Grammatiche adposizionali
Introduzione agli aspetti linguistici
Federico Gobbo ∗
1 Introduzione
Come sono fatte le leggi del pensiero umano? Come può essere formalizzata la conoscenza linguistica? Queste due domande sono state poste per la prima volta come due
facce della stessa medaglia da Gottfried Wilhelm Leibniz nel XVII secolo. Leibniz diede
due risposte: la characteristica universalis per la prima domanda e la lingua generalis per la
seconda.
Figura 1: Eredità di Leibniz
Gli sviluppi della characteristica universalis hanno portato alla formalizzazione dell’algebra e alla nascita della logica moderna con George Boole e Gottlob Frege, fino alla fondazione della matematica del calcolatore con Alan Turing e Alonzo Church e alla
gerarchia delle grammatiche formali di Chomsky-Schützenberger, passando attraverso
l’assiomatizzazione dell’aritmetica di Giuseppe Peano.
La lingua generalis, ingegnoso tentativo di semplificazione del latino per la comunicazione scritta scientifica, fu l’antesignano delle lingue ausiliarie internazionali quali il latino sine flexione, l’esperanto e l’ido. L’opera di Leibniz, infatti, ispirò il latino sine flexione di
Giuseppe Peano grazie alla riscoperta di parte dell’opera leibniziana a inizi Novecento. Il
curatore era Louis Couturat, estensore principale dell’ido, a sua volta discendente diretto
dell’esperanto di Ludwik Lejzer Zamenhof. L’esperanto, la piú importante delle lingue
∗
Lezione invitata presso il corso di Interlinguistica ed Esperantologia, Università degli Studi di Torino,
A.A. 2008-9, docente prof. Fabrizio Pennacchietti, tenuta in data martedı́ 17 febbraio 2009. Per informazioni:
Federico Gobbo DICOM - Dipartimento di Informatica e Comunicazione via Mazzini 5, IT-21100 Varese
(Italia). Email:
[email protected]. Web: http://federicogobbo.name.
1
ausiliarie internazionali, influenzò indirettamente la fondazione dello strutturalismo linguistico postulato da Ferdinand de Saussure. Questo accadde grazie al coinvolgimento
del fratello René, matematico, nel nascente movimento esperantista. A lui dobbiamo anche la fondazione dell’esperantologia, ovvero lo studio scientifico degli aspetti linguistici
dell’esperanto. Infine, lo strutturalismo linguistico è il fondamento della ricerca linguistica di Noam Chomsky e di Lucien Tesnière, che hanno ripreso e attualizzato il secondo
programma leibniziano.
1.1
Perché un formalismo computabile per fare grammatiche
Appare dunque sensato avvalersi degli strumenti piú avanzati forniti dalla ricerca in
matematica per fare proseguire il programma di Leibniz in ambito linguistica. Tali strumenti possono essere verificati in certa misura tramite il calcolatore, che viene dunque
usato come strumento di verifica formale. La mia duplice formazione di linguista e informatico e la fortuna di lavorare insieme a un logico matematico mi ha permesso di
verificare la solidità del formalismo linguistico secondo criteri rigorosi e molto stringenti. Sarebbe piaciuto a Leibniz, il quale auspicava che i filosofi potessero disputare le loro
argomentazioni con l’ausilio dell’abaco perché dotati di un metodo di calcolo filosofico.1
Il formalismo ve lo presento qui per la prima volta nelle sue linee essenziali e in lingua
italiana. Esso prende il nome di ‘grammatica adposizionale’.2 Esso deriva dal piú che
trentennale lavoro di ricerca di Fabrizio Pennacchietti, linguista e orientalista, a sua volta
basato sulla ricerca di Viggo Brøndal, linguista e logico danese, ancora una volta un felice
incontro tra logica e linguistica.3
Dal calibro dei nomi che ho citato, che spero che conosciate almeno in parte (sennò,
fatevi un giro su Wikipedia) mi sento veramente sulle spalle di giganti. Vorrei inoltre far
notare che molti degli studiosi citati si sono occupate di filosofia, di logica, di matematica, di linguistica, di informatica. Il processo della ricerca scientifica non ha confini, né
nazionali, né disciplinari.
2 Pluralità dei formalismi grammaticali
Perché è opportuno, se non necessario, descrivere una lingua mediante una grammatica
adposizionale? Quali sono i vantaggi, rispetto ad altri approcci? Non pretendo di dare
una risposta esaustiva a questa domanda in poche pagine – i piú coraggiosi possono
guardarsi la mia dissertazione dottorale – ma mostrerò di volta in volta le differenze
principali e le motivazioni che stanno dietro la scelta di certi termini tecnici piuttosto che
altri. Scelte dettate non tanto da un vezzo terminologico ma da una reale necessità di
avere concetti chiari e ben distinti, al punto da essere descrivibili tramite un formalismo
matematico – cosa che esula da questo intervento.
Vediamo sommariamente i limiti degli approcci attualmente in uso per costruire grammatiche: quello tradizionale, quello chomskiano e quello detto della dipendenza. Da un
lato le grammatiche tradizionali sono ben poco formali, e quindi contengono ambiguità.
Per intenderci, sono quelle che fanno ammattire tutti gli scolari che non capiscono dove
sbagliano nell’analisi del periodo, perché ci sono casi dove, per decidere come classificare un certo fenomeno linguistico, la scelta è arbitraria. D’altro canto le grammatiche
generativo-trasformazionali hanno problemi di generalità perché ritagliate su misura sull’inglese americano, e solo successivamente generalizzate ad altre lingue, con immani
difficoltà. Infine, i fautori delle grammatiche della dipendenza, derivate dal lavoro strut2
turalista di Lucien Tesnière, rimproverano ai generativisti che il concetto di costituente
è completamente astratto. In particolare, viene costruito per far funzionare il modello al
calcolatore, ma non ha nessun corrispondente valore linguistico. I chomskiani rispondono che le grammatiche della dipendenza sono difficilmente formalizzabili perché la loro
descrizione in termini algoritmici è estremamente difficoltosa.
