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Manzoni, Adelchi. Unità dell'opera

Riproposta aggiornata della Posfazione alla ristampa anastatica di A. Manzoni, Adelchi (1822), Firenze, Le Lettere, 2015

ALESSANDRO MANZONI ADELCHI TRAGEDIA Introduzione e commento di Carlo Annoni A cura di Rita Zama Nota al Testo di Isabella Becherucci * SPARTACO A cura di Angelo Stella Premessa di Giuseppe Zecchini CENTRO NAZIONALE STUDI MANZONIANI MILANO · 2015 Questo volume dell’Edizione Nazionale ed Europea delle Opere di Alessandro Manzoni promossa dalla Fondazione Cariplo è stato realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività culturali e di Intesa Sanpaolo isbn 978-88-87924-33-6 tutti i diritti riservati · all rights reserved Isabella Becherucci UNITÀ DELL’OPERA CENTRO NAZIONALE STUDI MANZONIANI MILANO · 2015 EDIZIONI MANZONIANE DI RIFERIMENTO Poesie e tragedie Poesie e tragedie. Testo critico a cura di Fausto Ghisalberti, in Tutte le opere di Alessandro Manzoni, a cura di Alberto Chiari e Fausto Ghisalberti, Milano, Mondadori, 1954-1991, vol. i, 1957. Scritti storici e politici Scritti storici e politici, a cura di Luca Badini-Confalonieri, Tomo i, in Opere di Alessandro Manzoni, volume quarto, Torino, Unione Tipograico-Editrice Torinese, 2012, voll. 2. Tutte le lettere Tutte le lettere, a cura di Cesare Arieti. Con un’aggiunta di lettere inedite o disperse a cura di Dante Isella, Milano, Adelphi, 1986, voll. 3. Adelchi 1992 Adelchi, a cura di Gilberto Lonardi, commento e note di Paola Azzolini, Venezia, Marsilio, 1992. Adelchi 1998 Adelchi, edizione critica a cura di Isabella Becherucci, Firenze, Accademia della Crusca, 1998. Carteggio 1921 Carteggio di Alessandro Manzoni, a cura di Giovanni Sforza e Giuseppe Gallavresi, con 4 ritratti, 1822-1831, Milano, Hoepli, 1921. Carteggio Manzoni-Fauriel Carteggio Alessandro Manzoni-Claude Fauriel. Premessa di Ezio Raimondi. A cura di Irene Botta, Milano, Centro Nazionale Studi Manzoniani, 2000 (Edizione Nazionale ed Europea delle Opere, vol. 27). Discorso 1963 Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, a cura di Fausto Ghisalberti, in Tutte le opere, cit., vol. iv. Saggi storici e politici, pp. 1-306. Discorso 2005 Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, a cura di Isabella Becherucci, premessa di Dario Mantovani, Milano, Centro Nazionale Studi Manzoniani, 2005 (Edizione Nazionale ed Europea delle Opere, vol. 5). Lettre 2008 Lettre à M.r C*** sur l’unité de temps et de lieu dans la tragédie, a cura di Carla Riccardi, Roma, Salerno Editrice, 2008. 4 isabella becherucci « Questa tragedia è preceduta da alcune notizie storiche, e seguita da un discorso, nel quale si ragiona sulla certezza storica e sul concetto morale di alcuni punti importanti della storia longobardica in Italia. Se ad alcuno spiacesse, sul bel principio, di trovar tanta zavorra ad un legno che si ama di veder correre speditamente al suo ine, l’autore non intende provargli di avere avuto ragione di porvela; ma sollecito di non perdere pur uno dei pochi lettori che può sperare alla sua tragedia, si dà premura di assicurare quelli che saranno giunti in qui, che la tragedia può esser letta, intesa, e criticata ‹senza dar pure un’occhiata› senza scorrere la prosa che l’assedia da tutte le parti. Sono parole segnate sotto il cartellino «Avviso» su una carta autografa aggiunta al fascicolo contenente la prima copia delle Notizie storiche (ms. vii.3D, c. 4r), che, al di là della ripresa del consueto topos del lettore annoiato ricorrente nelle prime redazioni delle opere in prosa del Manzoni, sembrerebbero avallare una volta per tutte la scindibilità del testo tragico dal bagaglio prosastico che lo accompagna in dalla sua prima edizione. E benché poi non trascritte, dietro indicazione dell’autore, sulla copia integrale dell’opera (Notizie storiche, Adelchi, Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia) presentata alla Censura, e dunque inedite al pubblico ino all’edizione critica della tragedia nel volume primo di Tutte le opere di Alessandro Manzoni nei «Classici Mondadori»,1 la storia della fortuna del testo viene in un certo senso a seguirne il recondito invito: mentre le principali recensioni comparse quasi subito sui giornali letterari del tempo vertono unicamente sulla composizione tragica, è compito, invece, degli storici di accogliere la lezione di storiograia longobarda consegnata al saggio di accompagnamento e di proseguire, in linea con l’esortazione manzoniana quasi in conclusione del capitolo ii («Prenda dunque qualche acuto e insistente ingegno l’impresa di trovare la storia patria di que’ secoli; ne esamini, con nuove e più vaste e più lontane intenzioni, le memorie; esplori nelle cronache, nelle leggi, nelle lettere, nelle carte de’ privati che ci rimangono, i segni di vita della popolazione italiana»2) la ri1. Poesie e tragedie, p. 1031. 2. Discorso 2005, p. 212. Con lievi varianti al testo del 1822, ivi, pp. 68-69. unità dell’opera 5 cerca su quella che è stata deinita la ‘questione longobarda’.3 Manzoni stesso verrà ad aggiungersi a questa lunghissima schiera di studiosi quando, quasi vent’anni dopo (1845-1847), ristampando l’opera nei primi tre fascicoli del nascente volume delle Opere varie destinato ad accogliere la forma deinitiva delle sue composizioni riconosciute (e ad aiancarsi alla lezione ugualmente deinitiva del parallelo volume dei Promessi sposi del 1840), mentre si limita a registrare piccole varianti di carattere principalmente stilistico e formale al testo delle Notizie e dell’Adelchi, ricompone invece gran parte del saggio storico con il preciso intento di accentuarne con «cavillosa ilologia»4 il carattere di erudita disquisizione metodologica, parzialmente svincolandolo dalla tragedia che ne aveva fornito l’occasione. Corollario immediato è stato anche in tempi recenti il moltiplicarsi delle edizioni che riproducono la sola tragedia, preceduta beninteso dalle sue notizie introduttive sia secondo l’edizione