano a partire dalle acquisizioni della fisica quantistica, essi
osservano quanto segue:
“Sulla base della scoperta della meccanica quantistica è risultato chiaro che una delle esigenze del
determinismo di Laplace, e cioè quella concernente la possibilità di determinare in modo univoco
gli stati successivi delle particelle a partire dai loro stati precedenti, nel micromondo non può essere
soddisfatta.
Appare inoltre evidente - essi notano - l'infondatezza di un'altra pretesa del determinismo di
Laplace, quella cioè di considerare l’indeterminatezza nei parametri dei fenomeni del micromondo
un risultato dell'imprecisione delle nostre conoscenze, delle nostre misurazioni.
La meccanica quantistica ha scoperto l'esistenza - essi puntualizzano - nei fenomeni del
micromondo, di una indeterminatezza obiettiva, che non può venire rimossa con nessun incremento
250
251
252
V. “La struttura della scienza”, op. cit., p. 327.
S. Tagliagambe, “L’interpretazione materialistica della meccanica quantistica”, Feltrinelli, p. 237.
Ivi p. 237.
di precisione nelle misurazioni”253.
Nell’ultima affermazione troviamo un chiaro riferimento alle relazioni d'indeterminazione di
Heisenberg, che sono parte integrante e fondamentale della meccanica quantistica e che
contribuiscono in modo essenziale a stabilire la differenza
che passa tra microoggetti e
macrooggetti nell’interazione con gli strumenti di misura, come ho già chiarito in queste pagine
dedicate a Laplace.
Sul piano filosofico, essi osservano che “Il riconoscimento dell'esistenza di un'indeterminatezza
obiettiva nei fenomeni del micromondo è legato, in modo immediato, al riconoscimento del
manifestarsi della necessità non soltanto attraverso
l'inevitabilità, ma anche attraverso
l'accidentalità e la possibilità”254.
Concludendo le loro osservazioni e deduzioni, affermano che “La dialettica obiettiva della natura è
stata messa in luce in maniera assai più' profonda dalla meccanica quantistica e dalle branche della
nuova fisica, fondata su di essa (elettrodinamica quantistica, fisica delle particelle elementari, fisica
quantistica dei corpi solidi... che non dalla fisica classica. Di qui l'enorme significato - essi dicono della meccanica quantistica non soltanto per lo sviluppo della fisica, ma anche per lo sviluppo della
filosofia del materialismo dialettico”255.
Motivato mi pare il giudizio di S. Tagliagambe nell'introduzione al testo citato: “La negazione della
accidentalità obiettiva (e conseguentemente del valore obiettivo del concetto di probabilità) e
l'ammissione per i fenomeni della natura soltanto di una semplice necessità immediata,
costituiscono la peculiarità fondamentale del determinismo meccanicistico”256.
Infatti nel determinismo laplaciano non v’è spazio per una accidentalità obiettiva e,
corrispondentemente, non v’è spazio per un concetto di probabilità che la rifletta e la misuri come,
invece, avviene nella fisica quantistica, dove è fondamentale un concetto di probabilità
completamente obiettivo, che non poggia, come quello laplaciano, tanto su misure obiettive quanto
su ipotesi plausibili, derivate da conoscenze parziali.
La probabilità laplaciana è, in via di principio, riducibile, fino alla completa sostituzione dei suoi
formalismi con equazioni differenziali, che, qualora fossero determinabili esattamente le condizioni
meccaniche di ogni cosa, in un dato istante, renderebbero prevedibile, in maniera univoca, il futuro,
consentendo, allo stesso modo, di indagare con precisione il passato.
Il determinismo meccanicistico, e onnicomprensivo, di Laplace presuppone un mondo di oggetti
idealmente meccanici e macroscopici, interconnessi secondo le leggi galileiano - newtoniane, in cui
lo stato di ogni oggetto dipenda dall'interazione meccanica con l'insieme costituito da tutti i
253
254
255
256
“L’interpretazione materialistica della meccanica quantistica”, op. cit. p. 237.
Ivi p. 238-239.
Ivi p. 238
Ivi p.34.
rimanenti oggetti; e viceversa.
Capitolo settimo - Dal determinismo meccanicistico al
determinismo dialettico
Ritengo importante considerare il contributo di F. Engels (1820 – 1895) al rinnovamento del
pensiero deterministico in chiave non meccanicistica.
Engels non respinse completamente la concezione del materialismo meccanicistico, ma
cercò di salvare di esso il materialismo, conservando la materia come ciò che è originario, il
pensiero come derivato, come riflesso delle cose sul piano della coscienza, e riducendo il divenire
meccanico a condizione solo necessaria, rispetto al complesso insieme costituito da ogni forma di
divenire naturale.
Egli riteneva che il determinismo meccanicistico impoverisse la conoscenza della realtà del
divenire nel momento in cui appiattiva i diversi livelli di complessità del reale (livello chimico,
biologico, umano)
sul piano di quello puramente meccanico (chiaramente esemplificato da
Laplace), da considerarsi sì necessario, ma non sempre sufficiente a spiegare i diversi livelli di
organizzazione della materia.
Chiedeva perciò che venisse recuperata la dimensione qualitativa della natura 257 e del
sociale, distinguendo i diversi livelli di organizzazione della realtà secondo l'effettiva complessità e
dinamismo.
Engels vide nell’approccio puramente meccanico alla natura (il cui sviluppo faceva andare
dal moto degli atomi alla dialettica del pensiero umano nel farsi concreto della storia) un
riduttivismo che, banalizzando il reale nel suo complesso dinamismo, trascurava le più significative
acquisizioni scientifiche delle scienze del suo tempo: le leggi della chimica, della biologia
(darwinismo) e della storia (materialismo storico).
Proprio lo studio delle scienze induce Engels ad una rivisitazione e ad un recupero delle tre
leggi della dialettica, formulate da Hegel su base idealistica258.
Si tratta di leggi puramente qualitative che, però, hanno il pregio di esprimere
filosoficamente il dinamismo creativo della realtà, laddove, con la prima di esse, si dice che la
quantità si può convertire in qualità e viceversa; con la seconda, quella della compenetrazione degli
opposti, si coglie la profonda unità della natura e si individua la chiave di volta per interpretare il
dinamismo naturale, dal magnete alla società, concepita come unione di classi contrapposte; con la
terza legge, quella della “negazione della negazione”, egli coglie il risultato della dialettica degli
opposti, cosicché il divenire del reale può essere caratterizzato in termini di negazioni di stati, di
257
258
Cfr. “Storia del pensiero filosofico e scientifico”, op. cit. vol. V. – Engels e la dialettica della natura, p. 346 e
seguenti.
Cfr. “Antidühring” p. 25 ed. Riuniti
equilibri e di idee preesistenti.
Si tratta, però, di negazioni che conservano elementi e aspetti della realtà, rinnovandola in
modo più o meno significativo. Nella “Dialettica della natura”, sulla prima legge della dialettica
Engels si esprime nel modo seguente: “ Legge della conversione della quantità in qualità e
viceversa. Possiamo esprimerla, per quel che concerne il nostro tempo, nel fatto che nella natura
variazioni qualitative possono aver luogo solo aggiungendo o togliendo della materia o del
movimento (la cosiddetta energia) e ciò in modo rigorosamente valido per ogni e qualsiasi singolo
caso.
Tutte le differenze qualitative della natura riposano o su di una diversa composizione
chimica oppure su diverse quantità, o forme, di movimento (energia): o ancora - ed è quasi sempre
il caso - sull'una e l'altra cosa. E' perciò impossibile mutare la qualità di un dato corpo senza
aggiungere o togliere della materia o del movimento, cioè senza un cambiamento quantitativo.”259
Da tali affermazioni risulta chiaro che Engels rifiutava di considerare il mondo reale solo
sotto l'aspetto quantitativo di “materia ed energia”; riteneva invece importante sottolineare anche la
mutua relazione esistente tra quantità e qualità.
Nel brano seguente non solo chiarisce il proprio concetto di dialettica degli opposti ma,
inoltre, spiega il suo ruolo nel divenire naturale:
“La dialettica, la dialettica cosiddetta obiettiva, domina in tutta la natura e la dialettica
cosiddetta soggettiva, il pensiero dialettico, non è che il riflesso del movimento che nella natura si
manifesta sempre in opposizioni, che con il loro continuo contrastare e con il loro finale risolversi
l'una nell'altra, ossia in forme superiori, condizionano la vita stessa della natura”260.
Il risolversi delle opposizioni l'una nell'altra, se si conseguono forme superiori di
organizzazione naturale, indica la maniera in cui in natura si determina, secondo Engels,
l'evoluzione, che dal semplice movimento disordinato degli atomi porta alle molecole, sintesi di
atomi, alle cellule, sintesi di molecole secondo una complessità maggiore della precedente; il cui
sviluppo porta alle ramificazioni evolutive della vita organica; di cui il pensiero rappresenterebbe la
più complessa manifestazione.
Proseguendo nel suo discorso, Engels esemplifica il procedere dialettico: “Attrazione e
repulsione. Nel magnetismo ha inizio la polarità, si mostra in uno stesso e solo corpo; nell'elettricità
si suddivide su due o più corpi, con cariche opposte. Tutti i processi chimici si riducono a processi
di attrazione e repulsione chimica. Infine, nella vita organica, la formazione del nucleo cellulare è
da considerarsi del pari una polarizzazione dell'albume vivente, e la teoria dell'evoluzione dimostra
come, a partire dalla semplice cellula, ogni progresso, fino alla più complicata pianta da una parte,
fino all'uomo dall'altra, è operato dal continuo contrasto tra eredità e adattamento.
259
260
“Dialettica della natura”, ed. Riuniti p. 78.
Ivi p. 223.
Si vede così - egli osserva - quanto male siano applicabili categorie come’ positivo' e
'negativo' a tali tipi di processi [il livello elettrico non basta a spiegare quello biologico]. Si può
concepire l'eredità come la faccia positiva della conservazione, l'adattamento come la faccia
negativa, che distrugge continuamente ciò che si è ereditato; ma si può altrettanto bene concepire
l'adattamento come l'attività creatrice, attiva, positiva, l’eredità come l'attività oppositrice, passiva,
negativa. Ma poiché nella storia il progresso si presenta come negazione del già costituito, così
anche in questo caso - per ragioni puramente pratiche - l'adattamento viene concepito piuttosto
come attività negativa. Nella storia, il movimento per opposti si manifesta con la massima evidenza
in tutti i periodi critici dei popoli che sono alla testa della civiltà.”261
Gli opposti, dunque, sono concepiti come polarità compresenti in uno stesso corpo, nel
magnete; come entità separate, ma in relazione, nell’elettricità; come processi opposti, in chimica;
come polarizzazione dell'albume vivente, nella formazione del nucleo cellulare in biologia; come
funzioni opposte, nel caso di eredità e adattamento (ancora in biologia).
Il modo dialettico di pensare, che è fluido, che non ammette linee rigide e nette, si manifesta
anche nel considerare l'eredità sia come conservazione del già strutturato sia come attività
oppositrice nei confronti del cambiamento, sollecitato dall'ambiente, per un migliore adattamento;
d'altra parte, la funzione dell'adattamento può essere concepita sia sotto l'aspetto distruttore degli
equilibri ereditari, delle strutture ereditarie, sia come attività creativa, quindi attiva e positiva262.
Engels263 sottolinea altresì il ruolo del tempo quando parla della storia come progresso, che
avanza come negazione del già costituito, nei processi di adattamento degli esseri viventi; ma lo
evidenzia anche quando tratta delle società umane264, dove ancor più appare evidente la negazione
degli equilibri già costituiti, al fine di conseguire migliori adattamenti, che avvengono in tempi più
rapidi di quelli consentiti a livello puramente organico265.
Nella storia si dà evoluzione, formazione di strutture via via più complesse: dalla
formazione delle molecole, alle cellule vegetali, a quelle animali, risalendo la “spirale” evolutiva
fino all'uomo, capace di pensare, di adattarsi sempre meglio all'ambiente, proprio grazie alla
funzione del pensiero.
Engels ritiene che la complessità del reale dipenda dal flusso del tempo, nel senso che le
strutture naturali tendono a modificarsi verso gradi crescenti di complessità, che, sebbene conseguiti
con processi non puramente lineari, tuttavia tendono a conservarsi, migliorando l'adattamento, come
261
262
263
264
265
“Dialettica della natura” op. cit., p. 223.
Cfr. “Antidühring” op. cit., p. 25. La dialettica “considera le cose e le loro immagini concettuali essenzialmente nel
loro nesso, nel loro concatenamento, nel loro movimento, nel loro sorgere e tramontare…”. V. anche “F. Engels e il
materialismo dialettico”, ed. Feltrinelli, di E. Fiorani, p. 164-168.
La moderna scienza della natura “ha dimostrato che, in ultima analisi, la natura procede dialetticamente e non
metafisicamente, (che non si muove nell’eterna uniformità di un circolo …, ma percorre una vera storia)”, dice
Engels nell’Antidühring, sottolineando i meriti dialettici di Darwin, p. 25, ed. Riuniti.
Vedi introduzione dell’Antidühring, p. 29.
V. Antidühring, p. 29.
indicato dagli studi di Darwin, nella sfera del mondo animale, e da Marx ed Engels nel campo della
storia umana.
Quest'ultima è posta ad un livello superiore di complessità, rispetto a quella degli animali
diversi dall'uomo, per il fatto che solo gli uomini hanno trasformato il proprio ambiente
costruendosi mezzi di produzione sempre più sofisticati, sempre più idonei a soddisfare i loro
bisogni materiali, intellettuali e artistici.
Ma anche nella storia delle società umane Marx ed Engels hanno visto uno sviluppo
dialettico, caratterizzato dal confronto con la natura, e, ancor più, dal confronto tra le classi (su tutti
i piani del sociale), che si determinavano in connessione con lo sviluppo dei vari modi di
produzione266.
Essi, nella storia umana, evidenziarono il ruolo centrale e dinamico assunto dalla
contraddizione dominante (contrapposizione delle classi più significative in un determinato e ben
differenziato modo di produzione), al fine di spiegare non solo la processualità del reale ma anche il
suo progredire verso strutture e dinamiche sociali più
evolute: più rispondenti ai bisogni materiali, morali, artistici e intellettuali dell'uomo.
Questa concezione dialettica del divenire sociale fu chiamata materialismo storico:
materialismo, per il suo fondamento oggettivo nel sistema della produzione specifica ,individuata
nell'analisi sociale; storico per la sottolineatura dell'evoluzione temporale delle società umane (non
degli spazi in cui esse maturano).
Il materialismo storico
Il materialismo storico è una concezione deterministica del divenire267 sociale ma non
meccanicistica, perché pone nelle contraddizioni sociali e nella loro complessa composizione la
spinta al cambiamento; non metafisica, perché non irrigidisce le categorie sociali ponendole fuori
della determinazione temporale; non finalistica, perché non è indicato un fine ultimo cui le società
spontaneamente tendono. Il determinismo storico, dialettico e materialistico, è una concezione
aperta del divenire: aperta a stadi sempre nuovi di sviluppo sociale, caratterizzati da risposte sempre
migliori ai bisogni dell'essere umano come individuo, socialmente e temporalmente determinato. La
categoria della prevedibilità qui si applica, nell'analisi sociale determinata, in termini di tendenze
verso stadi specifici di sviluppo; tendenze non meccanicamente determinabili, ma comunque
verificabili nell'arco dei tempi storici appropriati.
266
267
V. Antidühring, p. 29.
Cfr. “F. Engels e il materialismo dialettico”, op. cit. p. 91-95. Lo sviluppo del materialismo storico precedette
quello più generale e unitario che chiamiamo dialettico: “solo quando nuove teorie e materiali scientifici porranno
le basi per un discorso materialistico globale, Engels, d’accordo con Marx, cercherà di fondare un monismo
materialistico…”.
Le leggi qualitative del materialismo dialettico sono, come è evidente da quanto si è detto,
leggi del materialismo storico, ed anche con maggiore evidenza di quanto non appaia nella realtà
non umana.
E' chiaro che tanto il materialismo storico che quello dialettico, senza l'elemento della
dialettica, sarebbero puramente metafisici, rigidi, immodificabili, in quanto non riuscirebbero a
spiegare le complesse forme ed i loro rapporti nel divenire naturale e sociale. È altresì evidente che
il materialismo dialettico è solo uno, e si esprime (nel tempo e nello spazio) in forme che mutano268.
Il determinismo dialettico di Engels risulta ben chiarito dal paragrafo della dialettica della
natura intitolato "Casualità e necessità”. Si tratta di categorie cruciali nella valutazione d'una
concezione deterministica.
Dopo aver esaminato il ruolo metafisico attribuito in passato al principio d'identità, Engels
così si esprime:
“Un'altra opposizione in cui è impigliata la metafisica, è quella di casualità e necessità…
Che cosa può essere in contraddizione più acuta di queste due determinazioni del pensiero? Com'è
possibile che l'una e l'altra si identifichino, che il casuale sia necessario e il necessario a sua volta
casuale? Il senso comune, e con esso la grande maggioranza degli scienziati, tratta necessità e
casualità come due determinazioni che si escludono l'una con l'altra una volta per tutte. Una cosa,
un rapporto, un processo, è casuale o è necessario, ma non l'una e l'altra cosa insieme.
Ambedue sussistono quindi l'una accanto all'altra nella natura; essa contiene ogni sorta di
oggetti e di processi, dei quali gli uni sono casuali gli altri necessari; il problema è solo quello di
non confondere i due tipi tra di loro”269.
E, passando all'esemplificazione, così spiega:
“si considerano… come necessari i caratteri decisivi delle specie e si definiscono casuali
ulteriori particolarità degli individui della stessa specie, e ciò si dica tanto dei cristalli come delle
piante o degli animali. Ciò fatto, il gruppo inferiore diventa a sua volta casuale rispetto al superiore;
così si dichiara doversi spiegare con il caso quante diverse specie del genere felis o agnus esistono,
o quanti generi e ordini esistono in una classe, e quanti individui di ognuna di queste specie
esistono, o quante diverse specie di animali si trovano in un determinato territorio….
E dopo di ciò si dichiara che unicamente il necessario ha interesse scientifico, e che il
casuale è indifferente alla scienza.
Cioè: ciò che si può ricondurre sotto leggi, ciò che quindi si conosce, è interessante; ciò che
268
269
Anche le leggi della dialettica sono soggette al mutamento, e nulla impedisce che, sulla base dell’evoluzione del
pensiero scientifico e filosofico, vengano mutate in direzione di un’unica legge che, in qualche modo, contenga le
altre, come casi particolari. È già evidente, del resto, il ruolo centrale che ha la legge dell’unità degli opposti nella
spiegazione del divenire. Con tutta probabilità bisognerà partire da essa per tentare di includere anche le altre, come
casi particolari. Del resto, “ la negazione della negazione” può essere concepita come la conseguenza del contrasto
tra gli opposti; contrasto che, in determinati casi, determina la negazione di una certa condizione materiale.
V. “La dialettica della natura”, op. cit., p. 228.
non si riesce a ricondurre sotto leggi, ciò che quindi non si conosce, è indifferente, può essere
trascurato.
Con ciò - egli osserva - cessa ogni scienza; perché la scienza deve indagare proprio quello
che noi non conosciamo. Cioè: tutto ciò che si può ricondurre a leggi generali, passa per necessario,
e ciò che non si può, per casuale. Ognuno vede che questa è scienza della stessa specie di quella che
spaccia per naturale ciò che riesce a spiegare e si libera di ciò che per essa è inspiegabile
attribuendolo a cause soprannaturali…
Quest'ultima [la scienza] cessa là dove viene a mancare il nesso necessario.
Contro ciò [contro la pretesa inspiegabilità di quanto non si riesce a inquadrare nelle leggi
del proprio tempo] scende in campo il determinismo, trasferitosi dal materialismo francese nelle
scienze, che cerca di farla finita con la casualità, negandola in linea generale. Secondo tale
concezione [determinismo laplaciano] nella natura impera solo la semplice necessità diretta. Il fatto
che questo baccello di piselli contiene cinque piselli e non quattro o sei; che la coda di questo cane è
lunga cinque pollici, e non è di una linea più lunga o più corta; che questo fior di trifoglio,
quest’anno è stato fecondato da un' ape e quello no, ed esattamente da questa data ape e in questo
dato momento.... tutti questi sono fatti che si sono prodotti per una concatenazione irrevocabile di
cause e di effetti per un incrollabile necessità: tale, precisamente, da comportare che già la sfera
gassosa, dalla quale è sorto il sistema solare, fosse disposta modo che questi avvenimenti dovessero
avvenire così e non altrimenti.
Anche con questa specie di necessità non usciamo fuori dalla concezione teologica della
natura…
Di un'analisi della catena causale non è il caso di parlare in nessuno di questi casi; ne
sappiamo quindi tanto quanto prima sia in un caso [quando si pensava che il casuale fosse
indifferente alla scienza] che nell'altro [quello della concatenazione incrollabile fra tutti gli eventi
dell'universo], la cosiddetta necessità resta un vuoto modo di dire, e con ciò anche il caso resta
quello che era. Fintantoché non possiamo dimostrare da che cosa dipende il numero di piselli nel
baccello, esso continua ad essere casuale; e con l'affermazione che il caso era già previsto nella
costituzione originaria del sistema solare non siamo andati avanti di un passo. Ma c'è di più. La
scienza che volesse dedicarsi al compito di voler ricostruire il caso di questo singolo baccello di
piselli nella sua catena causale, non sarebbe più per nulla scienza ma puro gioco; perché quello
stesso solo baccello ha ancora innumerevoli altre proprietà individuali, che appaiono come casuali:
sfumatura del colore, spessore e durezza del guscio, grossezza del baccello, per non parlare per
nulla delle particolarità individuali che possono essere rivelate dal microscopio. Quell'unico
baccello di piselli darebbe quindi da ricostruire già più nessi causali di quanti tutti i botanici del
mondo potrebbero risolvere.
In questo modo quindi - prosegue Engels in modo stringente - non si dà ragione della
casualità mediante la necessità [causale], ma piuttosto, la necessità è degradata alla generazione del
puramente casuale. Se il fatto che un determinato baccello di piselli contiene sei piselli e non cinque
o sette sta nello stesso piano della legge di moto del sistema solare o del principio della
trasformazione dell'energia, con ciò, in effetti, non si eleva la casualità all'altezza della necessità ma
si degrada la necessità a casualità. Ancor di più.
Si può affermare quanto si vuole che la varietà delle specie e degli individui organici e
inorganici esistenti su di un dato terreno è basata su ferrea necessità: per le singole specie e
individui rimane, com’era, fatto casuale. Per il singolo animale il luogo dove è nato, l’ambiente di
vita che trova, il numero e la qualità dei nemici che lo minacciano sono dovuti al caso.
Per la pianta madre è dovuta al caso la direzione in cui il vento trasporta i suoi semi, per la
pianta figlia il luogo in cui il seme trova terreno per il germoglio dal quale essa deriva...
Il groviglio degli oggetti della natura su di un determinato territorio, anzi, di più, sull'intera
terra, rimane, con ogni predeterminazione a partire dall'eternità, quello che era: fatto causale.”270
Fu merito di Hegel, dice Engels, sostenere che casualità e necessità si compenetrano "che il
casuale ha una causa, perché è casuale, proprio tanto quanto non ha causa alcuna, perché è casuale;
che il casuale è necessario, che la necessità determina se stessa come casualità, e che d'altra parte
questa casualità è piuttosto assoluta necessità…”271.
Engels osserva che le scienze naturali del suo tempo hanno messo da parte i principi della
dialettica scoperti da Hegel, ritenendoli assurdi272.