2.1
Genesi delle grammatiche adposizionali
Dallo studio di questi limiti evidenti nascono le grammatiche adposizionali. Esiste una
grammatica adposizionale per ogni lingua: avremo dunque la grammatica adposizionale
dell’italiano, dell’inglese, del cinese, dell’esperanto... Le grammatiche adposizionali vogliono essere motivate da un punto di vista cognitivo, vale a dire riflettere le leggi della
cognizione umana, come voleva Leibniz, e generali da un punto di vista linguistico, vale
a dire validi per lingue tipologicamente distanti fin da subito, dimodoché funzionano in
linea teorica per qualsiasi lingua. Vorrei chiarire bene perché è importante verificare con
lingue diverse il formalismo, pur condividendo il punto fondamentale di Chomsky che
la facoltà di linguaggio sia universale, vale a dire prescinde dalle lingue effettive. Punto
dimostrato dal fatto molto semplice che se prendiamo un bambino giapponese appena
nato e lo facciamo crescere in Italia imparerà l’italiano e viceversa: non esiste una predisposizione genetica all’italiano al giapponese, invece esiste una predisposizione genetica
a imparare almeno una lingua in ogni essere umano, fatto che ci distingue nettamente
da tutti gli altri primati. Questo però non ci autorizza a studiare una lingua e a estrapolare leggi valide per tutte: come facciamo a considerarne una sola e a distinguere cosa
pertiene a quella lingua e cosa invece alla facoltà di linguaggio? Dobbiamo necessariamente costruire la nostra grammatica su piú di una lingua, e preferibilmente lontane
tipologicamente tra loro.
In fin dei conti, a cosa serve una grammatica? L’obiettivo di una grammatica buona
è di distinguere bene, in qualsiasi lingua, le parti contenutistiche, portatrici di significato,
dalle parti strutturali. Solo cosı́ potremo avere una classificazione di carattere generale.
Non è possibile infatti avere in italiano nove parti del discorso, come ci insegnano a scuola, e magari dieci o sette in altre lingue... Come facciamo a confrontare la struttura delle
lingue se gli diamo descrizioni strutturalmente incompatibili? Dobbiamo trovare un criterio fondamentale che vada bene per qualsiasi lingua, sul quale costruire una struttura
di carattere generale. Il limite principale di tutte le grammatiche che ho studiato fino
ad oggi, a mio modo di vedere, è che si basano sul concetto – linguisticamente molto
piú sfuggente di quanto sembri – di parola. In altri termini, il concetto di parola non è
abbastanza univoco e generale per diventare questo criterio fondamentale.
2.2
Dalla parola al morfema
Che cos’è una parola? Una parola viene definita come una serie di lettere appartenenti
all’alfabeto della lingua in esame, e portatrice di un significato. Le parole sono separate le une dalle altre da uno spazio o da altro separatore.4 Una grammatica infatti viene
vista come un sistema di classificazione di parole e della loro messa in relazione. Cosı́,
ad esempio, adorabile ha una qualche relazione con bambina nel gruppo quella bambina
adorabile, e ogni grammatica esprimerà diversamente questa relazione. Ebbene, tutto va
bene finché rimaniamo su lingue a noi vicine, in particolare indoeuropee. Appena mettiamo il naso fuori dal nostro giardino linguistico, le cose cominciano ad andare male.
Nelle lingue cinesi, per esempio, non esiste il carattere spazio come separatore di parole,
3
propriamente. I cinesi ragionano per morfemi. All’opposto, le lingue cosiddette polisintetiche mostrano parole-frase, dove soggetto, verbo e tutti gli argomenti sono in una
parola unica.
La verità è che il concetto di ‘parola’ come normalmente inteso è culturalmente determinato in senso forte, e quindi non ha una valenza interlinguistica forte, vale a dire non
può essere generalizzato per tutte le lingue del mondo. Io propongo di considerare l’intera catena linguistica non come una successione ordinata di parole ma piuttosto come
una successione ordinata di morfemi, i cui agglomerati chiamo semplicemente gruppi.
Una parola diventa cosı́ un tipo particolare di gruppo le cui relazioni tra i componenti,
cioè i morfemi, sono altamente grammaticalizzate.
La presenza di morfemi è un universale linguistico assoluto: una lingua è tale se i
suoi segni sono biplanari, cioè se è possibile leggerli come fonemi, le unità di seconda articolazione, o come morfemi, le unità di prima articolazione. Questo è il punto principale
di novità delle grammatiche adposizionali rispetto agli altri approcci. Come vedremo,
questo approccio permette di ridurre drasticamente la grandezza del dizionario.
