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SPIRITI, EFFLUVI, ATTRAZIONI

In questa collana vengono pubblicati i risultati di ricerche, seminari, convegni o corsi di lezioni su momenti e problemi della storia del pensiero promossi dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.

Momenti e problemi della storia del pensiero 45 1 2 ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI SILVIA PARIGI SPIRITI, EFFLUVI, ATTRAZIONI LA FISICA «CURIOSA» DAL RINASCIMENTO AL SECOLO DEI LUMI NELLA SEDE DELL’ISTITUTO NAPOLI 2011 3 In questa collana vengono pubblicati i risultati di ricerche, seminari, convegni o corsi di lezioni su momenti e problemi della storia del pensiero promossi dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. RINGRAZIAMENTI Questo libro è stato concepito nelle splendide sale della Biblioteca Nazionale di Napoli, città più di ogni altra ricca di effluvi. Per oltre dieci anni ho consultato testi rari e preziosi, beneficiando della paziente competenza e della tollerante sollecitudine del personale: ringrazio in particolar modo la dottoressa Patrizia Nocera, preposta alla ricerca (talora avventurosa) dei testi e la dottoressa Maria Rascaglia. Ho un grande debito di gratitudine verso quel luogo, e verso quella città, per la costante esaltazione ed esemplificazione della subtilitas, della curiositas e della varietas rerum. Il materiale bibliografico e la borsa di studio che ho ricevuto dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici – per i quali devo ringraziare l’avvocato Gerardo Marotta, il professor Antonio Gargano e il dottor Valerio Cacace – hanno facilitato la preparazione, e reso possibile la pubblicazione, di questo lavoro. Che tuttavia non sarebbe, probabilmente, mai stato scritto, senza il tempo che mi è stato concesso, e la disciplina che mi è stata imposta, dal mio secondo dottorato all’Università di Cagliari. Non sono molti, purtroppo, i debiti di gratitudine che ho contratto in questi anni: Michele Camerota, Antonio Clericuzio e Francesco Piro hanno discusso, criticato e incoraggiato questo lavoro, alla cui realizzazione hanno contribuito, in tempi e modi diversi, Paola Govoni, Tonino Griffero, Giuseppe Guida, Arturo Martorelli, Giovanni Romeo. Dedico questo libro ai ragazzi che ho incontrato nei licei di Napoli: perché quel patrimonio di umanità e di intelligenza dia i suoi frutti, e affinché ciò che ho loro sottratto, interrompendo il mio insegnamento in un modo, dal loro punto di vista, inaspettato e del tutto privo di giustificazioni, venga così, almeno in parte, ripagato. E poiché non ho seguito il consiglio, che mi era stato dato, di rinunciare alla ricerca, per dedicarmi appieno alle gioie della famiglia – aut liberi, aut libri è un motto che ha goduto, nei secoli, di una perfetta unilateralità di genere1 – dedico infine, e con particolare intenzione, questo libro ai miei figli: Carlo e Giulio. 1 Cfr Francesca Rigotti, La filosofia delle piccole cose, Novara, Interlinea, 2004, cap. III. © Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Palazzo Serra di Cassano Via Monte di Dio 14, Napoli www.iisf.it ISBN 978-88-7723-106-2 4 INDICE Introduzione 7 PARTE PRIMA TEORIA E STORIA DEGLI EFFLUVIA NEL XVI E NEL XVII SECOLO CAPITOLO PRIMO TEORIA E STORIA DEL CONCETTO DI SPIRITO 1. Species e raggi, spiriti e vapori 2. Spiriti e idoli, demoni e spettri 3. Spiriti, effluvi e qualità occulte 23 32 45 CAPITOLO SECONDO LA NATURA «CURIOSA»: I LIBRI DI SEGRETI E LA STORIA NATURALE 1. I segreti della natura 2. La storia naturale baconiana: una Sylva sylvarum 53 65 CAPITOLO TERZO DAGLI SPIRITI AGLI EFFLUVI 1. Gli effluvi: questioni preliminari 2. Effluvi versus corpuscoli: la «filosofia magnetica» di William Gilbert 3. Effluvi e simpatie: Tommaso Campanella 4. Il magnetismo universale di Athanasius Kircher 75 77 86 91 CAPITOLO QUARTO GLI EFFLUVI E IL MECCANICISMO 1. Corpuscolarismo e «corpuscolarismo magico»: Descartes e Gassendi 2. Robert Boyle: il corpuscolarismo e le storie naturali 3. La fisica e la fisica curiosa 4. Gli esiti «curiosi» e i critici del meccanicismo 5. La denuncia degli «errori»: Thomas Browne, Nicolas Malebranche e Balthasar Bekker 103 120 134 149 158 5 PARTE SECONDA SPIRITI, EFFLUVI CORPUSCOLARI E FENOMENI MAGNETICI CAPITOLO PRIMO FISICA MAGNETICA 1. I fenomeni magnetici: questioni preliminari 2. Il baculum divinatorium e le esalazioni 3. Il baculum divinatorium e i corpuscoli 4. Ragione, religione e superstizione 5. Cure magnetiche 169 170 176 187 191 CAPITOLO SECONDO LA FASCINATIO E IL MAGNETISMO DELL’IMMAGINAZIONE 1. Species, tracce, spiriti e raggi: fisiologia e magia dell’immaginazione 2. Gli spiriti e l’ottica: le origini del dibattito sull’oculus fascinans 3. I poteri dell’immaginazione 4. Le voglie, i mostri e i neuroni-specchio 5. La fascinatio come contagio: Sennert versus Cardano 207 211 215 226 238 CAPITOLO TERZO SPIRITI, EFFLUVI E SEGRETI NEL SECOLO DEI LUMI 1. I fenomeni magnetici nel Secolo dei Lumi 2. Effluvi, demoni e spettri 3. Pietà, credulità e Lumi: l’abate Calmet e il vescovo Davanzati 4. Magia, stregoneria e poteri dell’immaginazione: il dibattito italiano 5. La teoria della jettatura 6. Lo spirito etereo e l’acqua di catrame 243 245 251 254 260 268 Conclusione: Nisi fabula est… 273 Bibliografia 277 Indice dei nomi 291 6 INTRODUZIONE La natura è demonica, non certo divina. (Aristotele, De divinatione per somnum1) A partire da Aristotele, e fino a tutto il Seicento, c’è una categoria di fenomeni naturali che offre resistenza ai tentativi di spiegazione razionale: si tratta di fatti innegabili, dati empirici, che tuttavia appaiono misteriosi, singolari, sorprendenti, meravigliosi, disobbedienti alle regole codificate di una natura conforme a leggi: in una parola, «curiosi». Tali fenomeni si collocano ai confini di molte discipline, senza essere oggetto di nessuna, perché si trovano ai limiti della natura stessa: «oltrepassano l’umano, perché la natura oltrepassa l’umano, ma non è divina2». Nel primo libro delle Parti degli animali, Aristotele scrive: Invero fenomeni ordinati e determinati si manifestano molto di più negli oggetti celesti che nel nostro ambiente, mentre fenomeni sempre mutevoli e casuali si manifestano soprattutto in ciò che è mortale3. Ciò che Aristotele dice dei sogni, si può estendere a un’intera classe di fenomeni naturali, che comprende diversi generi ed effetti della simpatia e dell’antipatia, le qualità occulte universali: l’attrazione del magnete, dell’ambra gialla e dei corpi elettrici, la rotazione del girasole, l’emorragia spontanea e inarrestabile che si produce nel cadavere di un uomo morto di morte violenta in presenza del suo assassino, lo sguardo letale del basilisco e quello del lupo, che se guarda per primo un uomo lo fa ammutolire, e ancora il contagio e i diversi tipi di fascinatio – d’amore, d’odio, nonché la ligatura ad impotentiam –, i prodigiosi effetti del morso della tarantola e del cane rabbioso, il passaggio delle voglie dal corpo materno al feto, le cure magnetiche – come la polvere di simpatia, l’unguento armario, la transplantatio –, i fenomeni di rabdomanzia riconducibili al baculum divinatorium, il potere paralizzante della torpedine marina e quello dell’echeneide4, capace di fermare le navi, le apparizioni di spettri. 1 Aristotele, Il sonno e i sogni, a cura di L. Repici, Venezia, Marsilio, 2003, p. 139. Aristotele, La premonizione nel sonno, in Opere biologiche, a cura di D. Lanza e M. Vegetti, Torino, UTET, 1996, p. 1180. 3 Id., Le parti degli animali, lib. I, 641b, ivi, p. 567. Amos Funkenstein afferma che, per Aristotele, «una scienza matematica del cambiamento era non solo imprecisa ed equivoca, ma costituiva un vero e proprio errore categoriale»: si veda Teologia e immaginazione scientifica dal Medioevo al Seicento, Torino, Einaudi, 1996 (ed. inglese 1986), p. 40. 4 Già assimilati da Plinio il Vecchio; i destini di quei due pesci «favolosi» erano destinati a separarsi soltanto alla fine del XVII secolo, quando la remora cessò di essere considerata magica, mentre la torpedine, o «pesce elettrico» continuò ad essere un oggetto di indagine per i naturalisti fino alla metà del XIX 2 7 Questi temi hanno origini antiche: sono presenti nei trattati di età ellenistica5 e nella Naturalis historia di Plinio il Vecchio, compaiono nel De locis affectis di Galeno6, vengono ripresi nel Rinascimento e affrontati, senza soluzione di continuità, dalla magia naturale, dalla filosofia naturale aristotelica del Cinquecento e dalla «fisica curiosa» del Seicento – che fu una parte non marginale della filosofia naturale, resistendo alla rivoluzione scientifica7. Prendiamo, ad esempio, un fenomeno occulto tra i più discussi: la cruentatio cadaverum, ovvero il sanguinamento di un cadavere in presenza del suo uccisore, una prova che venne «accolta senza indugio… nella letteratura moderna di medicina legale»8. Marsilio Ficino lo fa risalire al De rerum natura di Lucrezio9; tra il Cinquecento e il Settecento se ne occupano, tra gli altri, Andreas Libau (Libavius), Jan Baptiste van Helmont, Pierre Borel, René Descartes, Pierre Gassendi, Athanasius Kircher, Francesco Lana Terzi e l’abate di Vallemont. Spesso la magia, e più tardi la fisica, ripresero quel vasto repertorio di esempi dalla storia naturale – una disciplina che, a partire dalle sue origini pliniane e fino a Georges-Louis Leclerc de Buffon, consistette nella raccolta e nella descrizione, con intenti classificatori, dei più diversi generi di fenomeni naturali10. Per quanto strano possa sembrare al lettore contemporaneo, quei fatti «inconsueti, ma non per questo meno constatabili empiricamente»11 venivano spesso equiparati, nei secoli XVI e XVII, ai fenomeni gravitazionali, luminosi, elettrici e magnetici: gli stessi autori esaminavano gli uni e gli altri nelle stesse opere. Scorrendo l’elenco delle esperienze curiose, ci si accorge infatti che si tratta in gran parte di fenomeni magnetici – che sembrano implicare, cioè, una misteriosa azione a distanza – riguardanti sia la natura, sia l’uomo. C’è un duplice trait-d’union che lega fatti apparentemente lontani, se non incommensurabili: da un lato, essi rientrano appunto nella categoria del magnetismo – un termine, questo, che – come si vedrà nelle pagine che seguono – ebbe nell’età moderna un significato diverso, e molto più ampio, di quanto oggi si pensi12. Inoltre, essi vennero spiegati in secolo: cfr. Brian Copenhaver, A Tale of Two Fishes: Magical Objects in Natural History from Antiquity through the Scientific Revolution, «Journal of the History of Ideas», 52, 1991, 373-98. 5 Come dimostrano i frammenti delle opere di Bolos di Mendes secondo Concetta Pennuto, Simpatia, fantasia e contagio. Il pensiero medico e il pensiero filosofico di Girolamo Fracastoro, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 2008, cap. I, § 1. 6 Il passo galenico (VI. 5) è riportato e discusso da Vivian Nutton, The Seeds of Disease: An Explanation of Contagion and Infection from the Greeks to the Renaissance, «Medical History», 27, 1983, pp.1-34 (8). 7 Su questo tema, cfr. Keith Hutchison, What Happened to Occult Qualities in the Scientific Revolution?, in «Isis», 73, 1982, pp. 233-53. 8 T. Griffero, ; Cose da credere e da non credere. Invece di una introduzione: che fine ha fatto la ‘cruentatio cadaverum’?, «Rivista di estetica», n. s., 19, 2002, pp. 3-10 (5). 9 M. Ficino, Sopra lo amore, Milano, SE, 1998, Orazione Settima, cap. V, p. 146. Il passo lucreziano è tratto dal IV libro del De rerum natura, vv. 1049-1051: «Namque omnes plerumque cadunt in volnus, et illam/ emicat in partem sanguis unde icimur ictu,/ et si comminus est, hostem ruber occupat umor» (cfr. Tito Lucrezio Caro, La natura delle cose, introd. di G. B. Conte, trad. di L. Canali, testo e commento a cura di I. Dionigi, Milano, Fabbri, 1994, vol. II, p. 406). 10 Nell’articolo sopra citato (n. 4), Brian Copenhaver ha messo in luce come i poteri paralizzanti della torpedine fossero stati assimilati all’attrazione magnetica e agli animali velenosi già nella medicina galenica. 11 A. Pacchi, Cartesio in Inghilterra, Roma-Bari, Laterza, 1973, p. 99. 12 Secondo la chiara definizione che ne dà Daniel Sennert (Practica medicinae (1635), lib. V, pt. IV, cap. X, in Opera omnia, Lugduni, sumptibus Ioannis Antonii Huguetan, et Marciantonii Ravaud, 1650, 8 virtù dei concetti di spirito e di effluvio. È significativo, a tale riguardo, che il primo autore ad usare i termini effluvio, simpatia e antipatia sia stato probabilmente Plinio il Vecchio, nella Historia naturalis, e che il termine effluvio sia riemerso nel linguaggio filosofico con Marsilio Ficino e Girolamo Fracastoro13. Questa ricerca ha per oggetto le «magnetick properties of things» – che coincidono, per Robert Boyle, con le «abstrusities of nature»14 – e i tentativi di spiegazione che ne vennero offerti, tra Cinque e Settecento, da personaggi molto, poco o pochissimo noti: filosofi naturali e metafisici, teologi e demonologi, medici, la cui notorietà attuale non è sempre proporzionale alla fama di cui godettero in vita. Le teorie esplicative di volta in volta proposte – in termini di spiriti, effluvi, corpuscoli – verranno analizzate nelle loro connessioni con le coeve teorie fisiche, fisiologiche e mediche. L’ampiezza della parte favolosa della storia naturale sfida i tentativi di classificazione, e rende decisamente rischioso, oggi come nell’età moderna, proporne una tassonomia, e seguirne gli sviluppi. Nella profonda ed acuta consapevolezza che l’aspirazione alla completezza, propria di ogni ricerca, è più che mai difficile da raggiungere in questo genere di indagine, vorrei subito esplicitare i motivi per i quali questo lavoro merita, a mio avviso, di essere intrapreso, ovvero le ipotesi interpretative dalle quali sono partita. Innanzitutto, l’indagine dei fenomeni meravigliosi non si può considerare una mera curiosità peregrina, perché la storia della natura «demonica» – disordinata, irregolare, resistente alla teoria – può gettare nuova luce sulla storia della «divina» natura conforme a leggi, offrendone uno scorcio inusitato; nel Cinquecento e nel Seicento è molto difficile, e non è sempre utile, separare una fisica «buona» da una «cattiva», o «perdente», come ha fatto qualche storico della scienza del secolo scorso.15 I testi di quel periodo non contengono, infatti, soltanto «perle di verità scientifica», e questo rende necessario «oltrepassare i confini della scienza del ventesimo secolo»16. La necessità di tenere separate la verità dalla razionalità, evitando di considerare deliranti le credenze oggi non condivise, caratterizza «la buona pratica storica», secondo Quentin Skinner: lo storico della cultura, cioè, dovrebbe sempre andare alla ricerca di quei «buoni motivi» che gli uomini del passato avevano per considerare vero ciò che in seguito è stato ritenuto falso, senza paura di incorrere nell’accusa di «relativismo concettuale»17. La natura – come ha mostrato in studi importanti Stuart Clark – aveva, nell’età moderna, confini diversi da quelli che siamo abituati ad attribuirle: vi rientravano i feno- tomo III, p. 399a): «Et talia plurima, quae in natura observantur, occultarum actionum exempla congerunt; quas quia in magnete sunt manifestissimae, ab eo magneticas in genere vocant». 13 Cfr. G. K. Chalmers, Three Terms of Corpuscolar Philosophy, «Modern Philology», 33, 1936, pp. 243-60; E. Reeves, Occult Sympathies and Antipathies: The Case of Early Modern Magnetism, in W. Detel, C. Zittel (eds.), Ideals and Cultures of Knowledge in Early Modern Europe, Berlin, Akademie Verlag, 2002, pp. 97-114. 14 R. Boyle, Some Considerations touching the Usefulness of Experimental Natural Philosophy, pt. I, essay IV, in The Works, ed. by Thomas Birch, Reprographischer Nachdruck der Ausgabe London 1772, Hildesheim, G. Olms, 1965-66, vol. II, p. 37. 15 Come A. Koyré, Dal mondo chiuso all’universo infinito, Milano, Feltrinelli, 1981 (prima ed. 1957): si veda, ad esempio, il cap. VI, nel quale Henry More è definito «un fisico piuttosto cattivo» (pp. 105 e 111), dotato di una «sbalorditiva credulità» e «sperduto nel mondo disincantato della ‘nuova filosofia’» (p. 99). Massimo Angelini (Il potere plastico dell’immaginazione nelle gestanti tra XVI e XVII secolo. La fortuna di un’idea, in «Intersezioni», 14, 1994, pp. 53-69) ha parlato invece di una scienza «perdente». 16 A. G. Debus, Paracelso e la tradizione paracelsiana, Napoli, La Città del Sole, 1996, pp. 7-8. 17 Q. Skinner, La verità al tempo delle streghe, «Corriere della Sera», 11 giugno 2008, p. 35. 9 meni mirabili (mira) di una natura errans che includeva, ad esempio, i demoni. La trasformazione di una parte di quei fenomeni in effetti naturali (naturalia) propri di una natura currens, conseguente alla discriminazione degli effetti falsi e irreali, fu un processo lungo, incerto e non privo di residui. I mira e i naturalia erano entrambi distinti dai miracula, esclusivamente divini: da un lato, questa distinzione tomistica venne fatta propria da tutti gli autori nella prima età moderna; dall’altro lato, «le spiegazioni soprannaturali vennero sfidate da quelle preternaturali, e queste dalle alternative naturali»18. La demonologia e la stregoneria, ad esempio, non soltanto non erano percepite come prodotti della superstizione, dell’irrazionalità o di una sorta di «delirio collettivo», ma rappresentavano una physica specialis, o una instantia prerogativa baconiana. Faremmo meglio ad associare la demonologia con lo sviluppo e il progresso della conoscenza della natura, piuttosto che con il suo ristagno o con la sua decadenza. Se il diavolo faceva parte della natura, la demonologia era, di necessità, una parte della scienza della prima età moderna19. In quel periodo, «riconsiderare la validità dei fenomeni meravigliosi di ogni genere, insieme ai criteri per comprenderli, divenne una priorità scientifica»20, che rimase tale anche dopo la nascita della scienza. Da Oresme, nella Parigi del XIV secolo, a Joseph Glanvill, nella Londra tardo-seicentesca, «le meraviglie occuparono un posto di tutto rispetto nell’agenda dei temi della ricerca seria»21. I mostri, la polvere di simpatia, i libri di segreti rientrano in un «terreno epistemologico» nel quale fervono le dispute; ma quello che Clark trascura è il trait-d’union, il filo conduttore, la caratteristica che accomuna la maggior parte dei fenomeni «curiosi»: il «magnetismo», ovvero l’apparente azione a distanza. Proprio per questo, tali fenomeni costituiscono una sfida prima all’aristotelismo, caratterizzato dal motto secondo il quale: «nihil agit in distans nisi prius agit in medium», e successivamente al meccanicismo seicentesco, che tenta di spiegare con l’incastro dei corpuscoli tutto ciò che sembra accadere per un’azione a distanza – dall’attrazione della calamita alla possessione diabolica22. Dal Cinquecento al Settecento c’è un progresso nelle teorie del «curioso»: esso è reso possibile dall’accentuarsi di quel vaglio critico che ha permesso di separare, nel corso di oltre due secoli, i fili neri da quelli bianchi nel grigio tessuto della storia naturale, anche se è difficile individuare, in tale processo – che non può certo dirsi concluso con il sorgere dei Lumi – le svolte e i punti critici. Il processo di separazione, come si vedrà, è stato duplice, perché l’occulto era di due specie: naturale e soprannaturale. Da un lato, si è cercato di discriminare ciò che è naturale da ciò che eccede la natura; dall’altro lato, ciò che è credibile da ciò che è superstizioso. Non è detto, infatti, che i confini del «naturale» 18 S. Clark, Thinking with Demons. The Idea of Witchcraft in Early Modern Europe, Oxford, Clarendon Press, 1997, part II, cap. 17, p. 264; si veda anche, dello stesso autore, The Rational Witchfinder: Conscience, Demonological Naturalism and Popular Superstitions, in S. Pumfrey, P. L. Rossi, M. Slawinski (eds.), Science, Culture and Popular Belief in Renaissance Europe, Manchester and New York, Manchester University Press, 1991, pp. 222-48. Sui diversi confini tra «naturale» e «soprannaturale» in questo periodo, cfr. anche J. Henry, Doctors and Healers: Popular Culture and the Medical Profession, ivi, pp. 191-221. 19 S. Clark, Thinking with Demons cit., part II, cap.10, p. 156; cap. 11. 20 Ivi, cap. 16, p. 258. 21 Ivi, cap. 17, p. 268. 22 Cfr. infra, parte I, cap. I, § 2. 10 Caspar Schott: Curiosità della natura 11 coincidano con quelli della credibilità, né tantomeno il soprannaturale è destinato ad apparire ipso facto incredibile. Spesso quello che cambia, in autori contemporanei o successivi, non sono tanto le teorie, quanto l’atteggiamento epistemologico: ciò che separa Giovan Battista Della Porta da Francis Bacon, Girolamo Cardano da Daniel Sennert, William Gilbert da Robert Fludd, Athanasius Kircher o Caspar Schott da Robert Boyle non sono le credenze, ma i tentativi di spiegazione proposti. In questo periodo, infatti, è particolarmente difficile associare i «singoli studiosi» con le «singole filosofie»23. La ricerca svolta inseguendo gli usi e i significati dei concetti di spirito, effluvio, attrazione – in un articolato dibattito a molte voci che presenta, nell’età moderna, un carattere davvero unitario, malgrado la diversità degli ambiti disciplinari e delle comunità scientifiche che coinvolse – mi ha portato ad alcune conclusioni, che preferisco anticipare, schematizzandole, per chiarire il senso, e facilitare la lettura, delle pagine che seguiranno: 1) Nel Rinascimento, la causalità nella natura si spiega o con lo spirito, che agisce da tramite tra la mens immateriale e i corpi, sia nell’uomo, sia nel mondo – secondo il paradigma neoplatonico, che ammette l’azione a distanza – oppure, con gli Scolastici, come la trasformazione qualitativa di una sostanza. Le qualità, però, non possono agire senza una sostanza alla quale ineriscano: risulta impossibile, quindi, ogni azione a distanza. 2) A meno che tali qualità non agiscano per il tramite di invisibili effluvi, sottili e tuttavia materiali, che li si voglia poi concepire o meno come corpuscolari. Nella prima parte di questa ricerca, verrà mostrato in che modo la dottrina rinascimentale – sia platonica, sia aristotelica – delle qualità occulte si trasformò in quella seicentesca degli effluvia e come, con l’introduzione del concetto (utilizzato sia dai gesuiti scolastici, sia dai gassendiani) della «sfera di attività» di un corpo – la cui importanza è sfuggita finora ai pochi studiosi che si sono occupati di questi temi24 – i termini del dibattito abbiano finito per riguardare la possibilità di azioni a grande o a breve distanza, consentite rispettivamente dallo spirito o dagli effluvi. Tutti i fenomeni che avvenivano internamente alla sphaera activitatis di un corpo (altrimenti detta orbis virtutis) tendevano a non essere avvertiti, infatti, come vere e proprie azioni a distanza. Nel 1658, il medico scozzese Sylvester Rattray, un aristotelico con simpatie helmontiane, distingueva una triplice tipologia di causalità fisica: quella «per contactum molis», l’unica ammessa dagli atomisti epicurei; quella «per contactum virtutis, intra certam sphaeram», fatta propria dai teorici degli effluvi, che avevano però idee molto diverse sull’estensione di tale spazio – capace di dilatarsi, per certuni, fino alle stelle. Soltanto l’ultimo genere di causalità fisica, l’azione a distanza, era avvertita come problematica25. Questo schema risaliva al De contagione et contagiosis morbis di Girolamo Fracastoro (1546) – opera nella quale il contagio per contatto veniva preliminarmente distinto da quello a distanza, ed entrambi da un’azione, per così dire, intermedia e indiretta, nella quale il contagio era veicolato da un fomes (ad esempio, le vesti), suscettibile di ritenere a lungo, nei propri pori, i semina conta- 23 S. Clark, Thinking with Demons cit., part II, cap. 17, p. 260. È questo il caso, ad esempio, di M. A. Waddell, The Perversion of Nature: Johannes Baptista Van Helmont, the Society of Jesus, and the Magnetic Cure of Wounds, «Canadian Journal of History», 38, 2003, pp. 179-97. 25 Sylvester Rattray, Aditus novus ad occultas sympathiae et antipathiae causas inveniendas (prima ed. 1658), in Theatrum sympatheticum, Norimbergae, apud Johan. Andream Endterum, et Wolfgangi Junioris Haeredes, 1662, p. 57. 24 12 gionis26 – ed era stato ripreso, quasi mezzo secolo prima di Rattray, da un altro medico aristotelico, Daniel Sennert: egli distingueva il contatto «corporale» da quello «virtuale», cioè in specie, che gli appariva pericolosamente al limite di un’azione a distanza27. In uno studio recente dedicato al concetto di semen nelle teorie della materia del Rinascimento, Hiro Hirai distingue, in Fracastoro, due tipologie di seminaria contagionum: quelli che agiscono per contatto diretto e quelli che agiscono a distanza «puisqu’ils sont doués de la force de se répandre en un cercle, d’arriver très loin et de pénétrer très vite»28. 3) Nella spiegazione dei fenomeni occulti, dal Rinascimento al Seicento, quello che cambia non è tanto la terminologia – i concetti di spirito (a sua volta considerato sinonimo di specie e raggio, eidolon, vapore e atmosfera) e di effluvio continuano, infatti, a venire usati indifferentemente – quanto il significato dei termini. Gli spiriti e gli effluvi sono esalazioni dei corpi: ma, soprattutto a partire dalla Physica di Pierre Gassendi (1658), essi cessano di essere considerati i veicoli universali di forze, simpatie e antipatie occulte, per assumere una composizione corpuscolare, capace di agire penetrando nella textura porosa dei corpi. Il capitolo della Physica gassendiana, dedicato alle «cosiddette qualità occulte» (De qualitatibus vocatis occultis)29, costituisce perciò, a mio avviso, l’incipit della «fisica curiosa» sei-settecentesca. Il significato di effluvio tende a differenziarsi progressivamente da quello rinascimentale di spirito in virtù dell’interpretazione corpuscolaristica, in termini di atomi, pori e textura dei corpi, che del primo termine dette Gassendi. La fisica occulta finisce così per costituire un aspetto della filosofia corpuscolare. 4) Il corpuscolarismo degli effluvia non ammette, però, un’interpretazione rigidamente meccanicistica. Il concetto di textura, infatti, unito a quello di effluvio, risulta perfettamente compatibile con la teoria della materia activa – dotata, cioè, di proprietà non riducibili alle mere caratteristiche quantitative delle particelle che la compongono, o all’incastro di parti piene e parti vuote, ma composta di corpuscoli dotati di un principio di movimento autonomo e perenne. Questo concetto era estraneo alla filosofia naturale cartesiana, mentre è presente nell’opera di Gassendi – come lo sarà, più tardi, negli scritti di Kenelm Digby, Robert Boyle, di un gesuita eclettico come Francesco Lana Terzi, e dell’abate di Vallemont. Non è certo un caso se, mentre Descartes aveva dedicato loro appena qualche riga dell’edizione francese dei Principia (1647), le «cosiddette qualità occulte» divengono l’oggetto di un’attenta e articolata trattazione, come si è detto, a partire dalla Physica di Pierre Gassendi. La sopravvivenza della tradizione ermetica nella filosofia meccanica e sperimentale è stata riconosciuta e analizzata da studiosi come Richard Westfall e John Henry30. Hirai ha 26 G. Fracastoro, De contagionibus, et contagiosis morbis, cap. V, in Opera philosophica et medica , typis J. Stoer, Genevae, 1637, lib. I, cap. II. 27 D. Sennert, Institutiones medicinae (1611), in Opera omnia, Lugduni, sumptibus Ioannis Antonii Huguetan, et Marciantonii Ravaud, 1650, vol. I, lib. II, parte II, cap. XII. Cfr. infra, cap. I, § 3. Una analoga classificazione delle tipologie di contagio si trova nelle Quaestiones medico-legales (1621-30) del medico romano Paolo Zacchia (Avenione, ex typographia Ioannis Piot, 1655, lib. III, tit. III, quaest. IV, p. 188a). 28 Hiro Hirai, Le concept de semence dans les théories de la matière à la Renaissance, Turnhout, Belgium, Brepols, 2005, cap. 3, § 5, p. 76. 29 P. Gassendi, Physica, in Opera omnia, Lugduni, sumpt. L. Anisson et J. B. Devenet, 1658, tomo I, pt. II, sect. I, lib. VI, cap. XIV. 30 Richard S. Westfall, Newton and the Hermetic Tradition, in Allen G. Debus (ed.), Science, Medicine and Society in the Renaissance, London, Heinemann, 1972, vol. 2, pp. 183-98; John Henry, Occult Qualities and the Experimental Philosophy: Active Principles in Pre-Newtonian Matter Theory, «History of Science», 24, 1986, pp. 335-81. 13 evidenziato l’influenza del pensiero di Marsilio Ficino sul corpuscolarismo gassendiano, attraverso Fernel e Paracelso; la distinzione tra la teoria meccanicistica della materia, attribuita a Gassendi, e la teoria chimica di van Helmont è stata contestata con ottimi argomenti storiografici. Quelle teorie non erano incompatibili, come dimostra un savant della generazione successiva: Robert Boyle «accepte à la fois les deux pour éviter la difficulté qu’impose le mécanisme corpusculaire pur et dur»31. Come ha mostrato John Henry, la dottrina della materia activa era diffusa, nell’Inghilterra pre-newtoniana, presso autori come Walter Warner, Matthew Hale, Walter Charleton, Henry Power, Francis Glisson, Richard Lower, John Mayow, Robert Boyle. Una delle più efficaci e sintetiche illustrazioni di quel concetto si trova nel De anima brutorum di Thomas Willis (1672): Non è vero, quindi, come si crede comunemente, che la materia che costituisce le cose naturali sia esclusivamente passiva, e non si possa muovere in nessun modo, a meno che non sia mossa da qualcos’altro. Al contrario, gli atomi, che sono gli elementi costitutivi delle cose sublunari, sono massimamente attivi, così che non possono rimanere fermi a lungo in nessun luogo, ma si spostano qua e là, da un corpo all’altro, ovvero, se rimangono nello stesso corpo, adattano alla propria forma la figura dei pori e dei meati, nei quali si diffondono32. In un’opera di impianto scolastico pubblicata nello stesso anno, il medico Francis Glisson teorizza una «natura energetica della sostanza»: mentre concepisce la materia come principium energeticum o vita substantialis, Glisson si preoccupa di distinguere la facoltà universale della percezione dal «senso» campanelliano, che è una perceptio percepta: «hinc clarissimus Campanella, qui de hac re subtiliter commentus est, ab omnibus prope neglectus iacet»33. 5) La teoria degli effluvi, pur avendo lo scopo di fornire una spiegazione dei fenomeni oscuri contrapposta a quella basata sulle qualità occulte della simpatia e dell’antipatia, si fonda a sua volta sulle dottrine magiche del consensus mundi e dell’aria come luogo e ricettacolo universale degli spiriti di ogni genere – compresi i demoni, dotati di corpi aerei, che si servono dell’aria per compiere i loro prodigi. L’aria è l’«effluvio universale della terra», secondo William Gilbert: in essa confluiscono le esalazioni prodotte dalle singole cose. Questi due concetti segnano il passaggio – e al tempo stesso evidenziano la continuità – tra la magia naturale e la fisica, più o meno curiosa. Non basta, quindi, trasformare le qualità occulte – «agenti magici o spirituali senza apparente contatto corporeo» – in effluvi, per trasformare ipso facto un’azione da «occulta» in «fisica», né tantomeno l’ipotesi degli effluvia era destinata a trasformarsi nella «moderna teoria atomistica»34. 31 H. Hirai, Le concept de semence cit., p. 496. T. Willis, De anima brutorum, Londini, prostant apud Gulielmum Wells et Robertum Scott, 1672, pt. I, cap. VI, p. 97: «Dein quod vulgo traditur, materiam e qua res naturales constant, esse mere passivam, et neutiquam moveri, nisi in quanto ab alio movetur, verum non est; quin potius e contra, Atomi, quae sublunarium materies sunt, plurimae adeo sunt activae, ut nusquam diu consistant, sed e subiecto uno in aliud passim migrent, vel in eodem conclusae, poros et meatus, in quibus expatientur, sibi procudant». 33 F. Glisson, Tractatus de natura substantiae energetica, Londini, typis E. Flesher, prostat venalis apud H. Brome & N. Hooke, 1672, pp. 90, 191, 208, 214. 34 Come sostiene, a proposito di Boyle, G. K. Chalmers, Effluvia, the History of a Metaphor, «Transactions and Proceedings of the Modern Language Association of America», 52, 1937, pp. 1031-1050 (pp. 1042 e 1050). 32 14 Athanasius Kircher: Il magnetismo del girasole 15 6) Come il corpuscolarismo di Gassendi sembra segnare un momento di passaggio importante dalle teorie rinascimentali degli spiriti e delle qualità occulte alla dottrina seicentesca degli effluvi, così c’è un’opera oggi non molto nota, che a mio avviso segna l’inizio di un genere letterario destinato ad avere una certa fortuna nel Secolo dei Lumi, fino alle sue propaggini ottocentesche e leopardiane35: la Pseudodoxia epidemica del medico ed erudito Sir Thomas Browne (1646). In quest’opera troviamo il primo tentativo esplicito, consapevole, universale, anziché limitato alla sola medicina36, di denunciare gli errori più diffusi – non solo e non sempre «popolari» – riguardanti la storia e la magia naturale, la medicina, la cosmografia, la storia sacra e profana. Quelli che erano stati fino a quel momento semplici aneliti, proponimenti e buone intenzioni di separare il vero dal falso – tanto generici quanto condivisi da tutti i sapienti che si dedicarono allo studio dei mirabilia – divengono con Browne autentica ricerca di un «avanzamento del sapere» e di un «progresso della verità», che può avvenire soltanto a patto di evidenziare le opinioni erronee e superstiziose tramandate dagli auctores antichi, medievali e moderni. La sfida di questo lavoro consisterà nel mostrare che i filoni di ricerca individuati – l’azione a distanza e gli effluvi, le intersezioni tra una fisica «buona» e una «cattiva», la progressiva introduzione di un filtro nella trattazione dei fenomeni occulti (un tema, questo, non separato, ma diverso da quello, al contrario molto studiato, concernente il ruolo e lo status degli esperimenti nella rivoluzione scientifica37) – convergono in un’unica storia, che è la storia critica della natura «curiosa». L’analisi convergerà sul XVII secolo – anche cronologicamente, il secolo centrale dell’età moderna – ma verrà proseguita sia in avanti, sia all’indietro: ne verranno tracciate sia le origini quattro-cinquecentesche, sia alcune propaggini settecentesche. Gli storici della scienza, finora, si sono concentrati soprattutto sulle teorie della gravitazione, della luce e dell’etere, del magnetismo e dell’elettricità38, cioè su quei fenomeni 35 Nella «Prefazione» al Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815; ed. a cura di A. Ferraris, Torino, Einaudi, 2003, p. 5), il diciassettenne Leopardi cita Browne, con Laurent Joubert, tra i suoi precursori, e ne prende orgogliosamente le distanze. Ma dall’esame degli argomenti trattati, Browne risulta essere una fonte molto importante dell’opera leopardiana. 36 Lo stesso Browne menziona i precedenti della sua opera, elencandone tre: De vulgi erroribus in medicina di James Primerose (1639), De gli errori popolari d’Italia del medico romano Scipione Mercurio (1603), e infine Des erreurs populaires, et propos vulgaires touchant la Medecine et le regime de santé (1578) di Laurent Joubert, professore di medicina a Montpellier e medico del re Enrico III. Tutte e tre queste opere sono limitate agli errori popolari nel campo della medicina: cfr. T. Browne, Pseudodoxia Epidemica, London, printed by J. R. for N. Ekins, 1672, «To the Reader», senza indicazione di pagine. 37 Cfr. il recente studio di Martha Baldwin: The Snakestone Experiments. An Early Modern Medical Debate, «Isis», 86, 1995, pp. 394-418, e la bibliografia lì citata. 38 Tra gli studi più importanti, devono essere citati M. Jammer, Storia del concetto di forza, Milano, Feltrinelli, 1971 (prima ed. 1957) e Storia del concetto di massa, Milano, Feltrinelli, 1974 (prima ed. 1961); M. B. Hesse, Forze e campi. Il concetto di azione a distanza nella storia della fisica, Milano, Feltrinelli, 1974 (prima ed. 1961); A. I. Sabra, Theories of Light from Descartes to Newton, London, Oldbourne Book Company, 1967; G. N. Cantor, M. J. S. Hodge (eds.), Conceptions of Ether: Studies in the History of Ether Theories 1840-1900, Cambridge, Cambridge University Press, 1981; G. N. Cantor, Optics After Newton. Theories of Light in Britain and Ireland, 1704-1840, Manchester, Manchester University Press, 1983; J. H. Heilbron, Electricity in the 17th and 18th Centuries: A Study of Early Modern Physics, Berkeley, University of California Press, 1979 e Alle origini della fisica moderna. Il caso dell’elettricità, Bologna, Il Mulino, 1984 (prima ed. 1982); P. Bertucci e G. Pancaldi (eds.), Electric Bodies. Episodes in the History of Medical Electricity, Università di Bologna, Dipartimento di Filosofia, 2001; S. Pumfrey, Latitude and the Magnetic Earth, Cambridge, Cambridge University Press, 2002; M. Ugaglia, «Introduzione», in L. Garzoni, Trattati della calamita, Milano, F. Angeli, 2005, pp. 7-79. 16 destinati a diventare rilevanti per una comprensione scientifica del mondo: è ben nota la distinzione kuhniana tra le scienze «galileiane» e quelle «baconiane» – attardate rispetto alle prime, ma pur sempre scienze39. Il tema dell’immaginazione, poi, è stato considerato soprattutto dal punto di vista della storia della medicina, o dell’estetica40. Pochi si sono azzardati a percorrere l’accidentato terreno dei mirabilia, con un’attenzione rivolta alla storia sociale della cultura41 o alla storia della scienza42. Per la maggior parte, a occuparsi dei fenomeni di questa fisica curiosa, accomunati dalla connotazione «meravigliosa» conferita dall’azione a distanza, sono stati gli storici del folklore, gli antropologi o gli storici tout court43, nonché, negli ultimi anni, gli studiosi di estetica44, e talvolta gli psicologi, gli psicoanalisti e gli psichiatri45. Non sono mancate le interpretazioni nostalgiche della magia, intesa come «disponibilità ad accettare l’esistenza del mistero» e pharmakós della ragione46. Questo non accadeva nel XVII secolo, quando i mirabilia naturae non erano affatto patrimonio esclusivo di maghi attardati: gli aspetti occulti della natura dovevano essere riconosciuti, per Sennert, unicamente allo scopo di essere compresi; un autore come 39 T. Kuhn, Tradizioni matematiche e tradizioni sperimentali nello sviluppo delle scienze fisiche, in La tensione essenziale e altri saggi, a cura di C. Bartocci e G. Giorello, Torino, Einaudi, 2006 (prima ed. 1977), pp. 25-64. 40 Cfr., ad esempio, G. Giglioni, Immaginazione e malattia. Saggio su Jan Baptiste van Helmont, Milano, F. Angeli, 2000; M. Simonazzi, La malattia inglese. La melanconia nella tradizione filosofica e medica dell’Inghilterra moderna, Bologna, il Mulino, 2004; Francesco Piro, Sull’antropologia dei rudes prima di Vico. Immaginazione, credulità, passionalità, in Il corpo e le sue facoltà. G. B. Vico, a cura di G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka, E. Nuzzo, M. Sanna e A. Scognamiglio, in «Laboratorio dell’ISPF» (www.ispf.cnr.it/ispf_lab), II, 2005, 1, pp. 337-69. G. L. Di Mitri, Storia biomedica del tarantismo nel XVIII secolo, Firenze, Olschki, 2006; T. Griffero, Immagini attive. Breve storia dell’immaginazione transitiva, Firenze, Le Monnier, 2003. Da un diverso punto di vista – quello della «psicologia filosofica» – si veda anche Francesco Piro, Il retore interno, Napoli, La Città del Sole, 1999. 41 È questo il caso di W. Eamon, La scienza e i segreti della natura, Genova, ECIG, 1999 (prima ed. 1994); S. Clark, Thinking with demons cit., parts I, III e IV. 42 Si vedano Brian P. Copenhaver, Natural Magic, Hermetism and Occultism in Early Modern Science, in D. C. Lindberg, R. S. Westman (eds.), Reappraisals of the Scientific Revolution, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, pp. 261-301; e, dello stesso autore, A Tale of Two Fishes cit.; Martha Baldwin, The Snakestone Experiments cit.; S. Clark, Thinking with Demons cit., part II; L. Daston, K. Park, Le meraviglie del mondo, Roma, Carocci, 2000 (prima ed. 1998); P. Fara, Sympathetic Attractions. Magnetic Practices, Beliefs, and Symbolism in Eighteenth-Century England, Princeton, Princeton University Press, 1996 e Fatal Attraction. Magnetic Mysteries of the Enlightenment, Cambridge, Icon Books, 2005 . Tra gli studi italiani più recenti dedicati dagli storici della scienza ad alcuni fenomeni che rientrano nel dominio del «curioso», devono essere citati L. De Frenza, I sonnambuli delle miniere, Firenze, Olschki, 2005 e G. L. Di Mitri, Storia biomedica del tarantismo nel XVIII secolo, Firenze, Olschki, 2006. 43 E. de Martino, Sud e magia, Milano, Feltrinelli, 1976 (prima ed. 1959), Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Torino, Boringhieri, 1973 (prima ed. 1948) e La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, Milano, Il Saggiatore, 1976 (prima ed. 1961); G. De Rosa, Vescovi, popolo e magia nel Sud, Napoli, Guida, 1971 e Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Roma-Bari, Laterza, 1978; V. Ferrone, I profeti dell’Illuminismo, Roma-Bari, Laterza, 1989; C. Pancino, Voglie materne. Storia di una credenza, Bologna, CLUEB, 1996. 44 Si vedano gli importanti studi di Tonino Griffero: I sensi di Adamo. Appunti estetico-teosofici sulla corporeità spirituale, «Rivista di estetica», n. s., XXXIX, 1999, n. 3, pp. 119-225; Immagini contagiose. Malattia e cure magnetiche nella «Philosophia per ignem» di Johann Baptist van Helmont, «Rivista di estetica», n. s., XL, 2000, n. 3, pp. 19-45; Cose da credere e da non credere cit.; Immagini attive cit., fino al recente numero della «Rivista di estetica» dedicato alle Atmosfere (n. s., 33, 3/2006), da lui curato insieme ad A. Somaini. 45 Si veda, ad esempio, M. Angelini e M. Trinci (a cura di), Le voglie: l’immaginazione materna tra magia e scienza, Roma, Meltemi, 2000. 46 M. Donà, Magia e filosofia, Milano, Bompiani, 2004, p. 74. 17 Robert Boyle affermava di voler indagare i fenomeni magnetici da naturalista, senza indulgere alle «teorie mistiche dei chimici» – cioè, appunto, in termini di effluvi47. E già Fracastoro, in un secolo nel quale dominava la magia naturale, riteneva indegno di un filosofo rifugiarsi nelle qualità occulte, accampandole come spiegazioni dei fenomeni.48 Non mancano neppure, ovviamente, gli studi su singoli temi ed aspetti particolari di questa ricerca, data la notorietà di alcuni personaggi che vi sono coinvolti. Ma nei pochi saggi dedicati specificamente ai fenomeni «occulti» e «segreti» della natura, non mi sembra che sia stato adeguatamente riconosciuto e compreso il ruolo che gli effluvi – in tutta l’intrigante varietà semantica che questo termine assunse, dalle species medievali ai corpuscoli gassendiani – svolsero nelle ipotetiche soluzioni proposte. Si può trovare solo qualche accenno, più che altro suggerimenti per ricerche future, che restano da compiere. Ad esempio, Daniel P. Walker ha affermato che «la tradizione degli spiriti può avere il suo esito tanto nella magia e nei suoi misteri quanto nelle ricerche sull’elettricità»49; ha riconosciuto che le speculazioni astrologiche e mediche rinascimentali sugli spiriti sono state «una fonte importante, che ritengo sia stata dimenticata, […] delle speculazioni di Newton sull’etere» e che «l’intera tradizione degli spiriti materiali potrebbe illuminare l’interpretazione delle idee di Newton sullo spazio e su Dio e, in stretta connessione con quelle, le sue speculazioni sull’etere»50. Questi fluidi sottili ebbero una carriera prestigiosa nella filosofia naturale del tardo Seicento e l’opera di Newton ne è l’esempio più famoso. […] Gli spiriti sottili della filosofia preternaturale divennero i fluidi imponderabili della fisica e della chimica settecentesche, con il viatico delle celebri queries finali dell’Ottica di Isaac Newton.51 Anche nel volume di Lorraine Daston e Katherine Park manca, tuttavia, una specifica trattazione degli spiriti e degli effluvi in relazione alle «meraviglie» di volta in volta indagate. Un’accurata analisi delle fonti cinque-settecentesche permette, inoltre, di prendere le distanze da alcuni miti storiografici duri a morire: quello di un’azione a distanza ritenuta patrimonio esclusivo dei neoplatonici, e «rigettata» dal meccanicismo, insieme ai «rapporti magico-simpatetici»52; quello di un Settecento che risolve o archivia, giudicandoli inutili o insensati, i problemi «paradossali» posti dagli autori seicenteschi53; quello dell’«abbandono» e del «rigetto esplicito» della «credenza nella magia, nella divinazione, nell’alchimia e nella demonologia», che sarebbe stato operato in modo uniforme dai «maggiori filosofi del tardo Seicento e del primo Settecento»54; quello di un Illuminismo che 47 R. Boyle, Suspicions about some Hidden Qualities of the Air (1674), in The Works cit., vol. IV, p. 96. G. Fracastoro, De sympathia et antipathia rerum, in Opera philosophica et medica cit., «Praefatio». Sull’antioccultismo, che Fracastoro avrebbe ereditato dal suo maestro Pomponazzi, concordano Hiro Hitai, Le concept de semence cit., cap. 3, § 5 e C. Pennuto, Simpatia, fantasia e contagio cit. 49 D. P. Walker, Il concetto di spirito o anima in Henry More e Ralph Cudworth, Napoli, Bibliopolis, 1986, p. 45. 50 Ivi, pp. 18 e 42. Sull’uso newtoniano del concetto di etere, e sulle sue connessioni con le teorie alchemiche, si veda P. M. Rattansi, Newton’s Alchemical Studies, in Allen G. Debus (ed.), Science, Medicine and Society in the Renaissance, London, Heinemann, 1972, vol. 2, pp. 167-82. 51 L. Daston, K. Park, op. cit., pp. 205, 284. 52 M. Angelini, Il potere plastico cit., pp. 62, 64. 53 M. Hesse, op. cit., p. 91 sgg. 54 J. I. Israel, Radical Enlightenment, Oxford, Oxford University Press, 2001, p. 15. L’opinione contraria è sostenuta da K. Hutchison, art. cit. 48 18 espunge la meraviglia dalla «scienza ordinaria», giudicandola «una passione disonorevole che puzza di popolare, di dilettantesco e d’infantile»55. Tale analisi rivela la parzialità di quanti hanno, di volta in volta, contrapposto la «nuova filosofia» – appiattita sul cartesianesimo e sulla «mechanistic world-view» – a una «pre-scientific view of the world» magico-aristotelica56; di quanti hanno concepito il corpuscolarismo come un criterio di demarcazione che separa «le scienze sperimentali dalle magiche» nei secoli XVII e XVIII57 – un corpuscolarismo, cioè, concepito esclusivamente in termini di meccanicismo58 e ritenuto incompatibile con «una concezione dinamico-vitalistica della realtà»59 – oppure, all’opposto, hanno parlato di un corpuscolarismo magico o di una «magia cartesiana»60. Appaiono condivisibili, invece, le tesi avanzate da Catherine Wilson in un recente saggio, dedicato agli effluvia nella filosofia sperimentale di Robert Boyle: il «corpuscolarismo qualitativo», a differenza dell’«atomismo riduzionistico» (qualunque cosa si intenda poi per esso), non dà l’impressione di una frattura irrimediabile rispetto ai «sistemi eclettici del Rinascimento»: «la linea che divide le particelle invisibili, leggere, sottili dagli spiriti attivi non è affatto netta». In particolare, gli effluvi possono essere considerati «sia come costituenti importanti della filosofia meccanica, sia come residui di una più antica chimica qualitativa»: non saremmo, cioè, in presenza di due mentalità opposte o di paradigmi alternativi61. È ciò che questa ricerca si propone di mostrare, senza tuttavia trascurare i momenti di passaggio all’interno di un percorso continuo. In nessun caso, però, si possono liquidare come «emotional overtones» i significati più ambigui, lontani dalle scienze del magnetismo e dell’elettricità, che il termine «magnetico» ha assunto nel corso di due secoli di storia del pensiero62. Alla luce della sommaria presentazione degli argomenti che verranno trattati nelle pagine che seguono, e dell’altrettanto sommario bilancio storiografico che ho appena 55 L. Daston, K. Park, op. cit., p. 17. J. I. Israel, op. cit., p. 14. 57 T. Kuhn, «Tradizioni matematiche cit., p. 52. 58 Ugo Baldini, in un saggio pubblicato trent’anni fa, ha denunciato la scarsa chiarezza e il carattere «non pienamente soddisfacente» degli studi sui «rapporti storici tra i due termini»: cfr. Il corpuscolarismo italiano del Seiecento, in U. Baldini, P. Farina, F. Trevisani, G. Zanier, Ricerche sull’atomismo del Seicento, Firenze, La Nuova Italia, 1977, pp. 3-76 (p. 69, nota 119). 59 P. Farina, Il corpuscolarismo di Heinrich Regius: materialismo e medicina in un cartesiano olandese del Seicento, ivi, pp. 119-178 (p. 142) sostiene che «la restaurazione dell’antico atomismo nel ‘600 non significò tout court adesione ad una spiegazione francamente meccanicistica della natura. La linea di discriminazione molto spesso non deve essere situata tra atomismo e vitalismo» (p. 145). Farina ritiene che il problema dei rapporti tra vitalismo e meccanicismo sia «destinato a rimanere aperto» perché si tratta «meno di un problema di esegesi storica che di un problema reale che intrigò savants e filosofi nel corso del XVII secolo» (p. 131). Sulla non coincidenza della teoria corpuscolare della materia con la filosofia meccanica, si veda A. Clericuzio, Elements, Principles and Corpuscles. A Study of Atomism and Chemistry in the Seventeenth Century, Dordrecht, Kluwer, 2000. Sia R. G. Frank (Harvey e i fisiologi di Oxford, Bologna, il Mulino, 1983 (prima ed. ingl. 1980), cap. IV), sia K. Hutchison (art. cit.) fanno coincidere il corpuscolarismo della nuova scienza con il meccanicismo, senza problematizzare il rapporto tra i due concetti. 60 L’espressione, citata da Griffero nel saggio I sensi di Adamo cit., pp. 153-54, è di A. Godet, «Nun was ist die Imagination anderst als ein Sonn in Menschen». Studien zu einem Zentralbegriff des magischen Denkens, Diss., Zürich, 1982, p. 112. 61 C. Wilson, Corpuscolar Effluvia: Between Imagination and Experiment, in W. Detel, C. Zittel (eds.), op. cit., Berlin, Akademie Verlag, 2002, pp. 161-84 (162, 170, 181). 62 Come fa Patricia Fara, Fatal Attraction cit., p. 7. 