La scienza naturale, egli dice, “ha perseverato teoricamente, da un lato, nella vuotezza di
pensiero della metafisica wolffiana, per la quale qualcosa o è necessaria o è casuale, ma non
entrambe le cose nello stesso tempo; o, d'altra parte, nel determinismo meccanico appena un po’
meno vuoto di pensiero, che nega, in generale, a parole, il caso, per riconoscerlo nella pratica in
ogni singolo avvenimento.”273
Mentre le tendenze prevalenti erano metafisiche o meccanicistiche, Engels rileva che
“Darwin, nella sua opera d'importanza storica, prende le mosse dalla più larga base esistente della
casualità. Sono proprio le infinite casuali particolarità degli individui all'interno delle singole
specie, particolarità che si accentuano fino alla rottura del carattere della specie, le cui origini
prossime stesse sono dimostrabili solo nel minor numero dei casi, che lo costringono a mettere in
discussione il fondamento sul quale era fino allora basata ogni regolarità in biologia , il concetto di
specie nella forma metafisica, rigida e inalterabile, che aveva fino ad allora avuto. Ma senza il
270
271
272
273
“Dialettica della natura”, op. cit. p. 229- 230.
Ivi p. 230. Engels cita “La scienza della logica”, libro II, sez. III, cap. II, - la realtà -.
Non solo Engels ma anche Marx riconosce spesso i meriti di Hegel a proposito della dialettica. Si veda, in
particolare, il poscritto alla seconda edizione del Capitale.
Ivi p. 231.
concetto di specie tutta la scienza si riduceva a nulla. Tutti i suoi rami avevano per necessario
fondamento il concetto di specie: l'anatomia umana e quella comparata, l'embriologia, la zoologia la
paleontologia, la botanica ecc. che cos'erano senza il concetto di specie?… La casualità capovolge il
concetto che fino ad allora si aveva della necessità (il materiale di circostanze casuali che si era
andato frattanto accumulando ha sfiancato e spezzato la vecchia idea di necessità). L'idea che fino
ad allora si aveva della necessità non si regge più. Serbarla significa imporre dittatorialmente alla
natura come legge un'arbitraria determinazione dell'uomo, in contraddizione con se stessa e con la
realtà; significa negare con ciò ogni necessità interna nella natura vivente, significa proclamare
unica legge della natura vivente, in generale, il caotico regno del caso.”274
L'ultima affermazione può lasciare perplessi, se non si considera che lo spazio che il
concetto metafisico di necessità non può occupare, verrebbe inevitabilmente “invaso” da un
incontenibile caso: dove non si intende che strutture e processi necessari sono in relazione dinamica
con numerosi fattori casuali, là si apre un varco per il dominio assoluto del caso, che diventerebbe il
solo protagonista dell’evoluzione naturale. Se tutti gli eventi casuali fossero ininfluenti rispetto agli
eventi conformi a leggi deterministiche, avremmo due mondi distinti e irrelati, l’uno eternamente
casuale, l’altro eternamente necessario.
Quanto detto può bastare a chiarire la dialetticità del determinismo engelsiano, fondato sulla
compenetrazione di caso e necessità, di probabilità e leggi, di instabilità e stabilità, di
indeterminazione e determinazione, di conservazione e di evoluzione.
274
Ivi p. 231. La necessità, in quanto suddivisa rigidamente, appare irrelata e infondata, cioè metafisica.
Capitolo ottavo - Il rapporto tra determinismo e tempo nella
seconda legge della termodinamica
Come già detto a proposito del determinismo laplaciano, nella fisica classica, e precisamente
nelle sue equazioni, non compare un verso del tempo: passato, presente e futuro sono indistinguibili
in base alle equazioni: le leggi della dinamica valgono esattamente allo stesso modo in ogni
intervallo della retta del tempo.
Osserva I. Prigogine che “L'introduzione del tempo nello schema concettuale della fisica
classica ha significato un progresso immenso. Eppure esso ha impoverito la nozione di tempo,
poiché non vi era fatta alcuna distinzione tra il passato e il futuro. Al contrario in tutti i fenomeni
che percepiamo attorno a noi, che appartengano alla fisica macroscopica, alla chimica, alla biologia
oppure alle scienze umane, il futuro e il passato svolgono ruoli differenti. Ovunque troviamo una
“freccia del tempo.”275
Nella storia della fisica c’è un paradosso del tempo 276, la cui vicenda “può essere divisa in
tre tappe. La presa di coscienza alla fine dell'Ottocento, il suo improvviso riemergere negli ultimi
decenni e la sua recentissima soluzione...”277.
La scienza moderna, che è basata sulla nozione di leggi di natura, egli osserva, ha
impoverito il concetto di tempo e, in certo senso, il tempo è stato eliminato, in quanto si è del tutto
ignorato il verso dei processi fisici. In effetti, se il tempo è equivalente ad una retta dello spazio,
come appare nelle equazioni della dinamica classica, in un certo senso è stato privato proprio di ciò
che potrebbe distinguerlo da una dimensione spaziale.
Egli osserva che la termodinamica è una scienza dell'evoluzione e così pure la biologia
darwiniana.
Chi per primo pose il problema del verso del tempo fu Ludwig Boltzmann, “il quale nel
1872 tentò di dare una giustificazione dinamica ‘microscopica’ alla freccia del tempo della
termodinamica”278, scontrandosi con le aspre critiche J. H. Poincarè. Boltzmann ritrattò “le proprie
posizioni per associare l'entropia al ‘disordine'” nella relazione S = KlnP [ P indica la probabilità
che un sistema ha di esistere ].
Osservo che la prima legge della termodinamica,
E W Q , è un'espressione della
conservazione dell’energia, in cui si riconosce che la variazione dell'energia interna di un sistema,
prodotta da un altro sistema, si decompone in un determinato lavoro meccanico, da un lato, ed in
275
276
277
278
In “Le leggi del caos”, I. Prigogine, ed. Laterza, p. 6.
Nella storia della fisica non bisogna dimenticare la teoria evolutiva della formazione del cosmo di I. Kant.
Ivi p. 6
Ivi p. 11-12.
una determinata quantità di calore incapace di produrre lavoro, dall'altro; invece, la seconda legge
della termodinamica,
∆ S≥ 0, ci dice che, se un sistema resta termicamente isolato, la sua entropia tende a crescere nel
tempo spontaneamente, fino a raggiungere l’equilibrio, col suo valore massimo279.
Osserva S.F. Mason che “La seconda legge della termodinamica venne interpretata dal
fisico austriaco L. Boltzmann nel senso che, nei movimenti spontanei di energia, come la
conversione di energia meccanica in calore o il raffreddamento di corpi caldi, le molecole del
sistema in questione tendevano verso una distribuzione irregolare o maxwelliana 280 delle loro
energie. Tale distribuzione era la più probabile, essendo la più casuale o disordinata, mentre le altre
distribuzioni più ordinate erano meno probabili. Così l'aumento spontaneo dell'entropia di un
sistema poteva essere messo in relazione con l'aumento della probabilità della distribuzione delle
energie molecolari di quel sistema: nel 1877 Boltzmann mostrò infatti che l'entropia era
proporzionale al logaritmo della probabilità”281.
Ma, come ha osservato recentemente I. Prigogine, in un primo momento Boltzmann vide e
argomentò, con poco successo, la presenza della freccia del tempo nella seconda legge della
termodinamica. Solo in un secondo momento, dopo le critiche aspre ricevute, eliminò qualsiasi
riferimento ad una freccia del tempo.
Nello schema di Boltzmann vengono considerate due scatole collegate mediante un
condotto, in una delle quali vengono poste molte particelle, mentre poche vengono collocate
nell’altra. Col passare del tempo dobbiamo aspettarci un progressivo livellamento del numero di
particelle distribuite nelle due scatole, e in ciò consisterebbe l'irreversibilità.
Con questa interpretazione “addomesticata”, il tempo veniva depurato del suo verso, in
quanto nulla impediva che, nell'arco di un tempo infinitamente lungo le particelle riacquistassero la
primitiva disposizione nelle due scatole. Con ciò si ristabiliva la generale reversibilità delle leggi
fondamentali della fisica282.
Il punto fondamentale era che la seconda legge della termodinamica , secondo Boltzmann,
rivelava a livello molecolare una direzione del tempo.
Essa e “la sua interpretazione dal punto di vista della teoria molecolare, davano al fluire del
tempo un significato fisico e una direzione, che erano finora mancati nel sistema newtoniano della
meccanica. In linea di principio la meccanica del mondo newtoniano era reversibile. Dal punto di
vista teorico, una palla di cannone poteva rimbalzare dal bersaglio colpito e tracciare a ritroso la sua
279
280
281
282
Durante un qualsiasi processo in cui un sistema termicamente isolato passa da un macrostato a un altro, la sua
entropia cresce, in “Fisica statistica” di F. Reif, Zanichelli.
Distribuzione maxwelliana della velocità: f (v) d3 v = ce –1/2 β m v2 d3 v, dove f (v) d3 v indica il numero medio di
molecole (della specie fissata) per unità di volume, che hanno una velocità compresa tra v e v + dv; c indica una
costante di proporzionalità; β ≡ (KT)-1; “Fisica statistica”, op. cit., p. 255.
“Storia delle scienze della natura”, op. cit., p. 520.
Cfr. I. Prigogine, “Le leggi del caos”, ed. Laterza, p. 12.
traiettoria fino al cannone da cui era partita. Ora, la seconda legge della termodinamica rendeva
impossibile una tale eventualità
283
. Il movimento ordinato e unidirezionale del proiettile si sarebbe
continuamente trasformato in calore, [divenendo irrecuperabile per compiere lavoro meccanico],
per effetto dell'attrito dovuto alla resistenza dell’aria, ossia si sarebbe trasformato nei movimenti
casuali e irregolari delle molecole dell'aria e del proiettile, e infine ogni forma di movimento lineare
ordinato sarebbe scomparsa allorché il proiettile avesse raggiunto il bersaglio, giacché il movimento
ordinato si sarebbe trasformato nei movimenti termici casuali del proiettile e del bersaglio.
Tali mutamenti erano irreversibili: l’energia meccanica andava perduta permanentemente nel
mondo quando [per attrito] si trasformava in calore, e quando il calore [che è la forma di energia
con entropia massima] si disperdeva.”284
La seconda legge della termodinamica, che vieta di costruire una macchina efficiente al
100%, “specifica la direzione in cui285 (in media) si evolvono gli stati di non equilibrio”286.
Essa ci dice che l'evoluzione temporale di un sistema isolato termicamente è verso stati di
crescente disordine, e che essa continua fino al conseguimento del massimo d'entropia [quando il
numero degli stati accessibili al sistema è massimo], quando l'energia termica disponibile per
compiere lavoro è nulla [degradazione completa dell'energia].
Quindi, se l’universo è termicamente isolato, dobbiamo aspettarci nel corso di un tempo
estremamente lungo, che basti a conseguire il massimo della sua entropia, che esso raggiunga il
massimo di disordine, cioè il massimo di stati accessibili ad esso.
Il punto nodale è che la tendenza all'equilibrio, alla massima entropia, in un sistema isolato
termicamente, come quello delle due scatole collegate da un condotto, vale soltanto in media,
essendo sì altamente probabile, ma non inevitabile, non assolutamente necessario, in base a tutte le
leggi note della fisica.
Osserva Moritz Schlick che “Quando questo principio afferma: ‘nel contatto di due corpi, di
temperatura differente, il calore passa dal corpo più caldo al corpo più freddo, e non viceversa’, tale
enunciato è valido nello stesso senso in cui diciamo: ‘nessuno, lanciando un dado normale, otterrà il
sei un milione di volte consecutive'. Quantunque l'ottenere un sei per la milionesima volta non sia in
contraddizione con nessuna legge naturale, tuttavia, a ragione, non ci aspettiamo affatto di
realizzarlo.
Ora, secondo le vedute di Boltzmann, la probabilità che un evento contraddica il principio di
entropia è ancora più bassa di quella del suddetto lancio, sebbene non diventi mai senz'altro zero;
283
284
285
286
Nella considerazione statistica, l’evento dell’inversione di marcia del proiettile risulta “soltanto” molto
improbabile.
Ivi p. 520.
L’autore F. Reif, all’inizio del testo di fisica statistica, spiega che tutti i risultati presenti nel testo sono da intendersi
come validi in media.
“Fisica statistica” op. cit. p. 309.
per questa ragione restiamo tanto più in accordo con tutti i fatti empirici regolati dal principio
dell'entropia, se attribuiamo ad esso una probabilità molto elevata, anziché se lo consideriamo una
legge naturale rigorosamente ineccepibile.
Quindi, - egli conclude - se il principio dell’entropia è solo una legge probabilistica, non
sono, a rigore, impossibili dei processi che lo contraddicano; i quali, di conseguenza, dovranno pur
comparire, anche se raramente, nella realtà, con una probabilità maggiore, quanto maggiore è lo
spazio-tempo trascorso. Poiché sono a disposizione dell'universo tempi lunghi a piacere, non esiste
alcuno stato del mondo che non possa ripetersi o risultare reversibile. Se, dunque, dovesse mai
verificarsi qualcosa che somigliasse alla 'morte' dell'universo, allora, anche dopo tempi
interminabili, dovrebbe di conseguenza aver luogo spontaneamente (per caso) una nuova
differenziazione dallo stato di generale indifferenziazione, una trasformazione del calore ,
uniformemente distribuito, in altre forme di energia; i processi naturali dovrebbero svolgersi in un
ordine di successione o in una direzione inversa rispetto a quella che siamo abituati a vedere nello
stato attuale del cosmo.”287
La reversibilità del tempo nelle leggi generali della natura è stata sostenuta da illustri
scienziati quali Poincaré, Einstein, Feynman, Bohr, Heisenberg, Hawking, e altri ancora, ed è
prevalente tra gli scienziati rispetto all'idea d'una qualche forma d'irreversibilità.
Ciononostante, I. Prigogine afferma il carattere insostenibile – quasi inconcepibile - di
questa idea di reversibilità dinamica288.
Su ciò ritornerò in un secondo momento289.
287
288
289
M. Schlick, “Tra realismo e neopositivismo”, Il Mulino, p. 316-317.
“Le leggi del caos”, op. cit., p. 13.
Uno degli indizi dell’irreversibilità del tempo è dato, oggi, dalla diversa durata di formazione e decadimento del
Kaone, cfr. “I misteri del tempo” di Paul Davies, Mondadori, p. 230.
Capitolo nono - La crisi del determinismo meccanicistico
Engels aveva sostenuto che la scienza ottocentesca (Darwin innanzi tutto) consentiva di affermare
che fra necessità e caso, in natura , non ci sono barriere insormontabili. Dunque, anche le leggi che
consideriamo necessarie, leggi di natura, andrebbero inquadrate nell'infinito gioco di questi due
poli sempre connessi.
Va però subito osservato che le leggi fondamentali della fisica sono ugualmente valide in rapporto
al passato e al futuro, cioè hanno la stessa forma, per le due direzioni del tempo290.
Tenuto conto di ciò, ha senso parlare di una dialettica tra necessità e caso relativamente a quei
sistemi, a quelle strutture che, mentre si mostrano relativamente stabili, sono nel contempo soggette
a fenomeni casuali che provengono dal loro interno ed a influenze casuali che vengono dall'esterno.
Il fenomeno della radioattività, i tempi di decadimento di atomi eccitati, l'incertezza della
“traiettoria” di particelle elementari osservate mediante la necessaria illuminazione e la gran parte
dei fenomeni quantistici vengono interpretati come manifestazioni del caso; tuttavia si tratta sempre
di un caso soggetto a leggi, le quali, per il fatto di essere di tipo statistico, non sono meno rigorose e
vincolanti delle altre.
E' chiaro che, al livello della fisica fondamentale, la “necessità” filosofica va tradotta nel vincolo
costituito dalle leggi fisiche fondamentali, e il caso va visto come ciò che sfugge al determinismo
meccanicistico, di tipo laplaciano; e, in generale, come classe di fenomeni dal comportamento
imprevedibile in linea di principio. I fenomeni imprevedibili soltanto sul piano pratico rientrano in
una casualità non radicale.
A proposito del ruolo del caso e del rapporto tra eventi successivi nel tempo, trovo illuminante le
seguenti affermazioni di Lev Landau:
“Noi vediamo che il processo di misura presenta in meccanica quantistica un duplice aspetto: il suo
ruolo rispetto al passato e al futuro è diverso. Rispetto al passato , la misura verifica le probabilità dei
diversi risultati possibili che si possono prevedere partendo dallo stato creato dalla misura
precedente.
Rispetto al futuro, essa crea un nuovo stato. Il processo di misura è quindi, per sua natura,
profondamente irreversibile”291.
Egli stesso rimanda al paragrafo in cui tratta della misura della quantità di moto e della relazione
implicata in due misurazioni successive distanti un intervallo di tempo t: (v’x – vx) Px /t .292
290
La legge oraria di Galileo, le tre leggi della dinamica classica e la legge di gravitazione universale di Newton, le
equazioni di Schrödinger, per fare degli esempi, non cambiano forma se al posto di t si pone
– t nelle rispettive equazioni.
291
L. Landau, “Meccanica quantistica”, ed. Riuniti, p. 42.
292
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 196.
Commentando la relazione appena citata ( dimostrata da N.Bohr), egli dice che “Essa mostra che la
misura della quantità di moto dell’elettrone [cioè di P = mv] (per un dato grado Px di precisione) è
inevitabilmente legata alla variazione della sua velocità….Questa variazione è tanto più grande
quanto minore è la durata del processo di misura stesso”293.
E, appena più avanti, conclude affermando: “Qui si manifesta con particolare evidenza l'irripetibilità
di una misura della quantità di moto a brevi intervalli di tempo e la natura
duplice della
misurazione nella meccanica quantistica: necessità di fare distinzione tra il valore misurabile di una
grandezza e il valore dato dal processo di misura” 294. Essenziale mi sembra anche la sottolineatura
della irreversibilità espressa nel primo capitolo, dove dice: “Questa irreversibilità ha un importanza
fondamentale. Come vedremo... le equazioni fondamentali della meccanica quantistica godono di
per sé di simmetria rispetto al cambiamento di segno del tempo; sotto questo aspetto la meccanica
quantistica non differisce dalla meccanica classica.
L'irreversibilità del processo di misura introduce però nei fenomeni quantistici una inequivalenza
fisica delle due direzioni del tempo, cioè porta a una differenziazione tra futuro e passato”295.
A proposito della seconda legge della termodinamica non si può fare, invece, un rigoroso discorso
che dimostri l'irreversibilità del flusso di calore dai sistemi caldi a quelli meno caldi: tale proprietà,
infatti, è dimostrata valere solo statisticamente; anche se la probabilità che il flusso di calore muova
dai sistemi caldi a quelli meno caldi ha un valore straordinariamente alto.
Nella prima decade del Novecento, e poi dopo, è sempre più apparso chiaro che i comportamenti
probabilistici e le loro leggi erano i soli a poter spiegare non solo il comportamento dei forni che
“non riescono” a produrre spontaneamente radiazioni di frequenza elevatissima, ma anche le
emissioni radioattive, anche l'effetto tunnel, anche i tempi di decadimento di un elettrone eccitato,
anche l’incerta velocità degli elettroni allorché si sia misurata con precisione la loro posizione.
Gli sviluppi della fisica quantistica hanno portato a sostenere che alla base dei fenomeni
macroscopici (quelli della vita quotidiana), per i quali valgono “leggi deterministiche” 296, ci sono
fenomeni microscopici, per i quali valgono, invece, leggi di probabilità.
Dunque i fenomeni microscopici sono regolati da leggi probabilistiche, a differenza di quanto
accade nella meccanica astronomica e per lo più nella vita quotidiana297.
Ciò è risultato molto chiaro quando si è tentato, senza riuscirci, di salvare il concetto di traiettoria,
293
294
295
296
297
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 196.
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 196. Notiamo che nella fisica classica, quanto più sono vicine nel tempo le
due misure dell’impulso dell’oggetto, tanto più sono uguali.
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 42.
Nella fisica del macroscopico, le leggi deterministiche valgono con precisione solo in relazione ai sistemi stabili,
vedi dichiarazione di James Lighthill, in “Le leggi del caos”, op. cit., p. 27,28.
Landau precisa, e dimostra, che la legge di conservazione dell’energia, nella meccanica quantistica, può essere
verificata mediante due misure intervallate da un tempo t, soltanto a meno di una grandezza dell’ordine di h/t.
Sulla legge di conservazione dell’energia e della quantità di moto vedi “Meccanica quantistica” op. cit., p. 64 e
194.
che è fondamentale nella meccanica classica, ma che non è verificabile nella fisica delle
microparticelle; anzi, l'idea di una traiettoria dell’elettrone intorno ad un nucleo atomico non può
essere sostenuta in via teorica [in via di principio] perché lo vietano le relazioni di
indeterminazione: px qx 298.
Queste ci dicono che quando si misura con grande precisione la posizione q x di un elettrone, risulta
nello stesso istante, molto incerta la sua quantità di moto px, e viceversa299.
Dunque, si può solo dire che probabilità si avrà di trovare la particella in una certa direzione e con
un certo valore della velocità: il che non permette di costruire una traiettoria. I “fisici classici”
ritenevano di poter misurare, in via di principio, con grande esattezza e contemporaneamente, sia la
posizione che la velocità di ogni corpo in movimento, per quanto piccolo, e di poter fare ciò
secondo una successione di istanti prestabilita piccola a piacere.
Il concetto fisico di traiettoria definito in astronomia, e, in generale, nella fisica dell'esperienza
quotidiana, si riteneva di poterlo estendere, su basi logiche e geometriche, al mondo dei
microoggetti.
Conseguentemente, essi credevano che si potessero applicare le leggi della meccanica classica, in
via di principio, anche alle particelle elementari e con lo stesso rigore dimostrato in astronomia300.
Nel suo libro intitolato “Fisica e filosofia”, Heisenberg ha osservato che nella fisica classica, nel
caso di misurazioni relative alla posizione e quantità di moto di una particella elementare, “si
potrebbe con una investigazione accurata, considerare anche l’errore d'osservazione.
Si otterrebbe come risultato una distribuzione di probabilità per i valori iniziali delle coordinate e
della velocità e quindi qualcosa di molto simile alla funzione di probabilità della meccanica
quantica”.
Evidenziava, però, che “Soltanto la necessaria incertezza dovuta alle relazioni d’indeterminazione
298
299
300
px indica l’errore quadratico medio in p x; qx, quello in qx; = h/2; le relazioni di indeterminazione valgono in
rapporto a una variabile.
Quando si misura la posizione di una “particella” con grande precisione, si usa necessariamente luce ad alta
frequenza per intercettarla. Così, però, le si trasmette energia [E = h] in misura non trascurabile e, quindi, la sua
quantità di moto [p = mv] risulta molto incerta. Non si può stabilire, nell’istante in cui si misura esattamente la
posizione, non solo il valore della velocità ma neppure la sua direzione. Se, invece, si misura con precisione la
quantità di moto [p] di una “particella”, si usa necessariamente la luce a bassa frequenza (poco energetica) che porta
a fenomeni di interferenza e impedisce, perciò, una precisa localizzazione della particella stessa. In tal caso, quindi,
emergono le proprietà ondulatorie della particella elementare, per la quale vale l’equazione fondamentale di Louis
de Broglie: p = mv = h/,la quale mostra che, se la velocità è ben definita, allora lo è anche la lunghezza d'onda
associata alla particella. V. “Fisica e filosofia”, op. cit. p. 57-73; Born “Filosofia naturale della causalità e del
caso”, p. 121-123; “Meccanica quantistica”, op. cit. p. 15-21; Ey Wind H. Wichman “Fisica quantistica”,
Zanichelli, p. 18-20; “L’interpretazione materialistica della meccanica quantistica”, op. cit. p. 296; R. Penrose
“La mente nuova dell’imperatore”, Rizzoli, p. 319-321; Richard Feyman “La legge fisica”, Boringhieri, p. 161166; meglio sarebbe esaminare l’intero capitolo “Probabilità e indeterminazione”, p. 143-166; “La struttura della
scienza”, op. cit., p. 301-306; Rudolf Carnap, “I fondamenti filosofici della fisica”, Il Saggiatore, p. 350-360; “Tra
realismo e neopositivismo”, op. cit., p. 17, 53-57; Max Planck, “Scienza, Filosofia e Religione”, Fratelli Fabbri
Editori, p. 46-50; Giancarlo Ghirardi, “Un’occhiata alle carte di Dio”, Il Saggiatore, p. 59-67; “Determinismo e
indeterminismo”, di E. Cassirer, op. cit., p. 161-203.
