ALESSANDRO MANZONI
ADELCHI
TRAGEDIA
Introduzione e commento di
Carlo Annoni
A cura di
Rita Zama
Nota al Testo di
Isabella Becherucci
*
SPARTACO
A cura di Angelo Stella
Premessa di Giuseppe Zecchini
CENTRO NAZIONALE STUDI MANZONIANI
MILANO · 2015
Questo volume dell’Edizione Nazionale ed Europea
delle Opere di Alessandro Manzoni
promossa dalla Fondazione Cariplo
è stato realizzato con il contributo
del Ministero per i Beni e le Attività culturali
e di Intesa Sanpaolo
isbn 978-88-87924-33-6
tutti i diritti riservati · all rights reserved
Isabella Becherucci
UNITÀ DELL’OPERA
CENTRO NAZIONALE STUDI MANZONIANI
MILANO · 2015
EDIZIONI MANZONIANE DI RIFERIMENTO
Poesie e tragedie
Poesie e tragedie. Testo critico a cura di Fausto Ghisalberti, in Tutte le
opere di Alessandro Manzoni, a cura di Alberto Chiari e Fausto Ghisalberti, Milano, Mondadori, 1954-1991, vol. i, 1957.
Scritti storici e politici
Scritti storici e politici, a cura di Luca Badini-Confalonieri, Tomo i, in
Opere di Alessandro Manzoni, volume quarto, Torino, Unione Tipograico-Editrice Torinese, 2012, voll. 2.
Tutte le lettere
Tutte le lettere, a cura di Cesare Arieti. Con un’aggiunta di lettere inedite o disperse a cura di Dante Isella, Milano, Adelphi, 1986, voll. 3.
Adelchi 1992
Adelchi, a cura di Gilberto Lonardi, commento e note di Paola Azzolini, Venezia, Marsilio, 1992.
Adelchi 1998
Adelchi, edizione critica a cura di Isabella Becherucci, Firenze, Accademia della Crusca, 1998.
Carteggio 1921
Carteggio di Alessandro Manzoni, a cura di Giovanni Sforza e Giuseppe
Gallavresi, con 4 ritratti, 1822-1831, Milano, Hoepli, 1921.
Carteggio Manzoni-Fauriel
Carteggio Alessandro Manzoni-Claude Fauriel. Premessa di Ezio Raimondi. A cura di Irene Botta, Milano, Centro Nazionale Studi Manzoniani, 2000 (Edizione Nazionale ed Europea delle Opere, vol. 27).
Discorso 1963
Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, a cura di
Fausto Ghisalberti, in Tutte le opere, cit., vol. iv. Saggi storici e politici,
pp. 1-306.
Discorso 2005
Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, a cura di
Isabella Becherucci, premessa di Dario Mantovani, Milano, Centro
Nazionale Studi Manzoniani, 2005 (Edizione Nazionale ed Europea
delle Opere, vol. 5).
Lettre 2008
Lettre à M.r C*** sur l’unité de temps et de lieu dans la tragédie, a cura di
Carla Riccardi, Roma, Salerno Editrice, 2008.
4
isabella becherucci
«
Questa tragedia è preceduta da alcune notizie storiche, e seguita da
un discorso, nel quale si ragiona sulla certezza storica e sul concetto
morale di alcuni punti importanti della storia longobardica in Italia. Se ad alcuno spiacesse, sul bel principio, di trovar tanta zavorra
ad un legno che si ama di veder correre speditamente al suo ine,
l’autore non intende provargli di avere avuto ragione di porvela; ma
sollecito di non perdere pur uno dei pochi lettori che può sperare alla
sua tragedia, si dà premura di assicurare quelli che saranno giunti in
qui, che la tragedia può esser letta, intesa, e criticata ‹senza dar pure
un’occhiata› senza scorrere la prosa che l’assedia da tutte le parti.
Sono parole segnate sotto il cartellino «Avviso» su una carta
autografa aggiunta al fascicolo contenente la prima copia delle Notizie storiche (ms. vii.3D, c. 4r), che, al di là della ripresa
del consueto topos del lettore annoiato ricorrente nelle prime
redazioni delle opere in prosa del Manzoni, sembrerebbero
avallare una volta per tutte la scindibilità del testo tragico
dal bagaglio prosastico che lo accompagna in dalla sua prima edizione. E benché poi non trascritte, dietro indicazione
dell’autore, sulla copia integrale dell’opera (Notizie storiche,
Adelchi, Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia) presentata alla Censura, e dunque inedite al pubblico ino
all’edizione critica della tragedia nel volume primo di Tutte le
opere di Alessandro Manzoni nei «Classici Mondadori»,1 la storia della fortuna del testo viene in un certo senso a seguirne
il recondito invito: mentre le principali recensioni comparse
quasi subito sui giornali letterari del tempo vertono unicamente sulla composizione tragica, è compito, invece, degli storici
di accogliere la lezione di storiograia longobarda consegnata
al saggio di accompagnamento e di proseguire, in linea con
l’esortazione manzoniana quasi in conclusione del capitolo ii
(«Prenda dunque qualche acuto e insistente ingegno l’impresa
di trovare la storia patria di que’ secoli; ne esamini, con nuove
e più vaste e più lontane intenzioni, le memorie; esplori nelle
cronache, nelle leggi, nelle lettere, nelle carte de’ privati che ci
rimangono, i segni di vita della popolazione italiana»2) la ri1. Poesie e tragedie, p. 1031.
2. Discorso 2005, p. 212. Con lievi varianti al testo del 1822, ivi, pp. 68-69.
unità dell’opera
5
cerca su quella che è stata deinita la ‘questione longobarda’.3
Manzoni stesso verrà ad aggiungersi a questa lunghissima
schiera di studiosi quando, quasi vent’anni dopo (1845-1847),
ristampando l’opera nei primi tre fascicoli del nascente volume delle Opere varie destinato ad accogliere la forma deinitiva
delle sue composizioni riconosciute (e ad aiancarsi alla lezione ugualmente deinitiva del parallelo volume dei Promessi
sposi del 1840), mentre si limita a registrare piccole varianti
di carattere principalmente stilistico e formale al testo delle
Notizie e dell’Adelchi, ricompone invece gran parte del saggio
storico con il preciso intento di accentuarne con «cavillosa
ilologia»4 il carattere di erudita disquisizione metodologica,
parzialmente svincolandolo dalla tragedia che ne aveva fornito l’occasione. Corollario immediato è stato anche in tempi
recenti il moltiplicarsi delle edizioni che riproducono la sola
tragedia, preceduta beninteso dalle sue notizie introduttive sia
secondo l’edizione princeps5 che secondo quella consegnata alle
Opere varie; parimenti per una via assolutamente solitaria ha
viaggiato il Discorso sui Longobardi, ino alla riedizione del testo
secondo le sue due stampe manzoniane nel volume 5 di questa
Edizione Nazionale, accompagnato da un doppio commento
a cura di chi scrive queste righe.