56 19 fatto, due sembrano le posizioni da evitare: quella di chi nega che vi sia stato un progresso nella fisica curiosa, e quella di chi non è disposto a riconoscere una rilevanza teorica ai tentativi di spiegazione dell’occulto. La convinzione che mi ha sorretto in questa ricerca, e che spero abbia ricevuto nuove conferme dalla ricerca stessa, è che la modernità non sia tanto da ricercare nelle teorie, quanto piuttosto negli atteggiamenti epistemologici, e nella volontà di ridurre la sfera dell’occulto – naturale o soprannaturale che sia. Questo lavoro si articolerà in due parti: la prima cercherà di ricostruire il dibattito teorico sui fenomeni curiosi, attraverso l’analisi storica dei concetti di spirito e di effluvio, nelle loro profonde interrelazioni e nei loro molteplici usi cinque-seicenteschi, soprattutto (ma non esclusivamente) in relazione al dibattito sul meccanicismo, nella convinzione che le scelte terminologiche derivino, adombrino o, talvolta, equivalgano a precise prese di posizione teoriche. Nella seconda parte, che dovrebbe fornire conferme «sperimentali» alle tesi argomentate nella prima, verranno analizzati alcuni fenomeni «magnetici» che si verificano nella natura e nell’uomo, riconducibili agli spiriti, agli effluvi e ai poteri dell’immaginazione, che hanno avuto inusitati sviluppi settecenteschi: il baculum divinatorium (la bacchetta dei rabdomanti), le cure magnetiche (unguentum armarium, polvere di simpatia, transplantatio morbi) e l’oculus fascinans. Tra i fenomeni di una fisica e di una medicina magnetiche non poteva mancare la ripresa, a metà Settecento, del tema dello spirito come intermediario universale, utilizzato in funzione anti-corpuscolaristica ed antimeccanicistica nella teorizzazione, dovuta a George Berkeley, di una medicina universale: l’acqua di catrame (Siris, 1744). Il dibattito cinque-seicentesco sugli spiriti, gli effluvi e le attrazioni, tutt’altro che estinto nel Secolo dei Lumi, coinvolse l’esistenza e l’incidenza dei fenomeni magici, la portata degli esperimenti e i limiti delle spiegazioni razionali, attraversò la filosofia naturale e la storia naturale dell’età moderna, sempre attente a quella «moltitudine dei particolari» che, pur assomigliando a una selva intricata e priva di sentieri battuti, a giudizio di Francis Bacon non doveva essere temuta63. 63 Cfr. l’epigrafe baconiana che apre il secondo capitolo. L’immagine della natura come selva, o labirinto, è presente nella «Prefazione» al Novum Organum: cfr. l’ed. italiana a cura di M. Marchetto (Milano, Bompiani, 2002), p. 21. 20 PARTE PRIMA TEORIA E STORIA DEGLI EFFLUVIA NEL XVI E NEL XVII SECOLO 21 22 CAPITOLO PRIMO TEORIA E STORIA DEL CONCETTO DI SPIRITO Nam nihil aegrius est quam res secernere apertas Ab dubiis animus quas ab se protinus addit. (Lucrezio, De rerum natura, IV, vv. 467-68) 1. Species e raggi, spiriti e vapori Non c’è dubbio che il termine «spirito» sia stato usato dai filosofi con un’imbarazzante varietà di significati: si va dal soffio materiale e vitale che pervade l’intero cosmo fisico (è questa l’anima mundi o pneuma degli Stoici, un concetto che tornerà attuale e svolgerà un ruolo importante nel dibattito rinascimentale), all’anima immateriale, in opposizione al corpo (la contrapposizione paolina di «spirito» e «carne» torna ancora, in pieno Seicento, negli epiteti che Gassendi e Descartes si rivolgono reciprocamente nelle Quinte Obiezioni, e relative Risposte, alle Meditationes de prima philosophia del 1641), fino all’impegnativa coincidenza hegeliana dello Spirito con l’Assoluto, nella quale scompare, con un unico e definitivo colpo di spugna, la baconiana ed empiristica «moltitudine dei particolari». Nella storia «scientifica» del termine confluiscono e convergono tre diverse tradizioni di pensiero: quella fisiologica, che inizia con Galeno; quella ottica, a partire da al-Kindı̄; e quella che si potrebbe denominare «fisica», che inizia con Lucrezio1. Per Galeno gli spiriti, costituiti essenzialmente di aria inspirata e dei vapori esalati dal sangue, sono sostanze materiali, benché sottilissime e quindi invisibili. Nel fegato viene separata la parte più pura degli alimenti: lo spirito naturale si trasforma quindi, nel cuore, in spirito vitale – che anima tutto il corpo, scorrendo attraverso le arterie – e questo, a sua volta, diventa nel cervello spirito animale, la parte più pura e sottile del sangue, principio di sensibilità e di movimento2. Questa teoria fisiologica e medica era «indiscussa», al tempo di Dante3, e venne utilizzata dai poeti stilnovisti, come Guido Cavalcanti4. Nella medicina araba e nella filosofia della natura medievale, il termine subisce significative trasformazioni. Un punto di svolta è rappresentato dal De radiis di al-Kindı̄ (IX secolo): in quest’opera, che fece la sua comparsa nell’Occidente latino alla fine del XII secolo e fu molto diffusa e discussa nel secolo successivo, si ha un’importante contaminatio del termine spirito con quello di raggio, mentre viene articolata per la prima volta una 1 Per la quale si rimanda al § 2. Cfr. A. Clericuzio, op. cit., cap. II, pp. 74 sg. 3 Cfr. G. Vitale, Ricerche intorno all’elemento filosofico nei poeti del «dolce stil novo», «Il giornale dantesco», XVIII, 1910, pp. 162-85; S. Parigi, Oculus fascinans: jettatura e contagio d’amore, «Rivista di estetica», 19 (2002), pp. 61-80. 4 Si veda l’esemplare sonetto di Guido Cavalcanti: Pegli occhi fere un spirito sottile, in Poeti del Duecento (a cura di G. Contini), Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, tomo II, XXVIII, p. 530. Cfr. infra, parte II, cap. II, § 2. 2 23 teoria dei poteri magici dell’immaginazione. Ogni cosa, nel mondo elementare, emette raggi in ogni direzione, «instar siderum»: ma soprattutto le «stelle», cioè i corpi celesti, emettono raggi di diversa natura diretti verso il mondo terrestre. Con questo irraggiamento universale si spiegano, a un tempo, la visione, i poteri magici delle cose e le influenze astrali («stellarum dispositio mundum elementorum disponit […] nulla substantia, nullum accidens hic subsistit quod in coelo suo modo non sit figuratum»), attraverso il processo dell’actio in distans, che può essere evidente ai sensi – come l’attrazione del diamante verso il ferro o la riflessione delle immagini operata dagli specchi – oppure impercettibile5. Al-Kindı̄ non manca di applicare all’uomo questa teoria: l’uomo è un microcosmo perché è dotato di uno spiritus ymaginarius, cioè di un’immaginazione capace di agire in virtù di «radii conformes radiis mundi». «Come il mondo stesso – sia quello superiore, sia quello inferiore – con i suoi raggi muove le cose con diversi moti», così l’immaginazione umana possiede «il potere di muovere le cose esterne con i suoi raggi»6. L’immaginazione, teorizzata da al-Kindı̄ per analogia con i raggi spirituali emessi dalle stelle e da ogni altro corpo, è transitiva e attiva: «cum homo concipit rem aliquam corpoream ymaginatione, illa res recipit actualem existentiam secundum speciem in spiritu ymaginario»7. La species è un’immagine concepita, dotata del potere di realizzare ciò che rappresenta, ma a certe condizioni, scrupolosamente elencate: l’«intenso desiderio» di colui che immagina; la «fides de effectu futuro», cioè la convinzione che la cosa immaginata sarà prodotta così come viene immaginata; un’«opus exterius», cioè un’azione concomitante, o dell’uomo che immagina, o di qualcun altro: ad esempio, delle parole (oris locutio) o dei gesti (manus operatio). Tra quelle parole, si possono utilmente introdurre «preghiere a Dio e agli spiriti», «propter bonum consequendum et malum excludendum»8. In questi, e nei successivi capitoli dedicati ai poteri, anche medici, delle parole, delle figure, dei caratteri, delle immagini e dei sacrifici9, al-Kindı̄ delinea una «teoria dell’arte magica», basata sulla causalità universale dei raggi, o specie, e sull’actio in distans, che confluirà nelle sintesi quattro-cinquecentesche di Marsilio Ficino e Cornelio Agrippa. La connessione spirito-specie-raggio è presente anche in un altro testo arabo che ebbe una grande diffusione a partire dal XIII secolo: il De anima di Avicenna, scritto all’inizio del secolo XI e tradotto in latino nella seconda metà del XII10. Avicenna insiste sui poteri dell’immaginazione transitiva, assimilati ai poteri attrattivi della calamita e alle influenze astrali, all’interno di un commento neoplatonico alla psicologia aristotelica, che tiene ben presenti gli sviluppi della medicina11. Nei nervi è presente uno spirito (pneuma), che, secondo Robert Grosseteste, può anche uscire dagli occhi: «virtus enim visiva est lumen 5 al-Kindı̄, De radiis, «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age», XLI, 1974 (ma 1975), pp. 139-260, capp. 1-3 (p. 218). 6 Ivi, cap. 5, p. 230: «spiritus ymaginarius habet radios conformes radiis mundi, et inde consequitur vim movendi res extrapositas suis radiis sicut ipse mundus tam superior quam inferior suis radiis movet res diversis motibus ». 7 Ivi, p. 231. 8 Ivi, pp. 232-33. 9 Ivi, capp. 6-9. 10 Cfr. P. Zambelli, L’immaginazione e il suo potere. Desiderio e fantasia psicosomatica e transitiva, in Id., L’ambigua natura della magia, Milano, Il Saggiatore, 1991, pp. 53-75. 11 Avicenna, Liber de anima seu sextus de naturalibus, (éd. critique par S. Van Riet, introd. par G. Verbeke), Louvain: E. Peeters, Leiden: E. J. Brill, 1972, 2 voll. 24 radians a spiritu visibili lucente»; la visione non si compie soltanto per l’intromissione di una forma, ma anche «radiositate egrediente ab oculo»12. Avicenna e Grosseteste compiono un passo ulteriore, rispetto ad al-Kindı̄, sulla strada che porta alle concezioni rinascimentali dello spirito come intermediario universale, sia macro, sia microcosmico: la luce è infatti concepita da questi pensatori come mediatrice tra Dio e il mondo (il quale trae la sua origine dalla diffusione sferica di un punctum lucis) e al tempo stesso tra l’anima e i sensi corporei. Unendo la tesi della lux come vehiculum animae alla fisiologia galenica degli spiriti, Grosseteste finisce per attribuire la sensazione e il movimento corporei a «spiriti lucenti» fatti di una materia sottilissima13. L’ambigua natura del termine species, nella sua connessione con il concetto di actio in distans, è denunciata con esemplare chiarezza dal francescano Roger Bacon nel Tractatus de multiplicatione specierum, composto negli anni ’60 del XIII secolo: Viene chiamata similitudine e immagine rispetto a ciò che la genera: […] È detta specie14 rispetto al senso e all’intelletto, secondo l’uso di Aristotele e dei naturalisti. […] Viene chiamata idolo rispetto agli specchi. […] Viene chiamata fantasma e simulacro nelle apparizioni dei sogni. […].Viene chiamata forma da Alhazen, l’autore della Perspectiva comune. Viene chiamata intenzione nell’uso comune dei naturalisti, per la debolezza del suo essere rispetto alla cosa: si dice, infatti, che non è proprio una cosa, ma piuttosto l’intenzione della cosa, cioè la sua similitudine. […] Viene chiamata potere rispetto alla generazione e alla corruzione; per questo diciamo che il sole agisce con il suo potere sulla materia del mondo per produrre la generazione e la corruzione, e allo stesso modo di ciascun agente si dice che imprime il suo potere sul paziente15. Secondo Bacon, con le species non si spiegano solo le immagini – veritiere o illusorie – della sensazione, ma qualunque azione di un agente su un paziente. La specie è il modo in cui agisce la forza, e spiega tutti i processi causali per analogia con il processo della 12 R. Grosseteste, Commentarius in Posteriorum Analyticorum Libros, a cura di Pietro Rossi, Firenze, Olschki, 1981, lib. II, 5, p. 395 e lib. II, 4, p. 386 13 Ivi, II, 4-5; si vedano anche, dello stesso autore, Hexaëmeron, II, X (ed. by R. C. Dales and Servus Gieben O.F.M. Cap.), London, published for the British Academy by the Oxford University Press, 1982, e Metafisica della luce, a cura di Pietro Rossi, Milano, Rusconi, 1986. Cfr. F. Alessio, Storia e teoria nel pensiero scientifico di Roberto Grossatesta, in «Rivista critica di storia della filosofia», XII, 1957, pp. 25192; J. McEvoy, The Philosophy of Robert Grosseteste, Oxford, Clarendon Press, 1982; S. Parigi, Il mondo visibile. George Berkeley e la «perspectiva», Firenze, Olschki, 1995, cap. I, § 4. John Henry (Robert Boyle and Cosmical Qualities, in M. Hunter (ed.), Robert Boyle Reconsidered, Cambridge, Cambridge University Press, 1994, pp. 119-38) osserva incidentalmente come la metafisica grossatestiana della luce dette origine sia alla «ricca tradizione dell’ottica geometrica», sia alla «credenza nella validità delle influenze astrologiche». 14 Cioè impressione, come dice poco dopo, citando il De anima di Aristotele (libro II, 12, 424a), come l’impressione del sigillo sulla cera. 15 R. Bacon, Tractatus de multiplicatione specierum, pars I, cap. I, in The Opus maius (ed. by J. H. Bridges), Oxford, Clarendon Press, 1897, parte V, vol. II, pp. 409-410. Il testo latino è il seguente: «Dicitur autem similitudo et imago respectu generantis. […] Dicitur autem species respectu sensus et intellectus secundum usus Aristotelis et naturalium. […] Dicitur vero idolum respectu speculorum. […] Dicitur phantasma et simulacrum in apparitionibus somniorum. […] Forma quidem vocatur in usu Alhazeni, auctoris Perspectivae vulgatae. Intentio vocatur in usu vulgi naturalium propter debilitatem sui esse respectu rei, dicentis quod non est vere res, sed magis intentio rei, id est, similitudo. […] Dicitur vero virtus respectu generationis et corruptionis; unde dicimur solem facere virtutem suam in materiam mundi pro generatione et corruptione faciendis; et sic de omni agente dicimus quod facit virtutem suam in patiens.». Questo passo è citato in S. Parigi, Il mondo visibile cit., p. 21, al quale si rimanda per la storia del concetto di species e dei problemi fondamentali nelle teorie della visione, da Alhazen a George Berkeley. 25 visione16. Tale concetto è inoltre suscettibile di una trattazione quantitativa: «Ogni moltiplicazione si effettua rispetto a linee, oppure ad angoli, oppure ancora a figure»17. Nell’accezione più ampia del termine, esso travalica il dominio disciplinare della teoria della visione, per sconfinare in quello dell’astrologia e della magia naturale: le species sono considerate, infatti, virtù o poteri che emanano dalle cose, simili a raggi, in grado di agire sui corpi circostanti. È un’unica legalità che fonda la permanente possibilità di interazioni complesse del mondo fisico inferiore (terrestre) con il mondo fisico «superiore» (celeste): la possibilità di quegli «influssi», di quelle «influenze», di quelle «species» che con ritmo e con procedure geometricali incidono sulla terra a partire dal cielo, su uomini (in quanto enti fisici) e su cose di quaggiù18. A partire da al-Kindı̄, e fino a Roger Bacon, gli spiriti vengono interpretati eminentemente come raggi; poiché «ogni punto di ogni raggio è insieme sorgente di altri raggi e termine di altri raggi», il mondo diventa una «connexio ipercomplessa di actiones e virtutes», governata, tuttavia, da poche semplici leggi ottico-geometriche19. Il termine spirito, usato di volta in volta come sinonimo di specie e raggio, di eidolon, vapore e atmosfera, ebbe una straordinaria fortuna dall’età di Marsilio Ficino a quella di Isaac Newton, e conobbe significative riprese ancora nel Settecento. Nei secoli XVI e XVII, il concetto di spiritus subisce significativi mutamenti, e assume diversi significati nei campi della filosofia naturale, della chimica e della medicina20. C’è però un trait d’union pressoché costante, che sembra accomunare le dottrine ficiniane, neoplatoniche, ferneliane e paracelsiane con le dottrine aristoteliche e con le interpretazioni chimiche dello spirito in termini di distillazione o di fermentazione, da van Helmont a Francis Glisson e Thomas Willis21: lo spirito viene immaginato come un corpo invisibile e sottile, di natura affine a quella della luce, che contiene e veicola in modo più o meno occulto i princìpi attivi e vitali di ogni cosa. «Corpus tenuissimum, quasi non corpus, et quasi iam anima» ovvero «quasi non anima, et quasi iam corpus», secondo la celebre definizione ficiniana22, 16 M. Jammer, Storia del concetto di forza cit., p. 72. È da notare che il termine virtus viene tradotto da Jammer con «forza». 17 Ivi, p. 74. Sul significato più generale della teoria della moltiplicazione delle specie, che si estende a tutte le influenze, anche occulte, e rappresenta un teoria della causalità naturale, cfr. K. H. Tachau, Vision and Certitude in the Age of Ockham, Leiden, New York, Brill, 1988, parte I, cap. I. 18 F. Alessio, Introduzione a Ruggero Bacone, Roma-Bari, Laterza, 1985, p. 87. 19 Ivi, p. 85. 20 Un’ampia disamina dei significati del termine spiritus nella filosofia naturale, nella chimica e nella medicina cinque- seicentesche è contenuta in A. Clericuzio, Spiritus vitalis. Studio sulle teorie fisiologiche da Fernel a Boyle, in «Nouvelles de la République des Lettres», II, 1988, pp. 33-84; Id., The Internal Laboratory. The Chemical Reinterpretation of Medical Spirits in England (1650-1680), in P. Rattansi, A. Clericuzio (eds.), Alchemy and Chemistry in the 16th and 17th Centuries, Dordrecht, Kluwer, 1994, pp. 51-83. Per la dottrina degli spiriti nel Rinascimento, cfr. D. P. Walker, Spiritual and Demonic Magic from Ficino to Campanella, London, The Warburg Institute, 1958. 21 Cfr. A. Clericuzio, The Internal Laboratory cit. 22 M. Ficino, De vita, lib. III, cap. III, in Opera omnia, Basileae, ex officina Henricpetrina, 1576 (ristampa anastatica, con una lettera introduttiva di P. O. Kristeller e una premessa di M. Sancipriano, Torino, Bottega d’Erasmo, 1962), vol. I, p. 535. Sul concetto di spiritus in Ficino, cfr. D. P. Walker, Magia spirituale e magia demoniaca da Ficino a Campanella, Torino, Aragno, 2002 (prima ed. 1958), parte I, cap. I, § 2 e cap. II, § 2; E. Garin, Relazione introduttiva, in M. Fattori, M. Bianchi (a cura di), Spiritus, Roma, Ed. dell’Ateneo, 1984, pp. 3-14. 26 «animi omniumque facultatum vector propriaque sedes», nelle parole di Fernel23, esso serve a comunicare la vita dell’anima al corpo e a tenere insieme l’anima divina nel corpo materiale; è la parte più nobile del corpo, e nello stesso tempo quella più vile ed infima dell’anima; è un «corpo lucido e leggerissimo» che riceve le impressioni degli oggetti esterni, e li assimila all’anima24. Questo spirito è paragonato, da Cornelio Agrippa, a un vapore puro, lucido, sottile che il calore del cuore genera dal sangue più puro25: debitamente estratto dall’oro o da altri corpi, è detto elixir dagli astronomi arabi, ma si può chiamare anche «cielo», «etere» o «quinta essenza», perché non è composto dai quattro elementi26. A giudizio di Walker, lo spirito ficiniano è «fondamentalmente lo stesso spirito degli alchimisti e somiglia abbastanza al nostro spirito da consentire a quest’ultimo di trarne il nutrimento attraverso un’azione di attrazione e assorbimento»27. È un veicolo di origine e di natura astrale – soggetto, quindi, alle influenze degli astri- ma affine, al tempo stesso, agli «pneumata degli aristotelici, degli stoici e degli scrittori di medicina»28. Gli aristotelici eterodossi, come Daniel Sennert (1572-1637) – professore di medicina a Wittenberg, autore prolifico nel campo della filosofia naturale, la cui importanza nella storia del dibattito sui corpuscoli, gli spiriti e gli effluvi nel XVII secolo non è stata ancora, a mio avviso, adeguatamente compresa – erano soliti appellarsi a un celebre passo del De generatione animalium, nel quale Aristotele parlava di uno pneuma racchiuso nel seme, caldo per un «calore insito negli animali», che «né è dal fuoco, né dal fuoco trae il suo principio». Questo spirito, che non deriva dai quattro elementi, «possiede un principio vitale», e ha una natura «analoga all’elemento di cui sono costituiti gli astri»29. Anche agli aristotelici è lecito, quindi, parlare di qualità occulte: quelli che le negano, tradiscono la dottrina del loro maestro: «tutti gli scrittori di cose naturali dovrebbero sempre avere davanti agli occhi» quel passo aristotelico, che era infatti molto citato nel Cinque-Seicento. Nelle Institutiones medicinae (1611), Sennert esemplifica efficacemente la vastità dei significati del termine spiritus: 23 La citazione ferneliana è riportata nel saggio di M. L. Bianchi, Occulto e manifesto nella medicina del Rinascimento. Jean Fernel e Pietro Severino, «Atti e memorie dell’Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria», 47, 1982, pp. 183-248 (p. 208). Bianchi ricostruisce «il retroterra dottrinale e concettuale della nuova medicina ferneliana» (pp. 212- 213), riconoscendo l’importanza delle «fonti neoplatoniche ed ermetiche dell’ellenismo». 24 Secondo l’opinione di Ludovico Valletta, De phalangio apulo opusculum, Neapoli, ex typographia De Bonis, 1706, cap. VI, p. 129. 25 C. Agrippa, De occulta philosophia, senza luogo, senza ed., senza data [Coloniae, J. Soter, 1533], lib. I, cap. L, p. 59. La definizione agrippiana è ripresa testualmente da Ficino (Sopra lo amore, Milano, SE, 1998, «Orazione Sesta», cap. VI, p. 97): «L’Anima e il Corpo sono di natura molto diversa, e congiungonsi insieme per mezzo dello spirito, il quale è un certo vapore sottilissimo e lucidissimo, generato per il caldo del cuore dalla più sottil parte del sangue». 26 M. Ficino, De vita cit., loc. cit. Sui diversi significati del termine spiritus nei secoli XVI-XVII, cfr. anche P. M. Rattansi, Newton’s Alchemical Studies cit., pp. 177-78 e R. S. Westfall, Newton and the Hermetic Tradition, in Allen G. Debus (ed.), Science, Medicine and Society in the Renaissance, London, Heinemann, 1972, vol. 2, pp. 183-98. 27 D. P. Walker, Magia spirituale cit., p. 23. 28 Ivi, p. 55. 29 Aristotele, De generatione animalium, II, 3, 736b-737a (trad. it. La riproduzione degli animali, in Opere biologiche, a cura di D. Lanza e M. Vegetti, Torino, UTET, 1999, pp. 894-95). Daniel Sennert cita quel passo nel Tractatus de consensu et dissensu Galenicorum et Peripateticorum cum Chymicis, in Opera omnia cit., vol. III, cap. VIII, p. 733b. 27 Sebbene il termine spirito abbia diversi significati, sia in medicina, sia nelle altre discipline, assumendo a volte il significato di aria o vento, altre volte indicando l’aria introdotta ed espulsa con la respirazione, … il soffio (flatus) interno al corpo, oppure le esalazioni e i vapori emessi in qualunque modo da un determinato corpo, in questo luogo tuttavia per spirito intendo un corpo tenuissimo e sottilissimo, caldo e purissimo, prodotto dalla parte più pura del sangue, quasi vincolo dell’anima con il corpo, strumento massimamente necessario delle azioni da compiere30. Non è chiaro, tuttavia, come gli spiriti mobili trascorrano alle estremità del corpo: se in virtù della continuità dell’estensione della loro sostanza sottile nei nervi e in tutto il corpo, oppure per una non meglio precisata irradiatio, influentia o illustratio – termini, questi, più oscuri dell’azione che dovrebbero spiegare. Lo spiritus vitae è sinonimo, per van Helmont, di archeus, aura o gas vitale sanguinis 31. Gli spiriti sono molteplici, come le cose: alla varietas rerum corrisponde una varietà di spiriti, che hanno il ruolo fondamentale di mediatori tra l’anima e il corpo – sia quelli del mondo, sia quelli dell’uomo, che può assorbire, con il suo spirito, quelli emanati dal Sole e dai corpi celesti, attraverso i loro raggi32. Come si vede, per i platonici del Rinascimento il «lume dello spirito» non era una poetica metafora: gli spiriti erano infatti vapori luminosi e contagiosi, emessi dai corpi come raggi, soprattutto attraverso gli occhi33. L’anima sensitiva era, per van Helmont, lumen substantiale o lux vitalis, che si irradia per mezzo di uno «spirito aereo»: si genera, così, un «luminosus radius» che oltrepassa il «contesto sublunare»34. Non più terrestri, ma celesti, gli spiriti erano, al tempo stesso, i princìpi attivi e vitali dei corpi, ovvero, per un chimico aristotelico come Sennert, le «forme subordinate» delle piante e degli animali, un «balsamo naturale» che contiene le vires integrae di un corpo. Estratti per distillazione, potevano essere impiegati nella preparazione di rimedi medicinali, capaci di giovare al corpo umano – simile, per Paracelso, non meno che per Francis Bacon, Sennert e Robert Boyle, a un laboratorio chimico. La vita delle cose non è altro che un’essenza spirituale, una cosa invisibile e impalpabile, uno spirito e una cosa spirituale. […] Dio, all’inizio della Creazione di tutte le cose, non ha creato 30 D. Sennert, Institutiones medicinae cit., lib. I, cap. VI, p. 276a: «Spiritus vero nomen etsi et in aliis disciplinis, et in medicina varias habeat significationes; et quandoque aërem vel ventum significet; quandoque aërem qui respiratione attrahitur et expellitur; quandoque flatus in corpore; quandoque exhalationes aut vapores a corpore aliquo quomodocumque resolutos: hoc loco tamen dicitur corpus tenuissimum ac subtilissimum, calidum et purissimum, ex tenuissima et maxime sincera sanguinis parte genitum, animae quasi cum corpore vinculum, actionumque edendarum maxime necessarium instrumentum». Questo passo è riportato quasi testualmente nel Tractatus de consensu et dissensu cit., cap. X, p. 747a. Su Sennert, si veda L. Thorndike, History of Magic and Experimental Science, New York, Columbia University Press, 1958, vol. VII, cap. VII. 31 J. B. van Helmont, Fundamenta medicinae, Ulmae, sumpt. G. W. Kuhn, 1680, p. 4. Su questi temi, si veda G. Giglioni, op. cit. Sulla filosofia di van Helmont, cfr. anche S. Hutton, Anne Conway. A Women Philosopher, Cambridge, Cambridge University Press, 2004, chap. 7, pp. 141 sgg. 32 M. Ficino, De vita, lib. III, cap. IV. Cfr. D. P. Walker, Il concetto di spirito cit., «Introduzione», pp. 11-19; Id., Medical Spirits and God and the soul, in M. Fattori, M. Bianchi (a cura di), op. cit., pp. 223-44; E. Garin, Relazione introduttiva cit. 33 M. Ficino, Theologia Platonica, lib. XIII, cap. IV, in Opera omnia cit., p. 300. Cfr. P. Castelli, «Pillole di luce»: erbe e pietre nell’opera di Marsilio Ficino, in Les Cahiers de l’Humanisme, Série II: Marsile Ficin ou les Mystères platoniciens, Paris, Les Belles Lettres, 2002, pp. 91-120. 34 J. B. van Helmont, Ortus medicinae (prima ed. 1648), Lugduni, sumpt. J. A. Huguetan et G. Barbier, 1667. 28 nessun corpo senza il suo specifico spirito, che ciascun corpo contiene in sé in modo occulto. Cosa è il corpo senza lo spirito? Assolutamente nulla. Perciò lo spirito, non il corpo, nasconde in sé stesso la virtù e il potere della cosa. […] È evidente che vi sono diversi generi di spiriti, proprio come esistono corpi di diverso genere. Ci sono spiriti celesti e infernali, umani e metallici, spiriti dei sali, delle gemme, della marcasite, spiriti di arsenico, spiriti potabili, di radici, di liquidi, di carne, sangue, ossa. Si può quindi capire che lo spirito è la vita e il balsamo di tutte le cose corporee. Da questo passo paracelsiano35, emerge l’analogia tra lo spirito universale, le essenze estratte per distillazione dai corpi e gli spiriti vitali, che condividono tutti la stessa natura: «spiritus mundi seu coelestis et naturalis, spiritus nostri corporis est unus et idem spiritus»36. La dottrina della natura lucida e celeste degli spiriti-intermediari, nel micro e nel macrocosmo – vapori, esalazioni o influssi corporei, ma al tempo stesso assai simili alla natura dell’anima – non è presente solo nel neoplatonismo magico di Marsilio Ficino, Cornelio Agrippa e Tommaso Campanella, in Giovanni Pico e Francesco Patrizzi, o nella medicina astrale di Paracelso, Jean Fernel e Jan Baptiste van Helmont, ma anche, per esempio, nelle opere di filosofi aristotelici e medici come Pietro Pomponazzi, Giulio Cesare Scaligero, Girolamo Fracastoro, Andrea Cesalpino, Giulio Cesare Vanini, Daniel Sennert, nonché nel Commentarius de anima del teologo e umanista luterano Filippo Melantone (1540). Quella «ricca fioritura di temi legati alla nozione di spiritus che, sotto la spinta di una ritrovata conoscenza della filosofia ellenistica, si estende lungo tutto l’arco della cultura filosofica del Rinascimento»37 finisce per diventare, nel XVI secolo, una vera e propria vulgata. Il medico di Anversa Jean Feyens, in un’opera intitolata De flatibus humanum corpus molestantibus (1582), sulla scorta dell’autorità di Ippocrate, Aristotele e Galeno, ripropone l’analogia tra lo spirito macrocosmico e quello microcosmico, ma chiama il primo aer o ventus, il secondo flatus: questi generi di spiriti sono entrambi sostanze invisibili e animate, ma in certi casi possono essere pericolose. Come, infatti, le esalazioni che fuoriescono dalle viscere della terra provocano il terremoto, l’halituosus spiritus prodotto nel corpo animale dalla digestione del cibo può fuoriuscire talvolta dalle cavità del corpo, liberando spiritus flatuosus che possono causare disturbi e malattie38. Nelle Peripateticae Quaestiones (1571), Cesalpino, naturalista aretino, nonché medico personale di papa Clemente VIII, richiamandosi al noto passo del De generatione animalium di Aristotele39, attribuisce allo spirito soprattutto una funzione fisiologica e gnoseologica; lo definisce uno «strumento comune» presente nelle diverse parti degli animali: si tratta di un corpo caldo e umido, ma dotato di un «calore celeste». Gli spiriti differiscono per «nobiltà» come le anime40, e rendono possibile la sensazione, come dimostra chiaramente il senso della vista: 35 Tratto dall’opera De natura rerum (1537), questo passo è riportato da A. Clericuzio, The Internal Laboratory cit., p. 52. Cfr. anche A. G. Debus, Paracelso e la tradizione paracelsiana cit., pp. 23-24. 36 O. Croll, Basilica chymica, Francofurti, impensis Godefridi Tampachii, 1608, p. 101. 37 Cfr. M. L. Bianchi, Occulto e manifesto cit., p. 244. 38 I. Fienus, De flatibus humanum corpus molestantibus, in officina Sanctandreana, 1592, capp. 1-2. 39 Cfr. supra, p. 25. 40 A. Cesalpino, Peripateticae Quaestiones, Venetiis, apud Iuntas, 1593, lib. V, cap. I, p. 109v. 29 Perché la sensazione si compia, occorrono due generi di corpi: uno, palesemente materiale, che accolga la quantità della specie, come il corpo trasparente dell’occhio, l’aria all’interno dell’orecchio, o la carne dell’intero corpo; l’altro, nel quale avvenga la ricezione delle specie senza materia: questo è uno strumento vicinissimo all’anima, chiamato spirito41. Marsilio Ficino aveva espresso una teoria non molto diversa: le immagini dei corpi esterni, che entrano attraverso i sensi, non si possono «appiccicare nell’anima», che è incorporea: ma poiché lo spirito è il veicolo della «virtù dell’Anima» sparsa in tutto il corpo con il sangue riscaldato dal cuore, l’anima vedrà, per mezzo dello spirito, le immagini dei corpi «come in uno specchio»: «e tale congiunzione è senso da’ Platonici chiamato»42. «Nam et Deus spiritus est, et ex seipso spiritum spirat»: già a partire da Agrippa, e almeno fino a Robert Fludd43, le emissioni prodotte naturalmente dai corpi si intersecano allo spirito-mediatore emesso da Dio44, che nel Libro della Sapienza è definito: «un’emanazione della potenza di Dio,/un effluvio genuino della gloria dell’Onnipotente,/[…] un riflesso della luce perenne»45. Nel De anima di Melantone, come nella Christianismi Restitutio dell’eretico Michele Serveto (1553), il concetto fisiologico e medico di spirito viene legato esplicitamente a quelli teologici di Spirito Santo e degli spiriti diabolici: [Gli spiriti animali e vitali] per la loro luminosità superano la luce del Sole e di tutte le stelle: e, ciò che è ancora più mirabile, lo stesso spirito divino si mescola, negli uomini pii, a questi spiriti. […] D’altro canto, quando i Diavoli occupano le parti del cuore, con il loro afflato turbano gli spiriti presenti nel cuore e nel cervello, ostacolano la facoltà del giudizio e provocano evidenti furori, costringendo le parti del cuore e le altre membra a crudelissimi moti: così Medea uccise i suoi figli, e Giuda si uccise. Consideriamo dunque la nostra natura, e analizziamola attentamente: rendiamoci conto del fatto che i nostri spiriti devono necessariamente essere il domicilio dello spirito santo; preghiamo il figlio di Dio, affinché scacci da noi i diavoli, e infonda lo spirito divino nei nostri spiriti46. Quarant’anni più tardi, Francesco Patrizzi, nella Nova de universis philosophia (1593), ripercorre la storia dello spiritus – sinonimo di calor, ignis e lux – che «in Deo habitat, et a Deo patre est derivatus», e possiede una «virtus conditrix, vivificatrix, servatrix, et per- 41 Ivi, lib V, cap. VII, p. 136r.: «Propterea duplici genere corporis opus fuit ad sensos perficiendos, unum quidem quod reciperet species quantitas et pateretur cum materia, ut perspicuum oculi corpus, aer in aure existens, caro totius corpori. Altero autem in quo receptio fieret specierum sine materia, quod est propinquissimum animae instrumentum, quem spiritum vocant». 42 M. Ficino, Sopra lo amore cit., «Orazione VI», cap. VI, pp. 97-98; «Orazione VII», cap. IV, p. 143. 43 Cfr. infra, pt. II, cap. I, § 5. 44 La citazione agrippiana, tratta dal suo commento a Lullo, è in E. Garin, Relazione introduttiva cit., p. 9. Sul tema dello Spirito Santo come mediatore tra i due mondi, cfr. anche A. G. Debus, Paracelso e la tradizione paracelsiana cit., p. 15. 45 Sapienza, lib. VII, vv. 25-26. 46 «Sua luce superant solis et omnium stellarum lucem: et quod mirabilius est, his ipsis spiritibus in hominibus piis miscetur ipse divinus spiritus. […] E contra ubi Diaboli occupant corda, suo adflatu turbant spiritus in corde et in cerebro, impediunt judicia, et manifestos furores efficiunt, et impellunt corda et alia membra ad crudelissimos motus: ut Medea interficit natos, Iudas sibi ipsi consciscit mortem. Aspiciamus igitur naturam nostram et diligenter eam rogamus: et sciamus, oportere spiritus nostros esse domicilium spirutus sancti; oremus filium Dei, ut ipse depellat a nobis diabolos, et spiritum divinum in nostros spiritos transfundat». Il passo, tratto dal Commentarius de anima di Philipp Melanchton (Basileae, R. Winter, 1543, p. 553), è citato in D. P. Walker, Il concetto di spirito cit., p. 23. 30 fectrix rerum omnium». Tale spirito, in sé invisibile, si trasmette «per visibilia lumina, per ignem Empyrei coeli, per ignes astrorum ac solis, et per calorem coelestem»; è lo stesso del quale hanno parlato Zoroastro ed Ermete Trismegisto; Democrito lo ha chiamato animus mundi, e gli Stoici spiritus mundi; Aristotele lo ha inteso come una potenza che penetra tutto, e così Virgilio: Spiritus intus alit. Totamque infusa per artus Mens agitat molem, et toto se corpore miscet. Dopo la citazione dell’Eneide, classica e consueta presso gli autori neoplatonici, Patrizzi riporta un’altrettanto celebre sentenza dal Libro della Sapienza: «Spiritus domini replevit orbem terrae»47. Lo spirito etereo è presente anche nel corpo umano, perché è il mezzo che ci permette di sentire48. Nel 1624 Marin Mersenne, nell’Impieté des déistes, ripercorreva la storia della dottrina dell’anima mundi, da Platone a Ippocrate, da Pitagora ai Cabalisti, da Virgilio a Seneca, fino a quel recente modello di empietà che era stato Giordano Bruno49. Ancora nel 1664, Henry Power, medico e membro della Royal Society, nella Experimental Philosophy di impronta baconiana, scrive una «Digression of the Animal Spirits» nella quale si spinge fino a ipotizzare che gli spiriti animali «volatili» – essendo «le parti più pure ed eteree di tutti i corpi», «il risultato finale di tutte le concozioni del corpo», «il culmine e la perfezione di tutte le operazioni della natura» – costituiscano il «veicolo dell’anima» e, liberandosi continuamente dai corpi per «dissipazione», diffusi nel «grande oceano etereo», siano pronti ad unirsi all’anima nel momento della sua separazione dal corpo50. Se gli spiriti acquistano una virtù celeste, avvicinandosi sempre di più all’anima, e d’altra parte lo spirito santo viene concepito come un intermediario tra il divino e l’umano, gli spiriti presenti nel cervello e nel cuore – soprattutto quelli che si trovano nella sede cerebrale della facoltà immaginativa – possono diventare il luogo di un incontro e di un’ulteriore contaminatio: non solo con l’halitus Christi, ma anche con lo spiritus nequam. Nel 1662, il gesuita Caspar Schott descrive i modi nei quali i diavoli possono modificare, sconvolgere e turbare gli umori e gli spiriti presenti nel corpo umano e animale, alterando l’organismo («disjungere ac distrahere partium compages»), come avviene nei casi di ossessione, maleficio, nelle passioni violente e nei sogni divinatori51. Ancora nel 1703, in una Dissertatio physico-medica curiosa de Diaboli potentia in corpora, per physicas rationes demonstrata, discussa all’università di Halle e ristampata due volte negli anni successivi, il 47 F. Patrizzi, Nova de universis philosophia, Venetiis, excudebat R. Meiettus, 1593, lib. V, p. 77, col. 1. La citazione virgiliana è tratta dal sesto libro dell’Eneide (vv. 726-27), e viene riportata anche nelle Discussiones peripateticae (Basileae, ad Perneam Lecythum, 1581, tomo II, lib. VI, p. 242); quella dal Libro della Sapienza è tratta dal primo libro, v. 7. 48 F. Patrizzi, Nova de universis philosophia cit., lib. II, p. 5, col. 1. 49 M. Mersenne, L’Impieté des déistes renversée et refutée, Paris, chez Pierre Billaine, 1630, parte II, cap. XXII. 50 H. Power, Experimental Philosophy, A Reprint of the1664 Edition, New York and London, Johnson Reprint Corporation, 1966, pp. 71-72. Cfr. T. Cowles, Dr. Henry Power, Disciple of Sir Thomas Browne, «Isis», 20, 1934, pp. 344-66 (pp. 360-61). 51 C. Schott, Physica curiosa, Herbipoli, sumptibus Johannis Andreae Endteri & Wolffgangi Jun., Haeredum, excudebat Jobus Hertz, 1662, vol. I, lib. I, pars II, cap. XIX. 31 medico Friedrich Hoffmann (1660-1742) sosteneva che il diavolo agisce sugli spiriti animali, ai quali è «omogeneo» – come tutte le sostanze «fluide» e aeree. Dal momento che gli spiriti animali costituiscono la parte materiale della fantasia umana, al diavolo è facile impressionarla in vari modi, ad esempio suscitandovi immagini di cose inesistenti. Il diavolo non inganna soltanto dal punto di vista etico, ma illude anche dal punto di vista fisico52. L’originaria concezione, fisiologica e galenica, dello «spiritus» si modifica e si complica, dal Medioevo al Rinascimento, arricchendosi del significato psicologico, astrologico e magico di copula nel cosmo maggiore e in quello minore, del significato ottico di raggio o species, del significato alchemico di «quintessenza» dei corpi, dotata di poteri attivi, del significato teologico di emanazione della presenza divina (o diabolica), che «replevit orbem terrarum», mentre i «chimici» – da van Helmont a Robert Boyle – interpretano quel termine in diversi modi53. C’è chi prova a fare distinzioni: Giulio Cesare Scaligero, nelle Exotericae exercitationes de subtilitate (1557) – che contengono una critica puntuale del De subtilitate di Girolamo Cardano (1550) – distingue i «vapori» dagli «spiriti»; i primi non sono altro che la «scoria» degli spiriti sottili. Quanto al ruolo svolto da questi ultimi, Scaligero non si discosta dalla vulgata rinascimentale: essi sono la «copula animae et corpus», «animae instrumentum ad movendum», e vivificano gli organi nei quali sono racchiusi54. Bisognerà attendere Daniel Sennert perché il concetto di spiritus come «substantia tenuissima et subtilissima, quae ad animalium et vegetabilium, imo etiam aliarum rerum constitutionem pertinet» venga chiaramente distinto dal significato di pneuma (respiro, vento) e da quello di «esalazione» o «vapore» emessi da un corpo per mezzo della distillazione, all’interno di un’opera pubblicata nel 1619 che reca il titolo significativo di: Tractatus de consensu et dissensu Galenicorum et Peripateticorum cum Chymicis55. Negli Experiments and Notes about the Producibleness of Chemycal Principles (1680), Robert Boyle esprime la sua insoddisfazione per la scarsa precisione con la quale quel termine è stato usato dai chimici per indicare una sostanza omogenea, vaga e indefinita: As for what the chymists call spirit, they apply the name to so many differing things, that this various and ambiguous use of the word seems to me no mean proof, that they have no clear and settled notion of the thing56. 2. Spiriti e idoli, demoni e spettri È stato detto che solo alcune, tra le molte entità invisibili che abitavano l’aria nell’età moderna, fecero il salto dall’universo di discorso poetico a quello ipotetico della nuova 52 F. Hoffmann, De diaboli potentia in corpore, in Opera omnia physico-medica, Genevae, apud Fratres De Tournes, 1761, vol. V, pp. 94-103, §§ XII e XVIII. Cfr. S. Clark, Thinking with Demons cit., part II, cap. 11. 53 Cfr. A. Clericuzio, Spiritus vitalis cit. 54 G. C. Scaligero, Exotericae exercitationes de subtilitate, Hanoviae, typis Wechelianis, sumpt. C. Schleichii, et P. de Zetter, 1634, ex. CCLXXX, p. 354. 55 D. Sennert, Tractatus de consensu et dissensu cit., cap. X, p. 747a. Su Sennert, cfr. A. Clericuzio, Spiritus vitalis cit., pp. 46 sgg. e Elements, Principles and Corpuscles cit., cap. I; H. Hirai, Le concept de semence cit., cap. 15 56 Il passo boyleano, tratto dagli Experiments and Notes about the Producibleness of Chymical Principles (in The Works cit., vol. I, p. 609) è riportato da A. Clericuzio, The Internal Laboratory cit., p. 64. 32 scienza sperimentale: fu questo il caso degli spiriti, ma non delle specie visibili e degli spettri57. Tra le cose che esalano, emanano, si effondono nell’aria ci sono, infatti, anche gli eidola: le sottili, invisibili immagini atomiche delle cose, introdotte da Democrito, vennero riprese da Epicuro – che utilizzò il termine avpovrroiai per significare il flusso continuo degli ei?dwla – e da Lucrezio – che tradusse avpovrroiai con aestus ed ei?dwla con simulacra – allo scopo di spiegare la sensazione e i sogni, che sono azioni a distanza di altro genere58. Il termine avpovrroiai compare anche nei Problemi di Aristotele, per indicare le emanazioni degli oggetti che affettano i sensi, come la vista, l’udito e l’olfatto59. I simulacra emessi dagli oggetti materiali, costituiti di atomi come gli organi di senso nei quali penetrano e come tutto ciò che esiste, sono diversi dalle forme aristoteliche – luminose e colorate, ma prive di materia – utilizzate dai perspectivi come Alhazen. Lucrezio li paragona al vapor, fumus, odor (e anche questo paragone è già presente in Aristotele60); Scaligero, criticando l’uso che delle effluxiones di species aveva fatto il suo illustre concittadino Girolamo Fracastoro, formula contro questi concetti obiezioni aristoteliche: di che moto si muovono le species? verso l’alto o verso il basso (giacché questi sono gli unici moti naturali)? come possono resistere all’azione dei venti? come è possibile che dai corpi si stacchino continuamente questi parva simulachra61? … Esistono quelli che chiamiamo i simulacri dei corpi; questi, come membrane staccate dalla superficie delle cose, vanno volteggiando qua e là per l’aria, ed essi stessi facendosi incontro al nostro animo nella veglia e nel sonno ci atterriscono, quando spesso ci appaiono prodigiose figure e pallidi fantasmi di estinti, che mentre languivamo assopiti, sovente ci destarono di soprassalto facendoci inorridire di spavento: non supponiamo dunque che le anime fuggano dall’Acheronte o che le ombre possano aleggiare tra i vivi né che rimanga alcunché di noi dopo la morte, quando il corpo e la natura dell’animo insieme distrutti nel loro dissolversi liberarono tutti i primi elementi62. Nei versi di Lucrezio, gli eidola, tenui immagini atomiche rimaste a vagare nell’aria, assumono anche il significato di apparizioni o spettri che possono spaventarci sia da svegli, sia in sogno: illusioni, non anime di trapassati fuggite dall’oltretomba. Nelle opere cin- 57 C. Wilson, art. cit., in W. Detel, C. Zittel (eds.), op. cit. Epicuro, Epistola ad Erodoto, 46, in Id., Opere, Frammenti, Testimonianze (introd. di G. Giannantoni, trad. e cura di E. Bignone), Roma-Bari, Laterza, 1989, pp. 46 sgg.; Tito Lucrezio Caro, La natura delle cose, lib. IV, vv. 26 sgg., (introd. di G. B. Conte, trad. di L. Canali, testo e commento a cura di I. Dionigi), Milano, Fabbri, 1994. Cfr. G. K. Chalmers, Three Terms cit. 59 Aristotele, Problemi (a cura di M. F. Ferrini), Milano, Bompiani, 2002, VII, 7 e XII, 10. 60 Ivi, XII, 10, p. 219. 61 G. C. Scaligero, Exotericae exercitationes cit., ex. CCCXXV, § 5; cfr. infra, §3. 62 Tito Lucrezio Caro, La natura cit., lib. IV, vv. 30-41: «… esse ea quae rerum simulacra vocamus;/quae, quasi membranae summo de corpore rerum/dereptae, volitant ultroque citroque per auras,/atque eadem nobis vigilantibus obvia mentis/terrificant atque in somnis, cum saepe figuras/contuimur miras simulacraque luce carentum,/quae nos horrifice languentis saepe sopore/excierunt, ne forte animas Acherunte reamur/effugere aut umbras inter vivos volitare/neve aliquid nostri post mortem posse relinqui,/cum corpus simul atque animi natura perempta/in sua discessum dederint primordia quaeque». 58 33 quecentesche di filosofia e di magia naturale, ma anche nei trattati medici, tra i «segreti» dei tre mondi (elementale, celeste, divino) che costituiscono la natura, nella vastità del suo significato rinascimentale, sono sempre inclusi i demoni, gli angeli e gli spettri63. Gli spiriti e gli spiriti animali vengono talvolta trattati insieme, negli stessi luoghi, e spiegati in modo analogo: «in realtà, l’ontologia più sfumata della prima età moderna non riteneva che le cause naturali e quelle sovrannaturali si escludessero reciprocamente»64. Per Ficino, oltre all’impersonale spiritus mundi, esistevano spiriti personali, dotati di un’anima e di un corpo aereo, e capaci di agire sull’anima razionale dell’uomo65. Gli spiriti «particular and divided» – cioè gli angeli e i demoni – venivano talvolta concepiti come parti di un «universall and common Spirit to the whole world», secondo un’antica opinione attribuita a Platone e ai filosofi ermetici. Come afferma il medico anglicano Thomas Browne: If there be a common nature that unites and tyes the scattered and divided individuals into one species, why may there not bee one that unites them all?66 Mentre è un’assunzione generalmente condivisa che chiunque dubiti dell’esistenza degli spiriti finisce per essere «obliquely and upon consequence a sort, not of Infidel, but Atheist»67, nelle opere di teologi e demonologi vengono solitamente distinti due generi di apparizioni: quelle divine, angeliche, demoniche o delle anime dei morti, oggetto di una specifica trattazione teologica, e basate sulle testimonianze delle Sacre Scritture; e quelle, provate dalla storia dei gentili, di generici «fantasmi», o «specie» che non hanno la propria causa in un oggetto esterno, ma esclusivamente nelle tracce immaginative o mnestiche del soggetto: «nihil enim refert ad apparentiam faciendam, sive species deforis veniat ad oculos, sive introrsum»68. In uno scambio epistolare avvenuto nell’anno 1674, il giurista ed erudito Hugo Boxel scrive a Baruch Spinoza che solo «monaci e preti» cattolici parlano delle apparizioni e visioni di anime e spiriti maligni, perché sono interessati a «dimostrare l’esistenza del Purgatorio, che è per loro una miniera dalla quale possono trarre una quantità d’oro e d’argento»69. Boxel cita, come esempio, il gesuita e teologo Petrus Thyraeus (1546-1601) che aveva pubblicato, alla fine del XVI secolo, trattati dai titoli piuttosto inquietanti, come: 63 Le trattazioni cinquecentesche più esaustive e classiche sulla natura, i generi, i nomi, gli uffici e le operazioni dei demoni – che si richiamano al Dialogus de daemonum energia seu operatione di Michele Psello – si trovano nel De occulta philosophia di Cornelio Agrippa (1533, lib. III, capp. 16 sgg.), un’opera nella quale i demoni «la fanno da protagonisti», per dirla con Walker (Magia spirituale cit., pp. 123 sgg.) e, da un punto di vista opposto, di rifiuto della magia demoniaca, nel De praestigiis daemonum di Johann Weyer (1583) e nelle Disquisitiones magicae di Martin Del Rio (1599, lib. II), che fu l’ultimo grande manuale per gli inquisitori. Nel Seicento, la demonologia filosofica annovera, tra gli autori più importanti, Robert Fludd (Utriusque cosmi, maioris scilicet et minoris metaphysica, physica atque technica historia, 1617-19) e Caspar Schott (Physica curiosa, 1662), mentre Angelo Pistacchio Castelli pubblica un Tractatus de superstitione reorumque iudicio (Neapoli, apud Castaldum, 1678), che è un tardo manuale per inquisitori, scritto per domande e risposte. 64 L. Daston, K. Park, op. cit., p. 163. 65 D. P. Walker, Magia spirituale cit., parte I, cap. II, § 3. 66 T. Browne, Religio medici (prima ed. 1643), ed. by L. C. Martin, Oxford, Clarendon Press, 1964, part I, sect. 32, p. 31. 67 Ivi, part I, sect. 30, p. 29. 68 G. Fracastoro, De sympathia et antipathia rerum, cap. XX, in Opera philosophica et medica cit., p. 83. 69 B. Spinoza, Epistolario (a cura di A. Droetto), Torino, Einaudi, 1974, p. 231. 34 Daemoniaci, hoc est: De obsessis a spiritibus daemoniorum hominis (1594), Loca infesta, Libellus de terrificationibus nocturnisque tumultibus (1598), Libri de omnis generis spirituum apparitionibus (1594). Quest’ultima opera terminava proprio con una dimostrazione dell’esistenza del Purgatorio, e si apriva con un’analisi dei significati del termine spiritus, o pneuma: esso è halitus che, insieme al cibo e alle bevande, ci tiene in vita; ventus, che turba l’aria; «substantia quadam a materia separata». Su quest’ultimo significato si concentrano le opere di Thyraeus: ma per «substantia quadam a materia separata», egli non intende gli elixir ottenibili per distillazione dalle diverse sostanze, bensì Dio, gli angeli, i demoni, le anime beate, dannate e purganti. Negli stessi anni, un altro teologo, lo svizzero Ludwig Lavater (1527-1586), iniziava la sua opera De spectris, lemuribus, et magnis atque insolitis fragoribus, variisque praesagitionibus (1570) con un’analisi filologica e semantica del termine spectrum, e ne offriva diverse definizioni: da quella di immagine visiva («simulachrum seu imaginem oculis sese offerentem») a quella di visione fittizia, dovuta a un’immaginazione corrotta, tipica dei melanconici e dei «furiosi», fino a quella, più specificamente teologica, di «substantia incorporea, quae conspecta vel audita, hominibus terrorem infert»70. Spettro presso i Latini significa simulacro, ovvero immagine che si offre agli occhi. […] Cosa vista significa spettro o specie, che appare sia a chi dorme, sia a chi è sveglio. Per Lavater, spectrum è sinonimo anche di pneuma o di effluvium71. La trattazione proseguiva con una delle più esaustive tassonomie dei demoni, o anime, di ogni genere: lari e penati, lemuri e lamie, incubi e succubi, streghe e manie. Un secolo più tardi, Schott proponeva lo stesso elenco di sinonimi, e dava degli spettri un’analoga definizione, ma escludeva dal novero dei simulacri – idola, imagines, phantasmata, pneumata, spiriti, lemuri, ombre, lari, mani e penati, o Geister – le apparizioni dei sogni, e quelle degli uomini che hanno i sensi e la fantasia corrotti, come i «furiosi, frenetici, febbricitanti, melanconici», ubriachi o quelli che «bruciano di un amore insano»72. Affinché possano «manifestarsi» agli uomini come apparizioni, o «insinuarsi», con esiti talvolta drammatici, nei loro sensi, angeli, demoni e anime hanno bisogno di assumere corpi aerei e fittizi, che plasmano a loro piacimento: «corpora, per quae se insinuant, ex aere condensant atque efformant plerumque»73. Ci sono, ovviamente, delle differenze, oltre che nelle intenzioni, anche nelle forme in cui tali spiriti si manifestano, nella voce e nel comportamento: quelli buoni assumono 70 L. Lavater, De spectris, lemuribus, et magnis atque insolitis fragoribus variisque praesagitionibus, tractatus vere aureus, Lugduni Batav., apud Henricum Verbiest, 1659 (prima ed. Ginevra, 1570), cap. I, pp. 1-2. 