Cfr. “L’interpretazione materialistica della meccanica quantistica”, op. cit., p. 293-297.
manca nella fisica classica”301.
L’incertezza ineliminabile delle relazioni d’indeterminazione implica necessariamente l’esistenza di
una probabilità irriducibile.
Dunque, Heisenberg rimarcava che nella nota formulazione del determinismo laplaciano, che
condensava il determinismo meccanicistico, c’era un difetto basilare: il credere che si potesse
misurare, in linea di principio, con precisione massima e contemporaneamente, tanto la posizione
che la velocità di una “particella” elementare e derivarne, mediante le equazioni differenziali del
moto, il futuro sviluppo, a patto di conoscere, in quello stesso istante, le posizioni e le velocità di
tutti corpi.
Egli fece notare che nella fisica dei microoggetti non poteva essere conservato il concetto,
fondamentale nella meccanica classica, di traiettoria302.
Dunque, il determinismo meccanicistico, che aveva dominato nel periodo di sviluppo della fisica
classica, non poteva essere sostenuto come universalmente valido: crollava infatti nel dominio dei
microoggetti e, conseguentemente crollava in generale, almeno nella forma assoluta303.
Heisenberg fece notare che le relazioni di incertezza impediscono, in linea di principio, di conoscere
mediante delle misure le condizioni iniziali (cioè le posizioni e le velocità) di tutti i corpi
dell'universo in un determinato istante, con precisione assoluta: infatti, non possiamo misurare nello
stesso tempo posizioni e velocità di un qualsiasi microoggetto con precisione “infinita”: la misura
esatta della posizione
renderebbe, nello stesso istante, imprecisa la misura della velocità, e
viceversa304.
A ciò va aggiunto che la teoria della relatività di Einstein mostra che non si può parlare di un istante
comune a tutto l’universo, e, quindi, non si può parlare di condizioni iniziali di tutti i corpi in un
determinato istante: infatti tale espressione non ha un senso fisico. Non disponiamo di un
riferimento fisico privilegiato rispetto al quale definire un istante di valore universale. Abbiamo solo
simultaneità relative a riferimenti fisici specifici. In qualche misura aveva ragione Kant quando
301
302
303
304
“Fisica e Filosofia”, op. cit., p. 58,59.
Sulla limitatezza del modo classico di descrizione degli oggetti vedi “L’interpretazione materialistica della
meccanica quantistica”, op. cit. p. 295 e seg.; vedi Fock, “Introduzione materialistica della meccanica
quantistica”, p. 295; “Meccanica quantistica”, L. Landau, “Principio d’indeterminzione”, p. 15-21.
Gian Carlo Ghirardi ha osservato che “il punto concettualmente più rilevante che la teoria quantistica ci impone di
affrontare è quello della legittimità di considerare alcune proprietà fisiche come oggettivamente possedute dai
sistemi fisici individuali. La risposta della teoria standard è ben nota: esse devono venir limitate a quelle per le quali
può prevedersi con certezza l’esito di una misura. Tutte le altre proprietà risultano, per così dire sospese nel limbo
delle potenzialità. Inoltre, ove si assuma valido il carattere lineare della teoria, questa conclusione vale sia per i
sistemi microscopici che per quelli macroscopici…”. Vedi “Un’occhiata alle carte di Dio”, op. cit. p. 374.
Sulla limitatezza del modo classico di descrizione degli oggetti e l’ambito della sua applicabilità e sulla relatività ai
mezzi di osservazione come base del modo quantistico di descrizione degli oggetti, v. “Meccanica quantistica”, op.
cit., p. 15-21 e p. 39-45; “Fisica e Filosofia”, op. cit., p. 57-73; “I fondamenti filosofici della fisica”, op. cit., p.
349-360; “L’interpretazione materialistica della meccanica quantistica, op. cit., p. 293-299; “I misteri del tempo”,
op. cit., p. 94; “Un’occhiata alle carte di Dio”, op. cit., p. 302: “ …a causa del principio d’indeterminazione che
vieta di attribuire alle particelle simultaneamente una precisa posizione e velocità, il concetto stesso di traiettoria
perde ogni significato in un contesto quantistico”.
sosteneva che il mondo come totalità non lo possiamo conoscere in quanto ci si presenta come
incondizionato; ad esso infatti non si applicano né le forme dello spazio e del tempo nè i concetti
puri dell’intelletto. Rispetto a quale riferimento fisico allora, nella prospettiva attuale, potremmo
descrivere la totalità del mondo?
Dunque crolla la conclusione laplaciana di un determinismo assoluto del cosmo basato sull'idea che
siano conoscibili, in linea di principio, le posizioni e le velocità di ogni singolo corpo dell'universo
in un determinato istante con assoluta precisione.
Crolla il determinismo meccanicistico che implicava la prevedibilità assoluta dei comportamenti di
ogni oggetto: crolla il “determinismo teologico”.
Dunque, il rapporto tra necessità e casualità si approfondisce nella fisica quantistica, mostrando che
una “radice” di casualità sta alla base del comportamento di ogni singola particella elementare; sta a
fondamento della stragrande maggioranza dei fenomeni quantistici: sta a fondamento della natura.
Restava la possibilità di un determinismo limitato e attenuato, come dirà Feynman nelle sue lezioni
di meccanica quantistica.
Sappiamo che la relazione fondamentale di Louis de Broglie, = h / p305, che collega la lunghezza
d’onda associata a una “particella elementare” ad una precisa quantità di moto, ha un senso generale
e preciso, concernendo ogni oggetto in moto: alla loro quantità di moto [p = mv] (impulso),
corrisponde, in un certo riferimento, una precisa lunghezza d’onda, per quanto piccola possa
risultare in base ai calcoli.
Una misura precisa della quantità di moto p definisce con esattezza anche l’onda associata
all’oggetto in moto, e viceversa [p = h/]. Dato che x px , una misura molto accurata della
quantità di moto implica grande incertezza sulla localizzazione della “particella” lungo l’asse delle
x: emergono infatti le proprietà ondulatorie espresse dalla relazione p = h/. Tale indeterminazione
risulta accresciuta dalla soggezione al moto browiano degli strumenti di misura306.
Nota M. Born che “Nella fisica classica si supponeva di aver a che fare con una situazione oggettiva
e sempre osservabile; si ammetteva che il processo di misurazione non avesse alcuna influenza
sull'oggetto sottoposto a osservazione.. .però, in pratica, anche nella fisica classica questo postulato
non viene mai rispettato a causa del moto browniano a cui vanno soggetti gli strumenti di
misurazione”307.
Al fine di spiegare il ruolo dell’osservazione – misurazione al livello quantistico della conoscenza
fìsica, M. Born osserva che “La maniera più generale di formulare un problema dinamico è quella
305
306
307
È importante rimarcare che la costante h, costante d’azione, non cambia a seconda dei microogetti: è la stessa per i
fotoni, per gli elettroni, per i protoni…: è universale. L’equazione h = p è universale e fondamentale nella
meccanica quantistica e nella natura. V. “Fisica quantistica”, op. cit., p. 211-213.
È importante notare che “tutte le misure di grandezze fisiche si riducono in definitiva a misure di posizione”. Si
pensi alla lettura di un indice su una scala graduata e alla determinazione della velocità media di una particella. Ciò
aiuta a capire i limiti pratici di ogni misurazione. “Un’occhiata alle carte di Dio”, op. cit. p. 185.
“Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit., p. 126.
di suddividere in due parti l'hamiltoniana [funzione che rappresenta l'energia totale del sistema di
particelle che si considera]: H = H0 + V ,dove H0 descrive ciò che interessa [l'energia del sistema in
assenza di perturbazioni], mentre V riveste un'importanza minore: è quel che si suol chiamare una
perturbazione. V può anche includere influenze esterne e dipendere esplicitamente dal tempo308.
A questo punto, egli evidenzia che “Questa suddivisione è … arbitraria in sommo grado, ma
corrisponde alla situazione effettiva”309.
Al fine di esemplificare, aggiunge che “Se si forma una molecola di acqua H 20 dalla riunione dei
suoi atomi, ci possiamo chiedere quali siano gli stati stazionari dell'intero sistema [stati in cui
l'energia staziona nel sistema], oppure possiamo considerare le parti H 2 e O e chiederci in che modo
gli stati della molecola d'idrogeno H 2 cambino all'avvicinarsi dell'atomo di ossigeno, oppure
ancora ci possiamo porre la medesima domanda a proposito del radicale HO e dell'atomo H”310.
Egli sottolinea che gli ultimi due sono problemi dinamici e che “I problemi dinamici nella teoria
quantistica non possono, perciò, contrariamente a quelli della teoria classica , essere definiti senza
una decisione soggettiva, più o meno arbitraria, intorno a ciò che interessa.
In altre parole, la meccanica quantistica non descrive uno stato oggettivo in un mondo esterno
indipendente, bensì l’aspetto di questo mondo che si ottiene considerandolo da un certo punto di
vista soggettivo, o con certi mezzi e dispositivi sperimentali”311.
Contrariamente a quanto ritenuto da Planck e da Einstein circa l'osservabilità completamente
obiettiva degli oggetti, M.Born sostiene che “…l'ipotesi dell'osservabilità assoluta, che costituisce la
radice dei concetti classici... sembra esistere soltanto nella fantasia, come un postulato che nella
realtà non può essere soddisfatto”312.
Born chiarisce che, mentre gli oggetti dell’osservazione [tesa a scoprire relazioni causali] 313, in
fisica quantistica, “sono costituiti dalle probabilità di eventi elementari e non da singoli eventi in
sé”314, invece, nella fisica classica, la causalità era inquadrata in un rigido determinismo
meccanicistico che le dava un senso ed una misura perfettamente definite.
A. V. Fock e Max Born sulla causalità
A proposito del concetto di causalità, il fisico. A.V. Fock ha proposto, dopo l'affermazione della
meccanica quantistica, il concetto di causalità probabilistica , e altrettanto, sostanzialmente, aveva
308
309
310
311
312
313
314
“Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit., p. 126-127.
Ivi p. 127.
“Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit., p. 127
Ivi, p. 127.
Ivi, p. 127 v. anche “L’interpretazione materialistica della meccanica quantistica”, op. cit. p. 290-305.
La causalità è intesa come “Il postulato il quale afferma che una situazione fisica dipende dall’altra”, ivi p. 129.
Ivi,, p. 129-130.
fatto M. Born nel libro da me citato315.
Fock sostiene che “è necessario operare una distinzione fra causalità deterministica e la semplice
causalità” ed argomenta tale necessità nel modo seguente: "Con il termine di ‘causalità
deterministica’ io intendo l'affermazione, secondo la quale il progressivo precisarsi delle
osservazioni, una più completa conoscenza delle leggi di natura e il perfezionamento dei metodi
matematici possono, in linea di principio, condurre a una predizione univoca di tutto il corso degli
avvenimenti. Questo è, in sostanza, il determinismo laplaciano.
Con il termine di ‘semplice causalità’, intendo invece l'asserzione dell'esistenza di determinate leggi
di natura. In natura esistono.. .differenti forme di causalità, rispetto a queste o quelle leggi concrete:
“rispetto alla struttura dello spazio e del tempo, all’equazione ondulatoria della meccanica
quantistica e anche, forse, rispetto ad altre leggi.
Dalla meccanica quantistica risulta che la causalità deterministica non esiste. E' proprio in tale senso
che deve essere... intesa la sua (di Bohr) affermazione sulla inesistenza della causalità nella fisica
atomica.
A me - prosegue Fock - sembra però inopportuno adoperare il termine causalità soltanto nel senso
della causalità deterministica.
E' meglio dire, ad esempio, che “nella fisica atomica la causalità deterministica viene sostituita da
quella probabilistica…”316.
Anche M. Born non ripudia il concetto di causalità, bensì lo inserisce in un quadro statistico
d'interpretazione della teoria quantistica, e perciò ne fornisce (dopo accurata e lunga discussione)
una definizione probabilistica che rispetta il principio di contiguità degli stati, e non rispetta, invece,
il principio di antecedenza (per il quale la causa precede sempre l’effetto o almeno è
contemporanea),317 che è strettamente legato all'idea dell'irreversibilità del flusso temporale.
Il suo cammino attraverso la causalità comincia con la seguente definizione: “La causalità postula
che esistano leggi per le quali il verificarsi di un'entità B di una certa classe dipende dal verificarsi
di un'entità A di un'altra classe, ove la parola entità significa qualsiasi oggetto, fenomeno, situazione
o evento fisico.
A viene chiamato causa, B effetto.
Se la causalità si riferisce a eventi singoli - egli aggiunge - se ne debbono prendere in
considerazione i seguenti attributi: l'antecedenza, la quale postula che la causa debba essere
anteriore, o perlomeno simultanea, all'effetto; la contiguità, la quale postula che causa ed effetto
debbano essere in contatto spaziale, o connesse da una catena di oggetti intermedi in contatto fra
315
316
317
“Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit. p. 129, 130.
“L’interpretazione materialistica, della meccanica quantistica”, op. cit., p. 50-51.
Cfr. “Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit., p. 20 e 130.
loro”318.
In una parte molto avanzata della sua analisi della causalità, nel paragrafo intitolato “Fisica
indeterministica” del libro citato, egli dichiara “che il formalismo della meccanica quantistica e la
sua interpretazione statistica hanno avuto pieno successo nell'ordinamento e nella previsione delle
esperienze fisiche”319.
Si domanda, poi, se possiamo ritenerci soddisfatti, nella nostra brama di sapere “da una teoria che è
apertamente e spudoratamente statistica e indeterministica”320.
Si chiede se possiamo accontentarci di accettare il caso, e non la causalità, come legge suprema del
mondo fisico321.
Egli stesso risponde che "non è la causalità, propriamente intesa a venir eliminata, ma soltanto
un'interpretazione tradizionale di essa, che la identifica col determinismo.
Ho compiuto molti sforzi per dimostrare [nel corso del libro] che questi due concetti non sono
identici. Secondo la mia definizione, la causalità è il postulato il quale afferma che una situazione
fisica dipende dall'altra, e la ricerca causale si propone la ricerca di questa dipendenza.
Tutto ciò - egli aggiunge - rimane vero anche nella fisica quantistica, sebbene gli oggetti
dell'osservazione, per i quali si sostiene esservi una dipendenza, siano differenti: essi sono costituiti
dalle probabilità di eventi elementari, e non dai singoli eventi in sé”322.
Dunque, la ricerca causale, al livello quantistico, mira a cogliere forme di dipendenza tra probabilità
di eventi elementari, non già tra eventi già dati.
Egli dopo aver esaminato alcuni aspetti fondamentali del formalismo quantistico, riferendosi alle
equazioni differenziali della funzione d'onda, osserva che esse “hanno, come tutte le equazioni del
campo classiche, la proprietà di violare il principio di antecedenza: non esiste alcuna distinzione fra
passato e futuro per la distribuzione della densità di probabilità [cioè, per il quadrato del modulo
della funzione d’onda: 2].
Risulta invece ovviamente soddisfatto il principio di contiguità”323.
Va detto che la distribuzione della densità di probabilità, cioè il modulo della funzione d'onda preso
al quadrato, ha significato fisico se inteso come probabilità; che la funzione d'onda dipende
dall'insieme delle coordinate q del sistema quantistico che si considera; che il quadrato del modulo
di questa funzione fornisce la distribuzione delle probabilità dei valori delle coordinate324.
Va aggiunto, inoltre, che “La conoscenza delle funzioni d'onda permette, in linea di massima, di
318
319
320
321
322
323
324
Ivi, p. 20.
Ivi, p. 129
Ivi p. 129.
“Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit., p. 129.
Ivi p. 130.
Ivi p. 130.
L'espressione (q)2 dq indica la probabilità che la misura eseguita sul sistema dia valori delle coordinate
contenuti nell’elemento dq dello spazio delle configurazioni. Cfr. “Meccanica quantistica”, op. cit. p. 21.
calcolare le probabilità dei diversi risultati, nonché di ogni misura (non necessariamente delle
coordinate)”325.
Ovviamente, “La somma delle probabilità di tutti i valori possibili delle coordinate del sistema deve,
per definizione, essere uguale a uno”326.
Riprendendo ora il discorso di M. Born sul ruolo del caso e della causalità in fisica quantistica, va
detto che egli evidenzia come l'equazione d'onda d'una particella sottoposta a un campo esterno, sia
costruita in modo simile alle equazioni del moto classiche: “Essa contiene nell'energia potenziale
[V(x,yz)], che è una parte dell'hamiltoniana [H = H 0+ V], il concetto di forza classico, o, in altre
parole, l'espressione quantitativa newtoniana della causazione. Se, per esempio, delle particelle
(come il nucleo e gli elettroni di un atomo) agiscono le une sulle altre con una forza coulombiana, 327
in H compare la stessa azione indipendente dal tempo a distanza finita, come avviene nella
meccanica newtoniana”328.
Infine, conclude che “Siamo di fronte a una situazione paradossale: gli eventi osservabili
obbediscono alle leggi del caso, ma la probabilità per questi stessi eventi si manifesta secondo leggi
che sono, in tutti i loro caratteri sostanziali, leggi causali”329.
Dunque, solo le probabilità degli eventi osservabili sono, sostanzialmente, regolate da leggi causali,
leggi che stabiliscono una dipendenza tra le probabilità di eventi elementari: una dipendenza
rispettosa del principio di contiguità, nell'evoluzione temporale delle probabilità degli eventi
elementari, riguardanti un determinato sistema quantistico.
Il determinismo univoco riguarda l'evoluzione temporale delle probabilità, invece, gli eventi
quantistici effettivamente osservati obbediscono alle leggi del caso. Il piano delle probabilità degli
eventi è regolato secondo leggi causali; invece quello degli eventi, secondo le leggi del caso.
La misurazione osservazione spezza la dipendenza causale della probabilità
degli eventi
elementari, “proiettando” sul piano della realtà solo uno degli eventi possibili, dotati d'una
probabilità definita, nelle condizioni sperimentali date.
La funzione d'onda (q) descrive, dopo una prima misurazione del sistema quantistico che
interessa, l'andamento del sistema stesso nel tempo in modo univoco, però tale descrizione non ha
un significato fisico diretto; solo al quadrato del modulo della funzione d'onda è attribuibile il
significato di probabilità.
L’osservazione-misurazione fa “collassare” la funzione d ’onda, “pesca”, cioè, uno degli stati
soltanto probabili descritti dalla funzione stessa nel tempo.
325
326
327
328
329
“Inoltre, tutte queste probabilità sono determinate da espressioni bilineari in e [nella sua coniugata] *”.Ivi, p. 21
Ivi p. 22, deve essere, cioè: (q) 2 dq = 1.
Ricordiamo che l’espressione della legge di coulomb è data da F e = K q1 q2/r2 e che ha la stessa forma della legge di
gravitazione di Newton: Fg = G m1m2/r2.
“Filosofia naturale e del caso”, op. cit., p. 131.
“Filosofia naturale della causalità e del caso” op. cit. p. 131.
Vale la pena, per la perfezione delle spiegazioni, ricorrere ancora a L. Landau: “Nella meccanica
quantistica la funzione d'onda determina in modo completo lo stato di un sistema fisico. Ciò
significa che questa funzione, data in un certo istante, descrive non soltanto tutte le proprietà del
sistema in questo istante, ma ne definisce anche il comportamento in tutti gli istanti successivi
(questa descrizione è completa - egli aggiunge – beninteso, nella misura in cui ciò è possibile, in
generale, nell'ambito della meccanica quantistica)”330.
Il fatto che definisca il comportamento di un sistema fisico non solo in un dato istante ma anche
in quelli successivi “...si riflette nel fatto che il valore della derivata
/t della funzione d'onda rispetto al tempo deve essere determinato, in ogni istante, dal valore
della funzione stessa nello stesso istante e, in virtù del principio di sovrapposizione [additività
lineare degli stati rappresentati da diverse funzioni d'onda], questa dipendenza dev'essere lineare331.
La funzione d'onda , che determina in modo “completo” [nell’ambito della meccanica quantistica]
lo stato di un sistema fisico, deve soddisfare all'equazione d'onda, che “Nella forma più generale si
può scrivere: i
¿
∂Ψ ¿
2
=H Ψ ”, dove H =−
ΔU x , y , z , se è relativo a una sola particella in
∂t
2m
un campo di forze.
¿
L'operatore H (l’operatore che corrisponde alla funzione hamiltoniana che descrive l'energia totale
di un sistema isolato) ci fornisce il tasso di variazione della funzione d'onda nel tempo, cioè la sua
evoluzione temporale332.
Risolvere l'equazione d'onda significa trovare l’evoluzione temporale del sistema fisico descritto “in
modo completo” dalla funzione d’onda in un istante t0 determinato.
Quindi, l’equazione d’onda delinea uno sviluppo deterministico delle proprietà e dei comportamenti
di un sistema fisico isolato, quando in un certo istante sia stato accertato colle necessarie
misurazioni delle variabili in gioco, il suo stato meccanico, con i limiti inevitabili dovuti alle
relazioni di incertezza (indeterminazione)333.
L’equazione d’onda, ideata334 da Schrödinger nel 1926, rappresenta, come già detto, l’evoluzione
330
331
332
333
334
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 43.
Ivi, p. 43. La dipendenza lineare è del tipo c1 1 ( q1t ) c 2 2 ( q1t ). Per q1, intendere semplicemente q.
V. “Meccanica quantistica”, op. cit., p. 43-44, 72-73.
Relazioni d’indeterminazione del tipo px qx di Heisemberg, e (E’ – E) t di Heisemberg e Bohr. Vedi
“L’interpretazione materialistica della meccanica quantistica”, op. cit., p. 296-297; v. anche “ Meccanica
quantistica”, op. cit. p. 196.
Louis de Broglie e Schrödinger crearono “la meccanica ondulatoria”. De Broglie, per primo, ipotizzò che le
particelle materiali (come l’elettrone) in moto uniforme fossero sempre associate ad un onda pilota ( = h/p).
Conseguentemente “le orbite quantiche del modello atomico di Bohr potevano essere interpretate come quelle
orbite che soddisfacessero alla condizione di contenere un numero intero di queste onde pilota: un’onda nella prima
temporale degli stati meccanici di una particella sottoposta a un campo e, in essa, il termine U (x, y,
z) dell’energia potenziale d’interazione interpreta i dati sperimentali e “non è certamente una
conseguenza logica dei principi fondamentali della meccanica quantistica”335.
Come ho rilevato in precedenza, lo stesso limite del termine U è stato sottolineato da M. Born 336, il
quale aggiunge che “Si ha però la sensazione che questi residui della causalità classica siano
provvisori, e che in una teoria futura saranno sostituiti da qualcosa di più soddisfacente; in realtà, le
difficoltà incontrate nell'applicazione della meccanica quantistica alle particelle elementari sono
connesse con i termini dell'interazione [U] contenuti nell’hamiltoniana; manifestamente - egli
conclude - essi sono ancora troppo classici”337.
Landau, nell'esporre il suo pensiero sulle due equazioni di Schrödinger, osserva che tali equazioni,
come quelle della meccanica classica, sono indifferenti all’inversione del tempo; aggiunge, però,
che “bisogna ricordare che questa simmetria riguarda qui soltanto le equazioni e non il concetto
stesso di misura, che ha un ruolo fondamentale nella meccanica quantistica”, come già detto in
precedenza338.
M. Born, invece, osserva che, non solo le equazioni di Schrödinger non cambiano se si sostituisce t
con -t e colla sua coniugata, ma, cosa fondamentale nelle previsioni, non cambia il modulo di
al quadrato, cioè non cambia la distribuzione della densità di probabilità: “…noi vediamo che le
equazioni differenziali della funzione d'onda hanno , come tutte le equazioni del campo classiche, la
proprietà di violare il principio di antecedenza: non esiste alcuna distinzione tra passato e futuro per
la distribuzione della densità di probabilità”339.