Ma la stessa studiosa che riprese in mano l’opera, studiandola soprattutto sotto l’aspetto ilologico della storia della sua
composizione, non poté non ricordare il pericolo incombente
sotto tale operazione, ovvero lo smembramento artiiciale e forzoso in due componenti distinte di un’opera nata ad ‘un parto’
e che conserva, soprattutto nella prima edizione, tutte le caratteristiche di una forte omogeneità. Anche senza considerare il
fatto, pur fondamentale, dell’intitolazione apposta dal Manzoni sulla copia per la Censura, poi apparsa sul frontespizio
dell’edizione Ferrario e mantenuta con una sola piccola variante stilistica anche nelle Opere varie (da «sur» si passa a «sopra»;
3. Focalizzata nella Premessa di Dario Mantovani al Discorso 2005.
4. La deinizione è di Gianfranco Contini nel cappello alla riproduzione
di alcuni brani dell’edizione deinitiva in Antologia manzoniana, Firenze, Sansoni, 1989, p. 93.
5. Si cita qui da Adelchi 1992: la cui Postfazione insiste sulla inscindibile
complementarità del saggio storico, purtroppo escluso dalla riproduzione.
6
isabella becherucci
da segnalare anche l’omissione in questa del proprio nome in
quanto incluso nel titolo più generale del volume), «Adelchi |
Tragedia | di Alessandro Manzoni | con un Discorso sur alcuni
punti | della storia longobardica in Italia» che dichiara perentoriamente le due opere unite, non è comunque un caso che
l’autore medesimo non volle poi premettere alla stampa quelle
poche righe in apparenza di esonero dalla fruizione della prosa, ma in realtà, proprio in virtù del topos stesso che rappresentano, piuttosto una captatio benevolentiae del lettore verso pagine
forse troppo impegnative, per le quali tuttavia Manzoni provava un’afezione che quasi superava quella nutrita per l’opera in
versi. Basti qui ricordare, intanto, che quella stessa espressione
di «zavorra» per la prosa storica era stata già utilizzata nella
lettera al Marchese Alessandro Visconti d’Aragona annunciandogli la composizione del Discorso, aiancata questa volta di
aggettivi non meramente denigratori: «voluminosa, pesante,
ma indispensabile zavorra di prosa storica».6 E si rileggano
soprattutto le parole rivolte, a composizione ultimata, all’amico parigino Claude Fauriel, imminente traduttore in francese
dell’opera che, mentre lo autorizzavano a inserire qualsivoglia
correzione al testo poetico che per migliorarlo come può fare
una buona educazione su un ragazzo di umili natali («Je ne
vous dirai rien sur cet enfant, si non que si vous voulez bien lui
apprendre le français, j’espère que vous proiterez de cette occasion pour refaire son éducation, et pour le rendre aussi bon
sujet que sa naissance peut le comporter»; e ancora in una lettera successiva «Vous pouvez juger si je desire de voir de mes
yeux Adelchi et son frère ainé vestiti dal dì delle feste, et de trouver mes ébauches d’idées redressées, perfectionnées, embellies
dans votre style»), contemporaneamente lo sidavano invece
a non toccare afatto, a costo di essere tacciato di traduttore
infedele, il saggio che lo seguiva:
Vous verrez à la lecture de ce Discours, qu’il ne peut être d’aucun
intérêt pour des lecteurs français; et vous n’aurez certainement nulle
envie de vous charger de la corvée longue et ennuyeuse de le traduire.
Mais si par hasard cette idée vous passait par la tête, je vous déclare
que je ne consens pas à ce qu’on en retranche une ligne; et que je
6. Tutte le lettere, lettera 151 (14 ottobre 1821), p. 241.
unità dell’opera
7
regarderais toute mutilation comme une violence de votre part. De
tous les mots injurieux qu’on est accoutumé d’accoler au titre de traducteur, il n’y en a qu’un que vous puissiez risquer de mériter; c’est
celui d’inidèle; mais au-moins celui-là je ne vous l’épargnerais pas.
J’espère vous avoir placé dans un déilé dont vous ne pourez vous
tirer, qu’en laissant de côté ce Discours ou ce plaidoyer.7
E non è certamente solo la fatica estenuante che comportò la
composizione del trattato (di cui si conservano due redazioni
autografe, due copie apografe con ampie correzioni che continuano a susseguirsi in sulle bozze di stampa) e parallelamente
delle Notizie (per le quali disponiamo di ben tre redazioni autografe assieme alle due copie apografe)8 che impegnò il Manzoni
ad assidue ricerche bibliograiche e a parimenti ingenti acquisti
di volumi sull’argomento, tutti conservati nelle tre biblioteche
manzoniane e in gran parte postillati con ininite code di appunti e osservazioni su fogliettini volanti)9, a comportare una
tanta partecipazione emotiva per quelle pagine di serrata analisi
storica, quanto proprio l’aspettativa che in da principio l’autore
aveva loro riservato e il signiicato stesso che poi vennero ad
assumere ai suoi occhi e nei confronti di tutta la sua opera futura nell’aprire quel varco, poi sempre accresciuto, alle vie della
storia. Connaturato alla composizione della tragedia è, infatti, il
Discorso in dal suo primissimo annuncio, di lì a poco dal rientro
a Milano dal secondo soggiorno parigino, all’amico d’oltralpe
così intrinsecamente legato alle sue vicende letterarie:
Ce que c’est que les poëtes, mon cher ami! Il faut encore que je
vous parle de projets de travail; et que je vous demande des avis.