princeps5 che secondo quella consegnata alle Opere varie; parimenti per una via assolutamente solitaria ha viaggiato il Discorso sui Longobardi, ino alla riedizione del testo secondo le sue due stampe manzoniane nel volume 5 di questa Edizione Nazionale, accompagnato da un doppio commento a cura di chi scrive queste righe. Ma la stessa studiosa che riprese in mano l’opera, studiandola soprattutto sotto l’aspetto ilologico della storia della sua composizione, non poté non ricordare il pericolo incombente sotto tale operazione, ovvero lo smembramento artiiciale e forzoso in due componenti distinte di un’opera nata ad ‘un parto’ e che conserva, soprattutto nella prima edizione, tutte le caratteristiche di una forte omogeneità. Anche senza considerare il fatto, pur fondamentale, dell’intitolazione apposta dal Manzoni sulla copia per la Censura, poi apparsa sul frontespizio dell’edizione Ferrario e mantenuta con una sola piccola variante stilistica anche nelle Opere varie (da «sur» si passa a «sopra»; 3. Focalizzata nella Premessa di Dario Mantovani al Discorso 2005. 4. La deinizione è di Gianfranco Contini nel cappello alla riproduzione di alcuni brani dell’edizione deinitiva in Antologia manzoniana, Firenze, Sansoni, 1989, p. 93. 5. Si cita qui da Adelchi 1992: la cui Postfazione insiste sulla inscindibile complementarità del saggio storico, purtroppo escluso dalla riproduzione. 6 isabella becherucci da segnalare anche l’omissione in questa del proprio nome in quanto incluso nel titolo più generale del volume), «Adelchi | Tragedia | di Alessandro Manzoni | con un Discorso sur alcuni punti | della storia longobardica in Italia» che dichiara perentoriamente le due opere unite, non è comunque un caso che l’autore medesimo non volle poi premettere alla stampa quelle poche righe in apparenza di esonero dalla fruizione della prosa, ma in realtà, proprio in virtù del topos stesso che rappresentano, piuttosto una captatio benevolentiae del lettore verso pagine forse troppo impegnative, per le quali tuttavia Manzoni provava un’afezione che quasi superava quella nutrita per l’opera in versi. Basti qui ricordare, intanto, che quella stessa espressione di «zavorra» per la prosa storica era stata già utilizzata nella lettera al Marchese Alessandro Visconti d’Aragona annunciandogli la composizione del Discorso, aiancata questa volta di aggettivi non meramente denigratori: «voluminosa, pesante, ma indispensabile zavorra di prosa storica».6 E si rileggano soprattutto le parole rivolte, a composizione ultimata, all’amico parigino Claude Fauriel, imminente traduttore in francese dell’opera che, mentre lo autorizzavano a inserire qualsivoglia correzione al testo poetico che per migliorarlo come può fare una buona educazione su un ragazzo di umili natali («Je ne vous dirai rien sur cet enfant, si non que si vous voulez bien lui apprendre le français, j’espère que vous proiterez de cette occasion pour refaire son éducation, et pour le rendre aussi bon sujet que sa naissance peut le comporter»; e ancora in una lettera successiva «Vous pouvez juger si je desire de voir de mes yeux Adelchi et son frère ainé vestiti dal dì delle feste, et de trouver mes ébauches d’idées redressées, perfectionnées, embellies dans votre style»), contemporaneamente lo sidavano invece a non toccare afatto, a costo di essere tacciato di traduttore infedele, il saggio che lo seguiva: Vous verrez à la lecture de ce Discours, qu’il ne peut être d’aucun intérêt pour des lecteurs français; et vous n’aurez certainement nulle envie de vous charger de la corvée longue et ennuyeuse de le traduire. Mais si par hasard cette idée vous passait par la tête, je vous déclare que je ne consens pas à ce qu’on en retranche une ligne; et que je 6. Tutte le lettere, lettera 151 (14 ottobre 1821), p. 241. unità dell’opera 7 regarderais toute mutilation comme une violence de votre part. De tous les mots injurieux qu’on est accoutumé d’accoler au titre de traducteur, il n’y en a qu’un que vous puissiez risquer de mériter; c’est celui d’inidèle; mais au-moins celui-là je ne vous l’épargnerais pas. J’espère vous avoir placé dans un déilé dont vous ne pourez vous tirer, qu’en laissant de côté ce Discours ou ce plaidoyer.7 E non è certamente solo la fatica estenuante che comportò la composizione del trattato (di cui si conservano due redazioni autografe, due copie apografe con ampie correzioni che continuano a susseguirsi in sulle bozze di stampa) e parallelamente delle Notizie (per le quali disponiamo di ben tre redazioni autografe assieme alle due copie apografe)8 che impegnò il Manzoni ad assidue ricerche bibliograiche e a parimenti ingenti acquisti di volumi sull’argomento, tutti conservati nelle tre biblioteche manzoniane e in gran parte postillati con ininite code di appunti e osservazioni su fogliettini volanti)9, a comportare una tanta partecipazione emotiva per quelle pagine di serrata analisi storica, quanto proprio l’aspettativa che in da principio l’autore aveva loro riservato e il signiicato stesso che poi vennero ad assumere ai suoi occhi e nei confronti di tutta la sua opera futura nell’aprire quel varco, poi sempre accresciuto, alle vie della storia. Connaturato alla composizione della tragedia è, infatti, il Discorso in dal suo primissimo annuncio, di lì a poco dal rientro a Milano dal secondo soggiorno parigino, all’amico d’oltralpe così intrinsecamente legato alle sue vicende letterarie: Ce que c’est que les poëtes, mon cher ami! Il faut encore que je vous parle de projets de travail; et que je vous demande des avis. J’ai en main un sujet de tragédie au quel je vais me mettre tout-desuite, pour l’achever dans l’hyver si je peux […]. Celui que je veux entreprendre à present est beaucoup plus populaire, c’est la chute du Royaume des Longobards, ou pour mieux dire de la dynastie 7. Carteggio Manzoni-Fauriel, lettera 70 (29 maggio 1822), p. 351; e p. 350 per la prima delle tre citazioni. La seconda, relativa all’Adelchi e al Carmagnola, è dalla lettera 76 (10 dicembre 1822), p. 396. 