71 L. Lavater, De spectris cit.: «Spectrum apud Latinos significat simulachrum seu imaginem oculis sese offerentem. […] Visum significat spectrum sive speciem aliquam, quam dormientes et etiam vigilantes videmur videre». 72 C. Schott, Physica curiosa cit., vol. I, lib. II, pars I, cap. I, p. 201. 73 P. Thyraeus, Opera de variis apparitionibus, Coloniae Agrippinae, ex officina Gosuini Cholini, sumpt. Petri Cholini, 1625, cap. IX, p. 28. I corpi aerei dei demoni, che assumono la forma di uomini o di animali, sono descritti anche da A. Kircher, Mundus subterraneus, Amstelodami, apud J. Janssonium et E. Weyerstraten, 1665, tomo II, lib. XII, sez. I, cap. II. Nel 1746, Antoine Augustin Calmet dichiara che le molteplici questioni fisiche legate alle apparizioni di spiriti sono destinate a rimanere aperte: cfr. le Dissertazioni sopra le apparizioni de’ spiriti, e sopra i vampiri, o i redivivi d’Ungheria, di Moravia ec., trad. dal francese sulla seconda ed. rivista e corretta, Venezia, presso Simone Occhi, 1756, I, cap. XLIII. 35 forme umane e virili, e pregano con accenti dolci e soavi; quelli malvagi appaiono invece in forme mostruose e bestiali, e bestemmiano con voci stridule. Soltanto i demoni possono avere commercio carnale con donne (incubi) e uomini (succubi), e generare figli, con il seme sottratto a uomini «di condizione deteriore», oppure eiaculato nel sonno. In questo caso, i loro corpi possono essere fatti di elementi «solidi» e «palpabili», o sottratti ai cadaveri – utilizzando, magari, le leggi della rifessione e della rifrazione della luce per modificarne la figura, la grandezza e la posizione74. Ma c’è anche chi, come Thomas Browne, nega che i demoni incubi e succubi possano generare: secondo il chirurgo Ambroise Paré, si tratterebbe di una «suffocation imaginaire», prodotta da «viandes vaporeuses et vins forts»75. Oppure, semplicemente i diavoli non possono generare perché, come gli angeli, non hanno sesso76. Il diavolo, «summus physicus et opticus» secondo il medico Friedrich Hoffmann, può fingere un corpo illusorio, come le nuvole assumono la forma di castelli o di selve. Inoltre, mescolando sostanze diverse, soprattutto fluide come l’aria e l’etere, con una varia disposizione di lucido e di opaco, il diavolo, Princeps aeris, può simulare i colori77. A differenza degli spiriti fisiologici e psicologici, le apparizioni aeree non hanno alcun legame, né dipendono in alcun modo dalle congiunzioni astrali («in Spiritus nihil possunt corpora coelestia»), ma unicamente dal permesso divino78. È presente, in Thyraeus, una spiegazione quasi meccanicistica dell’ossessione, che avverrebbe tramite un «incastro» tra il corpo «tenue» degli spiriti malvagi e i «meati» o «pori» presenti nel corpo umano: «per quemcunque meatum, atque adeo per tenuissimos, et vix perceptibiles poros, humana corpora possunt intrare, et ingrediuntur non raro»79. Alla spiegazione è unita una cospicua quantità di exempla, tratti dalle testimonianze storiche, dalla Bibbia e dall’esperienza diretta80. Due secoli prima di Emanuel Swedenborg, Thyraeus descrive le funzioni dei corpi aerei di angeli e demoni, i segni con i quali si manifestano (gemiti, battiti di mani o strepiti notturni, ma anche starnuti), e ne descrive i colori81. C’è anche, nell’opera di Thy- 74 M. Del Rio, Disquisitiones magicae, Venetiis, apud Vincentium Florinum, 1616 (prima ed. 1599), lib. I, cap. I, quaestiones XV e XXVIII; J. H. Decker, Spectrologia, Hamburgi, apud G. Liebernickel, Literis Brendekii, 1690, cap. V, § 4; F. Liceti, De monstris, Amstelodami, sumptibus Andreae Frisii, 1665, lib. II, cap. XC; C. Schott, Physica curiosa cit., vol. II, lib. I, pars II, capp. XXI-XXII; A. Pistacchio Castelli, op. cit., pars I, cap. XXIV. Giovanfrancesco Pico (Libro detto strega, o delle illusioni del demonio, Bologna, Geronimo de Benedetti, 1524, libro III) afferma che i demoni succubi si impossessano del seme maschile che poi riversano, come incubi; quanto ai parti demonici, si tratterebbe di furti di infanti. La prima opinione è ripresa dai medici romani Scipione Mercurio (La Commare o Raccoglitrice, Venetia, apresso Gio. Bat. Ciotti, 1601, lib. II, cap. 38), e Paolo Zacchia, Quaestiones medico-legales cit., lib. VII, tit. I, quaest. II. 75 T. Browne, Religio medici cit., loc. cit.; A. Paré, Des monstres et prodiges , éd. critique et commentée par Jean Céard, Genève, Droz, 1971, capp. XXVIII, XXIX e XXXII, p. 99. 76 Come afferma Pierre Boaistuau nel primo libro delle Histoires prodigieuses, Anvers, chez Guislain Ianssens, 1595, cap. VIII. 77 F. Hoffmann, De diaboli cit., §§ VIII e XIV. 78 Ivi, cap. XIV, p. 57; L. Lavater, De spectris cit., parte II, cap. II. 79 P. Thyraeus, Quadripartita disputatio de daemoniacis, in Loca infesta, Coloniae Agrippinae, ex officina Mater. Cholini, sumpt. Gosuini Cholini, 1598, p. 23. 80 Id. Daemoniaci, hoc est: de obsessis a spiritibus daemoniorum hominibus, Coloniae Agrippinae, ex officina Mater. Cholini, sumpt. Gosuini Cholini, 1598, pars I, cap. I. Di demoni sottocutanei parla anche C. Schott, Physica curiosa cit., vol. I, lib. IV, cap.VIII. 81 P. Thyraeus, Opera de variis apparitionibus cit., capp. VI, IX, XII. 36 raeus, un’esplicita tematizzazione del ruolo dell’immaginazione: è possibile, infatti, che gli spiriti utilizzino i phantasmata già presenti nell’immaginazione, per produrre immagini (simulachra) di cose che non esistono, sia nella veglia, sia nel sonno82. Johannes Marcus Marci e van Helmont attribuiscono l’esistenza degli spettri all’unione, basata sulla simpatia, tra le species imaginativae presenti nel «caos mentale» e il «caos aereo»: se le idee seminali provenienti dall’immaginazione vagano nel «caos aereo», possono plasmarlo nella loro forma; si creano così spettri, che sono enti reali83. Dopo essersi mosso con grande libertà tra gli «spiriti» di ogni genere, dai venti all’estasi, Thyraeus non trascura di concludere la propria opera con un elenco di criteri che dovrebbero discriminare le apparizioni autentiche dai racconti dei «frenetici», dei «malati» e degli entusiasti; specifica il sesso, l’età e il temperamento dei «visionari» affidabili, che non devono essere vecchi, né melanconici, né donne, scarsamente dotate di ragione e dalla fantasia debole, a causa della loro natura umida84. Questo atteggiamento critico è una costante dei demonologi, mossi dalla volontà di distinguere le apparizioni di spettri sia dai fenomeni fisici dovuti alle «esalazioni», sia dalle illusioni ottiche e dagli errori che dipendono dai difetti degli organi di senso, e della fantasia. Lavater denuncia inoltre le «false apparizioni» prodotte, per bassi scopi, dai religiosi e dallo stesso pontefice Bonifacio VIII. Il medico Johann Weyer (o Wier), discepolo di Agrippa, conclude il De praestigiis daemonum (1583) con una citazione oraziana: Somnia, terrores magicos, miracula, sagas, Nocturnos lemures, portentaque Thessala risu Excipio85. Oltre ad apparire ai sensi interni ed esterni, gli spiriti possono infestare alcuni luoghi: le storie narrate, tratte da Plinio, Cardano, Olao Magno sono, come al solito, le più varie. Tra i loca infesta, però – deserti, montagne, caverne, luoghi umidi e paludosi, zone prossime ai poli86 – sono sempre inclusi i luoghi sotterranei, soprattutto le miniere: Thyraeus – come Athanasius Kircher, mezzo secolo più tardi87 – vi colloca i demoni, poiché l’inferno si trova «nelle viscere della terra». Egli cita, a sostegno della propria ipotesi, gli «spettri metallici» di Giorgio Agricola, cioè il medico tedesco Georg Bauer (1494-1555), che nel De re metallica (1556) aveva parlato di esalazioni calde e secche emananti dai metalli, tanto forti da far annerire gli alberi e le erbe soprastanti, da contorcere i rami e impedire la for- 82 Id., De divina, sive Dei, in Vetere Testamento apparitione et locutione imaginaria, in Opera cit., capp. I e IV. 83 J. H. Decker, Spectrologia cit., cap. II, §§ 15 sgg. Queste opinioni vengono riportate da Decker allo scopo di confutarle. Su Marcus Marci, si veda G. Mocchi, Idea, mente, specie. Platonismo e scienza in Johannes Marcus Marci, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1990. 84 P. Thyraeus, Regulae quibus probantur spiritus, ivi, pp. 483-86. 85 J. Weyer, De praestigiis daemonum, in Opera omnia, Amstelodami, apud P. Van Den Berge, 1660; L. Lavater, op. cit., cap. V. Weyer rifiutava la magia, considerandola tutta demoniaca: cfr. D. P. Walker, Magia spirituale cit., parte II, cap. V, § 1, pp. 207 sgg.; S. Clark (Thinking with Demons cit., part II, cap. 13) sottolinea la coesistenza, nell’opera di Weyer, a lungo considerata «una pietra miliare nell’emergere del dubbio su larga scala» (p. 198), del rifiuto della stregoneria con una demonologia del tutto convenzionale. 86 Cfr. R. Fludd, Utriusque cosmi historia cit., tomo I, trattato I, lib. IV, cap. VII (in La magia naturale nel Rinascimento (introd. di P. Rossi, trad. e note di S. Parigi), Torino, UTET, 1989, pp. 116 sgg.); C. Schott, Physica curiosa cit., vol. I, lib. II, pars II. 87 A. Kircher, Mundus subterraneus cit., tomo II, lib. VIII, sez. IV, cap. IV. 37 mazione della brina. Da questi segni, Agricola – che è citato spesso dai demonologi, come Lavater – non aveva però dedotto la presenza dell’inferno, ma si era limitato ad inferire l’esistenza di vene di metalli in un dato luogo: e aveva inserito, a quel punto, una disamina delle singolari proprietà di cui sarebbe dotata la virgula furcata, una bacchetta di legno ritenuta capace di scoprire le miniere, delle quali indicherebbe l’esistenza muovendosi per l’attrazione esercitata dalla vis venarum. Un problema, questo, destinato a catturare l’attenzione degli studiosi di storia naturale per due secoli88. Di effluvi terrestri caldi e secchi parla anche il chimico tedesco Johann Joachim Becher (o Becker), medico del duca di Baviera, in un’opera intitolata Physica subterranea (1669), posteriore di oltre un secolo a quella di Agricola: copiosi vapori esalano continuamente dalle miniere sotterranee, diventando sempre più sottili man mano che salgono in superficie; vengono infine «inalati» dai minerali e dalle pietre. Tra i «miracoli» narrati dal giurista napoletano Alessandro d’Alessandro (1461-1523) nei Dies geniales, un’opera molto diffusa in Francia e in Germania, pubblicata a Roma un anno prima della morte del suo autore, c’è quello delle viti della Germania citeriore, che in primavera danno germogli aurei perché «contagiate» dalle vene d’oro sotterranee; così in Scizia, nei monti dai quali si estrae il minio, la neve appare rossa89. Generalmente, è vero che i teologi e i demonologi luterani, appellandosi all’autorità della Bibbia, negavano le apparizioni delle anime dei morti, insieme all’esistenza del Purgatorio. Ma questo non accade sempre per gli autori riformati: ad esempio, un anglicano come Henry More si diffonde in una «ricca aneddotica sulle apparizioni dei trapassati» – compreso lo spettro di Marsilio Ficino – nella Immortality of the Soul (1659), allo scopo di dimostrare, con esperienze sensibili, l’immortalità dell’anima90. Inoltre, contrariamente a quanto sosteneva Boxel, gli spiriti venivano concepiti come apparizioni prive di uno specifico significato teologico anche da autori cattolici: una delle più antiche e ricche storie naturali delle apparizioni di spettri si trova proprio nell’opera «antropologica» di d’Alessandro, erudito filologo umanista, che esplora, insieme alla storia del diritto nel mondo antico, la storia del costume e della religione, e rientra appieno nella tradizione dei giuristi eruditi napoletani, che annovererà importanti esempi in Giambattista Vico e Nicola Valletta. Mentre racconta i «mira exempla» di cui è venuto a conoscenza grazie alle testimonianze di uomini affidabili, d’Alessandro intercala espressioni come: «non est fabulosum» o «vix credibile dictu», ma confessa apertamente di non conoscere le cause di quegli effetti prodigiosi, tra i quali devono essere inclusi quelli capitati a lui stesso: le visioni di donne eleganti al suo capezzale, ma anche, in una casa romana, la species terrificante di un uomo dal volto minaccioso, nero di corpo, che si nasconde sotto il suo letto e addirittura ci entra dentro. Girolamo Cardano, le cui pagine abbondano di storie mirabolanti di spiriti di ogni genere, demoni incubi e succubi, compreso un «demone etereo» personale che egli afferma di avere ereditato dal padre Fazio, accetta l’esistenza dei demoni solo dopo una lunga discussione di impronta scolastica, nella quale vengono dettagliatamente esposti e 88 G. Agricola, De re metallica, Basileae, L. Regis, 1621, lib. II, pp. 26-28. Cfr. infra, parte II, cap. I, §§ 2-3. 89 A. d’Alessandro, Dies geniales, Parisiis, apud Vascosanum, 1549, lib. IV, cap. IX. 90 A. Pacchi, op. cit., p. 37. 38 sommariamente esaminati i pareri favorevoli o contrari dei più illustri filosofi dell’antichità. Infatti, se non si dovesse credere per nulla a nessuno, sarebbe inaudito non poter prestare fede a qualsiasi testimone di fatti antichi, o di eventi che si sono compiuti in nostra assenza, e che quindi non abbiamo potuto vedere con i nostri occhi. Se invece dovessimo credere a tutti, incorreremmo in dissonanti assurdità91. Come si vede, anche nei maghi non è affatto assente l’esigenza di un vaglio critico, che discrimini, all’interno di quella varietas rerum che è la cifra stessa della magia naturale rinascimentale, le storie degne di fede. Le pagine del De rerum varietate (1557) sono sì «zeppe di eventi, di dati, di particolari insignificanti» e di «osservazioni gratuite e slegate»92, ma Cardano, a differenza di d’Alessandro, non rinuncia alla ricerca delle cause naturali dei fenomeni indagati, ed è ben consapevole del fatto che dello stesso effetto si possono trovare vari princìpi: cioè i demoni o i morti, la natura, un certo potere propriamente celeste, o l’artifizio. Ecco che s’ode un rumore in casa: può essere un topo, un gatto, un riccio, o le travi che cedono alla tignola, o ancora un demone, o similmente un’ombra. Può essere anche qualcuno che ha inventato una macchina capace di produrre quel rumore, che del resto può essere causato da una potenza celeste, con l’agitazione violenta dell’aria o dei sensi, così che, in quest’ultimo caso, non avrai percepito niente al di fuori di te. La stessa cosa accade per le luci, gli spettri e le vittime sacrificali93. Un secolo più tardi, il medico paracelsiano Pierre Borel riecheggia questo passo cardaniano, quando scrive: «Daemones enim esse non dubito, sed dubito quod talia ridicula quae nobis enarrantur, doctae hae creaturae, facere dignentur»; ciò che i topi, i gatti, il vento, i ladri, gli uccelli notturni o il semplice caso producono ogni giorno nelle abitazioni, «vana timidorum terriculamenta»94, viene attribuito ai demoni. Siamo lontani, come è evidente, dai toni usati da un teologo come Thyraeus nella descrizione dei loca infesta. Eppure l’avversario di Cardano, Giulio Cesare Scaligero, non rinuncia al sarcasmo: «de natura Daemonum fabulas multas, etiam patris tui, ac risu quidem dignas nectis». Scaligero dà delle apparizioni e dei terrori notturni un’interpretazione basata sulla gnoseologia aristotelica: di notte l’immaginazione ha campo libero, perché i sensi non sono occupati da alcuna rappresentazione di oggetti esterni, e si volgono, per così dire, verso l’interno. Ma non rinuncia a parlare dell’assunzione dei corpi da parte degli Angeli, giudicata più facile da spiegare, rispetto alla generazione spontanea di un topo dal letame: il corpo dell’angelo, infatti, a differenza di quello del topo, non necessita di svolgere le «funzioni naturali»95. 91 G. Cardano, La varietà delle cose naturali, in La magia naturale cit., p. 98. Cfr. G. Cardano, De rerum varietate, Basileae, senza ed., 1557, lib. XVI, cap. XCIII, p. 626. 92 P. Rossi, Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza, Torino, Einaudi, 1974, p. 45. 93 G. Cardano, La varietà cit., p. 97. Cfr. De rerum varietate cit., p. 624. Sulla costante ricerca cardaniana delle «semplici spiegazioni naturali dei fenomeni preternaturali», e sulla necessità di «purgare la filosofia dalle false meraviglie», cfr. L. Daston, K. Park, op. cit., pp. 141 sgg. 94 P. Borel, Historiarium et observationum medico-physicarum centuriae IV, Parisiis, apud Ioannem Billaine et viduam Mathurini Dupuis, 1656, p. 122. 95 G. C. Scaligero, Exotericae exercitationes cit., ex. CCCLV, p. 459 ; ex. CCXCVIII, § 4: «In nocte magis fit repraesentatio: quia nihil aliud intuemur, quam quod intus est in imaginationis campo» (p. 370); ex. CCCLIX, § 13. 39 I demoni saranno fatti oggetto di una investigatio peripatetica ben più sistematica di quella di Cardano da parte di Andrea Cesalpino. Coraggiosamente, il medico aretino cerca di delimitare il campo proprio della medicina da quello degli eventi soprannaturali – che il medico non può negare, e sui quali al tempo stesso non può agire – e delle «superstizioni» magiche, degne delle mulierculae che ci credono. Perché molti rimedi per così dire arcani sono stati introdotti nella medicina dall’arte magica per la curiosità, piuttosto che per la dottrina degli uomini. E così la scienza medica, contaminata in molti modi e in tutti i suoi aspetti, è stata posta spesso sotto accusa per la vanità dei suoi rimedi96. Ma nello sviluppo della trattazione, Cesalpino oscilla spesso tra posizioni diverse, anche opposte: parla di una magia che si origina dalla medicina, e vi è inclusa («magicam autem e medicina nemo dubitat»97); rifiuta espressamente solo la magia nera e la cabbala, che hanno la pretesa di sostituirsi alla teologia nell’indagine delle cose soprannaturali. Considera i caratteri, le parole e le immagini di cera usate nei «malefici» e negli «incantesimi» meri segni, non cause dotate di una vis agendi. Lo stesso ruolo è svolto dai corpi celesti, nei cui movimenti gli astrologi possono trovare al massimo i segni che configurano un’azione, e mai le cause del suo prodursi. Ma al tempo stesso, Cesalpino considera lecito contrapporre ai mezzi naturali usati dai demoni per indurre malattie nel corpo umano altre sostanze, dotate di poteri naturali, che possono funzionare da antidoti: è questo il caso degli amuleti, come certe pietre e piante efficaci contro la fascinazione e la possessione diabolica98. Riguardo ai demoni, Cesalpino finisce per assumere una posizione non troppo diversa da quella di Thyraeus: a differenza delle intelligenze puramente «speculative», che muovono i cieli in modo eterno e invariabile, ai demoni serve un «intellectus practicus, et factivus» capace di agire in un tempo circoscritto e in modi diversi sulle singole cose. Ma per poter agire su di esse, i demoni devono averne una conoscenza immaginativa, attraverso i phantasmata, diversi dalle nozioni universali possedute dall’«intelletto speculativo». I demoni, quindi, sono creature dotate di immaginazione, ma prive di sensi, così che «non ostacolate da alcun impedimento corporeo, pecepiscono con maggiore acutezza le singole cose, senza strumenti, con la sola immaginazione»99. Se lo desiderano, possono tuttavia «costruirsi» dei corpi, visibili e persino tangibili, reali – sottraendo cadaveri dai patiboli, dai sepolcri e dai campi di battaglia – fantastici, ex vaporoso aere, oppure misti100. La fenomenologia, o storia naturale, dei demoni è assai varia: si va dal demone di Socrate, che era una semplice voce, ai demoni incubi, che fanno l’amore in virtù di un corpo in qualche modo tangibile, benché fittizio. In generale, i 96 A. Cesalpino, Daemonum investigatio peripatetica (1569), in Id., Quaestiones peripateticae cit., cap. XII, p.157r.: «Deinde quoniam hominum curiositate potius quam doctrina remedia multa tanquam arcana ex arte magica in medicinam translata sunt. Sic enim multis modis medicinae scientia undique conspurcata remediorum vanitate saepe coarguitur». 97 Ivi, cap. XXII, p. 166v. 98 Ivi, capp. XVI, XVII e XXIV. 99 Ivi, cap. XIX, p. 163r.: «quoniam nullo impediente corporeo umbraculo perspicacius absque instrumentis singula persentiunt virtute imaginationis». 100 J. C. Frommann, Tractatus de fascinatione novus et singularis, Norimbergae, sumpt. W. M. Endteri, & J. A. Endteri haeredum, 1675, vol. II, lib. III, pars VI, cap. VI. 40 demoni si servono dell’aria, il mezzo corporeo che più si presta ad essere mosso dalla loro volontà (nutus animae), per compiere effetti prodigiosi, come la traslazione di corpi pesanti: «unde Daemones nomine spiritus appellantur, et creduntur esse corpora aerea»101. Quando si parla di demoni, è ricorrente lo slittamento dall’uno all’altro dei significati di spiritus elencati da Thyraeus: i demoni possono assumere corpi fatti d’aria, utilizzano l’aria (halitus, ventus) per compiere i loro prodigi, ma sono sostanze separate (substantia quadam a materia separata). Per agire sui corpi umani, inoltre (soprattutto sull’immaginazione, essendo essi stessi potenze immaginative102), i demoni si servono di quella spirituosa substantia «tanquam proximo animae instrumento», che separano dalla «crassities» della materia, come i medici «estraggono i succhi» delle diverse sostanze (succos eliciunt). Lo spirito infatti si muove in ogni direzione, e agisce in brevissimo tempo, come è evidente nella condizione pestilenziale dell’aria, nei veleni dei serpenti e in tutte le altre malattie contagiose103. E poiché «non è assurdo» che i demoni si insinuino negli spazi vuoti sottocutanei, o intorno alle articolazioni, mescolandosi agli spiriti, le sostanze maggiormente dotate di spirituosam vim – come gli aromi e i suffumigi – saranno rimedi efficaci contro tutti gli spiriti venefici e fascinanti, secondo il principio in base al quale solo i vapori possono scacciare dal corpo altri vapori104. Mentre compare l’ulteriore significato, medievale e rinascimentale, dello spirito-intermediario umano e cosmico, che irraggia in ogni direzione, Cesalpino introduce una similitudine – quella tra il diavolo e il medico-chimico – che si presta a una duplice interpretazione: nel senso di una naturalizzazione dei demoni – i quali si servono, come i medici, di strumenti naturali –, ma anche nel senso dell’attribuzione ai medici di grandi poteri, che raggiungono i limiti della natura stessa. I medici operosi fanno qualcosa di simile [ai demoni], quando da certe sostanze medicinali separano la materia, estraendo i poteri presenti nella sostanza spirituale: si servono infatti dell’acqua ardente, la più spirituale di tutte le sostanze, chiamata quinta essenza, capace di attrarre con la massima efficacia i poteri dei medicamenti infusi. Ma i Demoni possono selezionare una sostanza di gran lunga più sottile, perché si servono di uno spirito invisibile105. «Spirito» è sempre anche la quinta essenza estratta dagli alchimisti, dotata di poteri curativi. Il medico deve saper distinguere le malattie dai casi di ossessione o maleficio, altrimenti rischia di fare brutte figure, «cum remedia nihil prosint»: a volte il compito può essere arduo, come nei casi di epilessia, ipocondria o melanconia106. All’inizio del Settecento, pur essendosi ampliato il dominio delle malattie attribuite a cause naturali, rimane la perplessità 101 A. Cesalpino, Daemonum investigatio cit., cap. XX, p. 164v. Cfr. infra, parte II, cap. II, § 1. 103 A. Cesalpino, Daemonum investigatio cit., cap. XVIII, p. 162r.: «Spiritus enim undequaque transit, ac brevissimo tempore agit, ut patet in pestilenti aeris statu, serpentum venenis, et omnibus fere morbis contagiosis». 104 Ivi, capp. XXI e XXIV. 105 Ivi, p. 162v.: «Simile quid medici quidam industrii faciunt, cum ex medicamentis quibuscunque relicta materia vires in spirituosa substantia eliciunt: utuntur enim aqua ardente inter caeteras maxime spirituali, quae infusorum medicamentorum vires efficacissime attrahit, quam quintam essentiam vocant. At Daemones longe tenuiorem substantiam seligere possunt, cum invisibili spiritu utantur». 106 Ivi, cap. XXII, p. 166v. 102 41 dei medici nei confronti dei morbi convulsivi107. «Ars medicinae non operatur in sortilegia: diabolus illorum auctorem»108; se però il medico è in malafede, gli sarà oltremodo facile servirsi di trucchi volgari per attribuire all’intervento di enti e forze soprannaturali quello che è in realtà l’effetto della sua ignoranza. Basta unire al vomito di un malato una ciocchetta di capelli, o pietra, o legno, o altro simile; il qual senza durar molta fatica persuadono altrui esser la malefica fattura […]; e se poi avvien, che peggiori l’infermo, eglino soggiugnendo, che il mal d’un altro Demonio si faccia, il rimedio replicano; e quando finalmente lo infermo se ne muoia, si fan loro scuse, con dir, ch’il Demonio, che l’uccide, è del lor più potente109. Eppure, malgrado fra’ Leonardo di Capua (al secolo Bernardino Caramanno, 16171695), membro dell’Accademia napoletana degli Investiganti, sia un atomista tendenzialmente alieno dalle credenze in ogni genere di spettri, ancora nel 1681, nell’ultimo degli «otto ragionamenti» che dedica all’«origine», al «progresso» e nel contempo all’«incertezza» della medicina, egli affronta il problema del modo in cui gli angeli possono muovere i corpi, e l’anima il corpo di cui è forma, e lo risolve chiamando in causa la volontà degli uni e dell’altra, ritenuti capaci di «determinare i moti de’ picciolissimi corpicciuoli» che compongono l’aria, l’etere, oppure (nel caso dell’anima umana) che vengono trasportati continuamente e con grande velocità dal sangue ai nervi attraverso le arterie110. Gli esempi della libertas philosophandi lodati da Leonardo di Capua sono Cardano, Fernel, Konrad Gesner, van Helmont, Johann Christian Frommann, Daniel Sennert e Paracelso: questi medici e filosofi hanno in comune il coraggio di essersi fatti seguaci della verità, invece che di Aristotele e Galeno, e di essere stati (in diversi gradi) consapevoli dell’«incertezza» della medicina111. Uno spettro è un’immagine (idolon) costituita di un corpo sottile, insensibile e aereo: questa teoria, avanzata da filosofi atomisti come Epicuro e Lucrezio, viene criticata da Thomas Hobbes sulla base di una teoria materialistica e meccanicistica della visione. Le immagini, «che nel senso originario e più proprio si chiamano idee o idoli», consistono infatti, per Hobbes, nella «rassomiglianza a qualcosa di visibile». Immagine è la figura di un uomo o di qualche altra cosa che si riflette o si rifrange nell’acqua, o quella del sole o delle stelle che si vedono direttamente nell’aria. Non si tratta di qualcosa di reale, che sta nelle cose viste o nel luogo in cui sembra che esse siano. Le grandezze e le figure non coincidono con quelle effettive dell’oggetto, ma cambiano al variare degli organi della vista o a causa delle lenti e sono sempre presenti nella nostra immaginazione e nei nostri sogni, anche quando l’oggetto è assente112. 107 F. Hoffmann, De diaboli cit., §§ XXII-XXIII. P. Grillando, Tractatus de haereticis et de sortilegiis eorumque penis, Lugduni, G. Giunti, 1547 (prima ed. 1536). 109 Leonardo di Capua, Parere divisato in otto ragionamenti, ne’ quali partitamente narrandosi l’origine, e ’l progresso della medicina, chiaramente l’incertezza della medesima si fa manifesta, Napoli, Antonio Bulifon, 1681, p. 476. Cfr. A. Borrelli, Medicina e atomismo a Napoli nel secondo Seicento, in E. Festa, R. Gatto (a cura di), Atomismo e continuo nel XVII secolo, Napoli, Vivarium, 2000, pp. 341-60 e la bibliografia lì citata. 110 Leonardo di Capua, Parere cit., pp. 628-29. 111 Ivi, pp. 58, 99-100, 105; per la critica a Galeno, cfr. pp. 388-89. 112 T. Hobbes, Leviatano (a cura di R. Santi), Milano, Bompiani, 2004, parte IV, cap. XLV, § 14, p. 1047. Cfr. Y. C. Zarka, Le vocabulaire de l’apparaître: Le champ sémantique de la notion de phantasma, in Y. C. Zarka (ed.), Hobbes et son vocabulaire, Paris, Vrin, 1992, pp. 13-29; K. Schuhmann, Phantasms and Idols: True Philosophy and Wrong Religion in Hobbes, in «Rivista di storia della filosofia», 59, 2004, pp. 15-31. 108 42 Si possono chiamare anche fantasmi, che in greco significa apparizioni, ma a patto di tenere sempre presente che «non esiste né potrebbe esistere un’immagine prodotta da una cosa invisibile»113. Come se i morti che hanno sognato non abitassero nel loro cervello, ma in aria o nel cielo o nell’inferno; come se non fossero fantasmi, ma spettri; hanno ragione come ce l’avrebbe uno che affermasse di avere visto il proprio spettro in uno specchio o gli spettri delle stelle in un fiume o che chiamasse l’ordinaria apparizione del sole, della larghezza di un piede circa, il demone o spettro di quell’enorme sole che illumina l’intero mondo visibile114. Hobbes non credeva alla teoria democritea, epicurea e gassendiana dell’idolon, che «staccandosi dall’oggetto, entra nel cervello e gli racconta di che colore e figura è il corpo dal quale è volato»115. La rigorosa spiegazione «ottica» che dava delle apparizioni, per confutare la credenza nell’esistenza dei demoni e dei fantasmi, si differenziava da quella degli atomisti – che pure, a parere di Spinoza, sono gli unici filosofi che non possono credere agli spettri. Nello scambio epistolare che ebbe con Hugo Boxel nel 1674, Spinoza – non diversamente da quanto aveva fatto Hobbes nel Leviathan (1651) – si prende apertamente gioco delle «fandonie» legate agli spiriti, agli spettri «che appaiono nel buio ai bambini», alle anime che se ne vanno senza il corpo «da qui in cielo, all’inferno o al purgatorio» e alle passeggiate notturne di «spiriti incorporei che occupano spazio»116. Mentre il suo corrispondente gli elenca le auctoritates che sostengono l’esistenza degli spiriti – da Plinio e Plutarco a Weyer e Lavater, da Svetonio a d’Alessandro, da Cardano e Melantone a Thyraeus – Spinoza ribatte che «se i filosofi vogliono chiamare spettri le cose che ignoriamo, io non avrò nulla in contrario»117. Boxel lo accusa di avere un «giudizio preconcetto» che «ostacola la ricerca della verità»; è certo, infatti, che «l’esperienza quotidiana ci insegna l’esistenza degli spettri»: «si trovano in tutta l’antichità tanti esempi e racconti, che in realtà sembrerebbe difficile negarli o dubitarne», tanto che «i teologi e i filosofi di oggi ci credono ancora»118. Ma queste non sembrano affatto a Spinoza «ragioni», bensì piuttosto «congetture» capaci di convincere solo quanti «chiudendo le orecchie dell’intelletto, si lasciano sedurre dalla superstizione, la quale è tanto nemica della retta ragione che, pur di togliere credito ai filosofi, presta fede anche alle streghe»119. E se Boxel ribatte a Spinoza che «tutti i filosofi, sia antichi sia moderni, sono convinti che gli spiriti esistono», benché di tale convinzione non possano offrire dimostrazioni certe, Spinoza elogia l’atomismo di Democrito, considerato una teoria seria e convincente del mondo fisico, l’unica che escluda categoricamente l’esistenza degli spettri: 113 T. Hobbes, Leviatano cit., p. 1049. Ivi, p. 1031. 115 Questo passo, tratto dal secondo Tractatus opticus, composto tra il 1644 e il 1645, e rimasto inedito fino al 1963, è citato in S. Parigi, Il mondo visibile cit., pp. 68-69. 116 T. Hobbes, Leviatano cit., cap. XLVI, § 21. Il concetto di spiriti incorporei è considerato contraddittorio anche negli Elements of Law (1640): cfr. Elementi di legge naturale e politica, a cura di A. Pacchi, Firenze, La Nuova Italia, 1989, pt. I, cap. XI, § 5. 117 B. Spinoza, Epistolario cit., p. 228. 118 Ivi, pp. 230, 229 e 227. 119 Ivi, p. 235. 114 43 L’autorità di Platone, di Aristotele e di Socrate non ha per me gran valore. Sarei stato molto sorpreso se mi aveste citato Democrito, Epicuro, Lucrezio o qualche altro atomista o sostenitore dell’atomismo. E non bisogna stupirsi che coloro i quali hanno ragionato intorno alle qualità occulte, alle specie intenzionali, alle forme sostanziali e a mille altre sciocchezze, abbiano escogitato gli spettri e gli spiriti e creduto alle sibille allo scopo di sminuire l’autorità di Democrito120. I racconti di spettri erano stati considerati «fabulosae narratiunculae» dall’aristotelico Giulio Cesare Vanini: le apparizioni aeree talvolta hanno cause ottiche e matematiche, altre volte sono meri fenomeni atmosferici, oppure si spiegano con i vapori emessi dai corpi o con gli inganni dell’immaginazione121. «Spectra de quibus nos agimus, nihil ad physicos pertinent»: il teologo Lavater, mentre esclude ogni rilevanza delle proprie speculazioni sugli spiriti per la filosofia naturale, riconosce che gli epicurei hanno sempre negato l’esistenza degli spettri, considerati figmenta atti a spaventare solo i fanciulli e gli uomini semplici122. Proprio gli epicurei, infatti, negatori della realtà e delle insidie dei demoni e delle streghe, vengono apertamente stigmatizzati dal giudice Nicholas Remy, autore di un fortunato manuale per gli inquisitori e capace di condannare a morte per stregoneria, dal 1576 al 1591, ben novecento persone nella sola Lorena123. Non è certo un caso che i critici più decisi degli effluvi-spettri siano i due autori che godettero della più solida fama di atei nel secolo XVII. Ma non è vero che gli spiriti «moralmente neutrali» vennero ripudiati dai teologi sia cattolici, sia protestanti124: nel 1670, il medico tedesco Christian Friedrich Garmann aveva considerato l’esistenza di spettri dimostrata a posteriori, sulla base delle auctoritates più diverse, dalla Bibbia a Caspar Schott125; dopo Boxel, il luterano Johann Heinrich Decker (1665-1707) fece degli spettri l’oggetto di una metodica trattazione scolastica. Nella Spectrologia (1690), egli prende in esame molti degli scritti cinque-seicenteschi sull’argomento: a suo avviso, soltanto gli atei e i riformati – come Epicuro e Gassendi, Democrito, Descartes e «famosus ille Atheus», Thomas Hobbes, e per finire lui stesso – mettono in dubbio l’esistenza degli spettri. Ma mentre gli atei li rifiutano senz’altro, i riformati come Boxel e Decker escludono dal numero delle apparizioni soltanto le anime dei morti, e distinguono le apparizioni angeliche, di pertinenza dei teologi, da tutte le altre, che «sunt igitur et manent spectra nihil aliud, quam lusus Satanae», come attesta «il nostro Lutero»126. Oltre agli «spettri metallici» o «sotterranei» di Agricola, Paracelso e Kircher, Decker elenca gli spettri «aerei» e quelli «ignei», prodotti dall’incendiarsi dell’aria sottile, come accade sui monti altissimi del Perù e del Cile, dove persino gli sbuffi emessi dalle narici dei cavalli s’infiammano, secondo la testimonianza di Athanasius Kircher, riportata nell’Ars magna lucis et umbrae (1646). Il diavolo «milleartifex» può formare spettri ignei nell’aria, «per com- 120 Ivi, p. 244. G. C. Vanini, De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis, Lutetiae, apud A. Perier, 1616, lib. IV, dial. LI. 122 L. Lavater, De spectris cit., cap. I, p. 9 e cap. II. 123 N. Remy, Demonolatreiae libri tres, Lugduni, in officina Vincentii, 1595, lib. I, cap. XXVIII. 124 E. Cameron, For Reasoned Faith or Embattled Creed? Religion for the People in Early Modern Europe, «Transactions of the Royal Historical Society», 8, 1998, pp. 165-87. 125 C. F. Garmann, De miraculis mortuorum, Dresdae et Lipsiae, sumptibus J. C. Zimmermann, 1709 (prima ed. 1670), lib. II, tit. X, §§ 3-4. 126 J. H. Decker, Spectrologia cit., cap. I, § 6 e p. 112. Su Decker, cfr. L. Thorndike, History of Magic cit., vol. VIII, cap. XXXVIII, pp. 582-83. 121 44 pressionem atomorum»: di tal genere sono le apparizioni viste in Sicilia nella zona dell’Etna, o il vir urens apparso a molti, in Germania, nell’età del medico, suo contemporaneo, Johann Christian Frommann, autore di un Tractatus de fascinatione novus et singularis (1675). Vi sono infine gli spettri terrestri, di due generi: quelli «silvestri» e quelli «domestici» – chiamati Lari e Penati dai latini, Poltergeister dai tedeschi – che di notte si danno da fare come veri e propri domestici nelle case127. Già Agrippa, nel De occulta philosophia, aveva classificato i diversi generi elementari dei corpi demonici: a suo parere, solo i demoni che si rivestono di corpi ignei, eterei o celesti sono sempre invisibili, mentre i demoni aerei, acquei e terrestri appaiono come «esangui simulacri»128. Il diavolo non assomiglia a un medico, come pensava Cesalpino, ma piuttosto a un mago, prestigiatore o illusionista, capace di ingannare con i suoi spettri i cinque sensi esterni dell’uomo: oltre a quelli della vista, «omnium sensuum externorum praestantissimus», vi sono spettri dell’udito, come i rumori notturni di cui scriveva d’Alessandro, spettri del tatto, come la freddezza dei corpi dei demoni avvertita nel «nefandus coitus» con le streghe; spettri dell’odorato, come il fetore di zolfo che accompagna le apparizioni diaboliche, e spettri del gusto, come i cibi che Satana offre ai suoi seguaci, non trascurati dallo scrupoloso inquisitore Nicholas Remy129. Negli anni in cui Spinoza scriveva, Pierre Gassendi, un prete cattolico, aveva da poco restaurato l’autorità di Democrito e di Epicuro, con l’intento di criticare la magia naturale, e Thomas Browne aveva dedicato due capitoli della sua Pseudodoxia epidemica agli «sforzi di Satana», «nemico dichiarato d’ogni verità, e primo autore della menzogna», nell’ingannare gli uomini, facendoli cadere nell’errore130. Il diavolo, i demoni e gli spiriti non erano affatto «morti», dopo Spinoza131. 3. Spiriti, effluvi e qualità occulte Nel De occulta philosophia (1533), che fu probabilmente il manuale di magia più importante e diffuso nel Rinascimento, Cornelio Agrippa definisce «occulte» quelle qualità, o poteri, che «non derivano da qualche elemento, come neutralizzare un veleno, respingere l’antrace, attrarre il ferro»: questa stessa definizione viene adottata da molti medici rinascimentali. Nel De abditis rerum causis (1548), Jean Fernel delimita il contenuto della nozione di «occulto» nel senso della «non derivabilità di un fenomeno dall’azione delle qualità primarie degli elementi»132: rientra, cioè, nel dominio dell’occulto, del soprannaturale o del divino tutto ciò che non si spiega con le coppie di qualità contrarie della medicina galenica, e con gli elementi della fisica aristotelica. 127 J. H. Decker, Spectrologia cit., cap. IV, §§ 5 sgg. La distinzione dei corpi elementari dei demoni si trova anche in R. Fludd, Utriusque cosmi historia, tomo I, trattato I, lib. IV, cap. VI (in La magia naturale nel Rinascimento cit., pp. 113 sgg.). 128 H. C. Agrippa, De occulta philosophia cit., p. 248. 129 Ivi, cap. VII, §§ 1-11. Sugli spettri dei sensi, cfr. M. Del Rio, op. cit., lib. II, qu. XXVII; C. Schott, Physica curiosa cit., vol. I, lib. II, pars IV, cap. XXVIII; J. C. Frommann, Tractatus cit., vol. II, lib. III, pars IV, sect. I, cap. VII e lib. III, pars VI, cap.VI. 130 Cfr. infra, cap. IV, §§ 1 e 5. 131 Cfr. J. I. Israel, op. cit., chap. 21 («The Death of the Devil»), pp. 375- 405. 132 M. L. Bianchi, Occulto e manifesto cit., p. 196. 45 «Si chiamano poteri occulti, perché le loro cause sono nascoste, così che l’intelletto umano non sempre riesce a scoprirle»: tali qualità, a giudizio di Agrippa, non si possono spiegare facendole derivare semplicemente dalla «forma» o «specie» di «questa o quella cosa», come facevano gli aristotelici, e come farà anche Fernel, che considerava le qualità occulte «proprietates totius substantiae», «virtù insite nell’essere totale degli enti e da esso emananti»133, senza mai precisare cosa intenda per forma, o tota substantia, di un corpo – un principio, questo, di carattere divino che è alla base della sua medicina, insieme a quello di spiritus. Le qualità occulte agiscono in modo insensibile e spesso incomprensibile, al di fuori dei «rigorosi nessi causali della medicina galenica» e della fisica aristotelica, attraverso «un diverso tipo di connessioni, che esclude a priori la possibilità di essere indagato razionalmente»134: si tratta dei rapporti, puramente analogici, della simpatia e dell’antipatia. Sarà meglio, quindi, che i filosofi si limitino a raccontare quelle «virtù innate» che «trascendono gli elementi»: la loro «lunga esperienza» è l’unica forma di comprensione possibile di tali effetti prodigiosi di natura135. È manifesto, dunque, che nelle cose le proprietà occulte non derivano dalla natura elementale, ma, occulte ai nostri sensi, a stento note persino alla ragione, vi sono state impresse in modo divino: esse traggono origine dalla vita e dallo spirito del mondo tramite i raggi delle stelle, e non possono essere da noi conosciute che con l’esperienza e le congetture136. Non è dalla forma sostanziale di un corpo che derivano le proprietà occulte, ma dall’«anima» dei platonici, che ha l’esclusiva proprietà di «uscire da un ente ed entrare in un altro», attraverso un mezzo, lo «spirito del mondo, chiamato quinta essenza, poiché non deriva dai quattro elementi, ma da un quinto, ulteriore, e superiore ad essi». In virtù di tale mezzo, «le anime celesti possono penetrare nel più grossolano dei corpi, largendogli doti mirabili»137. Così si spiegano: le qualità occulte possedute dalle «erbe, dalle pietre, dai metalli e dagli esseri animati»; il commercio degli uomini e degli animali con gli spiriti demonici e angelici; l’opera degli alchimisti, finalizzata alla separazione dello spirito dagli altri elementi: Nello spirito è infatti interamente contenuto il potere generativo e riproduttivo: per questo gli Alchimisti si sforzano di sceverarlo dall’oro e dall’argento e, dopo averlo debitamente separato ed estratto, se lo uniscono a qualsiasi materia del medesimo genere, cioè a uno qualunque dei metalli, subito ottengono oro e argento138. Non si può non ricordare che la species, per Roger Bacon, «viene chiamata potere rispetto alla generazione e alla corruzione»139. E ancora, le simpatie e le antipatie tra le cose si spiegano con l’inclinazione che ogni cosa ha verso ciò che le è simile, e la repulsione verso ciò che le è contrario, sia nelle qualità che derivano dagli elementi – ad esem- 133 Ivi, p. 205. Ivi, p. 207. 135 C. Agrippa, La filosofia occulta, lib I, cap. X, in La magia naturale nel Rinascimento cit., pp. 53-54. 136 Ivi, lib. I, cap. XV, p. 57. 137 Ivi, lib. I, cap. XIV, pp. 55-56. 138 Ibid., p. 56. 139 Cfr. supra, p. 23. 134 46 pio, sono ignei alcuni metalli, pietre, i semi delle piante, le salamandre e il leone, alcuni pianeti, segni zodiacali, demoni, angeli, nonché il senso della vista e la passione dell’ira – sia nelle proprietà occulte: Se dunque vogliamo adoperarci a produrre qualche proprietà o virtù, cerchiamo gli animali, o le altre cose, che maggiormente possiedono tale proprietà, e di questi prendiamo la parte, in cui tale proprietà o virtù è vigorosa al massimo grado. Ad esempio, se si vuole ottenere l’amore, ci si procuri qualche animale che ama più degli altri, come la colomba, la tortora, il passero, la rondine, la cutrettola, e di questi si prendano le membra, o le parti in cui è più forte il desiderio venereo, che sono il cuore, i testicoli, l’utero, il membro virile, lo sperma, il mestruo. Tutto questo bisogna poi farlo in quella stagione, in cui gli animali sono maggiormente in preda a questa passione: allora, infatti, apportano e provocano molto amore140. La conoscenza di questa rete micro e macrocosmica di simpatie e antipatie è indispensabile al medico, il quale non può ignorare che il cervello giova al cervello, e il polmone a un altro polmone: così si dice che l’occhio destro di una rana, appeso al collo in un panno bianco, guarisca l’infiammazione dell’occhio destro; se invece l’occhio malato è il sinistro, si userà l’occhio sinistro della rana. […] Le zampe della tartaruga sono impiegate nella cura dei gottosi, legate in modo tale che il piede è appeso al piede, la mano alla mano, il destro al destro, il sinistro al sinistro141. Francis Bacon concorda sostanzialmente con Agrippa e con Fernel sulla definizione di spiritus come «vincolo dei poteri occulti» e principio di vita, «vector, custos ac propugnator» della forma secondo Fernel142, che occorre conservare ben racchiuso all’interno del corpo umano, se si vogliono allontanare la vecchiaia e la morte, ma esclude categoricamente l’efficacia dei rimedi agrippiani. È vero, infatti, che «inesse omni tangibili Spiritum, sive Corpus pneumaticum», e che tale spirito è «corpus tenue, invisibile; attamen locatum, dimensum, reale […] cognatum Aëri, at multum ab eo diversum»143; ma, allo scopo di conservarlo all’interno del corpo umano, non serve a nulla cibarsi di carne di cervo o di serpente, animali ritenuti capaci di «rinnovare e ringiovanire il nostro corpo» perché «possiedono il potere di rinnovarsi»144, cambiando le corna o la pelle. Mentre denuncia il carattere «favoloso» e «superstizioso» delle facili ricette dei maghi, Bacon ammette i poteri curativi dell’«oro potabile», miracoloso nei casi disperati; consiglia polvere di perle in succo di limone; ritiene la pietra bezoar «di provata virtù»145. Gli spiriti sono di due generi: quelli mortuales, presenti nei corpi inanimati, sono «consustanziali all’aria», mentre quelli vitali, presenti negli animali, sono piuttosto simili alla fiamma: «Flamma substantia momentanea est; Aër fixa; Spiritus Vivi in Animalibus, Media est Ratio»146. Gli spiriti hanno due «desideri»: «Unum se multiplicandi, Alterum 140 C. Agrippa, La filosofia occulta cit., p. 58. Ibid. 142 M. L. Bianchi, Occulto e manifesto cit., p. 210. 143 F. Bacon, Historia vitae et mortis, in Id., Opuscula varia posthuma, philosophica, civilia, et theologica, edita cura et fide G. Rawley, Amstelodami, apud J. Ravesteinium, 1663, pp. 18 e 181. Sul concetto di spiritus in Francis Bacon, cfr. G. Rees, Francis Bacon and spiritus vitalis, in M. Fattori, M. Bianchi (a cura di), Spiritus cit., pp. 265-81; M. Fattori, Spiritus dans l’Historia vitae et mortis de Bacon, ivi, pp. 283-323. 144 C. Agrippa, La filosofia occulta cit., p. 58. 145 F. Bacon, Historia vitae cit., pp. 84 sgg. 146 Ivi, p. 200. 141 47 Exeundi, et se Congregandi cum suis Connaturalibus»; come le species medievali, gli spiriti si moltiplicano; come gli effluvia corpuscolari e le anime dei platonici, escono da alcuni corpi ed entrano in altri; come gli eidola epicurei e lucreziani, «volano» nell’aria. Questa propagazione si spiega sia con l’appetito degli spiriti stessi, sia con quello dell’aria, la quale «res indigens est, atque omnia avide arripit». Tra le cose di cui l’aria è particolarmente avida, ci sono gli spiriti, gli odori, i raggi e i suoni147. L’attrazione tra corpi «connaturali», che hanno un forte desiderio di unirsi, spiega la simpatia tra le cose. La ricerca del modo di allungare la vita, preservando l’uomo dalla vecchiaia e dalle malattie, è sempre stata una priorità: sia per i medici, gli alchimisti e i maghi medievali e rinascimentali – impegnati nella distillazione dell’elixir, aqua vitae o aqua aurea, oro potabile o quintessenza, lapis philosophicus, argento vivo o «sperma dei metalli»148 – sia per i filosofi, fino a Descartes – che non attribuiva altro scopo alla costruzione dell’albero della sua filosofia – e a George Berkeley, che nel 1744 pubblicò la sua opera di maggiore successo, nella quale presentava una nuova panacea – l’acqua di catrame, attiva perché impregnata di spirito etereo –, sullo sfondo di impegnative speculazioni ermetiche149. Come Agrippa, Bacon insiste sul carattere sperimentale delle sue speculazioni: «diserte profitemur, nonnulla ex iis, quae proponemus, experimento nobis non esse probata»; tutto ciò che scrive, è stato «scavato dalla roccia, ed estratto dalla miniera, della natura stessa»150. Ma, come accade quando si scrive delle proprietà occulte, o del modo di allungare la vita, Bacon cade in frequenti contraddizioni: longevi, ad esempio, sono gli spiriti contemplativi, come i religiosi, gli studiosi, i filosofi, i letterati, nonché gli abitanti dei luoghi freddi e chi vive ad alta quota; ma anche la vita «rusticana» o militare, attiva e all’aria aperta, e quella condotta nelle «isole mediterranee», è salutare e prolunga la giovinezza. D’altra parte, lo studio troppo intenso e prolungato e il lavoro eccessivo abbreviano la vita, mentre gli eremiti e gli anacoreti, rinchiusi nelle loro grotte e spelonche, possono sperare in una vita lunga, dato che «corpus occlusum, et non perspirans, Spiritum inclusum detinet»151. Quello che è certo, è che le medicine «cordiali», che rinfrancano il cuore e gli spiriti contro veleni e morbi, lo fanno in virtù dei vapori che generano; questi, per l’analogia di natura che hanno con gli spiriti, si uniscono ad essi, producendovi certi effetti. Per lo stesso principio, Bacon, non diversamente da Ficino – la cui opera De vita è citata più volte nell’Historia vitae et mortis – crede nelle proprietà rinfrancanti e curative degli odori e dei suffumigi. A differenza di Bacon, Girolamo Fracastoro, nel trattato De sympathia et antipathia rerum (1546) premesso al De contagione et contagiosis morbis – che è stato recentemente definito «un’opera in cui demolisce in rebus physicis gli argomenti della magia simpatetica»152 – rifiuta il modello esplicativo agrippiano, dove l’attrazione del simile verso il simile era attribuita alla similitudine stessa, e introduce un’alternativa fondamentale per i negatori dell’actio in distans. Se ogni azione deve avvenire per contatto, ma non vi è 147 Ivi, p. 187. Cfr. U. Aldrovandi, Musaeum metallicum, ed. Bartholomaeus Ambrosinus, senza luogo di pubblicazione, Marcus Antonius Bernia, senza data di pubblicazione, p. 194. 149 Cfr. «Introduzione», in G. Berkeley, Opere filosofiche (a cura di S. Parigi), Torino, UTET, 1996, pp. 34 sgg. e infra, parte II, cap. III, § 6. 150 F. Bacon, Historia vitae cit., p. 91: «tanquam ex rupe, aut minera ipsius Naturae, excisa et effossa». 151 Ivi, p. 117. 152 C. Pennuto, Simpatia, fantasia e contagio cit., cap. VII, p. 378. 