J’ai en main un sujet de tragédie au quel je vais me mettre tout-desuite, pour l’achever dans l’hyver si je peux […]. Celui que je veux
entreprendre à present est beaucoup plus populaire, c’est la chute
du Royaume des Longobards, ou pour mieux dire de la dynastie
7. Carteggio Manzoni-Fauriel, lettera 70 (29 maggio 1822), p. 351; e p. 350
per la prima delle tre citazioni. La seconda, relativa all’Adelchi e al Carmagnola, è dalla lettera 76 (10 dicembre 1822), p. 396.
8. Cfr. I. Becherucci, Alessandro Manzoni, Adelchi: per l’edizione critica delle prose storiche, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di
lettere e ilosoia», 3, (1998), pp. 201-14.
9. Alcuni dei quali sono poi initi nell’Autografoteca Treccani degli Alieri
(cfr. «Annali Manzoniani», p. 242).
8
isabella becherucci
longobarde et son extinction dans la personne d’Adelgise dernier roi
avec Didier son père […]. Ma tragédie achevée, je compte d’y rëunir
un petit travail historique sur les faits qui en forment l’argument, et
sur la manière dont ils ont été representés: et mon but en cela est de
démontrer que l’histoire des établissemens des barbares en Italie est
encore à faire, et d’animer quelqu’un à l’entreprendre, ou au moins
d’ébranler beaucoup de croyances très fermes, et très absurdes.10
Notizia e commento ribattuto con identiche note, benché
non sia qui esplicito l’accenno al saggio storico, il giorno dopo dall’amico Ermes Visconti che a quel progetto era ora il
più vicino: «La tragedia a cui egli pensa ora, è l’Adelgisio, e
a giudicarne dall’abbozzo che ne ha in mente, essa minaccia
di superare la prima. Sarà più frequentemente patetica, più
popolare, e ciò non ostante sarà ideata su un piano più profondamente storico e nuovo, trattandosi di sviluppare molte cose
poco conosciute sulle relazioni del governo Longobardo verso
la popolazione italiana, e sulle cagioni intime della debolezza
di quel governo quando Carlomagno vinse il re Desiderio».11
Già dal solo scorrere la sezione dell’epistolario relativa agli
anni 1820-22, a partire proprio dalla lettera del 17 ottobre 1820,
è evidente il forte impegno di ricerca e documentazione storica che precede, e accompagna lungo tutto il corso, la composizione della seconda tragedia manzoniana. Non c’è alcun
paragone rispetto al pur serio lavoro di preparazione profuso
per la realizzazione della prima, ovvero quel Conte di Carmagnola che inaugurò in Italia il nuovo sistema tragico e per il
quale prevalsero, infatti, ben altri problemi che quelli storici,
come la Prefazione viene inequivocabilmente a dimostrare: se
là si trattava di trovare una soluzione nuova e di rispondere
una volta per tutte agli oppugnatori del sistema romantico,
e se ciò comportava soprattutto per Manzoni giustiicare sul
piano morale la composizione stessa di una tragedia, adesso
per l’Adelchi la via inaugurata proseguiva proprio su quella linea, inalmente segnata con chiarezza anche nei materiali di
riflessione sulla prima tragedia, che voleva indistricabilmente congiunti i ili sottili dell’invenzione con gli ampi e spesso
10. Carteggio Manzoni-Fauriel, lettera 63 (17 ottobre 1820), pp. 266-68.
11. Carteggio, lettera 250, p. 504.
unità dell’opera
9
controversi racconti dalle testimonianze storiche. L’inedito ed
intricato rapporto dei due piani della storia e della fabula, di
cui si era indicato tutta l’importanza e la novità soprattutto in
quel lungo saggio francese (la Lettre à M. C***) che fa giusto
da ponte dall’una all’altra composizione, e di cui si cercava
ora in concreto il miracoloso punto di equilibrio, era infatti
alla base della nuova composizione, per l’appunto concepita
suddivisa nei due binari in cui per allora potevano presentarsi
le due facce di una stessa opera.
Secondo le direttive appena enunciate nella Lettre à M.
C***, preliminare, per chi si accingeva a comporre una tragedia, era intanto «cogliere, tra gli avvenimenti, i rapporti di
causa ed efetto, di anteriorità e di conseguenza che li legano; di ricondurre a un unico punto di vista, e come attraverso
un’unica intuizione, parecchi fatti separati dalle circostanze
del tempo e dello spazio, eliminando gli altri ad essi collegati
solo per coincidenze accidentali», e cioè vestire i panni dello
storico («C’est-là le travail de l’historien»);12 contemporaneamente, il poeta del nuovo sistema poteva, rivestendo quelli
suoi propri, «completare la storia, restituirne, per così dire,
la parte perduta» (e cioè i pensieri, i sentimenti, i discorsi che
hanno accompagnato le grandi azioni conosciute), «immaginare persino dei fatti là dove la storia non ofre che indicazioni, inventare alla bisogna dei personaggi per rappresentare i
costumi noti di una determinata epoca, prendere inine tutto
ciò che esiste e aggiungere quel che manca, ma in modo che
l’invenzione s’accordi con la realtà, non sia che un mezzo in
più per farla brillare».13 E questo, infatti, fu il punto di partenza del Manzoni in procinto di comporre l’Adelchi.
Le numerose missive ancora principalmente al Fauriel,
secondo la consuetudine di quegli anni, ma con anche interessanti appendici agli amici più vicini, documentano proprio
la grande fatica dell’autore intento subito a tracciare innanzi
tutto a sé stesso il quadro degli studi storici sull’epoca prescelta, indicando in da principio con straordinaria chiarezza il
punctum dolens di tutta quella storiograia:
12. Lettre pp. 11 e 13 (ci si avvale della traduzione italiana).
13. Ivi, p. 147.
10
isabella becherucci
En cherchant de tout côté des notices et des observations sur cette
époque, j’ai vu, ou crû voir qu’elle n’a nullement été comprise par
ceux qui en ont parlé. Quant aux chroniqueurs contemporains vous
savez qu’ils ne sont ordinairement que des narrateurs très arides, et
qu’ils sont tous bien loin d’avoir déviné quelles seraient les choses de
leur temps sur les quelles la posterité aurait le plus de curiosité. Les
érudits des temps postérieurs à la renaissance des lettres tout en ramassant beaucoup de faits, et faisant des inductions quelquefois ïngénieuses et diiciles sur quelque coutume et sur les moeurs du moyen
age n’ont jamais vu ce qu’il y avait d’important et de vrai dans les
institutions, et dans le caractère de cette époque. Pour les historiens
que nous appelons philosophes, c’est bien pis, puisqu’ils y ont vu ce
qui n’y était pas. Ainsi pour ne vous rappeler leur manière de voir
que sur un seul point, je trouve que depuis Machiavel jusqu’à Denina
et après, tous s’accordent à régarder les Lombards comme des Italiens, et ce là par l’excellente raison que leur établissement en Italie
a duré plus de deux siècles. Les Turcs à ce compte doivent être bien
Grecs. Vous voyez qu’en partant de cette supposition ils ont dû juger
de travers les faits, les lois, les personnes, tout. Pour tacher de me
faire l’idée la plus complete que possible de ce point d’histoire, je me
suis enfoncé dans les chroniques de la collection Rerum Italicarum,
et même je hante quelques uns des dix-neuf gros complices de M.r
Thyerri, qui me sont indispensables non seulement pour les rapports
immédiats de l’histoire de Charlemagne avec celle des Lombards,
mais aussi pour attraper quelques indications sur les établissemens
des conquérans barbares qui tous se ressemblent fort. Or je voudrais
que vous eussiez la bonté de m’indiquer quelque parlé de la condition des ouvrage moderne (à-part les plus connus) de ceux qui, bien
ou mal, ont voulu débrouiller le chaos de ces établissemens dans le
moyen age, et qui surtout ont peuples indigènes subjugués et possédés,
qui est le point sur le quel l’histoire est plus pauvre, puisque pour ce
qui regarde les Lombards on ne trouve presque pas une mention des
Italiens dans leur histoire, qui cependant s’est faite en Italie.
Il lungo passo, ancora dalla lettera del 17 ottobre 1820,14 viene
intanto a confermare quella preliminare ma già approfondita
preparazione storica che, come da programma, deve precedere la composizione poetica: la cui data di avvio, puntualmente
registrata sulla seconda carta del manoscritto del primo getto,
14. Carteggio Manzoni-Fauriel, lettera 63, pp. 267-68. Si corregge deux siècle
in deux siècles.
unità dell’opera
11
è infatti quella del 7 novembre 1820 (e rimane una personale e
insolubile curiosità il possibile omaggio a quel privilegiato momento celato dietro alla ripresa del medesimo giorno e mese
per far iniziare sulle carte della seconda minuta, con la passeggiata di don Abbondio, il romanzo dei Promessi sposi).
E infatti qui non si tratta soltanto di un puntiglioso rendiconto della tradizione storiograica italiana già largamente
esplorata nelle sue principali diramazioni con paralleli sconinamenti in quella francese (di cui la raccolta dei Rerum francicarum et gallicarum scriptores, citata riprendendo una deinizione
stessa del Thierry, è il caposaldo), ma soprattutto di una prima, precisa, presa di posizione all’interno del quadro ricostruito, di cui si cercano ulteriori conferme nella richiesta di un
ampliamento del panorama bibliograico più conosciuto: di
fronte alla linea che va dal Machiavelli al Muratori (e poi nei
numerosi seguaci moderni di questo, come Manzoni avrà ben
presto modo di saggiare) attestante la fusione fra Longobardi
e Italiani sta, infatti, la sua perentoria afermazione contraria,
ovvero la netta separazione delle due razze. Al di là che tale
concezione avesse, come ormai è ben noto, subìto il fascino e
la persuasività della parallela tesi sulla situazione generale delle conquiste germaniche nei paesi anglosassoni e in Francia,
sostenuta proprio in quegli anni negli appassionati articoli storico-critici del giovane Augustin Thierry frequentato durante
il secondo soggiorno parigino (giustappunto nella medesima
lettera espressamente ricordato), resta fondamentale sottolineare come proprio questa particolare visione storica, ormai fatta
decisamente propria, costituisce la pietra angolare su cui si
costruiscono tragedia e saggio in dai primordi e a cui l’autore,
nella pur complessa vicenda della composizione dell’Adelchi,
restò sempre fedele. Mentre sulle pagine di carta più grezza
dei fascicoli dell’autografo della tragedia prendeva faticosamente forma, con grossi caratteri a tutta pagina, per voce del
protagonista, il sogno dell’unità dei due popoli, che proprio
sulla tesi della separazione faceva leva e che si colorava immediatamente delle tonalità di acceso patriottismo alla base di
quei moti risorgimentali di cui Manzoni era trepido spettatore
e le cui note principali erano già da questi state segnate nell’afine (quanto ad aspettative) stagione del 1815, contemporane-
12
isabella becherucci
amente l’autore continuava ad esaminare una dopo l’altra le
asserzioni della più moderna storiograia, tutte protese ad affermare la raggiunta fusione e a ricercarne con accanimento
e senza tregua le prove nelle cronache e nei documenti originari del tempo. All’amico Gaetano Cattaneo, di sicuro molto
più che il mero fornitore (in qualità di direttore del Gabinetto
Numismatico di Brera) dei preziosi volumi sull’argomento, si
passa ben presto una noterilla dove è esposta «una sua picciola
curiosità sul breve periodo di due secoli» da fare a sua volta
«glisser» nelle mani del ‘molto erudito’ Abate Mazzucchelli15
e che senz’altro, proprio per l’ironico sminuimento della questione, deve riguardare il fondamentale nodo dei rapporti fra
i due popoli e soprattutto la situazione in cui si venne a trovare quello conquistato; tuttavia poco dopo si confessa, invece,
all’amico Fauriel l’amaro risultato inora conseguito da tanta
ricerca («c’est que l’histoire de cette époque n’a pas été conservée et qu’à moins de la déviner on ne l’aura point»)16 che se lì
per lì permetterà un sempre più faticoso, e più volte interrotto,
protrarsi della composizione in versi all’ombra di quell’improbabile progetto di unità non confortato dalle testimonianze
storiche, d’un tratto ne determinerà anche il deinitivo riiuto.17 Se senza la storia la poesia non vive; se, cioè, senza quel
fondo di verità ricostruito dal meticoloso e attento lavoro dello
storico non può neanche nascere e poi grandeggiare un’opera
d’arte, come appunto afermato con passione e con forza in
più luoghi della Lettre à M. C*** riflettendo parallele istanze
della nascente poesia europea,18 così gran parte dell’ediicio
tragico dell’Adelchi viene d’un tratto a vacillare e crollare su se
stesso: e poiché si è afermato che deve essere solo la storia a
15. Tutte le lettere lettera 139, p. 219.
16. Carteggio Manzoni-Fauriel, n. 65 (21 febbraio 1821), p. 299.
17. Con la cancellazione, nell’agosto del 1821, della scena del primo atto
e di ampie parti della scena dell’atto (ma i tagli si allargano ad altre parti
dell’intera tragedia), identicamente giustiicando l’improvvisa sforbiciatura
con due aini annotazioni («Scartare tutto e rifar l’atto in modo più conforme alla storia»; «omettere tutta la parte cancellata perché non ben legata
all’azione, né storica»): cfr. Adelchi 1998, pp. e le corrispondenti sezioni nella
riproduzione della «Prima forma».