Resta, perciò, in piedi l'osservazione discriminante di Landau: la simmetria temporale riguarda solo
le equazioni fondamentali della meccanica quantistica considerate per se stesse, non riguarda anche
il processo di misura, il quale, infatti, presenta un duplice aspetto: “il suo ruolo rispetto al passato e
al futuro è diverso. Rispetto al passato - egli osserva - la misura verifica le probabilità dei diversi
risultati possibili che si possono prevedere partendo dallo stato creato dalla misura precedente.
Rispetto al futuro, esso crea un nuovo stato340.
orbita, due nella seconda, etc.” [Biografia della fisica G. Gamow, ed. Mondadori, p. 246]. L’analogia, ipotizzata da
de Broglie, tra onde luminose e “onde pilota” associate alle particelle elementari e la sua equazione, che legava la
lunghezza d’onda di una particella alla sua quantità di moto p ed al quanto d’azione, (=h/p), stimolò Schrödinger a
sviluppare le equazioni fondamentali della meccanica ondulatoria: l’equazione relativa alle particelle libere da forze
e quella relativa alle particelle soggette a un campo. Vedi “Evoluzione della fisica”, op. cit., p. 281-286, “Filosofia
naturale della causalità e del caso”, op. cit., p. 115-118.; “Fisica quantistica” op. cit., p. 190-203.
335
“Meccanica quantistica”, op. cit. p. 73.
336
Vedi p. 131 del libro già citato.
337
“Filosofia naturale della causalità e del caso” op. cit., p.131.
338
339
340
“Meccanica quantistica”, op. cit. p. 79. Cioè la simmetria temporale vale soltanto prima che avvenga il processo
fisico della misurazione del sistema quantico: concerne l’evoluzione delle probabilità degli eventi quantici.
“Filosofia della causalità e del caso”, op. cit., p 130.
Non è possibile che il processo di misura sia reversibile dato che non si può percorrere all’indietro nel tempo uno
stato fisico quantistico che non c’era e che è stato determinato dall’azione del misurare.
Il processo di misura è, quindi, per sua natura, profondamente irreversibile”. E, più esplicitamente,
dice che “L’ irreversibilità del processo di misura introduce... nei fenomeni quantistici
un'inequivalenza fisica delle due direzioni del tempo, cioè porta ad una differenziazione tra
futuro e passato”341 .
Va chiarito che un esperimento quantistico si esplica in tre stadi: nel primo si definisce lo stato
meccanico della particella elementare mediante l'applicazione degli strumenti di descrizione
classica, e qui occorre necessariamente utilizzare le relazioni d'indeterminazione, che fissano i
limiti insuperabili dell'utilizzazione dei concetti classici.
La situazione sperimentale (interazione strumento-particella), nel primo stadio d'un esperimento
quantistico, si conclude con la sua traduzione in una funzione di probabilità che riguarda tutti i
valori di tutte le grandezze che definiscono l'oggetto quantistico nelle condizioni sperimentali
scelte. Il primo stadio di un esperimento quantistico, perciò, serve per fare predizioni: si riferisce
sempre al futuro. Nel secondo stadio si accompagna la precedente distribuzione di probabilità lungo
il corso del tempo, cioè si risolve l'equazione di Schrödinger nella forma definita rispetto al tempo:
la funzione d'onda che viene individuata concerne soltanto l'evoluzione temporale univoca delle
ampiezze di probabilità relative ai valori delle grandezze (tutte) dell'oggetto quantistico nelle
condizioni sperimentali date; il quadrato del modulo della funzione d'onda individuata definisce le
probabilità riguardanti i valori delle grandezze (tutte) che descrivono l'oggetto quantistico nelle
condizioni sperimentali date; la funzione d'onda è deterministica in senso classico, ma definisce una
dipendenza causale che concerne soltanto le probabilità degli eventi osservabili. Come osserva
Vladimir A.Fock, “è opportuno ricordare… che per uno stesso tipo di esperimento iniziale (in date
condizioni iniziali) possono esserci diversi tipi di esperimento finale [terzo stadio di un esperimento
quantistico] (in esso possono cioè venir misurate differenti grandezze) e che ad ogni tipo di
esperimento finale corrisponde la propria distribuzione di probabilità. [Ogni esperimento finale
scelto verifica le predizioni elaborate grazie all'esperimento iniziale e, perciò, esso si ricollega al
passato]342.
In tal modo, la teoria ha il compito di caratterizzare lo stato iniziale del sistema in modo tale che, a
partire da esso, risulti possibile ottenere le distribuzioni di probabilità per ogni tipo di esperimento
finale [teso cioè a misurare qualche particolare grandezza].
Si avrà perciò una descrizione completa delle possibilità potenziali [cioè degli stati accessibili
potenzialmente al sistema, nelle condizioni sperimentali scelte] contenute nell'esperimento iniziale
[primo stadio di un esperimento quantistico]”343.
Nel terzo stadio di un esperimento quantistico si ha la determinazione di molte nuove misurazioni
341
342
343
In “Meccanica quantistica”, di L. Landau, p. 42 e pag. 196.
Vedi “Meccanica quantistica”, op. cit. p. 42.
In “L’interpretazione materialistica della meccanica quantistica”, a cura di S. Tagliagambe, p. 300-301.
del sistema, con uno stesso metodo di preparazione di esso e nelle stesse condizioni sperimentali 344,
il cui risultato permette di delineare una statistica degli eventi osservabili e può, poi, essere
calcolato dalla funzione di probabilità: “La statistica ottenuta come risultato di una simile
ripetizione consente di trarre delle conclusioni sulla distribuzione di probabilità in questione.
L'esperimento completo - aggiunge V.A. Fock - ..include entrambi gli esperimenti345, quello iniziale
e quello finale, che devono oltre tutto venire compiuti non una ma molte volte”346.
Roger Penrose e l'irreversibilità del processo di misura
Roger Penrose, nel suo recente libro intitolato “La mente nuova dell'imperatore” ha sostenuto, come
Landau, l'irreversibilità del processo di misura, e, di conseguenza, che l'andamento delle probabilità
nelle due direzioni del tempo non è simmetrico.
Vediamo come introduce e argomenta la sua tesi:
“Tutte le equazioni della fisica confermate da successi spesso secolari, sono simmetriche rispetto al
tempo... Il futuro e il passato sembrano essere fisicamente su un piede di completa parità. Le leggi
di Newton, le equazioni di Hamilton, quelle di Maxwell, la relatività generale di Einstein,
l'equazione di Dirac, l'equazione di Schrödinger: tutto questo rimane inalterato se invertiamo la
direzione del tempo (se sostituiamo la coordinata t, che rappresenta il tempo, con –t).
L'intera meccanica classica, insieme alla parte ‘U ’ della meccanica quantistica [processo di
evoluzione deterministico della funzione d'onda ] è del tutto reversibile nel tempo. Non sappiamo
invece con certezza se la parte ‘R’347 della meccanica quantistica sia effettivamente reversibile nel
tempo oppure no”348.
Non sappiamo, secondo R. Penrose, se i risultati delle misurazioni siano reversibili: ignoriamo se il
valore della probabilità di un evento quantistico dovuto all’azione del misurare sia identico nelle
due direzioni del tempo [P (e) futuro = P(e) passato?].
344
Alle quali corrisponde, quindi, una stessa funzione d'onda che descrive il sistema.
Osserva Landau che: “Per prevedere (nel senso del calcolo delle probabilità) il risultato di una successiva misura,
quando è noto il risultato della prima, bisogna prendere dalla prima misura la funzione d’onda n (q) dello stato
originato da questa misura, e dalla seconda la funzione d’onda n (q) dello stato di cui si cerca la probabilità. Ciò vuol
dire quanto segue: dalle equazioni della meccanica quantistica ricaviamo la funzione d’onda n (q, t) che al momento
della prima misura è uguale a n (q). La probabilità dell ‘m- esimo risultato nella seconda misura, effettuata nell’istante
t, è data dal quadrato del modulo dell’ integrale n (q, t) *m( q) dq”. In “Meccanica quantistica”, op. cit., p. 42.
346
In “L'interpretazione materialistica della meccanica quantistica”, p.300; vedi anche “Fisica e filosofia” di
W.Heisenberg, ed.Il Saggiatore, p. 60 e seguenti vedi ancora “Filosofia naturale della causalità e del caso” di M. Born
ed. Boringhieri, p.126-131 ed anche “Meccanica quantistica” di L.Landau e Lifsits, Editori Riuniti, p.39- 42.
347
R indica il collasso della funzione d’onda, cioè il realizzarsi di uno solo degli stati sovrapposti linearmente (stati
compossibili), la cui distribuzione di probabilità è data dal quadrato del modulo dell’ampiezza d’onda (ivi p. 321324).
348
“La mente nuova dell’imperatore”, op. cit., p. 386-387.
345
Posto di accettare (in linea di principio) la reversibilità di un evento verificatosi durante un processo
di misura (che implica sempre azioni ben maggiori di h, quanto d’azione), la questione è se la
probabilità che l’evento si compisse sia uguale alla probabilità che quello stesso evento avrà, una
volta compiuto, di essere registrato nel cammino inverso.
Nella sua interpretazione della teoria quantistica, R. Penrose rileva che la teoria quantistica sembra
simmetrica rispetto al tempo, “persino quando prendiamo in considerazione, oltre alla comune
evoluzione unitaria U [processo di evoluzione deterministico della funzione d'onda “”], il processo
discontinuo descritto dalla riduzione del vettore di stato R [chiamato anche “collasso” di ,
soggetto alle leggi del caso].
In realtà - osserva R. Penrose - non è così. Ciò che la probabilità quantistica p - calcolata in
entrambi i modi [avanti nel tempo e indietro nel tempo] - descrive è la probabilità di trovare il
risultato... in 0 dato il risultato...in 0'. Questa non è esattamente uguale alla probabilità del risultato
in 0', dato il risultato in 0. Quest’ultimo è in realtà quello che dovrebbe ottenere la nostra meccanica
quantistica col tempo invertito.
E' notevole – aggiunge - quanti fisici sembrino supporre tacitamente che queste due probabilità
siano uguali (Io stesso mi sono reso colpevole di questo assunto...). Queste due probabilità sono
però verosimilmente molto diverse tra loro e solo la prima viene data correttamente dalla meccanica
quantistica!”349.
Per esemplificare, egli propone un esperimento ideale: una lampada emette in modo casuale un
fotone alla volta su uno specchio semiargentato inclinato di 45° rispetto alla traiettoria del fotone
stesso; una fotocellula registra gli eventuali arrivi; parallelamente alla traiettoria sono disposte due
pareti del laboratorio [non riflettenti]; lo specchio semiargentato è tale da riflettere esattamente la
metà dei fotoni che lo colpiscono e da trasmetterne l'altra metà, del tutto a caso (casualità
irriducibile).
Più esattamente, in termini quantistici: “La funzione d'onda del fotone incide sullo specchio e si
scinde in due. C'è un'ampiezza di probabilità di
1
1
per la parte dell'onda riflessa, e di
per la
2
2
parte dell’onda trasmessa. Le due parti devono essere considerate 'coesistenti'...fino al momento in
cui si ritiene che sia stata compiuta un 'osservazione'. A quel punto queste possibilità alternative
coesistenti si risolvono in un'alternativa reale - l'una o l'altra con probabilità date dai quadrati dei
moduli di queste ampiezze, ossia
2
1
2
= ½, in ciascun caso.
Una volta compiuta l’osservazione, risulta che le probabilità che il fotone sia stato riflesso o
349
“La mente nuova dell’imperatore”, op. cit. p. 453-54.
trasmesso, sono state in effetti di ½”350.
Se ci poniamo la domanda: dato che la lampada L abbia emesso, qual è la probabilità che la
fotocellula F registri?
Per rispondere correttamente bisogna elevare al quadrato le due ampiezze di probabilità relative ai
due tragitti possibili: otterremo in tal modo le rispettive probabilità, pari a ½ in entrambi i casi.
Se ora ci poniamo la domanda richiesta dalla inversione (teorica) del tempo “questa domanda
sarebbe: ‘Dato che F registra, qual è la probabilità che L registri?” Se, cioè la fotocellula ha
registrato l’arrivo di un fotone qual è la probabilità che la lampada L registri il fotone che fa il
cammino a ritroso?351
“Notiamo che la risposta sperimentale corretta a questa domanda non è affatto un mezzo, bensì' uno'
[cioè la certezza che L registri].
Se in effetti la fotocellula registra, è praticamente certo che il fotone sia venuto dalla lampada e non
dalla parete del laboratorio!”352 R. Penrose nota che “Nel caso della nostra domanda col senso del
tempo invertito, il calcolo quantomeccanico ci ha dato una soluzione del tutto sbagliata [I/2 anziché
1]
L'implicazione di questo fatto è che, per tali domande nella situazione del tempo rovesciato, non si
possano usare le regole per la parte R [riduzione del vettore di stato, cioè collasso di dovuto alla
misurazione, soggetto alle leggi del caso] della meccanica quantistica.
Nel caso che vogliamo calcolare la probabilità di uno stato passato sulla base di uno stato futuro
noto, otteniamo una risposta sbagliata se cerchiamo di adottare il procedimento standard R di
prendere semplicemente l'ampiezza di probabilità quantomeccanica elevandone al quadrato il
modulo. Questo procedimento funziona - e funziona superbamente bene! - solo per il calcolo di
probabilità di stati futuri sulla base di stati passati! Mi pare chiaro che, su questa base, il
procedimento R non può essere simmetrico rispetto al tempo (e, quindi, per inciso, non può essere
una deduzione dal procedimento simmetrico rispetto al tempo U)”353.
Egli nota, ancora, che risulta irrilevante la considerazione della implicazione dell'aumento
d'entropia nel processo di misura, quando l'esperimento ideale accerta la probabilità di uno stato
passato sulla base di uno stato futuro noto. “Mi sono occupato - egli prosegue - solo
dell'applicabilità del notevole procedimento quantomeccanico, che ottiene probabilità corrette
elevando al quadrato i moduli delle ampiezze. E' un fatto sorprendente che questo semplice
procedimento possa essere applicato nella direzione del futuro senza che sia necessario invocare
350
Ivi, p. 454-455.
Se, invece, non c’è inversione temporale del processo di emissione e ricezione allora il discorso rientra nei canoni
quantistici.
352
Ivi, p. 455-456.
353
Le conclusioni di R. Penrose si accordano con la tesi di L. Landau, secondo la quale “il processo di misura è, per
sua natura, profondamente irreversibile”; “Meccanica quantistica”, op. cit., p. 42; “La mente nuova
dell’imperatore”, op. cit. p. 456.
351
alcun'altra conoscenza di un sistema. In effetti fa parte della teoria che non si possa influire su
queste probabilità; le probabilità della teoria quantistica sono interamente stocastiche!
Se però si tenta di applicare questi procedimenti nella direzione del passato (ossia per retrodire
anziché per predire), si incorre in gravi errori.” In conclusione, “Il procedimento R , quale viene
usato effettivamente, è semplicemente asimmetrico rispetto al tempo”354.
Analogia temporale nelle leggi di natura
Alla luce delle osservazioni di Landau sull'irreversibilità temporale introdotta dal processo di
misura negli eventi quantistici e sulla base della discussione di R. Penrose relativa al calcolo della
probabilità di uno stato passato sulla base di uno stato futuro noto, mi sembra che l'unico modo
ragionevole d'interpretare le leggi di natura sia quello che considera il passato ed il futuro come
tempi soggetti alle stesse leggi: cioè, le leggi che valevano ieri, valgono oggi e presumiamo che
debbano valere anche domani, fino a prova contraria. In questo senso, e solo in questo, passato e
futuro possono considerarsi equivalenti, come hanno dimostrato le verifiche in campo astronomico.
Del resto, è ben noto che le leggi, nella forma puramente matematica, abbiano bisogno d'una
interpretazione fisica, che permetta dei chiari riscontri.
Le leggi fondamentali sono state ideate presupponendo come essenziale alla fisica solo il tempo
come durata.
Quando si considera un pendolo situato in un campo gravitazionale, si sostiene che, in assenza di
attriti, se venisse caricato di energia potenziale e liberato, oscillerebbe in eterno, ripristinando
regolarmente la posizione iniziale. In condizioni ideali, passato, presente e futuro sarebbero del tutto
equivalenti nel processo meccanico di oscillazione del pendolo: ogni istante del passato verrebbe
regolarmente ripercorso nel corrispondente punto dello spazio.
Se il mondo fosse chiuso, essendo ogni sua parte dotata di energia, in un tempo “infinitamente
lungo” si potrebbero riconfigurare stati meccanici qualsiasi: cioè, così come in condizioni ideali il
pendolo potrebbe riacquisire esattamente ogni punto dello spazio - tempo, allo stesso modo il
grande “orologio cosmico” dovrebbe, in un tempo adeguatamente lungo, poter riacquisire ogni
passata configurazione di masse, di posizioni e di velocità, dato che nessuna legge fondamentale lo
vieta.
Non sappiamo se il mondo si chiuderà: è noto, però, che la più accreditata teoria della formazione
del nostro cosmo, quella del “Big-Bang”, considera il tempo come limitato se lo spazio ha curvatura
positiva e la costante cosmologica vale zero. Se lo spazio non ha curvatura positiva, invece, il
tempo risulta infinito, almeno nel modello standard, e lo spazio in perenne espansione.
354
Ivi p. 457.
Nel primo caso non ci sarebbe un tempo infinito per l'attuazione di processi materiali reversibili.
Nel secondo caso, invece, il tempo infinito ci sarebbe; ma con la complicazione di uno spazio
infinito, che renderebbe sempre più improbabili i contatti fra particelle.
Su questa base si può solo dire che è possibile, ma molto improbabile, che il mondo possa
assumere, come un pendolo ideale in condizioni ideali, tutti gli stati passati. Si deve però osservare
che un mondo con un tempo unico, dopo la teoria della relatività di Einstein, non è più una buona
astrazione; ci sono invece tanti sistemi meccanici che, in dipendenza delle loro velocità relative e
dei campi gravitazionali cui sono soggetti, hanno “orologi” che segnano, cioè ritmano, il tempo, e
quindi gli eventi e tutti i processi fisici, in modi particolari, non universali; non esiste un istante
universale del mondo, perché non esiste un sistema privilegiato con un tempo universalmente
valido.
Che cosa potrebbe significare, allora, che il mondo, in un tempo infinitamente lungo, potrebbe,
come un pendolo, ripercorrere tutti gli stati fisici all’indietro? Che l'evoluzione di ogni sistema, con
un proprio ritmo del tempo, potrebbe presentarsi come un film a ritroso?
La seconda legge della termodinamica, afferma che “Durante un qualsiasi processo in cui un
sistema termicamente isolato passa da un macrostato a un altro, la sua entropia cresce, cioè
S0”355.
Tale legge, fondata su basi statistiche, "specifica la direzione in cui si evolvono gli stati di non
equilibrio, [S = K ln, indica il numero degli stati accessibili al sistema termicamente isolato]356.
Tale legge ci dice che l'evoluzione temporale di un sistema isolato termicamente è verso stati di
crescente disordine manifesto, e, in tal senso, stabilisce su base probabilistica una direzione del
tempo dal passato al futuro357.
Se non ci fosse questa manifestazione di irreversibilità, non sapremmo distinguere il passato
dal futuro. Assisteremmo a tazzine di caffè che dopo essere cadute, si ricompongono secondo un
moto coordinato di tutte le particelle, alle foglie che dopo esser cadute si ricongiungono con
l'albero, e via di seguito.
Il film della realtà potrebbe svolgersi in avanti, ma, e con uguale probabilità, anche all’indietro.
Questo è il paradosso che discende dalle leggi fondamentali della natura, per le quali il passato è
indistinguibile dal futuro.
Quando dei sistemi fisici relativamente indipendenti interagiscono implicando azioni grandi rispetto
ad h, gli stati compossibili si mutano in un qualche stato reale: per ogni particella che interagisce
355
356
357
S = Sf –Si.
“Fisica statistica”, op. cit., p. 309.
“Tra realismo e neopositivismo”, op. cit. p. 317; vedi “La mente nuova dell’imperatore”, op. cit. p. 402-405; vedi
“La legge fisica”, op. cit. p. 127-128.
fortemente, si ha il collasso della funzione d'onda dell’intero sistema composto, e, per ciascuno di
questi collassi d'onda vale il discorso, cioè il ragionamento, condotto da R. Penrose a proposito
dell'esperimento ideale condotto con una lampada che emette un fotone alla volta, ricevuto o meno
dalla fotocellula (a seconda che lo specchio semiargentato abbia o no consentito il suo passaggio).
La probabilità che gli eventi quantistici si sviluppino dal passato verso il futuro è differente da
quella inversa. Non c’è una simmetria delle probabilità nell’evoluzione degli eventi avanti e indietro
nel tempo. Il diverso valore del quadrato del modulo dell’ampiezza di probabilità relativa al fotone,
che, partendo da un futuro noto (fotone ricevuto dalla fotocellula), giunge al passato , rispetto al
quadrato del modulo dell'ampiezza di probabilità associata al fotone prima che giunga allo specchio
semiargentato, dovrebbe spingere a riconsiderare la seconda legge della termodinamica come una
legge con un significato più profondo di quello solitamente attribuitole (valore statistico dovuto a
una probabilità riducibile). Risulta infatti che la probabilità, al livello fondamentale, quello
quantico, è diversa nelle due direzioni del tempo. Diversa è anche la probabilità che un sistema,
come per esempio un cristallo andato in frantumi, recuperi la sua integrità nell’ipotesi estrema del
moto inverso di ogni frammento che ha recuperato l’energia dispersa con l’urto, rispetto alla
probabilità di perdere la sua integrità nel cadere da un'altezza critica, per la quale possa rompersi o
non rompersi, a parità di ogni altra condizione controllabile [P di rottura P di ricomposizione se
tutto il processo è invertito].
Se esiste un'altezza critica, per cui ogni determinato cristallo di una certa forma possa rompersi o
non rompersi nel cadere, allora il processo diretto contiene la possibilità della rottura e della non
rottura, cioè di una biforcazione. Se avviene la rottura, il suo processo inverso è unico: sparisce ogni
incertezza e resta solo il determinismo univoco a regolarlo. Nel processo inverso la probabilità di
ricostituzione del cristallo è uguale a 1. Ciò che distingue un processo diretto da uno inverso, in
senso temporale, è che nel secondo spariscono le possibilità alternative, se ve ne erano.
Possiamo ora osservare che se la seconda legge della termodinamica non fosse soltanto una legge
statistica ma una legge fondamentale della natura, allora il processo inverso di ricostituzione dei
cristalli rotti sarebbe vietato, perché in tal caso il numero degli stati accessibili al sistema cristallorotto andrebbe diminuendo fino ad acquisire il macrostato corrispondente alla perfetta integrità.
Nel libro intitolato “Filosofia naturale della causalità e del caso”, M. Born ricorda che le nozioni di
caso e di probabilità vennero introdotte nella fisica con lo sviluppo della teoria cinetica dei gas,
anticipato parzialmente da Daniel Bernoulli nel 1738, ma realizzatosi significativamente nel XIX
secolo. Egli nota che la teoria cinetica dei gas “si proponeva di spiegare le proprietà meccaniche e
termodinamiche di un gas mediante il comportamento medio delle molecole”, e che “Venne
elaborata a tale scopo un'ipotesi statistica, spesso chiamata 'principio del caos molecolare': per un
gas 'ideale’ contenuto in un recipiente chiuso e in a assenza di forze esterne, tutte le posizioni e tutte
le direzioni di velocità delle molecole sono ugualmente probabili”358.
Il che trova la sua giustificazione nella considerazione che non c’è alcuna ragione fisica per cui una
posizione o una direzione di velocità debba essere “scelta” a preferenza delle altre: tutte le posizioni
e tutte le direzioni sono ugualmente accessibili, dunque hanno la stessa possibilità e probabilità di
essere scelte.
M. Born osserva che “la teoria cinetica produsse in abbondanza risultati numerici verificabili”; si
domanda, quindi, “come è possibile che delle considerazioni probabilistiche possano essere
sovrapposte alle leggi deterministiche della meccanica, senza che vi sia contraddizione?”359.