148 48 contatto tra i corpi simili che si attraggono, occorre ammettere che qualcosa passi dall’uno all’altro: «e questo sarà o un corpo, o una qualche semplice forma materiale, oppure spirituale». Ciò che mette a contatto i corpi simili, e fa allontanare i corpi che si respingono, deve essere o una effluxio athomorum, un simulacro corporeo, come sostengono Democrito, Epicuro e Lucrezio, oppure una forma, secondo la dottrina aristotelica; quest’ultima, poi, può essere concepita come materiale o come spirituale153. Se l’alternativa viene posta con grande chiarezza, non è altrettanto chiara la posizione che Fracastoro assume a tale riguardo154. A suo parere, dalle forme naturali emanano specie spirituali, che per un «principio latente» sono responsabili della mutua attrazione o repulsione dei corpi: la «spiritualità» di tali specie a volte sembra da intendersi nel senso della sottigliezza; tali specie, cioè, sarebbero materiali, sebbene insensibili. Ci sono specie, tuttavia, che si propagano a distanze talmente grandi, che «ad atomos et corpuscula reduci posse non videntur», sebbene siano simulachra materialium: ad esempio, la luce (lumen) delle stelle, il sapore, l’odore, il suono, nonché le specie emesse dai monti di ferro e di magnete che si trovano ai poli terrestri, con le quali si spiega il moto dell’ago della bussola155. Quanto agli spiriti che fanno muovere le membra, essi certamente non sono fatti di atomi, perché hanno una natura «continua», come una «nube»156. Ma come può un principio spirituale e immateriale agire sui corpi? In che modo la species spiritualis costituirebbe un «agente dell’efflusso e del contatto»157, risultando compatibile con la fisica aristotelica e con la dottrina corpuscolare? Come possono le specie spirituali conservare «un rapporto di affinità con le forme materiali e dense da cui emanano»158? In altri termini, se le effluxiones sono species nel senso medievale del termine, forze o virtutes che si irradiano dai corpi e agiscono su di essi senza modificarne la costituzione materiale, in che modo questa dottrina, di evidente ascendenza neoplatonica, può essere considerata «complementare» al corpuscolarismo e alla teoria aristotelica della causalità159? Le opere di 153 Si veda la disputa storiografica tra Paolo Rossi, che fa di Fracastoro un atomista (Il metodo induttivo e la polemica anti-occultistica di Girolamo Fracastoro, in «Rivista critica di storia della filosofia», 9, 1954, pp. 485-99) ed Enrico Peruzzi, che rifiuta tale riduzione degli effluvia a trasmissione di corpuscoli, ed insiste sulla loro natura spirituale (Antioccultismo e filosofia naturale nel «De sympathia et antipathia rerum» di Girolamo Fracastoro, in «Atti e memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere ‘La Colombaria’», XLV (n. s. XXXI), 1980, pp. 43-131). La stessa posizione di Peruzzi era stata assunta da G. K. Chalmers, Three Terms cit. ed Effluvia cit. (p. 1037), che afferma «at root his science is not atomistic at all». 154 Neppure gli studi più recenti, come quelli di Hiro Hirai (Le concept de semence cit., cap. 3, § 5) e di Concetta Pennuto (Simpatia, fantasia e contagio cit., capp. IV e VIII, § 1) chiariscono definitivamente questo nodo concettuale. Hirai interpreta la specie spirituale di Fracastoro come la traduzione, nei termini della filosofia scolastica, dello spiritus mundi ficiniano; Pennuto attribuisce a Fracastoro una decisa «confutazione dell’atomismo» (p. 383), a favore di un corpuscolarismo di matrice aristotelica. Ma il primo ritiene necessario distinguere i semina contagionum che agiscono per contatto da quelli che agiscono a distanza, mentre la seconda si pronuncia a favore dell’immaterialità delle species, che «fluiscono in un istante dal corpo e si diffondono in circolo» attraverso un medium «lucido e trasparente» (cap.VI, p. 288). 155 G. Fracastoro, De sympathia et antipathia rerum, capp. V e VII, e De contagionibus, et contagiosis morbis, cap. V, in Opera philosophica et medica cit., pp. 14, 111. Si veda la recente edizione critica De sympathia et antipathia rerum, (a cura di C. Pennuto), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2008 e C. Pennuto, Simpatia, fantasia e contagio cit. 156 G. Fracastoro, De sympathia cit., cap. XVI, p. 69. 157 C. Pennuto, Simpatia, fantasia e contagio cit., p. 214. 158 Ibid., p. 177. 159 Ibid., pp. 175, 178, 198. 49 Fracastoro non contengono risposte a queste domande, né gli studiosi hanno finora chiarito il rapporto che intercorre tra i semina – a proposito dei quali anche i più decisi assertori dell’antiatomismo di Fracastoro160 ammettono l’influenza lucreziana – e le species spirituales161. Al di là delle oscillazioni e dell’esito dei suoi tentativi, c’è però in Fracastoro la stessa inequivocabile volontà di spiegare i mirabilia, sottraendo al dominio delle «proprietà occulte» quelle «qualità spirituali» che agiscono per simpatia e antipatia, che si troverà un secolo più tardi nella fisica di Gassendi162. «Exhalant nimirum ex omnibus his, ac circumquaque feruntur insensibilia corpora quorum diversae actiones sunt»163: per questo la cipolla fa piangere, e il pepe fa starnutire; tra questi corpi insensibili emessi nell’aria da tutto ciò che esiste, nella generale evaporatio di particulae, ci sono anche i seminaria contagionis, che agiscono sulla base di un’analogia con la «costituzione umorale del corpo ricevente»164. Nella Epitome naturalis scientiae (1618), Daniel Sennert riprende, condividendola, la definizione agrippiana delle qualità occulte: A seconda della nostra conoscenza, le qualità si dividono in manifeste e occulte. Manifeste sono quelle che si conoscono, e vengono apprese dai sensi con facilità, evidenza e immediatezza, come la luce delle stelle, la pesantezza e la leggerezza. […] Ma le qualità occulte o nascoste sono quelle non immediatamente note ai sensi, la cui forza è percepita mediatamente dagli effetti, ma il cui potere di agire è ignoto. Così vediamo che il magnete attrae il ferro, ma il potere attrattivo ci è ignoto e non è percepito dai sensi165. Sennert torna più volte su questo tema, che è centrale per la sua filosofia naturale, sulla quale deve fondarsi la pratica medica. Pur essendo fortemente critico verso Paracelso e i suoi seguaci, egli è infatti disposto ad ammettere, con i «chimici», l’esistenza di qualità occulte, sia nella natura, sia nell’uomo166. Nella Practica medicinae (1635), egli definisce le qualità occulte «actiones a tota substantia», derivanti dalle forme o sostanze delle cose. Dopo aver ricordato che il principio secondo il quale: «formae per qualitates efficaces esse» è un «trito assioma» dei filosofi, ammette che non è altrettanto chiaro di quanti generi siano le qualità, né quale sia la loro origine. Non esistono, infatti, soltanto le qualità manifeste, prime o semplici, riconducibili ai quattro elementi (caldo e freddo, secco e umido); si danno anche «molte azioni mirabili» – naturali, come gli odori («qualitatum elementarium nulla cum odoribus cognatio est»167) o preternaturali («quae supra vires ele- 160 Ibid., cap. IV, § 2. Al contrario, Vivian Nutton (The Seeds of Disease cit., p. 30) definisce l’eredità di Fracastoro «a new view of the universe based upon Lucretian atomism». 161 Cfr. supra, note 154-55. 162 Cfr. infra, cap. IV, § 1. C. Pennuto (Simpatia, fantasia e contagio cit., p. 19) attribuisce a Fracastoro «il tentativo di trasformare la materia dei mirabilia (tra cui il contagio) da oggetto della dossografia, delle scienze occulte, della magia neoplatonica e della medicina che su queste si fonda, in oggetto di un sistema di conoscenza dimostrativa di stampo aristotelico». 163 G. Fracastoro, De contagionibus cit., cap. V, in Opera philosophica et medica cit., cap. VII, p. 114. 164 C. Pennuto, Simpatia, fantasia e contagio cit., p. 19. Cfr. anche Vivian Nutton, The Seeds of Disease cit.; infra, cap. IV. 165 La citazione si trova in K. Hutchison, art. cit., p. 234. 166 Nel Tractatus de consensu et dissensu cit. (cap. VI, p. 727a), Sennert scrive: «Immo affirmare, et istud Chymicis concedere ausim, multas proprietates in homine esse occultiores». 167 D. Sennert, Practica medicinae cit., lib. VI, pt. I, cap. IV, p. 531a. 50 mentorum sunt»). L’elenco è quello consueto nel Seicento: l’attrazione del magnete e del ferro, l’avversione per i gatti, che induce sudori freddi e deliquio, i poteri lassativi o narcotici di alcune sostanze usate nella medicina, il veleno letale dei serpenti e degli scorpioni, il morso del cane rabbioso e della tarantola, il contagio della peste. Negare l’esistenza delle qualità occulte è un’opinione tra le più «dannose» per la fisica: chiunque la sostenga o è «imperito e ignaro» oppure è «impudente», perché nega l’evidenza168. Sennert sfida chiunque a spiegare le cause del tarantismo servendosi delle sole qualità manifeste, e sostiene con forza l’efficacia della musicoterapia in base al fatto che la tarantola è un «animal harmonicum»169. Benché infatti vi sia chi deride queste qualità, perché vengono dette occulte, definendole l’asilo dell’ignoranza, tuttavia in tal modo si finisce per accusare la debolezza della nostra mente nella ricerca dei segreti della natura, piuttosto che incolpare quelle qualità. Ove infatti si ricerchi la vera origine di queste qualità – indagine, questa, finora piuttosto trascurata – si potrà acquisirne una conoscenza non meno certa di quella delle qualità manifeste170. Sennert procede quindi a un’accurata classificazione delle qualità occulte (una delle più dettagliate nelle quali mi sia imbattuta), distinguendo le qualità proprie delle sostanze viventi – sia dei singoli individui, come le intolleranze alimentari o l’insensibilità ai veleni, sia di una certa specie, come i poteri della torpedine e dell’echeneide – da quelle che appartengono alle sostanze non viventi, come l’attrazione magnetica, o non più viventi, come la radice di peonia, efficace contro l’epilessia, o il corno di cervo e il rospo essiccato, efficaci contro i veleni. Vi sono, infine, qualità proprie di una parte non vitale di una sostanza vivente, come la saliva del cane rabbioso171. Per quanto riguarda i tentativi di spiegazione dell’azione a distanza, Sennert deve molto a Fracastoro, e sin dalle Institutiones medicinae (1611), riconosce apertamente il suo debito; è vero, infatti, che «omnis actio fiat per contactum», ma il contatto può essere di due specie: corporeo o «virtuale». In quest’ultimo caso, il confine con un’actio in distans è molto labile: ciò che passa da un corpo all’altro, causandovi un dato effetto, è un effluvium, altrimenti detto avpovrroia o species. Si tratta di emissioni di materia sottile, species spiritales atomiche, impercettibili ma capaci di produrre quei fenomeni solitamente attribuiti alla simpatia e all’antipatia. A volte si tratta di racconti largamente favolosi, come quelli relativi allo sguardo letale del basilisco; ma altre volte si tratta di fatti indubitabili, come la paralisi indotta dalla torpedine nella mano del pescatore, o gli aliti e gli odori velenosi e nocivi172. È da notare che, nei ventiquattro anni che separano le Institutiones dalla Practica, Sennert finisce per differenziare il significato degli effluvia da quello delle species: i primi sono 168 Ivi, lib. VI, pt. I, cap. I, p. 521a-b e cap. II. Ivi, tomo II, lib. I, pt. II, cap. XVII, p. 423a. 170 «Etsi vero nonnulli qualitates has, quia occultae nominantur, derident, ac ignorantiae asylum appellant: tamen imbecilla mentis nostrae acies ad investiganda naturae penetralia hoc modo potius accusatur, quam qualitates hae culpantur. Si enim vera qualitatum harum origo, de qua non ita multi solliciti fuerunt, inquiratur, eius cognitio non minus certam scientiam parit, quam qualitatum manifestarum notitia»: ivi, tomo III, lib. VI, pt. I, cap.II, p. 524a-b. 171 Ivi, cap. III. Sulle qualità occulte Sennert torna ancora ampiamente un anno dopo, nel secondo libro degli Hypomnemata physica (1636), in Opera omnia cit., vol. I. 172 Ivi, lib. II, cap. IV; Institutiones medicinae cit., vol. I, lib. II, pt. II, cap. XII. Sul basilisco, si veda anche Practica medicinae cit., lib. VI, pt. VIII, cap. XII. 169 51 flussi impercettibili di atomi, o corpuscoli, capaci di diffondersi nell’aria entro brevi distanze; le seconde sono emanazioni «spirituali» delle sostanze, come la luce, i suoni e gli odori, suscettibili di una trasmissione anche molto ampia (come nel caso della luce solare), all’interno di una sfera dotata di una determinata estensione. Sennert avanza il sospetto che, oltre alle suddette species sensibili, ne esistano molte altre che sfuggono ai nostri sensi173. La distinzione tra effluvi e specie, tuttavia, non doveva essere stata molto profondamente assimilata da Sennert, se poco oltre finisce per dimenticarla, nella sua trattazione del fascino174. A più di un secolo dall’opera di Agrippa, l’accresciuta insoddisfazione dei filosofi verso le qualità occulte viene chiaramente espressa da Galileo Galilei nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632) e da Thomas Hobbes nel Leviathan (1651). L’astronomo fiorentino, per bocca di Sagredo, stigmatizza l’uso dei concetti di simpatia e antipatia nella filosofia magnetica: «E così con questi due nomi si vengono a render ragioni di un numero grande di accidenti ed effetti, che noi veggiamo, non senza meraviglia, prodursi in natura»175. Tali qualità sono quelle che i filosofi delle scuole e delle università «non conoscono e che quindi (pensano loro) nessun altro conosce, come la simpatia, l’antipatia, […] e altri termini simili a questi, che non significano né l’agente che li produce, né l’operazione da cui sono prodotti»176. Caspar Schott, contemporaneo di Hobbes, attribuiva ai demoni la conoscenza di quelle «virtù occulte nascoste nelle erbe, acque, succhi, gemme, animali e uomini»: quindi, mentre gli esseri umani, da soli, possono produrre effetti «artificiali» come gli innesti di piante, la distillazione delle acque o la preparazione di medicamenti, i demoni – che possiedono «intellectum perspicacissimum, rerum naturalium cognitionem longe maximam, vires naturales valentissimas, diuturnam insuper ac multiplicem experientiam» – possono compiere, da soli o per mezzo dei maghi loro alleati, opere ben più eclatanti, come la produzione di venti, tempeste, bufere, terremoti e immagini illusorie, il trasporto o l’occultamento dei corpi, la loro guarigione e la restituzione della giovinezza. I prodigi dei demoni, tuttavia, non rientrano nel dominio del soprannaturale: «naturae cancellos non trasgrediuntur»177. 173 Ivi, lib. V, pt. IV, cap. X, p. 400b: «Et probabile est, plures esse eiusmodi species, quam quot nostris sensibus percipiuntur». 174 Cfr. infra, pt. II, cap. II, § 5. 175 G. Galilei, Dialogo dei massimi sistemi, a cura di F. Flora, Milano, Mondadori, 1996, p. 422. 176 T. Hobbes, Leviatano cit., parte IV, cap. XLVI, § 29, p. 1097. 177 C. Shott, Physica curiosa cit., vol. I, lib. I, pars II, cap. XVIII, p. 67, cap. XIX, § II, p. 73, cap. XXIX. 52 CAPITOLO SECONDO LA NATURA «CURIOSA»: I LIBRI DI SEGRETI E LA STORIA NATURALE Intanto nessuno tema la moltitudine dei particolari; anzi, proprio questo sia motivo di speranza. (F. Bacon, Novum organum, I, 112) 1. I segreti della natura L’indagine della natura «curiosa», dei fenomeni «magnetici» e delle cure «meravigliose» nel XVI e nel XVII secolo non può passare sotto silenzio i «libri di segreti» – dei minerali, delle piante, degli animali, dell’uomo sano e malato – che furono allo stesso tempo un genere letterario di successo e un modo di pensare la natura, un aspetto della storia naturale. Nel suo importante libro dedicato alla Scienza e i segreti della natura, William Eamon individua nel «carattere utilitaristico» dei «libri di segreti» e nella «concreta visione sperimentale» sulla quale erano basati i tratti distintivi di quelle raccolte di ricette, già diffuse nel Medioevo, che conobbero la massima diffusione, in Italia e in Europa, nel XVI secolo. Tali caratteristiche, riassumibili nella diffidenza che i «professori di segreti» nutrivano verso la «teoria», distinguerebbero le loro opere dai «trattati reconditi sui fondamenti della magia»1. Giova, tuttavia, riportare l’osservazione di Lynn Thorndike, secondo il quale: «l’occulto e il magico costituivano ancora un elemento importante nelle trattazioni cinquecentesche delle piante e degli animali, così com’era avvenuto per quegli autori antichi e medievali, verso i quali esse erano ampiamente debitrici»2. Non è certo un caso che uno dei più importanti libri di segreti, nel Cinquecento, rechi il titolo di Magia naturalis: il napoletano Giambattista Della Porta lo pubblicò una prima volta nel 1558, e poi di nuovo nel 1589. D’altra parte, quello che Eamon afferma degli autori dei libri di segreti, i quali «raramente si domandarono perché determinate ricette non funzionassero. Né utilizzarono esperimenti per convalidare le proprie teorie. Gli esperimenti erano per loro prova dell’efficacia delle ricette oppure tentativi di migliorarle»3 si può estendere tranquillamente alle opere di molti maghi, e di molti scrittori di storia naturale. In un saggio di parecchi anni fa, Massimo Luigi Bianchi ha messo in luce il legame tra l’aspetto occulto delle dottrine mediche rinascimentali e il loro carattere empirico: se si ignorano le cause dei fenomeni – naturali o morbosi che siano – si è costretti ad attenersi agli effetti, ragionando a posteriori; a «procedere a tentoni, cercando caso per caso»4. È questo il caso degli autori di libri di segreti, ma anche di molti medici e maghi nel XVI e nel XVII secolo, oltre che, suo malgrado, di un filosofo naturale come Francis Bacon. 1 W. Eamon, op. cit., pp. 18 e 291. L. Thorndike, op. cit., vol. VI, p. 292. 3 W. Eamon, op. cit., ibid. 4 M. L. Bianchi, Occulto e manifesto cit., pp. 217-18 e 232-33. 2 53 Cosa sono, e quali sono, i «segreti» della natura nell’età moderna? È possibile, ed è utile, distinguere i libri di segreti da quelli di magia? Quali sono i rapporti tra i primi e la storia naturale? È vero che i libri di segreti rappresentano l’«anello mancante» tra il Medioevo e gli «esperimenti» baconiani, che «la rivoluzione scientifica scoprì e neutralizzò i segreti della natura», e che, a partire «dal XVIII secolo, tali segreti furono null’altro che tecniche»5? A queste domande si cercherà di dare una risposta in questo capitolo, e in quelli successivi. Tanto per cominciare, Eamon ha trascurato l’unica opera cinquecentesca che si proponga di fornire i «princìpi» dei segreti di natura: il De secretis di Girolamo Cardano (1562) contiene una vera e propria tassonomia dei segreti, propedeutica alla loro successiva trattazione. Il medico milanese offre una serie di classificazioni: innanzitutto, i segreti possono essere o fenomeni per il momento ignoti, ma destinati a non rimanerlo (incognitum, quod tandem in lucem veniet), o effetti noti a pochi (cognitum paucis, quod maxime in precio est), oppure noti a molti, ma privi di cause apparenti6; possono riguardare la sapientia, l’utilitas (vivere più a lungo e in buona salute, fare qualcosa meglio, o più facilmente) o il lucrum (come i segreti dell’alchimia); alcuni sono «grandi» (come la cura della peste), altri «mediocri» (come la cura della febbre quartana), altri ancora levia (come la cura della scabbia). Vi sono, inoltre, segreti «perfetti» – tali, cioè, che i loro effetti si realizzano immancabilmente – altri che si verificano spesso, e altri ancora raramente; alcuni riguardano le cose che si fanno (ad esempio, la composizione del cemento), altri le azioni («ea quae ad robur et agilitatem pertinent»), e altri ancora i praestigia («ipsa praestigiatrix ars tota secreta esse videtur»). A volte si ricercano le cause ignote di ciò che è noto; altre volte, invece, si traggono da princìpi espliciti (come quelli della geometria di Euclide) conseguenze ancora ignote: in ciò consiste l’opera dell’ingegno umano7. L’erudizione e il ragionamento, tuttavia, non esauriscono l’euristica dei segreti: ad essa contribuiscono anche l’intuizione, l’inferenza per analogia, la rivelazione, ad esempio tramite i sogni, e infine la fortuna e il caso. In totale, Cardano calcola ben duecentottanta tipi di segreti, che distribuisce in uno schema di cento libri: afferma di averne già trattati molti, «sed non generaliter, nec perfecte: quae autem latent, multo utiliora sunt, et sine numero». Essi riguardano, ad esempio, l’ottica, ma anche la caccia e la pesca; il magnete (al quale sono dedicati ben due capitoli) e i poteri delle pietre e delle gemme, l’aritmetica e l’agricoltura, la scultura e il gioco dei dadi, l’arte della memoria e l’ars solvendi fascinationes8. Vi sono segreti che un tempo erano noti, e poi si sono perduti, come quelli delle erbe medicinali e un vetro duttile come il cristallino dell’occhio, «si fides Plinio habenda»; altri segreti, invece, oggi conosciuti, in passato non lo erano: tra tutti, i più utili sono la bussola, la stampa e la polvere da sparo. In questa opinione, Francis Bacon ha avuto, come si vede, un precursore che è sfuggito, finora, agli studiosi del suo pensiero9. 5 L. Thorndike, op. cit., pp. 25 e 19. G. Cardano, De secretis, cap. II, in Opera omnia cit., vol. II, pp. 537-51 (p. 537b). 7 Ivi, cap. III. 8 Ivi, capp. VI, VIII e IX, p. 543b. 9 Ivi, cap. XIX, p. 548b: «Sed ex omnibus utilissima tria: pyxis nautica, typographica, igneae machinae ad summam admirationem: tum detecta horum auxilio reliqua orbis pars, omnibus incognita antiquis, quae maior est longe illorum notitia». 6 54 Cardano non trascura di elencare i requisiti dei ricercatori di segreti: giudizio ed esperienza, per quelli fisici; ingegno e perizia, in quelli matematici; negli artifici senso, ragione ed esperienza; nei falsi prestigi, l’agilità delle mani; nei segreti, infine, che vengono dalla «mente», imaginandi vis praeclara, come quella che si trova nei bambini e nelle donne gravide, nonché in lui stesso10. Da un lato, Cardano è convinto che la sottigliezza dei fenomeni naturali – cioè l’oscurità delle loro cause – non debba scoraggiare gli onesti ricercatori («licet nondum inventa, secreta dici non merentur»11); dall’altro lato, non è auspicabile che i segreti diventino communia: «secreta si evulgentur, nobilitatem et splendorem amittunt»12. Vi sono, inoltre, cose impossibili, segreti che non si potranno mai scoprire, perché eccedono la natura: ad esempio, la trasformazione dei metalli in oro, perché «species rerum non possunt transmutari: ut non ex ove bos, ita nec ex aere aurum»; fanno eccezione, però, le cose simili, come il rame e il ferro, o le gemme più dure e quelle più molli. Altri segreti sono meccanici; non riguardano, quindi, la natura, ma l’arte, come il volo: «Volare quidam cupierunt, nonnulli etiam tentarunt: ad machinas hoc pertinet»13. Alcuni segreti, infine, sono falsi, e non devono essere tramandati: ne sono piene le pagine dei «chimici», dei negromanti e dei ciarlatani (agyrtae). Le parole e le figure, ad esempio, non possiedono alcun potere: quanto a un eventuale patto con i demoni, che potrebbe conferirglielo, occorre prima stabilire se i demoni esistono, e in secondo luogo, se comprendono le nostre nugae; non è una questione di ingegno, che certo ai demoni non manca, ma di commensurabilità dei linguaggi: anche gli uomini, infatti, non capiscono l’«ordine» e le «partizioni» delle formiche, pur avendo un’intelligenza molto superiore a quella degli insetti14. Il successivo dibattito sui segreti e sulla physica curiosa deve molto a Cardano: il suo atteggiamento critico verso la magia, del quale ho già parlato a proposito dei demoni, la teorizzazione di un metodo capace di coniugare le generales rationes con gli experimenta giustificano pienamente la sua orgogliosa rivendicazione di modernità, non solo nei confronti dei filosofi antichi, come Aristotele e Galeno, ma anche nei confronti dei medievali, come Avicenna e Averroè15. È vero, però, che dei segreti vengono di solito fornite soltanto le ricette, senza spiegazioni: lo stesso Cardano, dopo aver diffusamente elencato i molteplici segreti della calamita, si limita ad attribuirli alla simpatia e all’antipatia. La descrizione dei casi oscuri e prodigiosi presenti nel mondo minerale, vegetale e animale assomiglia spesso all’esibizione di una Wunderkammer. Gli autori dei libri di segreti sono spesso medici, come la maggior parte dei maghi neoplatonici e dei filosofi aristotelici16: il nobile fiorentino Antonio Benivieni (1443-1502) fu 10 Ivi, cap. XVIII. Ivi, cap. I, p. 537a. 12 Ivi, cap. XIV, p. 544b. Cfr. anche il cap. XXV. 13 Ivi, cap. XXIII, p. 550a. 14 Ivi, capp. XX e XXV. 15 Ivi, cap. V. Per il metodo teorizzato da Cardano, cfr. cap. XVII, p. 547b: «Ex quo patet, aberrare illos, qui generales rationes secreta perquirendi putant esse inutiles: non minus his qui totam artem ad generalia et rationem traducunt. Sed necesse est rationibus experimenta excolere, distinguere, declarare aut rationibus inventa, experimentis confirmare. Sed hoc omisisse, maior est error, hominesque ridiculos facit» (il corsivo è nostro). 16 Come hanno scritto L. Daston e K. Park (op. cit., p. 148), «i medici erano il principale gruppo intellettuale della prima età moderna che possedeva una preparazione avanzata nello studio della natura. […] 11 55 medico, amico e seguace di Girolamo Savonarola, membro dell’Accademia platonica di Marsilio Ficino e curò la figlia di Lorenzo de’ Medici. Malgrado la grande fama di chirurgo e ostetrico di cui godette, non pubblicò nulla durante la sua vita: l’opera De abditis nonnullis ac mirandis morborum et sanationum causis liber venne pubblicata postuma dal fratello, il poeta e letterato Girolamo, che trovò numerosi appunti di casi clinici manoscritti e li fece esaminare dal medico Giovanni Rosati, prima di darli alle stampe, presso la tipografia giuntina a Firenze, nel 1507. Tra i morbi «nuovi» e «ammirandi» elencati senza ordine e senza alcun tentativo classificatorio, c’è il caso di un bambino che aveva l’ombelico prominente «ad penis similitudinem», quello dello smemorato che recupera la memoria, di una ragazza aretina affetta da un’epilessia che scompare con il menarca, dei gemelli siamesi e dell’urina evacuata attraverso l’ano. Vi sono casi che eccedono la medicina, come quello di una donna «a spiritu malo oppressa» del quale a stento osa scrivere, anche se ne è stato testimone diretto, e che descrive nei termini consueti della possessione demonica (urla e salti prodigiosi, vomito di lunghe e ricurve chiavi di bronzo, palle di cera e capelli, capacità di vaticinare), o quello del soldato, irremediabilmente trapassato da una freccia e guarito da un mago (hariolus) per mezzo di formule (carmina). Ma vi sono anche «evidenti miracoli» che la sua perizia è stata in grado di compiere: un ginocchio sanato, una donna che sopravvive dieci anni a un intervento di isterectomia, padre e figlio colpiti da un fulmine, e rimasti «attoniti», che si riprendono dopo una settimana di terapia a base di frizioni e salassi17. Nel 1548, un altro medico, Jean Fernel, pubblicò a Parigi un’opera scritta in forma di dialogo, dal titolo quasi identico a quello dell’opera di Benivieni: De abditis rerum causis, dedicandola al re Enrico I. Non c’è traccia, qui, di casi prodigiosi e guarigioni miracolose; accanto al consueto elenco di fenomeni oscuri e «segreti» – il passaggio delle voglie materne al feto, lo sguardo letale del basilisco e la paralizzante torpedine marina, i demoni buoni e cattivi, la fascinatio visus e il lapis philosophicus, ma anche l’attrazione del magnete per il ferro, le pestilenze di ogni genere e il morso del cane rabbioso – manca del tutto l’indagine delle «cause nascoste», che rimangono tali18. Fernel e Benivieni sono tra le fonti privilegiate del fortunato Des monstres et prodiges, pubblicato a Parigi nel 1573 dal chirurgo Ambroise Paré (1509-90). Le molte storie mirabili lì raccolte vengono distribuite seguendo un elenco di cause – di natura sia fisica, sia teologica, sia accidentale – premesso all’opera, che ne costituisce la struttura portante: vi rientrano la gloria di Dio e le errate posture assunte dalla gestante, l’angustia dell’utero e la sovrabbondanza o la scarsità del seme, i demoni e l’immaginazione19. Quasi mezzo secolo più tardi, Fortunio Liceti, medico e professore a Padova, svilupperà e tradurrà nei termini dotti della filosofia scolastica i popolari elenchi e gli ingenui racconti del francese20. Nel tempo essi svolsero il ruolo di principali mediatori culturali nel campo dell’indagine naturale e furono gli uomini che assimilarono, svilupparono e diffusero approcci nuovi allo studio della natura, sia in ambito latino che volgare». 17 A. Benivieni, De abditis nonnullis ac mirandis morborum et sanationum causis liber, Basileae, apud A. Cratandrum, 1529. Cfr. G. Cosmacini, Storia della medicina e della sanità in Italia, Roma-Bari, Laterza, 1998, pp. 86 sgg. 18 J. Fernel, De abditis rerum causis, Lugduni, apud B. Vincentium, 1605. 19 A. Paré, Des monstres cit., cap. I, p. 4. Cfr. infra, parte II, cap. II, § 4. 20 Nell’opera De monstruorum causis, natura et differentiis cit., pubblicata a Padova nel 1616. 56 Di mostri e prodigi abbondano anche i cinque libri delle Histoires prodigieuses (1578), scritti da autori diversi: soprattutto nel primo, Pierre Boaistuau indulge in resoconti circostanziati di nascite insolite, possessioni diaboliche, apparizioni di spiriti e amori prodigiosi, straordinarie proprietà di pietre, piante e animali. In particolare, la galleria di mostri effigiati – gemelli siamesi, ermafroditi, centauri, sirene e molti altri fantastici esseri ibridi – compare, quasi identica, anche nelle opere di Paré, Liceti, e più tardi, di Schott21. Nel 1552 era uscita l’opera De remediis secretis, pubblicata dal naturalista svizzero Konrad Gesner con lo pseudonimo di Evonymus Philatros22; tre anni più tardi, appaiono a Venezia i Secreti del reverendo donno Alessio piemontese: quest’opera, che «fu un bestseller immediato», inaugurava, a detta di Eamon, una nuova stagione nella letteratura dei segreti, della quale erano destinati a mutare «la forma, il contenuto e il pubblico designato»23. I libri di segreti, cioè, divengono veri e propri ricettari – stilati non solo e non principalmente sulla base delle fonti antiche e classiche, ma soprattutto giovandosi della frequentazione di «chirurghi, empirici, gentiluomini, casalinghe, monaci e comuni contadini»24 – successivamente filtrati e divulgati presso un «pubblico vasto ed entusiasta, laico e professionale»25, allo scopo di contribuire alla pubblica utilità. L’identità di Alessio Piemontese è a tal punto ignota e incerta, che dodici anni più tardi il viterbese Girolamo Ruscelli, fondatore dell’Accademia romana dello Sdegno, nel frontespizio dei suoi oltre mille Secreti nuovi – medici, cosmetici, tecnici, alchemici – pubblicati postumi, può affermare, senza troppa paura di smentite, di avere utilizzato quel nome come pseudonimo26, mentre Caspar Schott, più di cento anni dopo, è certo che Alessio Pedemontano abbia spacciato per arte e medicina ciò che gli veniva soltanto dalla potenza del Maligno27. In pieno Seicento, Sir Kenelm Digby (1603-65) stilerà elenchi di «nuovi rimedi» e «rari segreti» dello stesso genere di quelli di Gesner, di Alessio Piemontese e di Della Porta: ricette per fare l’oro potabile e per preservare la bellezza delle signore, per conservare frutta tutto l’anno e per trasformare, d’estate, l’acqua in ghiaccio28. Come accadeva nell’opera di Alessio Piemontese, alcune ricette di Digby sono lunghe e complicate, richiedono l’uso di storte e di alambicchi: la preparazione di un rimedio si può protrarre anche per quaranta giorni. Gli ingredienti, inoltre, sono i più vari: se Ruscelli utilizzava sangue di drago, sterco di bovi e di sorci, grasso di porco e testicoli di cavallo, oltre agli scorpioni (di uso comune) e a intere scodelle di lombrichi, e proponeva l’«olio di cane rosso» contro la paralisi, Digby si serve dell’oro e del mercurio, della cresta di gallo e del tuorlo d’uovo, degli asparagi e dell’erba cipollina, della camomilla e del sapone, di urina umana, 21 P. Boaistuau et al., Histoires prodigieuses cit. Gli autori degli altri quattro libri sono Claude de Tesserant, François de Belleforest, Rod. Hoyer e Arnauld Sorbin. 22 [K. Gesner], De remediis secretis, Tiguri, per Andream Gesner, F. & Rodolphum Vuyssenbachium, 1552 e De remediis pars secunda, Tiguri, excudebat Christophorus Frosch, 1559. 23 W. Eamon, op. cit., p. 205. L’ultima edizione dei Segreti di Alessio Piemontese venne pubblicata nel 1780: cfr. ivi, p. 520. 24 W. Eamon, op. cit., p. 218. 25 L. Daston, K. Park, op. cit., p. 128. 26 I dubbi sull’identità di Alessio Piemontese non sono stati risolti: cfr. W. Eamon, op. cit., cap. IV. 27 C. Schott, Physica curiosa cit., vol. II, lib. XII, cap. I. 28 De’ secreti del Reverendo Donno Alessio Piemontese, in Venetia per Comin da Trino, 1557; K. Digby, Nouveaux remèdes et rares secrets, tirez des memoires de Monsieur le Chevalier Digby, Anvers, chez Theodore Spits, 1678. 57 feci di cavallo e denti di morti (capaci di curare, per simpatia, il mal di denti dei vivi), dell’ammoniaca e dell’alloro, della cera e della mirra, del rosmarino e dell’oppio, di anice e aceto, burro, miele e limone, lardo e rape, cannella e noce moscata, balsami e nocciole, alchermes, fragole, corallo e boccioli di rose rosse29. Contro questa «pratica di adulterare le medicine con ingredienti complessi e contraddittori»30, che era tipica dei seguaci di Paracelso, si schiera il medico senese Pietro Andrea Mattioli, che pubblica a Venezia, nel 1544, la traduzione dei Discorsi ne i sei libri della materia medicinale di Pedacio Dioscoride Anazarbeo: si ritrovano, nella sua opera, la stessa erudizione umanistica e mancanza di sistematicità che caratterizzeranno, nel decennio successivo, le opere, parimenti fortunate, di Giulio Cesare Scaligero. Nei suoi commentari al testo di Dioscoride (I sec. d. C.), destinati a diventare «l’autorità indiscussa nella botanica e nella farmacologia» rinascimentale e moderna31, Mattioli confronta e critica le numerose historie che i naturalisti ci hanno tramandato sui prodigi di natura, come il basilisco, il chameleone, i morsi del cane rabbioso, l’elettro, il magnete e la torpedine marina, la tarantola e la salamandra32. Uno tra gli autori di libri di segreti dalla biografia più «irregolare», il discusso medico e chirurgo (o ciarlatano) bolognese Leonardo Fioravanti, «avido studente e apprendista di alchimia»33, afferma addirittura di aver trovato la pietra filosofale («questa è la pura et santa verità, ma dubito che non sarà creduta34»), e ne dà la ricetta nei Capricci medicinali (1561), insieme a quelle di un «elettuario angelico» capace di guarire tutte le malattie – sia interne, sia esterne – e di un «magno licore» o «artificiato balsamo», efficace in ogni genere di ferite. Fedele alla sua convinzione, secondo la quale «la medicina consiste nell’herbe, negli animali et nelle pietre»35, e al suo metodo empirico e «naturale», strettamente personale e sprezzante di ogni teoria – sia galenica, sia chimica –, Fioravanti vuole insegnare al medico l’interpretazione dei «segni delle cose naturali», prima di mostrargli «il modo di fare varij, et diversi medicamenti utilissimi», e, per finire, molti «capricci» alchemici – non ultimo, il segreto per far «crepare il mondo» con salnitro e zolfo. La «scientia, et arte della alchimia» è infatti di fondamentale importanza per il medico: non solo per l’arte distillatoria, che serve alla preparazione dei rimedi medicinali, ma perché il corpo umano è in sé stesso un laboratorio, al cui interno si possono eseguire le stesse operazioni alchemiche fondamentali (preparazione o pulitura, calcinazione, soluzione, congelamento o solidificazione, fissazione, proiezione) eseguite sui metalli e sui minerali, allo scopo di operare la trasformazione dalla malattia alla sanità, così come si può trasformare l’argento in oro. Fioravanti non manca di fornire numerose ricette di altrettante panacee, più o meno universali: l’«aromatico Leonardi», la «nostra quinta essentia», un «elixir vitae», l’«oro potabile» e un altro «olio di vetriolo», «il nostro balsamo artificiato», un’«acqua reale» fatta di zolfo giallo e allume di rocca, nonché uno sciroppo contro 29 Id., Remedes souverains et secrets experimentez, avec plusieurs autres secrets et parfums curieux pour la conservation de la beauté des Dames, Paris, chez Guillaume Cavelier, 1689 (prima ed. 1684). 30 W. Eamon, op. cit., pp. 287-88. 31 A. Clericuzio, La macchina del mondo, Roma, Carocci, 2005, p. 26. 32 P. A. Mattioli, Discorsi ne i sei libri della materia medicinale di Pedacio Dioscoride Anazarbeo, in Vinegia, nella bottega d’Erasmo, appresso Vincenzo Valgrisi e Baldassar Costantini, 1557. 33 W. Eamon, op. cit., pp. 286-87. 34 L. Fioravanti, Dello specchio di scientia universale, Venetia, Andrea Ravenoldo, 1567. 35 Ivi, p. 12. Su Fioravanti, si veda W. Eamon, op. cit., cap. V. 58 l’«humor malenconico»36. Ma, come Della Porta, occulta «altri secreti» sotto un linguaggio cifrato, rimandando, per l’ulteriore «secreto» di tale lingua, allo Specchio di scientia universale (1564); in tale opera, però, non vi è traccia del promesso disvelamento. Pur criticando l’alchimia, che non produce risultati e porta alla rovina chiunque la pratichi, Ulisse Aldrovandi (1522-1605), professore di logica e filosofia, e successivamente di scienze naturali all’Università di Bologna, parla dell’oro potabile o aurum vitae, capace di curare tutte le malattie e di conservare la giovinezza, operando il rinnovamento degli spiriti vitali del corpo; tuttavia, non devono essergli giunte le ricette del suo concittadino Fioravanti, dato che afferma che tutti gli «autori chimici» che hanno descritto la preparazione di tale sostanza sono morti37. Nel Musaeum metallicum, che venne pubblicato postumo nel 1648, le sezioni nelle quali si articola la trattazione dei diversi argomenti hanno titoli significativi, come «Historica», «Miracula», «Somnia», «Sympathia et Antipathia», «Prodigia», «Mystica», «Moralia» e «Simulacra». Vi sono descritti gli usi medicinali di pietre e metalli: tra gli esempi, degni di Agrippa, c’è la pietra etite, che appesa al collo, scaccia la malinconia e le passioni dell’anima, cura l’epilessia, e, applicata a qualunque parte del corpo, ne toglie il dolore38; la limatura di ferro, che costituisce un rimedio efficace contro la sudorazione dei piedi; vi sono pietre che nascono nella testa dei pesci, dei serpenti o dei draghi, e pietre «pregne» di altre pietre; il rame cura le malattie degli occhi e l’oro la lebbra e la malinconia; «infiniti giovamenti» si possono trarre dalla mummia39. Opere come quelle di Aldrovandi non soltanto continuarono a soddisfare gli standard della storia naturale seicentesca […], ma vennero accolte di buon grado da Buffon nei suoi egualmente voluminosi libri di storia naturale40. Ai venti libri della Magia naturalis (1589), «in quibus scientiarum naturalium divitiae, et delitiae demonstrantur», Giambattista Della Porta – che fu «l’unico fra i professori di segreti ad aver guadagnato una reputazione importante per il suo lavoro scientifico fra i contemporanei»41, tanto da essere uno dei primi membri dell’Accademia dei Lincei – fece seguire un Index secretorum. Tra le esperienze curiose riportate da Della Porta, ci sono esempi di generazione spontanea, come l’anguilla che nasce dal fango o le api da un bue; vi si trova la trattazione dei fuochi d’artificio e degli specchi ustori, la produzione di ibridi vegetali e animali tramite innesti e incroci; ci sono ricette per rafforzare i denti e per conservare a lungo i cadaveri, per eliminare i pidocchi delle piante e produrre dentifrici o fucili, per togliere le rughe dalla fronte e far parlare una statua, per liberarsi dalle pulci e far sbiancare l’edera, nonché per estrarre l’elisir dai metalli, dalle gemme e dalle piante. Sono esemplari l’inizio e la fine della Magia naturalis: quest’opera si apre con un libro De mirabilium rerum causis e si chiude con un Chaos di esperimenti «vari e diversi», non classificabili tra gli argomenti dei libri precedenti: vi si apprende in che modo rendere 36 L. Fioravanti, De’ capricci medicinali libri quattro, in Venetia, appresso gli Heredi di Melchior Sessa, 1582, libb. II e III. 37 U. Aldrovandi, Musaeum metallicum cit., pp. 8, 67. 38 Ivi, p. 588. 39 Ivi, pp. 795, 403. 40 L. Thorndike, op. cit., vol. VI, p. 296. 41 W. Eamon, op. cit., p. 209. 59 potabile l’acqua del mare o far muovere le pietre, come costruire uno strumento capace di farci udire anche a grandi distanze o aumentare con l’inganno il peso di qualcosa. La ricerca di cause, anche quando è presente, non può mai coprire la varietà estrema dei «segreti» magici presenti nei tre regni del mondo naturale «elementale», che devono essere affidati a «ricette» puramente descrittive e prescrittive, non esplicative. «Si raccolgano garofani nel mese di maggio…»: è il primo ingrediente di Della Porta per confezionare un rimedio contro la peste: se da un lato è innegabile che «il segreto di una ricetta consiste nella sua povertà intellettuale», occorre sempre tenere presente che il caos, altrimenti detto varietas rerum, è un aspetto ineliminabile e necessario di una natura «demonica», più che divina42. Le opere dedicate a casi medici straordinari continuarono a fiorire nel XVII secolo. I segreti dell’anatomia vennero raccolti nelle sei Historiarum anatomicarum rariorum centuriae (1654-1661) dal danese Thomas Bartholin, che fu medico del re Cristiano V di Danimarca. Negli stessi anni, Pierre Borel, autore della prima biografia cartesiana, pubblica quattro Historiarium et observationum medico-physicarum centuriae (1656), alle quali sono unite le Observationes medicinales comunicate allo stesso Borel da Isaac Cattier, medico del Re Sole. I consueti, amplissimi cataloghi di casi «utili», «rari», «stupendi» e «inauditi» sono gli stessi che si trovano nella Magia naturalis di Della Porta, nella Physica curiosa di Caspar Schott – che riprende molte delle prodigiose illustrazioni di mostri presenti nell’opera di Ambroise Paré – o negli impegnativi volumi kircheriani, ma senza l’impianto teorico caratteristico delle opere dei gesuiti. Le cause, laddove si possono individuare, sono limitate alla singola instantia: ad esempio, l’uomo diventato zoppo a quindici anni in seguito a una caduta genera due figli che alla stessa età del padre, senza alcun motivo, divengono zoppi a loro volta. Questo accade perché il seme, che è la sostanza più pura di tutto il sangue, conserva l’idea, o la forma, delle parti del corpo nelle quali il sangue scorre: quindi, le imperfezioni fisiche dei genitori vengono ereditate dai figli. Ma perché allora i figli dello zoppo non nascono zoppi? Richiamandosi all’autorità di Paracelso, Borel parla di una lotta (pugna) che il seme materno intraprende, per diversi anni, contro quello paterno: nel caso dello zoppo, il seme paterno finisce per prevalere43. La maggior parte dei casi descritti sono prodigi inspiegabili, o casi clinici risolvibili per pura empiria: c’è chi vomita pesci vivi, vi sono puellae hirsutae e ciclopiche, corna lunghe tre dita estirpate chirurgicamente e tumori a forma di tartaruga, un feto bicipite nato morto, dissezionato alla presenza del principe di Condé, un serpente espulso dall’ano di un fanciullo, una ragazza priva di vagina, che urinava dall’ombelico; ci sono le autopsie compiute da Cattier su infanti variamente mostruosi, per poco tempo sopravvissuti; storie di streghe (a proposito delle quali Borel afferma: «non dubitandum esse de earum realitate») e di fascinazioni, una ricetta per fare l’inchiostro invisibile, donne che diventano demoniacae per la ritenzione del mestruo e l’eccesso di bile nera, uomini morsi da cani rabbiosi, curabili con l’applicazione delle sanguisughe, la scarnificazione delle parti avvelenate, la teriaca e i bagni di mare44. 42 G. B. Della Porta, Magiae naturalis libri XX, Neapoli, apud Horatium Salvianum, 1589; W. Eamon, op. cit., p. 523. 43 P. Borel, Historiarium et observationum medico-physicarum centuriae IV, Parisiis, apud Ioannem Billaine et viduam Mathurini Dupuis, 1656, cent. I, obs. VII. 44 Ivi, cent. I, obss. LI, LXXIV, LXXVIII, XCI, XCII; cent. II, obss. VI, LVII; cent. III, obs. III. 60 Caspar Schott: Fanciulle pelose 61 Mentre rivendica il necessario esercizio del dubbio nei confronti delle historiae magicae, spesso non degne di fede, Borel confessa che è ben difficile trovare le cause naturali («difficillimum inveni causam eius rei naturalem»45) di fenomeni prodigiosi come il bambino gigantesco che a diciotto mesi ha raggiunto la statura di un adulto: ciò potrebbe dipendere da «quaedam astrorum vis peculiaris», o da un’ipernutrizione avvenuta nell’utero materno ad opera del sangue mestruale46. A dimostrazione della simpatia del piombo per il corpo umano, vengono citate le pallottole (globuli plumbei) che possono rimanere per anni nel corpo «bombardato»47. «Nihil est in natura proprietatibus destitutum»48: l’ambra e il magnete, le «pietre dentiformi»49 e le glossopetrae variamente illustrate dalla natura, i fossili «dipinti» nelle forme di uccello e di pesce, ma anche di uomo, città, bosco, figure geometriche e astrolabi50, le eclissi e le comete, e persino lo sterco animale possiedono proprietà, più o meno occulte, che interessano il medico. Un filosofo antico ha detto, non a torto, che tutto può essere in tutto: infatti i tre regni della natura ci mostrano ogni giorno le loro mirabili mescolanze, gli animali vengono trovati nelle pietre e nelle piante, le piante nelle pietre e negli animali, e i minerali nelle piante e negli animali51. Intitolando la sua opera Specchio di scientia universale, Fioravanti dichiarava, sin dal frontespizio, di voler fornire al lettore una conoscenza dei «secreti più importanti» contenuti sia in «tutte l’arti liberali, et mecanice» – dall’agricoltura alla pastorizia, dalla cucina alla sartoria, dall’oreficeria e dalla metallurgia alla profumeria e alla caccia, dalla danza alla pesca, dall’arte militare alla macelleria – sia nelle «diverse scientie» – dall’architettura alla geometria, dalla medicina alla cosmografia e all’alchimia – per chiudere con «alcune inventioni notabili, utilissime et necessarie da sapersi». L’intento di molti scrittori di storia naturale e di fisica curiosa non sarà diverso, anche se gli autori seicenteschi uniranno alla descrizione dei fenomeni meravigliosi la ricerca delle loro cause – per quanto a volte più fantasiose che razionali – e abbandoneranno progressivamente gli aspetti più dilettanteschi della «preoccupazione per i segreti», nonché l’esibizione del meraviglioso, tipica della magia naturale, che per Della Porta, «virtuoso esemplare», era «spettacolo non meno della commedia»52. Nel 1640, redigendo un piano di studi per il futuro Re Sole, François de La Mothe Le Vayer vi includeva le tre «scienze vane» – astrologia, chimica e magia – che devono essere conosciute soltanto allo scopo di comprendere che poggiano sull’«impostura» e sulla «credulità degli uomini». Dalla condanna della magia – definita, in termini baconiani, l’«arte che si vanta di fornire da sola, e senza sforzo, tutto ciò che le altre fanno sperare solo dopo un lungo travaglio» – La Mothe Le Vayer esclude tuttavia «quella parte della filosofia che risiede interamente nei segreti della fisica, e che, attraverso l’applicazione di qualche agente di cui essa conosce le proprietà occulte, compie molti effetti che sembrano 45 Ivi, p. 49. Ivi, cent. I, obs. XLII. 47 Ivi, cent. II, obs. IX. 48 Ivi, cent. II, obs. XC. 49 Ivi, cent. II, obs. LXXXV. 50 U. Aldrovandi, Musaeum cit.; A. Kircher, Mundus subterraneus cit., tomo II, lib. VIII, sez. I, cap. IX. 51 P. Borel, op. cit., p. 249. 52 W. Eamon, op. cit., pp. 339, 344. 46 62 soprannaturali»53. Gli effetti della calamita, ad esempio, sono ormai considerati naturali, tanto che «personne ne les admire plus». Ma basta muovere una calamita sotto un tavolo, facendo così spostare l’ago di una bussola posta sopra il tavolo, perché la maggior parte delle persone più ignoranti creda che si tratti di un effetto magico o soprannaturale. Anche certe operazioni fatte con gli specchi possono sembrare magiche, ma solo a chi non conosce abbastanza l’ottica54. I libri di segreti non finiscono con Della Porta: i mirabilia sopravvivono alla magia naturale e alla rivoluzione scientifica – con il quale nome si designa un processo che si compie in un periodo lungo e molto travagliato dal punto di vista storico55. Quel travaglio si riflette nella straordinaria varietà, complessità e «sottigliezza» delle opere scritte in questo periodo, nelle quali è arduo rintracciare le «svolte»: rischia, quindi, di essere arbitrario introdurre uno iato tra le teorie «curiose» e quelle legittimate dai futuri sviluppi della scienza. Nel 1662, ad esempio, il medico scozzese Sylvester Rattray premette al suo Theatrum sympatheticum un Aditus novus ad occultas sympathiae et antipathiae causas inveniendas: malgrado l’aggettivo «novus», questa lunga prefazione, che contiene il punto di vista dell’autore sui fenomeni magnetici, nonché una lunga presentazione delle posizioni antiche e moderne sull’argomento56, si apre con un elenco sistematico dei fenomeni attribuiti alla simpatia e all’antipatia nei tre regni della natura, completo di un’imponente serie di ricette che non hanno nulla da invidiare alle raccolte cinquecentesche di segreti. Vi si apprende, ad esempio, che la verga di toro può curare la pleurite, o che i piedi di lepre legati all’ano di un cane gli impediscono di abbaiare57. Nel suo Mundus subterraneus (1664), un erudito universale come Athanasius Kircher racconta mirae historiae di draghi, uomini e demoni sotterranei; tra questi ultimi include i pigmei, descritti da Plinio, Plutarco e Olao Magno; non trascura, in passi degni di Agrippa, i demunculi montani, svizzeri e tirolesi; considera l’alchimia una «scienza del Diavolo», ma crede nella trasmutazione «naturale» dei metalli, che condividono un’identica materia: un «vapore sulfureo-salino-mercuriale», che coincide con il «seme universale». Kircher analizza le proprietà attrattive dell’ambra, parla del morso della tarantola e del cane rabbioso, del fuoco perpetuo e delle viti d’Ungheria, che uno spiritus aurifer sotterraneo rende dorate, descrive l’elixir vitae e la pietra filosofale, ma afferma di non crederci, propone una mirabile tabula combinatoria di tutte le pietre, in ordine alfabetico, con la relativa forma, colore, origine, virtù e proprietà; descrive orchidee antropomorfe, ornitomorfe, apimorfe, parla di asparagi nati dalle corna di ariete e di vari insetti generati dallo sterco animale: gli scarabei nascerebbero dallo sterco equino, le vespe da quello di asino, i topi da quello bovino; paragona il processo di inclusione delle parti del corpo nel seme alla proiezione delle specie nella camera oscura; cita Agricola e Cardano, Paracelso e Arnaldo di Villanova, Marcus Marci e Martin Del Rio, Galileo e Torricelli. Nella Physica 53 F. de La Mothe Le Vayer, De l’instruction de Monseigneur le Dauphin, in Oeuvres, Paris, J. Guignard, 1684, vol. I, p. 145. 54 Ivi, pp. 148-49. 55 Cfr. Paolo Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Roma-Bari, Laterza, 1997, soprattutto la «Premessa», pp. IX-XXI. 56 Cfr. infra, parte II, cap. I, § 5. 57 S. Rattray, Aditus novus cit., pp. 1-31. 