3 Alberi e spazi adposizionali
In ciascuna lingua i morfemi possono essere distinti in due insiemi: i morfemi grammaticali e i lessemi. L’insieme dei morfemi grammaticali è chiuso e finito, anzi, ben definito,
perché non accetta innovazione linguistica: nessun parlante di italiano cercherà di introdurre come neologismo un nuovo pronome, un nuova preposizione o un nuovo articolo,
visto che tutti questi sottoinsiemi dei morfemi grammaticali intuitivamente fanno parte
della struttura fondante l’italiano.5
3.1
Le preposizioni, un puzzle
Particolare interesse rivestono le preposizioni, che spesso sono sconcertanti da una lingua
all’altra: per esempio, noi italiani andiamo dal dottore quando la maggior parte delle lingue
dicono *andiamo al dottore, il che sembra piú ragionevole in termini di grammatica tradizionale, dove ci dicono che la preposizione a se segue un verbo di movimento significa
‘moto a luogo’ mentre la preposizione da indica ‘moto da luogo’. La ricerca linguistica
di Pennacchietti, nella sua parte sincronica, si è diretta principalmente allo studio delle
preposizioni come sistema.6 Il punto di partenza è che ogni lingua è una mappa che disegna l’esperienza extralinguistica, cioè il territorio, in maniera unica: se sovrapponiamo
due mappe linguistiche scopriremo per l’appunto cose sconcertanti come quella appena
riportata nell’esempio. Se quindi le preposizioni vanno studiate all’interno di ogni singola lingua, è anche vero che le lingue mappano lo stesso territorio: non è allora possibile
trovare qualche criterio metalinguistico per classificare le preposizioni?
3.2
L’albero adposizionale
Pennacchietti ritiene di sı́, e individua questo criterio in uno dei principi che la psicologia
cognitiva ritiene fondante la percezione umana: l’opposizione Figura/Sfondo. Usiamo i
termini in maiuscolo perché il prendiamo nel loro significato tecnico derivato dagli studi
di Langacker, fondatore della linguistica cognitiva, che a sua volta l’ha ripresa dagli autori classici della psicologia della Gestalt, quali Kurt Koffka, Wolfgang Köhler e Max Wertheimer. Per Langacker Trajector (’traiettore’, acclimatato come ‘Figura’), è il partecipante
4
dell’azione piú saliente, mentre Landmark (’contrassegno’, acclimatato come ‘Sfondo’), è il
punto di osservazione che serve da referente alla Figura: ne consegue che non c’è Figura
senza Sfondo. Per capire cosa significa basti pensare a una macchina fotografica non automatica, dove si sceglie cosa mettere a fuoco e cosa lasciare, per l’appunto, sullo sfondo,
oppure a quando si dirige l’attenzione uditiva su una conversazione bisbigliata tra due
persone in metropolitana, lasciando sullo sfondo il rumore acusticamente ben piú forte
del treno lanciato sulle rotaie: anche in questo caso, abbiamo una messa a fuoco.
q
✁❆
✁ ❆
✁ ↔ ❆
✁ adp ❆
❆
✁
tr
lm
Figura 2: Albero adposizionale astratto minimo
La Figura 2 mostra i tre elementi che formano l’impalcatura delle grammatiche adposizionali: la Figura (tr), lo Sfondo (lm), la loro relazione (adp), che diviene il “gancio” dell’albero.7 Questi tre elementi possono essere rappresentati sotto forma di albero
adposizionale (adtree).
3.3
Che cos’è un’adposizione
Mentre la Figura e lo Sfondo sono portatori di significato, dunque segnati linguisticamente dai lessemi, la loro relazione viene segnata dalle adposizioni. Per ‘adposizione’
si intende normalmente l’iperonimo di preposizione (per le lingue nostre, che mettono
il segno della relazione pre-, davanti l’oggetto relato), posposizione (per le lingue come
turco o giapponese, che mettono il segno della relazione post-, dietro) e circumposizione
(davanti e dietro, circum-).
Io estendo il concetto in due direzioni. Innanzitutto per me comprende tutti i morfemi grammaticali, che servono cioè per indicare la struttura e non il significato.8 Oltre
alle preposizioni, sono adposizioni dell’italiano molti morfemi finali. Per esempio, il
morfema finale -are è l’adposizione dell’ infinito della prima coniugazione (cant-are, ballare, gioc-are).9 A volte le adposizioni agiscono in concerto: in tal caso parlerò di pattern
adposizionale.
Dall’altra parte, tenuto conto che morfologia e sintassi non sono che due strategie
complementari per indicare i rapporti strutturali di una lingua, ho esteso il concetto di
adposizione anche all’ordine dei costituenti, vale a dire alle posizioni degli elementi nella
frase. Questi casi vengono indicati come adposizioni zero, con un’epsilon (ǫ) prima dell’oggetto relato, come fosse una preposizione. Per esempio, nella frase Carl-o ǫ corr-e la
relazione tra il soggetto Carlo e il verbo corre è definita dalla posizione dei costituenti (ǫ)
e dalla finale stativa -o e da quella verbale -e.
Questi tre elementi presi insieme formano un sintagma. In altri termini, un sintagma
è una tripla formata da una coppia Figura/Sfondo e dalla loro relazione segnata da una
adposizione, nel senso indicato poc’anzi. Nelle grammatiche adposizionali un sintagma
è rappresentabile sotto forma di alberi adposizionali.
Un vantaggio ulteriore di questa struttura è il fatto di essere ricorsiva. Come vedremo
tra poco, la tripla che forma il sintagma può essere usata a livelli di granularità diversa:
a un livello morfologico i costituenti sono i morfemi e la risultante è il sintagma, a livello
5
sintattico i costituenti sono i gruppi e la risultante è la frase, e infine a livello testuale i
costituenti sono le frasi e la risultante è il testo.
3.4
Adposizioni applicative
L’eredità brøndaliana nella ricerca di Pennacchietti viene rivelata dall’elaborazione della opposizione Figura/Sfondo per collocare le adposizioni in uno spazio cartesiano con
quattro quadranti principali.10 Intuitivamente, ci sono due modalità per definire l’opposizione Figura/Sfondo. Nella prima modalità la Figura viene proiettata sullo Sfondo:
questa proiezione la chiameremo convenzionalmente applicazione. Facciamo un esempio a livello sintattico. Nella frase Leonardo mette il barattolo di marmellata sul tavolo il
gruppo Leonardo mette il barattolo di marmellata è la Figura mentre sul tavolo è lo Sfondo
dimensionale, perciò su sarà un’adposizione dimensionale applicativa.
