Andrea Brazzoduro, Enrica Capussotti
e Sabrina Marchetti
Identità... made in Italy
Michele Colucci
Effetti collaterali
Gaia Giuliani
Lombroso l’australiano
Enrica Capussotti
«Arretrati per civiltà»
Daniele Molajoli
Ritratti romani
Alessandro Casellato
Il lavoro conteso
Luigi Mosca
Castelvolturno
Mattia Pelli
Il passaporto rosso
Michele De Gregorio
Rasta, beatnik e marxisti culturalisti
Stefano Santoro
Consiliarismo e nazionalismo
120
Alessandro Triulzi
Per un archivio delle memorie migranti
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Enrico Pugliese
Doppie presenze
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Daniele Vicari
Diaz
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Andreina De Clementi
Intervista a cura di Alessandra Gissi
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Salvatore Palidda
In conflitto con lo stato
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Made in Italy. Identità in migrazione
ANDREA BRAZZODURO, ENRICA CAPUSSOTTI E SABRINA MARCHETTI
IDENTITÀ… MADE IN ITALY
L’
ideazione di questo numero e poi la selezione dei saggi e degli
articoli ha coinciso con il 150o anniversario dell’Unità d’Italia.
A noi, che volevamo parlare di migrazioni e identità italiane,
questa ricorrenza ha offerto la conferma della complessità dei
processi di costruzione identitaria, ma anche della loro centralità nel vissuto individuale e collettivo, della loro funzione strategica,
resa evidente dall’insorgere di nazionalismi o regionalismi spesso attivati
proprio dalla questione della migrazione, o meglio dalla “minaccia” che la
migrazione costituirebbe.
In questo numero di «Zapruder» la questione è tuttavia ribaltata. Innanzitutto non si parlerà di identità come qualcosa di fisso, che precede gli individui, da erigere come un muro o una bandiera per preservare intatta la
“comunità”. Tanto più che per il nostro paese è necessario distinguere fra
la dimensione statuale, costruita dall’alto, dell’«identità nazionale» e quella
antropologica, a maglie larghe, dell’«identità italiana» (come suggerisce Vittorio Vidotto, Italiani/e, 2005). Guarderemo quindi all´identità come a qualcosa di fluido, costitutivamente in movimento, superficie porosa a contatto
con identità altre, le identità di un altrove in cui si arriva. In sostanza, la
prospettiva non sarà quella di chi “sta”, ma di chi è in movimento e, in questo movimento, modifica le costruzioni identitarie che porta con sé e quelle
che incontra. Un´identità in migrazione, quindi.
In che senso parlare di “made in Italy”? Sappiamo che l’italianità è una
costruzione storica. È il risultato di processi che hanno concorso a “fabbricare” gli italiani, uomini e donne presenti sul territorio statale o emigranti; è il
riferimento, concreto e immaginario, per la costituzione di una serie di pratiche identitarie di cui gli italiani all´estero si fanno portavoce o da cui sono,
loro malgrado, investiti. Al contempo, con l’italianità sono chiamati a relazionarsi coloro che arrivano in Italia, paese che sempre più va assumendo i
tratti di uno «spazio diasporico» in cui i soggetti s´incontrano e modificano
reciprocamente (Avtar Brah, Cartographies of diaspora, 1996); spazio dove si
formano e negoziano rapporti di forza di cui le attribuzioni identitarie rappresentano il segno visibile.
Liberata dalle pastoie di un’identità-moloch, l’analisi dei processi concreti
di soggettivazione che si dispiegano all´interno della cornice dell´identità
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Identità... made in Italy
EDITORIALE
italiana mette in luce le tensioni insite nel fatto che ognuno/a possa vivere
in modo diverso le categorie alle quali “appartiene” e che, a seconda delle
preferenze personali, si abbia un più forte investimento emotivo verso una
piuttosto che l’altra. Se, infatti, tali categorie includenti/escludenti possono essere imposte in maniera coercitiva, sono anche introiettate e prodotte
dagli individui nei processi di soggettivazione, e questo ne fa una questione particolarmente complessa e politicamente strategica. Esiste difatti una
tensione fra individui e gruppi negli aggiustamenti che questi attuano per
«diventare» parte di una certa categoria (bianco, nero, italiano, africano,
ecc.) o, al contrario, per «resistere» alla propria assegnazione a essa (Nira
Yuval-Davis, Belongings and the politics of belonging, 2006).