63 Athanasius Kircher: Animali sotterranei 64 curiosa, il suo allievo Caspar Schott si dilunga nei racconti meravigliosi di uomini, energumeni o ossessi, angeli e demoni, mostri: parla di straordinari parti plurigemellari (come quello di una principessa olandese di nome Margherita, che ebbe in una sola volta trecentosessantacinque figli), bambini nati con sei dita o con la proboscide, feti mummificati, e descrive le più fantastiche e inimmaginabili – malgrado le splendide illustrazioni – combinazioni mostruose, come il vitulomonachus58. Non è neppure pienamente condivisibile l’affermazione secondo la quale, nel Secolo dei Lumi, «per gli intellettuali europei la meraviglia e le meraviglie divennero semplicemente volgari»59: in pieno Settecento, la ricetta di una panacea universale, contenuta in un’opera filosofico-medica di grande successo che aveva diversi aspetti «segreti», non mancò di sorprendere i contemporanei (e, più tardi, di inquietare gli interpreti) del vescovo Berkeley60. 2. La storia naturale baconiana: una «Sylva sylvarum» I libri di segreti del Cinquecento, pur non facendo parte della «scienza ufficiale»61, sconfinavano spesso nella storia naturale: basta ricordare che Konrad Gesner fu l’autore, oltre che di raccolte di rimedi segreti, di una monumentale Historia animalium in cinque libri, di una Historia plantarum, e di altre opere dedicate ai fenomeni ordinari e straordinari presenti nei tre regni della natura: De rerum fossilium, lapidum et gemmarum, De raris et admirandis herbis quae lunariae nominantur, De bitumine, naphta et electro. D’altra parte, l’intento enciclopedico, accompagnato dalla volontà di sceverare l’autenticità dei prodigi, accomunava, ad esempio, un chirurgo dilettante come Fioravanti, un medicomago come Cardano – che nel 1556 pubblicò un’opera dal titolo De admirandis curationibus et praedictionibus morborum – e un filosofo della statura di Francis Bacon. Ma l’impresa progettata da quest’ultimo si differenziava nettamente dalle opere precedenti per la novità e l’ambizione del progetto stesso: il rigore e la sistematicità della ricerca venivano esplicitamente perseguiti per la prima volta. Nella «Divisione dell’opera» premessa alla Instauratio magna (1620), Francis Bacon afferma di voler scrivere una storia naturale «che possa fungere da fondamento alla costruzione della filosofia» e delle scienze, attraverso la «raccolta delle esperienze di ogni genere» (omnigena experientia). Tale storia non dovrà essere «superficiale e povera», non dovrà basarsi sull’«informazione lacunosa e fallace del senso», né sull’«osservazione disordinata, incostante e casuale», né sulla «tradizione vuota e fondata su chiacchiere», né sull’«attività sperimentale cieca, stupida, incerta e precipitosa» o sulla «pratica servilmente finalizzata alla produzione», come è accaduto fino a lui. Nella nuova storia naturale, inoltre, non si dovranno «inventare favole», né «scimmiottare i mondi», ma «esami- 58 C. Schott, Physica curiosa cit., vol. I, libb. III-V. La nascita mostruosa di questo ibrido – raffigurato anche nelle opere teratologiche di Ambroise Paré e di Fortunio Liceti – venne interpretata come un segno dell’ira divina per la corruzione dei costumi monastici, e fu oggetto di un libello di Lutero e Melantone, uscito nel 1523: cfr. M. Angelini, M. Trinci, Le voglie cit., p. 37. 59 L. Daston, K. Park, op. cit., p. 21. 60 Cfr. infra, parte II, cap. III, § 6. 61 Cfr. K. Hutchison, art. cit., p. 246. 65 Caspar Schott: Il vitulomonaco 66 nare dall’interno la natura di questo mondo reale, come per sezionarlo». La faticosa ricerca che resta da compiere dovrà essere una mundana perambulatio, nella quale «omnia a rebus ipsis petenda sunt»: non si dovranno, pertanto, «avanzare congetture e fare divinazioni», ma «scoprire e conoscere». La storia naturale progettata da Bacon non ha lo scopo di «dilettare per la varietà dei dati che presenta», né quello di offrire un’utilità immediata e di breve respiro, con i suoi esperimenti, ma ha piuttosto lo scopo di «gettar luce sulla scoperta delle cause e offrire il seno al primo nutrimento della filosofia». Non dovrà analizzare, quindi, soltanto i fenomeni della «natura libera e indipendente», come «i corpi celesti, le meteore, la terra e il mare, i minerali, le piante, gli animali», ma dovrà includere «una storia della natura costretta e vessata», cioè delle «arti meccaniche», e delle «virtù» o qualità dei corpi, come «il denso e il raro, il caldo e il freddo, il solido e il liquido, il pesante e il leggero», che potrebbero costituire, come le lettere dell’alfabeto, «gli elementi di ogni discorso». I casi da accogliere dovranno essere fondati sull’esperienza diretta (oculata) di testimoni attendibili, ed esaminati rigorosamente (magna cum severitate) prima di essere narrati; occorrerà vagliare «le favole, le superstizioni e tutte quelle ciance che le balie instillano nei fanciulli». Infine, bisognerà condire il tutto di «ammonimenti, dubbi e precauzioni», per «esorcizzare ogni genere di fantasma»62. Il progetto baconiano è formulato con avvincente chiarezza; ma, come è noto, la terza parte della Instauratio magna, che avrebbe dovuto esporre questo nuovo genere di storia naturale, rimase in gran parte allo stato di progetto. Bacon ne scrisse solo qualche capitolo, negli ultimi anni, dopo il forzato ritiro dalla vita pubblica: delle sei historiae particulares che avrebbero dovuto essere pubblicate mensilmente, nelle intenzioni del Lord Cancelliere, solo la Historia ventorum (1622) e la Historia vitae et mortis (1623) videro la luce; la Historia densi et rari, scritta nello stesso anno, venne pubblicata postuma nel 1658; della Historia gravis et levis, Historia sympathiae et antipathiae rerum, e della Historia sulphuris, mercurii et salis vennero scritte soltanto le prefazioni. Quanto alla historia prima, che avrebbe dovuto «raccogliere il materiale occorrente per la compilazione delle storie particolari», fornendo al tempo stesso «le indispensabili basi alla nuova scienza»63, Bacon ci lavorò febbrilmente, affannosamente, frettolosamente, con l’aiuto del suo segretario William Rawley: la Sylva sylvarum, sive Historia naturalis (1627) venne pubblicata l’anno dopo la morte di Bacon. Quest’opera è divisa in dieci «centurie» di esperimenti, che trattano gli argomenti più disparati: dall’arte di allungare la vita a quella di ritardare la germinazione delle piante, dalle ricette farmacologiche e mediche alla simpatia e antipatia. Lungi dall’esercitare sul materiale raccolto quel vaglio critico teorizzato nello schema premesso alla sua enciclopedia, Bacon «saccheggia» le sue fonti, da Aristotele a Plinio, da Giovan Battista della Porta a Girolamo Cardano e Giulio Cesare Scaligero64. Invece di esorcizzare i fantasmi, Bacon li accoglie a braccia aperte; al posto dei testimoni oculari e delle «cose stesse», abbondano le favole e le «chiacchiere». A differenza di Gassendi, che procede more scolastico anche quando critica la filosofia delle Scuole, Bacon non distingue le qualità occulte dalle altre, né – a parte qualche sporadico accenno ai 62 F. Bacone, Nuovo organo (a cura di M. Marchetto), Milano, Bompiani, 2002, pp. 45-53. P. Rossi, Francesco Bacone cit., p. 17. 64 Ivi, p. 18. Sui rapporti tra la filosofia di Bacon, la magia e la stregoneria, cfr. S. Clark, Thinking with Demons cit., part II, cap. 16. 63 67 «pori» dei corpi65 – tenta di darne spiegazioni basate sugli incastri di particelle. Parla invece di «abbracci» tra corpi omogenei (cognata) e di «ostilità» tra corpi eterogenei, che «si fuggono» per «antipatia»; spiega l’attrazione ad distantiam aliquam con il «desiderio dei corpi omogenei di unirsi e di congiungersi tra loro»66; introduce l’«amicizia» e la «lite» tra le parti per spiegare i diversi moti dei corpi. Tuttavia, riconduce la simpatia e l’antipatia ai diversi generi di moto, dei quali espone una dettagliata classificazione. Tra gli esempi di coitio ad distans, Bacon menziona «i medicinali che fanno uscire gli umori per la somiglianza della sostanza» e «la corda di una cetra che si muove all’unisono con le corde di altre cetre»; sospetta «che questo moto ci sia anche negli spiriti degli animali, ma completamente incognito» – le successive speculazioni sul fascino d’amore e d’odio svilupperanno questo suggerimento –; afferma che il motus congregationis minoris «si manifesta con certezza nel magnete e nel ferro magnetizzato»67. Quanto ai corpi che «rifiutano di mescolarsi» per «inimicizia», spinti da un motus fugae, vengono citati l’«odore fetido» respinto dall’olfatto, che provoca «nella bocca dello stomaco un moto di repulsione», i «sapori amari e aspri» rifiutati dal palato, il mercurio «ostacolato» dalla saliva umana, dalla sugna di porco e dalla trementina, l’olio che non si mescola con l’acqua, a differenza dello spirito di vino, e il nitro che «aborrisce la fiamma»68. La simpatia del magnete per il ferro è uno dei fenomeni riconducibili al «moto magnetico», capace di «agire a grandi distanze e su grandi masse»: ne sono esempi ulteriori l’attrazione esercitata dalla Luna, che solleva i mari e causa il rigonfiamento dei corpi umidi, le attrazioni dei pianeti da parte del «cielo stellato», di Venere e Mercurio da parte del Sole, che trattiene quei pianeti nelle loro orbite69. Tra i «moti di indigenza» viene inclusa invece quella «electrica operatio, de qua Gilbertus, et alii post eum tantas excitarunt fabulas», e che si può spiegare, a suo avviso, con l’«appetito» suscitato nel corpo da un leggero sfregamento, in virtù del quale quel corpo «preferisce» (mavult) all’aria circostante un altro corpo tangibile, purché si trovi nelle immediate vicinanze70. Le spiegazioni baconiane dei fenomeni elettrici e magnetici si pongono, per così dire, a metà strada tra quelle di Jean Baptiste van Helmont, che attribuisce all’ambra e al magnete una «phantasia quadam naturalis» in virtù della quale tali corpi attraggono il ferro o le pagliuzze71, e le teorie corpuscolari, cartesiane e gassendiane. Eppure, malgrado le ripetute ed esplicite prese di posizione contro l’appello a proprietà ignote e virtù occulte – rimproverato da Bacon sia agli Scolastici, sia ai maghi, in quanto equivale a rifugiarsi in comode spiegazioni ad hoc –, di proprietà ignote e virtù occulte abbondano gli esempi di simpatia e antipatia, riportati senza ordine nella Sylva sylvarum. Secondo la testimonianza di «alcuni» (testantur quidam), le bestie possono trasmettere le loro passioni alle cose inanimate; perciò la pelle di una pecora divorata da un lupo suscita prurito in chi la indossa 65 F. Bacone, Nuovo organo cit., II, 48, 6 e 8. Ivi, II, 48, 6-10; la citazione è a p. 469. 67 Ivi, p. 473. 68 Ivi, p. 477. 69 Ivi, p. 475. 70 Ivi, p. 467; i moti magnetici e «di indigenza» vengono analizzati, negli stessi termini, nel De motus sive virtutis activae variis speciebus, in Id., Historia Naturalis et experimentalis de ventis, Lugduni Batavorum, apud Franciscum Hackium, 1648, p. 199. 71 J. B. van Helmont, De magnetica vulnerum curatione, in Ortus medicinae cit., §§ 141 sgg. 66 68 e una pietra, morsa da un cane rabbioso, quindi ridotta in polvere e somministrata a qualcuno, provoca il colera. Il cuore di una scimmia – animale «lepido» e «audace» – applicato al cuore umano può corroborarlo e accrescerne l’audacia; applicato al collo e alla testa, giova all’ingegno ed è efficace contro l’epilessia. Nella mummia vi è una «occultae indolis qualitas», ovvero una proprietà antiemorragica72; inoltre, «omnem vivens habet sympathiam cum sale», che attrae il sangue, e al tempo stesso ne è attratto. Un pesce, chiamato lepre marina, può nuocere ai polmoni in virtù di una «qualitas calefaciendi halitum et spiritus»; per la stessa qualità, le cantaridi giovano alle parti acquose del corpo, come l’urina e l’acqua presente nei tessuti dell’idropico. Quanto all’antipatia, un esempio universale è costituito dall’avversione di ciò che è vivo e vegeto per ciò che è morto e corrotto, purché appartenga alla stessa specie: «cadaver hominis maxime contagiosum et odiosum est homini; cadaver equi, equo»; l’«esperienza comune» mostra che un cane percepisce, attraverso «emissioni» aeree, le cattive intenzioni di colui che avanza, armato, per nuocergli, anche se non lo conosce e non l’ha mai visto prima73. Negli experimenta che compongono la prima centuria, dedicata al tema generale della filtrazione (percolatio) e della penetrazione dei corpi, accanto ad esperienze sulla gravitazione e sul moto per contatto, sulla condensazione dell’aria e sulla contrazione della «massa» o «mole» di un corpo dato, sono riportate esperienze decisamente fuori tema, come quelle «sulla natura occulta della fiamma», sulla «correzione e alterazione della statura di un corpo», sui cibi e sulle bevande più nutrienti, sul modo di arrestare le emorragie o di somministrare le purghe, sugli usi medici della simpatia e dell’antipatia. Nei paragrafi che illustrano quest’ultimo tema, si parla del «consenso» presente nel corpo umano, e dimostrato da una «esperienza quotidiana», tra i piedi e la testa, per cui una colomba sventrata di fresco e applicata alle piante dei piedi può medicare il capo, mentre, per conciliare il sonno, basta applicare ai piedi sostanze soporifere. La simpatia tra il cuore e le mani induce Bacon ad approvare quanti «nelle febbri ardenti stringono uova di alabastro, o globi di cristallo»74. Nella terza centuria, con la simpatia e l’antipatia tra i suoni vengono spiegati i fenomeni musicali di consonanza e dissonanza75; nella quarta, accanto ad esperimenti sul modo di accelerare la maturazione dei frutti, di produrre la putrefazione – o, al contrario, di impedirla e prevenirla – è narrato con una certa ampiezza un «experimentum solitarium spectans confectionem auri». La ricetta, con ingredienti, modi e tempi di preparazione, gli è stata data da un «tedesco» non meglio specificato, che ha frequentato per un certo periodo76. Se mancano spesso, in Bacon, i prudenti distinguo gassendiani, c’è tuttavia un’analoga, veemente polemica contro gli alchimisti «volgari». È vero, ad esempio, che si può fabbricare l’oro, ma non nel modo in cui credevano gli alchimisti, né per le stesse ragioni: «turpiter hactenus mundo illusit conficiendi auri spes, quam ego vanam non esse nec humanae facultatis angustias excedere statuo»77. È falso che qualunque metallo, «espurgato» 72 J. B. van Helmont ( ivi, §§ 70-72) attribuisce alla mummia il potere di attrarre il sangue delle ferite, risanandole. 73 F. Bacon, Sylva sylvarum, sive Historia naturalis, Lugduni Batavorum, apud Franciscum Hackium, 1648, centuria X, §§ 976-985 (p. 598). 74 Ivi, p. 76. 75 Ivi, centuria III, §§ 278-282. 76 Ivi, centuria IV, §§ 326-327. 77 Ivi, p. 198. 69 delle sue impurità, possa essere trasformato in oro, ed è falso che ciò possa avvenire solo in determinate congiunzioni astrali: questi sono meri sogni, come gli altri princìpi dell’Alchimia. Per rendere più accattivanti queste favole, gli Alchimisti chiedono aiuto alle molte vanità dell’Astrologia, ne utilizzano altre, tratte dalla magia naturale, dall’interpretazione superstiziosa delle Scritture, da tradizioni orali, da testimonianze fittizie degli antichi, e così via78. Per produrre l’oro, si deve usare il metallo più simile ad esso, cioè l’argento; serve, poi, un giusto calore, che faccia «vegetare lo spirito del metallo»: ma, come ha rilevato Paolo Rossi a proposito di altri passi baconiani, tratti dal Novum Organum e dalla Historia vitae et mortis, «questa accezione del termine spirito è comune nei testi alchimistici e il significato che a questo termine viene dato dagli alchimisti non appare molto diverso da quello che al termine stesso dà Bacone»79. La polemica contro le curiosulae vanitates dell’astrologia è uno dei pochi, costanti fili conduttori che si incontrano nell’attraversamento della Sylva, e in tutta l’opera baconiana: ad esempio, se i settimini in genere sopravvivono, mentre la maggior parte dei bambini nati all’ottavo mese muoiono, non è certo perché Saturno, pianeta maligno, subentra in quel mese alla Luna, il pianeta benigno che regna nel settimo mese. Questa è una «fabulosa ratio»: la verità è che i bambini che hanno molta fretta di venire al mondo sono particolarmente vigorosi, mentre il parto all’ottavo mese è da attribuire soltanto a un difetto di salute della puerpera. Quanto alle circostanze temporali raccomandate per compiere certe esperienze, che avrebbero bisogno della presenza di determinate costellazioni, o per preparare rimedi medicinali come l’unguento armario, si tratta soltanto di scuse alle quali sarà facile appellarsi se l’esperimento non dovesse riuscire, o se il rimedio si rivelasse inefficace: «si frustentur, non praeparata fuisse sub eo signo, quod in coelo confectioni destinatur»80. Anche nella Historia vitae et mortis, Bacon aveva escluso categoricamente l’esistenza di «ore fortunate» secundum Schemata Coeli, e aveva ricondotto alle chiacchiere dei nugatores le proprietà «furiose e distruttive» di certi «olii chimici», spiegate con l’essere tali sostanze poste «sotto il pianeta Marte»81. Non bisogna dimenticare, però, che nel De dignitate et augmentis scientiarum (1623), Bacon aveva accettato una astrologia sana, basata sulle «influenze che i corpi celesti hanno sugli spiriti umani», soprattutto su quelli più teneri, come «gli umori, l’aria e gli spiriti»82. La decima centuria, la più intrisa di magia, riporta esperienze riguardanti «la trasmissione e l’influsso delle virtù immateriate e la forza dell’immaginazione»; si apre con un significativo ammonimento, affinché gli uomini «non smettano di credere alle operazioni basate sulla trasmissione degli spiriti, e sulla forza dell’immaginazione, perché talvolta 78 Ibid.: «mera sunt somnia; quibus consona sunt reliqua Alchimiae fundamenta. Ut speciose adornetur haec fabula, Alchymistae plurimas ex Astrologia vanitates in auxilium advocant, aliasque ex naturali magia subsidiares habent, ex superstitiosis scripturae interpretationibus, auricularibus traditionibus, confictisque veterum testimoniis, et aliis ad hunc modum». 79 P. Rossi, Francesco Bacone cit., p. 20. 80 F. Bacon, Sylva cit., centuria IV, § 353; centuria X, §§ 947 e 998 (p. 607). 81 Id., Historia vitae cit., pp. 87 e 89. 82 Cfr. i passi citati in D. P. Walker, Francis Bacon and Spiritus, in A. G. Debus (ed.), Science, Medicine and Society cit., vol. II, pp. 121-130 (p. 127). 70 l’effetto non si produce»: anche il contagio non si estende a qualunque corpo, ma non per questo non esiste83. Bacon denuncia l’inefficacia dei mezzi usati vanamente dalla magia naturale per colpire l’immaginazione: caratteri, parole «barbare» prive di significato, sigilli, travestimenti, circostanze di tempo, gesti e movimenti, immagini di cera; sospetta che nell’uso di tali mezzi ci sia poco o nulla di meramente naturale; ipotizza il concorso dei demoni negli «esempi di fascino»84. È tuttavia disposto ad ammettere, accogliendo «antiche tradizioni» tramandate dagli «scrittori di magia naturale», che le donne mestruate offuschino gli specchi con lo sguardo; che la pelle di un ariete appena ucciso o l’albume d’uovo, applicati su una ferita, ne impediscano l’infezione; che il lupo faccia ammutolire l’uomo che fissa per primo; che i bambini e i pulcini nati o concepiti con il plenilunio crescano più forti; che il basilisco uccida con lo sguardo85. Anche nei suoi tentativi di offrire spiegazioni dei fenomeni di simpatia e di antipatia, Bacon non si discosta molto dai maghi: le pietre preziose contengono «spiriti sottili» che possono agire, per «consenso», sugli spiriti presenti nel corpo umano, rinvigorendolo ed allietandolo, come la vista di un limpido lago ristora gli occhi e lo spirito; questa proprietà occulta delle gemme, capaci di «ricreare» gli spiriti «propter clarorem suum» – giudicata una favola nella Historia vitae et mortis86 – viene adesso dichiarata una virtus testatissima nel diamante, nello smeraldo, nel topazio. Le perle e i coralli possiedono poteri refrigeranti, l’ambra ha poteri astringenti, l’ematite ferma il sangue dal naso, il cervello di lepre sciolto nel vino rinforza la memoria. Solo l’ignoranza delle «vere cause», invece, può spingere a ipotizzare consensi o dissensi tra le piante: se il cavolo e la vite si distruggono a vicenda, non è perché si odiano, ma perché si nutrono degli stessi «succhi» terrestri, rubandosi reciprocamente il cibo; la ruta e il fico, che si nutrono di succhi contrari, perché la prima è amara, mentre il secondo è dolce, prosperano, infatti, l’una accanto all’altro87. Parlando dello stesso tema – quello, assai diffuso, del «consenso» e «dissenso» che esiste tra le gemme, i minerali, i metalli, le piante, gli animali, le stelle e il corpo umano, Daniel Sennert, a differenza di Bacon, si era sentito in dovere di puntualizzare che si tratta di comparazioni basate sull’analogia. Ma una cosa è scire, altro è trovare somiglianze e differenze; un conto sono le «similitudini», un altro conto sono le «solide dimostrazioni»: «opinari et similia adducere, scientiam non parit; sed scire est rem per causam cognoscere»88. 83 «Monendi sunt homines, ne fidem detrahant operationibus ex transmissione spirituum, et vi imaginationis, quia eventus quandoque fallit»: ivi, centuria X, § 901, p. 554. Sulla natura e sui poteri dell’immaginazione, cfr. infra, parte II, cap. I. 84 Ivi, §§ 947-49. 85 Ivi, centuria VII, § 677; centuria X, §§ 923-24. 86 Id., Historia vitae cit., p. 88. 87 Id., Sylva cit., centuria V, §§ 479 sgg.; centuria X, §§ 960 sgg. Questa teoria verrà lodata come un esempio di «bonne Philosophie», e sarà abbracciata, due secoli dopo, da Pierre le Lorrain, abate di Vallemont, nelle Curiositez de la nature et de l’art sur la vegetation, ou l’agriculture, et le jardinage dans leur perfection (Bruxelles, J. Leonard, 1715, vol. I, cap. IV). Cfr. infra, pt. II, cap. I, § 3. 88 D. Sennert, Tractatus de consensu et dissensu cit., cap.VI, p. 727b. Sennert aveva mosso la stessa critica – quella, cioè, di scambiare le analogie per identità – nei confronti dei medici paracelsiani: cfr. A. G. Debus, Guintherius, Libavius and Sennert: The Chemical Compromise in Early Modern Medicine, in A. G. Debus (ed.), Science, Medicine and Society cit., vol. I, pp. 151-65. 71 Caspar Schott: Lupi mirabili 72 I giudizi espressi da Bacon nei confronti della magia naturale non cambiano molto, dall’Advancement of Learning (1605), fino alla prefazione (aditus) alla Historia sympathiae et antipathiae Rerum: La magia naturale di cui parlano oggi i libri, che raccoglie credule e superstiziose nozioni e osservazioni di simpatie, antipatie e proprietà occulte ed esperimenti futili, strani più per l’apparato in cui si presentano che non in sé stessi, è tanto lontana, per verità naturale, dalla scienza che noi andiamo ricercando, quanto la storia di re Artù e di Ugo di Bordeaux è lontana per verità storica dai Commentarii di Cesare. […] Ma questa parte della Filosofia, dedicata alla simpatia e all’antipatia delle cose, che chiamano anche Magia Naturale, è molto impura, e (come accade quasi sempre) dove il rigore scarseggia, la speranza abbonda89. Ne consegue un effetto soporifero per l’umano ingegno: l’intelligenza si addormenta «decantando Proprietates specificas, et Virtutes occultas, unde homines ad veras causas eruendas non amplius excitantur, nec evigilant»90. Secondo i princìpi della Magia Naturale, gli uomini possono dominare la terra, mangiare il pane senza il sudore della propria fronte, e diventare potenti in virtù di oziose e facili applicazioni delle cose corporee: hanno sempre in bocca, e invocano come garanti, il magnete e il consenso dell’oro con l’argento vivo91. Alla denuncia del carattere «spurio» di quella parte della filosofia che si occupa della simpatia e dell’antipatia tra le cose non fa seguito, nelle opere di Francis Bacon, quell’esame rigoroso dei fatti e delle fonti del quale egli stesso avvertiva profondamente l’esigenza: se la natura assomiglia a una «fitta foresta», la teoria non può che rivelarsi una «misera guida»92. C’è un autore che inizia a voler separare i fili neri dai fili bianchi nel grigio tessuto della storia naturale: questo autore è Pierre Gassendi, che reintroduce la teoria corpuscolare per spiegare quei fenomeni che fino a lui erano stati attribuiti agli spiriti di ogni genere. 89 F. Bacon, La dignità e il progresso del sapere divino e umano, in Id., Scritti filosofici, a cura di P. Rossi, Torino, UTET, 1975, pp. 234-35; Id., Historia Sympathiae et Antipathiae Rerum, «Aditus», in Id., Historia naturalis et experimentalis de ventis, cit., p. 118: «Sed impura est admodum haec pars Philosophiae, de Sympathia et Antipathia Rerum, quam etiam Naturalem Magiam appellant, atque (quod semper fere sit) ubi diligentia defuit, spes superfluit». 90 Ibid. 91 Ivi, p. 119: «Praecepta enim Magiae Naturalis talia sunt, ac si considerent homines terram subigere, et Panem suum comedere absque sudore vultus; et per otiosas, et faciles Corporum Applicationes rerum potentes fieri; semper autem in ore habent, et tanquam sponsores appellant Magnetem, et consensum Auri cum Argento vivo». Sulle differenze tra il metodo baconiano e quello dei maghi, pur nella sostanziale indistinzione dei risultati, cfr. D. P. Walker, Magia spirituale cit., parte III, cap. 6, § 4, pp. 269 sgg. 92 W. Eamon, op. cit., p. 397; cfr. anche le pp. 414 sgg. 73 74 CAPITOLO TERZO DAGLI SPIRITI AGLI EFFLUVI Mirum tamen dictu quousque procedat humanae mentis credulitas, quamque pauci sint, qui decipere, aut decipi nolint, aut non possint. (P. Gassendi, Physica, p. 456 b) 1. Gli effluvi: questioni preliminari Il concetto di effluvio ha giocato, come si è detto, un ruolo fondamentale nelle ipotetiche soluzioni proposte per dare ragione dei fenomeni naturali, soprattutto quelli straordinari, occulti e inspiegabili nell’ambito dei paradigmi dominanti: la fisica aristotelica e quella cartesiana. Il termine effluvio designa ogni genere di esalazione o emissione prodotta dai corpi1; questi, poi, possono emettere sia nuvole o atmosfere di corpuscoli, come pensano i seguaci di Epicuro, sia qualità, secondo l’opinione degli aristotelici, che hanno però il costante problema di giustificare il moto locale di qualità senza una sostanza alla quale ineriscano. I gesuiti, come si è detto, finiscono per aggirare il problema, ricorrendo alla «sfera di attività» dei corpi magnetici, che sarebbero stati dotati da Dio di specifiche qualità, capaci di agire, ma entro limiti fissi e determinati2. Con gli effluvi si spiegano tutti quei fenomeni naturali che, implicando un’apparente azione a distanza, non sembrano ammettere una spiegazione evidente nei termini della fisica aristotelica o meccanicistica, quegli eventi osservabili di cui si ignorano le cause: in primo luogo, le attrazioni gravitazionale, magnetica, elettrica, la diffusione e le proprietà della luce, ma anche le cure magnetiche, la polvere di simpatia, i fenomeni di rabdomanzia, le apparizioni degli spettri di vario genere (vampiri, anime dei defunti, demoni), il fascìno e il malocchio – fenomeni, questi, che nei secoli XVI e XVII rientravano a pieno titolo nella magia naturale, che costituirono l’oggetto di quella disciplina definita dai suoi stessi autori «fisica curiosa», e che spesso non erano affatto distinti dai fenomeni del primo tipo. I problemi fondamentali, riguardo agli effluvi, sono i seguenti: innanzitutto, sono materiali o immateriali? Sono fatti di corpuscoli, di atomi («écoulement de corpuscules», li definirà Pierre Le Lorrain, abate di Vallemont3), oppure sono «species spirituales», come sostiene Fracastoro, che nel De sympathia et antipathia rerum (1546) spiega così le azioni a distanza di simpatia, antipatia e contagio4? Gli effluvia sono, quindi, oscure 1 Sulla storia del concetto di effluvio, da Plotino a Boyle, cfr. G. K. Chalmers, Effluvia cit. Cfr., ad esempio, A. Kircher, Magnes sive de arte magnetica libri tres, Romae, sumpt. Hermanni Scheus, ex typographia Ludovici Grignani, 1641, lib. III, pars VII, cap.II, p. 779. 3 Nella «Preface» alla sua Physique occulte, ou Traité de la baguette divinatoire, Paris, chez Jean Bodot, 1709. Cfr. infra, parte II, cap. I, § 3. 4 Cfr. supra, cap. I, § 3. 2 75 influenze che determinano le proprietà occulte dei corpi o sono piuttosto influssi corpuscolari riconducibili al paradigma meccanicistico? I tentativi di risposta a questa domanda rimandano a un’altra ineludibile questione. Agiscono a distanza o per contatto? È possibile, ed è utile, una spiegazione meccanicistica degli effluvi, delle attrazioni e repulsioni (o, per usare termini decisamente compromessi con la tradizione della magia naturale, delle simpatie e antipatie) da essi prodotte? E ancora: le spiegazioni in termini di corpuscoli si devono considerare ipso facto spiegazioni meccanicistiche? Non è superfluo osservare che i problemi fondamentali riguardo agli effluvi (qual è la loro natura? sono materiali o immateriali? agiscono a distanza o per contatto?) sono egualmente applicabili sia alle species ottiche, sia allo «spirito» (nelle più diverse accezioni del termine, da quelle psicologico-religiose a quelle medico-fisiologiche e astrologiche5), fino ai demoni e agli spettri, a dimostrazione del fatto che la sovrapponibilità semantica non è una questione puramente linguistica, ma assume un importante significato teorico, che spiega la diffusione del paradigma degli effluvi. La tesi che verrà sostenuta e argomentata in questo, e nel successivo capitolo, è che il significato di effluvio si sia differenziato da quello ellenistico, ermetico e rinascimentale di spirito, soprattutto a partire dall’interpretazione corpuscolaristica, in termini di atomi, pori e textura dei corpi, che del primo termine dette Pierre Gassendi. Non si trattò certo di un processo lineare: vi furono posizioni intermedie, ritorni al passato e soluzioni ambigue, che verranno esaminate nelle pagine seguenti. Ma fino alla metà del Seicento gli effluvi – veicoli di influssi e influenze più o meno occulti – non vennero consapevolmente distinti dagli spiriti: Tommaso Campanella, Francis Bacon, William Gilbert e Athanasius Kircher utilizzarono ampiamente quei concetti, senza mai proporne un’interpretazione in termini di corpuscoli. Al contrario, i medici e i filosofi naturali che posero gli effluvi al centro delle loro teorie fisiche li concepirono composti di corpuscoli, anche quando proposero dottrine «eclettiche» – scolastiche o cartesiane – o vere e proprie critiche del meccanicismo: è questo il caso dei teorici della «fisica curiosa», come i gesuiti Caspar Schott e Francesco Lana Terzi; degli esponenti della «filosofia meccanica» e sperimentale, come Henry Power e Robert Boyle; dello scettico Joseph Glanvill, dell’eclettico Kenelm Digby e del medico G. B. de Saint-Romain, dell’abate di Vallemont e dell’ottico Emmanuel Maignan, del platonico di Cambridge Ralph Cudworth, mentre il solo Henry More sembra tornare decisamente al concetto ermetico e rinascimentale di spirito, rifiutando, insieme al meccanicismo, la dottrina degli effluvi corpuscolari. Anche certi passi di Isaac Newton dedicati al concetto di etere sembrano suscettibili di un’interpretazione a un tempo anti-meccanicistica e anticorpuscolaristica. L’adesione all’ipotesi degli effluvi corpuscolari viene considerata, nel Seicento, indipendente dall’adesione al meccanicismo: questo dimostra l’esistenza, la diffusione e l’importanza di un’intepretazione non meccanicistica, ma dinamica e vitalistica, del corpuscolarismo. Nel presente capitolo, e nel successivo, verrà ricostruita la storia seicentesca del concetto di effluvio, considerato nella sua connessione con le teorie meccanicistiche, con le 5 76 Cfr. supra, cap. I, §§ 1-2. dottrine delle qualità occulte e dell’azione a distanza. Verrà mostrata l’esistenza di una duplice versione del corpuscolarismo: una, cartesiana e ripresa da un cartesiano ortodosso come Rohault, nella quale i corpuscoli non possono mai essere considerati sinonimo di spiriti, e l’altra, gassendiana, nella quale invece è possibile introdurre tale sinonimia. Si vedrà che la seconda versione del corpuscolarismo – qualitativo, non meccanicistico nel senso cartesiano del termine – ripresa, tra gli altri, da Boyle e Vallemont, fu di gran lunga quella più diffusa, nel Sei e nel Settecento. 2. Effluvi versus corpuscoli: la «filosofia magnetica» di William Gilbert Nel Novum Organum, Francis Bacon avvicina William Gilbert – che fu medico della regina Elisabetta I – agli alchimisti: come questi «ex paucis experimentis fornacis, philosophiam constituerunt phantasticam et ad pauca spectantem», Gilbert «dopo aver destinato moltissime energie allo studio e all’osservazione del magnete, costruì subito una filosofia conforme a ciò che lo aveva interessato di più», peccando di quella precipitazione che contraddistingue la «filosofia del genere empirico». Egli ha fatto, insomma, con il magnete ciò che gli alchimisti hanno fatto con l’oro6. Diversamente da Bacon, Galileo aveva avuto per Gilbert parole di grande apprezzamento: Io sommamente laudo ammiro ed invidio questo autore, per essergli caduto in mente concetto tanto stupendo circa a cosa maneggiata da infiniti ingegni sublimi, né da alcuno avvertita; parmi anco degno di grandissima laude per le molte nuove e vere osservazioni fatte da lui, in vergogna di tanti autori mendaci e vani7. Il giudizio di Galilei coincide con l’opinione che Gilbert stesso aveva delle proprie scoperte e dottrine. Nella «Prefazione» al De magnete (1600), rivolgendosi al «candido lettore, studioso di filosofia magnetica», Gilbert sottolinea infatti la novità della sua opera, che poggia su esperimenti «sicuri», dimostrati «con fatica, notti insonni e grandi spese», e perciò si differenzia dalle «opinioni» e dalle probabili «congetture» dei filosofi, introducendo un «novus philosophandi genus»8. La «scienza magnetica» è per quanti ricercano le cause ignote dei fatti più comuni, come di quelli più rari, non soltanto nei libri, ma nelle cose stesse. Gilbert prende decisamente le distanze dai «pagliacci letterati, grammatici, sofisti, retori da strapazzo», e afferma di mirare all’intelligibilità e alla chiarezza: se talvolta userà parole nuove, non lo farà, come gli alchimisti, allo scopo di nascondere e rendere oscure le cose, ma, al contrario, per portare alla luce ciò che è nascosto, ignoto e quindi ancora privo di un nome. Mentre rivendica l’indipendenza delle proprie teorie dall’autorità degli antichi, Gilbert non dubita che Aristotele, Tolomeo e Galeno adotterebbero, nel XVII secolo, le nuove opinioni9. 6 F. Bacon, Nuovo Organo cit., I, 54, pp. 104-105; I, 64, p. 119; I, 70, p. 131. G. Galilei, Dialogo cit., p. 418. 8 John Henry (Animism and Empiricism: Copernican Physics and the Origins of William Gilbert’s Experimental Method, «Journal of the History of Ideas», 62, 2001, n. 1, pp. 99-119) ritiene invece che Gilbert non rivendichi, neppure con questa espressione, un’originalità di metodo, ma soltanto di contenuti (p. 116). 9 W. Gilbert, De magnete, magneticisque corporibus, et de magno magnete tellure, physiologia nova, Londini, excudebat Petrus Short, 1600, «Praefatio» (senza indicazione di pagine); cfr. anche la traduzione 7 77 Ci sono due generi di corpi capaci di attrarne visibilmente altri con moti percettibili ai nostri sensi: i corpi elettrici e quelli magnetici. I corpi elettrici attraggono per mezzo di effluvi naturali umidi; i corpi magnetici, in virtù di efficienze formali, ovvero di una forza innata primaria10. Prima di esporre le proprie teorie, Gilbert – procedendo in modo inconsapevolmente baconiano – intende sgombrare il campo dalle «illusioni» degli autori antichi e moderni riguardo ai fenomeni magnetici: Plinio e Tolomeo hanno raccontato la «favola» secondo la quale il magnete perderebbe il potere di attrarre il ferro ove venga strofinato con l’aglio, oppure in presenza di un diamante; Giorgio Agricola si è fidato a torto di questi racconti, riportandoli nel De natura fossilium (1546). Le proprietà mediche del magnete sono state riconosciute già da Galeno e Dioscoride; ma neppure il suo traduttore cinquecentesco, Pietro Andrea Mattioli, è riuscito ad attingere le cause di tali virtù: si è limitato, piuttosto, ad aggiungere favole nuove – ad esempio, l’analogia della calamita con la torpedine marina – alle favole vecchie. C’è stato chi ha creduto che il magnete potesse curare il mal di testa, e chi ha pensato di poter utilizzare polvere magnetica per estrarre dal corpo la punta di una freccia – un’applicazione del magnetismo, questa, che sarà rifiutata anche da Kircher11. All’opposto, il magnete è stato ritenuto capace di provocare disturbi melanconici e mentali. I fenomeni magnetici sono stati fantasiosamente ascritti alle «imposture dei cacodemoni»; Arnaldo di Villanova ha attribuito, viceversa, alla calamita il potere di mettere in fuga i demoni malvagi, e di liberare le donne dalla stregoneria; si è creduto persino che una calamita, messa sotto la testa di una donna addormentata, potesse smascherare l’adulterio, facendola alzare dal letto. Lucrezio si è limitato a «considerazioni insignificanti»; Cardano, pur avendo criticato i suoi precursori, non ha lasciato, nei suoi ponderosi volumi, nulla che sia «degno di un filosofo». Tutti quelli che hanno cercato le cause dei moti magnetici nelle stelle (come Ficino, Paracelso e Fernel) o negli atomi non hanno fatto altro che brancolare nel buio. Fracastoro, che pure viene giudicato un filosofo «di stampo non comune» ha sognato «montagne magnetiche iperboree», che attraggono gli oggetti ferrosi verso «poli magnetici» non coincidenti con i poli terrestri. Questa opinione – che certuni fanno risalire a Roger Bacon – è seguita anche da Olao Magno, e da molti cartografi. L’unico filosofo – nonché l’ultimo, prima di Gilbert – le cui ricerche sul magnete, considerato «una mistura di pietra e ferro, quasi pietra ferrea, o ferro lapideo»12, abbiano avuto qualche utilità, è stato Giovambattista Della Porta, anche se il settimo libro della Magia naturalis assomiglia piuttosto a un repertorio di meraviglie, elencate senza conoscere adeguatamente i «moti magnetici», e corredate da «falsissimi esperimenti»13. «Talibus sese nugamentis et fictis fabellis delectant philosophi plebei»; quanto a lui, è convinto che inglese: Of the Loadstone and Magnetic Bodies, Chicago, London, Toronto, Encyclopedia Britannica, 1952, pp. 1-2. 10 W. Gilbert, De magnete cit., lib. II, cap. IV, p. 65: «Cum vero duo sint corporum genera, quae manifestis sensibus nostris motionibus corpora allicere videntur, Electrica et Magnetica; Electrica naturalibus ab humore effluviis; Magnetica formalibus efficientiis, seu potius primariis vigoribus, incitationes faciunt». 11 A. Kircher, Magnes cit., lib. III, pt.VII, cap. II. 12 G. Della Porta, Magia naturalis cit., p. 129. Questa definizione è citata nel De magnete cit., lib. II, cap. III, p. 63. 13 W. Gilbert, De magnete cit., lib. I, capp. I (p. 6) e XIV. 78 quando la natura del magnete sarà stata svelata nel discorso che segue, e sarà stata messa alla prova dalle nostre faticose esperienze, allora le cause reali, benché nascoste e recondite, di questo grande effetto verranno portate alla luce, rese evidenti, dimostrate; allora ogni oscurità svanirà del tutto; ogni minima radice di errore sarà estirpata, buttata via e dimenticata; e, una volta gettate le fondamenta della grande scienza magnetica, essa apparirà in tutta la sua novità, così che gli intelletti elevati non possano più essere illusi da opinioni vane14. Tali fondamenta sono costituite da un’applicazione della teoria degli effluvia, in chiave antimeccanicistica e anticorpuscolaristica, alle attrazioni elettrica e magnetica, delle quali vengono evidenziate le analogie e le differenze. Per questa parte della sua opera, Gilbert è fortemente debitore verso il De subtilitate di Cardano, anche se prende polemicamente le distanze dai suoi precursori, che si sono occupati di quei fenomeni senza fare esperimenti e senza fornire dimostrazioni, contribuendo a rendere più oscuro l’argomento, trattato in termini «esoterici, astrusi, reconditi, occulti, da venditori di miracoli», «perché pochi filosofi sono autentici ricercatori, o hanno una conoscenza di prima mano delle cose»: la loro sterile filosofia poggia solo «su qualche parola greca o poco comune»15. L’attrazione esercitata dall’ambra (o elektron) si differenzia da quella del magnete sia perché la «forza elettrica», a differenza di quella magnetica, deve essere «risvegliata» per frizione, affinché la sostanza si riscaldi; sia perché la prima viene arrestata dall’interposizione di corpi, anche leggeri come un foglio di carta, mentre l’attrazione magnetica agisce attraverso i corpi interposti. Inoltre, una calamita può sollevare grandi pesi, mentre i corpi elettrici (non solo l’ambra, ma anche il diamante, lo zaffiro, il carbonchio, l’opale, il berillo, il cristallo di rocca) attraggono preferibilmente corpi leggeri, come le pagliuzze. D’altra parte, mentre il magnete attrae solo il ferro o un altro magnete, la forza elettrica è più generale, estendendosi a tutti i corpi leggeri. Le differenze tra i movimenti elettrici e quelli magnetici dipendono dal fatto che i primi sono causati dalla materia di un corpo, e i secondi dalla sua forma: poiché la forma è più nobile, ha maggiori virtù o poteri; la materia, invece, è come «confinata in una prigione». L’emissione di effluvi materiali può spiegare, quindi, solo l’attrazione dei corpi elettrici, mentre gli effetti dei corpi magnetici sono dovuti alla propagazione di una «forza» immateriale: sia gli effluvi, sia la forza sono circoscritti ad un orbis virtutis. La «sfera di influenza» di un corpo – concetto, questo, che sarà di fondamentale importanza per la storia del magnetismo – ha la stessa forma del corpo che circonda: sferica, nel caso della terrella; oblunga, se la pietra calamitata ha questa forma16. La teoria degli effluvia viene usata da Gilbert per negare l’azione a distanza; è lui stesso, però, a rilevarne alcune contraddizioni. Innanzitutto, se il postulato è che tutti i corpi 14 Ivi, p. 7: «Sed postquam magnetica natura sequenti oratione reserata fuerit, et nostris laboribus et experimentis exculta, abditae et reconditae tanti effectus causae certae extabunt, probatae, ostensae, et demonstratae; simulque omnes caligines evanescent, omnesque errorum fibrae evulsae, neglectae iacebunt; et fundamenta inclitae philosophiae magneticae iacta, de novo apparebunt, ut excelsa ingenia non amplius otiosis opinionibus eludantur». 15 Ivi, lib. II, cap. II, p. 48: «quod ipsi philosophi plurimi nihil quaerentes, nullo rerum usu valentes, otiosi, et inertes, nihil suis monumentis proficiunt». Cfr. G. Cardano, De subtilitate, tomo I, a cura di E. Nenci, Milano, F. Angeli, 2004, pp. 480-81. John Henry (Animism and Empiricism cit.) riconosce genericamente il debito di Gilbert verso la magia naturale rinascimentale, ma senza operare alcun confronto con gli autori che facevano parte di tale tradizione. 16 W. Gilbert, De magnete cit., lib. II, cap. VII. 79 emettono «radiazioni di effluvi», (ex omnibus rebus minutissima corpora effluant 17), che bisogno c’è di strofinare i corpi elettrici, per liberarle? L’emissione continua di effluvia, inoltre, non comporta una perdita di sostanza, e quindi una diminuzione del peso dei corpi18? La generalità del postulato permette di spiegare anche i moti gravitazionali: infatti, se l’aria viene definita «l’effluvio universale della terra» (aër, qui est universale huius globi et telluris effluvium ovvero commune effluvium telluris 19), essa, comportandosi come una «sua estensione materiale (benché non solida)»20, avrà il potere di riportare a terra quei corpi che ne fossero eventualmente separati. Affinché gli effluvi emessi dai corpi producano effetti percepibili ed evidenti, occorre che si differenzino dall’aria circostante; altrimenti, finirebbero per dissolversi nella mescolanza degli effluvi emessi dalla terra e dai corpi terrestri, compreso il magnete. È proprio ciò che accade nel caso degli effluvi elettrici, i quali hanno una natura umida – pingue e glutinosa, secondo Cardano – mentre i corpi densi, nei quali prevale la materia terrestre, emettono effluvi privi di potere attrattivo. Gli effluvi sono umori molto tenui e sottili, più rarefatti dell’aria: perciò, la loro propagazione ha bisogno di un mezzo nel quale l’umidità non prevalga, di un’atmosfera pura, di un’aria spazzata da venti settentrionali; altrimenti, l’umidità impedirebbe la fuoriuscita degli effluvi, bloccandoli alla loro origine e ricacciandoli, per così dire, dentro i corpi. Proprio a causa della loro estrema sottigliezza, la fuoriuscita continua degli effluvi non pregiudica la conservazione della massa corporea: è come per gli odori, che esalano continuamente senza che il corpo ne sia consumato. Gli effluvi assomigliano a odori o vapori, hanno una natura continua piuttosto che discreta, e circondano i corpi, «abbracciando» quelli vicini – che vengono attratti fino ad unirli – con una forza tanto maggiore, quanto più essi si trovano nelle immediate vicinanze dei corpi elettrici, e rientrano nella loro sfera di influenza. Gli effluvi, simili a bastoncini (materiales radii21), si diffondono in tutte le direzioni: finché il loro potere attrattivo permane, i corpi vicini vengono risucchiati; quando esso viene meno, oppure un corpo si allontana dalla sfera di influenza dell’elettro, è la forza gravitazionale – cioè il campo magnetico terrestre – a prevalere. La spiegazione gilbertiana dei fenomeni elettrici e magnetici rifiuta sia le tentazioni dell’astrologia, sia gli ambigui concetti di simpatia e di antipatia – con l’ottima motivazione che nessuna passione può essere una causa efficiente – sia il ricorso agli atomi o a «raggi» impercettibili ai sensi. Gilbert denuncia anzi l’abuso che è stato fatto di un termine matematico come quello di raggio: occorre ricordare che le species erano state introdotte da Roger Bacon per costruire una scienza generale della natura sul modello dell’ottica geometrica. Trasformare i raggi o le species nel veicolo insensibile di poteri magici, 17 Ivi, lib. I, cap. I, p. 3. Questo problema – che fu costante per i teorici degli effluvia – risaliva ad Epicuro, che attribuì al «bombardamento» continuo di particelle presenti nell’aria circostante la mancata «diminuzione» di un corpo, malgrado la continua emissione di eidola dalla sua superficie: cfr. Epicuro, Epistola ad Erodoto cit., 48, p. 47; G. K. Chalmers, Three Terms cit:, Effluvia cit. 19 W. Gilbert, De magnete cit., lib. II, cap. II, pp. 51 e 57. 20 Gad Freudenthal, Theory of Matter and Cosmology in William Gilbert’s De magnete, «Isis», 74, 1983, pp. 22-37 (31). Freudenthal rileva contraddizioni e inconsistenze nella spiegazione «quasi elettrica» che Gilbert fornirebbe della gravitazione: quest’ultima, infatti, «partakes of the characteristics of both electricty and magnetism» (p. 32). 21 W. Gilbert, De magnete cit., p. 60. 18 80 nello strumento di un’azione a distanza (secondo l’uso di al-Kindı̄, Avicenna e Grosseteste), o comunque, utilizzare un concetto matematico «in naturalibus» è, a giudizio di Gilbert, un’operazione illecita, resa possibile dall’uso errato di un termine22. Quando passa a spiegare i movimenti magnetici, Gilbert inizia con una precisazione terminologica che, come spesso accade, equivale a una presa di posizione teorica: Dopo aver trattato i corpi elettrici, dobbiamo adesso esporre le cause della coizione magnetica. Dico coizione, e non attrazione, perché il termine attrazione si è erroneamente insinuato nella filosofia magnetica, per l’ignoranza degli antichi23. Gilbert non nega di avere usato quel termine, e di voler continuare ad usarlo per comodità, ma tiene a precisare che, ogni volta che parla di «attrazione», interpreta questo termine nel significato di «coizione». Anche alla trattazione gilbertiana del magnetismo viene premessa una critica delle teorie precedenti: Gilbert rifiuta gli incastri di particelle e vuoti introdotti da Epicuro e ripresi da Lucrezio, nonché la teoria galenica, destinata ad avere tanta fortuna nel secolo XVII24, del potere magnetico posseduto dai rimedi che permettono di espellere veleni, o di curare le ferite. Considera «chiacchiere» le teorie di Cardano, che attribuisce alla natura fredda del ferro il suo potere di essere magnetizzato, o il ricorso di alcuni aristotelici alla «forma sostanziale» del ferro e della calamita; ritiene «assurde» teorie – come quelle dei maghi – che parlano di «lotte, sedizioni e congiure in una pietra»25. Il magnetismo non deriva, a giudizio di Gilbert, dalla causa formale di ciascun corpo, bensì dalla «forma delle prime e principali sfere»: il sole, la luna, le stelle, la terra26; è una «forma primaria, radicale e astrale», unica, che «conserva e ordina la sua sfera»; è «quella autentica potenza magnetica, che chiamo forza primaria» (vera est illa potentia magnetica, quam nos primarium vigorem appellamus27). La terra, quindi, ha una natura magnetica, identica nel tutto e nelle singole parti, posseduta secondo una «mirabile proporzione originaria». Il magnetismo è una forza, che non deriva dal cielo nella sua totalità, né viene da esso generata per mezzo della simpatia, di influenze, o di qualità occulte; né deriva da qualche astro in particolare. C’è, infatti, nella terra un’autonoma forza o energia magnetica, così come il sole e la luna hanno ciascuno la propria forma; un piccolo frammento della luna si dispone, secondo le leggi lunari, in modo tale da conformarsi alla forma e al contorno della luna, o un frammento del sole al contorno e alla forma del sole, proprio come una calamita fa con la terra o con un’altra calamita, tendendo naturalmente verso la prima e attraendo la seconda28. 22 Ivi, lib. II, cap. III, p. 64. Cfr. anche M. B. Hesse, Forze e campi cit., p. 96. W. Gilbert, De magnete cit., lib. II, cap. III, p. 60: «De electricis posteaquam disputavimus, magneticae cotionis causae aperiendae sunt. Coitionem dicimus, non attractionem, quod male vocabulum attractio irrepsit in magneticam philosophiam, ex veterum ignorantia» . 24 Cfr. infra, parte II, cap. I, § 5. 25 W. Gilbert, De magnete cit., lib. II, cap. III, pp. 62-63. 26 G. Freudenthal (art. cit.) riconosce a Gilbert il merito di essere stato il primo ad unificare la fisica terrestre e quella celeste. Secondo Freudenthal, malgrado la persistenza del linguaggio tradizionale aristotelico, «Gilbert created the first post-Copernican physics capable of rebutting physical objections to the new cosmology» (p. 35). 27 W. Gilbert, De magnete cit., lib. II, cap. IV, p. 65. 28 Ibid.: «Haec nec a coelo toto derivatur procreaturve, per sympathiam, per influentiam, aut occultiores qualitates; nec peculiari aliquo astro: est enim suus in tellure magneticus vigor, sicut in sole et luna suae formae; frustulumque; lunae, lunatice ad eius terminus, et formam componit se; solareque; ad solem, sicut magnes ad tellurem, et ad alterum magnetem, secundum naturam sese inclinando, et alliciendo». 