8. Cfr. I. Becherucci, Alessandro Manzoni, Adelchi: per l’edizione critica delle prose storiche, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di lettere e ilosoia», 3, (1998), pp. 201-14. 9. Alcuni dei quali sono poi initi nell’Autografoteca Treccani degli Alieri (cfr. «Annali Manzoniani», p. 242). 8 isabella becherucci longobarde et son extinction dans la personne d’Adelgise dernier roi avec Didier son père […]. Ma tragédie achevée, je compte d’y rëunir un petit travail historique sur les faits qui en forment l’argument, et sur la manière dont ils ont été representés: et mon but en cela est de démontrer que l’histoire des établissemens des barbares en Italie est encore à faire, et d’animer quelqu’un à l’entreprendre, ou au moins d’ébranler beaucoup de croyances très fermes, et très absurdes.10 Notizia e commento ribattuto con identiche note, benché non sia qui esplicito l’accenno al saggio storico, il giorno dopo dall’amico Ermes Visconti che a quel progetto era ora il più vicino: «La tragedia a cui egli pensa ora, è l’Adelgisio, e a giudicarne dall’abbozzo che ne ha in mente, essa minaccia di superare la prima. Sarà più frequentemente patetica, più popolare, e ciò non ostante sarà ideata su un piano più profondamente storico e nuovo, trattandosi di sviluppare molte cose poco conosciute sulle relazioni del governo Longobardo verso la popolazione italiana, e sulle cagioni intime della debolezza di quel governo quando Carlomagno vinse il re Desiderio».11 Già dal solo scorrere la sezione dell’epistolario relativa agli anni 1820-22, a partire proprio dalla lettera del 17 ottobre 1820, è evidente il forte impegno di ricerca e documentazione storica che precede, e accompagna lungo tutto il corso, la composizione della seconda tragedia manzoniana. Non c’è alcun paragone rispetto al pur serio lavoro di preparazione profuso per la realizzazione della prima, ovvero quel Conte di Carmagnola che inaugurò in Italia il nuovo sistema tragico e per il quale prevalsero, infatti, ben altri problemi che quelli storici, come la Prefazione viene inequivocabilmente a dimostrare: se là si trattava di trovare una soluzione nuova e di rispondere una volta per tutte agli oppugnatori del sistema romantico, e se ciò comportava soprattutto per Manzoni giustiicare sul piano morale la composizione stessa di una tragedia, adesso per l’Adelchi la via inaugurata proseguiva proprio su quella linea, inalmente segnata con chiarezza anche nei materiali di riflessione sulla prima tragedia, che voleva indistricabilmente congiunti i ili sottili dell’invenzione con gli ampi e spesso 10. Carteggio Manzoni-Fauriel, lettera 63 (17 ottobre 1820), pp. 266-68. 11. Carteggio, lettera 250, p. 504. unità dell’opera 9 controversi racconti dalle testimonianze storiche. L’inedito ed intricato rapporto dei due piani della storia e della fabula, di cui si era indicato tutta l’importanza e la novità soprattutto in quel lungo saggio francese (la Lettre à M. C***) che fa giusto da ponte dall’una all’altra composizione, e di cui si cercava ora in concreto il miracoloso punto di equilibrio, era infatti alla base della nuova composizione, per l’appunto concepita suddivisa nei due binari in cui per allora potevano presentarsi le due facce di una stessa opera. Secondo le direttive appena enunciate nella Lettre à M. C***, preliminare, per chi si accingeva a comporre una tragedia, era intanto «cogliere, tra gli avvenimenti, i rapporti di causa ed efetto, di anteriorità e di conseguenza che li legano; di ricondurre a un unico punto di vista, e come attraverso un’unica intuizione, parecchi fatti separati dalle circostanze del tempo e dello spazio, eliminando gli altri ad essi collegati solo per coincidenze accidentali», e cioè vestire i panni dello storico («C’est-là le travail de l’historien»);12 contemporaneamente, il poeta del nuovo sistema poteva, rivestendo quelli suoi propri, «completare la storia, restituirne, per così dire, la parte perduta» (e cioè i pensieri, i sentimenti, i discorsi che hanno accompagnato le grandi azioni conosciute), «immaginare persino dei fatti là dove la storia non ofre che indicazioni, inventare alla bisogna dei personaggi per rappresentare i costumi noti di una determinata epoca, prendere inine tutto ciò che esiste e aggiungere quel che manca, ma in modo che l’invenzione s’accordi con la realtà, non sia che un mezzo in più per farla brillare».13 E questo, infatti, fu il punto di partenza del Manzoni in procinto di comporre l’Adelchi. Le numerose missive ancora principalmente al Fauriel, secondo la consuetudine di quegli anni, ma con anche interessanti appendici agli amici più vicini, documentano proprio la grande fatica dell’autore intento subito a tracciare innanzi tutto a sé stesso il quadro degli studi storici sull’epoca prescelta, indicando in da principio con straordinaria chiarezza il punctum dolens di tutta quella storiograia: 12. Lettre pp. 11 e 13 (ci si avvale della traduzione italiana). 13. Ivi, p. 147. 10 isabella becherucci En cherchant de tout côté des notices et des observations sur cette époque, j’ai vu, ou crû voir qu’elle n’a nullement été comprise par ceux qui en ont parlé. Quant aux chroniqueurs contemporains vous savez qu’ils ne sont ordinairement que des narrateurs très arides, et qu’ils sont tous bien loin d’avoir déviné quelles seraient les choses de leur temps sur les quelles la posterité aurait le plus de curiosité. Les érudits des temps postérieurs à la renaissance des lettres tout en ramassant beaucoup de faits, et faisant des inductions quelquefois ïngénieuses et diiciles sur quelque coutume et sur les moeurs du moyen age n’ont jamais vu ce qu’il y avait d’important et de vrai dans les institutions, et dans le caractère de cette époque. Pour les historiens que nous appelons philosophes, c’est bien pis, puisqu’ils y ont vu ce qui n’y était pas. Ainsi pour ne vous rappeler leur manière de voir que sur un seul point, je trouve que depuis