Entra così in gioco la dimensione performativa, processuale e conflittuale
delle identità collettive e individuali: al centro dell’indagine sono quindi
pratiche, comportamenti e narrazioni che, prodotte e condivise da un gruppo, definiscono una dimensione transindividuale irriducibile alla somma
dei singoli. Portando l´attenzione alle delimitazioni fra una categoria e l’altra, ai processi di inclusione ed esclusione, questo approccio inoltre mette
in causa la dimensione etica e ideologica che determina il privilegio (o la
discriminazione, dice Yuval-Davis) di certe costruzioni identitarie piuttosto
che altre, a seconda del valore ad esse attribuito e del giudizio che di esse
viene comunemente fornito in un determinato contesto.
Questo numero di «Zapruder» ha anche un altro obiettivo. Intersecare due
dibattiti fra loro solo apparentemente distanti: quello sviluppatosi in seno
alle discipline storiche sull’importanza dell’emigrazione nella costituzione dell’identità nazionale italiana; e l’altro, che ha coinvolto maggiormente
le scienze sociali, sulle costruzioni identitarie che riguardano i cosiddetti
“nuovi italiani”.
Da una parte abbiamo una serie di indagini che sottolineano l’importanza dell’emigrazione italiana dal punto di vista storiografico e la sua stretta
relazione con le diverse fasi della storia italiana generale, sia per quel che
riguarda le migrazioni interne (p. es. Angiolina Arru e Franco Ramella, a
cura di, L’Italia delle migrazioni interne, 2003) sia per quelle internazionali nel
corso del XIX e XX secolo (p. es. Piero Bevilacqua et al., Storia dell’emigrazione
italiana, 2002). Si è parlato in questo caso della necessità di vedere l’emigrazione italiana come una diaspora in forte relazione con la terra d’origine,
anche sul piano identitario (Donna Rae Gabaccia, Emigranti, 2003). Dall’altra
parte abbiamo invece studi di carattere più marcatamente sociologico che si
sono concentrati sugli stranieri stabilitisi nel nostro paese e che s’interrogano sul loro sentimento di appartenenza all’identità italiana, soprattutto nel
caso dei figli di immigrati che qui sono nati e cresciuti (Asher Colombo e
Giuseppe Sciortino, a cura di, Trent’anni dopo. Stranieri in Italia, 2008). In questo caso, si è parlato dell’impatto della presenza di queste persone, nel lungo
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Made in Italy. Identità in migrazione
periodo, sui caratteri fondamentali dell’identità nazionale così come di identità culturali ibride e della distinzione fra cittadinanza formale e sostanziale
(Claudia Mantovan, Immigrazione e cittadinanza, 2007).
Il confronto fra questi due filoni di ricerche risponde all’esigenza comune
alla storia e alle scienze sociali di mettere in discussione le categorie proprie
dei processi di formazione delle identità nazionali in relazione alle migrazioni: nazione, popolo, cultura, razza, ma anche diaspora, comunità transnazionale, cittadinanza e, non ultimo, identità sono parole chiave attorno a cui
ruota il dialogo fra discipline in questo numero. Lo scopo è quello di offrire
una visione originale della dimensione politica e culturale delle migrazioni
e di come hanno contribuito – e contribuiscono – alla costruzione conflittuale dell’identità, in primis nazionale .