18. Cfr. Un grande intreccio teorico, Introduzione di Carla Riccardi a Lettre,
pp. 00-00.
unità dell’opera
13
fornire l’abbrivio ad ogni composizione poetica, così è proprio
nel ritorno a quella e alla sua lezione più autentica – celata
ma ricostruibile sulla base delle testimonianze rimaste – che
il poeta ritrova il varco alla ricostruzione, amputando ciò che
viene inine riconosciuto non storicamente documentato (e
fortemente influenzato dalle proprie aspirazioni risorgimentali e dai fermenti allora turbinanti nell’aria) e tenendosi questa
volta, invece, ben avvinghiato all’unica certezza emersa dal
paziente lavoro di scandaglio delle fonti storiche: quella tesi
della separazione fra i due popoli longobardo e italiano che
continua a rimanere, nel pur mutato orizzonte, stella issa e
sempre più chiara cui fare riferimento anche nella ricomposizione della tragedia. Ed è qui, in questo stesso momento, che
l’opera in versi e l’opera in prosa sviluppano più che mai quello
stretto legame che le voleva per statuto congiunte nella veste
uiciale. Mentre, infatti, passano quasi immutate nell’Abbozzo del Discorso le parole stesse che proponevano la tesi della
separazione delle due etnie per la prima volta al Fauriel, con
la ripresa puntuale del paragone con la contemporanea situazione della Grecia sottoposta alla dura dominazione turca («la
prima è l’antichità della occupazione, i dugento ventisei anni
del Machiavelli. Ma questa prova non è di alcun valore, giacchè riposa su un supposto falsissimo, cioè che la distinzione
di due nazioni che abitino la stessa terra non possa durare
un lunghissimo tratto di tempo. Non se ne dà la cagione e
la storia è piena di fatti che provano il contrario: I mori non
divennero spagnuoli, nè i Turchi greci occupando per ben
maggior durata i territorj su cui vivevano quelle nazioni»),19
analogamente sulla interpretazione di questa nessuna «menzione degli italiani nella loro storia» qui denunciata – e subito
ripetuta nel Discorso: «L’epoca della occupazione longobardica è singolare per la mancanza di documenti che riguardino
il popolo soggetto»20 – e quindi sulla diicoltà di una loro oggettiva rappresentazione sembra arenarsi proprio la macchina
compositiva della tragedia.
19. Discorso 1963, Abbozzo e frammenti, p. 261. Si segnala l’errata riproduzione del medesimo passo nella pagina precedente, per il quale invece Manzoni
aveva previsto l’espunzione.
20. Ivi, p. 273.
14
isabella becherucci
Un disincantato e realistico consuntivo della strada percorsa
ad un anno dall’inizio dei lavori, seguito anche da un rapido
preventivo del da farsi, ancora una volta al Fauriel, ricongiunge nuovamente assieme i due assi paralleli e complementari su
cui corre lo sforzo compositivo dell’opera:
Puisque je vous ai dit que ma tragédie d’Adelchi était terminée, sauf
révision, il faut que je vous dise aussi que je n’en suis pas content du
tout, et si dans cette vie si courte, on sacriiait des tragédies, celle-ci
n’échapperait pas à la suppression. J’ai imaginé le caractère du protagoniste sur des données historiques que j’ai cru fondées, dans un
temps où je ne connaissais pas encore assez l’aisance avec la quelle
on traite l’histoire, j’ai bâti sur ces données, je les ai étendues, et je
me suis aperçu qu’il n’y avait rien en tout cela d’historique, lorsque
mon travail était avancé. Il en résulte une couleur romanesque, qui
ne s’accorde pas avec l’ensemble, et qui me choque moi-même tout
comme un lecteur mal disposé. J’ai écrit un discours historique que
je publierai avec la tragédie, et qui rendra ce défaut encore plus sensible; et je vous dis tout cela ain d’adoucir par un humble confession le dépit que vous fera la lecture de ce pauvre Adelchi. Pour le
discours, je n’ose pas prétendre, qu’il servira à éclaircir l’histoire du
moyen age, je n’ai pas même aspiré à un tel resultat, je n’ai voulu que
rendre l’obscurité visible, et démontrer que ce qu’on prenait pour de
la lumière, n’en était pas. […] Pour moi j’ai traité mon sujet d’une
manière fort large, comme vous l’allez voir par le petit apperçu que
je vais vous en donner. Je leur ai fait sçavoir qu’ils n’en savent rien, et
je leur ai dit que je n’ai rien à leur dire; après quoi je les quitte en les
priant de faire de longues études pour nous dire quelque chose. Vous
m’avouerez que c’est un pas de fait.21
E infatti dalle due sezioni in prosa dell’Adelchi, appena composte nelle loro prime stesure, Manzoni sta ampiamente citando
nel descrivere al Fauriel il risultato del lavoro così come lo vede allo stadio di abbozzo generale di tutte le sue componenti:
mentre dalla prima stesura delle Notizie storiche si traspone la
denuncia (poi rimasta deinitiva) della non storicità del carattere del protagonista quale è rappresentato nella tragedia
(«Una cosa però è di mera invenzione senza fondamento storico, cioè il carattere morale, i disegni, e l’animo di Adelchi