Machiavel jusqu’à Denina et après, tous s’accordent à régarder les Lombards comme des Italiens, et ce là par l’excellente raison que leur établissement en Italie a duré plus de deux siècles. Les Turcs à ce compte doivent être bien Grecs. Vous voyez qu’en partant de cette supposition ils ont dû juger de travers les faits, les lois, les personnes, tout. Pour tacher de me faire l’idée la plus complete que possible de ce point d’histoire, je me suis enfoncé dans les chroniques de la collection Rerum Italicarum, et même je hante quelques uns des dix-neuf gros complices de M.r Thyerri, qui me sont indispensables non seulement pour les rapports immédiats de l’histoire de Charlemagne avec celle des Lombards, mais aussi pour attraper quelques indications sur les établissemens des conquérans barbares qui tous se ressemblent fort. Or je voudrais que vous eussiez la bonté de m’indiquer quelque parlé de la condition des ouvrage moderne (à-part les plus connus) de ceux qui, bien ou mal, ont voulu débrouiller le chaos de ces établissemens dans le moyen age, et qui surtout ont peuples indigènes subjugués et possédés, qui est le point sur le quel l’histoire est plus pauvre, puisque pour ce qui regarde les Lombards on ne trouve presque pas une mention des Italiens dans leur histoire, qui cependant s’est faite en Italie. Il lungo passo, ancora dalla lettera del 17 ottobre 1820,14 viene intanto a confermare quella preliminare ma già approfondita preparazione storica che, come da programma, deve precedere la composizione poetica: la cui data di avvio, puntualmente registrata sulla seconda carta del manoscritto del primo getto, 14. Carteggio Manzoni-Fauriel, lettera 63, pp. 267-68. Si corregge deux siècle in deux siècles. unità dell’opera 11 è infatti quella del 7 novembre 1820 (e rimane una personale e insolubile curiosità il possibile omaggio a quel privilegiato momento celato dietro alla ripresa del medesimo giorno e mese per far iniziare sulle carte della seconda minuta, con la passeggiata di don Abbondio, il romanzo dei Promessi sposi). E infatti qui non si tratta soltanto di un puntiglioso rendiconto della tradizione storiograica italiana già largamente esplorata nelle sue principali diramazioni con paralleli sconinamenti in quella francese (di cui la raccolta dei Rerum francicarum et gallicarum scriptores, citata riprendendo una deinizione stessa del Thierry, è il caposaldo), ma soprattutto di una prima, precisa, presa di posizione all’interno del quadro ricostruito, di cui si cercano ulteriori conferme nella richiesta di un ampliamento del panorama bibliograico più conosciuto: di fronte alla linea che va dal Machiavelli al Muratori (e poi nei numerosi seguaci moderni di questo, come Manzoni avrà ben presto modo di saggiare) attestante la fusione fra Longobardi e Italiani sta, infatti, la sua perentoria afermazione contraria, ovvero la netta separazione delle due razze. Al di là che tale concezione avesse, come ormai è ben noto, subìto il fascino e la persuasività della parallela tesi sulla situazione generale delle conquiste germaniche nei paesi anglosassoni e in Francia, sostenuta proprio in quegli anni negli appassionati articoli storico-critici del giovane Augustin Thierry frequentato durante il secondo soggiorno parigino (giustappunto nella medesima lettera espressamente ricordato), resta fondamentale sottolineare come proprio questa particolare visione storica, ormai fatta decisamente propria, costituisce la pietra angolare su cui si costruiscono tragedia e saggio in dai primordi e a cui l’autore, nella pur complessa vicenda della composizione dell’Adelchi, restò sempre fedele. Mentre sulle pagine di carta più grezza dei fascicoli dell’autografo della tragedia prendeva faticosamente forma, con grossi caratteri a tutta pagina, per voce del protagonista, il sogno dell’unità dei due popoli, che proprio sulla tesi della separazione faceva leva e che si colorava immediatamente delle tonalità di acceso patriottismo alla base di quei moti risorgimentali di cui Manzoni era trepido spettatore e le cui note principali erano già da questi state segnate nell’afine (quanto ad aspettative) stagione del 1815, contemporane- 12 isabella becherucci amente l’autore continuava ad esaminare una dopo l’altra le asserzioni della più moderna storiograia, tutte protese ad affermare la raggiunta fusione e a ricercarne con accanimento e senza tregua le prove nelle cronache e nei documenti originari del tempo. All’amico Gaetano Cattaneo, di sicuro molto più che il mero fornitore (in qualità di direttore del Gabinetto Numismatico di Brera) dei preziosi volumi sull’argomento, si passa ben presto una noterilla dove è esposta «una sua picciola curiosità sul breve periodo di due secoli» da fare a sua volta «glisser» nelle mani del ‘molto erudito’ Abate Mazzucchelli15 e che senz’altro, proprio per l’ironico sminuimento della questione, deve riguardare il fondamentale nodo dei rapporti fra i due popoli e soprattutto la situazione in cui si venne a trovare quello conquistato; tuttavia poco dopo si confessa, invece, all’amico Fauriel l’amaro risultato inora conseguito da tanta ricerca («c’est que l’histoire de cette époque n’a pas été conservée et qu’à moins de la déviner on ne l’aura point»)16 che se lì per lì permetterà un sempre più faticoso, e più volte interrotto, protrarsi della composizione in versi all’ombra di quell’improbabile progetto di unità non confortato dalle testimonianze storiche, d’un tratto ne determinerà anche il deinitivo riiuto.17 Se senza la storia la poesia non vive; se, cioè, senza quel fondo di verità ricostruito dal meticoloso e attento lavoro dello storico non può neanche nascere e poi grandeggiare un’opera d’arte, come appunto afermato con passione e con forza in più luoghi della Lettre à M. C*** riflettendo parallele istanze della nascente poesia europea,18 così gran parte dell’ediicio tragico dell’Adelchi viene d’un tratto a vacillare e crollare su se stesso: e poiché si è afermato che deve essere solo la storia a 15. Tutte le lettere lettera 139, p. 219. 