Poiché tutte le lingue possono avere in una frase un soggetto S, un verbo V e un
oggetto O, grazie all’ attività di ricerca di Greenberg, troveremo nel rapporto soggetto-verbo SV l’adposizione prototipica applicativa dimensionale, e la indicheremo con il
segno convenzionale ⊕, che chiameremo alla latina Plus.
✁
✁
q
✁❆
⊕❆
✁→
✁-o⊳⊲-e❆
❆
❆
corr-
Carl-
Figura 3: Adposizione prototipica applicativa dimensionale ⊕
La figura 3 mostra un’adpozione Plus di tipo SV. Ho chiamato il tipo adposizionale Plus ‘applicazione dimensionale’, ma non ho spiegato cosa significa ‘dimensionale’.
Difatti, c’è un altro parametro di cui tenere conto: la relazione tra Figura e Sfondo accade nello stesso contesto spaziotemporale oppure esiste indipendentemente da essa?
Nella relazione prototipica SV la relazione accade evidentemente nello stesso contesto
spaziotemporale, e perciò viene detta dimensionale.
Viceversa, se la relazione è indipendente dal contesto spaziotemporale, viene detta
adimensionale. Facciamo un esempio constrastivo.
• Vado a Milano.
• Vado in Milano.
La preposizione a presenta lo Sfondo Milano come un punto in una mappa: non ha dimensione, è quindi applicativa adimensionale. Viceversa la preposizione in presenta lo
Sfondo Milano come uno spazio, che è compresente alla Figura del gruppo [io] vado, e
dunque in sarà applicativa dimensionale (Plus). Anche per le adposizioni applicative
dimensiona possiamo trovare una relazione prototipica universale, la relazione verbooggetto VO. Chiameremo questa relazione convenzionalmente Minus, e la indicheremo
con il segno ⊖. La figura 4 mostra come si posizionano le adposizioni Plus e Minus nello
spazio adposizionale di qualsiasi lingua.
3.5
La ricorsività nella struttura degli alberi adposizionali
Abbiamo detto che la struttura degli alberi adposizionali è ricorsiva. Vediamo come funziona con un esempio: Leonardo mette il barattolo sul tavolo. La figura 5 mostra come si
6
applicativo
adimensionale
dimensionale
⊖: relazione VO, ...
⊕: relazione SV, ...
retroapplicativo
✗✔
✖✕
...
...
Figura 4: Spazio adposizionale applicativo
✁
✁
q
✁❆
⊕❆
✁→
✁-o⊳⊲-e❆
Leonard✁
✁
❆
❆q
✁❆
⊖❆
✁←
✁ -o⊳ ❆
❆
❆q
✁❆
△
⊖
✁
il barattol- ✁ ←❆❆
✁su-/-o⊳❆
❆
✁
mett△
-l tavolFigura 5: Messa in evidenza delle adposizioni principali in una frase
7
combinano gli alberi sintagmatici in modo da formare l’albero di una frase. I triangoli (△) indicano che l’albero non è esplicitato in quel ramo al dettaglio. Non è possibile
vedere tutti i dettagli in questa sede: qui mi interessa solo sottolineare che i sintagmi
vengono montati insieme per formare le frasi e possono essere esplicitati o meno per evidenziare un certo fenomeno linguistico; in altri termini, le grammatiche adposizionali
sono estremamente flessibili. La figura 6 mostra come mettere in evidenza, per esempio,
✁
✁
q
✁❆
⊕❆
✁→
✁ -o⊳ ❆
❆
❆
△
Leonardmette il barattolo sul tavolo
Figura 6: Messa in evidenza della relazione Plus in una frase
la relazione Plus nella frase d’esempio. Si sarà notato che le foglie degli alberi sono scritte
in neretto. Per capire questo dettaglio, insieme all’ordine gerarchico dei sottoalberi, dobbiamo introdurre il concetto di valenza, che riguarda il lessico. Ma prima completiamo
lo spazio adposizionale, esaminando le adposizioni retroapplicative.
3.6
Adposizioni retroapplicative
Avevamo detto che le modalità per definire l’opposizione Figura/Sfondo sono due. La
prima modalità consiste nella proiezione della Figura sullo Sfondo (applicazione), e l’abbiamo vista sopra. Ora consideriamo la seconda modalità, in cui la Figura si stacca,
emerge da uno Sfondo preesistente: questo stagliarsi lo chiameremo convenzionalmente
retroapplicazione. Le adposizioni retroapplicative in generale sono maggiormente grammaticalizzate di quelle applicative. Diamone un esempio contrastivo.
• Leonardo mette il barattolo di marmellata sul tavolo.
• Leonardo prende il barattolo di marmellata dal tavolo.
Nella seconda frase, la Figura Leonardo prende il barattolo di marmellata si staglia sullo Sfondo il tavolo grazie alla preposizione da. Da un punto di vista adposizionale, da è dunque
retroapplicativa, e anche adimensionale, perché la compresenza spaziotemporale non è
prevista da tale relazione. Per convenzione, chiameremo le adposizioni retroapplicative
adimensionali alla latina Divide (‘dividi’) e le indicheremo con il segno: ⊘. Come relazione prototipica di tipo Divide individuiamo la relazione possessore-posseduto che in
molte lingue viene indicata dal genitivo.