Il nuovo fermento di studi non ha però sempre avuto esiti innovativi per
quanto riguarda la comprensione della storia italiana. Il dibattito storiografico si è svolto principalmente tra studiosi specializzati nei diversi contesti
geografici anziché muoversi in una dimensione interdisciplinare. In questo
quadro piuttosto statico alcuni si sono distinti sottolineando l’importanza di
una nuova stagione di ricerche impegnata a riscattare la storia dell’emigrazione da una marginalizzazione sub-disciplinare al fine di collocarla, come
merita, al centro della narrazione della storia dell’Italia e dei suoi rapporti
con il mondo. Si tratta di un dibattito ormai decennale, in qualche modo
stimolato dagli interventi di Gabaccia (Per una storia italiana dell’emigrazione, «Altreitalie», 16, 1997) a cui hanno risposto numerosi studiosi (vedi i tre
interventi di Robert Pesman, Chiara Vangelista e Ferdinando Fasce nello
stesso numero di «Altreitalie», la sintesi di Matteo Sanfilippo, Nuove risposte per vecchie domande, «Studi Emigrazione», n. 158, 2005 e M. Sanfilippo e
Michele Colucci, Guida allo studio dell’emigrazione italiana, Sette Città, 2010).
Proviamo a riassumere alcuni tratti distintivi delle novità nell’ambito della ricerca a livello internazionale. Innanzitutto se in passato prevaleva un
approccio che separava emigrazione e immigrazione, società di partenza e
d’arrivo, oggi gli studi privilegiano un approccio globale a questi processi,
evidenziando i legami che rendono interconnessi luoghi, linguaggi e soggetti. Le ricerche più attente tendono ormai a decostruire la vecchia figura
del migrante “vittima”, in balia di condizioni economiche e politiche esterne, tormentato dalla nostalgia della madrepatria e in perenne conflitto tra
integrazione ed esclusione.
In secondo luogo, ha acquisito una nuova centralità il tema della soggettivazione del migrante in rapporto agli spazi transnazionali e translocali che
attraversa (quelli cioè che, indipendenti da una dimensione nazionale, propongono identificazioni su basi regionali o religiose e così via). In questi casi
la soggettivazione è sottoposta alla pressione di fenomeni razzializzanti e
essenzializzanti, si articola cioè in relazione (e in reazione) a stereotipi razziali ed etnici, a eredità storiche come quelle coloniali e postcoloniali, cen4
Identità... made in Italy
All’interno del quadro qui sommariamente delineato si situano i contributi
raccolti in questo numero, accomunati da un interesse per la trasformazione
delle identità, da uno sguardo interdisciplinare e dalla convinzione che sia
necessario scomporre e ricomporre il rapporto fra emigrazioni e immigrazioni, guardando all’Italia come luogo di arrivo, passaggio e partenza.
Il saggio di Michele Colucci (Effetti collaterali, che apre lo Zoom) mette subito
al bando possibili semplificazioni mostrando come l’accostamento tra il passato migratorio degli italiani e gli immigrati di oggi si strutturi in un particolare ordine discorsivo, pericolosamente sdrucciolevole: per quanto attivato con finalità antirazziste, questo uso pubblico della storia dei migranti
italiani ha infatti un effetto fortemente depoliticizzante. L’enfasi sul sacrificio e sulle sofferenze di emigranti e immigrati finisce per offuscare la
dimensione lavorativa delle loro esperienze, precludendo una discussione
sugli spostamenti della forza lavoro e dei fattori che li determinano. Al tempo stesso parlare di emigrati/immigrati sempre e soltanto come vittime non
solo li priva implicitamente della capacità di agire autonomamente (agency)
ma rafforza la convinzione che essi debbano adattarsi alla realtà che trovano
al loro arrivo, oscurando le interazioni di tipo trasformativo che avvengono
negli «spazi diasporici» (Brah). Ed è lì che le identità vengono modificate,
sollecitate, sfidate e ricomposte. Su questa dimensione si concentrano i contributi che seguono, cercando di complicare le definizioni e di mettere in
discussione – in “movimento” – la statica (e falsa) dicotomia noi/loro.