23 81 William Gilbert: La terrella 82 La forza magnetica, a differenza di quella elettrica, non agisce soltanto sulla superficie dei corpi, ma penetra al loro interno, attraversa gli ostacoli e persino la fiamma: quindi, mentre gli effluvi elettrici sono materiali – anche se non corpuscolari – non si può propriamente parlare di effluvi magnetici, per quanto «tenui e spirituali» li si voglia immaginare. L’energia magnetica non può assomigliare a un odore, come il «vapore» del piombo, che penetra nell’argento vivo «liquido e fluido», determinandone la solidificazione, e polverizza un corpo «solido e denso» come l’oro. I chimici «non hanno torto» quando affermano che un corpo non può cambiare la struttura di un altro corpo senza penetrarlo; ma, nel caso dei corpi magnetici, la capacità di trasformare la sostanza materiale non è accompagnata da alcun mutamento evidente: non vi è dunque alcuna emanazione materiale che esca dal magnete e penetri il ferro, bensì soltanto una «forma primaria» comune ad entrambi i corpi, accomunati dall’essere parti della terra, un «accordo delle parti perfette e omogenee delle sfere cosmiche con il tutto» 29. I magneti non emettono «capelli» di particelle minutissime, che conferiscono al ferro il loro stesso potere, come pensava Della Porta. Se una prolungata esposizione al fuoco fa perdere al ferro e alla calamita le loro «qualità magnetiche», questo non accade perché la fiamma «strappa via le peculiari particelle attrattive», ma perché la sua «forza penetrante» (rapida illa vis flammea) deforma ed altera la struttura materiale del magnete. Non aveva dunque torto Talete a ritenere che l’archè sia la terra, e a considerarla animata, poiché essa sola possiede «questa stupenda energia innata, che non esiste negli altri elementi»30. La natura autonoma, non indotta, dei movimenti magnetici – nella terra, negli astri e nella terrella – sembra indicare la presenza di un’anima, «l’atto immateriale di una forma»: Scaligero, nella trecentoquarantaquattresima exercitatio contro il De subtilitate di Cardano, dedicata alla simpatia e all’antipatia, ha avuto il torto di considerare la propagazione di accidenti – piuttosto che di forme – nell’aria la causa del «consenso» e del «dissenso» dei corpi31. La storia moderna, o sperimentale, degli studi sul magnetismo ha trovato in questi ultimi anni un «precursore», finora ignorato: il gesuita Leonardo Garzoni (Venezia, 15431592), che negli anni ’80 del XVI secolo compose due trattati, rimasti manoscritti, dei quali si perdette ogni traccia a partire dal secolo successivo. I Trattati della calamita furono probabilmente la fonte privilegiata di uno scritto composto da Paolo Sarpi (che coltivò per tutta la vita l’interesse per la filosofia naturale, senza tuttavia lasciare alcuna opera compiuta), perdutosi nel 1769, nell’incendio del convento veneziano dei Servi di S. Maria; l’opera di Sarpi, a sua volta, sarebbe stata una fonte privilegiata sia della Magia naturalis di Della Porta, sia del De magnete di Gilbert32. L’opera di Garzoni scaturisce dal suo insegnamento di filosofia naturale nei collegi gesuitici della provincia veneta. Il primo trattato è di carattere teorico; il secondo, a sua volta suddiviso in due parti e incompiuto, contiene i risultati di numerose osservazioni ed esperimenti, interpretati alla luce delle teorie esposte nel primo trattato. L’argomento dell’opera è l’analisi dei moti magnetici di rotazione e di traslazione, considerati aristotelicamente moti naturali dipendenti dalla forma della calamita, che si servirebbe, per attualiz- 29 Ivi, pp. 67-68. Ivi, p. 68: «in tam stupendo (ab aliis naturis diverso) vigore insito». Il corsivo è nostro. 31 Ivi, p. 39. Cfr. G. C. Scaligero, Exercitationes cit., CCCXLIV, § 3. 32 M. Ugaglia, «Introduzione», in L. Garzoni, op. cit. 30 83 zarli, della qualità delle due facce. In particolare, l’azione della calamita sul ferro viene spiegata da Garzoni con il concetto scolastico di sfera dell’attività – l’orbis virtutis del neoplatonismo magico dellaportiano: la diffusione, cioè, di tale qualità alterativa attraverso un mezzo entro un certo spazio. Non essendo percepibile dai sensi se non attraverso i suoi effetti, la virtù magnetica deve essere considerata una qualità occulta; il fatto che solo alcuni corpi (la calamita e il ferro) vengano effettivamente alterati se collocati all’interno della sfera di attività di una calamita si spiega con la particolare «disposizione» di questi corpi. È particolarmente interessante il paragone sviluppato da Garzoni tra la propagazione istantanea della virtù magnetica e quella della luce: conformemente all’opinione degli Scolastici, esse non sono considerate azioni a distanza; la diffusione dell’una e dell’altra avviene piuttosto tramite un flusso continuo, un irraggiamento di «specie spirituali» o «intenzionali», immateriali ma reali33. Tra l’opera inedita di Garzoni e la Philosophia magnetica del suo confratello ferrarese Niccolò Cabeo (1629) c’è una puntuale corrispondenza, sia nei temi trattati, sia nelle soluzioni offerte. Anche Cabeo è un neo-aristotelico, convinto della necessità di integrare la filosofia magnetica sperimentale nel corpus delle dottrine aristoteliche, come quella secondo la quale il fuoco sale verso l’alto «ut ibi felicius otietur»34. L’opera di Gilbert è un riferimento costante, sia nelle ampie disamine storiche che precedono le dottrine dell’autore, sia come bersaglio polemico. Cabeo attribuisce la causa dei moti magnetici a un «motore interno» al magnete, una vis ingenita, che lo spingerebbe a dirigersi verso i poli terrestri. Non si tratta, però, di un’anima, come pensavano Cardano e Gilbert, perché l’anima è «l’atto di un corpo organico»; né vi è un’attrazione del magnete da parte della costellazione dell’Orsa minore, secondo l’opinione di Marsilio Ficino; non esistono, infine, le «montagne magnetiche iperboree» di Fracastoro, ed ha torto Agricola – nonché Scaligero, che aderisce alla sua dottrina – ad attribuire la «conversio ad Polos» al desiderio del magnete di recuperare la posizione nella quale si trovava nelle miniere sotterranee35. Anche Cabeo, dopo Garzoni, spiega la magnetizzazione del ferro con la diffusione della «qualità delle due facce», derivante dalla forma stessa del magnete: se un corpo «proporzionato» si trova all’interno dell’orbis magneticae virtutis, tale qualità può trasmettersi a quel corpo, alterandolo. Quanto all’attrazione elettrica, la sua causa non può essere la simpatia, o «conformità di natura», perché l’elettro, a differenza del magnete, attrae corpi molto diversi; tale causa andrà ricercata piuttosto nell’emissione di effluvi – non umidi, però, come pensava Gilbert – capaci di esercitare una pressione sull’aria circostante, la quale «revertatur quasi in gyrum versus electrum, et secum rapiat corpuscula»36. Nell’opera di Cabeo – come in quella di Garzoni, e nelle celebri pagine della Terza Giornata del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632), dove Galileo si professa seguace della «magnetica filosofia di Guglielmo Gilberto», il cui libro gli è stato donato da «un filosofo peripatetico di gran nome, credo per assicurar la sua libreria dal contagio»37 – non c’è traccia dei fenomeni «curiosi» della «filosofia magnetica». Il gesuita 33 Ivi, pp. 162 sgg. N. Cabeo, Philosophia magnetica, Ferrariae, apud F. Succium, 1629, lib. I, cap. IX, p. 34. 35 Ivi, lib. I, capp. VII-X; lib. II, cap. II. 36 Ivi, lib. II, capp. V, XIV-XV e XVII-XXI. Sulla filosofia magnetica di Cabeo, cfr. S. Pumfrey, NeoAristotelianism and the Magnetic Philosophy, in J. Henry, S. Hutton (eds.), New Perspectives on Renaissance Thought, London, Duckworth and Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1990, pp. 177-89. 37 G. Galilei, Dialogo cit., pp. 411-12. 34 84 ferrarese è convinto che la «sottigliezza» non debba scoraggiare gli studiosi dalla ricerca delle cause; la filosofia magnetica non deve essere abbandonata «inter occulta» perché offre resistenza ai tentativi di comprensione, ma, d’altra parte, non bisogna contaminarla con «portenti» e «miracoli», perché così le si reca «ingiuria» e si distolgono gli uomini «a praeclarissimo causarum studio»38. Galileo include i fenomeni della calamita tra le «cose pellegrine e gentili» solitamente ignorate dal «volgo sciocco» per mancanza di curiosità, ma deride apertamente l’aristotelico Simplicio che ricorre, per spiegare quei fenomeni, «a’ termini dell’arte»: la simpatia e l’antipatia. Utilizzare quelle parole non equivale, infatti, a fornire una spiegazione, come non potrebbe considerarsi un pittore chi si limitasse a scrivere con il gesso sulla tela: «Qui voglio che sia il fonte, con Diana e sue ninfe; qua, alcuni levrieri: in questo canto voglio che sia un cacciatore, con testa di cervio; il resto, campagna, bosco e collinette»; il rimanente poi lasciava con colori figurare al pittore: e così si persuadeva d’aver egli stesso dipinto il caso d’Atteone, non ci avendo messo di suo altro che i nomi39. Gilbert, come si è visto, non credeva nel potere esplicativo né della simpatia e dell’antipatia, né delle forme sostanziali e delle specie intenzionali. Non c’è dubbio che nel De magnete si trovi il primo tentativo esplicito e pienamente consapevole di sottrarre il magnetismo al dominio delle qualità occulte. Eppure, ad ulteriore conferma della profonda connessione tra la fisica curiosa e quelle dottrine destinate a fondare la scienza moderna, tra gli ammiratori di Gilbert non c’è solo Galilei, ma, negli stessi anni, Jan Baptiste van Helmont e Robert Fludd. Il primo, dopo aver definito il magnetismo «proprietas quaedam occulta, aut qualitas etiam coelestis, astralibus influentiis persimilis», osserva che «de magnete nemo melius scripsit Gulielmo Guilberti Londinensi Medico»40. Il secondo, nella Philosophia moysaica, cita quell’opera più di quaranta volte. La trattazione dei fenomeni elettrici e magnetici da parte di Gilbert non è priva di oscurità, oscillazioni e contraddizioni: se l’aria è l’effluvio generale della terra, ed ogni corpo emette effluvi, più o meno densi, aerei o «vaporosi», perché i moti magnetici vengono ascritti esclusivamente alla forma universale del globo terrestre? E l’«atto immateriale di una forma» non assomiglia pericolosamente a una virtù occulta? Ma proprio per i suoi punti oscuri, la teoria di Gilbert vanifica tutte le principali alternative teoriche sui fenomeni magnetici faticosamente poste dai filosofi sino a quel momento: quella agrippiana tra le forme sostanziali aristoteliche e le anime dei platonici, e quella di Fracastoro tra le effluxiones athomorum e le species spirituales41. Il magnetismo viene infatti spiegato da Gilbert con una «forza formale», animata e cosmica: quasi mezzo secolo dopo, una concezione analoga si troverà nell’opera del poligrafo gesuita Athanasius Kircher, che però inclinerà verso gli aspetti meravigliosi dei fenomeni magnetici – ignorati dai suoi confratelli italiani – con un’energia almeno pari a quella che Gilbert aveva impiegato nell’espungerli dalla sua trattazione della terrella. 38 N. Cabeo, op. cit., lib. IV, cap. I, p. 285 e cap. X, p. 301. G. Galilei, Dialogo cit., p. 422. Cfr. E. Reeves, Occult Sympathies and Antipathies: The Case of Early Modern Magnetism, in W. Detel, C. Zittel (eds.), op. cit., pp. 97-114. 40 J. B. van Helmont, Fundamenta medicinae cit., p.118. 41 Cfr. supra, cap. I, § 3. 39 85 3. Effluvi e simpatie: Tommaso Campanella Non erano soltanto gli aristotelici come Simplicio a ricorrere alla simpatia – «che è certa convenienza e scambievole appetito che nasce tra le cose che sono tra di loro simiglianti di qualità» – per spiegare i fenomeni magnetici, e a considerare la dottrina di Gilbert una «nuova fantastica opinione»42. Anche Campanella aveva preso decisamente le distanze dal fondatore della «filosofia magnetica»: mentre Galileo biasimava, nel medico inglese, lo scarso uso della matematica43, il mago calabrese gli rimproverava di non avere utilizzato i concetti di simpatia e di antipatia. «Ergo bene opus est distinguere vera a falsis»: non ci si aspetterebbe di trovare una simile dichiarazione di intenti in un’opera come il De sensu rerum et magia di Tommaso Campanella, scritta intorno al 1590 e pubblicata a Francoforte da Tobias Adami nel 162044, nella quale si afferma energicamente la dottrina dell’animazione universale. Sia il mondo nella sua totalità, sia le sue singole parti – dal cielo alle stelle all’anima dell’uomo – sono dotati di una virtus sensitiva e motrice che è, in ultima analisi, di natura tattile. Il cosmo è dunque attraversato da un gioco incrociato di simpatie e antipatie, amicizie e avversioni tra i liquidi, le pietre e i metalli, le piante, gli animali e il corpo umano, legato al macrocosmo da una rete di «simboli» che permettono, a chi li conosce, di comprendere «tutto», anche se non «del tutto» (qui symbola animadvertit, omnia intelligit, licet non omnino), perché «scientia haec infinita est»45. Nel De sensu rerum vengono esplicitate le dottrine magico-astrologiche, neoplatoniche ed ermetiche del consensus mundi, di un universo «sibimet compatiens, atque conspirans»46, e dell’aria come luogo e ricettacolo universale degli spiriti di ogni genere, che verranno reinterpretate da Gilbert, da Boyle e da altri autori seicenteschi in termini di effluvi, corpuscolari o meno. Non c’è dubbio, per gli scrittori sacri, che l’aria sia la parte meno pura del cielo, sempre infestata dai vapori e dal freddo, dall’ombra della terra. […] È noto che lo spirito degli animali esala di continuo nell’aria, nella debolezza indotta dalla fatica e dalla fame, e nella repentina ricostituzione prodotta dal vino spiritoso, nonché dagli odori, si dimostra che lo spirito è aereo, e si nutre d’aria. Infatti, lo spirito viene subito oppresso dall’aria infetta, langue, e a fatica riesce a svolgere le operazioni vitali […] poiché l’aria comune a tutti è infetta dai vapori fetidi che esalano dalla terra impregnata dalle piogge dopo una tremenda calura, oppure dalla moltitudine dei cadaveri o delle acque stagnanti47. 42 G. Galilei, Dialogo cit., pp. 422 e 412. «Quello che avrei desiderato nel Gilberti, è che fusse stato un poco maggior matematico»: ivi, p. 418. 44 T. Campanella, De sensu rerum et magia, Tobias Adami recensuit, et nunc primum evulgavit, Francofurti, apud Egenolphum Emmelium, impensis Godefridi Tampachii, 1620, lib. IV, cap. XVI, «Appendix», p. 334. Cfr. la recente edizione italiana, a cura di G. Ernst, Del senso delle cose e della magia, RomaBari, Laterza, 2007 e, della stessa autrice, Tommaso Campanella, Roma-Bari, Laterza, 2002; cfr. anche D. P. Walker, Magia spirituale cit., parte III, cap. VII. 45 T. Campanella, op. cit., lib. IV, cap. XX, p. 369. 46 Cfr. M. L. Bianchi, Occulto e manifesto cit., p. 212. 47 T. Campanella, op. cit., lib. III, cap.VI, p. 216: «Dubium non extat apud scriptores sacros, quin aër sit pars coeli minus pura, infestata semper vaporibus et frigore, et umbra terrae. […] Spiritus animalium in aere continuo exhalare palam est, in debilitate relicta ex labore et fame, et in repentina instauratione ex spirituoso vino, et ex odoribus, ostenditur spiritus esse aereus, aereque nutriri. Nam et infecto aere statim aggravatur spiritus, languescit, et vitae operationes aegre operari potest […] quoniam aer omnibus communis, infectus est vaporibus foetidis ex terra exhalantibus post dirum aestum madefacta pluviis; aut ex multitudine cadaverum vel aquarum stagnantium». 43 86 Il senso è aereo, ed esala verso il suo simile, cioè nell’aria: Perciò l’aria vede con la luce, ode con i movimenti, odora con i vapori, gusta con la sottigliezza, con la pressione e con il freddo, con il calore tocca, si duole, gode, senza organi tutto sente e consente, e tutti questi sensi sono diverse modalità del tatto48. Richiamandosi a Plinio e a Virgilio, Campanella attribuisce all’aria un’immanente «anima comune, che è a disposizione di tutti, tramite la quale tutti comunicano gli uni con gli altri»49: la stessa cogitatio è un «moto dello spirito» che, per quanto sottile, viene trasmesso all’aria, e per suo tramite può essere avvertito da altri uomini, «unde multa divinant in aspectu, et sermone, et nesciunt qua ratione»50. Oltre ai vapori e agli odori, fetidi o grati, l’aria è piena di pensieri, intenzioni, e presagi di cose future, percepiti soprattutto dai melanconici, resi più sagaci dalla bile nera, che, mista al sangue, emette «spiritus horribiles fuliginibus inspersos», capaci di indurre anche la pazzia, la licantropia, l’ossessione diabolica (daemonoplexia)51. «Aer per poros et respirationem communicat cum spiritu nostro in capite»: perciò gli animali e gli uomini, soprattutto se affetti da qualche malattia, presentono i cambiamenti di tempo «ex aere (sic!) mutatione»52. Lo spirito è lo strumento universale delle azioni, e «agere est similitudinem suam effundere»53: così si spiegano le mirabili operazioni della natura. Come il senso del cane rabbioso si moltiplica in noi, rendendoci canini, e il ragno tarantino con il morso modifica interamente la nostra struttura, così la remora fa in una nave idonea, proporzionata alla sua passione; il leone teme il gallo, e il tamburo fatto di pelle di pecora subisce l’azione del tamburo fatto di pelle di lupo54. La polarità magnetica viene inclusa da Campanella tra i fenomeni di amicizia e di odio; egli confessa di avere letto il De magnete di Gilbert, molti anni dopo avere scritto il suo libro, ma di non aver voluto cambiare opinione (nolui opiniones meas mutare)55. Il magnete attrae lo stupido, insensato ferro, e si indirizza costantemente al polo, per un mirabile istinto; la donnola, pur non volendo, spinta dall’istinto si getta nelle fauci del rospo, e viene divorata; un toro in fuga si ferma e si calma, se s’imbatte in un fico, per un istinto di natura. […] Tutti questi esempi mostrano che c’è un senso e un consenso di tutte le nature56. 48 Ivi, lib. III, cap. VI, p. 218: «Ergo aer luce videt, motibus audit , vaporibus odorat, tenuitate gustat, compressione et frigore, caloreque tangit, dolet, gaudet, absque organis totus sentit, consentitque, et sensus hi omnes tactus sunt modi varii ». 49 Ivi, lib. III, cap. VII, p.219: «Ergo immanet aer sicut anima communis, quae omnibus praesto est, et qua omnes communicant invicem». 50 Ibid. 51 Ivi, lib. III, cap. X, p. 231. 52 Ivi, lib. I, cap. VIII, p. 29. 53 Ivi, lib. IV, cap. XI, p. 314. 54 Ivi, lib. III, cap. XIV, «Appendix», pp. 258-59: «Et veluti sensus rabidi cani multiplicatu (sic!) in nobis, et reddit nos caninos, et aranea tarantina temperiem morsu immutat totam: Sic remora facit in ligno idoneo, proportionatoque ipsius passioni: Sicut leo aptus est pati a gallo, tympanum pecudis a lupino». 55 Ivi, lib. I, cap. VIII, «Appendix», p. 30; cfr. anche lib. III, cap. XIII. 56 Ivi, lib. I, cap. VIII, pp. 25-26: «Nam magnes trahit stupidum, insensatumque ferrum, et ipse ad polum mirabili instinctu perpetuo dirigitur: Et mustela instinctu impulsa nolens ori bufonis illabitur, devoraturque; et taurus fugax, si ficulneam invenerit, sub ea instinctu naturae quiescit, deposita ira. […] Haec exempla declarare omnia sensum et consensum omnium naturarum». 87 Campanella riprende l’ipotesi di Fracastoro delle insulae magneticae, che si troverebbero in coincidenza dei poli geografici, per spiegare i fenomeni di declinazione: il magnete si volgerebbe ai poli come la parte tende verso il tutto («eo spectat, ubi est ipsius portio maxima vel universitas»); così il fuoco sale al cielo, l’acqua va al mare e le pietre cadono a terra57. L’animismo più sfrenato – che spinge lo Stilese ad affermare di avere imparato per esperienza (ego quoque experimento didici) che il magnete «mangia» la limatura di ferro come l’uomo si nutre di animali imperfetti – coesiste con la teoria degli spiriti – tra i quali rientrano gli odori, i vapori e la virtus attractiva – che emanano dai pori del magnete e di altri corpi magnetici, come il rospo, la remora e la torpedine, e si insinuano nei pori di altri corpi proporzionati, come la donnola, la macchina della nave e la mano del pescatore, modificandone la struttura (temperies o complexio). Il corpo del leone abbonda di spiriti crassi, derivati dal suo naturale calore e dai cibi crudi; dal gallo, invece, emanano e si spargono nell’aria spiriti tenui e «acuti», che «penetrano» gli spiriti del leone, e li dominano (redduntque reverentes): per questo il grande e selvaggio leone teme il piccolo e innocuo gallo, come l’uomo teme i serpenti e i ragni, ed è atterrito dai rumori acuti, che generano nell’aria un moto capace di «penetrare» il nostro spirito, di «pungerlo» e ferirlo58. Nell’opera di Campanella non è presente una teoria degli effluvi, e neppure una vera e propria dottrina degli spiriti, nei loro rapporti con la simpatia, l’antipatia, la virtus attractiva e l’azione a distanza. Si parla di «pori» e di «moti», che permettono al simile di «godere del simile», di «sentire e consentire», senza mai introdurre il necessario correlato di quei concetti: i corpuscoli59. «Ex eiusmodi sympathia et antipathia in mundo sensum, consensumque esse declaratur»: proprio questo «senso e consenso», la simpatia e l’antipatia vengono da Gilbert «quasi disprezzate». Eppure egli attribuisce al magnete un’anima, la cui sphaera activitatis è addirittura più estesa di quella dell’anima umana – che pure può arrivare fino al cielo, «ubi sidera pervestigat»60. Campanella rifiuta le spiegazioni date da Gilbert delle virtù elettrica e magnetica, ma le considera le uniche degne di essere discusse: «quae alii scriptores de magnete tradunt, negligenda sunt»61. L’attrazione avviene, per Campanella, esclusivamente per una somiglianza di natura, ed esemplifica il «mundi consensum in suis partibus»: come il girasole si volge verso il sole, la farfalla vola verso la luce e i corpi umidi sono attratti dalla luna, così tra i poli celesti, quelli terrestri e quelli magnetici c’è una «simpatia di posizione». L’opera di Gilbert finisce per rafforzare la convinzione campanelliana che «sensum cunctis inesse rebus»62. Come Bacon, Campanella crede che nel corpo umano alberghi uno spirito che esala continuamente, e deve essere reintegrato, ricostituito, vivificato e rafforzato tramite cibi, bevande, odori; alla morte, questo spirito si unisce all’aria, perdendo la memoria del corpo in cui era racchiuso. Ma una piccola parte di spirito rimane nei nervi, così che i cadaveri conservano un certo grado di sensibilità – l’«umore del calore innato» è responsabile della crescita delle unghie e dei capelli – e anche vere e proprie passioni, come dimostra il già citato esempio del tamburo fatto di pelle di pecora, che va in pezzi al suono di un tam57 Ivi, lib. I, cap. VIII, p. 26. Ivi, p. 29. 59 Ivi, lib. IV, cap. X, p. 301. 60 Ivi, lib. I, cap. VIII, «Appendix», p. 31. 61 Ivi, p. 35. 62 Ivi, pp. 34-35. 58 88 Athanasius Kircher: Oroscopio eliotropico 89 buro fatto di pelle di lupo, per il «terrore»63. Allo stesso modo, strumenti musicali che abbiano corde fatte con le interiora di «animali contrari» producono suoni dissonanti64; per guarire dal tumore della milza è sufficiente appendere al camino la milza di un animale: man mano che il fumo, salendo, la fa seccare, si seccherà anche il tumore. «Hoc diabolus non facit, quoniam intra nostra viscera non operatur»; la milza si contrae e vomita l’umore nocivo che la riempie «compatiendo cum suo simili, et recipiendo per aeris communionem illius affectum»65. Le apparenti azioni a distanza avvengono tramite la ricezione e la trasmissione degli spiriti nell’aria, o tramite la moltiplicazione degli spiriti, che hanno il potere di trasformare ciò in cui si imbattono (alia in se convertere), mutando la temperies degli uomini: ad esempio, il morso della tarantola o del cane rabbioso introducono nel corpo umano uno «spirito ardente», capace di alterarne la complexio, mutandola in quella dell’animale che lo ha morso. Il tarantato, quando vede un oggetto dello stesso colore del ragno che lo ha morso, «currit ad illum tamquam ad similem, si iam penitus aut nimis propria temperies immutata est, in tarantulae temperiem»; i rabbiosi si comportano come cani, «latrando, et imaginando se esse canes» 66. Nell’uno e nell’altro caso, il temperamento viene sopraffatto dalla moltiplicazione degli spiriti ardenti (exhalatio aestuosa) provenienti dalla tarantola o dal cane rabbioso, tanto che lo spirito «obliviscitur esse humanus», e cessa di svolgere le proprie funzioni consuete: così i tarantati giacciono, abbattuti, a meno che non sentano un suono amico (cioè proprozionato) al veleno che hanno in corpo. Allora si gettano in una danza sfrenata, resa possibile dal moto degli spiriti, in virtù della duplice somiglianza che questi hanno con il veleno e con i suoni – come gli spiriti, «tenui» e «mobili». La varietà delle tarantole corrisponde alla diversità dei temperamenti umani, sui quali agiscono melodie diverse. Il ballo fa sudare, e con il sudore viene infine espulso il veleno67, ma Campanella è convinto che sia vero ciò che affermano i contadini pugliesi, che ogni anno il tarantato si rimette a ballare nel periodo in cui è stato morso, o se vede altri tarantati ballare, finché il ragno non muore; negli spiriti, infatti, rimane «la memoria del moto sopito», quasi vetus cicatrix. Il dubbio che questi racconti non siano veri si insinua appena nella mente di Campanella («Dicunt philosophi vulgares conterranei, nihil rusticos laedi, sed ex ignavia et dolo sic simulare»), ma egli subito lo respinge: «nec quia ignoratur causa, sensus tot confirmatus seculis abnegandus est»68. 63 Ivi, lib. IV, capp. VIII -X, pp. 294, 296, 299. Proprio questo esempio verrà scelto da Walter Charleton, nella Physiologia Epicuro-Gassendo-Charltoniana (1654), per respingere la dottrina delle simpatie e delle antipatie, «windy terms»: se due viole, le cui corde sono fatte di budella di pecora e di lupo, producono suoni dissonanti, il motivo non sarà da ricercare in un’antipatia occulta, ma nella diseguale percussione dell’aria da parte delle corde dei due strumenti, così che i suoni prodotti da una viola confondono e soffocano i suoni prodotti dall’altra. Questo viene interpretato come un «meccanismo occulto» da K. Hutchison (art. cit., p. 245), mentre a mio avviso Charleton non fa che esporre la dottrina gassendiana della materia actuosa, benché corpuscolare. 65 T. Campanella, op. cit., lib. IV, cap. X, p. 302. 66 Ivi, lib. IV, cap. XI, pp. 305 e 311. Il corsivo è nostro. 67 Questa stessa spiegazione della guarigione dei tarantati veniva offerta, negli stessi anni, da Martin Del Rio, che, nelle Disquisitiones magicae (cit., lib. I, cap. IV, p. 47), riprende quanto aveva detto Pietro Andrea Mattioli nel suo Commento a Dioscoride, da Giulio Cesare Scaligero (Exotericae exercitationes cit., ex. CLXXXV) e da Giulio Cesare Vanini (De admirandis cit., lib. IV, dial. LVII). Quest’ultimo attribuisce a un sydereus influxus la ricorrenza annuale dei sintomi, finché il ragno non muore, liberando per sempre il tarantato. 68 T. Campanella, op. cit., p. 304. 64 90 Campanella va ancora oltre: lo spirito del rabbioso, dopo essersi mutato in «spirito canino», imprime l’idea del cane al seme, e genera cuccioli invece che bambini, «poiché il suo spirito trattiene in sé l’idea del genitore, e così come nutriva e vivificava e sentiva ed operava nel genitore, allo stesso modo agisce ed opera nell’utero, dove fabbrica il simile del genitore»69. Anche la gravida imprime sulla tenera carne del feto quelle voglie che la sua carne, più dura, non può accogliere: desiderando ardentemente un cibo, si tocca il viso, e subito lo spiritus adpetens dipinge l’immagine di quel cibo sul viso del bambino nell’utero. Il potere che ha lo «spirito ardente» di vincere e trasformare la temperies di un corpo non è limitato agli animali: anche l’oro, per la sua spiritalis vehementia eccitata dal fuoco, può agire sugli altri metalli, trasformandoli in oro. Questo stesso spirito, uscendo dagli occhi, può indurre passioni come l’amore, l’odio, l’ira e la vergogna; può uccidere bambini e far seccare le piante; può persino, nel caso della tartaruga, fecondare le uova. La vista del lupo rende rauchi perché i «vapori crassi» emessi dalla bestia ci riempiono la bocca, mentre il timore provoca una «contractio ad interiora»70. Nel celebre, ispirato Epilogo dell’opera campanelliana, il mondo viene paragonato sia a una «statua, imago, Templum vivum Dei», sia ad un codex scritto: «beatus qui legit in libro hoc, et ab eo discit rerum quidditates»71. La similitudine testuale – che si affaccia, senza intaccare il predominio di quella iconica – introduce una distanza tra il mondo e Dio, e rimanda ai «simboli che permettono, a chi sappia interpretarli, di comprendere «tutto», anche se non «del tutto». Chi possiede questa «scienza» è capace di «ben filosofare»: Et sane qui bene philosophatur, ex coloribus, saporibus, consistentia, figuris, actionibus, usibus, et proprietatibus rerum, inveniet arcana innumera ad quemcumque cupierit usum72. «Nihil est in natura proprietatibus destitutum», sentenzierà di lì a poco Pierre Borel, raccoglitore di “segreti” medici, negli stessi anni in cui Galileo e Descartes traducevano il codex mundi in linguaggio matematico, espungendone le qualità soggettive. Se il mondo è un libro, dirà Boyle, i suoi caratteri sono simboli geroglifici, con le cose al posto delle parole, e le qualità delle cose al posto delle lettere.73 4. I gesuiti e le azioni a distanza: il magnetismo universale di Athanasius Kircher Malgrado la Società di Gesù abbia dato, a giudizio di John Heilbron, «il sostegno più rilevante allo studio della fisica nel secolo XVII», e le opere dei gesuiti abbiano fornito, a suo giudizio, «le basi» nei campi dell’ottica, della meccanica, del magnetismo e dell’elettricità – tanto che «la conoscenza dei fenomeni elettrici fu tenuta in vita nel Seicento dai 69 Ivi, p. 313: «quoniam eius spiritus retinet in se ideam genitoris, et veluti nutriebat et vivificabat et sentiebat et operabatur in genitore, sic agit et operatur in utero, ergo et similem genitori fabricatur». 70 Ivi, lib. IV, cap. XV. 71 Ivi, Epilogus, pp. 370-71. 72 Ivi, lib. IV, cap. XIV, p. 325. 73 R. Boyle, Of the Usefulness of Natural Philosophy, part I, essay II, in The Works cit., vol. II, p. 29. Cfr. supra, cap. II, § 1 e infra, cap. IV, § 2. 91 gesuiti eclettici»74 –, è molto difficile definire la natura e la portata di una «scienza gesuitica» – sulla quale, infatti, non esistono studi specifici. I gesuiti si mossero nell’ambito di un aristotelismo eclettico, alla costante ricerca di mediazioni e compromessi75. Il concetto di sphaera activitatis, ad esempio, particolarmente significativo e importante dal nostro punto di vista, è un tipico compromesso gesuitico: pur rifiutando, con rara unanimità, le azioni a distanza, i gesuiti utilizzavano infatti largamente il concetto della «sfera di attività» di un corpo, definita come quella regione dello spazio entro la quale potevano propagarsi le qualità attive dei corpi. I poteri magnetici, quindi, esistono, ma soltanto entro certi limiti, stabiliti da Dio: Egli non ha creato la natura «otiosa et sine fructu», ma al tempo stesso, circoscrivendo l’attività delle sfere di effluvia, le impedisce di dissolversi in un progressum in infinitum che ripugna alla ragione, non meno che alla natura stessa76. Non vengono rifiutate, quindi, le azioni a distanza tout court, ma soltanto quelle sine termino: su questo concordano Leonardo Garzoni, Niccolò Cabeo, Jean Roberti, Athanasius Kircher, Caspar Schott, Francesco Lana Terzi. Alla sfera di attività di un corpo, inoltre, veniva attribuita un’estensione maggiore o minore, a seconda del temperamento più o meno prudente degli autori stessi: c’era chi si limitava a spiegare, con tale principio, le proprietà e il comportamento dell’ago magnetico, come Garzoni77, e chi, come Kircher, lo attribuiva ad ogni cosa, dilatandolo fino ai cieli, per spiegare le influenze astrologiche, nel quadro – assai suggestivo, e molto più impegnativo dal punto di vista teoretico – di un magnetismo universale. Nel Magnes, sive de arte magnetica di Athanasius Kircher (1641) si descrivono – come recita l’impegnativo sottotitolo – la natura del magnete e i suoi effetti prodigiosi negli elementi, pietre, piante e animali, nonché gli usi del magnete «in tutte le arti e le scienze», con un «nuovo metodo» e «molti arcani di natura finora incogniti», attraverso «esperimenti fisici, medici, chimici e matematici di ogni genere». L’horror vacui che traspare da un simile progetto, la bulimia argomentativa dell’opera kircheriana – fitta di assiomi, definizioni, proposizioni e teoremi, malgrado la sua struttura evidentemente non deduttiva – si collocano agli antipodi, rispetto alla volontà gilbertiana di escludere dalla «filosofia magnetica» – che poggiava su diciotto anni di lavoro sperimentale – gli aspetti favolosi ed esoterici. L’intento di Gilbert sarà fatto proprio, pochi anni più tardi, da Francis Bacon: non si tratta di mettere le ali all’immaginazione, ma, al contrario, di imporre alla ragione «piombo e pesi»78, per approdare a qualche risultato che aspiri alla certezza. Eppure anche Kircher dichiara preliminarmente – e lo ripete spesso nella sua opera – di voler espungere le fabulae, nella sua indagine sulle prodigiose virtù del magnete: si tratta di trovare il giusto mezzo tra la credulità di quanti dichiarano senz’altro miracolose tali virtù, e la credulità di segno opposto di quanti rifiutano a priori di ammetterle; nell’uno e nell’altro caso, si può tranquillamente fare a meno di intraprenderne l’esame. Un secolo più tardi, Ludovico Antonio Muratori sarà esattamente dello stesso avviso: alla 74 J. L. Heilbron, Alle origini della fisica cit., pp. 8, 158, 166. Su questi temi, si veda il saggio di Stephen Pumfrey, Neo-Aristotelianism and the Magnetic Philosophy cit. 76 A. Kircher, Magnes cit., lib. III, pars VII, cap. II, p. 779. 77 Si vedano i Trattati della calamita cit.. 78 L’espressione, tratta dalla Redargutio philosophiarum, si trova in F. Bacone, Scritti filosofici, a cura di Paolo Rossi, Torino, UTET, 1975, p. 422. 75 92 Athanasius Kircher: Oroscopio universale magnetico 93 metà del Secolo dei Lumi, l’erudito e illuminato ecclesiatico, in un’opera dedicata alla Forza della fantasia umana, afferma che la vera sfida posta dall’immaginazione alla ragione è quella di trovare un giusto mezzo tra il «credere troppo» e il «credere nulla» – «siccome il non credere, senza ragione, nulla del molto che viene raccontato con una qualche apparenza di verità, è un pregiudizio altrettanto sciocco quanto il credere, senza esame, tutto ciò che la voce comune dice»79. Ma basta leggere le prime pagine dell’opera kircheriana per trovarsi in un mondo che scavalca, all’indietro, la filosofia magnetica di Gilbert. Si comincia subito con l’analogia tra il micro e il macrocosmo: come le ossa del corpo umano, le «parti sassose» che costituiscono il «corpo» della terra, quasi una «spina dorsale del mondo», hanno una «magnetica quaedam compaginatio a polo ad polum»80. Anche la genesi delle pietre è identica nei due mondi: un «succo lapidifico» penetra una «matrice» terrestre e, una volta evaporata l’acqua, fa solidificare la terra, generando il magnete, e tutti i diversi generi di pietre: se tale succo penetra nell’argilla, genera il marmo, o il cristallo nelle cime dei monti. Tra gli esempi di attrazione magnetica, troviamo le ossa dello sparviero, capaci di attrarre l’oro, mentre il corno del rinoceronte attrae il ferro; l’unguento armario rientra, invece, tra le «superstizioni magnetiche»81. Kircher non crede che la terra sia un grande magnete, e attacca esplicitamente la teoria di Gilbert82; ma riprende il concetto della «sfera di attività», nella quale si estende la virtus magnetica, che viene interpretata, in termini aristotelici, come «una qualità intrinseca che promana dall’intera forma del magnete», e si trasmette tramite effluvi attraverso il mezzo in un certo spazio sferico, agendo su quei corpi «amica, proporzionata et consimilia» che si trovano all’interno di tale spazio, o sfera di attività. Tra le numerose dottrine aristoteliche accettate da Kircher come assiomi, c’è la negazione delle azioni a distanza. Se il primo libro del Magnes aveva affrontato la natura e l’origine del magnete, senza trascurarne la storia, a partire dagli antichi Ebrei, Egizi, Caldei e Persiani, nel secondo, o Magnes applicatus, vengono esposte le arti e le scienze magnetiche: dalla statica alla «centrobarica», dalla geometria all’astronomia, dalla magia naturale alla meccanica, dall’idromanzia alla steganologia, dalla geografia alla nautica. Per ciascuna di queste scienze, vengono proposti e risolti problemi – ad esempio, una questione di meccanica magnetica, alla quale Kircher dà una risposta positiva, è se si possa ottenere il moto perpetuo, sfruttando la vis magnetica –; si progetta la costruzione di strumenti fantasiosi, come orologi e astrolabi magnetici (compreso un «orologio eliotropico» a forma di girasole), o il «pantografo iconografico-magnetico», da utilizzare nella prospettiva pittorica, o addirittura una macchina che possa rispondere a qualunque domanda per mezzo di statue animate. Non manca, infine, la descrizione degli «artifici» magnetici, come la colomba volante di Archita, il cavallo di Bellerofonte o la quadriga di Serapide. L’opera di Kircher culmina nel terzo e ultimo libro, intitolato Mundus sive catena magnetica. Il frontespizio illustra mirabilmente il senso e la portata del magnetismo uni- 79 L. A. Muratori, Della forza della fantasia umana, Venezia, G. Pasquali, 1745 (prima ed. 1740), capp. IX e X, pp. 119 e 135. 80 A. Kircher, Magnes cit., lib. I, pt. I, cap. I, p. 4. 81 Ivi, lib. I, pt. I, capp. IV e VI, p. 33. 82 Ivi, lib. I, pt. I, cap. III. 94 versale: un cartiglio, recante il motto «Omnia nodis arcanis connexa quiescunt», lega gli anelli di un’unica grande catena che unisce il mondo archetipo – centrale, dominato dall’occhio di Dio –, il mondo sidereo, quello sublunare e il microcosmo umano, oltre a tutte le scienze, dalla teologia – che occupa la posizione più elevata – alla filosofia e alla fisica, dalla retorica alla musica, dalla prospettiva alla meccanica, dalla geografia all’astronomia e all’aritmetica, dalla poesia alla medicina, dalla magia naturale alla cosmografia. La clavis naturae è il consenso e dissenso delle cose, cioè la simpatia e l’antipatia, esemplificata dal consueto elenco di amicizie e inimicizie nei tre regni della natura. I capisaldi teorici del magnetismo universale vengono esposti in appena due pagine, e in quattro rapidi passaggi: poiché ogni cosa agisce attraverso effluxi, cioè per la diffusione della sua qualità; ma un effluxus «non si può concepire, se non per certe linee brevissime diffuse circolarmente»; e poiché così agisce il magnete, ne segue che: le forze e le qualità di tutte le cose, che agiscono le une sulle altre per mezzo di una reciproca radiazione, si possono chiamare magnetiche83. Ne sono esempi il «magnetismo luminare» del fosforo, che attrae la luce, e il fenomeno delle maree, provocato dal magnetismo lunare, mentre con il «magnetismo degli elementi» si spiega la produzione di piogge, venti, fulmini e tuoni artificiali. Ma, prima di imbattersi in una definizione della vis magnetica come «specifica quaedam virtus, sive dos quaedam particularis a tota substantia promanans, qua aliud corpus naturaliter appetit», bisogna passare attraverso settecentocinquantasei pagine in folio. Tuttavia, tale definizione è tutt’altro che esplicita, né può considerarsi tale da giustificare il magnetismo universale: Kircher considera la vis magnetica un «certo istinto naturale» di conservazione insito nelle singole cose, un’«inclinazione» che permette a ciascun corpo – minerale, vegetale o animale – di ricercare ciò che gli è utile, rifuggendo al tempo stesso da ciò che gli reca danno. Quanto alle modalità di azione di tale forza, Kircher non trova di meglio che ricorrere a nuvole di effluvi, piccole atmosfere o sfere di attività presenti nell’aria che circonda i corpi, siano essi magnetici, elettrici o semplicemente «elementari». Se la teoria è molto semplice e rapidamente esposta, imponente è la quantità di esempi e di storie magnetiche: è per l’inclinazione suddetta che «il magnete si dispone verso i poli terrestri, come a siti conformi alla sua natura, rifuggendo ogni altra posizione»; la stessa causa dà ragione dell’insopportabile vellicatio dei muscoli visivi, prodotta dal colore rosso vivo, della paralisi indotta dal tocco della torpedine marina, che è uno dei numerosi «animali magnetici», dello «stupore repentino» indotto dal morso della tarantola, della forma del cane rabbioso impressa nella sua urina, dell’odio che le formiche provano per l’origano e per il cuore dell’upupa, della proprietà, posseduta dal fegato di camaleonte, di dissolvere i filtri d’amore84. La definizione della vis magnetica, e delle sue modalità di azione, permette di argomentare aristotelicamente il rifiuto dell’azione a distanza sine termino, sulla base dell’assurdità del progressum in infinitum, considerato il concetto più «ripugnante» nella filosofia. L’attività delle sfere di effluvia non si estende, infatti, oltre una certa distanza stabilita da Dio: se fosse infinita, o indeterminata, il mondo si dissolverebbe, mentre il «fiato viru- 83 84 Ivi, lib. III, Praelusio II, pp. 536-37. Ivi, lib. III, pars VI, pp. 751-56. 95 Athanasius Kircher: La catena magnetica universale 96 lento» dei basilischi libici potrebbe uccidere un uomo a Roma, in Francia, in Germania o in Inghilterra. Contrariamente a quanto ha sostenuto il medico-mago paracelsiano Robert Fludd nella Philosophia moysaica (1638), pubblicata un anno dopo la sua morte, lo spirito di Dio, diffuso ovunque, non è la causa immediata di ogni cosa; Dio non ha creato la natura «otiosa et sine fructu», ma ha dotato ogni cosa di qualità e poteri che hanno specifici limiti di azione85. C’è da chiedersi, tuttavia, se il rifiuto dell’azione a distanza non riguardi, appunto, solo le grandi distanze, e se sia compatibile con l’attività che avviene all’interno della sfera di effluvi emessa da ciascun corpo magnetico, elettrico o «elementale». Questo punto, come vedremo, sarà centrale nelle discussioni filosofiche sul fascino, e sui poteri dell’immaginazione e degli spiriti86. Dal magnetismo universale è esclusa soltanto la terra, alla quale – non essendo, come pensava Gilbert, un grande magnete – non si può estendere, per analogia, il moto caratteristico di un magnete circolare87. Anche sulle attrazioni elettriche e magnetiche, Kircher esprime opinioni diverse da quelle di Gilbert. Egli invoca, infatti, gli effluvi per spiegare sia i fenomeni elettrici, sia quelli magnetici; ma, poiché vi sono importanti differenze nelle modalità in cui tali attrazioni si esplicano, come già Cardano e Gilbert hanno riconosciuto – un elettro attrae tutti i corpi leggeri, non comunica la sua forza ad altri corpi, attrae con tutte le sue parti, ma non attraverso i corpi interposti, mentre il magnete attrae solo i magneti e il ferro, che può venire a sua volta magnetizzato, è polarizzato e agisce attraverso i corpi interposti –, distingue l’effluvium materiatum dell’ambra dall’effluvium immateriatum del magnete. Sia le virtutes immateriatae, come il magnetismo e la luce, sia le virtutes materiatae, come l’elettricità e gli odori, si diffondono, emanando istantaneamente dalla forma intrinseca di una cosa, e producono una «sfera omogenea» o un «orbe materiato», umido o secco a seconda della «complessione» del corpo che emette tali virtutes 88. Come accadeva nel modello teorico gilbertiano, anche per Kircher gli effluvi materiali non sono corpuscolari, anche se implicano la struttura «porosa» dei corpi che li emettono: a meno che i pori non siano ostruiti dall’eccessiva «densità» dell’aria, ogni corpo emette continuamente effluvi odoriferi, elettrici, luminosi o magnetici, tanto più se lo strofinio sollecita la sostanza al movimento. Gli effluvi elettrici, «rari» e «tenui», comprimono l’aria circostante, le cui parti più fredde si oppongono a questa pressione; la loro resistenza fa rimbalzare indietro, per così dire, la massa d’aria spostata dagli effluvi: nel suo moto di ritorno verso il corpo elettrico, l’aria porta così con sé le pagliuzze e altri corpi leggeri. Se l’estensione del paradigma degli effluvi anche ai moti magnetici, da parte di Kircher, può sembrare più coerente, rispetto alla «forza formale» di cui parlava Gilbert, occorre osservare che entrambi questi concetti sono avvolti dall’oscurità: come fa un effluvio a essere immateriale, e a produrre cionondimeno effetti evidenti ai sensi? Su questo punto, Kircher è ben lungi dall’essere coerente: in altri luoghi della sua opera, egli parla infatti di effluvi insensibili, ma non immateriali, i quali – a seconda che incontrino o meno corpi «proporzionati» ad accoglierli – producono gli effetti classici della simpatia e dell’antipatia. È questo il caso delle piante, che emettono «sfere di effluvi materiali», odoriferi; se non c’è un’adeguata «proporzione» tra quelli emessi da due piante contigue, una delle due 85 Ivi, lib. III, pars VII, cap. II. Cfr. infra, parte II, cap. II. 87 A. Kircher, Magnes cit., lib. III, partes I e II; pars III, cap. IV; pars IV. 88 Ivi, lib. III, pars III, cap. III. 86 97 – ad esempio, un cavolo piantato in prossimità di una vite – è destinata a seccarsi. La propagazione degli effluvi attraverso un medio, come l’aria, e anche attraverso corpi interposti, è possibile in quanto l’effluvio non è «proporzionato» ad essi, e quindi agisce solo sulle sostanze «proporzionate», sulle quali produce effetti percepibili. Kircher fa, a questo proposito, due esempi: quello macrocosmico dell’attrazione magnetica, che agisce soltanto sul ferro, anche se il magnete e il ferro sono posti in mezzo a diversi metalli, e quello microcosmico del senso dell’olfatto, che si esercita solo nelle narici, unico organo «proporzionato» ad esso nel corpo umano89. Il rifiuto kircheriano dell’azione a distanza viene ribadito parlando del veleno della tarantola, che penetra nelle «intime fibre e midolla» del corpo umano, solleticando con il suo «prurito» il sangue, i nervi e i muscoli: così si spiega quell’insatiabilis ad saltandum appetitus che fa sudare il tarantato, in modo tale da espellere la maggior parte del veleno attraverso i pori corporei. La razionalità di questa spiegazione – che verrà citata e condivisa, tra gli altri, da Giorgio Baglivi90 – è compromessa da due clausole, tutte kircheriane: innanzitutto, la specifica «qualità» posseduta dal veleno fa sì che per molti anni, in certi periodi – determinati dalle condizioni meteorologiche e dalle congiunzioni astrali – il tarantato riprenda la sua scomposta danza. Inoltre, la musica che ha il potere di guarire i tarantati, provocando l’espulsione del veleno attraverso il sudore, deve essere una specifica «musica magnetica», caratterizzata da una «proporzione» con i veleni, i temperamenti o complessioni umane, e, in ultima analisi, con gli spiriti, quei «sottilissimi e mobilissimi vapori del sangue» che sono gli intermediari corporei tra l’anima immateriale e i muscoli. In un capitolo successivo della sua opera, Kircher non mancherà di offrire i testi e gli spartiti di alcune tarantelle, ed estenderà l’efficacia curativa della musica – cioè i suoi poteri «magnetici», dovuti alla presenza di un’armonia numero, pondere et mensura nei suoni, nell’orecchio, nell’anima e in Dio stesso – ai casi di sciatica, melanconia, avvelenamento, nonché ai «furiosi» e agli indemoniati, visto che l’umore melanconico, come è noto, «propria et aptissima daemoniorum sedes est» 91. Cum musica nulla alia qualitate morbos curet, nisi ea, quae spiritus crassos discutit et laxat, laxatos subtiliat, veternuosis et melancholicis fumis dissolutis praegravatum animum sublevat92. Per questo, è «falso» e «favoloso» che una cetra fatta di pelle di lupo atterrisca le pecore con il suo suono, come affermano Pitagora, Teofrasto e Della Porta; non è questo il genere di vis sympathica esercitato dalla musica. Sui prodigi del tarantismo, Kircher torna a più riprese, in diversi luoghi della sua opera: a parte uno sporadico accenno a un suo cambiamento di idea riguardo alla possibilità dell’azione a distanza – motivato con la 89 Ivi, lib. III, pars V, cap. II. G. Baglivi, Dissertatio de historia, anatome, morsu, et effectibus tarantulae (Romae, 1695), in Opera omnia medico-pratica, et anatomica, Bassani, 1737, pp. 445-71. La musica e la danza da essa indotta sono, a suo giudizio, i veri antidoti al veleno della tarantola. Infatti, la musica e la danza provocano il moto delle fibre del corpo, che a sua volta causa la soluzione degli umori avvelenati; tramite il sudore «venenosa morbi semina a sanguine eliminentur» (p. 459). 91 A. Kircher, Magnes cit., pp. 714 e 862; lib. III, pars VIII, capp. I e VIII. 92 Ivi, p. 861. Questo passo è espressamente citato da C. Schott, Magia universalis naturae et artis, Herbipoli, sumptibus haeredum Joannis Godefridi Schönwetteri, excudebant H. Pigrin & J. Hertz, 1657-58, vol. III, p. 235. Schott riporta tutta la trattazione kircheriana del tarantismo, sulla quale concorda pienamente, nel vol. III, lib. V, syntagma II della sua opera. 