Naturalmente, esistono anche adposizioni retroapplicative dimensionali, come la preposizione con nella frase Leonardo prende il barattolo di marmellata con Susanna: la relazione
tra Leonardo e Susanna richiede una presenza spaziotemporale. Spesso le adposizioni retroapplicative dimensionali sono anche simmetriche, in senso brøndaliano, vale a dire
se è vero che Leonardo prende il barattolo con Susanna sarà anche vero che Susanna
prende il barattolo con Leonardo. Indichiamo dunque come relazione prototipica delle
adposizioni retroapplicative dimensionali il tratto semantico [+SIMMETRICO].11 Sempre
per convenzione, le adposizioni retroapplicative dimensionali le chiameremo alla latina
Multiplice (‘moltiplica’)e le indicheremo con il segno: ⊗.12
8
I mattoni degli alberi adposizionali
applicativo
3.7
adimensionale
dimensionale
⊖: relazione VO, ...
⊕: relazione SV, ...
retroapplicativo
✗✔
✖✕
⊘: GENITIVO, ...
⊗: [+SIMMETRICO], ...
Figura 7: Spazio adposizionale completo
Possiamo ora configurare l’intero spazio adposizionale come in figura 7. La collocazione delle preposizioni e altri morfemi grammaticali delle varie lingue è portata avanti
da Pennnacchietti: l’italiano per esempio è stato presentato in Pennacchietti [2006]. La fiq
✁❆
⊕❆
✁→
✁
❆
q
✁❆
⊖❆
✁←
✁
❆
✁ adp ❆
✁
❆
✁ adp ❆
✁
❆
tr
lm
tr
✁ adp ❆
✁
❆
lm
lm
q
✁❆
⊗❆
✁←
✁
❆
q
✁❆
⊘❆
✁→
✁
❆
✁ adp ❆
✁
❆
tr
tr
lm
Figura 8: Alberi adposizionali astratti minimi
gura 8 mostra i mattoni di costruzione degli gli alberi adposizionali, vale a dire gli alberi
astratti minimi. Le frecce sotto i segni Plus, Minus, Divide e Multiplice indicano l’applicatività o la retroapplicatività della relazione Figura/Sfondo: le adposizioni Plus e Minus
sono applicative, vale a dire la Figura si proietta sullo Sfondo, e la direzione della freccia
va appunto dalla Figura allo Sfondo; viceversa, le adposizioni Divide e Multiplice sono
retroapplicative, dunque la Figura emerge dallo Sfondo, e la freccia corrispondente parte
dallo Sfondo per tornare sulla Figura.
9
4 I lessemi
Abbiamo visto come trattare i ganci degli alberi adposizionali. Adesso vediamo come
vengono trattate le foglie degli alberi adposizionali, vale a dire i lessemi, che portano il
significato. Sono ben pochi i linguisti che si sono occupati di descrivere non la grammatica di quella o talaltra lingua, ma di dare ordine al caos da un lato rispettando la varietà
linguistica, una delle eredità piú ricche del genere umano.
4.1
I caratteri grammaticali fondamentali
Due di essi sono Benjamin Whorf e Lucien Tesnière, sulla cui ricerca si basa il modello
del lessico nelle grammatiche adposizionali. Il fatto interessante è che sia Whorf, che si
occupò di tipologia linguistica, sia Tesnière, figlio dello strutturalismo linguistico saussuriano, arrivarono alla medesima conclusione, che è la seguente: gli unici tratti semantici
del lessico veramente universali sono quattro, che vengono chiamati da Whorf caratteri grammaticali. Abbiamo ai due poli opposti i caratteri grammaticali verbale e stativo,
il primo indicante il lessema indicante un qualcosa in atto, il secondo all’opposto indicante qualcosa di statico. Tra i due poli abbiamo inoltre i modificatori: i modificatori
degli stativi li chiameremo convenzionalmente aggiuntivi mentre i modificatori dei verbali li chiameremo circostanziali. Tesnière notò inoltre che l’esperanto ha quattro morfemi
grammaticali che indicano esplicitamente questi valori lessematici, e li usò come mnemotecnica per etichettare il carattere grammaticale. Mettendo insieme i due autori, abbiamo
i seguenti quattro caratteri grammaticali fondamentali:
1. verbale (I);
2. circostanziale (E);
3. aggiuntivo (A);
4. stativo (O).
4.2
Selezione e collocazione
Whorf inserisce una distinzione ulteriore, molto utile ai nostri scopi: raggruppa i lessemi
per selezione e per collocazione.13 I lessemi per selezione hanno un carattere grammaticale
predefinito, mentre quelli per colloazione possono prendere due o piú valori a seconda
di come sono collocati da un punto di vista morfosintattico. Facciamo degli esempi sull’italiano. Alcuni lessemi dell’italiano hanno valore stativo per selezione, come elefant o
strument, mentre altri hanno valore verbale sempre per selezione, come viv o ridur. Appena li incontra il parlante sa che il carattere è verbale o stativo senza dover aspettare
morfemi grammaticali attaccati al gruppo, perché comunque tutti i morfemi grammaticali che possono essere attaccati al gruppo saranno dello stesso tipo: non è possibile in
italiano *elefantarsi, bisogna atteggiarsi da elefante, né possiamo *strumentare ma dobbiamo
usare uno strumento.14
Viceversa, con i lessemi vant e comunic possiamo farne un vanto (carattere stativo) o
vantarci di qualcosa (carattere verbale) oppure possiamo comunicare qualcosa (carattere verbale) oppure effettuare una comunicazione. Questo significa che i lessemi vant e comunic
devono essere collocati per poter sapere qual è il loro carattere grammaticale. Quelli che
comunemente vengono chiamati verbi, avverbi, aggettivi, e nomi in questo approccio
10
Tabella 1: Come lavora la traslazione per un A-lessema in diverse lingue
trasl.