immaginato e introdotto o intruso nei fatti e nei caratteri reali,
21. Carteggio Manzoni-Fauriel, lettera 67 (3 novembre 1821), pp. 313-14.
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con una infelicità, la quale, dal più diicile e dal più malevolo lettore non sarà certo tanto vivamente sentita quanto lo è
dall’autore»),22 dall’Abbozzo del Discorso si recupera il signiicato principale connesso alla sua operazione critica, ripetuto ben
due volte nel giro dello stesso scartafaccio:
Proporre rettamente, e con viste generali questi problemi, scioglierne
alcuni, provare l’insolubilità degli altri è un lavoro che esigge sagacità, costanza, ricerche, estensione e solidità di cognizioni teoriche,
libertà da altre occupazioni, cose tutte che mancano troppo a chi
scrive perch’egli possa assumersi questo incarico. Ma un sommo servizio alla storia crederà egli di aver renduto, se questi pochi cenni
possono servire di stimolo ad altri per intraprenderlo […]. Ristabilire
il vero punto della quistione in articoli vasti e importanti di storia,
rimondarli per così dire dalle opinioni false e inadeguate che furono
proposte e ricevute con precipitazione, e darne la cognizione vera e
compiuta, sarebbe certamente scopo tanto utile quanto degno, ma
non solo l’autore non lo ha raggiunto, ma non ha nemmeno osato
proporselo. Egli ha voluto soltanto indicarlo, e mostrandone l’importanza, accennando a quanto manchi ancora ad averlo ottenuto,
animar altri a corrervi con nuove e più certe mire, con più generali
e potenti ajuti, e con una utile e ragionata diidenza, circospezione.
Insomma egli non ha preteso proporre un sistema che chiegga approvatori, ma una ignoranza, se si vuole una incredulità che domanda schiarimenti.23
La ricostruzione della vicenda elaborativa delle prose storiche anticipata nelle pagine introduttive dell’edizione critica
dell’Adelchi 1998, e ragione primaria della loro non inclusione
in quella prevedendone un parallelo volume che la completi, viene subito a confermare la loro stretta parentela anche
genetica: composte assieme nel giro dei mesi inali del 1821,
e soprattutto prima che l’autore si accingesse a completare il
rifacimento in senso storico delle sezioni cassate della tragedia, sono risultate le due parti in prosa dell’opera nelle loro
molteplici rielaborazioni, con ampi passaggi dalle une alle altre in modo da ottenere per le Notizie la isionomia di semplice
catalogo di «nudi fatti» e per il Discorso la veste di argomentazione discorsiva delle scelte operate nelle fonti e del «concetto
22. Discorso 1963, p. 670.
23. Discorso 1963, p. 273 e p. 293.
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storico» drammaticamente rappresentato nella tragedia. Fra
i numerosi recuperi nelle parti aggiunte in apertura della seconda stesura del Discorso dalle carte della prima delle Notizie
storiche, con un travaso puntualmente documentato e fondamentale per stabilire l’esatta seriazione di tutte le redazioni
conservate,24 è stato già indicato di particolare importanza la
trasposizione del passo fondante della nuova teoria drammatica che, deinitivamente collocato nel cuore della Premessa, traduce quasi letteralmente un passaggio chiave di quella Lettre
a M. C*** che abbiamo già detto essere a monte di tutta la
nuova operazione:
l’ingiustizia di esse, indipendentemente dalle convenzioni umane,
secondo o contra le quali è stato operato; i desiderj, i timori, i patimenti. Ma una serie di fatti materiali ed esterni, per così dire, foss’anche purgata d’ogni errore e franca d’ogni dubbio, non è pur anco la
storia, nè una materia bastante a formare il concetto drammatico di
un avvenimento storico. Le circostanze di leggi, di consuetudini, di
opinioni, in cui si sono trovati i personaggi operanti; le intenzioni e le
tendenze loro; la giustizia, o, lo stato generale dell’immenso numero
d’uomini che non ebbero parte attiva negli avvenimenti, ma che ne
provarono gli efetti; queste ed altre cose di eguale, cioè di somma
importanza, non si manifestano per lo più nei fatti stessi: e son pure
la misura del giudizio che se ne deve portare.25
Car enin que nous donne l’histoire? des événemens qui ne sont,
pour ainsi dire, connus que par leurs dehors; ce que les hommes ont
exécuté: mais ce qu’ils ont pensé, les sentimens qui ont accompagné
leurs délibérations et leurs projets, leurs succès et leurs infortunes;
les discours par lesquels ils ont fait ou essayé de faire prévaloir leurs
passions et leurs volontés sur d’autres passions et sur d’autres volontés, par lesquels ils ont exprimé leur colère, épanché leur tristesse,
par lesquels, en un mot, ils ont révélé leur individualité: tout cela, à
peu de chose près, est passé sous silence par l’histoire; et tout cela est
le domaine de la poésie.26
Al di là del senso più profondo che emerge dalla volontà di
continuo recupero e autocitazione del medesimo passo nel
24 E per tutti i passaggi cfr. I. Becherucci, Alessandro Manzoni,
Adelchi: per l’edizione critica delle prose storiche, cit., pp. 208-14.
25. Poesie e tragedie, pp. 6-8.
26. Lettre , p. 136.
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corpo delle nuove composizioni manzoniane (non per nulla
scolora anche nella prima Introduzione al romanzo), è evidente, per restare solo all’Adelchi, che le Notizie storiche a quello
volutamente si richiamano quando, quasi in conclusione, l’autore rilascia il suo perentorio e negativo giudizio sul personaggio principale della tragedia: quanto ai «fatti materiali», gli
unici anacronismi ammessi sono l’anticipata ine di Adelchi
«al tempo ch’egli uscì di Verona» e la morte di Ansa «prima del momento in cui comincia l’azione (mentre in realtà
quella regina fu condotta col marito captiva in Francia, dove
morì)»; quanto alla lettura ‘interna’ degli avvenimenti, ovvero
la «parte morale», è confessato un disaccordo irrimediabile
fra i «disegni», i «giudizj sugli eventi» ed le «inclinazioni» del
protagonista già anticipato al Fauriel al momento di accingersi
alla ricomposizione della tragedia e per il quale non si elabora
soluzione. Nasce, infatti, sicuramente da questa disarmonia
volutamente sottolineata dal suo autore a dar luce all’opera
poetica – e dunque di straordinaria importanza – quella tendenza corruttrice della formula storia e invenzione alla base
della stagione più feconda delle composizioni manzoniane,
che riemergerà, sempre più esplicita e più analiticamente proposta al pubblico, nel saggio Sul romanzo storico e in genere dei
componimenti misti di storia ed invenzione con la sconfessione, per
lo meno in linea teorica, del suo più imponente tentativo di
conciliazione, ovvero il romanzo.