Gaia Giuliani (Lombroso l’australiano) si focalizza sul travagliato processo di
costituzione dell’identità italiana analizzando, attraverso la questione della
“bianchezza” (whiteness), quegli attributi “biologico-scientifici” che hanno
praticamente definito i criteri di appartenenza al popolo italiano. Per questo
tipo di discorso appare centrale la figura di Cesare Lombroso, le cui idee
plasmarono la definizione delle differenze “interne” al popolo italiano, e
allo stesso tempo conobbero popolarità internazionale, arrivando per l’appunto anche in Australia. Qui s’inserisce la prospettiva straniante del contributo di Giuliani in cui l’elemento della migrazione non riguarda solo il
EDITORIALE
trali nel definire quelle politiche di inclusione differenziale di cui i migranti
sono oggetto principale. L’essere migranti non ha lo stesso significato nel
discorso giuridico come nelle autobiografie di coloro che sono “in movimento”; ma entrambi, testi giuridici e autobiografici, costruiscono “soggetti”
e hanno un impatto sul modo di pensarsi di chi emigra e di chi “accoglie”
(vedi Luisa Passerini et al., Women Migrants from East to West. Gender, Mobility
and Belonging in Contemporary Europe, 2007 e Ioanna Laliotou, Transatlantic
Subjects. Acts of Migration and Cultures of Transnationalism between Greece and
America, 2004). “Soggettività”, quindi, come prodotto di un processo storico
i cui elementi sono sottoposti a cambiamenti e metamorfosi niente affatto
lineari; una narrazione polifonica irriducibile a una storia singola.
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Made in Italy. Identità in migrazione
movimento di italiani/e che s’imbarcavano alla volta di Sidney, ma anche
il viaggio di idee e concetti come quelli lombrosiani, che hanno finito per
modificare l’autorappresentazione identitaria degli australiani determinando quelle politiche di chiusura verso i non-bianchi che avrebbero avuto un
impatto sugli stessi emigranti italiani.
Ugualmente teso a complicare la definizione d’identità italiana, una volta
che questa è in movimento, è il saggio di Enrica Capussotti sulle migrazioni interne («Arretrati per civiltà»). Capussotti si concentra sul caso di Torino
fra gli anni cinquanta e sessanta, all’epoca della massiccia migrazione dal
sud. Gli esempi discussi illustrano da un lato il proliferare di organizzazioni regionaliste xenofobe quale il Movimento per l’autonomia regionale del
Piemonte (Marp), dall’altra di attività di ricerca benevolmente pensate per
contrastare la diffusione degli stereotipi di cui i gruppi razzisti si nutrono.
Attraverso lo studio della pubblicistica dello stesso Marp, e più in generale della stampa torinese, l’articolo sostiene che la diffusione di rappresentazioni antimeridionali è il prodotto di una forma specifica di razzismo
storicamente utilizzata dai cittadini settentrionali. Da notare tuttavia uno
spostamento di senso rispetto all’antimeridionalismo lombrosiano di cui
discute Giuliani: Capussotti evidenzia uno «spostamento culturalista nelle
retoriche della differenza che prima avevano preferito i riferimenti biologici
e pseudo-scientifici», spostamento che va inserito all’interno di un più vasto
processo di ridefinizione delle identità e dei razzismi europei.
I saggi di Luigi Mosca, sui lavoratori africani a Castelvolturno, e quello di
Mattia Pelli, su quelli italiani in Svizzera, sono ugualmente orientati all’analisi dei processi attraverso cui si coagulano identità cangianti e non necessariamente alternative, ancorate alla provenienza regionale, al luogo di
arrivo o all’esperienza comune del lavoro. Mosca in particolare si sofferma
sull’importanza dello “spazio”, quello reale, geografico del litorale domiziano, non solo come territorio d’incontro e, spesso, contrapposizione, ma
soprattutto come “superficie” da risignificare, ibridizzare e contaminare, in
cui la toponomastica e l’organizzazione spaziale diventano strumenti di cui
impossessarsi per negoziare gerarchie e appartenenze. Lo spazio della fabbrica fa invece da sfondo alla ricerca etnografica condotta da Mattia Pelli.