A
A>O
A>E
A>I
Inglese
long
length
long
length-en
Italiano
lung-o
lungh-ezz-a
lung-amente
al-lung-are
Francese
long
longeu-er
longu-ement
(r)al-long-er
Tedesco
lang
Länge
lang
ver-läng-ern
Turco
uzun
uzun-luk
uzun
uzatma-k
sono tutti e solo lessemi rispettivamente verbali, circostanziali, aggiuntivi e stativi per
selezione. Anche i lessemi caratterizzabili solo per collocazione, comunque, hanno un
carattere grammaticale primario.
4.3
La traslazione
La traslazione, vale a dire il passaggio da un carattere grammaticale all’altro, è il nucleo
della sintassi strutturale definita da Tesnière [1959].15 Vediamo per esempio il lessema
long in diverse lingue indoeuropee, e per contrasto come si comporta il turco (tabella
1). Nelle lingue indoeuropee il lessema è chiaramente aggiuntivo: lo si vede perché in
molte lingue non c’è bisogno di nessun morfema grammaticale per segnare il carattere
grammaticale. Diverso è il caso del turco, dove il carattere primario potrebbe essere sia
aggiuntivo che circostanziale.
Tutte le lingue hanno delle strategie per trasformare il carattere grammaticale di un
lessema, alcuni piú efficienti, altri piú dispendiosi da un punto di vista cognitivo. Possiamo raggrupparle in tre gruppi:
1. per Ablaut;
2. per traslatore;
3. per supplettività.
La prima strategia è detta Ablaut, vale a dire viene ruotata la vocale: in inglese e in tedesco, per esempio, la traslazione da aggiuntivo a stativo (A>O) viene effettuata in questo
modo.
Un’altra strategia cognitivamente efficiente è quella usata dall’ italiano o dal turco,
che usano un morfema grammaticale specializzato per la traslazione A>O, rispettivamente -ezz- e -luk. Chiamiamo questi morfemi grammaticali specializzati traslatori. I
traslatori li consideriamo portatori di significato e quindi in un albero adposizionale
andranno collocati nelle foglie.
L’ultima strategia, cognitivamente piú dispendiosa, è quella supplettiva: per esempio, se vogliamo traslare O>A il lessema italiano acqu dobbiamo ricorrere al greco, e
prendere il lessema idr per supplire, per l’appunto – e infatti la rete idrica è la rete dell’
acqua. Naturalmente, se abbiamo lessemi definiti per selezione la supplettività è l’unica
strada percorribile per traslarli: come sempre, nelle lingue quello che si guadagna da un
lato – il riconoscimento immediato del carattere grammaticale – lo si perde dall’altro. Abbiamo visto prima che nel registro standard dell’italiano non possiamo dire *elefantarsi,
dovremmo ricorrere a una perifrasi, come comportarsi come un elefante o simili.
11
Da un punto di vista computazionale, la base di dati che contiene il dizionario ha come chiavi il lessema, e i quattro caratteri grammaticali con le opportune regole di trasformazione come quattro campi dello stesso record: questo permette di avere un dizionario
molto ben strutturato e parallelo tra lingue diverse, anche molto distanti tra loro, come si
è visto nell’esempio suesposto (tabella 1).
5 La struttura di una grammatica adposizionale
In un albero adposizionale, c’è sempre un solo lessema per gruppo e questo si trova
invariabilmente nella foglia piú in basso a destra, oppure, se preferite a sud est. Per
esempio, nella frase Carlo corre (figura 3) le due foglie Carl e corr sono rispettivamente
due gruppi stativo e verbale composti da un solo nodo – quindi, al limite, possiamo
considerare un nodo-foglia come un albero, se questo è composto da un lessema. In
q
✁❆
⊗❆
✁←
✁ con ❆
✁
❆
❆
✁q
✁❆
lei
⊕❆
✁→
✁-o⊳⊲-e❆
❆
✁
❆q
✁
✁❆
Leonard⊖❆
✁←
✁ -o⊳ ❆
✁
❆
❆
q✁
✁❆
❆
⊘❆
✁→
❆
✁ ǫ ❆
❆
❆
❆
✁
❆q
❆
✁
❆
✁❆
il
⊘❆
✁→
❆
❆
✁
❆
❆
✁-a⊳de-❆
❆
❆
q✁
❆
✁❆
barattol⊘❆
❆
✁→
❆
✁ ǫ ❆
❆
✁
❆
❆
❆q
✁
✁❆
-lla marmellat⊕❆
✁→
✁
❆
-o⊳su✁
❆
❆
q✁
✁❆
mett⊘❆
✁→
✁ ǫ ❆
❆
✁
✁
❆
-l
tavol-
Figura 9: Albero d’esempio con le adposizioni esplicitate
12
figura 9 vediamo l’albero della frase Leonardo mette il barattolo della marmellata sul tavolo con
Susanna. La frase è abbastanza complessa da mostrare tutte i tipi adposizionali possibili:
Plus, Minus, Divide e Multiplice. Notiamo che tutti gli articoli sono adposizioni Divide,
perché sono altamente grammaticalizzate. Notiamo inoltre che c’è un gruppo in alto,
con lei, che gode di due interessanti proprietà. La prima è il fatto che il lessema lei in
realtà è un riferimento anaforico: supponiamo si riferisca a Susanna, che è stata citata in
precedenza. La seconda è il fatto che è scritta in tondo ma non in grassetto: questo fatto
indica che il partecipante lei è esterno alla valenza del verbo mettere su.