Se si aggiungono, ancora, i numerosi altri richiami che dal
testo del Discorso continuamente rinviano a quello delle Notizie, presupponendone una contemporanea fruizione (tanto
che i pochi commentatori del primo nelle loro parziali edizioni sono obbligati a citare a piè di pagina il dettato di quelle),27
risulta intanto del tutto improponibile la praticata separazione
delle prose storiche nelle ristampe correnti: è dato immediatamente evidente che Notizie e Discorso anche nella loro veste
27. Fra i pochi commenti al Discorso e tuttavia con scarse ed estremamente
esigue annotazioni, ma per la prima volta al testo del 1822, si ricorda quello
di Arnaldo Di Benedetto, I Longobardi in Italia, Torino, Fògola, 1984. BadiniConfalonieri torna a commentare il testo nella seconda edizione (ancora includendolo in volume antologico dei saggi storico-politici): cfr. Saggi storici e
ilosoici, , pp. 95-300.
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deinitiva sono strettamente implicati nel tratteggiare, sia pure nelle diverse modalità espressive previste, il quadro storico
a sfondo della tragedia. Per la quale ancora una volta la vicenda compositiva deinitivamente recuperata torna a sottolineare il forte legame con l’allestimento delle parti prosastiche.
Sappiamo ormai che le linee principali della ricomposizione
in senso storico dell’Adelchi maturano e trovano sbocco solo e
proprio attraverso l’improvvisamente lucida rimeditazione di
quei «dati» malamente interpretati dagli storici moderni (e
che in parte ne hanno influenzato la prima rappresentazione
tragica) e quindi attraverso la conseguente stesura dei materiali prosastici. Se la tragedia fa sentire, dunque, nel momento
della sua ‘crisi’ più urgente la necessità non più dilazionabile
della razionale dissertazione di accompagnamento per chiarire una volta per tutte la propria posizione nel quadro generale
della storiograia sull’argomento prescelto, è inine questa che
a sua volta presta le note per le nuove e deinitive parole della
poesia. Solo dopo aver riconosciuto – attraverso un graduale
passaggio dalla prima alla seconda stesura del Discorso – al di
sotto di quell’enigmatico silenzio degli storici sulla condizione
del popolo italiano soggetto al dominio longobardo l’efettivo stato civile e politico di questo e dunque i reali rapporti
intercorrenti fra le due etnie (non più solo di netta separazione, come in dall’inizio abbiamo già visto afermato, ma di
dura, e nient’afatto mitigata nel tempo, soggiogazione degli
italiani al vincitore) e averlo indicato in conclusione del capitolo principale del saggio intitolato Se al tempo della invasione
di Carlomagno, i Longobardi e gli italiani formassero un solo popolo
– «Una immensa moltitudine d’uomini, una serie di generazioni, che passa su la terra, su la sua terra, inosservata, senza
lasciarvi un vestigio, è un tristo ma portentoso fenomeno»28
– Manzoni poté dar voce a un «tanto silenzio» nel «cantuccio» riservato alle parole del poeta, raigurando appunto nel
coro quel «volgo disperso che nome non ha» nel momento
del passaggio dalla dominazione longobarda a quella franca,
e quindi portare a compimento la ristrutturazione generale
della tragedia.
28. Discorso 2005, p. 79.
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Ma anche a chi intenda restare comunque ignaro degli accidenti della composizione (malgrado la straordinaria conservazione di tutti i documenti della storia elaborativa di questo
particolarissimo trittico, che ne testimoniano l’unitaria vicenda), estremamente riduttiva risulta in ogni caso la lettura dei
vari quadri e molteplici personaggi dell’Adelchi solo correlata con la tradizione lirica italiana e latina – nonché col vasto
panorama tragico europeo allora in movimento – e decurtata invece del grande afresco in cui l’autore volle che fossero
prospettate le diverse forze in conflitto evocate nella tragedia.
La già accennata rappresentazione degli italiani nelle strofe di
apertura del coro dell’atto iii (vv. 1-4.7-12):
Dagli atrj muscosi, dai Fori cadenti,
dai boschi, dall’arse fucine stridenti,
dai solchi bagnati di servo sudor,
un volgo disperso repente si desta
[…].
Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
qual raggio di sole da nuvoli folti,
traluce dei padri la iera virtù;
nei guardi, nei volti confuso ed incerto
si mesce e discorda lo spregio soferto
col misero orgoglio d’un tempo che fu,
se pur ricorda quella da poco fermata per i Lombardi nei vv.
33-37 dell’ode Marzo 1821:
Con quel volto sidato e dimesso,
con quel guardo atterrato ed incerto,
con che stassi un mendico soferto
per mercede nel suolo stranier,
star doveva in sua terra il Lombardo,
riceve ora piena luce proprio dall’analoga loro descrizione nelle pagine inali del saggio: «I Romani erano quali gli aveva
preparati di lunga mano la viltà fastosa, e l’irresoluzione arrogante dei loro ultimi imperatori, la successione e la vicenda delle irruzioni barbariche, il disarmamento sistematico e
l’esercizio delle arti imbelli, in cui furono tenuti dai Goti, la
dominazione greca, forte soltanto quanto bastava ad opprimere; erano quali gli avevano fatti dei secoli di batticuore e di
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isabella becherucci
rimpiattamenti, secoli d’inerzia senza riposo, di dolori senza
dignità, di stragi senza battaglie».29
A tendersi di continuo la mano sono, dunque, non solo le
prose anticipanti o seguenti il testo tragico, il cui legame è subito dichiarato nelle prime righe della Premessa al Discorso («Le
notizie storiche premesse a questa tragedia […]») e del pari
sottolineato nel titolo del capitolo i (Schiarimenti di alcuni fatti
riferiti nelle notizie storiche), ma le parole stesse della poesia che
alle une e alle altre segnatamente rimandano. Più e più volte,
leggendo soprattutto le pagine meno argomentative e maggiormente descrittive (talvolta con accenti di indiscussa commozione), viene alla mente improvvisa la sua traduzione poetica:
là dove, con tratto sicuro di penna, si descrive minuziosamente
quella forza morale e materiale di Carlo («Quest’uomo allora,
riunendo in sua mano la maggior somma delle forze, le dirige
ad un segno, governa tutti gli avvenimenti, e ne fa nascere,
come è da aspettarsi, di eternamente memorabili […]. Sotto
un tal uomo, l’esercito Franco non aveva da pensar ad altro
che ad eseguire degli ordini: e questa certezza, che scemava
forse il sentimento della dignità nelle persone, accresceva però
la iducia che nasce nel trovarsi in una grande unanimità»)30
tanto invidiata dal protagonista, che similmente la invoca (iii
46-52: «Il mio nemico / parte impunito; a nuove imprese ei
corre: / vinto in un lato, ei di vittoria altrove / andar può in
cerca; ei che su un popol regna / d’un sol voler, saldo, gittato
in uno, / siccome il ferro del suo brando; e in pugno / come
il brando lo tiensi»);31 o nella rapida traduzione da Eginardo del passaggio dei Franchi per «gioghi senza strada, scogli
eretti al cielo, e rupi dirotte»32 ancora del coro dell’atto iii (vv.