90 98 Athanasius Kircher: Tarantole e tarantelle 99 convinzione che nessuno possa conoscere perfettamente le virtù delle cose invisibili (nemo veras rerum a sensibus abstractarum species habere possit) perché, come dice il Filosofo, tutta la conoscenza è sensibile93 –, egli ribadisce con forza, contro l’opinione pliniana, che non può esserci nessuna azione a distanza tra la tarantola e il tarantato: anche dopo la morte del ragno, infatti, i disturbi del tarantato non cessano. Solo in un caso può non servire la musica, o l’analoga armonia dei colori: se al morso della tarantola si applica tempestivamente il veleno di una tarantola uccisa; la stessa cosa accade per la puntura di uno scorpione, sulla base del principio magico, ripreso anche da Francis Bacon, secondo il quale il simile agisce sul simile94. Dopo aver espunto dal novero dei fenomeni magnetici la bacchetta dei rabdomanti, la cui inclinazione è spiegata con vapori ed esalazioni (halitus)95 piuttosto che per mezzo di un «consenso occulto», Kircher fa l’impegnativa affermazione di voler ridurre il numero dei miracoli nella spiegazione della natura (nos ne nimium miracula multiplicare videamur)96; ma, come avviene spesso negli autori cinque-seicenteschi, le spiegazioni che offre sono spesso più favolose di quelle che rifiuta. Ad esempio, le strane forme delle piante «zoofite» non devono essere attribuite a cause «peregrine», quando si può ricorrere a cause «domestiche e consuete»: se certe piante riproducono – nelle foglie, nei frutti, nei fiori, nel tronco o nelle radici – le forme di animali, o anche dell’uomo, è perché sono intrise del sangue di quegli animali che sono stati «lacerati» dagli steli o dalle parti di tali piante, e che è quindi penetrato nel terreno di coltura delle piante stesse. Le splendide incisioni che illustrano le dottrine kircheriane mostrano le orchidee apiformi, un albero indiano con i frutti a forma di drago – nei quali è contenuto un «umore» che è il sangue stesso del drago – oppure quella «pianta tartarica» i cui frutti a forma di agnello sono particolarmente ambiti dai lupi e da altre bestie carnivore. La credulità di Kircher non si estende all’echeneide, o remora, una vera e propria «calamita marina» che secondo Plinio avrebbe provocato la sconfitta di Antonio ad Azio, bloccando la sua nave, alla quale si era attaccata: questo pisciculum «mere fabulosum esse existimo», perché non c’è «proporzione» tra l’«immensa mole» di una nave e l’esiguità di quel pesce. Dopo l’incidente occorso ad Antonio, infatti, che regalò la vittoria ad Ottaviano, non si sono più verificati casi analoghi, né nel Mediterraneo, né negli altri mari; gli arresti improvvisi delle navi non si devono attribuire, secondo Kircher, né alla remora – come hanno fatto filosofi «inesperti, e troppo creduloni» –, né a qualità occulte o ad oscuri influssi celesti, ma semplicemente alle correnti marine contrarie97. Nulla impedisce, però, a Kircher di credere nel magnetismo della torpedine – che emette sfericamente tutto intorno a sé una insensibile qualità «narcotica», contraria ai nervi e ai muscoli, e congela «il sangue e lo spirito nelle vene» – o di quel «pesce antropomorfo», sirena o «uomo marino», trovato nei mari orientali dell’India, le cui ossa, attraendo il sangue, possiedono proprietà antiemorragiche, mentre la sua carne, una sostanza simile alla mummia, avrebbe 93 A. Kircher, Magnes cit., p. 716. L’applicazione di animali velenosi per neutralizzare gli effetti delle loro punture era stata consigliata, ancora una volta, da Plinio, e inoltre da Dioscoride e Celso: cfr. Massimo Luigi Bianchi, Signatura rerum. Segni, magia e conoscenza da Paracelso a Leibniz, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1987, cap. I, p. 21. 95 Per la trattazione di questo fenomeno, cfr. infra, parte II, cap. I, § 2. 96 A. Kircher, Magnes cit., lib. III, pars V, cap. II, p. 729. 97 Ivi, lib. III, pars VI, cap. II, § 3, pp. 763-64. 98 Ivi, §§ 4 e 7. 94 100 un effetto paralizzante, per l’attrazione di tutti gli spiriti umani98. Quanto all’improvvisa emorragia che si verifica nel cadavere dell’ucciso, in presenza del suo uccisore, questo, che è un dato di fatto, si spiega fisicamente con la «lotta di spiriti contrari» interna al corpo della vittima e veicolata dal suo stesso sangue, dopo che vi siano penetrati, attraverso gli occhi, la bocca, le orecchie e le narici, gli «spiriti virulenti» emessi dall’assassino99. Nel Magnes, come in un libro di segreti, si trovano ricette, tratte dai «libri arabi», dell’oro potabile (elixir vitae, quintessenza della teriaca, antidoto universale, cielo, acqua vitale o Mercurio vegetale), considerato una panacea; come in un trattato di magia, vi si parla del duplice magnetismo presente nell’uomo, che con il suo corpo elementare attrae dai corpi elementari il necessario nutrimento quotidiano in virtù delle inclinazioni della fame e della sete, mentre con il suo spirito etereo attrae dai raggi delle virtù superiori le arti, le scienze e le facoltà dell’umana sapienza100. La vis magnetica finisce per non essere altro che l’amore platonico, che unisce in un’unica catena magnetica le forme e gli effetti superiori a quelli inferiori, a partire da Dio, «magnete vivo ed eterno». Il raggio delle cose superiori discende verso quelle inferiori, e queste a loro volta tendono a quelle, attraverso «reciproci amplessi magnetici»101. Apparentemente, gli sforzi dei filosofi naturali seicenteschi non hanno prodotto grandi progressi, nella spiegazione dei fenomeni – magnetici e non –, rispetto ai trattati di magia o ai «libri di segreti» diffusi nel secolo precedente. C’è però una novità importante: il rifiuto dell’azione a distanza, che accomuna Gilbert e Kircher, offre a quest’ultimo un criterio di demarcazione per distinguere le fabulae dagli autentici fenomeni magnetici. In entrambi quegli autori – peraltro diversissimi tra loro – gli effluvi costituiscono un modello esplicativo intermedio tra le qualità occulte della simpatia e dell’antipatia e il corpuscolarismo meccanicistico, mentre tendono al tempo stesso a differenziarsi dagli spiriti, il cui ambito di applicazione si limita in modo sempre più netto alla fisiologia. 99 Ivi, p. 828 e lib. III, pars IX, cap. II. Ivi, lib. III, pars VII, cap. IV, § 3 e cap. V, p. 818. 101 Ivi, lib. III, pars IX, cap. I, p. 895 e pars X, p. 907. 100 101 102 CAPITOLO QUARTO GLI EFFLUVI E IL MECCANICISMO Confidence in uncertainties, is the greatest enemy to what is certain. (J. Glanvill, The Vanity of Dogmatizing, Epist. Ded., p. III) 1. Corpuscolarismo e «corpuscolarismo magico»: Descartes e Gassendi Il concetto di corpuscolarismo magico, o «magia cartesiana», è stato introdotto da uno studioso di estetica come Tonino Griffero41 per designare un aspetto peculiare del meccanicismo seicentesco – non molto indagato, finora, dagli storici della scienza – che consiste nell’applicazione della teoria corpuscolare ai fenomeni più curiosi, occulti e misteriosi della natura, che sono tuttavia reali, perché accadono, come molti testimoni – oculari e non – sono pronti a sostenere. A differenza di Griffero, ritengo che il punto di partenza non sia tanto la fisica cartesiana, quanto quella gassendiana, e che il corpuscolarismo – «spurio», come è stato mostrato, rispetto a quello cartesiano2 – venga usato dal canonico di Digne in funzione anti-magica, malgrado il riconoscimento di cui i «segreti» della natura continuano a godere, e gli esiti poco rigorosi ai quali spesso condusse l’applicazione dei corpuscoli all’indagine fisica3. Non è superfluo ricordare, a questo proposito, che studiosi ed interpreti sono stati pressoché unanimi nel riconoscere la maggiore diffusione e fortuna seicentesche della filosofia gassendiana, rispetto a quella cartesiana4, quando non hanno 1 Cfr. supra, p. 19, nota 60. A. Clericuzio (Elements, Spirits and Corpuscles cit., p. 64) ha parlato di «rifiuto», da parte di Gassendi, del «programma riduzionistico» cartesiano, cioè della concezione secondo la quale «le uniche spiegazioni valide dei fenomeni naturali sono quelle basate sulle proprietà meccaniche delle particelle». K. Hutchison (What Happened to Occult Qualities cit.) non coglie le importanti differenze che separano Descartes da autori come Gassendi, Charleton e Boyle, nel loro atteggiamento verso le qualità occulte. Anche B. Copenhaver (A Tale of Two Fishes cit.), pur sottolineando la portata innovativa del corpuscolarismo gassendiano in funzione antiaristotelica e antioccultistica, non distingue la filosofia di Gassendi dal meccanicismo di Descartes. 3 W. Detel (Scepticism and Scientific Method: the Case of Gassendi, in W. Detel, C. Zittel (eds.), op. cit., pp. 259-74) sottolinea il divario tra la novità dell’epistemologia gassendiana e il carattere «poco convincente» e «tradizionale» delle sue spiegazioni dei fenomeni fisici. 4 Cfr. O. R. Bloch, La philosophie de Gassendi. Nominalisme, matérialisme et métaphysique, La Haye, M. Nijhoff, 1971; Id., Gassendi and the Transition from the Middle Ages to the Classical Era, «Yale French Studies», 49, 1973, pp. 43-55; A. Pacchi, Cartesio in Inghilterra. Da More a Boyle, Bari, Laterza, 1973; J. S. Spink, Il libero pensiero in Francia da Gassendi a Voltaire, Firenze, Vallecchi, 1974; L. T. Sarasohn, The Ethical and Political Philosophy of Pierre Gassendi, «Journal of the History of Philosophy», 20, 1982, pp. 239-60; R. H. Kargon, L’atomismo in Inghilterra da Harriot a Newton, Bologna, Il Mulino, 1983, capp. VII e VIII; J. Henry, Occult Qualities cit. 2 103 addirittura parlato di una «superiorità»5 teoretica di Gassendi, nella disputa eminentemente gnoseologica che lo oppose a Descartes. Né le opere, né la biografia di Descartes mostrano tracce evidenti e importanti di contaminazione con quel complesso intreccio di saperi e discipline che nel Rinascimento va sotto il nome di magia naturale. Le presunte simpatie giovanili per la magia dei Rosacroce6 lasciano il posto, nelle opere pubblicate dal Descartes maturo, a un esplicito e ripetuto rifiuto di concedere qualsiasi patente di legittimità alle «scienze curiose». Nel Discours de la méthode (1637), che è la prima opera pubblicata da Descartes all’età di quarantuno anni, si trova soltanto l’ammissione di avere letto «tutti i libri che trattano di quelle [scienze] considerate le più curiose e le più rare» – escluse, pertanto, dal cursus studiorum del collegio gesuita di La Flèche –, di avere esaminato, senza trovarvi un appagamento alla propria curiosità e al desiderio di verità, anche le scienze «più superstiziose e false»7. Alla fine del periodo trascorso a La Flèche, Descartes pensa di conoscere già abbastanza il valore [delle false scienze] per non lasciarmi ingannare né dalle promesse di un alchimista, né dalle predizioni di un astrologo, né dalle imposture di un mago, né dagli artifizi o dalle vanterie di quelli che vogliono far credere di sapere più di ciò che sanno realmente8. Si può certo discutere se il ritratto che Descartes dà di sé nelle opere pubblicate gli assomigli – domanda tanto più pertinente per un filosofo il cui motto era: larvatus prodeo –; si può utilmente richiamare l’attenzione sul tono completamente diverso delle giovanili Cogitationes privatae, nelle quali si potevano leggere frasi come: «Il vento significa lo spirito» o «Vi è un solo potere attivo nelle cose: amore, carità, armonia», mentre il progetto della mathesis universalis gli veniva rivelato in tre sogni, fatti nella notte del 10 novembre 1619, «quando io fui pieno di entusiasmo»9. Ma non si dovrebbe mai dimenticare che quei pensieri erano destinati a rimanere, appunto, «privati»: il fatto che il manoscritto che li conteneva fosse trovato, nel 1650, tra le carte portate a Stoccolma nel suo ultimo viaggio, non prova che Descartes gli attribuisse un’importanza paragonabile a quella delle opere a stampa. E non c’è dubbio che in quelle opere non vengano mai trattati i fenomeni curiosi di cui abbondavano, invece, le coeve storie naturali. Al contrario Descartes, diffidente verso 5 Si veda G. Sortais, La philosophie moderne dépuis Bacon jusqu’à Leibniz, Paris, P. Lethielleux, 1922, p. 55; O. Bloch, (Gassendi critique de Descartes, «Revue critique de la France et de l’étranger », 156, 1966, pp. 217-36) afferma che, nella polemica che lo oppose a Descartes, Gassendi non fu certo il più ingenuo (naïf); R. Lenoble (Mersenne ou la naissance du mécanisme, Paris, J. Vrin, 1971) riporta il giudizio di Mersenne, che stimava Gassendi più di Descartes. 6 Ipotizzate da W. R. Shea, «Cartesio e i Rosacroce», in Id., Copernico, Galileo, Cartesio. Aspetti della rivoluzione scientifica, Roma, Armando, 1989, pp. 241-75. 7 R. Descartes, Discorso sul metodo, parte prima, in Opere filosofiche (a cura di E. Lojacono), Torino, UTET, 1994, vol. I, pp. 500-501. In queste, e nelle successive citazioni cartesiane, la traduzione è stata rivista e modificata, anche sulla base dell’edizione standard delle Oeuvres de Descartes, éd. par C. Adam et P. Tannery (d’ora in poi AT), Paris, Vrin, 1964-74, 11 voll. 8 R. Descartes, Discorso sul metodo cit., p. 503. 9 W. R. Shea, op. cit., pp. 241, 242, 249. Sulla natura «potente» e «attiva» dell’immaginazione nel giovane Descartes – destinata tuttavia a trasformarsi in una facoltà «debole» e «inessenziale», le cui funzioni vengono divise tra il corpo e l’intelletto dopo il 1630 – cfr. D. L. Sepper, Descartes and the Eclipse of Imagination, 1618-1630, «Journal of the History of Philosophy», 27, 1989, pp. 379-403. 104 «una scienza della natura invischiata in segreti e rarità fini a se stessi»10, non derogò mai dalla dichiarazione di principio che chiude la seconda parte dei Principia philosophiae (1644): Ammetto senza riserve di non conoscere altra materia, nelle cose corporee, se non quella che si può dividere, che può assumere figure e che è mobile, quella che i geometri chiamano quantità e che assumono come oggetto delle loro dimostrazioni: in essa non considero altro che tali divisioni, figure e movimenti. Intorno ad essi, poi, non ammetto come vero nulla che non sia stato dedotto da quelle nozioni comuni, della cui verità non possiamo dubitare, con tale evidenza da essere considerato una dimostrazione matematica. E poiché tutti i fenomeni della natura possono essere spiegati in questo modo, […] penso che non si debbano ammettere e neppure desiderare altri princìpi fisici11. Le particelle di materia di Descartes sono oggetti geometrici, regolari o irregolari: non solo quelle sferiche che compongono i cieli e i loro vortici, la cui pressione costituisce la luce, ma anche quelle striate, «scanalate come viti, le une in un senso, le altre in quello contrario»12 che, insieme ai «condotti girati a vite»13 presenti nel ferro, spiegano i fenomeni di polarità e di attrazione magnetica, o quelle «ramificate» e «tenuissime» che compongono ogni genere di «vapori» e di «esalazioni»14. Tali corpuscoli, insieme alle loro disposizioni, possono essere visualizzati, come dimostrano le suggestive incisioni che illustrano, numerose, le opere nelle quali viene esposta la fisica cartesiana, da Le Monde (1664, postumo) ai Principia philosophiae. Descartes è convinto che «non c’è alcun fenomeno della natura che sia stato omesso in questo trattato» e che «si può includere tra i fenomeni della natura solo ciò che è percepito dai sensi»: grandezze, figure e moti di corpi, nonché «la luce, il colore, l’odore, il sapore, il suono e le qualità tattili», riconducibili alla grandezza, alla figura e al moto dei corpuscoli che costituiscono i corpi esterni, in quanto agiscono sul nostro corpo15. Non è certo immotivata, quindi, la posizione di quegli esegeti secondo i quali «l’importanza della teoria corpuscolare cartesiana» consiste «nell’aver tagliato per sempre dalla chimica ogni residuo magico», nell’«aver sfrondato con decisione dalla fisica ogni residuo qualitativo»16. 10 L. Daston, K. Park, op. cit., p. 245. R. Descartes, Opere cit., vol. II, pp. 143-44. Cfr. Principia philosophiae, pt. II, § LXIV, in AT, vol. VIII-1, pp. 78-79: «Nam plane profiteor me nullam aliam rerum corporearum materiam agnoscere, quam illam omnimode divisibilem, figurabilem et mobilem, quam Geometrae quantitatem vocant, et pro objecto suarum demonstrationum assumunt; ac nihil plane in ipsa considerare, praeter istas divisiones, figuras et motus; nihilque de ipsis ut veterum admittere, quod non ex communibus illis notionibus, de quarum veritate non possumus dubitare, tam evidenter deducatur, ut pro Mathematica demonstratione sit habendum. Et quia sic omnia Naturae Phaenomena possunt explicari … nulla alia Physicae principia puto esse admittenda, nec alia etiam optanda.» 12 R. Descartes, I princìpi della filosofia, parte IV, CXXXIII, in Opere cit., pp. 337-38. 13 Ivi, parte IV, CXXXVII, p. 340. 14 Ivi, parte IV, LXX, p. 307. 15 Ivi, parte IV, CXCIX, p. 384. 16 Cfr. F. Trevisani, La teoria corpuscolare in Cartesio dal «Traité du monde» ai «Principii», in U. Baldini, P. Farina, F. Trevisani, G. Zanier, op. cit., pp. 179-223 (pp. 221-22). Cfr. anche J. Collins, Descartes’ Philosophy of Nature, Oxford, Blackwell, 1971; J. Cottingham, Cartesio, Bologna, Il Mulino, 1991, cap. IV; S. Gaukroger, Descartes’ System of Natural Philosophy, Cambridge, New York, Cambridge University Press, 2002. Richard Westfall (Newton and the Hermetic Tradition cit., pp. 186-87) avvicina invece la materia sottile del primo elemento cartesiano allo spiritus ermetico e rinascimentale. 11 105 René Descartes: Le particelle striate 106 Tra i fenomeni naturali più difficili da spiegare, oltre a quelli magnetici menzionati sin dalle Regulae ad directionem ingenii (1627-28)17, Descartes include le attrazioni operate dai corpi elettrici, come il vetro, l’ambra, la cera e la resina, e le spiega con l’insinuarsi delle particelle del primo elemento – estremamente mobili, prive di una forma e di una grandezza date – negli «interstizi» o nelle «minute fessure» di tali corpi. Si formano così «certe fascioline sottili e allungate» di etere (fasciolae tenues)18, pronte ad avvolgersi intorno alle altre particelle che compongono quei corpi e a disperdersi nell’aria circostante, trascinando poi indietro con sé i corpi più minuti che hanno incontrato, dopo essere rapidamente penetrate nei «passaggi» che questi ultimi hanno loro offerto19. Descartes non nega che possano esistere «particelle impercettibili dei corpi», anche se non rientrano nella definizione che lui stesso ha dato poco prima di fenomeno naturale (cioè sensibile): «i nostri stessi nervi, infatti, […] non sono minutissimi, ma, simili a funicelle, […] non possono essere mossi da corpi estremamente piccoli». Di tali corpuscoli insensibili si può parlare per analogia, «sulla base di quello che i nostri sensi percepiscono nei corpi grandi», cioè «figure, dimensioni e movimenti»: in questo modo si produrranno spiegazioni migliori – sempre geometriche, benché congetturali – rispetto a quelle che chiamano in causa «la materia prima, le forme sostanziali, e tutto quel grande apparato di qualità […] ciascuna delle quali è più difficile da conoscere di ciò che dovrebbe spiegare»20. Queste sono le qualità occulte della filosofia scolastica, che avevano avuto un grande successo nel Rinascimento, e che tanto ne avranno ancora nel Seicento e nel Settecento, malgrado la condanna cartesiana. Tra i «rari effetti» che costituivano il dominio usuale di tali qualità, e che Descartes attribuisce alla presenza, in tutti i corpi terrestri, di particelle del primo elemento, capaci di entrare e uscire dall’aria circostante in virtù della loro estrema sottigliezza e mobilità, ci sono «il sanguinare delle piaghe del morto quando l’assassino si avvicina», i turbamenti dell’immaginazione, sia nella veglia sia nel sonno, i presentimenti e le doti profetiche21. La differenza tra il corpuscolarismo cartesiano e quello gassendiano verrà esposta con mirabile chiarezza da Robert Boyle, negli Experiments and Notes about the Mechanical Origin or Production of Electricity (1675): mentre gli effluvi gassendiani sono fatti dei corpuscoli che emanano dai corpi stessi – e ne condividono, quindi, la varietà di proprietà, compreso il colore e persino la natura «amichevole» –, gli effluvi cartesiani sono composti di particelle di materia eterea sottile, che differiscono l’una dall’altra esclusivamente per forma, grandezza e moto22. 17 R. Descartes, Regole per la guida dell’ingegno, XII, in Opere cit., vol. I, p. 283 (AT, vol. X, p. 427). Le fasciolae di Descartes non sarebbero altro che «Gilbert’s effluvial spiritus made more solid», secondo G. K. Chalmers, Effluvia cit., p. 1040. 19 R. Descartes, I princìpi cit., parte IV, CLXXXIV-CLXXXVI. 20 Ivi, parte IV, CCI-CCII, pp. 385-86. È da notare che l’elenco delle spiegazioni improponibili è stato aggiunto nella traduzione francese dell’opera, compiuta dall’abate Picot e rivista dallo stesso Descartes, che fu pubblicata nel 1647: cfr. Principes de la philosophie, CCI, in AT, vol. 9-2. 21 Ivi, pt. IV, CLXXXVII. Anche l’elenco dei prodigiosi effetti di natura compare solo nell’edizione francese. 22 R. Boyle, Experiments and Notes about the Mechanical Origin or Production of Electricity, in The Works cit., vol. IV, p. 346. La tesi opposta è sostenuta da Sophie Roux, Descartes atomiste?, in E. Festa, R. Gatto (a cura di), Atomismo e continuo cit., pp. 211-73. A suo parere, Boyle non si sarebbe discostato dalla tradizione, diffusa in Inghilterra, di considerare sinonimi i neologismi di «filosofia meccanica» e «filosofia corpuscolare», trascurando le differenze tra la teoria della materia cartesiana e quella gassendiana (p. 252). 18 107 In un recente e importante studio dedicato da Jonathan Israel all’Illuminismo radicale, Nicolas Malebranche viene inserito – insieme a Newton – tra quei «grandi pensatori del tardo Seicento e del primo Settecento» che «abbandonarono, quando non rifiutarono espressamente, la credenza nella magia, nella divinazione, nell’alchimia, e nella demonologia»23. Anche se le cose sono un po’ più complesse (basta pensare alla lunga trattazione dell’immaginazione e dei suoi effetti24), non c’è dubbio che Malebranche sia un seguace ortodosso del meccanicismo cartesiano, sia nella fisica, sia nella fisiologia. Nella Recherche de la verité (1674-75), egli dedica un capitolo all’attrazione magnetica, che spiega senza allontanarsi dai dogmi cartesiani del moto per contatto e dell’assenza di vuoto e di forze. Nel caso di un’apparente azione a distanza, si tratta semplicemente di scoprire quali corpi trasmettano il moto per impulso: deve trattarsi necessariamente di corpi invisibili, che escono dalle calamite. Per scoprirli, «il ne faut pas ouvrir les yeux et s’approcher de cet aiman»: ma sarebbe sbagliato fidarsi ciecamente dei sensi, dato che «non si vedono neppure i venti più impetuosi, né parecchi altri corpi che producono effetti straordinari»25. Il magnete emette continuamente corpuscoli che «cacciano» l’aria contigua; questa, a sua volta, è un corpo fluido, composto di infinite particelle in movimento, che esercitano una pressione uguale su tutti i lati del magnete; i suoi poli hanno pori di diverse grandezze e figure: quindi, i «petits corps» che escono incessantemente dai due poli troveranno il passaggio libero in una direzione, e chiuso dall’altra. Mais il n’y a aucune raison ni aucune expérience qui démontre clairement le mouvement d’attraction: car dans les expériences qui semblent les plus propres à prouver cette espece de mouvement, on reconnoît visiblement lorsqu’on en découvre la cause veritable et certaine, que ce qui paroissoit se faire par attraction, ne se fait que par impulsion26. L’idea vaga e indeterminata di attrazione assomiglia pericolosamente a una qualità occulta, mentre, nella spiegazione degli effetti naturali, non bisogna ricorrere a qualità, forme, entità o intelligenze che non si conoscono chiaramente: «car ce n’est pas rendre raison d’un effet, que d’en donner pour cause une chose que personne ne conçoit clairement»27. Malebranche afferma, d’altra parte, che è lecito postulare entità impercettibili, come i «petits corps», se questo serve a spiegare fenomeni evidenti ai sensi, e se tale spiegazione è compatibile con i fenomeni stessi. Non è certo un caso che, mentre Descartes aveva dedicato loro appena qualche riga dell’edizione francese dei Principia (1647), le «cosiddette qualità occulte» siano oggetto di un’attenta e articolata trattazione nel quattordicesimo capitolo della Physica di Pierre Gassendi – che costituisce la seconda parte del Syntagma philosophicum (1658), pubblicato tre anni dopo la morte del suo autore. Proprio quel capitolo costituisce, a mio avviso, la matrice della fisica curiosa, che sarà caratterizzata dall’applicazione del corpuscolarismo alle qualità occulte, inglobate nella fisica. Tale applicazione – piuttosto esotica e spuria per 23 J. I. Israel, op.cit., p. 15. Cfr. infra, parte II, cap. II, § 4. 25 N. Malebranche, Recherche de la verité, Amsterdam, chez H. Desbordes, 1688, vol. II, lib. VI, cap. VIII, p. 263. 26 Ivi, p. 264. 27 Ivi, p. 263. 24 108 i meccanicisti rigorosi, come Descartes e Hobbes28 – scaturisce dalla concezione di una materia actuosa – composta, cioè, di corpuscoli dotati di un principio di movimento autonomo e perenne29 – che era estranea alla filosofia naturale cartesiana, mentre è presente nell’opera di Gassendi, caratterizzata inoltre da «un approccio descrittivo ed empirico allo studio della natura» ben diverso dal «programma riduzionistico cartesiano»30. L’importanza dell’inclusione delle qualità occulte nella fisica, come oggetto di una trattazione separata, risulterà ancora più evidente ove si ricordi il rifiuto opposto dagli aristotelici a «classificare la conoscenza dell’occulto come un ramo della scienza, poiché la scientia si occupava soltanto delle cause necessarie e universali» e «l’occulto era strettamente associato con il misticismo e il demonismo»31: in conseguenza dell’equazione, tutta medievale, tra insensibile e immateriale, il magnetismo finisce per appartenere, secondo S. Tommaso, al regno del soprannaturale. All’inizio del Syntagma, Gassendi affronta la trattazione dei princìpi della natura: gli atomi e il vuoto. Quest’ultimo viene distinto in: vuoto separato – negli spazi cosmici, al di fuori di questo mondo –, vuoto coacervato – quello, cioè, che si può ottenere artificialmente, «vi aliqua corporibus facta», cioè esercitando una pressione su quel corpo fluido che è l’aria – e vuoto disseminato, presente negli inana spatiola interspersa all’interno dei corpi. La diversa conformazione che questi piccoli spazi vuoti assumono in ciascun corpo ne determina la textura: una struttura che consiste nell’alternanza di pieni e di vuoti, determinata dai diversi modi di aggregazione degli atomi32. Anche Pierre Borel, negli stessi anni, distingue un vuoto «grande», extracosmico, che giudica aristotelicamente inimicum naturae, da uno «piccolo», ammesso da Democrito e da Epicuro, disperso nelle parti più piccole attraverso l’aria, affinché gli atomi e le altre cose abbiano la possibilità di muoversi e di penetrarsi; infatti l’aria, come una spugna, può essere compressa e dilatata per la contrazione dei suoi pori, come avviene in una spugna33. Le basi teoriche del corpuscolarismo gassendiano vengono riprese, come è noto, dalla esposizione lucreziana della filosofia epicurea: nel sesto libro del De rerum natura, parlando dell’attrazione del magnete, Lucrezio aveva scritto: Poiché i vari corpi sono forniti di numerosi pori, questi devono essere di diversa natura fra loro, e avere ciascuno una sua configurazione e un suo percorso. […] Dei corpi le cui strutture si fronteggiano con reciproca armonia, così che i vuoti di questo si adattino ai pieni di quello – e inversamente fra loro –, di essi la congiunzione è perfetta. 28 Nel De corpore (cap. XXX, § 15), Hobbes aveva spiegato l’attrazione elettrica e magnetica con il «moto delle parti più piccole» che costituiscono sia i corpi elettrici, sia quelli magnetici: cfr. T. Hobbes, Elementi di filosofia. Il corpo. L’uomo (a cura di A. Negri), Torino, UTET, 1972, p. 485. 29 Cfr. M. Benitez, A. McKenna, G. Paganini, J. Salem (eds.), Materia actuosa. Antiquité, Age classique, Lumières. Mélanges en l’honneur d’Olivier Bloch, Paris, Champion, 2000. 30 A. Clericuzio, Elements, Spirits and Corpuscles cit., p. 68. 31 K. Hutchison, What Happened to Occult Qualities cit., p. 236. 32 P. Gassendi, Physica cit., tomo I, pars II, sectio I, lib. II, capp. II, III, IV; lib. III. 33 P. Borel, op. cit., pp. 288-89: «in minimas partes per aëra dispersum ut atomis et aliis rebus detur locus penetrandi et movendi se, sic enim aër instar spongiae coarctari et dilatari potest ob pororum eius ut in spongia contractionem». 109 Accade pure che certe cose possano restare unite, quasi fossero intricate da anelli e da uncini; ciò che accade più chiaramente in questa pietra e nel ferro.34 Lucrezio non parla di atomi, bensì di semina35, primordia rerum o corpora; non di effluvia, ma di aestus; utilizza, però, il termine-chiave textura, per indicare la struttura – allo stesso tempo corpuscolare e dinamica – della materia, che permette gli incastri tra le sostanze per mezzo di «invisibili legami» (caecis compagibus)36. Questo termine e questi concetti, ripresi da Gassendi e utilizzati, insieme al principio aristotelico-scolastico «Nihil agit in distans nisi prius agit in medium»37, in funzione anti-magica per spiegare i fenomeni naturali occulti e segreti, sono alla base della dottrina degli effluvi, che godrà di una grande fortuna nel Sei-Settecento presso i medici e i filosofi naturali. Gassendi passa quindi all’indagine delle qualità dei corpi, che gli Scolastici distinguevano in qualità prime (caldo, freddo, secco, umido), qualità seconde (il colore, l’odore, il sapore, la grandezza e la figura, la trasparenza e l’opacità, la sottigliezza, la gravità e la leggerezza, la fluidità e la durezza, la mollezza, la luce, il raro e il denso, il liscio e lo scabro, ecc.) e qualità occulte: quelle, cioè, le cui cause non si manifestano ai sensi. Malgrado la loro imbarazzante varietà, queste ultime sono tutte riconducibili alla simpatia e all’antipatia. Tali forze cosmiche erano misteriosamente presenti nell’universo magico sin dai tempi di Empedocle (V sec. a.C.) – non a caso citato da un «professore di segreti» come Pierre Borel38 – che introdusse un «amore» o «amicizia» capace di aggregare tutto ciò che esiste, e lo contrappose a un «odio» o «discordia» che agisce invece come principio disgregante, concependo entrambi questi princìpi come materiali. Gassendi offre una spiegazione corpuscolaristica e meccanicistica della simpatia e dell’antipatia, in termini di movimento degli atomi e textura dei corpi: Nessun effetto è senza causa; nessuna causa agisce senza moto; niente agisce su una cosa distante, alla quale non sia presente o di per sé stesso, o attraverso un organo, sia congiunto, sia trasmesso; nulla, quindi, può muovere qualcosa, se non toccando quella cosa o di per sé stesso, o attraverso un organo, che deve essere corporeo39. Non vi sono, quindi, né effetti inspiegabili, né forze che agiscono a distanza: ogni genere di attrazione e repulsione, simpatia e antipatia si spiega con l’incastro di atomi 34 Multa foramina cum variis sint reddita rebus,/ dissimili inter se natura praedita debent/ esse, et habere suam naturam quaeque viasque. […] Quorum ita texturae ceciderunt mutua contra,/ ut cava conveniant plenis haec illius, illa/ huiusque inter se, iunctura haec optima constat./ Est etiam quasi ut anellis hamisque plicata/ inter se quaedam possint coplata teneri; quod magis in lapide hoc fieri ferroque videtur. Cfr. T. Lucrezio Caro, La natura delle cose, lib. VI, vv. 981-83 e 1084-1089, introd. di G. B. Conte, trad. di L. Canali, testo e commento a cura di I. Dionigi, Milano, Fabbri, 1994, vol. II, pp. 600 e 606. 35 Per l’uso di questo termine come sinonimo di moleculae, da parte di Gassendi, cfr. A. Clericuzio, Elements, Spirits and Corpuscles cit., p. 66. 36 T. Lucrezio Caro, La natura cit., lib. VI, v. 1016. 37 Cfr. M. Jammer, Storia del concetto di forza cit., p. 76. 38 Cfr. supra, cap. II, § 1. 39 P. Gassendi, Physica cit., tomo I, pars II, sectio I, lib. VI, cap. XIV, p. 450a (pp. 449-457): «… nullus effectus sine causa sit; ut nulla causa sine motu agat; ut nihil agat in rem distantem, seu cui non sit praesens vel per se, vel per organum, aut coniunctum, aut transmissum; ut nihil proinde moveat aliud, nisi contingendo ipsum vel per se, vel per organum, illudque corporeum.». Nel prosieguo di questo paragrafo, tutti i riferimenti sono a questo medesimo luogo. 110 variamente conformati come «piccoli uncini, corde, pungoli, pertiche» – invisibili e impalpabili, ma non per questo fittizi – nella materia «porosa» dei corpi40. All’eziologia segue la fenomenologia delle qualità occulte, che non si discosta significativamente da autori come Agrippa, Cardano e Campanella: innanzitutto, la forza elettrica, presente in corpi come l’ambra e la cera, si manifesta attraverso lo sfregamento, che produce l’emissione di «innumeri radioli, quasi lingulae» fatti di atomi impercettibili, capaci di penetrare nei pori delle superfici dei corpi attratti, come le pagliuzze e altri corpi leggeri, attirandoli verso i corpi elettrici. Questa spiegazione, come si vede, è analoga a quella cartesiana, ma Gassendi estende i princìpi del suo corpuscolarismo ad altri fenomeni, sui quali Descartes aveva mantenuto un prudente silenzio: con gli aculeoli o spiculula – piccoli pungiglioni presenti nella textura superficiale di corpi come l’ortica, ma anche nella materia atomica che costituisce alcuni vapori odorosi e persino i simulacri o specie visibili – si spiega il dolore che proviamo, quando tali corpi vengono a contatto con i nostri organi di senso, insinuandosi nei loro pori. Così l’ortica punge la mano o il ginocchio, un odore fetido «punge» le narici e una cosa dall’aspetto turpe ripugna alla retina, facendoci distogliere lo sguardo; così si spiegano il dolore e il piacere, l’amore e l’odio, e ogni genere di percezioni «grate» e «ingrate», o perché la lingua del camaleonte catturi la mosca. Se la visione, aristotelicamente, non è un’azione a distanza41, ma avviene per l’intromissione di specie, o immagini costituite di atomi di forma diversa, allo stesso modo si può spiegare l’influsso dei corpi celesti in inferiora: non soltanto le influenze astrologiche, ma anche i fenomeni delle maree, che Galileo spiegava con la combinazione dei moti terrestri di rotazione e di rivoluzione, e Gassendi riconduce invece a un’attrazione lunare che tuttavia non implica alcuna forma di azione a distanza. Un’attrazione dello stesso genere viene esercitata dai raggi del Sole, che penetrano nelle foglie e nel fusto del girasole, determinandone la rotazione. Ma perché ciò non accade con altri fiori? A questa obiezione – tutt’altro che trascurabile, poiché tira in ballo l’irriducibilità a leggi, la mancanza di un metodo nella trattazione dei secreti di natura – Gassendi dà una risposta ad hoc che diventerà classica: perché hanno una diversa textura, non compatibile con quella dei raggi solari. Perché il gallo canta al sorgere del Sole? perché viene svegliato dall’aria fresca della notte, «spinta» via dalle prime luci dell’alba. Le cose umide, come le ostriche e le lumache, sono più abbondanti con il plenilunio che durante il novilunio, perché la Luna è umida. La pelle di lupo consuma quella di agnello perché in essa sono presenti «corpuscoli residui» degli animali vivi; per la stessa ragione le penne di aquila distruggono quelle degli altri uccelli. Ad un incontro-scontro di texturae atomiche si devono l’amore della vite per l’olmo, e l’odio che la oppone al cavolo. Mentre racconta, con la stessa vis rhetorica usata più di un secolo prima da un mago «dannato» come Cornelio Agrippa42, gli stessi eventi prodigiosi, Gassendi non manca, 40 Questo stesso concetto è espresso da Walter Charleton nella Physiologia Epicuro-Gassendo-Charltoniana (1654): cfr. K. Hutchison, art. cit., p. 244. 41 Sulla teoria della visione di Gassendi, cfr. S. Parigi, Il mondo visibile cit., cap. I, § 11e la bibliografia lì citata. 42 Nel De occulta philosophia, libro I, capp. XV e XVIII. Quest’opera fu pubblicata nel 1533, quando già circolava manoscritta da ventitre anni: cfr. H. Cornelius Agrippa von Nettesheim, La filosofia occulta, in La magia naturale nel Rinascimento cit., pp. 57 sgg. 111 però, di usare cautelative espressioni parentetiche, come: «si vera sunt omnia, quae de illo circumferuntur». «Non è impossibile» che alcuni affetti vengano veicolati dagli sguardi, attraverso l’estromissione di corpuscoli materiali: per questo, non è favoloso che il fresco cadavere dell’ucciso sanguini in presenza dell’assassino. Potrebbe infatti verificarsi, in questo caso, una colluctatio tra gli «spiriti superstiti» presenti nel sangue dell’ucciso e i corpuscoli emessi, attraverso i meati della sua pelle, dal corpo dell’uccisore, richiamati per attrazione dai corpuscoli simili usciti da lui al momento dell’assassinio, e rimasti sul cadavere. Dieci anni prima della Physica gassendiana, era uscito, anch’esso postumo, l’Ortus medicinae di Jan Baptiste van Helmont, una raccolta di scritti pubblicata da suo figlio Franciscus Mercurius: in quest’opera lo stesso fenomeno veniva accolto come un dato di fatto, e spiegato con le «virtù mumiali inferiori» che permangono nel sangue dell’ucciso, anche dopo la sua morte, unitamente alla «fantasia», dove alberga un intenso desiderio di vendetta43. Più semplicemente, Borel aveva spiegato il fenomeno con il ritorno, attraverso le ferite, degli spiriti dell’assassino penetrati nel corpo della vittima, durante l’omicidio44. Il basilisco (nisi fabula est, quod de ipso memorant), non diversamente dal catoblepa o toro etiope, può uccidere con lo sguardo, perché spiriti velenosissimi, sottili e violenti, gli escono dagli occhi e dalla bocca, penetrando e pervadendo la «sostanza spirituosa» dell’animale che ha la disgrazia di capitargli di fronte. L’azione dei veleni di ogni genere consiste, infatti, nell’indebolimento del vigore degli spiriti, attraverso i mutamenti operati nella disposizione dei corpuscoli che li costituiscono e la divisione di questi ultimi. Scaligero, che credeva nell’esistenza del basilisco, racconta dell’epidemia causata a Roma, durante il pontificato di Leone X, dal fiato pestilenziale di un simile animale, tenuto in una stalla. L’epidemia cessò soltanto quando il basilisco morì, per le preghiere del papa stesso. Borel era accorso a vedere il «miracolo» del serpente nato in un uovo di gallo, che, secondo un’antica credenza, avrebbe potuto essere un basilisco, ma aveva trovato solo «rudimenti», nell’uovo, che imitavano la figura del serpente: non si tratta, conclude, di un basilisco, ma semplicemente di un uovo mostruoso, come quello descritto per la prima volta da Ambroise Paré, e successivamente da Fortunio Liceti e da Ulisse Aldrovandi, nel quale era delineata una testa di Medusa45. Che il basilisco possa nascere dall’uovo di un gallo covato da un serpente è, secondo Thomas Browne, una tradizione tanto mostruosa quanto l’animale stesso46. Perché il canto del gallo spaventa il leone, e il grugnito del porco l’elefante? Perché esiste una «discrepanza» o «incommensurabilità» tra i corpuscoli che compongono il suono e la contextura dell’organo dell’udito in una data specie, così che i primi lo irritano (discerpant), producendo un sentimento di grande apprensione. Per questo motivo, noi stessi «avversiamo ogni genere di dissonanza». Mentre discute e analizza le res mirae tramandate da fonti antichissime, come Platone e Lucrezio, Gassendi si sforza di produrre spiegazioni verosimili: il potere che ha lo sguardo di un lupo di far ammutolire un uomo, per esem- 43 J. B. van Helmont, De magnetica vulnerum curatione, §§ 113-114, in Ortus medicinae cit., pp. 454-75. P. Borel, op. cit., cent. II, obs. XLVII. 45 Ivi, cent. IV, obs. I. G. C. Scaligero, Exercitationes cit., CCXLVI, § 4. Liceti (De monstris cit., lib. II, cap. LXXXVI) attribuisce a Paré la priorità nel racconto e nell’illustrazione di questo prodigio di natura. 46 T. Browne, Pseudodoxia cit., lib. III, cap. VII. 44 112 Athanasius Kircher: Uova e galli mostruosi 113 pio (purché sia il lupo a guardare l’uomo per primo)47, si spiega con la repentina «defezione degli spiriti», che non riescono più a provocare la contrazione dei muscoli che muovono la lingua. Come si vede, anche in questo caso la «moderna» fisiologia cartesiana viene utilizzata da Gassendi per rendere ragione di un evento meraviglioso e inspiegabile, mentre il corpuscolarismo si salda a quella dottrina degli «spiriti», risalente a Galeno e ad Avicenna, che era stata centrale nella fisiologia e nella psicologia medievali e rinascimentali, da Dante Alighieri a Marsilio Ficino48. La credibilità di questo stesso evento prodigioso era stata respinta da Scaligero sulla base di una triplice esperienza diretta: tutte e tre le volte che gli era capitato di incrociare lo sguardo con quello di un lupo, lungi dall’ammutolire, lui e i suoi compagni di caccia si erano messi, al contrario, ad urlare49. Ma forse non era stato il lupo a guardarli per primo. La trattazione gassendiana dei fenomeni «occulti» prosegue con la velenosa tarantola, o falangio di Puglia, che gli offre l’occasione per un’audace sintesi tra Athanasius Kircher e la fisiologia cartesiana: se i tarantati ballano e guariscono solo con un certo tipo di musica, è per una serie di incastri riusciti; dev’esserci commensuratio sia tra il suono di una data cantilena e l’organo dell’udito del ragno, sia con l’orecchio del tarantato, nonché con l’intera «temperie» del suo corpo. In questo modo gli spiriti, la cui textura sia stata modificata dai suoni della musica, agiscono sui nervi del tarantato, e questi sui muscoli, facendo ballare e saltare lo sventurato, colpito dal morso velenoso dell’insetto, finché con il sudore non sia stato espulso tutto il veleno. Nei suoni non c’è alcun potere: né in quelli musicali, né nelle parole degli incantesimi, che sono pertanto da rigettare. Se i suoni agiscono sui corpi, è perché sono anch’essi corpi, provvisti di una determinata struttura atomica, e possono muovere il sensorio in modo dolce o violento: ne segue che, a parte pochi praestigia che Dio concede ai cacodemoni, «caetera, quae de fascino perhibent, fabulae videantur». A questo punto, Gassendi si lancia in una veemente critica delle superstizioni magiche: se qualcuno si ammala, o si consuma nell’ansia e nella tristezza, è colpa del suo polmone o del suo stomaco, non di una strega o delle «immaginette colpite»; se i campi si seccano, le greggi sono sterili, o grandina sulle messi, ci devono essere cause diverse dalle «imprecazioni magiche». Se poi qualcuno guarisce, è per le cure ricevute, o per il naturale vigore, o per la dieta appropriata, non per gli amuleti e le formule magiche, che «deliramenta videntur mera», a meno che non si associno ad erbe, o ad altre sostanze curative. Gassendi, come Borel, rifiuta, in particolare, di credere al fascino d’amore e alla ligatura ad impotentiam50, attribuendo la passione d’amore e le difunzioni erettili a cause diverse dalla fascinazione; riconosce, però, che l’immaginazione – oltre alle passioni, come un eccessivo «ardore», odio, paura o pudore51 – ha un grande potere in questi casi. Per quanto, infatti, «la fede riposta in queste sciocchezze (nugae)» sia l’unica prova che il soggetto affascinato possiede della loro realtà, la credenza riposta in tali fenomeni basta a per- 47 Questa credenza era già antica quando Platone la riportò nella Repubblica (I, 336d): U. Curi (La forza dello sguardo, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, pp. 108 sgg.) ricava da questo, e da altri esempi, la discutibile conclusione secondo la quale «il guardare altro non è che la prosecuzione – o l’anticipazione – della forza con altri mezzi» (ivi, p. 113). 48 Cfr. infra, parte II, cap. II, § 2. 49 G. C. Scaligero, Exercitationes cit., CCCXLIV. 50 Che saranno trattati infra, parte II, cap. II. 51 P. Borel, op. cit., cent. IV, obs. LXV. 114 suaderlo, rendendo perciò reali i fenomeni sperati o temuti. Così, diventa davvero impotente chi teme di essere stato colpito da una ligatura; ed è noto che la fiducia concessa ad un rimedio, o a un medico, può contribuire grandemente alla guarigione: l’animo, infatti, è risollevato, e gli spiriti risultano corroborati ex concepta spe. Dopo questa illuminata critica della fascinatio, Gassendi si affretta però ad aggiungere che, nel caso della vecchia che affascina l’infante, «nihil est imaginationis»: dalla sede cerebrale dell’immaginazione, attraverso i nervi e i muscoli, vengono infine emessi dagli occhi spiriti maligni, «come raggi lanceolati» (quasi radios, aut contulos), che possono ledere il corpo tenellum del bambino, purché si trovi nelle immediate vicinanze. Allo stesso modo, una donna mestruata può offuscare uno specchio; analogamente si spiegano il contagio oftalmico (lippitudo) e l’irrefrenabile istinto di imitazione che ci porta a tossire, sbadigliare o urinare se qualcuno accanto a noi compie queste medesime azioni52. La torpedine è un pesce piatto che vive nei fondali sabbiosi del Mediterraneo ed emette scariche elettriche capaci di paralizzare, oltre alle sue prede, la mano o il piede di un uomo, grazie a due organi posti nella parte anteriore del corpo, che funzionano come una batteria elettrica: il sofista Menone, nell’omonimo dialogo platonico, le aveva paragonato Socrate, per la sua temibile dialettica53. Secondo Gassendi, questo pesce produce i suoi effetti prodigiosi emettendo un halitus corpusculorum che entra nei pori di una certa parte del corpo, come la mano o il piede, e indebolisce gli spiriti nei quali si imbatte, provocando così l’intorpidimento di quella parte. Nell’opera di van Helmont, questi stessi fenomeni «magnetici» (la torpedine, il basilisco, il girasole) venivano spiegati con «effluvia naturalia» non ulteriormente analizzati in termini di corpuscoli54. La filosofia naturale gassendiana non trascura le applicazioni mediche; in virtù del principio: «similia curare similibus, aut dissimilia dissimilibus», Gassendi consiglia di utilizzare ragni o scorpioni come antidoti contro il loro stesso veleno. Applicando un ragno o uno scorpione sulla puntura, la sostanza di questi animali si comporterà come una spugna, risucchiando tutto il veleno disperso nel corpo. Nello stesso modo agiranno, curando la rabbia, i peli di un cane rabbioso. Un’altra questione «occulta», una delle più dibattute nella fisica curiosa, è quella del potere curativo dell’unguento armario, magnetico o simpatetico, composto di polvere di vetriolo calcinato: un balsamo, cioè, capace di guarire le ferite a distanza, se veniva applicato all’arma, sporca di sangue, che aveva inferto la ferita. Della Porta era stato uno dei primi a fornirne la ricetta, senza però spiegarne i poteri; Aldrovandi l’aveva ritenuto «falso».55 Gassendi ribadisce il rifiuto delle azioni a distanza, ma, non diversamente da Boyle56, fa la pericolosa ammissione che gli spiriti astringenti e cicatrizzanti presenti nella 52 Queste credenze sono riportate in diversi luoghi aristotelici: ad esempio, nei Problemi cit., sez. VII e nel De insomniis (I sogni, in Il sonno e i sogni cit., pp. 117 sg.). 53 Platone, Menone, 80b (a cura di G. Reale), Brescia, La Scuola, 1962. Cfr. anche Aristotele, Historia animalium, IX, 37. 54 J. B. van Helmont, Ortus medicinae cit., p. 351a; De magnetica vulnerum curatione, ivi, § 26. Sui prodigiosi effetti prodotti dalla torpedine e dalla remora o echeneide, analizzati (anche nelle fonti letterarie) dall’età di Aristotele a quella della rivoluzione scientifica, si veda B. Copenhaver, A Tale of Two Fishes cit. È particolarmente interessante, in questo articolo, l’analisi delle proprietà occulte dei suddetti pesci nella medicina galenica. 55 G. B. Della Porta, Magia cit., lib VIII, cap. XII; U. Aldrovandi, Musaeum metallicum cit., p. 566. 56 Cfr. infra, § 2. 115 Athanasius Kircher: La torpedine, pesce “elettrico” 116 polvere di vetriolo possano estendere la propria energia a una distanza di «poche dita»: «quod superest, videtur res mere fabulosa habenda». Se la ferita si rimargina, è perché viene tenuta pulita, e bagnata costantemente con urina astringente e cicatrizzante, per tutto il tempo in cui continuano le applicazioni di unguento armario. È lecito, tuttavia, ipotizzare l’azione di un halitus insensibilis che continua in qualche modo, attraverso l’aria, tra il balsamo e la ferita, modificando successivamente gli spazi interposti, come un tizzone fumante lascia nell’aria una lunga scia di fumo, o come il profumo dei fiori d’arancio della Costa Azzurra, o di quella ligure, si avverte in mare, a parecchie miglia di distanza. Così il prodigioso olfatto di un cane da caccia avverte l’odore della lepre, o del cervo, mentre il cacciatore non è in grado di percepirlo. E ancora, quando le viti sono in fiore, emettono in ogni direzione «corpuscula vinigena», che penetrano nelle botti e fanno agitare il vino, composto di corpuscoli dello stesso genere (congenera), intorbidandolo; una volta terminata la fioritura, cessa l’agitazione del vino, che si schiarisce perché i depositi tornano sul fondo delle botti. L’ultimo caso di simpatia affrontato da Gassendi nel capitolo della sua fisica che tratta «De qualitatibus vocatis occultis», è quello, molto importante e dibattuto nel Seicento e nel Settecento, delle voglie, ad esempio di ciliegie, more o fragole, che si formano per il passaggio nell’utero materno di corpuscula congenera in grado di modificare il feto, con l’ausilio dell’immaginazione materna57: per la stessa ragione, le macchie così formate sulla pelle si infiammano nella stagione in cui tali frutti maturano, e quelle impresse sui panni si lavano con facilità solo quando la stagione di quei frutti è passata. Questa continua oscillazione fra l’attrazione per il prodigio e la volontà di spiegarlo, tra il racconto e il rifiuto delle fabulae, comporta, come è evidente dai numerosi esempi sopra riportati, quell’incoerenza, che è la cifra stessa della fisica curiosa. Ma non sarebbe corretto limitarne il dominio alle qualità occulte: essa comprende infatti anche l’indagine delle cose terrestri, sia «inanimate», sia viventi: le pietre, le gemme, i fossili, il magnete, i metalli e la loro trasmutazione, le piante (incluse tra le cose inanimate), la generazione degli animali, la formazione del feto, i mostri, i sensi esterni e interni dell’uomo, la vista e il tatto, la fantasia e la memoria, il sonno e i sogni. E spesso, nell’indagine di questi oggetti, fenomeni, problemi e facoltà torna, come un leit-motiv, il ricorso agli effluvi in funzione anti-magica, mentre la credulitas si intreccia alla denuncia degli inganni e delle superstizioni. Nella trattazione di ogni argomento, Gassendi riporta le diverse opinioni (tra le quali figura sempre quella di Aristotele), le esamina, passa al vaglio le dottrine favolose, e infine dice la sua. Egli è convinto, ad esempio, che le gemme e i fossili nascano da semi, o «germi lapidifici», contenuti in un succus lapidescens che si raccoglie in ricettacoli come l’interno limpidissimo delle conchiglie marine – in questo caso producendo gemme – o le pietre terrestri, facendovi crescere un «feto» fossile di vario genere, o nel ventre di alcuni animali, producendo i calcoli della vescica e il bezoar, una pietra che si trova nel ventre della capra indiana, alla quale i maghi attribuivano speciali poteri. Il sottilissimo succus lapidescens può penetrare nei pori di una cosa qualunque, vegetale o animale, pietrificandola: così si spiegano i legni lapidei, gli alberi pietrificati e i pesci fossili, rinvenuti anche lontano dal mare. Ma ciò che si racconta dei poteri delle gemme, degli amuleti e dei talismani – pie- 57 Cfr. infra, parte II, cap. II. § 4. 