5.1
La valenza verbale
Una dei concetti piú importanti della sintassi tesneriana è il concetto di valenza verbale. La valenza è un concetto mutuato dalla chimica: alcuni elementi sono monovalenti,
come l’idrogeno, altri sono bivalenti, come l’ossigeno; cosı́, per saturare le valenze dell’ossigeno avremo bisogno di due atomi di idrogeno, e otterremo la formula dell’acqua
(H2 O).
Analogamente, tutti i lessemi con carattere grammaticale verbale sono dotati a priori
di un valore di valenza, che puó andare da zero a tre.16 Facciamo qualche esempio.
• valenza 0: nevicare;
• valenza 1: crescere;
• valenza 2: mangiare;
• valenza 3: gradire.
I verbi zerovalenti come nevicare non accettano alcun partecipante all’azione, perciò il
loro albero adposizionale tipicamente non avrà alcuna Figura, che indicheremo convenzionalmente con un quadrato (). Per capire i verbi zerovalenti, basti pensare a certi
paesaggi di stampe tradizionali giapponesi, dove tutto è Sfondo e non è possibile trovare
una Figura. I verbi italiani del meteo come nevica ne sono un esempio.
I verbi monovalenti accettano solo un’adposizione Plus di tipo SV come crescere. Al
contrario, i verbi bivalenti tipicamente accettano un’adposizione Minus di tipo VO. Ma
esistono anche verbi il cui secondo argomento non è un complemento oggetto diretto, per
dirla in termini di grammatica tradizionale, ma invece un complemento indiretto, come
cadere, che vorrà la preposizione in.
Infine, i verbi trivalenti prevedono tre argomenti per essere saturati: un soggetto S
e altri due argomenti, nelle nostre lingue un oggetto O e una qualche forma di dativo.
Anche in questo caso, alcuni verbi hanno il terzo argomento introdotto da preposizioni
prevedibili, come il verbo mettere nell’esempio. Esiste infatti una lista ristretta di preposizioni locative che ci possiamo aspettare dopo tale verbo: su, in, e poche altre. Ritengo
pertanto che tale adposizione sia da considerarsi interna al verbo, una sua estensione, e
quindi prenda il valore Minus – tecnicamente, possiamo parlare di ‘falsa adposizione’, e
infatti la preposizione su- dell’esempio viene riferita come un’appendice adposizionale
del lessema tavol-. 17
Tesnière raccomandava che l’analisi di una frase dovesse sempre iniziare nell’individuare i verbi e la loro valenza, e aveva ragione: in tal modo i partecipanti interni al verbo
possono essere individuati per primi, poi verranno aggiunti i partecipanti esterni. Per
convenzione, i partecipanti interni vengono indicati in grassetto, quelli esterni in tondo.
13
5.2
Il livello testuale
L’ultimo passo da compiere è capire come mettere insieme le frasi le une con le altre. Ci
sono infatti adposizioni specializzate nel legare tra loro non sintagmi dentro le frasi ma
frasi intere prese come un entità unitarie (per ‘frase’, intendo un gruppo contenente al
piú un lessema verbale). In italiano, queste adposizioni sono tradizionalmente classificate come congiunzioni, come ma, tuttavia, poiché.... Sono tutte altamente grammaticalizzate
e dunque retroapplicative, e possono essere dimensionali o adimensionali, vale a dire Divide o Multiplice. Facciamo ancora una volta un esempio contrastivo, preso da Tesnière
[1959]:
• Alfredo può pagare, poiché è ricco.
• È ricco, dunque Alfredo può pagare.
Il concetto in Figura in entrambi gli esempi è Alfredo può pagare. Questo implica che l’adposizione poiché sia di tipo Divide, perché la Figura è il primo elemento, mentre viceversa
l’adposizione dunque è di tipo Multiplice, perché in questo caso lo Sfondo È ricco viene
presentato in precedenza.
Anche la punteggiatura rientra nelle grammatiche adposizionali: è noto l’esempio di
Gianni Rodari che scrisse alla lavagna la frase il maestro dice il direttore è un asino a un
maestro di scuola che sosteneva che la punteggiatura non era importante. A seconda
della punteggiatura, il significato può essere completamente ribaltato:
1. Il maestro dice: il direttore è un asino.
2. Il maestro – dice il direttore – è un asino.
Nelle grammatiche adposizionali, i segni della punteggiatura possono essere Divide o
Multiplice, esattamente come le congiunzioni, che infatti spesso possono sostituirli. Vediamo un breve testo d’esempio. La figura 10 mostra come il due punti sia una retroappliq
✁❆
⊗❆
✁←
❆
✁
✁ ? ❆
❆
✁q
✁❆
△
⊘❆
✁→
Susi
legge
un libro
✁ : ❆
✁
❆
❆
q✁
✁❆
△
⊗❆
✁←
No,
non
legge
✁ . ❆
❆
✁
❆
✁
△
è stanca
Figura 10: L’albero adposizionale di un breve testo.
cazione analoga a dunque: il secondo elemento è la Figura a livello testuale. Al contrario,
il punto fermo e il punto di domanda separano la Figura alla loro sinistra e lo Sfondo alla
loro destra.
14
6 Conclusioni
Questa carellata necessariamente essenziale sulle grammatiche adposizionali ha mostrato come è fatto un albero sintagmatico, il mattone di un albero adposizionale, e come
i mattoni vengono montati per formare frasi e interi testi. Il grosso vantaggio di questo formalismo linguistico sta nel suo isomorfismo strutturale nei tre livelli sintagmatico, frasale e testuale, il che permette di considerare morfologia, sintassi, e addirittura
la punteggiatura, la cenerentola della ricerca linguistica, come tre aspetti di uno stesso
fenomeno.