16. Carteggio Manzoni-Fauriel, n. 65 (21 febbraio 1821), p. 299. 17. Con la cancellazione, nell’agosto del 1821, della scena del primo atto e di ampie parti della scena dell’atto (ma i tagli si allargano ad altre parti dell’intera tragedia), identicamente giustiicando l’improvvisa sforbiciatura con due aini annotazioni («Scartare tutto e rifar l’atto in modo più conforme alla storia»; «omettere tutta la parte cancellata perché non ben legata all’azione, né storica»): cfr. Adelchi 1998, pp. e le corrispondenti sezioni nella riproduzione della «Prima forma». 18. Cfr. Un grande intreccio teorico, Introduzione di Carla Riccardi a Lettre, pp. 00-00. unità dell’opera 13 fornire l’abbrivio ad ogni composizione poetica, così è proprio nel ritorno a quella e alla sua lezione più autentica – celata ma ricostruibile sulla base delle testimonianze rimaste – che il poeta ritrova il varco alla ricostruzione, amputando ciò che viene inine riconosciuto non storicamente documentato (e fortemente influenzato dalle proprie aspirazioni risorgimentali e dai fermenti allora turbinanti nell’aria) e tenendosi questa volta, invece, ben avvinghiato all’unica certezza emersa dal paziente lavoro di scandaglio delle fonti storiche: quella tesi della separazione fra i due popoli longobardo e italiano che continua a rimanere, nel pur mutato orizzonte, stella issa e sempre più chiara cui fare riferimento anche nella ricomposizione della tragedia. Ed è qui, in questo stesso momento, che l’opera in versi e l’opera in prosa sviluppano più che mai quello stretto legame che le voleva per statuto congiunte nella veste uiciale. Mentre, infatti, passano quasi immutate nell’Abbozzo del Discorso le parole stesse che proponevano la tesi della separazione delle due etnie per la prima volta al Fauriel, con la ripresa puntuale del paragone con la contemporanea situazione della Grecia sottoposta alla dura dominazione turca («la prima è l’antichità della occupazione, i dugento ventisei anni del Machiavelli. Ma questa prova non è di alcun valore, giacchè riposa su un supposto falsissimo, cioè che la distinzione di due nazioni che abitino la stessa terra non possa durare un lunghissimo tratto di tempo. Non se ne dà la cagione e la storia è piena di fatti che provano il contrario: I mori non divennero spagnuoli, nè i Turchi greci occupando per ben maggior durata i territorj su cui vivevano quelle nazioni»),19 analogamente sulla interpretazione di questa nessuna «menzione degli italiani nella loro storia» qui denunciata – e subito ripetuta nel Discorso: «L’epoca della occupazione longobardica è singolare per la mancanza di documenti che riguardino il popolo soggetto»20 – e quindi sulla diicoltà di una loro oggettiva rappresentazione sembra arenarsi proprio la macchina compositiva della tragedia. 19. Discorso 1963, Abbozzo e frammenti, p. 261. Si segnala l’errata riproduzione del medesimo passo nella pagina precedente, per il quale invece Manzoni aveva previsto l’espunzione. 20. Ivi, p. 273. 14 isabella becherucci Un disincantato e realistico consuntivo della strada percorsa ad un anno dall’inizio dei lavori, seguito anche da un rapido preventivo del da farsi, ancora una volta al Fauriel, ricongiunge nuovamente assieme i due assi paralleli e complementari su cui corre lo sforzo compositivo dell’opera: Puisque je vous ai dit que ma tragédie d’Adelchi était terminée, sauf révision, il faut que je vous dise aussi que je n’en suis pas content du tout, et si dans cette vie si courte, on sacriiait des tragédies, celle-ci n’échapperait pas à la suppression. J’ai imaginé le caractère du protagoniste sur des données historiques que j’ai cru fondées, dans un temps où je ne connaissais pas encore assez l’aisance avec la quelle on traite l’histoire, j’ai bâti sur ces données, je les ai étendues, et je me suis aperçu qu’il n’y avait rien en tout cela d’historique, lorsque mon travail était avancé. Il en résulte une couleur romanesque, qui ne s’accorde pas avec l’ensemble, et qui me choque moi-même tout comme un lecteur mal disposé. J’ai écrit un discours historique que je publierai avec la tragédie, et qui rendra ce défaut encore plus sensible; et je vous dis tout cela ain d’adoucir par un humble confession le dépit que vous fera la lecture de ce pauvre Adelchi. Pour le discours, je n’ose pas prétendre, qu’il servira à éclaircir l’histoire du moyen age, je n’ai pas même aspiré à un tel resultat, je n’ai voulu que rendre l’obscurité visible, et démontrer que ce qu’on prenait pour de la lumière, n’en était pas. […] Pour moi j’ai traité mon sujet d’une manière fort large, comme vous l’allez voir par le petit apperçu que je vais vous en donner. Je leur ai fait sçavoir qu’ils n’en savent rien, et je leur ai dit que je n’ai rien à leur dire; après quoi je les quitte en les priant de faire de longues études pour nous dire quelque chose. Vous m’avouerez que c’est un pas de fait.21 E infatti dalle due sezioni in prosa dell’Adelchi, appena composte nelle loro prime stesure, Manzoni sta ampiamente citando nel descrivere al Fauriel il risultato del lavoro così come lo vede allo stadio di abbozzo generale di tutte le sue componenti: mentre dalla prima stesura delle Notizie storiche si traspone la denuncia (poi rimasta deinitiva) della non storicità del carattere del protagonista quale è rappresentato nella tragedia («Una cosa però è di mera invenzione senza fondamento storico, cioè il carattere morale, i disegni, e l’animo di Adelchi immaginato e introdotto o intruso nei fatti e nei caratteri reali, 21. Carteggio Manzoni-Fauriel, lettera 67 (3 novembre 1821), pp. 313-14. unità dell’opera 15 con una infelicità, la quale, dal più diicile e dal più malevolo lettore non sarà certo tanto vivamente sentita quanto lo è dall’autore»),22 dall’Abbozzo del Discorso si recupera il signiicato principale connesso alla sua operazione critica, ripetuto ben due volte nel giro dello stesso scartafaccio: Proporre rettamente, e