Risponde che “Queste leggi [meccaniche] connettono lo stato ad un istante t (qualsiasi) con lo stato
iniziale, nell'istante t0, mediante equazioni defìnite. Esse non implicano tuttavia, egli osserva, alcuna
restrizione per lo stato iniziale [cioè posizioni e velocità si suppongono perfettamente definibili in
linea di principio, mentre le relazioni di Heisenberg (o relazioni d'incertezza, o principio
d'indeterminazione) impongono un limite ben preciso alla descrizione obiettiva delle due grandezze
coniugate posizione e velocità, considerate nello stesso istante, misurate cioè nello stesso istante]360.
Questo [stato iniziale], in ogni circostanza concreta, deve essere determinato dall'osservazione. Le
osservazioni però non hanno un'esattezza assoluta; i risultati delle misurazioni subiranno delle
dispersioni, secondo la legge di Gauss degli errori sperimentali [la nota curva a campana].
Trattandosi poi delle molecole del gas - egli prosegue - la situazione è spinta all'estremo: infatti a
causa della piccolezza delle molecole e del loro numero stragrande, si ignora quasi completamente
lo stato iniziale. Gli unici fatti conosciuti sono la restrizione geometrica della posizione di ogni
molecola per opera delle pareti del recipiente, e alcune grandezze fisiche di natura alquanto
generica, come la pressione risultante e l’energia totale: molto poco - egli nota – di fronte al numero
delle molecole (1019 per cm3)”361.
A causa della scarsissima conoscenza del sistema di molecole vengono introdotte considerazioni
probabilistiche: “Risulta dunque legittimo applicare delle considerazioni probabilistiche allo stato
iniziale, per esempio l'ipotesi del caos molecolare. Il comportamento statistico di qualsiasi stato
futuro è allora determinato completamente da leggi meccaniche”362.
Nella teoria cinetica dei gas venne, dunque, introdotta una probabilità dovuta alla ignoranza dello
358
359
360
361
362
“Filosofia naturale della causalità e del caso” op. cit. p. 66.
Ivi p. 36.
Bohr, riflettendo sui limiti concettuali imposti dalle relazioni d’indeterminazione, trovò delle ragioni fisiche che li
“giustificavano”: “egli sottolineò che i procedimenti sperimentali necessari per determinare grandezze incompatibili
con precisione maggiore di quella consentita dalle relazioni di indeterminazione e, analogamente, i procedimenti
sperimentali necessari per mettere in evidenza gli aspetti corpuscolari e gli aspetti ondulatori dei processi fisici
risultano, di fatto, impossibili da realizzare simultaneamente”. “Un’occhiata alle carte di Dio”, op. cit., par. “La
complementarità di Bohr” p. 67.
Ivi p. 67.
i , E c , P
.. . ] . “Filosofia nat. della
Le leggi meccaniche sono, però, relative ai valori medi delle variabili: [ V
causalità e del caso”, op. cit. p. 67.
stato del sistema; stato che, in linea di principio, si riteneva di poter descrivere obiettivamente con
grande precisione, fornendo cioè posizioni e velocità di ogni singola particella in un dato istante
(dirà, infatti, Heisenberg: solo la necessaria incertezza delle relazioni d'indeterminazione –
concernenti, nel nostro caso, posizioni e velocità - mancavano alla fisica classica).
La teoria cinetica dei gas utilizzava una probabilità riducibile, eliminabile, almeno in linea di
principio.
Nulla impediva, nella fisica, di pensare che un giorno si potesse “fotografare” il sistema di molecole
o atomi, ricavandone posizioni e velocità di ogni singola particella in un dato istante.
Ben diversa è la probabilità introdotta nella fisica quantistica: si tratta infatti di una probabilità
interamente stocastica, cioè irriducibile in linea di principio; che non dipende dall'ignoranza del
sistema ma dalle leggi del caso, cui i sistemi quantici (molecole, atomi, elettroni...) obbediscono
quando le grandezze loro associate vengono misurate.
Le relazioni d'incertezza costituiscono una ragione fondamentale e ineludibile, per la quale è
necessario utilizzare il concetto di una probabilità irriducibile: cioè non eliminabile in linea di
principio.
Se consideriamo, per esempio,le due grandezze coniugate p e q (quantità di moto p=mv e posizione)
sappiamo che vale per esse la relazione d'ìncertezza px qx .
Indicando h l'azione minima possibile in natura (la nota costante universale di Planck), se in un
certo istante si misura con grande precisione la quantità dì moto [p=mv], allora risulterà
necessariamente incerta la posizione della particella; vale anche il viceversa: ciò dipende dal fatto
che il prodotto delle incertezze su indicate non può essere minore del quanto d'azione h, costante
fondamentale e universale della natura implicata in ogni emissione e assorbimento di energia.
Perciò, quando si misura con precisione la quantità di moto, non resta che descrivere con una
distribuzione di probabilità la posizione della particella, che può essere trovata, con diverse
probabilità, in vari punti dello spazio. Di tale descrizione si occupa il quadrato del modulo della
funzione d'onda associata alla particella.
Un'altra relazione d'incertezza, che ha fatto discutere Einstein con Bohr nel 1930, è costituita da E
t : la misura precisa dell'energia di un oggetto [cioè E ~0], implica necessariamente che sia
imprecisa la misura del tempo, in cui avviene la misura stessa, e viceversa363.
'
Dalla precedente relazione se ne ricava un'altra importante: ( v x −v x ΔP x ~ / Δt , la quale, da un
lato, dice che la misura della quantità di moto (p) di una particella è strettamente legata alla
variazione della sua velocità, in due misurazioni distanti t, e che la variazione necessariamente è
tanto più grande quanto più piccolo l'intervallo t; dall’altro mostra che non è ripetibile, a brevi
363
Vedi “I misteri del tempo”, op. cit., p. 91-99.
intervalli di tempo (piccoli t), la misura della quantità di moto di una particella elementare legata
(per es. l’elettrone nell'atomo). Lev Landau nota che qui appare chiara “la natura ‘duplice’ della
misurazione nella meccanica quantistica: la necessità di fare distinzione tra il valore misurabile di
una grandezza e il valore dato dal processo di misura”364.
Dicevo del problema della irreversibilità nella termodinamica e sono giunto a parlare
dell'irreversibilità dei procesi di misura nella meccanica quantistica, la quale porta ad “una
inequivalenza fisica delle due direzioni del tempo”365.
Le relazioni di indeterminazione definiscono delle incertezze nel comportamento della natura,
impongono la descrizione probabilistica di certe grandezze coniugate 366 (incompatibili) e rivelano
che il caso è qualcosa di ineliminabile e fondamentale nel comportamento della natura. Esse
rivelano il contenuto fisico dell'apparato matematico della meccanica quantistica, secondo quanto
osservato da Landau.
Dunque la probabilità irriducibile caratterizza anche i sistemi termodinamici. Dato che interazioni
equivalenti a quelle dovute all’azione non trascurabile dello “strumento di misura” sull’oggetto
quantistico sono implicate anche in una comune scatola contenente miliardi di molecole di gas,
l’indeterminazione generata da una precisa localizzazione casuale di alcune molecole di gas,
comporta l’impossibilità, in linea di principio, di eliminare i comportamenti probabilistici delle
molecole localizzate con precisione da altre molecole, casualmente raggruppatesi “contro” le
molecole urtanti. Gli spigoli della scatola, inoltre, possono localizzare molto bene singole molecole.
Le relazioni di indeterminazione vietano di prescrivere contemporaneamente valori iniziali esatti a
tutte le quantità di moto (p 1, p2, p3, …, pn,) e a tutte le posizioni (q 1, q2, ….qn): non è possibile, in
linea di principio, una completa conoscenza del moto nel senso definito dalla meccanica classica. Se
tale ragionamento è corretto, la irreversibilità della termodinamica non deve essere attribuita
all’ignoranza dei dettagli concernenti il sistema di molecole, ma è giustificata dall’impossibilità di
principio di assegnare contemporaneamente posizioni e quantità di moto esatti a tutte le particelle
del sistema367.
Mi sembra ora opportuno riprendere le considerazioni di M. Born sulla teoria cinetica dei gas,
sull’irreversibilità del tempo e sul ruolo del caso.
364
365
366
367
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 42 e 196.
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 42 e196.
Grandezze coniugate incompatibili sono, per esempio, posizione e quantità di moto, energia e tempo, cioè coppie
di grandezze meccaniche che non possono, in linea di principio, essere determinate esattamente nello stesso istante.
Posizione
e
quantità
di
moto
sono
incompatibili
soltanto
lungo
lo
stesso
asse:
ΔxΔp x≥ ; ΔyΔp y ≥ ; ΔzΔp z ≥ . Cfr. “Meccanica quantistica”, op. cit., p. 68. Notiamo che il prodotto
delle due indeterminazioni nelle stesse componenti è connesso con la legge fondamentale di L. de Broglie: λp=h.
Infatti, ΔxΔpx≥ λp=h
Confronta “Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit. p. 123; vedi anche l’idea di fondo che
caratterizza la teoria “GRW”, in “Un’occhiata alle carte di Dio”, op. cit., p. 364-372. Con mia grande sorpresa,
questa recente lettura mi ha mostrato, con un percorso diverso dal mio, che le localizzazioni casuali possono essere
sostenute validamente.
Osserva M. Born che la meccanica statistica [nata con la teoria cinetica dei gas] “ha trovato la
propria giustificazione spiegando moltissimi fenomeni effettivi. Fra questi vi sono le fluttuazioni e i
moti browniani, ai quali Einstein applicò la sua teoria 368 [dei moti browniani]. Questa era basata su
ipotesi statistiche inerenti alla teoria cinetica dei gas, caratterizzata dall'ipotesi corpuscolare della
materia; ipotesi tutt'altro che scontata intorno al 1900”.
In tale periodo “gli atomi e le molecole erano lungi dall'essere delle entità concrete...:vi erano
ancora dei fisici che non credevano in essi. Dopo gli studi di Einstein [sul moto browniano)] questo
non fu più possibile. Le minuscole particelle visibili sospese in un gas o in un liquido (soluzione
colloidale) costituiscono dei corpi di prova abbastanza piccoli per rivelare la struttura granulare del
mezzo circostante mediante il loro movimento irregolare. Einstein dimostrò che le proprietà
statistiche di questo movimento (densità media, spostamento quadratico medio nel tempo...)
concordano qualitativamente con le previsioni della teoria cinetica. Perrin diede in seguito la
conferma di questi risultati con misurazioni esatte e ottenne il primo valore attendibile del numero
N di Avogadro.… Da quel momento in poi - nota M. Born - la teoria cinetica e la meccanica
statistica ebbero un fondamento definitivo.
Oltre a questo risultato fisico - egli aggiunge -, la teoria di Einstein dei moti browniani ebbe una
conseguenza importantissima per la metodologia scientifica in generale. L'accuratezza della
misurazione dipende dal grado di sensibilità degli strumenti impiegati, e questo a sua volta dipende
dalla dimensione e dal peso delle parti mobili e dalle forze di compenso su di esse. Prima di
Einstein si ammetteva tacitamente che il progresso in questa direzione fosse limitato soltanto dalla
tecnica sperimentale; in seguito risultò invece evidente che le cose non stavano così. Se un
indicatore, come l'ago di un galvanometro, è troppo piccolo, oppure se la fibra di sospensione è
troppo sottile, l'ago non sarà mai in quiete, ma sarà soggetto ad un movimento di tipo browniano; il
che venne di fatto osservato. Fenomeni analoghi rivestono molta importanza nella moderna tecnica
elettronica, in cui il limite dell’osservazione è dato dalle variazioni irregolari che si possono udire
come ‘disturbi’ in un altoparlante.
Vi è un limite di osservabilità - egli conclude - dato dalle stesse leggi della natura” 369. Dunque, già i
moti browniani, estesi agli strumenti di misura, consentivano di riconoscere un limite naturale in
tutte le osservazioni finissime, come nota Born più avanti370.
Quello dovuto al moto browniano è un limite naturale anche nella precisione delle misure
macroscopiche, al quale si pone parziale rimedio effettuando molte misure della grandezza che
interessa, ricavando da queste la distribuzione statistica gaussiana (curva di distribuzione a
campana), e calcolando, infine, lo scarto quadratico medio rispetto alla media dei valori (che, per la
368
369
370
“Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit. p. 84.
“Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit. p. 84, 85.
Ivi p. 95.
simmetria della curva, sta in posizione centrale).
Mancava invece un limite naturale irriducibile nella teoria cinetica dei gas e nella termodinamica
fondata su di essa: infatti, posizioni e velocità delle particelle libere, o anche interagenti, erano poste
come conoscibili in linea di principio contemporaneamente, e solo l’impossibilità momentanea
impediva di “fotografarle” con esattezza nello stesso istante.
Nelle equazioni che riguardano la descrizione delle particelle libere e quella delle particelle
interagenti (collisioni)371 la direzione del tempo è indifferente.
Quindi, nella termodinamica classica “l’irreversibilità [S maggiore o uguale a zero, e dS/dt 0] è…
una conseguenza dell'introduzione esplicita dell'ignoranza nelle leggi fondamentali.»372, ragion per
cui H. Poincaré sosterrà, contro Boltzmann, la reversibilità teorica dei processi della natura , almeno
in un tempo infinito.
Osserva M. Born che “l’irreversibilità può venir compresa solo supponendo esplicitamente che una
parte del sistema non sia soggetta alla causalità. Si deve abbandonare la condizione che il sistema
sia chiuso, ossia che le posizioni e le velocità di tutte le particelle siano sotto controllo [conosciute
cioè con esattezza]. La cosa notevole - egli aggiunge - è che basta supporre una sola particella non
sottoposta a tale controllo”373.
In tal caso, infatti, l’entropia del sistema di N delle N+1 particelle risulta crescente oppure costante.
Lo stesso risultato si ottiene, a maggior ragione , se il sistema di N particelle viene ad interagire con
più particelle di cui non sia perfettamente definita o la posizione o la velocità374.
L'aumento dell'entropia S “continua fino a raggiungere l'equilibrio statistico , e si può dimostrare che
la distribuzione finale è quella canonica: fn= e-, H (p,q) = E375.
Questo risultato costituisce, secondo me, la risposta definitiva al problema… circa il modo di
riuscire a conciliare la reversibilità della meccanica classica con l’irreversibilità della
termodinamica.
Tale irreversibilità proviene dalla deliberata rinuncia al requisito che il destino di ogni singola
particella sia determinabile con esattezza"376.
Già l'esistenza dei moti browniani e la loro influenza nei processi di misura, anche condotti su scala
macroscopica, pone un limite naturale a tutte le osservazioni; ma ancor più si precisa il limite
dell'esattezza raggiungibile in natura nelle relazioni d'indeterminazione.
Come sappiamo, quanto più è fine la misura delle grandezze che definiscono il comportamento
delle particelle elementari, tanto più l'influenza dell'azione del misurare è non trascurabile rispetto
371
Vedi L. Landau “Meccanica”, Ed. R. p. 198; vedi “Filosofia naturale della causalità e del caso” op. cit., p. 75 e 94, 122 e
123.
372
Ivi, p. 94.
Ivi, p. 94.
“Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit., p. 94.
[fn=ce-, 1/kT], E= Ec + V.
“Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit. p. 95.
373
374
375
376
al comportamento fisico della particella stessa. Misure molto precise della posizione di una
particella, se sono eseguite ad una distanza di tempo molto piccola, non mostrano mai una
traiettoria: non tendono affatto a disporsi su una retta, ma presentano tra loro una relazione
puramente casuale, e, perciò, non solo crolla il concetto di traiettoria della fisica classica, ma,
insieme ad esso, cade pure il concetto classico di velocità, strettamente connesso all'idea di una
traiettoria continua che si sviluppa nel tempo [velocità come il "limite al quale tende il quoziente
della differenza delle coordinate in due istanti per l'intervallo t tra questi istanti”, mentre t tende a
zero, (ds/dt, s(t))]377.
In meccanica quantistica è stato necessario usare un'altra definizione di velocità, diversa da quella
classica. Risulta che, “Mentre nella meccanica classica una particella possiede, ad ogni istante,
coordinate e velocità determinate (cioè misurabili, in teoria, con grande esattezza), le cose stanno
diversamente nella meccanica quantistica. Se, in seguito ad una misura, l'elettrone si è visto
assegnare coordinate determinate, esso allora
non ha, in generale, nessuna velocità determinata. Viceversa, se è dotato di una velocità
determinata, l'elettrone non potrà avere una posizione determinata nello spazio. Infatti, l'esistenza
simultanea ad ogni istante delle coordinate e della velocità significherebbe l'esistenza di una
traiettoria determinata che l'elettrone non ha. Di conseguenza, nella meccanica quantistica le
coordinate e la velocità dell'elettrone sono grandezze che non possono essere misurate con
precisione allo stesso istante, cioè non possono avere simultaneamente valori determinati 378. Si può
dire che le coordinate e la velocità dell'elettrone sono grandezze esistenti non simultaneamente”379.
Da ciò discende che la descrizione quantistica dello stato di un sistema fisico è meno dettagliata di
quella della fisica classica.
Le relazioni d'indeterminazione, definiscono il limite entro cui ha senso fisico parlare di posizione e
velocità: Δp x Δq x ≥ ; px indica la quantità di moto lungo la direzione x; q x indica la posizione
lungo la direzione x.
Tale relazione fondamentale significa che il prodotto dell'incertezza associata alla misura della
quantità di moto lungo la direzione x, per l'incertezza associata alla misura della posizione, rispetto
alla coordinata x, non può essere inferiore al valore del quanto d'azione: dunque, se si misura con
grande esattezza l'impulso, risulterà necessariamente indeterminata la posizione, in quello stesso
istante; e viceversa. L'interazione della particella elementare con l'apparato di misura rivela, da un
lato, il limite entro cui possono essere utilizzati fisicamente i concetti di quantità di moto e di
posizione in una descrizione simultanea del microogetto, dall’altro mostra un'irriducibile casualità
377
378
379
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 19.
Dato che =h/p (equazione fondamentale della meccanica ondulatoria), se la velocità è ben definita, lo sarà anche
l’onda associata alla particella, perciò la sua localizzazione risulterà mal definita necessariamente.
“Meccanica quantistica”, op. cit. p. 19.
nel comportamento dei microoggetti: infatti, quando si misura con grande esattezza l'impulso di una
particella, della posizione si può solo dare una descrizione probabilistica mediante una funzione di
distribuzione di probabilità, basata sui risultati noti delle misure precedenti.
Quindi, la fisica quantistica ha scalzato l'idea che, anche nel caso di una sola particella (elettrone,
protone, atomo...), sia possibile una descrizione esatta in termini di posizioni e quantità di moto380.
Neanche le posizioni successive di una sola particella, per un intervallo t molto piccolo,
individuano una traiettoria.
Infatti succede che “quanto maggiore è la precisione nell'esecuzione della misura tanto maggiore è
il carattere caotico e casuale dei risultati, data l'assenza di una traiettoria per l'elettrone”, o altra
particella elementare381.
Da ciò segue, credo, che, nella termodinamica l'irreversibilità dei processi termodinamici
non debba più essere attribuita alla semplice ignoranza dello stato di ogni singola particella, ma
debba, invece, essere vista come la conseguenza necessaria di una fondamentale incertezza di
comportamento fisico a livello di posizioni e velocità in uno stesso istante.
Risulta che, all’interno di un sistema di molte particelle, basterebbe anche che una sola particella
non avesse, istante per istante, posizioni e velocità determinate, per ottenere un'evoluzione
termodinamica irreversibile382.
A maggior ragione si deve sostenere l'irreversibilità dell'evoluzione di un sistema termodinamico se
tutte le particelle non possiedono, istante per istante, posizione e velocità perfettamente determinate.
Nella meccanica classica era, in linea di principio, ritenuto possibile descrivere in modo completo lo
stato di un sistema fisico, assegnando in un dato istante sia le posizioni che le velocità di tutte le
parti del sistema, invece “Nella meccanica quantistica una tale descrizione è impossibile in linea di
principio perché le coordinate e le velocità corrispondenti non esistono simultaneamente. Perciò la
descrizione dello stato di un sistema quantistico viene realizzata operando con un numero minore di
grandezze che nella meccanica classica, cioè è meno dettagliata che la descrizione classica.
Ne deriva - aggiunge Landau - una conseguenza molto importante per il carattere delle previsioni
che si fanno nella meccanica quantistica.
Mentre la descrizione classica è sufficiente per predire con precisione completa il moto di un
sistema meccanico nel futuro, la descrizione meno dettagliata nella meccanica quantistica non può,
evidentemente, essere a ciò sufficiente. Ciò significa che se l'elettrone si trova in uno stato descritto
nel modo più completo possibile, nondimeno il suo comportamento agli istanti successivi non è
380
381
382
Le relazioni d’incertezza ci dicono anche che una descrizione esatta della natura può essere realizzata, in linea di
principio, in modi alternativi, o mediante le sole posizioni e ciò che vi è connesso (energia potenziale) o mediante le
sole velocità e ciò che vi è connesso (energia cinetica, lunghezza d’onda).
V. “Meccanica quantistica”, op. cit. p., 18.
Cfr. “Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit., p. 94, 95.
essenzialmente univoco. La meccanica quantistica non può quindi fare previsioni strettamente
rigorose sul comportamento futuro dell'elettrone."383 E, precisando, Landau nota che:
“Dato uno stato iniziale dell'elettrone [che, per le relazioni d'indeterminazione, non può essere in un
qualunque istante, completamente definito nella posizione e nella quantità di moto e neppure può
essere esattamente stabilita, in uno stesso istante, la sua collocazione temporale e la sua energia],
una misura ulteriore può fornire risultati diversi.
Il compito della meccanica quantistica è soltanto di determinare la probabilità di avere uno o un
altro risultato di una misura384.
Egli osserva, a proposito dei processi di misura, che in meccanica quantistica, essi si possono
dividere in due categorie: “Nell'una - che abbraccia la maggior parte delle misure, entrano i processi
di misura che per nessuno stato del sistema conducono con certezza ad un risultato univoco.
Nell'altra categoria, invece, entrano i processi di misura per ogni risultato dei quali esiste uno stato
nel quale la misura conduce con certezza a questo risultato. Sono precisamente questi ultimi
processi di misura, che possono essere chiamati prevedibili, ad avere un'importanza fondamentale
nella meccanica quantistica"385.
Nota ancora, in generale, che nella meccanica quantistica è tutt'altro che vero che ogni insieme di
grandezze
fisiche
possa
essere
misurato
contemporaneamente,
cioè
che
possa
avere
contemporaneamente valori determinati (abbiamo già dato l'esempio della velocità e delle
coordinate dell'elettrone)386.
E' evidente che queste osservazioni sui caratteri generali della fisica quantistica contribuiscono
fortemente ad assegnare al caso un ruolo importante nell'interpretazione della natura ed uno
specifico nella spiegazione dell'irreversibilità dell'evoluzione termodinamica di un sistema di N
particelle.
M. Born sulla irreversibilità nelle leggi del moto.
Mi sembra che, in modo coerente, M.Born possa affermare che “L'esempio dei gas ci ha già
mostrato che l'introduzione del caso e della probabilità nelle leggi del moto, elimina la reversibilità
ad esse inerente, ovvero, in altre parole, porta ad una concezione del tempo che possiede una
direzione definita e soddisfa al principio di antecedenza nella relazione causa-effetto”387.
La irreversibilità della termodinamica viene dalla consapevolezza che “il destino di ogni singola
383
384
385
386
387
Non si possono fare neppure “retrodizioni” esatte e complete come quelle immaginate dal Laplace, a partire dal
presente, perché i limiti stabiliti dalle relazioni di indeterminazione sono fondamentali e, perciò, sono validi in
qualunque tempo. “Meccanica quantistica”, op. cit., p. 19.
“Meccanica quantistica”, op. cit, p. 20.
“Meccanica quantistica”, op. cit, p. 20.
Ivi, p. 20.
“Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit., p. 93.
particella” non sia, in linea di principio, determinabile con esattezza; il che è stabilito dalle relazioni
di indeterminazione.