46.49-50: «per valli petrose, per balzi dirotti, […] gli oscuri
perigli di stanze incresciose, / per greppi senz’orma le corse
afannose»); per inire al giro stesso del periodo sintattico che
29. Discorso 2005, pp. 135-36.
30. Discorso 2005, pp. 161-63.
31. Ancora più esplicitamente nella prima redazione del passo: «– Oh
quante volte invidiai codesto / Carlo che abborro! ei sovra un popol regna
/ d’un sol voler, saldo, gittato in uno / siccome il ferro del suo brando, e in
pugno / come il brando lo tiensi» (Adelchi 1998, La prima forma, atto 116-20).
32. Discorso 2005, p. 31.
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smonta il concetto di gloria conseguente alla vittoria su un popolo imbelle («Riposo senza gloria, dirà taluno. Senza gloria
certamente: ma per chi mai v’era gloria in quel tempo? Per le
diverse nazioni romane, vinte, possedute, inermi, disciolte? O
pei barbari? Se v’ha chi crede che il soggiogare uomini i quali
non sapevano resistere; che toglier le armi dalle mani che le
lasciavano cadere; che il guerreggiare senza un pretesto di difesa; l’opprimere senza pericolo, fosse gloria; non si ha nulla
da dirgli»)33 ripreso nelle analoghe afermazioni di Adelchi ad
Anfrido (atto iii 43-46 e 66-71: «La gloria? il mio / destino è
d’agognarla, e di morire / senza averla gustata. Ah no! codesta
/ non è ancor gloria […]. Qual guerra! e qual nemico! Ancor ruine / sopra ruine ammucchierem: l’antica / nostr’arte
è questa: nei palagi il foco / porremo, e nei tugurj: uccisi i
primi, / i signori del suolo, e quanti a caso / nell’asce nostre
ad inciampar verranno»).
Non si può, dunque, che riproporre unitamente, con forte
convinzione tutte le parti di quell’opera che Manzoni stesso
volle, al di là delle scelte editoriali del Fauriel per il pubblico
francese, fosse a lui presentata «dans son entier, tel qu’il sera
publié ici».34
Partire, inine, in questa integrale riedizione dell’Adelchi,
dalla princeps, di cui abbiamo qui rapidamente ripercorso le
ancora vibranti tracce della recente unitaria fatica compositiva, vuol dire anche tornare a quel momento magico in cui
prendeva corpo, non solo nelle opere del Manzoni, ma di tutto
un gruppo di giovani intellettuali a lui vicini, il progetto di
una nuova poesia che parimenti dalla storia doveva prendere
le mosse e che solo grazie alla stretta connessione con questa
poteva diventare opera grande. Signiica, cioè, recuperare anche in parte i segreti fermenti di un’intera stagione letteraria,
frequentata in quel vasto e articolato panorama europeo di cui
Milano continuava a restare uno degli epicentri, e coglierne le
molteplici sollecitazioni che, prime fra tutte quelle giunte in
linea diretta dalla Francia sempre osservata con occhio partecipe, venivano al Manzoni e da lui subito appassionatamente
33. Discorso 2005, pp. 150-51.
34. Carteggio Manzoni-Fauriel, lettera 69 (6 marzo 1822), p. 338.
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‘tradotte’ proprio nelle pagine del Discorso. In questo, infatti,
più che nella tragedia, si rispecchiava la grande tensione per
la storia del secolo appena iniziato sul suo nome («O Italiani,
io vi esorto alle storie» sono le celebri parole del Foscolo nella
sua prolusione accademica giusto del 1809) e di cui il saggio
manzoniano indubbiamente rappresentò – a giudicare dal seguito che ne ebbe – una tappa fondamentale.
Ciò che avvenne vent’anni dopo, nella deinitiva ricorrezione dell’opera (e molto di più si trattò, atteso che ben due ampie sezioni del Discorso furono interamente scritte ex-novo, quasi raddoppiandolo di mole) aveva ormai ben poco da spartire
con quelle originarie tensioni e con quella lontana stagione: ne
è un signiicativo segnale che, mentre per la tragedia si riconosce – come si è detto in apertura – un movimento correttorio
unicamente incentrato a uniformarne la patina linguistica secondo il preciso modello messo a punto per l’edizione deinitiva dei Promessi sposi, nel Discorso si tende, invece, con fredda razionalità, soprattutto a mitigare i toni di accesa partecipazione
emotiva con cui si presentavano le proprie ragioni e il proprio
antico anelito alla verità, smorzandone di volta in volta tutte
le punte più vitali e perdendone contemporaneamente gran
parte della forza espressiva.35
35. Questo non signiica che i legami fra la tragedia e il lungo saggio storico di corredo vengano recisi, come invece afermato ancora da Badini Confalonieriin Scritti storici e ilosoici, , p. 304: malgrado il distacco temporale dei
due anni impiegati per la ripubblicazione del Discorso, i fascicoli 2 e 3 seguono
immediatamente quelli dell’Adelchi, posponendo la prima tragedia e le sue
prose introduttive, inserite di seguito a partire dallo stesso fascicolo terzo,
mentre il primo testo tragico occupa tutto il quarto. E in tale ordine furono
poi rilegati nel volume delle Opere varie.
Ricostituendo nell’Edizione Nazionale l’unità
di Adelchi e del Discorso
si ripropone, aggiornata, la presentazione di
Isabella Becherucci
all’anastatica della stampa Ferrario 1822
(Firenze, Le Lettere, 2002)