Gli operai italiani dell’Acciaieria Monteforno di Bodio, nel Canton Ticino,
sono i protagonisti di scomposizioni e ricomposizioni identitarie che ebbero
uno spartiacque nella vicenda della Schwarzenbach nel 1970. Nei racconti
degli operai, l’identità regionale (lombarda, piemontese, sarda, pugliese) è
gradualmente soppiantata dalla comune esperienza del lavoro e quindi dalla consapevolezza dell’appartenenza di classe per cui, scrive Pelli, «italiani
divenne sinonimo di lavoratori».
In chiusura del volume troviamo due contributi incentrati sulla necessità
di ripensare il dibattito sulle migrazioni dal punto di vista concettuale e
disciplinare. Salvatore Palidda invita a destabilizzare la visione oggi pre6
Identità... made in Italy
EDITORIALE
dominante della migrazione come esperienza sempre e soltanto subìta,
determinata da fattori meramente economici, ponendo invece l’accento sulla capacità di agency degli individui. Posto il diritto a battersi (e a migrare)
per una vita migliore, l’intervento ci invita a prendere in considerazione la
dimensione politica del gesto di quanti lasciano la propria terra. La stessa
emigrazione italiana per lavoro può essere letta secondo Palidda – riprendendo Francesco Renda – come uno «sciopero immenso, colossale».
La cornice disciplinare del dibattito sulle migrazioni è il tema centrale
dell’intervista con Enrico Pugliese, e torna in parte in quella con Andreina
De Clementi. Se De Clementi ricorda un’epoca in cui la storia dell’emigrazione in Italia era un filone di studi «esile e ghettizzato», nella conversazione con Pugliese troviamo le perplessità, le domande che nascono oggi
di fronte al proliferare della produzione scientifica attorno alle migrazioni.
Entrambe le riflessioni sottolineano la necessità di operare con uno sguardo
interdisciplinare, fra sociologia, storia, antropologia e studi di genere: una
strumentazione che le nuove ricerche su questo tema non possono orami
fare a meno di adottare.
Infine, secondo una scelta che ci caratterizza, anche questo numero di
«Zapruder» dà largo spazio all’immagine come fonte e allo stesso tempo
strumento di ricerca. Le foto di Daniele Molajoli offrono, sia in copertina
sia nel saggio fotografico Ritratti romani, un approfondimento sul tema delle “seconde generazioni” e le nuove forme di cittadinanza. Non a caso le
ambientazioni dei ritratti recuperano l’importanza della dimensione spaziale – la città di Roma – in un’ottica di risignificazione già illustrata nell’articolo di Luigi Mosca.
Altra esperienza importante di risignificazione di immagini e spazi cittadini (ma non solo) è quella dell’Archivio delle memorie migranti. Alessandro
Triulzi illustra le coordinate all’interno delle quali si muove questo nuovo
esperimento di con-ricerca, volto alla produzione, alla raccolta e alla condivisione di testimonianze: un progetto incentrato sul riconoscimento di
queste «voci straniere e stranianti», che rimette cioè in gioco i piani del Sé
e dell’Altro.
Questo numero di «Zapruder» è inoltre arricchito dalle immagini che l’Archivio fotografico del Museo regionale dell’emigrazione Pietro Conti - Centro di ricerca sull’emigrazione italiana di Gualdo Tadino ci ha gentilmente
concesso. Le fotografie accompagnano le pagine dello Zoom, talvolta “illustrando” gli articoli stessi, talvolta in modo indipendente da essi, in contrappunto. Si tratta d’immagini che abbiamo scelto d’inserire come una sorta
di percorso interno e trasversale ai contributi di ricerca, come materiale di
approfondimento ma anche di riflessione “poetica” sull’identità italiana,
sulla sua dimensione mutevole, cangiante, in movimento.
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