Possiamo ora sostenere che la validità della seconda legge della termodinamica [per la quale
l'entropia di un sistema di particelle cresce, purché sia isolato, fino a raggiungere l'equilibrio
termico: vale a dire che il numero degli stati accessibili a un sistema isolato cresce fino a quando il
sistema stesso non ha raggiunto l'equilibrio termico, per il quale S = 0; cioè S, all'equilibrio, è
costante] non dipende dall'ignoranza delle posizioni e velocità delle singole particelle di un sistema
in un qualunque istante; dipende, invece, dal limite fondamentale che le relazioni
d'indeterminazione riconoscono nel comportamento della natura.
Dunque il comportamento dei microoggetti richiede, non per la nostra ignoranza dei dettagli, ma per
l'obiettivo comportamento incerto che li caratterizza, che venga necessariamente introdotta, nella
loro descrizione, la probabilità: probabilità irriducibile, che riguarda il futuro, ma ha riguardato i
possibili comportamenti dei microoggetti anche nel passato.
Tale probabilità giustifica l'irreversibilità temporale dei processi termodinamici di non equilibrio, e
fornisce alla seconda legge della termodinamica il valore di una legge di natura, valida non solo
nella stragrande maggioranza dei casi, ma sempre.
Dunque, se il ragionamento è valido, era giusta l'intuizione di Boltzmann in relazione all'evoluzione
di un sistema isolato; è, invece, risultata problematica l'idea di H. Poincaré della reversibilità dello
stato di un sistema in un tempo infinito 388, sia perché egli fondava la sua tesi sul presupposto che
ogni particella fosse dotata, in ogni istante sia di posizione ben definita che di velocità ben definita;
il che, per le relazioni di indeterminazione non può essere; sia perché del tempo non sappiamo
ancora abbastanza. La tesi di Poincaré non distingue tra l’idealizzazione matematica del mondo
( che permette un determinismo assoluto e la reversibilità totale della natura ), e il mondo reale, che
non può essere totalmente ridotto alla dinamica dei punti geometrici.
La casualità, l’incertezza di comportamento, è risultata essenziale alla natura, e, perciò non si può
evitare la descrizione in termini di probabilità.
Nessuna misura fisica può evitare di incontrare i limiti d'esattezza delle relazioni d'incertezza
stabilite da Heisenberg, se vuole essere una misura il più possibile esatta, e, quindi, nessuna
descrizione molto fine di grandezze coniugate incompatibili può evitare di usare un probabilità
irriducibile.
Gli strumenti per le misure di precisione sono tutti sensibili al moto browniano, il quale aggiunge
388
Poincarè avrebbe forse obiettato che qualunque stato di un sistema di particelle, anche parzialmente definito,
potrebbe, in un tempo infinito, ritornare, perché le leggi fondamentali della fisica non lo impediscono. Max Born,
però, ha rilevato che “l’introduzione del caso e della probabilità nelle leggi del moto elimina la reversibilità ad esse
inerente”. [“Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit.] Se non esistono posizioni e velocità definite,
istante per istante, in che senso si può parlare di reversibilità degli stati di un sistema? Il concetto (di reversibilità)
non sarebbe definito.
incertezza a quella fondamentale, inevitabile in linea di principio, espressa dalle relazioni
d'indeterminazione.
Nemmeno nelle misure astronomiche fini si può evitare il calcolo dell'errore: ciò sia per le relazioni
di Heisenberg389 sia per i moti browniani “che pongono un limite a tutte le osservazioni, perfino su
scala macroscopica”390.
389
390
Dato che tutte le misure di grandezze fisiche si riducono a misure di posizione, le relazioni di indeterminazione non
si possono evitare. Cfr. “Un’occhiata alla corte di Dio”, op. cit., p. 185.
“Filosofia della causalità e del caso”, op. cit., p. 95.
Il tempo, come irreversibilità, è solo illusione?
Max Born ha sostenuto che “l'introduzione del caso e della probabilità nelle leggi del moto elimina
la reversibilità ad esse inerente, ovvero, in altre parole, porta ad una concezione del tempo che
possiede una direzione definita e soddisfa al principio di antecedenza nella relazione causaeffetto”391.
Dato che Einstein, Feynmann e Hawking hanno sostenuto che il tempo come irreversibilità è solo
illusione, conviene esaminare con accuratezza la tesi secondo la quale l'introduzione del caso e della
probabilità nelle leggi del moto elimina la reversibilità ad esse inerente.
Bisogna tener conto di quanto segue:
1. le leggi del moto della meccanica classica, della meccanica quantistica, della teoria della
relatività sono formalmente simmetriche rispetto al cambiamento di segno del tempo;
2. nella meccanica quantistica non solo le fondamentali equazioni di Schrödinger ma anche la
distribuzione della densità di probabilità (2) non permettono, secondo la maggioranza dei fisici,
di distinguere fra passato e futuro392;
3. l’equazione d'onda, sia nella forma dipendente dal tempo che nella forma indipendente dal
tempo, è costruita in modo simile alle equazioni del moto classiche: “Essa contiene nell'energia
potenziale, che è una parte dell'hamiltoniana, il concetto di forza classico, o, in altre parole,
l'espressione quantitativa newtoniana della causazione...si ha però la sensazione che questi residui
della causalità classica siano provvisori...le difficoltà incontrate nell'applicazione della meccanica
quantistica alle particelle elementari sono connesse con i termini dell'interazione contenuti
nell'hamiltoniana…”393;
4. nella meccanica quantistica è importante distinguere tra il processo di evoluzione deterministico
della funzione d'onda “” e la riduzione del vettore di stato che si ha con il processo di misurazione
(collasso di “”): questo secondo processo è il solo reale ed è soggetto alle leggi del caso:
“gli eventi osservabili obbediscono alle leggi del caso, ma la probabilità per questi stessi eventi si
manifesta secondo leggi che sono, in tutti i loro caratteri sostanziali, leggi causali”394.
5. “Il processo di misura presenta in meccanica quantistica un duplice aspetto: il suo ruolo rispetto
al passato e al futuro è diverso. Rispetto al passato, la misura verifica le probabilità dei diversi
risultati possibili che si possono prevedere partendo dallo stato creato dalla misura precedente.
Rispetto al futuro, essa crea un nuovo stato. Il processo di misura è, quindi, per sua natura,
391
392
393
394
“Filosofia della causalità e del caso”, op. cit., p. 93.
Cfr. “Filosofica naturale della causalità e del caso”, op. cit., p. 130, “Meccanica quantistica”, op. cit., p. 42.
“Filosofia della causalità e del caso”, op. cit., p. 131.
“Filosofia della causalità e del caso”, op. cit., p. 131.
profondamente irreversibile”395.
Tra gli stati potenzialmente accessibili al sistema che deve essere misurato solo uno si determina (si
crea) grazie al processo fisico della misura; e si determina secondo le leggi del caso.
“Questa irreversibilità ha un'importanza fondamentale...
L'irreversibilità del processo di misura introduce.. nei fenomeni quantistici un'inequivalenza fisica
delle due direzioni del tempo, cioè porta ad una differenziazione tra futuro e passato.” 396 Il futuro è
aperto a diversi possibili esiti, il passato no.
6. I processi di misura nella meccanica quantistica si possono collocare in due categorie:
“Nell'una, che abbraccia la maggior parte delle misure, entrano i processi di misura che per nessuno
stato del sistema conducono con certezza a un risultato univoco. Nell'altra categoria, invece, entrano
i processi di misura per ogni risultato dei quali esiste uno stato nel quale la misura conduce con
certezza a questo risultato”397.
7. La relazione d'indeterminazione px qx “vieta di prescrivere valori iniziali esatti a tutte le
p e le q (cioè alle quantità di moto ed alle posizioni rispetto a un riferimento).
Quindi viene meno fin dall'inizio la prima parte del programma 398, cioè una completa conoscenza
del moto nello stesso senso della meccanica classica. Resta però possibile...la previsione
statistica”399.
8. Le relazioni d'indeterminazione vietano di descrivere lo stato delle particelle elementari in
termini classici:
“Se, in seguito ad una misura, l'elettrone si è visto assegnare coordinate determinate, esso allora non
ha, in generale, nessuna velocità determinata. Viceversa, se è dotato di una velocità determinata,
l'elettrone non potrà avere una posizione determinata nello spazio. Infatti, l'esistenza simultanea ad
ogni istante delle coordinate e della velocità significherebbe l'esistenza di una traiettoria
determinata che l'elettrone non ha.
Di conseguenza, nella meccanica quantistica le coordinate e la velocità dell'elettrone sono
grandezze che non possono essere misurate con precisione allo stesso istante, cioè non possono
avere simultaneamente valori determinati. Si può dire che le coordinate e la velocità dell'elettrone
395
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 42. Notiamo che nella maggior parte dei casi le grandezze misurate non
conservano affatto i valori rilevati. La discontinuità degli stati, la sovrapposizione dei molteplici stati solo possibili
tra una misura e l’altra, rende il concetto di reversibilità del tutto impraticabile.
396
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 42.
397
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 20.
398
[Espresso nella nota definizione del determinismo meccanicistico laplaciano, per il quale se in un istante determinato
fossero note con esattezza le posizioni. occupate da tutte le cose dell'universo ed anche le forze che agiscono in natura
in quell'istante, un'intelligenza che le conoscesse esattamente potrebbe racchiudere “in un'unica formula i moti dei corpi
più grandi altrettanto come dei più leggeri atomi del mondo, purché il suo intelletto fosse sufficientemente capace di
sottoporre ad analisi tutti dati…” In tal caso; “per essa nulla sarebbe incerto, il futuro come il passato sarebbero presenti
ai suoi occhi.”]. “Teoria analitica delle probabilità”, op. cit., in “La struttura della scienza”, p. 289.
399
“Filosofia della causalità e del caso”, op. cit. p. 123.
sono grandezze esistenti non simultaneamente”400.
9. “La descrizione dello stato di un sistema quantistico viene realizzata operando con un numero
minore di grandezze che nella meccanica classica, cioè è meno dettagliata che la descrizione
classica”401.
Dunque, “Mentre la descrizione classica è sufficiente per predire con precisione 402 completa il moto
di un sistema meccanico nel futuro, la descrizione meno dettagliata nella meccanica quantistica non
può, evidentemente, essere a ciò sufficiente. Ciò significa che se l'elettrone si trova in uno stato
descritto nel modo più completo possibile, nondimeno il suo comportamento agli istanti successivi
non è essenzialmente univoco. La meccanica quantistica non può quindi fare previsioni strettamente
rigorose sul comportamento futuro dell'elettrone. Dato uno stato iniziale dell'elettrone, una misura
ulteriore può fornire risultati diversi.
Il compito della meccanica quantistica è soltanto di determinare la probabilità di avere uno o un
altro risultato di misura”403.
10. “Il mutamento radicale delle concezioni fisiche del moto nella meccanica quantistica in
confronto alla meccanica classica richiede ....un mutamento altrettanto radicale dell'apparato
matematico della teoria. Quindi, sorge anzitutto il problema del modo di descrizione dello stato
nella meccanica quantistica”404.
Si denota “con q l’insieme delle coordinate di un sistema quantistico e con dq il prodotto dei
differenziali di queste coordinate (detto elemento di volume dello spazio delle configurazioni del
sistema); dq coincide per una particella singola con l'elemento di volume dv dello spazio ordinario.
L'apparato matematico della meccanica quantistica si fonda sulla proposizione che lo stato di un
sistema può essere descritto da una determinata funzione (in generale complessa) (q) delle
coordinate; il quadrato del modulo di questa funzione definisce la distribuzione delle probabilità dei
valori delle coordinate: 2dq è la probabilità che una misura eseguita sul sistema dia valori delle
coordinate contenuti nell'elemento dq dello spazio delle configurazioni. La funzione è detta
funzione d'onda del sistema.
La conoscenza delle funzioni d'onda permette, in linea di massima, di calcolare le probabilità dei
diversi risultati, nonché di ogni misura405 (non necessariamente delle coordinate)”406.
11. “Se la funzione d'onda è nota in un certo istante iniziale, essa sarà…ugualmente definita in tutti
gli istanti successivi.
400
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 19.
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 19.
402
Precisione completa entro i limiti previsti dalla funzione di distribuzione degli errori di Gauss.
403
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 19, 20.
404
Ivi, p. 21.
405
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 21.
406
Inoltre, tutte queste probabilità sono determinate da espressioni bilineari in e *.
La stessa probabilità * dei vari valori delle coordinate è un'espressione di questo tipo. (Ivi, p. 21)
401
La dipendenza effettiva della funzione d'onda dal tempo è determinata da equazioni...”407.
12. “La base del contenuto positivo della meccanica quantistica è costituita da una serie di
affermazioni relative alle seguenti proprietà della funzione d'onda.
Supponiamo che nello stato con funzione 1 (q) una misura porti con certezza a un risultato
determinato (risultato l), e nello stato 2 (q) al risultato 2. Si ammette allora che ogni combinazione
lineare di 1 e 2, cioè ogni funzione della forma c11 + c22 (c1 e c2 sono costanti) descriva uno
stato in cui la stessa misura dà o il risultato 1, o il risultato 2. Si può affermare, inoltre, che, se si
conosce la dipendenza degli stati dal tempo, che per il primo caso è data dalla funzione 1 (q,t) e
per il secondo caso da 2 (q,t) allora qualsiasi combinazione lineare di queste funzioni dà
ugualmente una dipendenza possibile di uno stato dal tempo. Queste affermazioni costituiscono il
contenuto del cosiddetto principio di sovrapposizione degli stati, il principio positivo fondamentale
della meccanica quantistica”408.
13. “Nella fisica classica si potrebbe con una investigazione accurata considerare anche l'errore
d'osservazione. Si otterrebbe come risultato una distribuzione di probabilità per i valori iniziali delle
coordinate e delle velocità e quindi qualcosa di molto simile alla funzione di probabilità della
meccanica quantica. Soltanto la necessaria incertezza dovuta alle relazioni d'incertezza manca nella
fisica classica”409.
14. “…La funzione di probabilità non rappresenta di per sé un corso di eventi svolgentisi nel corso
del tempo. Rappresenta soltanto una tendenza per gli eventi e per la nostra conoscenza di essi.
La funzione di probabilità può essere connessa con la realtà soltanto se si adempie ad una
condizione essenziale: se viene fatta una nuova misurazione per determinare una certa proprietà del
sistema. Soltanto allora la funzione di probabilità ci permette di calcolare il risultato probabile della
nuova misurazione”410.
15. Tra due osservazioni (misurazioni) “non vi è alcuna descrizione possibile di ciò che accade al
sistema fra l'osservazione iniziale e la nuova misurazione.”
Con un’altra serie di misurazioni si passa “dal 'possibile' al 'reale'”411.
16. “Nel caso che vogliamo calcolare la probabilità di uno stato passato sulla base di uno stato
futuro noto, otteniamo una risposta sbagliata se cerchiamo di adottare il procedimento standard R di
prendere semplicemente l'ampiezza di probabilità
quantomeccanica elevandone al quadrato il
modulo. Questo procedimento funziona solo per il calcolo di probabilità di stati futuri sulla base di
407
408
409
410
411
“Meccanica quantistica”, op. cit., p. 21e 22.
Ivi, p. 22.
“Fisica e filosofia”, op. cit., p. 59.
Sull’articolazione e significato del processo di misura si veda “Meccanica quantistica”, op. cit. p. 39-42; “Fisica
quantistica e problemi filosofici” in “L’interpretazione materialistica della meccanica quantistica”, op. cit., p. 299301; “Fisica e filosofia”, op. cit. p. 59,60.
Ivi, p. 60.
stati passati”412.
CONCLUSIONE
Mi pare che, sulla base delle precedenti affermazioni, si possa intanto concordare con il giudizio di
M. Born sulla meccanica quantistica, che cioè essa sia una teoria «apertamente e spudoratamente
statistica e indeterministica che, però, non elimina il concetto di causalità ma “soltanto
un'interpretazione tradizionale di essa, che la identifica col determinismo»413.
Sappiamo che non si può dire che cosa accade tra due osservazioni, se si opera con oggetti
dell'ambito quantistico; sappiamo che il concetto di traiettoria non può essere conservato nella
meccanica dei quanti, e, dunque, non può essere sostenuto neanche il concetto di una inversione di
traiettoria: tra due osservazioni, al microoggetto è associata un'onda di probabilità, una
distribuzione di probabilità, riguardante i diversi stati sovrapposti del microoggetto, nel tempo [stati
che chiamerei compossibili].
Circa l'evoluzione del sistema quantistico tra due osservazioni, si può solo dire che la funzione di
distribuzione che la descrive come sovrapposizione lineare di stati, “Rappresenta soltanto una
tendenza per gli eventi e per la nostra conoscenza di essi”414.
Riguarda, quindi, la possibilità obiettiva di uno sviluppo, non lo sviluppo reale. La funzione di
distribuzione associata al microoggetto è formalmente simmetrica rispetto al tempo, cioè va
ugualmente bene per il futuro come verso il passato, il che la accomuna alla funzione di
distribuzione della meccanica classica.
Ma, dopo le considerazioni di Landau sulla irreversibilità introdotta dal processo di misura e di
Roger Penrose a proposito dell'esperimento ideale condotto con lampada, specchio semiargentato e
fotocellula, non credo che si possa più sostenere tranquillamente che la funzione di distribuzione sia
valida allo stesso modo verso il futuro e verso il passato: infatti, posto che il fotone partito dalla
lampada sia giunto alla fotocellula, la probabilità, vista dal futuro noto, che il fotone sia partito dalla
lampada non vale ½, come prima che passasse attraverso lo specchio; bensì vale 1, cioè la
certezza415.
A nulla vale l'obiezione416, che si verifichi, nell'inversione del procedimento di misurazione, un
412
413
414
415
416
In “La mente nuova dell’imperatore”, op. cit, p. 456.
“Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit., p. 129.
“Fisica e filosofia”, op. cit. p. 59.
““La mente nuova dell’imperatore”, op. cit, p. 456.
Contro la tesi che “il procedimento R (collasso di “”) non può essere simmetrico rispetto al tempo”, (ivi, p. 456 e
457).
aumento di entropia, un'intrusione della seconda legge della termodinamica, che introdurrebbe
“un’asimmetria temporale aggiuntiva non descritta dal procedimento di elevazione al quadrato
dell'ampiezza di probabilità.
…Mi sono occupato solo - egli osserva- dell'applicabilità del notevole procedimento
quantomeccanico, che ottiene probabilità corrette elevando al quadrato i moduli delle ampiezze. E'
un fatto sorprendente che questo semplice procedimento possa essere applicato nella direzione del
futuro senza che sia necessario invocare alcun'altra conoscenza di un sistema. In effetti fa parte
della teoria che non si possa influire su queste probabilità; le probabilità della teoria quantistica
sono interamente stocastiche!417 Se però si tenta di applicare questi procedimenti nella direzione del
passato… si incorre in gravi errori.”418
Nell'esperimento invertito nel tempo, ipotizzato e discusso da R. Penrose, c’è di molto strano che la
categoria della possibilità non ha un posto in cui possa essere sensatamente applicata: se la
fotocellula ha ricevuto il fotone e comincia il cammino a ritroso, le associamo un'ampiezza di
probabilità che traduce questa precisa “situazione sperimentale iniziale”. Questa funzione di
probabilità dovrebbe interpretare un'uguale probabilità per il fotone di orientarsi verso la parete
assorbente B o verso la lampada L, situata oltre lo specchio semiargentato.
Se è così, allora il fotone può essere riflesso verso la parete assorbente del laboratorio e, in questo
caso, occorrerebbe spiegare, invertendo il cammino di nuovo, come mai dalla parete assorbente B
sia stato espulso il fotone giunto sulla fotocellula. La probabilità che la parete B (assorbente) abbia
espulso il fotone è sicuramente “infinitamente” più piccola di quella di emissione da parte della
lampada.
Già questa estrema diversità di probabilità mostra che il procedimento R (collasso di “”), se
interpreta l'effettiva osservazione, non è simmetrico rispetto al tempo. Secondo logica, poi, si deve
dire che, nel cammino inverso, il fotone ha probabilità 1 (certezza) di tornare verso la lampada e
zero di orientarsi verso la parete assorbente B.
Se l'evento descritto da R. Penrose viene idealmente svolto a ritroso, si vede che la funzione di
probabilità associata al fotone dice il falso, perché prevede come ugualmente probabili due
“provenienze” che hanno, invece, valori di probabilità molto diversi.
Il cammino inverso risulterebbe deterministico nello stesso senso ideale in cui Laplace concepiva il
moto dei corpi. La meccanica quantistica, invece, riconosce ampio spazio alla categoria della
possibilità: infatti, interpreta la realtà osservabile mediante funzioni di probabilità, avendo
constatato che “gli eventi osservabili obbediscono alle leggi del caso”, mentre “la probabilità per
questi stessi eventi si manifesta secondo leggi che sono in tutti i loro caratteri sostanziali, leggi
417
418
Le probabilità interamente stocastiche sono irriducibili in linea di principio.
Ivi, p. 457.
causali.”419
In base ai precedenti ragionamenti, mi sembra che l’orientamento di M. Born a considerare le onde
di probabilità “come una cosa reale, certamente come qualcosa di più che uno strumento per calcoli
matematici” sia condivisibile, dato che esse interpretano lo sviluppo possibile dei fenomeni
quantici, indicando, nelle funzioni di probabilità, la misura da associare alle diverse possibilità.
Questo va affermato non solo perché l'onda di probabilità “ha...il carattere di un’invariante
d'osservazione”, in quanto “essa predice i risultati degli esperimenti, e noi ci aspettiamo di trovare
gli stessi numeri medi, le stesse deviazioni medie, ecc., se compiamo effettivamente l'esperimento
molte volte nell'identica situazione sperimentale”420; ma va affermato anche perché le onde di
probabilità interpretano la categoria della possibilità degli eventi in modo corretto, nell'unico senso
possibile nel mondo in cui viviamo: dal passato al futuro421.
Tra una misurazione ed un'altra c'è di mezzo lo sviluppo di un'onda di probabilità che interpreta lo
svolgimento possibile, dal passato al futuro, e non l’inverso sviluppo, che risulterebbe
assolutamente deterministico [contrario, perciò, alle onde di probabilità].
Nel suo libro intitolato “Fisica e filosofia”, Heisenberg spiega che “...l'interpretazione di un
esperimento richiede. tre stadi distinti: 1) traduzione della situazione sperimentale iniziale in una
funzione di probabilità; 2) accompagnamento di questa funzione lungo il corso del tempo [Per tutto
il periodo in cui non si compiono misurazioni sul sistema quantistico, esso è regolato dall'equazione
di Schrödinger nella forma dipendente dal tempo, equazione che delinea un'evoluzione
deterministica della funzione d'onda, se questa è stata definita per un
qualunque
istante
determinato]422;
3) determinazione di una nuova misurazione del sistema il cui risultato può, poi, essere calcolato
dalla funzione di probabilità.
Per il primo punto - egli soggiunge - è condizione necessaria la determinazione delle relazioni
d'incertezza [La misurazione iniziale dello stato del sistema è soggetta alle relazioni d'incertezza e,
quindi, la funzione di probabilità conterrà anche una certa indeterminazione, ineliminabile in linea
di principio, come sappiamo]. Il secondo punto - egli chiarisce - non può venir descritto in termini
di concetti classici; non vi è alcuna descrizione possibile di ciò che accade al sistema fra
l'osservazione iniziale e la nuova misurazione. E' soltanto nella terza fase che passiamo di nuovo dal
'possibile' al 'reale'”423.
Contrariamente a quanto previsto dall’interpretazione di un esperimento tipicamente quantistico,
419
420
421
422
423
“Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit., p. 131.
Ibidem, p. 131-134.
Per una diversa interpretaizione delle onde di probabilità si veda la teoria delle onde pilota di De Broglie – Bohm,
quale teoria a variabili nascoste (posizioni), in “Un’occhiata alle carte di Dio”,. op. cit., p. 182-191.
Cfr. “Meccanica quantistica” di L. Landau, p. 72-79; “La mente nuova dell’imperatore”, op. cit. p. 321-324 e p.
371; “L’interpretazione materialistica della meccanica quantistica”, op. cit. p. 299-301, sezione dedicata a V. Fock.