con viste generali questi problemi, scioglierne alcuni, provare l’insolubilità degli altri è un lavoro che esigge sagacità, costanza, ricerche, estensione e solidità di cognizioni teoriche, libertà da altre occupazioni, cose tutte che mancano troppo a chi scrive perch’egli possa assumersi questo incarico. Ma un sommo servizio alla storia crederà egli di aver renduto, se questi pochi cenni possono servire di stimolo ad altri per intraprenderlo […]. Ristabilire il vero punto della quistione in articoli vasti e importanti di storia, rimondarli per così dire dalle opinioni false e inadeguate che furono proposte e ricevute con precipitazione, e darne la cognizione vera e compiuta, sarebbe certamente scopo tanto utile quanto degno, ma non solo l’autore non lo ha raggiunto, ma non ha nemmeno osato proporselo. Egli ha voluto soltanto indicarlo, e mostrandone l’importanza, accennando a quanto manchi ancora ad averlo ottenuto, animar altri a corrervi con nuove e più certe mire, con più generali e potenti ajuti, e con una utile e ragionata diidenza, circospezione. Insomma egli non ha preteso proporre un sistema che chiegga approvatori, ma una ignoranza, se si vuole una incredulità che domanda schiarimenti.23 La ricostruzione della vicenda elaborativa delle prose storiche anticipata nelle pagine introduttive dell’edizione critica dell’Adelchi 1998, e ragione primaria della loro non inclusione in quella prevedendone un parallelo volume che la completi, viene subito a confermare la loro stretta parentela anche genetica: composte assieme nel giro dei mesi inali del 1821, e soprattutto prima che l’autore si accingesse a completare il rifacimento in senso storico delle sezioni cassate della tragedia, sono risultate le due parti in prosa dell’opera nelle loro molteplici rielaborazioni, con ampi passaggi dalle une alle altre in modo da ottenere per le Notizie la isionomia di semplice catalogo di «nudi fatti» e per il Discorso la veste di argomentazione discorsiva delle scelte operate nelle fonti e del «concetto 22. Discorso 1963, p. 670. 23. Discorso 1963, p. 273 e p. 293. 16 isabella becherucci storico» drammaticamente rappresentato nella tragedia. Fra i numerosi recuperi nelle parti aggiunte in apertura della seconda stesura del Discorso dalle carte della prima delle Notizie storiche, con un travaso puntualmente documentato e fondamentale per stabilire l’esatta seriazione di tutte le redazioni conservate,24 è stato già indicato di particolare importanza la trasposizione del passo fondante della nuova teoria drammatica che, deinitivamente collocato nel cuore della Premessa, traduce quasi letteralmente un passaggio chiave di quella Lettre a M. C*** che abbiamo già detto essere a monte di tutta la nuova operazione: l’ingiustizia di esse, indipendentemente dalle convenzioni umane, secondo o contra le quali è stato operato; i desiderj, i timori, i patimenti. Ma una serie di fatti materiali ed esterni, per così dire, foss’anche purgata d’ogni errore e franca d’ogni dubbio, non è pur anco la storia, nè una materia bastante a formare il concetto drammatico di un avvenimento storico. Le circostanze di leggi, di consuetudini, di opinioni, in cui si sono trovati i personaggi operanti; le intenzioni e le tendenze loro; la giustizia, o, lo stato generale dell’immenso numero d’uomini che non ebbero parte attiva negli avvenimenti, ma che ne provarono gli efetti; queste ed altre cose di eguale, cioè di somma importanza, non si manifestano per lo più nei fatti stessi: e son pure la misura del giudizio che se ne deve portare.25 Car enin que nous donne l’histoire? des événemens qui ne sont, pour ainsi dire, connus que par leurs dehors; ce que les hommes ont exécuté: mais ce qu’ils ont pensé, les sentimens qui ont accompagné leurs délibérations et leurs projets, leurs succès et leurs infortunes; les discours par lesquels ils ont fait ou essayé de faire prévaloir leurs passions et leurs volontés sur d’autres passions et sur d’autres volontés, par lesquels ils ont exprimé leur colère, épanché leur tristesse, par lesquels, en un mot, ils ont révélé leur individualité: tout cela, à peu de chose près, est passé sous silence par l’histoire; et tout cela est le domaine de la poésie.26 Al di là del senso più profondo che emerge dalla volontà di continuo recupero e autocitazione del medesimo passo nel 24 E per tutti i passaggi cfr. I. Becherucci, Alessandro Manzoni, Adelchi: per l’edizione critica delle prose storiche, cit., pp. 208-14. 25. Poesie e tragedie, pp. 6-8. 26. Lettre , p. 136. unità dell’opera 17 corpo delle nuove composizioni manzoniane (non per nulla scolora anche nella prima Introduzione al romanzo), è evidente, per restare solo all’Adelchi, che le Notizie storiche a quello volutamente si richiamano quando, quasi in conclusione, l’autore rilascia il suo perentorio e negativo giudizio sul personaggio principale della tragedia: quanto ai «fatti materiali», gli unici anacronismi ammessi sono l’anticipata ine di Adelchi «al tempo ch’egli uscì di Verona» e la morte di Ansa «prima del momento in cui comincia l’azione (mentre in realtà quella regina fu condotta col marito captiva in Francia, dove morì)»; quanto alla lettura ‘interna’ degli avvenimenti, ovvero la «parte morale», è confessato un disaccordo irrimediabile fra i «disegni», i «giudizj sugli eventi» ed le «inclinazioni» del protagonista già anticipato al Fauriel al momento di accingersi alla ricomposizione della tragedia e per il quale non si elabora soluzione. Nasce, infatti, sicuramente da questa disarmonia volutamente sottolineata dal suo autore a dar luce all’opera poetica – e dunque di straordinaria importanza – quella tendenza corruttrice della formula storia e invenzione alla base della stagione più feconda delle composizioni manzoniane, che riemergerà, sempre più esplicita e più analiticamente proposta al pubblico, nel saggio Sul romanzo storico e in genere dei componimenti misti di storia ed invenzione con la sconfessione, per lo meno in linea teorica, del