Le applicazioni potenziali delle grammatiche adposizionali vanno dall’analisi comparata delle lingue alla didattica delle lingue straniere alla teoria della traduzione, sia sotto
un profilo puramente linguistico che sotto un profilo piú strettamente computazionale.
Copyright
$
\
BY:
C
CC
2009 Federico Gobbo. Alcuni diritti riservati.
Notes
1
Questo aspicio leibniziano viene a volte riferito con il termine calculemus [Eco, 1993].
L’esposizione piú compiuta è la mia dissertazione per il dottorato di ricerca [Gobbo, 2009] liberamente
scaricabile come Creative Commons dal mio sito web.
3
Si vedano almeno, in lingua italiana, i contributi piú recenti sul tema Pennacchietti [2006] e Pennacchietti
[2008].
4
Qui cominciano i problemi da un punto di vista computazionale, perché in italiano per esempio la
parola auto civetta viene scritta separata da uno spazio ma si considera una parola unica. Ma il problema di
individuare le parole in una stringa di caratteri, detto tokenizzazione dai linguisti computazionali, non è il
problema principale: il problema vero risiede nella classificazione.
5
Diverso è il caso dell’esperanto, lingua pianificata, dove i parlanti si sentono autorizzati a introdurre
novità a qualsiasi livello. È pur vero che i tentativi di introdurre pronomi o preposizioni, tranne rarissimi
casi, non sono entrati nel registro standard dell’esperanto.
6
La linguistica del Novecento innovata da de Saussure ha messo al centro lo studio sincronico delle
lingue, differenziandosi dalla glottologia ottocentesca, che studiava le lingue in diacronia. Le grammatiche
adposizionali considerano le lingue degli oggetti di studio sincronici.
7
Questo tipo di albero fu usato per la prima volta da Silvio Ceccato nel suo sistema di traduzione
automatica. Si veda il secondo capitolo in Gobbo [2009] per i dettagli su questo punto.
8
Si noti che tutti i segnaposto, tipicamente i deittici – come per esempio suo, quella – sono indicatori di
significato e pertanto ricadono nella categoria dei lessemi, seppure speciali.
9
Naturalmente, il riconoscimento del morfema da parte del nostro parser mentale raramente è cosı́ semplice, specie in lingue non completamente pianificate come l’italiano: la finale -a può indicare il femminile
singolare di un nome (ragazz-a), il maschile singolare di un nome (giornal-ist-a), la terza persona singolare
di un verbo (ball-a)...
10
In questo punto, il mio sistema si differenzia da quello di Pennacchietti che elabora fino a nove caselle
di cui quella centrale sempre vuota per le adposizioni cosiddette ‘neutre’. Le adposizioni neutre sono quelle
che si comportano talvolta in un modo, talvolta in un altro, e quindi non si riescono a collocare adeguatamente nello spazio adposizionale. Ebbene, la mia soluzione per le adposizioni neutre è di duplicarle: in
altri termini, la adposizione neutra compare in entrambe le caselle. Linguisticamente non si perde nessuna
sfumatura e formalmente il sistema diventa molto piú elegante e gestibile con maggior agio.
11
Non andrò piú nel dettaglio su questo punto, perché non è fondamentale per il nostro discorso in questa
sede.
12
Uso il latino per esigenze didattiche. Se chiamassi Plus ‘piú’, per nel discorso parlato sorgerebbero
ambiguità con i piú che incontro nelle frasi da analizzare, mentre il latino permette piú precisione.
13
Per la verità, Whorf raggruppa le parole per selezione e collocazione, mentre noi, per i motivi di cui
sopra, consideriamo come unità fondamentale il morfema.
2
15
14
In realtà esiste un uso specifico della verbificazione del morfema strument. In ambito musicale, ‘strumentare’ indica l’assegnazione di una parte specifica ad uno strumento in sede concertistica, oppure un
adattamento strumentistico di esecuzioni nate per altri strumenti. Ringrazio M. Chiara Miduri per la puntualizzazione.
15
Una traduzione parziale in italiano della monumentale opera del linguista francese è Proverbio and
Trocini Cerrina [2001].
16
In questa sede non mi soffermo sugli aspetti pragmatici degli attanti fondamentali: Agente, Paziente,
Esperiente, Strumentale. Si faccia riferimento al terzo capitolo di Gobbo [2009] per questi aspetti.
17
In alternativa, possiamo considerarla una adposizione ‘vera’ e quindi Plus, e dovremmo scambiare le
due foglie in modo da porre il lessema mett- a sinistra. Personalmente preferisco mantenere il verbo reggente
sempre e comunque in fondo a destra.
Riferimenti bibliografici
Umberto Eco. La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea. Laterza, Bari, 1993.
English translation published by Basil Blackwell, 1995. 15
Federico Gobbo. Adpositional Grammars. PhD thesis, University of Insubria, 2009. 15
Fabrizio A. Pennacchietti. Come classificare le preposizioni? una nuova proposta.
Quaderni del Laboratorio di Linguistica, 6:1–18, 2006. 9, 15
Fabrizio A. Pennacchietti. Preposizione semitiche tra diacronia e sincronia.
Orientalis, XXVI(1):143–160, 2008. 15
Aula
Germano Proverbio and Anna Trocini Cerrina. Elementi di sintassi strutturale. Rosenberg
& Sellier, Torino, 2001. 15
Lucien Tesnière. Éleménts de syntaxe structurale.
Sorbonne, Paris, 1959. 11, 14
16
Editions Klincksieck, 8 rue de la