“Fisica e filosofia”, op. cit., p. 60.
dunque, nel cammino a ritroso del fotone, dalla fotocellula allo specchio semiargentato e poi alla
lampada che lo - riceve, non ci sono affatto incertezze:
come in un film proiettato in senso inverso, il fotone dalla fotocellula ricompone la sua energia
dispersa (molto improbabile!); comincia il suo viaggio all'indietro verso lo specchio semiargentato;
giunto allo specchio, delle due ampiezze di probabilità teoricamente associate al fotone facciamo il
quadrato, ottenendo 1/2 per la probabilità che esso si diriga sulla parete B (assorbente) e 1/2 per la
probabilità che si diriga verso la lampada. Ma, dato che la lampada l'aveva emesso, la probabilità
che esso ritorni ad essa vale certamente 1: cioè, non c'è l'incertezza contenuta nella funzione di
probabilità, che deve rappresentare il possibile.
Non c'è l'incertezza perché l'inverso di un processo che si è tutto svolto è unico.
Se si fa l'ipotesi del cammino inverso del fotone, come sopra detto, si vede che la sua carica di
possibilità alternative sfuma del tutto: tutto è perfettamente certo in un processo compiuto, se esso
viene invertito: non c'è alcuna incertezza in nessun punto decisivo dell'intero processo!
Dunque la differenza significativa tra il moto diretto e inverso del fotone, nell’esperimento ideale
discusso, sta proprio nell’eliminazione di ogni indeterminazione (nel passaggio del fotone attraverso
lo specchio) che si avrebbe necessariamente nell’inversione temporale del tragitto e nella
corrispondente “previsione” dal futuro noto al passato.
Dato che il ragionamento svolto nel caso del tragitto diretto e inverso di un ipotetico fotone è stato
fatto in condizioni del tutto generali, esso si applica ugualmente bene agli altri eventi quantistici.
Dunque non sembra esistere una simmetria delle probabilità degli eventi quantistici nel tempo.
L’irreversibilità temporale nel pensiero di I. Prigogine.
I. Prigogine attribuisce il riemergere del paradosso del tempo a due tipi di scoperte: uno relativo alle
strutture di non equilibrio [dissipative], studiate particolarmente dall'idrodinamica e dalla cinetica
chimica; l'altro, invece, alla nuova evoluzione della dinamica classica, come si ricava dalla
dichiarazione di James Lighthill, presidente dell'unione internazionale di meccanica pura e
applicata; dichiarazione resa nel 1986, in cui si ammette che il determinismo newtoniano è
rigorosamente valido solo quando lo si applica ai sistemi stabili (per es. un pendolo privo di attrito),
mentre non lo è quando si vogliono descrivere sistemi caotici (quelli imprevedibili nel loro
andamento spazio-temporale)424.
La fisica del non-equilibrio ci dimostra che “la materia si comporta in maniera radicalmente diversa
in condizioni di non-equilibrio, quando cioè i fenomeni irreversibili svolgono un ruolo
424
Vedi “Le leggi del caos”, op. cit., p. 15,26,27,28,30,38,39.
fondamentale”425.
Le strutture instabili “esistono solo finché il sistema dissipa energia e resta in interazione con il
mondo esterno”; il che non si verifica per le strutture d'equilibrio, quali i cristalli, che, “una volta
formati possono rimanere isolati e sono strutture 'morte' che non dissipano energia.”426
Un esempio di strutture dissipative, tratto dalla idrodinamica, è fornito dall'instabilità di Bénard, che
si manifesta quando s'impone “un gradiente verticale di temperatura a uno strato orizzontale di
fluido, fin quando la differenza di temperatura tra superficie inferiore e superficie superiore dello
strato non sia abbastanza grande; a questo punto nel liquido si formano dei gorghi, in cui miliardi di
particelle si rincorrono vorticosamente, creando strutture caratteristiche di forma esagonale.”427
Si nota - egli dice- che il non-equilibrio “crea molte correlazioni ‘a lunga portata’ e che, mentre in
situazione di equilibrio la materia è cieca, in quanto “ogni molecola vede solo le molecole più
vicine che la circondano”, invece, in situazione di non-equilibrio la materia vede anche in
lontananza, e allora “sorge una nuova coerenza”.
Egli nota che la varietà di strutture di non-equilibrio (dissipative), che sempre più vengono scoperte,
consente di cogliere “il ruolo creatore fondamentale dei fenomeni irreversibili, quindi anche della
freccia del tempo.”428
Considerando il caso degli oscillatori chimici egli osserva che essi presentano, in condizione di non
-equilibrio, un punto di biforcazione, a partire dal quale compare la soluzione oscillante
(un’alternanza periodica di frequenze diverse).
La prima biforcazione, poi, consente il formarsi di altre biforcazioni: “Dai punti di biforcazione
emergono diverse soluzioni, la scelta tra le quali è data da un processo probabilistico.”429
Si nota, insomma, che “l'evoluzione avviene tramite una successione di stadi descritti dalle leggi
deterministiche.” [Probabilistiche, nei punti di biforcazione]430.
Osserva, quindi, che "Perfino a livello macroscopico, probabilità e determinismo non si
contrappongono ma si completano.”431
Quale caso “recente”, e particolarmente esemplificativo di processi di rottura d'una simmetria
(biforcazione),egli cita lo studio di Kondepudi, R. J. Kaufman e N. Singh, comparso in “Science”
nel 1990 con il titolo “Chiral symmetry breaking in sodium chlorate crystallization” (Rottura della
simmetria di viraggio nella cristallizzazione del clorato di sodio): "Le molecole di clorato di sodio
NaClO3, a differenza dei cristalli di NaClO 3, sono otticamente inattive, cioè non fanno ruotare il
425
Ivi, p. 15.
Ivi, p. 15.
427
Ivi, p. 16.
428
Ivi, p. 16.
429
Ivi, p. 18.
430
Ivi p. 18.
431
Ivi p. 18. Si pensi anche al ruolo giocato dai moti browniani nelle misurazioni fini condotte al livello della
macrofisica.
426
piano di polarizzazione della luce432. Esistono quindi due forme: una forma destrogira e una forma
levogira. Se si raffredda una soluzione di NaClO3 si forma lo stesso numero di cristalli levogiri o
destrogiri, a parte alcune fluttuazioni statistiche. Supponiamo di mettere nella soluzione in corso di
raffreddamento uno strumento che agitandola la rimescoli completamente. In tal caso
constateremmo che le molecole portano a cristalli tutti levogiri o tutti destrogiri: com'è possibile?
La scelta tra un cristallo destrogiro o levogiro può essere considerata alla stregua di una
biforcazione. Nell'ambiente a riposo queste biforcazioni sono indipendenti: la metà si comporta in
un modo e l'altra metà in un altro. In un sistema agitato la prima biforcazione dà vita a una forma o
destrogira o levogira. A causa dell'agitazione i germi dei primi cristalli si diffondono nell'ambiente.
Pertanto troveremmo o unicamente cristalli levogiri o unicamente cristalli destrogiri.”433
Notevole risulta altresì la scoperta della formazione delle strutture stazionarie di non - equilibrio,
prevista da Alan Turing nel 1952.434 Tale scoperta è avvenuta nel 1991 nei laboratorii di Bordeaux e
di Austin nel Texas.
Grazie all'osservazione delle strutture di Turing, nota I. Prigogine, “possiamo verificare la comparsa
di dimensioni intrinseche dovute ai fenomeni irreversibili. Essenzialmente, la distanza tra le 'maglie'
di queste strutture è determinata dal rapporto
D
, in cui D è un coefficiente di diffusione e K
K
l'inverso di un tempo legato alla rapidità di reazione chimica.”435.
Egli sottolinea non solo l'importanza teorica della formazione di strutture di non equilibrio, dovuta
alla rottura di una certa simmetria nel comportamento di miliardi di molecole, ma anche la
significatività di quei processi di non-equilibrio che determinano “segnali non periodici, più
irregolari”, i quali rientrano nel concetto di “caos dissipativo temporale o caos spazio-temporale ”
436
.
Prigogine evidenzia che lo studio sui punti di biforcazione (rottura di una simmetria) dimostra che
“perfino a livello macroscopico la nostra predizione del futuro mescola insieme determinismo e
probabilità”437, in quanto s'è visto che “Nel punto della biforcazione la predizione ha carattere
probabilistico, mentre tra punti di biforcazione possiamo parlare di leggi deterministiche” 438;
sottolinea, inoltre, che “L'irreversibilità porta a nuovi fenomeni di ordine”; che gli esempi proposti
“ci mostrano che la freccia del tempo ha il ruolo di creare strutture”; che le situazioni di non
equilibrio, creando molte “correlazioni a lunga portata”, “mostrano il ruolo creatore fondamentale
432
433
434
435
436
437
438
Piano di polarizzazione della luce, cioè di un' onda elettromagnetica, è chiamato quello in cui il campo elettrico
della luce oscilla generando il corrispondente campo magnetico oscillante sul piano perpendicolare al primo.
“Le leggi del caos”, op. cit., pag. 19,20.
Ivi p. 21.
Ivi p. 21.
Ivi p. 21,22.
Ivi p. 23.
Ivi, p. 23.
dei fenomeni irreversibili, quindi anche della freccia del tempo” 439; rimarca poi che “I fenomeni
irreversibili non si riducono a un aumento di disordine', come si pensava un tempo, ma, al contrario,
hanno un ruolo (costruttivo) importantissimo”440.
Egli sostiene che, mentre una volta si poteva, date le limitate conoscenze, sostenere l'idea che
l'irreversibilità fosse da attribuire alla nostra ignoranza dello stato fisico di ogni singola particella,
come nel caso dei fenomeni di diffusione e viscosità, adesso “diventa impossibile farlo dinnanzi
agli oscillatori chimici oppure alle strutture di Turing, altrimenti si cadrebbe nell'assurdo:
bisognerebbe attribuire l'intero funzionamento della vita alla nostra ignoranza, oppure rigettarla in
ciò che è solamente fenomenologico”441.
A proposito dell'irreversibilità nella fisica, Ilya Prigogine afferma che"...oggi siamo in grado di
collegare l'irreversibilità non più alla nostra ignoranza, ma alla struttura fondamentale delle leggi
della dinamica classica o quantistica formulate per i sistemi instabili, o caotici ” 442.
Contro le convinzioni teoriche di Feynman, che paragona la natura a una partita a scacchi (condotta
su grandi numeri) nella quale “ogni movimento preso isolatamente sarebbe semplice e la
complessità, proprio come la irreversibilità443, risulterebbe semplicemente dai numerosi elementi in
gioco”, egli sostiene che oggi, “già a livello elementare… compare il problema dell'instabilità” 444;
che la “introduzione del tempo a livello fondamentale di descrizione diventa una necessità
ineluttabile dopo quel che abbiamo appreso negli ultimi decenni circa il ruolo costruttivo
dell'irreversibilità.”445
Il riemergere del paradosso del tempo, egli dice, è dovuto sia alla scoperta delle strutture di non
equilibrio sia alla nuova evoluzione della dinamica classica, testimoniata, per esempio, dalla
dichiarazione di James Lighthill (presidente dell'Unione internazionale di meccanica pura e
applicata), il quale così si esprimeva nel 1986: “Noi tutti desideriamo presentare le nostre scuse per
aver indotto in errore il nostro colto pubblico diffondendo a proposito del determinismo dei sistemi
che aderiscono alle leggi newtoniane del moto idee che dopo il 1960 si sono rivelate inesatte.”446
Il motivo della precedente dichiarazione “consiste di preciso nella scoperta dei sistemi dinamici
caotici”447, rappresentati, in genere, da liquidi che passano dal moto laminare a quello turbolento;
439
440
441
442
443
444
445
446
447
“Le leggi del caos”, op. cit., p. 16, 23.
Ivi, p. 23.
Ivi, p. 24.
“Le leggi del caos”, op. cit., p. 24 e 51. Prigogine propone di definire i comportamenti caotici mediante
rappresentazioni statistiche irriducibili, cioè tali che non permettano la descrizione mediante traiettorie.
“…l’evidente irreversibilità della natura non proviene dalla irreversibilità delle leggi fondamentali della fisica;
deriva invece dalla proprietà che, partendo da un sistema ordinato, il fenomeno avviene in una certa direzione a
causa delle irregolarità della natura, cioè per gli urti delle molecole”. [In “La legge fisica”, ed. U.S. Boringhieri, R.
Feynman, p. 128.
Ivi, p. 24.
Ivi, p. 25.
Citazione in “Le leggi del caos”, op. cit., p. 27, 28.
Ivi, p. 28.
rappresentato, ora, anche e più significativamente, da sistemi caotici molto semplici, che non
richiedono d'essere spiegati attraverso il metodo classico delle approssimazioni, motivate
dall'enorme complessità del sistema.
Quali esempi di sistemi caotici semplici, I. Prigogine indica i seguenti: “lo spostamento di
Bernoulli”, rappresentato dall'equazione Xn+l = 2 Xn (mod 1), e la “trasformazione del fornaio”, che
corrisponde a un sistema dinamico448.
Lo spostamento determinato dall'equazione di Bernoulli mostra che “il minimo errore sulla
condizione iniziale (x)0 porta a un'amplificazione esponenziale”449 [cioè, (x)n = (x)0 en].
Interpretando lo “spostamento di Bernoulli” fisicamente, I. Prigogine sostiene che, se un sistema
fisico è molto sensibile alle condizioni iniziali, allora “cause piccole quanto si vuole” sono “in
grado di avere conseguenze essenziali sul comportamento del sistema”450.
Egli chiarisce che “Lo scarto tra due numeri vicini [nello spostamento di Bernoulli] aumenta
esponenzialmente, o ancora secondo questa legge, la distanza tra 'due traiettorie' aumenta
esponenzialmente con il tempo (x)n = (x)0 expn.
Il coefficiente è chiamato ‘coefficiente di Ljapunov' e 1/ è il tempo di Ljapunov”451. Proprio “i
sistemi che presentano una tale divergenza esponenziale sono per definizione 'sistemi caotici', che
possiedono una scala intrinseca di tempi definita dal tempo di Ljapunov l/”452.
Nei sistemi caotici succede che “Dopo una lunga evoluzione rispetto al tempo di Ljapunov si perde
la memoria dello stato iniziale”453.
Conseguentemente, “…la nozione di traiettoria, che è lo strumento fondamentale della dinamica
classica, diventa un'idealizzazione inadeguata poiché le traiettorie ci sfuggono dopo tempi lunghi
rispetto a l/”454.
E, dato che lo spostamento di Bernoulli “è il prototipo del caos dinamico”, allora nella descrizione
dei sistemi caotici, “bisogna rivolgersi ad un approccio statistico a base probabilistica ”455.
Bisogna, cioè, abbandonare le traiettorie, secondo quel che aveva proposto Boltzmann quando
sostenne, in base alla seconda legge della termodinamica, l’irreversibilità dei processi
448
449
450
451
452
453
454
455
“Le leggi del caos”, p. 29, 38. Un sistema è considerato dinamico se è reversibile nel tempo.
Ivi, p. 30.
Ivi, p. 30.
Ivi p. 30.
Ivi p. 30.
Ivi p. 30.
Ivi p. 30-32. Roger Penrose ha osservato che “sebbene gli ordinari sistemi caotici siano completamente
deterministici e computazionali [un procedimento è detto computazionale se può essere applicato su un comune
calcolatore di uso generale], in pratica possono comportarsi come se non fossero affatto deterministici. Questo
avviene – egli spiega – perché la precisione, con cui lo stato iniziale deve essere conosciuto per una predizione
deterministica del suo comportamento futuro, non può essere ottenuta neppure con le più precise e raffinate
misurazioni concepibili.” Vedi R. Penrose “Ombre della mente”, Rizzoli, p. 40. Vedi anche “ La fisica di Feynman
“, Meccanica Quantistica , 2-6.
Vedi Le leggi del caos, op. cit., p. 30-32.
termodinamici e la connessa freccia del tempo.
Di fronte alle obiezioni di H. Poincaré egli non fu in grado di argomentare, mentre dominava la
fisica delle traiettorie perfettamente definibili [almeno in linea di principio], l'irreversibilità
termodinamica.
Ora, però, “l’introduzione delle probabilità corrisponde a una obiettiva necessità legata
all’instabilità”456.
Dato che lo “spostamento di Bernoulli” non rappresenta un sistema dinamico in senso proprio,
perché non è reversibile rispetto al tempo, I. Prigogine considera “la trasformazione del fornaio”,
che, invece, corrisponde a un sistema dinamico, per via della reversibilità rispetto al tempo:
“La trasformazione del fornaio consiste essenzialmente nella seguente trasformazione geometrica.
Prendiamo un quadrato, stiriamolo nella direzione orizzontale con un fattore 2 fino ad ottenere un
rettangolo e poi pieghiamo la parte destra del rettangolo sulla parte sinistra per formare un nuovo
quadrato”457, secondo quanto indicato qui di seguito:
“Ripetendo questa operazione, otteniamo una frammentazione sempre più grande lungo la
coordinata verticale, invece andando verso il passato, otteniamo una frammentazione sempre più
sottile lungo 1' ascissa x e la funzione di distribuzione diventa uniforme nella coordinata verticale y.
Si tratta - osserva I. Prigogine - di nuovo di un sistema instabile, molto simile a quello di Bernoulli.
Due punti che all'inizio delle trasformazioni erano molto vicini, si allontanano esponenzialmente e
nel futuro si troveranno in regioni differenti. Ritroviamo così la legge esponenziale (r)n = (r)0 2n =
(r)0 enlg2 in cui r è la distanza tra due punti che, come per il problema del fornaio, hanno un
esponente di Ljapunov uguale lg 2 (che risulta da ogni moltiplicazione per 2 della dimensione
orizzontale)."458 L'instabilità di un sistema dinamico che obbedisca alla “trasformazione del
fornaio”, per la quale due punti inizialmente vicini si allontanano esponenzialmente, “ci obbliga ad
adottare nuovamente una descrizione statistica”, e, perciò, la funzione di distribuzione, dipendendo
da x e y, soddisferà all'equazione ρ n1 x,y =Uρ n x , y (l’operatore U, essendo unitario,
ammette un inverso e, quindi, è analogo agli operatori delle trasformazioni della meccanica classica
456
457
458
Ivi, p. 32.
Ivi p.38. Vedi anche il grafico.
“Le leggi del caos”, op. cit., p. 38-39.
e quantistica)459.
L'operatore U, che rappresenta l'evoluzione temporale del sistema fisico, è noto come “operatore di
Perron-Frobenius”; ρn1 x , y rappresenta la distribuzione statistica dopo n+l spostamenti e
ρn x , y quella dopo n spostamenti.
Mediante l'equazione sopra riportata “la fisica delle traiettorie si trasforma in fisica delle funzioni di
distribuzione. Le leggi del moto diventano le leggi dell'evoluzione di [funzione di distribuzione
associata a un sistema] per effetto dell'operatore di evoluzione U” 460, e, perciò, “al problema del
calcolo delle traiettorie si sostituisce quello dell'analisi delle proprietà dell'operatore di evoluzione
U”461.
Egli chiarisce che, nella prospettiva probabilistica scelta, il punto di partenza è costituito dalla
“necessità di sviluppare la matematica in maniera da consentire l'analisi dell'operatore U, che
descrive l'evoluzione delle probabilità”462.
Ma, a questo punto, poiché si cerca di rappresentare l'irreversibilità dei processi naturali, è
essenziale riuscire a definire matematicamente “la rottura della simmetria temporale”.
La riformulazione delle leggi della natura viene allora proposta “proprio in termini di proprietà
dell'operatore di evoluzione”463.
I. Prigogine osserva che “Il problema di descrivere l'evoluzione di un sistema dinamico senza far
ricorso a traiettorie si è già posto in meccanica quantistica…” e che “lo studio dell'operatore di
evoluzione U ne ricorda i problemi fondamentali…” 464, e, pertanto, confronta l'operatore di
evoluzione della meccanica quantistica con quello di Perron – Frobenius, rivelandone l'analogia,
perché l'uno e l'altro modulano nel tempo una determinata funzione, ma anche l’importante
differenza, e cioè che “la funzione d'onda non rappresenta una probabilità, bensì un'ampiezza di
probabilità”465, cioè qualcosa che non ha riscontro fisico nello spazio-tempo; mentre nell'equazione
proposta da Prigogine per descrivere l'evoluzione di un sistema instabile, l'operatore di evoluzione
si applica direttamente a una funzione di probabilità [ ρn1 x =Uρ n x ].
Nota,
inoltre,
che
l'equazione
di
Schrödinger
dipendente
-iH t-t 0
∂
Ψ = H Ψ ha come soluzione Ψ t =e
Ψ t 0 =U t Ψ x , t 0
∂t
dal
tempo
la quale ha evoluzione
periodica.
Nel caso dei sistemi caotici non possiamo certo aspettarci questo tipo di soluzione; ci
459
460
461
462
463
464
465
Cfr. p. 39.
Ivi, p. 33.
Ivi, p. 34.
Ivi, p. 34.
Ivi, p. 34.
Ivi, p. 35.
Ivi, p. 36.
attendiamo invece un'evoluzione irreversibile. Per tale motivo, egli dice, “Dobbiamo …
generalizzare il problema della meccanica quantistica per includere nell'operatore di evoluzione le
proprietà corrispondenti all'evoluzione temporale del sistema, come il tempo di Ljapunov” 466, il
quale rappresenta un tempo intrinseco ai sistemi instabili (caotici) 467. Esso [U(t)] formalmente “va a
sostituire l'operatore hamiltoniano H non con un numero reale ma complesso (composto cioè da una
parte reale ed una parte immaginaria). La parte immaginaria descrive un comportamento 'smorzato'.
Questa generalizzazione della teoria quantistica richiede, egli dice, modifiche profonde che si
stanno portando avanti468.
La conclusione alla quale si giunge [nell'appendice al testo] concerne la definizione più generale
possibile dei sistemi caotici:
“I sistemi dinamici sono caotici quando il loro operatore di evoluzione ammette una
rappresentazione irriducibile”, cioè una rappresentazione probabilistica incompatibile con la
descrizione mediante traiettorie469.
Egli precisa che la precedente definizione di sistemi dinamici caotici “si applica anche ai sistemi
quantistici”, ed osserva che “Il vantaggio che essa apporta consiste nel collegamento tra caos e
irreversibilità, in quanto,… il gruppo unitario di evoluzione temporale470 si scinde in due
semigruppi, uno per il futuro, e l'altro per il passato”471.
E' evidente che se la generalizzazione della teoria quantistica che egli propone è del tutto rigorosa,
vale la sua conclusione che “per i sistemi caotici - le leggi dinamiche sono probabilistiche e
irreversibili", il che configura “un'estensione delle leggi della natura”472.
Volendo fornire un'esposizione qualitativa semplificata della teoria che descrive i sistemi caotici, i
quali, per definizione, presentano un evoluzione temporale irreversibile, egli presenta il seguente
schema: “instabilità (tempo di Ljapunov) probabilità irreversibilità.
L'instabilità e il caos ci obbligano a passare ad uno schema probabilistico (abbandono di traiettorie
in meccanica classica e di funzioni d'onda in meccanica quantistica), il quale ci porta a studiare
l'operatore di evoluzione corrispondente, che… consentirà di chiarire la rottura della simmetria
temporale, e quindi l'irreversibilità.
Il risultato essenziale del nostro studio - egli dice, riassumendo - è che per i sistemi instabili le leggi
fondamentali della dinamica classica (o quantistica...) si formulano in termini di proprietà
dell'evoluzione di 'probabilità'. Ed è a questo livello che possiamo chiarire le leggi del caos 473 e
466
Ivi, p. 36.
V. “Le leggi del caos”, op. cit., p. 30.
468
I riferimenti sono riportati nell'appendice, p.89 e seguenti.
469
Definizione a pag. 111 de “Le leggi del caos”.
470
V. “Le leggi del caos”, p. 95, 109, 110.
471
Tali proposte si accordano col discorso che Roger Penrose ha condotto sull’asimmetria temporale nella riduzione
del vettore di stato. [Cfr. “La mente nuova dell’imperatore”, op. cit., p. 451-457], ibidem p. 111,112.