suo più imponente tentativo di conciliazione, ovvero il romanzo. Se si aggiungono, ancora, i numerosi altri richiami che dal testo del Discorso continuamente rinviano a quello delle Notizie, presupponendone una contemporanea fruizione (tanto che i pochi commentatori del primo nelle loro parziali edizioni sono obbligati a citare a piè di pagina il dettato di quelle),27 risulta intanto del tutto improponibile la praticata separazione delle prose storiche nelle ristampe correnti: è dato immediatamente evidente che Notizie e Discorso anche nella loro veste 27. Fra i pochi commenti al Discorso e tuttavia con scarse ed estremamente esigue annotazioni, ma per la prima volta al testo del 1822, si ricorda quello di Arnaldo Di Benedetto, I Longobardi in Italia, Torino, Fògola, 1984. BadiniConfalonieri torna a commentare il testo nella seconda edizione (ancora includendolo in volume antologico dei saggi storico-politici): cfr. Saggi storici e ilosoici, , pp. 95-300. 18 isabella becherucci deinitiva sono strettamente implicati nel tratteggiare, sia pure nelle diverse modalità espressive previste, il quadro storico a sfondo della tragedia. Per la quale ancora una volta la vicenda compositiva deinitivamente recuperata torna a sottolineare il forte legame con l’allestimento delle parti prosastiche. Sappiamo ormai che le linee principali della ricomposizione in senso storico dell’Adelchi maturano e trovano sbocco solo e proprio attraverso l’improvvisamente lucida rimeditazione di quei «dati» malamente interpretati dagli storici moderni (e che in parte ne hanno influenzato la prima rappresentazione tragica) e quindi attraverso la conseguente stesura dei materiali prosastici. Se la tragedia fa sentire, dunque, nel momento della sua ‘crisi’ più urgente la necessità non più dilazionabile della razionale dissertazione di accompagnamento per chiarire una volta per tutte la propria posizione nel quadro generale della storiograia sull’argomento prescelto, è inine questa che a sua volta presta le note per le nuove e deinitive parole della poesia. Solo dopo aver riconosciuto – attraverso un graduale passaggio dalla prima alla seconda stesura del Discorso – al di sotto di quell’enigmatico silenzio degli storici sulla condizione del popolo italiano soggetto al dominio longobardo l’efettivo stato civile e politico di questo e dunque i reali rapporti intercorrenti fra le due etnie (non più solo di netta separazione, come in dall’inizio abbiamo già visto afermato, ma di dura, e nient’afatto mitigata nel tempo, soggiogazione degli italiani al vincitore) e averlo indicato in conclusione del capitolo principale del saggio intitolato Se al tempo della invasione di Carlomagno, i Longobardi e gli italiani formassero un solo popolo – «Una immensa moltitudine d’uomini, una serie di generazioni, che passa su la terra, su la sua terra, inosservata, senza lasciarvi un vestigio, è un tristo ma portentoso fenomeno»28 – Manzoni poté dar voce a un «tanto silenzio» nel «cantuccio» riservato alle parole del poeta, raigurando appunto nel coro quel «volgo disperso che nome non ha» nel momento del passaggio dalla dominazione longobarda a quella franca, e quindi portare a compimento la ristrutturazione generale della tragedia. 28. Discorso 2005, p. 79. unità dell’opera 19 Ma anche a chi intenda restare comunque ignaro degli accidenti della composizione (malgrado la straordinaria conservazione di tutti i documenti della storia elaborativa di questo particolarissimo trittico, che ne testimoniano l’unitaria vicenda), estremamente riduttiva risulta in ogni caso la lettura dei vari quadri e molteplici personaggi dell’Adelchi solo correlata con la tradizione lirica italiana e latina – nonché col vasto panorama tragico europeo allora in movimento – e decurtata invece del grande afresco in cui l’autore volle che fossero prospettate le diverse forze in conflitto evocate nella tragedia. La già accennata rappresentazione degli italiani nelle strofe di apertura del coro dell’atto iii (vv. 1-4.7-12): Dagli atrj muscosi, dai Fori cadenti, dai boschi, dall’arse fucine stridenti, dai solchi bagnati di servo sudor, un volgo disperso repente si desta […]. Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti, qual raggio di sole da nuvoli folti, traluce dei padri la iera virtù; nei guardi, nei volti confuso ed incerto si mesce e discorda lo spregio soferto col misero orgoglio d’un tempo che fu, se pur ricorda quella da poco fermata per i Lombardi nei vv. 33-37 dell’ode Marzo 1821: Con quel volto sidato e dimesso, con quel guardo atterrato ed incerto, con che stassi un mendico soferto per mercede nel suolo stranier, star doveva in sua terra il Lombardo, riceve ora piena luce proprio dall’analoga loro descrizione nelle pagine inali del saggio: «I Romani erano quali gli aveva preparati di lunga mano la viltà fastosa, e l’irresoluzione arrogante dei loro ultimi imperatori, la successione e la vicenda delle irruzioni barbariche, il disarmamento sistematico e l’esercizio delle arti imbelli, in cui furono tenuti dai Goti, la dominazione greca, forte soltanto quanto bastava ad opprimere; erano quali gli avevano fatti dei secoli di batticuore e di 20 isabella becherucci rimpiattamenti, secoli d’inerzia senza riposo, di dolori senza dignità, di stragi senza battaglie».29 A tendersi di continuo la mano sono, dunque, non solo le prose anticipanti o seguenti il testo tragico, il cui legame è subito dichiarato nelle prime righe della Premessa al Discorso («Le notizie storiche premesse a questa tragedia […]») e del pari sottolineato nel titolo del capitolo i (Schiarimenti di alcuni fatti riferiti nelle notizie storiche), ma le parole stesse della poesia che alle une e alle altre segnatamente rimandano. Più e più volte, leggendo soprattutto le pagine meno argomentative e maggiormente descrittive (talvolta con accenti di indiscussa commozione), viene alla mente improvvisa la sua traduzione poetica: là dove, con tratto sicuro di penna, si descrive minuziosamente