472
Ivi, p. 112.
473
Vedi def. p. 30.
467
descrivere i cambiamenti che l'instabilità e il caos introducono nella nostra visione del mondo”474.
Prigogine, in definitiva, propone di limitare l'applicazione dei concetti classici ed il determinismo
ad essi connesso soltanto ai sistemi stabili; quanto ai sistemi instabili, invece, propone di rinunciare
decisamente alla descrizione classica, fondata sul concetto di traiettoria, e di sostituirla con una
descrizione probabilistica, che utilizza funzioni statistiche “composte” con operatori unitari di
evoluzione temporale475.
Chiarisce, inoltre, che “La descrizione statistica corrisponde a una generalizzazione del concetto di
traiettoria, che ritroviamo quando prendiamo una distribuzione (x-x0)”476.
Bisogna notare che l'instabilità che obbliga, secondo Prigogine, ad adottare la descrizione statistica,
deve avere un andamento imprevedibile e cioè deve valere l’identità: instabilità imprevedibilità.
Si può osservare che nella fisica quantistica l’imprevedibilità non è legata a un contesto fisico di
instabilità ma di possibilità diverse; essa è collegata con la sovrapposizione lineare degli stati nel
tempo e con le fondamentali relazioni di indeterminazione di Heisemberg.
474
V. “Le leggi del caos”, op. cit., p. 37.
“Le leggi del caos”, op. cit., p. 32, 39, 110, 111, 112.
476
Tale funzione è chiamata 'singolare' perché è diversa da zero solo per x = x 0. Se f(x) è una funzione continua in x =
475
∞
x0, allora si ha (x-x0) f(x)dx = f(x0), dove la regione di integrazione include il punto x=x 0 ed è
∫
(x-x0)dx =1. A
−∞
queste condizioni, si dice che esiste una traiettoria nel punto x 0. (Sulla funzione , definita da P. Dirac, vedi “Le leggi
del caos”, op. cit. p. 32-33; “Meccanica quantistica”, op. cit., p. 25, 33,34).
Capitolo decimo - Causalità deterministica e causalità
probabilistica.
E' chiaro a tutti che se una teoria (la meccanica classica) ha una struttura concettuale e formale
deterministica deve, per coerenza, produrre un concetto deterministico di causalità.
Ci dobbiamo perciò aspettare che da una teoria "apertamente statistica e indeterministica”
"(M.Born), come la meccanica quantistica, derivi, per coerenza, una causalità probabilistica.
Di fronte alla crisi del concetto di causalità deterministica, dovuto all'affermazione della teoria
quantistica in generale e delle relazioni d’indeterminazione in particolare, il fisico V. A. Fock, nel
1957 reagì proponendo a N. Bohr le sue considerazioni su alcune questioni di principio della
meccanica quantistica ed un promemoria di cui Bohr seppe tener conto: "Nel mio promemoria
rilevai la necessità di sottolineare, nell'esposizione dei fondamenti della meccanica quantistica,
l'obiettività delle proprietà degli atomi e la circostanza che, per la descrizione di tali proprietà, sono
necessari nuovi concetti fisici e astrazioni matematiche, e non soltanto riferimenti alle indicazioni
degli apparecchi. Parlando della probabilità e della causalità, misi in rilievo la necessità di
conservare il concetto di causalità anche nella fisica quantistica, ove non ha più valore il
determinismo laplaciano, ma rimane la causalità probabilistica"477.
Egli riferisce che Bohr tenne conto delle sue obiezioni e considerazioni; il che appariva evidente
nell'articolo intitolato "La fisica quantistica e la filosofia”.
In tale articolo “Bohr sottolinea più di una volt il carattere del tutto obiettivo della descrizione dei
fenomeni atomici. Egli parla dell'introduzione delle necessarie astrazioni matematiche, che
esprimono leggi di tipo essenzialmente statistico (probabilistico).
Egli traccia la differenza tra il concetto di descrizione deterministica e il concetto generale di
causalità: a questo proposito, egli mostra che sebbene in seguito alle relazioni di indeterminazione
nella fisica quantistica non sia possibile la descrizione deterministica, la causalità rappresenta,
ciononostante, un’esigenza manifesta ed elementare"478.
Prima di chiarire il suo concetto di causalità, Fock si sofferma sull'importanza del concetto di
probabilità in fisica quantistica, al quale egli connette una nuova idea di causalità:
"Il concetto di probabilità è straordinariamente utile per la descrizione dello stato di cose di fronte a
cui ci troviamo nella meccanica quantistica. Esso è il concetto fondamentale, che consente di tener
conto delle peculiarità del processo di osservazione (l'improvviso cambiamento, corrispondente al
passaggio dal probabile a ciò che si è attuato) come pure delle proprietà degli oggetti atomici"479.
477
478
479
“L’interpretazione materialistica della meccanica quantistica”, op. cit., p. 47.
Ivi, p. 48.
Ivi, p. 50.
E, a proposito della causalità, distinguendo prima fra causalità deterministica e semplice causalità,
giunge a proporre il concetto di causalità probabilistica nell'ambito della fisica atomica:
"In parte è, ovviamente, una questione terminologica, ma la sua asserzione, secondo la quale nella
fisica atomica non esiste causalità, conduce molto spesso a equivoci (così tale asserzione può venire
erroneamente interpretata nel senso di una negazione delle leggi di natura...). A mio giudizio è
necessario operare una distinzione fra la causalità deterministica e la semplice causalità.
Con il termine di ‘causalità deterministica' io intendo l'affermazione, secondo la quale il progressivo
precisarsi delle osservazioni, una più completa conoscenza delle leggi di natura e il
perfezionamento dei metodi matematici possono, in linea di principio, condurre a una predizione
univoca di tutto il corso degli avvenimenti. Questo è in sostanza, il determinismo laplaciano.
Con il termine di 'semplice causalità' intendo invece l'asserzione dell'esistenza di determinate leggi
di natura480. In natura esistono, si intende, differenti forme di causalità, rispetto a queste o quelle
leggi concrete: rispetto alla struttura dello spazio e del tempo, all'equazione ondulatoria della
meccanica quantistica e anche, forse, rispetto ad altre leggi.
Dalla meccanica quantistica risulta che la causalità deterministica non esiste. E' proprio in tale senso
che deve essere, senza dubbio, intesa la sua affermazione sull'inesistenza della causalità nella fisica
atomica.
A me sembra però inopportuno adoperare il termine 'causalità' soltanto nel senso della causalità
deterministica… E' meglio dire, ad esempio, che ‘nella fisica atomica la causalità deterministica
viene sostituita da quella probabilistica...’.
La gente collega il concetto di 'causalità' all'esistenza delle leggi di natura”481.
Mi sembra infine importante riprendere quanto sosteneva M. Born già nel 1949, nel suo libro
intitolato “Natural Philosophy of Cause and Chance”482 a proposito della causalità e del caso in
fisica quantistica:
"E' indubbio che il formalismo della meccanica quantistica e la sua interpretazione statistica (dovuta
proprio a M. Born) hanno avuto pieno successo nell'ordinamento e nella previsione delle esperienze
fisiche.
Possono tuttavia essere soddisfatti la nostra brama di conoscere, il nostro desiderio di spiegare le
cose, da una teoria che è apertamente e spudoratamente statistica e indeterministica? Possiamo
accontentarci di accettare il caso, e non la causalità, come legge suprema del mondo fisico?
A quest'ultima domanda risponderò che non è la causalità, propriamente intesa a venir eliminata, ma
480
Noto una somiglianza tra la posizione di Fock e quella di Helmholtz che, nella Conferenza di Hinnsbruck del 1869,
sostenne che “la nostra esigenza di comprendere i fenomeni naturali, di scoprire le loro leggi, si esprime… in un'altra
forma: noi dobbiamo scoprire le forze che sono la causa dei fenomeni"(Citato in "La dialettica della natura" di F.Engels
p.96 dell'ed. Editori Riuniti, III ed. del 197l).
481
Ivi p. 50,51.
482
“Filosofia naturale della causalità e del caso”, Ed. Boringhieri, traduzione di Virginia Geymonat., p. 129, 130.
soltanto un'interpretazione tradizionale di essa, che la identifica col determinismo. Ho compiuto
molti sforzi per dimostrare che questi due concetti non sono identici. Secondo la mia definizione 483,
la causalità è il postulato il quale afferma che una situazione fisica dipende dall'altra, e la ricerca
causale si propone la scoperta di questa dipendenza. Tutto ciò rimane vero anche nella fisica
quantistica, sebbene gli oggetti dell'osservazione, per i quali si sostiene esservi una dipendenza,
siano differenti: essi sono costituti dalle probabilità di eventi elementari, e non dai singoli eventi in
sé”484.
Mi sembra importante ricordare che, secondo Max Planck (l858-l947), fondatore della fisica dei
quanti, "La premessa primordiale di tutta la ricerca scientifica era stata finora sempre la
supposizione della validità di uno stabile nesso causale fra tutti gli avvenimenti del mondo della
natura e dello spirito, che viene abitualmente designato come legge di causalità…espressa da Kant egli nota - con la seguente espressione:
"Tutto ciò che avviene presuppone qualcosa, da cui segue secondo una regola.” Planck ha osservato
che, in sede fisica, tale legge, con lo sviluppo della teoria quantistica," da una parte è stata indicata
come inesatta, dall'altra come insignificante 485; che, inoltre, "l'indeterminista trova in ogni legge
fisica, anche in quella della gravitazione e dell'attrazione elettrica, una radice di natura statistica, per
lui sono tutte leggi di probabilità, che si riferiscono solo a dei valori medi su numerose osservazioni
simili e che possiedono solo una validità approssimata per le singole osservazioni." 486; che, sebbene
le relazioni d'incertezza di Heisenberg abbiano indotto "alcuni indeterministi a giudicare la legge di
causalità come definitivamente eliminata dalla natura.", tuttavia, si potrebbe supporre, per salvare la
legge di causalità, che "la questione del valore simultaneo delle coordinate e dell'impulso di un
punto materiale non abbia affatto un senso fisico"487.
Proprio tale considerazione, secondo Planck, portava a sostituire l'immagine classica della realtà
naturale (deterministica e causale) con un'altra: "La nuova immagine del mondo della fisica
quantica è proprio originata - egli osservava - dal bisogno di rendere possibile la prosecuzione di un
rigoroso determinismo anche con il quanto d'azione."488
E, proseguendo il suo discorso, egli notava che "per quanto riguarda la determinazione delle onde
materiali (che sostituiscono il “punto materiale ” della fisica newtoniana) nell'immagine del mondo
della fisica quantica domina il determinismo altrettanto rigoroso che in quella della fisica classica...
Corrispondentemente, nella fisica quantica, così come prima nella fisica classica, l'incertezza nella
predizione degli eventi del mondo dei sensi viene ridotta all’incertezza del nesso fra l’immagine del
483
484
485
486
487
488
Vedi p. 20 dello stesso libro.
“Filosofia naturale della causalità e del caso”,op. cit.., p. 129, 130.
M. Plank, “Scienza filosofia e religione”, Fratelli Fabbri Editori, p. 125.
Ivi p. 127.
Ivi p. 129.
Ivi p. 129.
mondo e il mondo dei sensi, cioè all'incertezza della traduzione dai simboli dell'immagine del
mondo al mondo dei sensi e viceversa”489.
D'altra parte, il grande fisico ha riconosciuto che "poiché si può derivare solo un significato
statistico per la funzione d'onda", l'attacco degli indeterministi contro la legge di causalità "sembra
promettere un risultato positivo"490.
Va notato che egli non separa la causalità dal determinismo, come faranno Max Born ed altri grandi
fisici, ma propone "di spogliarla del suo carattere antropomorfo per quanto è possibile" e di
"renderla indipendente dall'introduzione di un prodotto artificiale dell'uomo, qual è l'immagine
fisica del mondo”491; propone, inoltre, di conservare l'idea che "un evento è condizionato
causalmente quando può essere predetto con sicurezza" ed anche quella, nuova, secondo la quale
"in nessun caso singolo è possibile predire un evento con certezza"; la qual cosa implica - egli
avverte – che dobbiamo introdurre una qualche modificazione nella prima proposizione"492.
Dirigendo, infine, l'attenzione sul soggetto che predice, approda alla tesi secondo cui solo l'idea di
un essere ideale può garantire un rigido determinismo.
Concludendo la sua sofferta e acuta analisi, egli sostiene che "la legge di causalità non è né giusta
né falsa, è piuttosto un principio euristico, una guida… la guida più preziosa che possediamo per
orizzontarci nell'aggrovigliato guazzabuglio degli eventi e per indicare la direzione nella quale deve
avanzare la ricerca scientifica per giungere a risultati fecondi”493.
Diversamente dal fondatore della fisica dei quanti, M.Born sostiene esplicitamente l'idea di una
causalità probabilistica legata alla semplice probabilità di eventi elementari.
Si tratta di una causalità connessa col concetto d'una probabilità irriducibile (interamente
stocastica), che è soggetta alle leggi della fisica dei quanti ( principio di sovrapposizione lineare
degli stati, equazioni di Schrödinger, relazioni d'incertezza).
Come ha precisato V. Fock, proprio il concetto di probabilità "è il concetto fondamentale che
consente di tener conto delle peculiarità del processo di osservazione... come pure delle proprietà
degli oggetti atomici"494.
Dunque la causalità probabilistica e quella deterministica hanno in comune la dipendenza degli stati
contigui, ma differiscono perché la prima si riferisce alla probabilità obiettiva di eventi elementari,
mentre la seconda concerne eventi osservabili nello spazio-tempo, prevedibili in base a leggi
deterministiche.
La causalità deterministica, pertanto, risulta inclusa in quella probabilistica come caso particolare:
489
490
491
492
493
494
Ivi p. 130.
Ivi p. 130.
Ivi p. 131-132.
Ivi p. 132.
Ivi p. 133.
In “L’interpretazione materialistica della meccanica quantistica”, op. cit., p. 50.
quello in cui la probabilità che si realizzi un determinato stato fisico nello spazio-tempo vale l, cioè
la certezza.
Le leggi deterministiche in rapporto a quelle dei quanti.
Le leggi dei quanti sono basate sul principio di sovrapposizione lineare degli stati, che implica il
concetto di probabilità irriducibile associata agli eventi osservabili, mentre le leggi deterministiche
sono fondate sul concetto di traiettoria di un punto materiale avente posizione e velocità ben
definite in ogni istante.
La meccanica quantistica non può fornire, in linea di principio, una descrizione degli stati dei
microoggetti dettagliata come quella fornita dalla meccanica classica per i corpi celesti e per i corpi
con cui solitamente operiamo nella vita di tutti i giorni: in particolare non può conservare il concetto
di traiettoria di un punto materiale per oggetti vicini all’ordine di grandezza d'un elettrone (la cui
massa a riposo è di 9,1 * 10-28 grammi circa).
Le leggi quantistiche possono definire soltanto un determinismo (una dipendenza causale univoca)
delle probabilità, associate nel tempo agli eventi elementari, mediante le equazioni di Schrödinger.
Quanto invece alla descrizione degli eventi osservabili nello spazio-tempo, la meccanica quantistica
può offrire soltanto leggi statistiche, che vengono espresse mediante il quadrato del modulo della
funzione d'onda. Esaminando la teoria cinetica quantistica della materia, Max Born concludeva che
“i fenomeni quantistici non sono limitati alla fisica atomica o microfisica, dove ci si propone di
osservare singole particelle, ma compaiono anche nella fisica molare, che tratta della materia in
blocco.
Dal punto di vista fondamentale – egli aggiunge – questa distinzione, così sostanziale nella fisica
classica perde gran parte del suo significato nella teoria quantistica.” E ciò perché “le leggi ultime
sono leggi statistiche, e la forma deterministica delle equazioni molari sussiste per determinate
medie, le quali, per numeri grandi di particelle e di quanti, costituiscono tutto ciò che si vuole
sapere.” Osservava infine, che “queste leggi molari soddisfano a tutti i postulati della causalità
classica: esse sono deterministiche e si conformano ai principi di contiguità e di antecedenza” 495.
Sulla stessa linea di pensiero, Feynman
propose di orientarsi verso la condivisione di un
determinismo attenuato.
Le leggi classiche, come il concetto di causalità classico 496, possono essere concettualmente
considerate come un caso particolare delle leggi quantistiche: quello in cui la probabilità degli stati
495
496
Vedi “Filosofia naturale del caso e della causalità”, op. cit., p. 151. V. anche “La fisica di Feynman” op. cit. , 2- 14.
Tutti gli eventi presuppongono delle condizioni da cui seguono secondo una legge deterministica, che, in linea di
principio, può essere scoperta (Vedi la definizione di legge causale di Kant. la causalità nel determinismo
Laplaciano e la causalità deterministica definita da V. Fock).
meccanici di un oggetto sia uguale a uno, cioè alla certezza.
A questo punto mi sembra che si possa affermare che una teoria della realtà fisica debba
necessariamente essere fondata sopra una teoria dell'esperienza, che includa una teoria della misura.
L'esperienza è, in radice, rapporto di soggetto conoscente e di oggetto, che necessariamente
interagiscono in misura più o meno rilevante.
Nel rapporto d'esperienza apprendiamo qualcosa del mondo esterno: la "cosa in sé" diviene “cosa
per noi”; ci si rivela nello spazio-tempo a mano a mano che le teorie scientifiche e la prassi tecnicoscientifica progrediscono. Va riconosciuto nettamente che la fisica quantistica, come teoria della
esperienza, ha rivelato una fondamentale incertezza nei comportamenti osservabili del mondo
esterno: cioè, ha chiarito che la realtà osservabile, al livello quantistico, non segue le leggi del
determinismo meccanicistico ma quelle probabilistiche del “determinismo statistico”, dato che i
comportamenti della natura effettivamente osservati mostrano sempre delle oscillazioni rispetto ad
ogni inquadramento deterministico univoco. Le leggi fisiche descrivono rigorosamente
comportamenti medi.
Anche le leggi della fisica classica, per le quali il determinismo meccanicistico costituisce una
buona approssimazione, sono rigorosamente valide solo in media perché sono basate sul valore
medio di molte misure, i cui valori oscillano secondo la curva degli errori di Laplace e Gauss497.
La teoria quantistica, come teoria dell'esperienza, ha aperto un varco nel campo delle possibilità
obiettive, degli stati potenzialmente accessibili a un sistema fisico che venga osservato (misurato),
misurandone il grado di probabilità degli stati e stabilendo, inoltre, che la probabilità degli eventi
osservabili" si manifesta secondo leggi che sono, in tutti i loro caratteri sostanziali, leggi causali"498.
La teoria quantistica, come teoria dell'esperienza, ha condotto dunque, alla scoperta di una
probabilità irriducibile, connessa con la realtà osservabile e, perciò, ha affermato il valore profondo
e preciso della categoria della possibilità.
Dunque, la categoria della possibilità, espressa e misurata dalle distribuzioni di probabilità, ci
conduce ad interpretare meglio che in passato l’effettivo comportamento della natura; ci porta a
capire che le sue leggi fondamentali hanno un carattere probabilistico che non può non ripercuotersi
in qualche misura anche sul comportamento del mondo macroscopico, le cui leggi valgono
rigorosamente solo in media499.
497
498
499
“Le osservazioni però non hanno un’esattezza assoluta; i risultati delle misurazioni subiranno delle dispersioni
secondo la legge degli errori sperimentali di Gauss”; vedi “Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit. p.
67; vedi anche “La causalità”, op. cit., p. 288,289; “quanto più fine l’osservazione, tanto più ridotta è la possibilità
di trovare due cose esattamente uguali”. A pag. 289 è riportata la legge degli errori sperimentali di Laplace e Gauss
ed anche il grafico (curva a campana) accompagnato dalle spiegazioni opportune.
In “Filosofia naturale della causalità e del caso”, op. cit., p. 131.
Ricordiamo che perfino la legge di conservazione dell’energia nella meccanica quantistica, vale rigorosamente
soltanto in media, perché “può essere verificata mediante due misure soltanto a meno di una grandezza dell’ordine
di /t…” come risulta dalla relazione: E+ ε - E’ - ε ’t . (Vedi “Meccanica quantistica”, op. cit. p.
194).
La teoria quantistica, come teoria dell'esperienza, abbraccia e misura il campo delle possibilità
obiettive, governato da leggi causali, e, inoltre, lo collega con quello della realtà osservabile.
Le leggi causali delle probabilità degli eventi e leggi statistiche della realtà osservabile sono
strettamente connesse: le seconde poggiano sulle prime.
La categoria della possibilità risulta fondamentale nell’interpretazione del comportamento della
natura come quella di necessità cui è connessa, e che si esprime nelle leggi causali delle probabilità
degli eventi osservabili ed anche nelle leggi probabilistiche degli eventi effettivamente osservati e
osservabili.
In breve: necessità = leggi. Non leggi assolute, ma leggi fisiche fondate sulla misura delle
grandezze osservabili e che quindi, non possono evitare gli errori statistici; e, nel caso della fisica
quantistica, non possono evitare i limiti imposti alla precisione dalle relazioni fondamentali di W.
Heisenberg.
Parafrasando e aggiornando Kant, potremmo dire che l'esperienza scientifica è possibile soltanto
mediante la rappresentazione della connessione necessaria delle potenzialità e delle realtà
fenomeniche; intendendo per connessione necessaria quella governata da leggi matematicamente
espresse500, secondo l’idea di conoscenza che fu prima di Galileo, poi di Newton.
Giovanni Mazza
500
Vedi “Critica della ragion pura”, op. cit., “Analogie dell’esperienza”.
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INDICE
IL DETERMINISMO TRA FILOSOFIA E FISICA
Premessa
Capitolo primo – Leonardo e Galileo
Galileo e il meccanicismo
Galileo e il concetto di causalità
Il concetto di legge di natura in Galileo
Leggi e determinismo
1
3
4
5
8
9
Capitolo secondo – Il meccanicismo cartesiano
La causalità meccanica e lo spazio pieno
Causalità e vortici
Gli animali come sistemi meccanici
L’uomo come sistema misto
Il determinismo meccanicistico cartesiano
Considerazioni conclusive
14
17
18
19
20
21
22
Capitolo terzo – Aspetti essenziali del materialismo deterministico hobbesiano
Qualità sensibili e moti della materia
La teoria della conoscenza
La spiegazione logico meccanica della realtà naturale
La scienza hobbesiana non è galileiana
Sul concetto di causa nel materialismo hobbesiano
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Capitolo quarto – Causalità e leggi nel pensiero di Newton
Sull’ordine del mondo
Il rapporto tra legge, causalità e ordine nel mondo
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Capitolo quinto – Introduzione al determinismo kantiano
Sulla determinazione di un esistente
Sulle leggi di natura e principi dell’intelletto
Il ruolo del principio di causalità e della legge di causalità nel determinismo critico
La reciprocità come causalità bidirezionale e simultanea
La critica di Karl Popper alla teoria kantiana della conoscenza
Sul concetto di validità oggettiva di un giudizio
Sulla necessità nel reale e del reale
Cassirer sul principio di causalità in Kant
Esperienza e causalità
Le analogie dell’esperienza e il principio di ragion sufficiente
Cassirer sul principio del nuovo determinismo critico
Il determinismo in Cassirer
Esperimento, legge di natura e determinismo nel pensiero di Cassirer
Heisenberg e la teoria trascendentale della conoscenza
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Capitolo sesto – Il determinismo laplaciano
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Capitolo settimo – Dal determinismo meccanicistico al determinismo dialettico
Il materialismo storico
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Capitolo ottavo – Il rapporto tra determinismo e tempo nella seconda legge della
termodinamica
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Capitolo nono – La crisi del determinismo meccanicistico
A.V. Fock e Max Born sulla causalità
Roger Penrose e l'irreversibilità del processo di misura
Analogia temporale nelle leggi di natura
M. Born sulla irreversibilità nelle leggi del moto
Il tempo, come irreversibilità, è solo illusione?
Conclusione
L’irreversibilità temporale nel pensiero di I. Prigogine
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Capitolo decimo – Causalità deterministica e causalità probabilistica
Le leggi deterministiche in rapporto a quelle dei quanti
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