quella forza morale e materiale di Carlo («Quest’uomo allora, riunendo in sua mano la maggior somma delle forze, le dirige ad un segno, governa tutti gli avvenimenti, e ne fa nascere, come è da aspettarsi, di eternamente memorabili […]. Sotto un tal uomo, l’esercito Franco non aveva da pensar ad altro che ad eseguire degli ordini: e questa certezza, che scemava forse il sentimento della dignità nelle persone, accresceva però la iducia che nasce nel trovarsi in una grande unanimità»)30 tanto invidiata dal protagonista, che similmente la invoca (iii 46-52: «Il mio nemico / parte impunito; a nuove imprese ei corre: / vinto in un lato, ei di vittoria altrove / andar può in cerca; ei che su un popol regna / d’un sol voler, saldo, gittato in uno, / siccome il ferro del suo brando; e in pugno / come il brando lo tiensi»);31 o nella rapida traduzione da Eginardo del passaggio dei Franchi per «gioghi senza strada, scogli eretti al cielo, e rupi dirotte»32 ancora del coro dell’atto iii (vv. 46.49-50: «per valli petrose, per balzi dirotti, […] gli oscuri perigli di stanze incresciose, / per greppi senz’orma le corse afannose»); per inire al giro stesso del periodo sintattico che 29. Discorso 2005, pp. 135-36. 30. Discorso 2005, pp. 161-63. 31. Ancora più esplicitamente nella prima redazione del passo: «– Oh quante volte invidiai codesto / Carlo che abborro! ei sovra un popol regna / d’un sol voler, saldo, gittato in uno / siccome il ferro del suo brando, e in pugno / come il brando lo tiensi» (Adelchi 1998, La prima forma, atto 116-20). 32. Discorso 2005, p. 31. unità dell’opera 21 smonta il concetto di gloria conseguente alla vittoria su un popolo imbelle («Riposo senza gloria, dirà taluno. Senza gloria certamente: ma per chi mai v’era gloria in quel tempo? Per le diverse nazioni romane, vinte, possedute, inermi, disciolte? O pei barbari? Se v’ha chi crede che il soggiogare uomini i quali non sapevano resistere; che toglier le armi dalle mani che le lasciavano cadere; che il guerreggiare senza un pretesto di difesa; l’opprimere senza pericolo, fosse gloria; non si ha nulla da dirgli»)33 ripreso nelle analoghe afermazioni di Adelchi ad Anfrido (atto iii 43-46 e 66-71: «La gloria? il mio / destino è d’agognarla, e di morire / senza averla gustata. Ah no! codesta / non è ancor gloria […]. Qual guerra! e qual nemico! Ancor ruine / sopra ruine ammucchierem: l’antica / nostr’arte è questa: nei palagi il foco / porremo, e nei tugurj: uccisi i primi, / i signori del suolo, e quanti a caso / nell’asce nostre ad inciampar verranno»). Non si può, dunque, che riproporre unitamente, con forte convinzione tutte le parti di quell’opera che Manzoni stesso volle, al di là delle scelte editoriali del Fauriel per il pubblico francese, fosse a lui presentata «dans son entier, tel qu’il sera publié ici».34 Partire, inine, in questa integrale riedizione dell’Adelchi, dalla princeps, di cui abbiamo qui rapidamente ripercorso le ancora vibranti tracce della recente unitaria fatica compositiva, vuol dire anche tornare a quel momento magico in cui prendeva corpo, non solo nelle opere del Manzoni, ma di tutto un gruppo di giovani intellettuali a lui vicini, il progetto di una nuova poesia che parimenti dalla storia doveva prendere le mosse e che solo grazie alla stretta connessione con questa poteva diventare opera grande. Signiica, cioè, recuperare anche in parte i segreti fermenti di un’intera stagione letteraria, frequentata in quel vasto e articolato panorama europeo di cui Milano continuava a restare uno degli epicentri, e coglierne le molteplici sollecitazioni che, prime fra tutte quelle giunte in linea diretta dalla Francia sempre osservata con occhio partecipe, venivano al Manzoni e da lui subito appassionatamente 33. Discorso 2005, pp. 150-51. 34. Carteggio Manzoni-Fauriel, lettera 69 (6 marzo 1822), p. 338. 22 isabella becherucci ‘tradotte’ proprio nelle pagine del Discorso. In questo, infatti, più che nella tragedia, si rispecchiava la grande tensione per la storia del secolo appena iniziato sul suo nome («O Italiani, io vi esorto alle storie» sono le celebri parole del Foscolo nella sua prolusione accademica giusto del 1809) e di cui il saggio manzoniano indubbiamente rappresentò – a giudicare dal seguito che ne ebbe – una tappa fondamentale. Ciò che avvenne vent’anni dopo, nella deinitiva ricorrezione dell’opera (e molto di più si trattò, atteso che ben due ampie sezioni del Discorso furono interamente scritte ex-novo, quasi raddoppiandolo di mole) aveva ormai ben poco da spartire con quelle originarie tensioni e con quella lontana stagione: ne è un signiicativo segnale che, mentre per la tragedia si riconosce – come si è detto in apertura – un movimento correttorio unicamente incentrato a uniformarne la patina linguistica secondo il preciso modello messo a punto per l’edizione deinitiva dei Promessi sposi, nel Discorso si tende, invece, con fredda razionalità, soprattutto a mitigare i toni di accesa partecipazione emotiva con cui si presentavano le proprie ragioni e il proprio antico anelito alla verità, smorzandone di volta in volta tutte le punte più vitali e perdendone contemporaneamente gran parte della forza espressiva.35 35. Questo non signiica che i legami fra la tragedia e il lungo saggio storico di corredo vengano recisi, come invece afermato ancora da Badini Confalonieriin Scritti storici e ilosoici, , p. 304: malgrado il distacco temporale dei due anni impiegati per la ripubblicazione del Discorso, i fascicoli 2 e 3 seguono immediatamente quelli dell’Adelchi, posponendo la prima tragedia e le sue prose introduttive, inserite di seguito a partire dallo stesso fascicolo terzo, mentre il primo testo tragico occupa tutto il quarto. E in tale ordine furono poi rilegati nel volume delle Opere varie. Ricostituendo nell’Edizione Nazionale l’unità di Adelchi e del Discorso si ripropone, aggiornata, la presentazione di Isabella Becherucci all’anastatica della stampa Ferrario 1822 (Firenze, Le Lettere, 2002)