117 tre, cioè, configurate e dominate da un astro, capaci di conciliare la buona fortuna, la salute e l’amore, magari con l’ausilio di apposite formule – sono, in grandissima parte, nugae, superstitiosae tricae58. Gassendi lascia credere di voler sgombrare definitivamente il campo da quell’importante capitolo della magia rinascimentale che era dedicato, appunto, ad amuleti, caratteri, sigilli e talismani. Ma aggiunge, incidentalmente, che i papi Leone X e Clemente VII de’ Medici possedevano due pietre – la selenite e la elite – le cui macchie imitano le fasi della Luna e il moto diurno del Sole, in virtù di «umori» o «vapori» che escono continuamente dai «meati» superficiali di quelle due pietre, e si diffondono in modo continuo tra la pietra e il rispettivo astro, «attratti» da quest’ultimo, come il fiore di girasole si volge costantemente verso il Sole. Tra i fenomeni occulti della fisica, uno dei più importanti era senza dubbio il magnete, con le sue proprietà59, tanto che Gassendi si sente tenuto a ricostruire la genealogia nobile degli studi in proposito: oltre che da Aristotele, Cicerone, Plinio e Alberto Magno, i fenomeni magnetici sono stati spiegati da Empedocle, Democrito, Lucrezio, Plutarco, Fracastoro, William Gilbert, e dai gesuiti Niccolò Cabeo e Athanasius Kircher. Il secondo gruppo di filosofi è quello che ne ha dato la spiegazione più corretta, in termini di «effluvi di atomi» che escono dal magnete e dal ferro, e sono commisurati ai rispettivi pori. A differenza di quanto pensava Gilbert, Gassendi sostiene che non si tratta di una effluxio incorporea, bensì di un’emissione insensibile di corpuscoli molto sottili, capaci di attraversare corpi solidi e pesanti come il marmo. La vis magnetica è «analoga al senso», «non dissimile dall’attrazione animale»60; la Terra, simile a un magnete, attrae i corpi terrestri: la forza gravitazionale rientra quindi nella sfera d’azione della vis magnetica. Anche i metalli devono essere annoverati tra le pietre61: l’oro, l’argento, il rame, il ferro, il piombo bianco, il piombo nero e l’argento vivo sono stati abbinati ciascuno a un pianeta, ma questa distributio non è stata mai provata, né con la ragione, né con l’esperienza. Anzi, Gassendi ha il sospetto che gli astrologi abbiano aggiunto l’argento vivo, per poterlo abbinare a Mercurio. Dopo avere esaminato more scolastico le diverse teorie sull’origine dei metalli, per valutarne la «verosimiglianza» (i metalli sono stati generati dalla Terra e dal Sole, o ciascuno dal pianeta corrispondente, come dicono gli astrologi, o dallo zolfo e dal mercurio, come affermano i «chimici»), Gassendi non manca di discutere la magna quaestio della possibilità di trasmutare i metalli, e di produrre l’opus magnum, cioè quel lapis philosophicus capace di trasformare ogni metallo in oro, di conservare perpetuamente la salute (medicina catholica) e la vita (elixir vitae)62. Le risposte sono prudenti: la trasmutazione non può essere negata, sia perché in certi casi essa avviene, sia perché la trasformazione di un metallo non è altro che un cambiamento della sua textura. Ma Gassendi afferma di non conoscere nessuno che sia riuscito a compiere l’opus magnum, e non ha, in generale, una buona opinione dei chimici: «manifestum est maximam Chymicorum partem gentem esse ut credulam, sic facile somnia fingentem»63. Gli alchimisti, da Rai- 58 P. Gassendi, Physica cit., tomo II, pars II, sectio III, membrus prius («De rebus terrenis inanimis»), liber III, capp. II e III. 59 Ivi, capp. IV e V. 60 Ivi, p. 132a. 61 Ivi, cap. VI. 62 Cfr. A. Clericuzio, Elements, Principles and Corpuscles cit., pp. 71 sgg. 63 P. Gassendi, Physica cit., p. 143a. 118 mondo Lullo e Arnaldo di Villanova sino a Paracelso, si sono limitati spesso a raccontare storie non degne di fede, come quella secondo la quale Mosè e altri patriarchi, non meno di Ermete Trismegisto, Orfeo, Democrito e persino Aristotele (al quale attribuiscono scritti palesemente spurii) possedevano la pietra filosofale. Non bisogna credere ai «sogni» di questi «fumivendoli», fascinati sua illa spe, che hanno illuso i dotti non meno dei semplici. Si è scritto molto sull’«eclettismo» gassendiano, ma poco sugli aspetti «occulti» del suo corpuscolarismo: c’è stato chi, tra i suoi interpreti, lo ha rimproverato di avere mescolato confusamente le sue fonti, di averne preso il peggio, di non avere discriminato gli elementi da accogliere rispetto a quelli da rigettare, di essersi spesso contraddetto, di non avere posseduto «né l’acume di un Descartes, né l’abilità matematica di un Galileo, né l’attitudine sperimentale di un Boyle»64. La sua opera, giudicata «inconsistente», lo condannerebbe al destino di un «minore», perché, pur avendo «tra le mani molti elementi centrali della nuova scienza, [egli] fu una vittima del suo approccio storico, eclettico, dispersivo (profuse)»65. Non sono mancati, d’altra parte, quanti hanno apprezzato la concezione gassendiana della filosofia come «scientia probabilis basata sull’osservazione»66, «descrizione fenomenica e storica del reale»67: c’è chi ha attribuito al suo fenomenismo «il merito di aver dato alla nuova scienza l’ontologia di cui essa aveva bisogno»68, chi ha lodato la «prudenza» e la «modestia» del suo scetticismo empirista69. Alcuni, infine, hanno sottolineato il significato progressivo dell’eclettismo gassendiano: se si potesse liberare l’opera di Gassendi dal bagaglio soffocante della sua erudizione, afferma Olivier René Bloch, si scoprirebbero teorie fisiche, epistemologiche e politiche di straordinaria modernità70. Non si deve mai dimenticare, secondo Tullio Gregory, che una delle principali caratteristiche dell’autore e dell’epoca è la consapevolezza dei limiti di ogni sapere umano e quindi la possibilità della coesistenza di soluzioni diverse. […] È forse una delle principali esperienze del ’600: vari tipi di cultura si incontrano senza fondersi e unificarsi; nella diversità di prospettive rifluiscono elementi antichi e nuovi, cultura tradizionale e teorizzazioni arditissime coesistono nella stessa epoca e nell’opera di uno stesso autore71. Molti studi di storia della scienza e di storia delle idee lo hanno confermato. L’importanza di Gassendi, un pensatore che ha creato imbarazzo nei suoi interpreti perché la sua opera si colloca «al confine» tra il Rinascimento e la nuova scienza72, è destinata ad emergere con maggiore chiarezza, ove ci si astenga dal considerare il suo «approccio storico» alla filosofia una iattura, e la sua erudizione una zavorra. 64 P. A. Pav, Gassendi’s Statement of the Principle of Inertia, «Isis», vol. 57, 1966, pp. 24-34 (p. 33). Ivi, p. 34. 66 W. Detel, Scepticism and Scientific Method cit., p. 259. 67 T. Gregory, Scetticismo ed empirismo. Studio su Gassendi, Bari, Laterza, 1961. 68 B. Rochot, Sur les notions de temps et d’espace chez quelques auteurs du XVIIe siècle, notamment Gassendi et Barrow, «Revue d’histoire des sciences et de leurs applications», 9, 1956, pp. 97-104 (p. 104). 69 B. Rochot, Gassendi et les mathématiques, ivi, 10, 1957, pp. 69-78 ; R. Lenoble, op. cit.. 70 O. R. Bloch, Gassendi and the Transition cit. Sul carattere progressivo della speculazione etica e politica di Gassendi insiste anche L. T. Sarashon, art. cit. 71 T. Gregory, op. cit., pp. 249-150. 72 O. R. Bloch, Gassendi and the Transition cit. 65 119 2. Robert Boyle: il corpuscolarismo e le storie naturali È stato detto che i baconiani inglesi sentirono il dogmatismo cartesiano come un corpo estraneo, e «preferirono ripiegare su un meccanicismo meno caratterizzato speculativamente, che fungesse da ipotesi generale – e generica – di fondo»73. Questo sembra particolarmente vero per Robert Boyle (1627-1691), la cui adesione a un corpuscolarismo funzionale alle esigenze della filosofia sperimentale – distinto sia dall’atomismo74, sia dal meccanicismo cartesiano75 – coesisteva con la profonda convinzione del carattere qualitativo della realtà, e della possibilità di modificarla, agendo sui suoi costituenti, insieme qualitativi e corpuscolari. La sua estrema cautela verso tutte le ipotesi, chiamate a dirimere questioni di natura più metafisica che fisica – come l’esistenza del vuoto e degli effluvi, o degli atomi – rivela una certa simpatia per posizioni scettiche come quella di Joseph Glanvill. Pochi autori, nell’età moderna, sono stati così profondamente convinti della resistenza che la natura offre ai nostri tentativi di spiegazione; pochi hanno rivendicato con analoga convinzione che la chiarezza e la distinzione – laddove sia possibile raggiungerle – appartengono all’esperienza, piuttosto che alla teoria, compresa quella corpuscolare, e hanno lodato con pari convinzione il sapere pratico – ma gravido di teoria – degli artigiani nelle loro officine. Devo confessarti, Pirofilo, che ho imparato meglio i generi, le differenze, le proprietà e di conseguenza la natura delle pietre, conversando con due o tre muratori e scalpellini, che da Plinio, o da Aristotele e dai suoi commentatori76. La «ragione empirica»77 perseguita da Boyle non pretende di verificare ad ogni costo le testimonianze «virtuali», verbali o scritte, di altri autori78; denuncia – sulla scia di Fran- 73 A. Pacchi, Cartesio in Inghilterra cit., p. IX. J. J. MacIntosh (Boyle on Atheism, Toronto, University of Toronto Press, 2005, p. 318) afferma che Boyle «was himself careful not to characterize himself as an atomist, and there is no particular reason to believe that he thought of himself as one». Sulla differenza tra il corpuscolarismo di Boyle e l’atomismo, cfr. G. K. Chalmers, Three Terms cit. 75 A. Pyle, replicando a un articolo di A. Chalmers (The Lack of Excellency of Boyle’s Mechanical Philosophy, «Studies in History and Philosophy of Science», 24, 1993, pp. 541-64), parla di «neutrality between Atomism and Cartesianism» e di «viable compromise position» tra la teoria della materia di Descartes e quella di Gassendi: cfr. il suo saggio Boyle on Science and the Mechanical Philosophy: A Reply to Chalmers, «Studies in History and Philosophy of Science», 33, 2002, pp. 175-90 (pp. 178 e 179). Ma Boyle viene considerato esclusivamente «a prominent advocate of the mechanical hypothesis» (p. 175); a Pyle sfugge, ad esempio, la portata anti-meccanicistica della teoria degli effluvia, la cui azione – appena accennata nell’articolo – è ricondotta a un moto locale per contatto. Il «culmine» della «filosofia meccanica» verrebbe raggiunto, secondo Pyle, nell’opera di Newton. 76 R. Boyle, Usefulness of Experimental Natural Philosophy, pt. II, sect. II, essay VIII, in The Works cit., vol. III, p. 444: «And I freely confess to you, Pyrophilus, that I learned more of the kinds, distinctions, properties, and consequently of the nature of stones, by conversing with two or three masons, and stone-cutters, than ever I did from Pliny, or Aristotle and his commentators». 77 A. Pacchi, op. cit., p. 232. 78 Cfr. M. Baldwin, The Snakestone Experiments cit., pp. 412-13: sotto questo aspetto, Boyle viene assimilato a Kircher, anche per l’accettazione dei poteri della pietra serpentina, considerata un antidoto. Al contrario, Francesco Redi è rigido nel rifiuto di tutte quelle testimonianze che non può verificare di persona. Nei Two Essays, Concerning the Unsuccessfulness of Experiments (1661; in The Works cit., vol. I, pp. 318 sgg.), Boyle stabilisce vere e proprie regole deontologiche riguardo all’accettazione dei «verbal 74 120 cis Bacon, «light of this age», «a friend to philosophy and mankind»79 – l’ambiguità dei termini filosofici consacrati da una lunga tradizione – come forma e qualità, ma anche spirito –; utilizza ipotesi esplicative diverse, e persino opposte, privilegiandone sempre l’utilità pratica. Ad esempio, la coesione e la fluidità dei corpi possono essere dedotte sia dalle qualità meccaniche della materia – come la figura, la grandezza e il moto – sia dallo zolfo, dal mercurio e dal sale dei paracelsiani: Boyle preferisce la prima ipotesi, ma non esclude che i tria prima degli «ermetici» possano rivelarsi utili nelle parti più pratiche della «fisiologia» o fisica80. Proprio perché ritiene le storie naturali «il modello dell’indagine scientifica»81, Boyle, a differenza di Francis Bacon, è alieno da ogni tentazione sistematica: sarebbe vano ricercare nella sua opera – per la quale si è parlato giustamente di «sovrabbondanza fluviale»82 – progetti o classificazioni gerarchiche di una historia prima, distinta dalle historiae particulares, delle quali costituirebbe il fondamento. Né Boyle ha mai pensato a una subordinazione della storia naturale alla filosofia; s’impone come necessario, quindi, l’uso del plurale quando si parla delle storie naturali boyleane, mentre le storie baconiane costituiscono piuttosto i capitoli, o le centurie di un’unica Sylva sylvarum. Lo scienziato irlandese raccolse e pubblicò i suoi numerosissimi esperimenti – fisici, chimici e medici – sulle acque minerali e sull’acqua del mare, sul freddo e sul fosforo, sull’origine e le virtù delle gemme, sulla porosità, coesione e fluidità dei corpi; ma solo la History of Fluidity and Firmness (1661), la Natural History of Human Blood (1684) e una General History of Air (1692) recano espressamente la parola «storia» nel titolo, mentre gli Experiments and Considerations touching Colours (1664) vengono ritenuti, nel sottotitolo, The Beginning of an Experimental History of Colours. Nell’opera di Boyle, come in quella di Francis Bacon, l’aggettivo «storico» è perfettamente sovrapponibile a «sperimentale», ma le storie naturali boyleane sono più ordinate e strutturate di quelle baconiane: Boyle non rinuncia mai all’interpretazione dei suoi esperimenti, al tentativo di rintracciarne le cause, pur senza indulgere alla tentazione di fornire apparati sistematici o di impegnarsi in prese di posizione incondizionate. Nella History of Particular Qualities (1670), Boyle afferma che vi è, in natura, una diversity of qualities sia manifeste, sia occulte: come Gassendi, egli non esclude queste ultime dalla fisica, ma ritiene che debbano essere l’oggetto di una trattazione separata. In quest’opera, Boyle intende rispondere a quella che gli appare la maggiore difficoltà della dottrina corpuscolare, cioè l’esiguo numero di princìpi (la materia e il moto locale), dai quali deriverebbe un grandissimo numero di qualità. A parere di Boyle, a quei princìpi debbono esserne aggiunti altri, che, contrariamente alle sue stesse intenzioni, non sono reports» e al comportamento da tenere in una disputa scientifica. A questo proposito, si veda Luc Peterschmitt, Boyle et les expériences contingentes, in Myriam Dennehy, Charles Raymond (eds.), La philosophie naturelle de Robert Boyle, Paris, Vrin, 2009, pp. 195-211. 79 Usefulness of Experimental Natural Philosophy, part II, sect. II, essay I, sect. VII, in The Works cit., vol. III, pp. 422- 23. 80 History of Fluidity and Firmness (1661), in The Works cit., vol. I, p. 442. Sull’«affinità fra Boyle e van Helmont», che non era sfuggita ai contemporanei, e sulla «visione della medicina e della matematica» che sarebbe stata, in Boyle, «vicina a quella dei primi paracelsiani», cfr. A. G. Debus, Paracelso e la tradizione paracelsiana cit., cap. IV, p. 112. 81 A. Clericuzio, La macchina del mondo, Roma, Carocci, 2005, p. 207. 82 A. Pacchi (op. cit., p. 192) paragona, sotto questo aspetto, l’opera di «uno scienziato moderno» come Boyle a quella di un erudito teologo tradizionalista, come Ralph Cudworth: cfr. infra, § 4. 121 tutti né totalmente ricavabili dai primi: accanto al moto e alla quiete, alla grandezza e alla figura, alla posizione e all’ordine delle particelle di materia – che, combinati insieme, costituiscono la textures porose delle sostanze – ci sono gli effluviums, emanazioni emesse da un gran numero di corpi a causa del calore o dell’azione di altri agenti, che agitano le particelle più sottili e meno coese, provocandone la separazione83. Tra i princìpi che producono la varietà delle qualità ce n’è uno palesemente non meccanicistico: la natura nel suo complesso (the universal fabrick of things84). Ciascun corpo, infatti, non deve essere considerato come se fosse posto nel vuoto, né come avente relazioni soltanto con i corpi più vicini, ma deve essere pensato nella sua collocazione universale, immerso in una moltitudine innumerevole di corpi più lontani o più vicini, grandi e piccoli, agenti particolari o universali. Un anno più tardi, Boyle torna sull’argomento, nelle Systematical or Cosmical Qualities of Things (1671): per qualità «sistematiche» o «cosmiche» di un corpo, egli intende quegli attributi che non derivano dalle proprietà meccaniche delle parti che lo costituiscono, ma da «agenti ignoti» (unheeded agents), presenti nella macchina del mondo, che, in virtù di «strumenti non percepiti» (unperceived means), possono produrre effetti rilevanti e visibili. A system so constituted as our world is, whose fabrick is such that there may be divers unheeded agents, which, by unperceived means, may have great operations upon the body we consider, and work such changes in it, and enable it to work such changes on other bodies, as are rather to be ascribed to some unheeded agents, than to those other bodies with which the body proposed is taken notice of to have to do85. Quando Boyle si avventura nell’occulto, non lo fa per compiacersi dell’oscurità, ma perché è convinto, come Amleto86, che tra cielo e terra ci siano più cose di quelle presenti nella filosofia scolastica, e in quella meccanicistica. Questo fa di lui un moderno, anche quando le sue dottrine non assomigliano a ciò che è stato successivamente ritenuto «vero» o «scientifico»87. Come è stato già evidenziato nei casi di Fracastoro e Gassendi, la modernità non è tanto da ricercare nelle teorie, quanto piuttosto nella volontà di ridurre la sfera dell’occulto. Dal confronto tra la universal fabrick of the world e il «consenso del mondo» di cui parlava Tommaso Campanella, basato sulle azioni a distanza della simpatia tra le cose simili e dell’antipatia tra quelle dissimili, emergono differenze che vanno ben oltre la portata semantica, meccanicistica o vitalistica, dei sostantivi. Boyle, a differenza di Campanella, è consapevole di stare utilizzando un concetto poco chiaro, che necessita di estrema cautela teorica: egli deve limitarsi – cosa che del resto fa spesso, anche nella parte sperimentale della sua filosofia – ad accenni e suggerimenti (suspicions) riguardo agli unheeded agents 83 R. Boyle, The History of Particular Qualities, capp. I-III, in The Works cit., vol. III, pp. 292 sgg. Ivi, p. 298. 85 Of the Systematical or Cosmical Qualities of Things, in The Works cit., vol. III, p. 306. Questo passo è riportato da John Henry (Robert Boyle and Cosmical Qualities cit.), che difende in modo convincente un’interpretazione non meccanicistica di questo, e di altri passi boyleani. Cfr. anche C. Wilson, art. cit., in W. Detel, C. Zittel (eds.), op. cit. 86 Il suggestivo paragone è di John Henry, e chiude l’art. cit. 87 A. G. Debus, The Chemical Philosophy , New York, Dover Publications, 2002 (prima ed. 1977), vol. II, cap. VII, pp. 473 sgg., analizza le influenze paracelsiane ed helmontiane sulla filosofia naturale di Boyle. 84 122 responsabili delle qualità occulte, o «cosmiche», dei corpi: essi potrebbero essere, ad esempio, «peculiar sorts of corpuscles that have yet no distinct name»88. Oppure, potrebbe trattarsi di effluvi sottili («unobserved sorts of effluvia in the air»). Questi effluvi sono ignoti, per il momento, ma Boyle rifiuta di considerarli agenti occulti: con uno dei suoi efficaci paragoni, egli osserva che anche quegli «sciami di vapori che si muovono in una data direzione tra il nord e il sud» erano sconosciuti prima che Gilbert dimostrasse che la terra è un grande magnete89. Parlare di ipotetici effluvi e «qualità cosmiche» non equivale affatto a reintrodurre le qualità occulte degli scolastici nella nuova filosofia, meccanica e sperimentale, della quale Boyle si considera a buon diritto un esponente: lest you should think, that under the name of cosmical qualities I should introduce chimaeras into natural philosophy, I must betimes advertise you that you will meet with divers particles in the following discourse, fit to shew that these qualities are not merely fictitious qualities, but such whose existence I can manifest, not only by considerations not absurd, but also by real experiments and physical phaenomena90. Basta sostituire alle «cosmical qualities» l’attrazione gravitazionale newtoniana, per ricostruire i termini del dibattito tra Leibniz e Samuel Clarke91. Gli effluvi hanno un posto importante nella filosofia naturale boyleana: già nel PhysicoChymical Essay, Containing an Experiment, with some Considerations touching the differing parts and redintegration of Salt-Petre, scritto tra il 1654 e il 1656, e pubblicato in Certain Physiological Essays (1661) e nella seconda parte della Usefulness of Experimental Natural Philosophy (1663), Boyle accenna all’esistenza di effluvi sottili, terrestri e forse anche celesti92. Ad essi sono specificamente dedicati gli Essays of the strange Subtilty, great Efficacy, determinate Nature of Effluviums (1673), seguiti, un anno più tardi, dai Suspicions about some Hidden Qualities in the Air. Il presupposto – che Boyle condivide con Gilbert e Digby, oltre che con il gesuita Caspar Schott – è che anche i corpi duri e solidi più «insospettabili» emettano effluvi e abbiano atmosfere; tali effluvi sono composti di «corpuscoli invisibili», intermedi tra i corpi visibili e le sostanze immateriali, e possono spiegare la maggior parte dei «fenomeni difficili» della natura meglio delle forme sostanziali, di cui gli aristotelici forniscono descrizioni pertinenti piuttosto a sostanze spirituali, pur considerandole materiali. Non soltanto i liquidi evaporano, ma anche i corpi solidi e pesanti emettono «aliti»: questo è un postulato sia della filosofia atomistica di Leucippo, Democrito ed Epicuro, sia della filosofia cartesiana, che sostituisce al moto originario dei corpuscoli quello della materia sottile. È da notare che Boyle include (a ragione) tra i corpuscolaristi molti «peripatetici moderni», che spiegano le operazioni magnetiche con l’emissione di particelle93. 88 R. Boyle, Cosmical Suspicions, in The Works cit., vol. III, p. 316. Ibid. Boyle parla di «a swarm of steams moving in a determinate course betwixt the north pole and the south». 90 Of the Systematical or Cosmical Qualities of Things, cap. II, ivi, p. 307. 91 Cfr. J. Henry, art. cit. e Occult Qualities and the Experimental Philosophy: Active Principles in preNewtonian Matter Theory, «History of Science», 24, 1986, pp. 335-81. 92 A Physico-Chymical Essay, Containing an Experiment, with some Considerations touching the differing parts and redintegration of Salt-Petre, sectt. XXIX and XXXI, in The Works cit., vol. I, p. 371; Usefulness of Experimental Natural Philosophy, pt. II, essay V, capp. XI e XIII, ivi, vol. II. 93 Notes about the Atmospheres of consistent bodies here below, in The Works cit., vol. III, pp. 278-79, 281. Sulla concezione boyleana degli effluvi, cfr. anche L. Thorndike, History of Magic cit., vol. VIII, cap. XXVIII, pp.174 sgg. 89 123 Boyle «sospetta» che l’aria non sia dotata soltanto delle qualità note a tutti del caldo, del freddo, del secco e dell’umido, e di quelle meno ovvie, da poco scoperte dai filosofi e dai chimici, come la gravità, l’elasticità e la capacità di rifrangere i raggi luminosi; oltre a queste, vi sarebbero, nell’aria, qualità «nascoste», attribuibili ad «effluvi eterogenei», provenienti dai corpi terrestri, sia solidi, sia fluidi, ma anche dalle profondità della terra o dai corpi astrali (considerati «magneti celesti»). The sun and planets (to say nothing of the fixed stars) may have influences here below distinct from their heat and light. On which supposition it seems not absurd to me to suspect, that the subtil, but corporeal, emanations even of these bodies may (sometimes at least) reach to our air, and mingle with those of our globe in that great receptacle or rendesvous of celestial and terrestrial effluviums, the atmosphere94. L’aria non è quindi un corpo elementare (a simple and elementary body), ma un «confuso aggregato di effluvi»95. Questa dottrina assomiglia molto a quella di Gilbert; rispondendo a un’obiezione che Gilbert stesso aveva sollevato, Boyle non esclude che, quando un corpo emette una grande quantità di effluvi capaci di riempire, per rarefazione e dispersione, uno spazio molto esteso, la sua massa (molis) o peso possa subire un «esiguo decremento»96. Non arriva, però, come Henry Power, a calcolare la perdita di peso subìta da una cipolla dopo due mesi e mezzo per la «continua dispersione di odore»97. Le qualità dell’aria, per Boyle, non devono essere concepite, scolasticamente, come «abstracted beings», ma, concretamente, come «corpuscoli dotati di qualità, o capaci di generarle nelle sostanze in cui penetrano, o nelle quali abbondano»98. Nella sua Technica curiosa (1664), Schott aveva lodato e fatto proprie le teorie boyleane sulla vis elastica dell’aria, aveva ripudiato l’horror vacui come causa di quei fenomeni che devono essere correttamente attribuiti all’elasticità e alla pressione dell’aria, e aveva offerto una delle prime illustrazioni della «macchina pneumatica», accanto a fantasiosi progetti di macchine che avrebbero dovuto realizzare il moto perpetuo. L’aria viene definita: quello spazio fluido e pervio, che circonda il globo terracqueo, e si estende sino ai confini del cielo lunare; che riempie tutti i luoghi, sia in terra, sia in acqua, sia tra la terra e l’acqua, dove non appare alcun corpo visibile, e che penetra e riempie i pori stessi dei corpi, almeno quelli più ampi99. 94 Suspicions about some Hidden Qualities in the Air cit., in The Works cit., vol. IV, p. 85; cfr. anche Cosmical Qualities, ivi, vol. III, 307. 95 Suspicions about some Hidden Qualities in the Air cit., ivi, vol. IV, p. 85. Sulla concezione boyleana dell’aria, e sul dibattito in corso nella seconda metà del Seicento riguardo alla sua composizione, cfr. Robert G. Frank, Harvey e i fisiologi di Oxford, Bologna, il Mulino, 1983 (ed. inglese 1980), capp. V, IX, X; Henry Guerlac, John Mayow and the aerial nitre, in Actes du VIIe Congrès International d’Histoire des Sciences (Paris: Bodenheimer, 1953), pp. 332-49 e “The poet’s nitre”, Isis, 1954, 45, pp. 243-55, poi inclusi in Essays and Papers in the History of Modern Science, Baltimore and London, Johns Hopkins University Press, 1977, pp. 245-274. 96 Essay of the strange subtilty of effluviums, in The Works cit, vol. III, cap. I. p. 662 e cap. V, pp. 670 sgg. 97 H. Power, Experimental Philosophy cit., l. I, observat. XXV, p. 29. 98 Suspsicions about some Hidden Qualities in the Air, in The Works cit, vol. IV, p. 85: «corpuscles endued with qualities, or capable of producing them in the subjects thay invade and abound in». 99 C. Schott, Technica curiosa, sive Mirabilia artis, sumpt. J. A. Endteri, & Wolfgangi Junioris Haeredum, excudebat I. Hertz, Norimbergae, 1664, vol. I, lib. IV, cap. I, p. 216: «spatium videlicet illud fluidum ac pervium, quod terraqueum globum circumdat, et ad coeli usque Lunaris confinia extenditur; 124 La concezione aristotelica della sfera dell’aria si combina con la dottrina cartesiana dell’etere e con la teoria degli effluvi: il «cielo aereo», «etere» o «atmosfera» è «quello spazio che contiene vapori, esalazioni e altri effluvi delle cose»100 e arriva, rarefacendosi progressivamente, fino alla regione della luna; di qui sino al cielo Empireo, si ha il «cielo sidereo» o semplicemente «cielo». Tutti i corpi sublunari emettono effluvi: Non soltanto la terra e l’acqua, ma tutte le altre cose, come i fiori, i frutti, gli animali, i minerali, tutti i liquidi, e gli altri corpi misti, agitati e decomposti sia dal calore del sole e delle stelle, sia da quello dei fuochi sotterranei, sia dal calore proprio e innato, emettono i loro effluvi nell’aria. Tali effluvi non sono altro che certi corpuscoli minimi, come gli atomi101. Ma l’atmosfera non è una mera «spirituum, halituum, atomorum, effluviorum miscella seu congeries»; «vapori, esalazioni, aliti, spiriti, effluvi delle cose sublunari» ineriscono a un «corpus aliud tenue, atque effluviis istis pervium», cioè a un etereo fluido elastico102. A differenza dei filosofi scolastici e «meccanici», Boyle, come si è visto, rendeva l’emissione di effluvi universale, aggiungendo a quelli emessi dai corpi misti sublunari gli effluvi sotterranei e le esalazioni dei «magneti celesti». Con la presenza di «ignoti effluvi» – o «esalazioni velenose», emesse dai luoghi sotterranei soprattutto in occasione di frane o terremoti – in tempi e luoghi determinati, si potrebbero spiegare, ad esempio, le epidemie che scoppiano improvvisamente in alcune regioni, e sono talvolta circoscritte a certe specie di animali o categorie di esseri umani: Dionigi di Alicarnasso parla di una pestilenza che uccideva solo le vergini, e Cardano di un’altra che, a Basilea, mieteva con oculatezza le proprie vittime solo tra gli svizzeri, risparmiando gli italiani, i francesi e i tedeschi. Ma basta che l’aria si muova, o che la terra emetta effluvi di qualità contraria, perché la peste si sposti in un altro luogo, oppure si esaurisca103. L’ultima grande ondata epidemica, ad esempio, è cessata all’improvviso in Egitto proprio mentre infuriava in Europa, nel mese di giugno, perché è stata spazzata via da venti boreali: con i «cambiamenti d’aria» si potrebbe spiegare la presenza intermittente della peste in Egitto104. Proprio la presenza di effluvi – non generale, e quindi non riconducibile a leggi universali – permette a Boyle di introdurre un’importante distinzione tra le «leggi» o «regole generali» della natura («laws more properly so-called»), che tuttavia Boyle non concepì mai come formule matematiche, e i «customs of nature», comportamenti abituali, limitati nel tempo e nello spazio105: il termine usato da Boyle verrà di lì a poco ripreso da David quod loca omnia, seu in Terra, seu in Aqua, seu intra Terram et Aquam, quae nullo spectabili expleta sunt corpore, replet, ipsosque adeo corporum poros, saltem laxiores, penetrat, atque insidet». L’illustrazione della air-pump di Robert Boyle e Robert Hooke si trova nello stesso volume, a p. 97. 100 Ivi, cap. II, p. 224. 101 Ivi, cap. I, p. 217: «Nam non terra tantum, et aqua, sed res aliae quaecunque, ut flores, fructus, animalia, mineralia, liquores omnes, aliaque quaevis mista, calore seu solis ac stellarum, seu subterraneorum ignium, seu innato ac proprio, agitata ac resoluta, emittunt in aere effluvia sua: quae aliud non sunt, quam corpuscula quaedam minima instar atomorum». 102 Ivi, cap. II, pp. 222-23. 103 R. Boyle, Suspicions about some Hidden Qualities in the Air, in The Works cit., vol. IV, p. 94. Si vedano anche Of Celestial and Aerial Magnets, ivi, p. 98; Cosmical Qualities, ivi, vol. III, p. 307; Cosmical Suspicions, ivi, pp. 318-19, 321-22; An Experimental Discourse of some Unheeded Causes of the Salubrity and Insalubrity of the Air, ivi, vol. V, p. 40. 104 Usefulness of Experimental Natural Philosophy, part II, sect. I, essay V, cap. XIV, in The Works cit., vol. II, p 179 sg. 105 Cosmical Suspicions, ivi, vol. III, p. 318. 125 Hume, che sull’abitudine fondò la sua «scienza», gnoseologica e psicologica, della natura umana. I have some time suspected that there may be in the terrestrial globe itself, and the ambient atmosphere, divers, whether laws or customs of nature, that belong to this orb, and may be denominated from it, and seemed to have been either unknown to, or overseen by both scholastical and mathematical writers106. L’incontro degli effluvi corpuscolari – inclusi quelli sotterranei e astrali – con la texture dei corpi, determinata dalle particolari figure e grandezze dei pori, può spiegare anche le volgari simpatie e antipatie: For what we call sympathies and antipathies depending indeed on the peculiar textures and other modifications of the bodies, between whom these friendships and hostilities are said to be exercised, I see not, why it should be impossible, that there be a cognation betwixt a body of a congruous or convenient texture, (especially as to the shape and size of its pores,) and the effluviums of any other body, whether subterraneal or sidereal107. Secondo certi autori «mistici», la pietra filosofale (philosophical magnet) attrarrebbe lo spiritus mundi: ma Boyle, che non capisce le loro «astrusità», preferisce ricondurre l’attrazione magnetica a un contatto di effluvi, anche se «non osa negare» (I dare not deny it to be possible) la possibilità di un’attrazione a breve distanza, nel caso di quei corpi elettrici e magnetici, capaci di «andare a prendere» (fetch in) i vapori (steams) che passano nelle loro vicinanze108. Vi sono corpi, cioè, che si comportano come magneti, e possono quindi essere considerati «receptacles, if not also attractives, of the sydereal, and other exotic effluviums, that rove up and down in our air»109. Se esistono corpi capaci di attrarre a una certa distanza, per quanto breve, gli effluvi astrali, e d’altra parte il sole e i pianeti possono avere un’«influenza» sui corpi terrestri che va oltre, ed è distinta da quella esercitata con la luce e il calore110, non ci si deve stupire di trovare, in quella miscellanea di scritti, raccolti e pubblicati postumi da John Locke sotto il nome di Boyle, che è la General History of the Air, un trattato intitolato Celestial Influences or Effluviums in the Air, che era considerato dal suo autore «an apology for astrology».111 La paternità di quel trattato è stata recentemente attribuita da Antonio Clericuzio a Benjamin Worsley (1618-73), amico di Boyle ed esponente di spicco del circolo di Samuel Hartlib: il fatto che Boyle stesso avesse compilato l’indice della miscellanea, come afferma Locke nell’«Advertisement of the Publisher to the Reader» premesso all’opera, non è certo privo di importanza, anche se non significa che egli fosse disposto a sottoscrivere in 106 Ibid. Suspicions about some Hidden Qualities of Air, in The Works, IV, p. 95. Il corsivo è nostro. 108 Ivi, p. 96. L’azione a breve distanza degli effluvi magnetici era stata ipotizzata anche nella Usefulness of Experimental Natural Philosophy, part II, sect. I, essay V, cap. XIII, ivi, vol. II, p. 172. 109 Suspicions about some Hidden Qualities of Air cit., p. 95. Il corsivo è nostro. 110 Cfr. la citazione riportata a p. 124. 111 The General History of the Air, title XIII, in The Works cit., vol. V, p. 642. Per un’analisi del trattato di Worsley, cfr. A. Clericuzio, «New Light on Benjamin Worsley’s Natural Philosophy», in M. Greengrass, M. Leslie, T. Raylor (eds.), Samuel Hartlib and Universal Reformation: Studies in Intellectual Communication, Cambridge, Cambridge University Press, 1994, pp. 236-46; J. Henry, Robert Boyle and Cosmical Qualities cit. 107 126 toto le tesi di Worsley. Nei Cosmical Suspicions, Boyle si era limitato, come al solito, a ipotizzare una «comunicazione», qualche genere di «commercio» tra la terra, quei «globi chiamati Stelle» e le «parti interstellari del Cielo»112, ma non era andato, né sarebbe mai andato oltre. Semplicemente, egli riteneva che la conoscenza imperfetta e congetturale che possediamo dei corpi celesti non ci permetta di rifiutare, a priori e senza appello, la dottrina delle influenze astrali. The very small knowledge we have of the structure and constitution of globes, so many thousands or hundreds of thousands of miles remote from us, and the great ignorance we must be in of the nature of the particular bodies, that may be presumed to be contained in those globes […], this great imperfection, I say, of our knowledge may keep it from being unreasonable to imagine, that some, if not many, of those bodies and their effluxions, may be of a nature quite differing from those we take notice of here about us, and consequently may operate after a very differing and peculiar manner113. Anzi, probabilmente neanche il mondo celeste è così immutabile e perfetto come pretendono, da punti di vista opposti, sia gli aristotelici – che lo contrappongono al mutevole e imperfetto mondo sublunare –, sia gli astronomi, che lo considerano un meccanismo perfettamente assoggettabile a leggi matematiche. When I likewise consider the fluidity of that vast interstellar part of the world wherein these globes swim, I cannot but suspect there may be less of accurateness, and of constant regularity, then we have been taught to believe, in the structure of the universe, and a greater obnoxiousness to deviations than the schools, who were taught by their master Aristotle to be great admirers of the imaginary perfections of the coelestial bodies, have allowed their disciples to think114. Tale «propensione alle deviazioni», che accomuna il mondo celeste e quello terrestre, o sotterraneo, rende estremamente difficile la ricerca di leggi universali, e non sempre utile il ricorso alla matematica115. Boyle delinea così il modello di una scienza «baconiana» che «non teme la moltitudine dei particolari», ma proprio da essa trae «motivo di speranza»: le esperienze vengono descritte, e le loro cause ricercate in prossimità dei fenomeni stessi, rifuggendo dalle generalizzazioni e dalle facili astrazioni; in assenza di cause manifeste, è necessario e inevitabile affidarsi alle congetture. Boyle non intende certo «negare la nozione di legge naturale» – che equivarrebbe, oltretutto, a «rompere il legame tra la filosofia meccanica e la religione cristiana»116 – ma rifiuta di considerare le tre leggi cartesiane del moto sufficienti a spiegare la varietà dei fenomeni fisici. Egli condivide con Bacon l’ideale della «imitatio et commutatio naturae» – dove la commutatio è da intendere nel senso di multiplicatio e di augmentum –; è convinto che lo scopo del fisico sia quello di introdurre nuove forme («formas superindu- 112 Cosmical Suspicions cit., in The Works cit., vol. III, p. 318. Suspicions about some Hidden Qualities of Air, ivi, vol. IV, p. 86; cfr. anche Of Celestial and Aerial Magnets, ivi, p. 98. 114 Cosmical Suspicions, ivi, vol. III, p. 322. 115 Si ricordi, però, che Boyle aveva intitolato uno dei saggi contenuti nella seconda sezione della seconda parte della Usefulness of Experimental Natural Philosophy: Of the Usefulness of Mathematicks to Natural Philosophy, or that the Empire of Man may be promoted by the Naturalist’s Skill in Mathematicks, (as well pure, as mixed), ivi, vol. III, pp. 425 sgg. 116 J. Henry, Robert Boyle and Cosmical Qualities cit. 113 127 cere»); condivide l’immagine dell’uomo (nel suo caso, soprattutto del medico) come «naturae minister»117 e interpreta la natura come un libro scritto non in caratteri matematici, ma in caratteri geroglifici, con le cose al posto delle parole, e le qualità delle cose al posto delle lettere. For each page in the great volume of nature is full of real hieroglyphicks, where (by an inverted way of expression) things stand for words, and their qualitis for letters118. L’immagine della natura scelta da Boyle – un libro arduo da leggere anche per un filosofo, perché scritto in caratteri ideografico-qualitativi – non è molto diversa da quella baconiana della selva; ma l’intento, condiviso da entrambi i filosofi, è quello di provare comunque a orientarsi, di cercare di decifrare caratteri sconosciuti, procedendo per tentativi ed errori; rendere manifesto ciò che è occulto, visibile ciò che è invisibile, invece di rifugiarsi nell’oscurità, o dichiararla insuperabile, perché costitutiva della natura. Non è un caso che Boyle dichiari più volte la propria avversione per i termini fittizi (empty names) di «simpatia» e «antipatia», e non li usi mai, o rifiuti l’analogia neoplatonica, magico-ermetica e paracelsiana tra macro e microcosmo119. Per questo la scienza baconiana e boyleana si differenzia dagli elenchi di prodigi e di misteri contenuti nei libri di segreti – talvolta celati nei caratteri di lingue cifrate, delle quali non viene fornita la chiave di lettura –, pur condividendone lo scopo: l’utilità per l’economia della vita quotidiana, in tutti i suoi aspetti, dalla medicina all’architettura, dalla produzione di birra alla caccia e alla pesca120. Nello Specchio di scientia universale, Fioravanti aveva dichiarato di voler fornire al lettore una conoscenza dei «secreti più importanti» contenuti in «tutte l’arti liberali, et mecanice» e nelle «diverse scientie», per chiudere con «alcune inventioni notabili, utilissime et necessarie da sapersi»121. Boyle chiude le sue Considerations touching the Usefulness of Experimental Natural Philosophy (1663-71) con una sezione espressamente dedicata all’utilità della filosofia naturale «to the Empire of Man over inferior Creatures», nella quale sostiene che spetta alla chimica promuovere il miglioramento dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame, rispondendo a desiderata come l’accresciuta fertilità e le tecniche di concimazione, e delinea per la filosofia naturale i campi di applicazione più vari: dall’arte profumiera e cosmetica alla tipografia, dalle arti meccaniche alle invenzioni del microscopio, del telescopio, dell’ago magnetico, della polvere da sparo e degli orologi portatili, oltre all’introduzione sul mercato dello zucchero di canna. Il filosofo naturale può essere davvero utile a tutti gli uomini, insegnando loro come scrivere senza inchiostro o in caratteri occulti, ma anche come smacchiare la biancheria e separare il rame dall’oro122. I mirabilia esistono anche per Bacon e per Boyle, ma le loro cause occulte devono essere ricercate, possono essere ipotizzate e persino, in talune circostanze, mostrate. 117 Usefulness of Experimental Natural Philosophy, part I, essay I; part II, sect. I, essay V, cap. XVIII, ivi, vol. II, pp.14 e 185. 118 Ivi, part I, essay II, p. 29. 119 Ivi, part I, essays IV e V, pp. 37 e 54. 120 Usefulness of Experimental Natural Philosophy, part II, sect. II, essay I, ivi, vol. III, p. 402. 121 Cfr. supra, cap. II, § 1. 122 Ivi, part II, sect. II, essay I, sectt. II-VII, in The Works cit., vol. III, pp. 403 sgg. 128 Gli effluvi giocano, a questo riguardo, un ruolo fondamentale, perché sembrano particolarmente adatti a spiegare le attrazioni a distanza per invisibilia, come quelle elettrica e magnetica, nonché l’azione delle sympatheticks medicines123: la polvere di simpatia, l’unguento armario e la transplantatio morbis. Gli effluvi possono essere interpretati meccanicisticamente sia in termini di pressioni esercitate sulla massa di aria circostante, che spingerebbe il corpo attratto verso il magnete o il succino, sia, con Gassendi, in termini di incastri tra i corpuscoli che compongono gli effluvi e i pori dei corpi attratti. Boyle elenca diligentemente le diverse ipotesi in campo: il «vento» elettrico di Cabeo, il quale ha proposto una spiegazione meccanicistica «though a Peripatetick and commentator on Aristotle»; le «particelle striate» o le fasce sottili di materia eterea dei cartesiani; «certain rays or files of unctuous strings», che secondo Gilbert e Digby, una volta cessata l’agitazione dei corpuscoli che li compongono per effetto della condensazione, si contraggono, elastici come le corde di un liuto, e portano con sé i corpi leggeri ai quali si sono «agganciati» con le loro estremità124. Quello che sta a cuore a Boyle non è tanto stabilire una volta per tutte quale sia l’ipotesi vera riguardo alla natura e alle cause dei fenomeni elettrici (ciò che è impossibile sperimentalmente, anche se la teoria dei «viscous strings» gli appare la più probabile), quanto piuttosto escludere, sulla base di tutte le ipotesi proposte, che l’elettricità sia una qualità occulta, che deriva dalla forma sostanziale dei corpi. Nel primo dei tre saggi espressamente dedicati agli effluvi, Boyle, dopo aver ribadito la compatibilità di tale ipotesi con le teorie fisiche più diffuse e accreditate nel suo tempo – quella atomistica e quella, cartesiana e aristotelica, della divisibilità infinita della materia – riporta gli esperimenti che ha fatto per «dedurre» i corpuscoli invisibili dai loro effetti visibili: la trasformazione dell’acqua in vapore per mezzo di una eolipila, ma anche la «sfera di attività» dei corpi, cioè la grande quantità di spazio che può essere riempito da una piccola quantità di materia rarefatta, costituiscono altrettante prove dell’esistenza di effluvi sottili. Boyle racconta di avere applicato cantaridi essiccate sul proprio collo, e di avere provato un forte dolore alla vescica, che viene attribuito ad «effluvi materiali» (material effluxes) penetrati nella massa del sangue attraverso i pori della pelle. In modo analogo si spiega il ben noto potere paralizzante della torpedine marina: l’apparente azione a distanza, attraverso esalazioni «scagliate» (darted) nell’aria, non cessa di imbarazzare Boyle, che preferisce attribuirla all’emissione, da parte dell’animale, di «aliti velenosi» (poisonous steams) i quali, introducendosi attraverso i pori della pelle del braccio, vanno a ledere le «parti nervee e muscolari» dell’arto, paralizzandolo. Molti esempi e racconti analoghi si possono trovare – dice Boyle – negli scritti sulle «qualità occulte», nessuno dei quali, significativamente, viene citato: lui si limita a fare ancora un unico riferi- 123 Ivi, part II, sect. I, essay V, cap. XI, in The Works cit., vol. II, pp. 164 sgg. Cfr. infra, parte II, cap. I, § 5. 124 Of the Cause of Attraction by Suction, cap. I, ivi, vol. IV, pp. 129 sgg; Experiments and Notes about the Mechanical Production of Magnetism, ivi, pp. 340 sgg.; Experiments and Notes about the Mechanical Origin or Production of Electricty, ivi, pp. 345 sgg. (pp. 346, 349). Cfr. l’antologia a cura di M. Boas Hall, Robert Boyle on Natural Philosophy, Bloomington, Indiana University Press, 1965, pp. 250-51. L’autrice propone un’interpretazione meccanicistica della filosofia naturale boyleana anche in Robert Boyle and Seventeenth-Century Chemistry, Cambridge, Cambridge University Press, 1958; una diversa interpretazione è stata recentemente avanzata da A. Clericuzio, A Redefinition of Boyle’s Chemistry and Corpuscolar Philosophy, «Annals of Science», 47, 1990, pp. 561-89 e Elements, Principles and Corpuscles cit., chap. 4. 129 mento agli effluvi magnetici, capaci di attraversare ogni genere di corpi senza incontrare resistenza125. Non rinuncia, però, ad includere, tra le prove sperimentali della meravigliosa sottigliezza degli effluvi, quegli «odorable steams» che i piedi di alcuni animali lasciano sul suolo, e che si disperdono in un’ampia porzione di atmosfera, risultando sensibili al delicato olfatto dei cani, nonché il contagio (fomes) di malattie epidemiche, come la peste, che può rimanere racchiuso anche per anni in determinati oggetti o indumenti, senza consumarne la materia126. Altrove aveva elencato – tra le prove a posteriori dell’emissione universale (sia da parte delle sostanze fluide, sia da parte dei corpi «consistenti») di quelle «colonies of particles» che costituiscono i vapori – le esalazioni odorose emesse da sostanze aromatiche come la menta, l’assenzio, la ruta, ma anche dai corpi elettrici e dal marmo bianco lavorato, nonché i sali volatili che si ottengono per distillazione e le virtù mediche delle pietre: ad esempio, le proprietà antiemorragiche dell’ematite127. Nel saggio sulla natura degli effluvi, Boyle attacca i filosofi «volgari», che si sono astenuti da tale ricerca adducendo come pretesto l’invisibilità delle emanazioni, di cui a stento si sono degnati di ammettere l’esistenza. Sorprendentemente, l’autore che fa eccezione, e con il quale Boyle ingaggia una disputa, è Aristotele. La sua dottrina, e sulla sua scia, quella degli Scolastici, è però molto superficiale: nelle Meteore128, Aristotele si limita infatti a distinguere due generi di esalazioni, emesse rispettivamente dalla parte terrestre e da quella acquea del «nostro globo»: le esalazioni calde e secche, emesse dalla terra, vengono chiamate anche «fumi», mentre quelle calde e umide, emesse dall’acqua, sono i «vapori». Tale distinzione, come le altre classificazioni aristoteliche, non è utile per tre motivi: sia perché lascia fuori più di quello che include – in questo caso, tutte le esalazioni emesse dai corpi misti, tanto varie quanto i corpi stessi –; sia perché le differenze tra l’uno e l’altro genere di emanazioni – come quelle tra «cornuti» e «bipedi» – sono minori di quelle riscontrabili all’interno di ciascun genere; sia, infine, perché le classificazioni aristoteliche non danno informazioni sulla specifica natura di ciò che descrivono: come la definizione «privo di corna» – valida per l’uomo, per l’aquila e per l’usignuolo – non dice nulla sulla natura di tali animali, così parlare di esalazioni calde e fredde, secche e umide non aiuta a comprendere gli effluvi emessi da sostanze così diverse come l’oppio, il tabacco, le cantaridi o l’argento vivo129. Ma la pars construens del saggio boyleano appare tutt’altro che decisiva: a suo avviso, gli effluvi hanno una natura corpuscolare, sono vari come i corpi che li emettono, e probabilmente ne condividono la natura. Le sue congetture possono essere però dimostrate rendendo visibili gli effluvi, come accade nelle operazioni chimiche di distillazione, sublimazione e condensazione: il caso più semplice è quello del vapore acqueo, che vaga invisibile nell’aria, finché non si condensa, a contatto con una superficie fredda, oppure pre- 125 Of the Strange Subtilty of Effluviums cit., capp. I, III, IV, VI, in The Works cit., vol. III, pp. 661, 664-65, 669, 674. 126 Ivi, cap. VI, pp. 674-76. 127 Notes about the Atmospheres of Consistent Bodies here below, ivi, pp 279, 286-87. 128 Aristotele, Meteorologia, l. I, cap. III, 340b (a cura di L. Pepe), Milano, Bompiani, 2003. Boyle non riporta fedelmente il passo di Aristotele, che aveva distinto, nell’aria, una parte – quella più vicina alla terra – umida e calda, perché contiene esalazioni terrestri e vapori acquei, e un’altra parte – quella contigua al fuoco – calda e secca. 129 Of the Determinate Nature of Effluviums, in The Works cit., vol. III, cap. I, pp.689 sg. 130 cipita sotto forma di pioggia o di rugiada, rivelando la sua natura acquosa. Ci sono, inoltre, gli olii essenziali, ovvero gli effluvi condensati delle sostanze vegetali, che conservano il colore, l’odore e il gusto delle sostanze che li hanno emessi. Persino il tatto, tradizionalmente considerato il più ebete (dull) dei sensi, più grossolano nell’uomo rispetto alla maggior parte degli altri animali, può avvertire gli effluvi, presentendo, in certi casi, l’avvicinarsi di una tempesta o un semplice cambiamento meteorologico, perché sia le parti sotterranee, sia i corpi terrestri e celesti impregnano abbondantemente l’aria di esalazioni – destinate, questa volta, a rimanere invisibili, ma sensibili ad animali o persone (di solito, malati, feriti o gentildonne) dal temperamento (complexion) più delicato130. La cautela di Boyle è l’equivalente soggettivo dei «customs of nature»: anche in questo caso, egli si guarda bene dall’asserire che tali fenomeni siano costanti; gli basta che siano consueti, e afferma di «non dissentire» dalle più recenti spiegazioni che sono state date dei suoni e dei colori in termini di moti locali trasmessi attraverso un mezzo, piuttosto che in termini di effluvi corporei. Ma è convinto che, se avessimo organi di senso più acuti, potremmo distinguere la varietà degli effluvi come vediamo le diverse specie di uccelli, o come percepiamo, al microscopio, molte differenze di grandezza, figura e colore nei granelli di sottile sabbia bianca, indifferenziati ad occhio nudo: in tal caso, potremmo ricondurre la varietà degli effluvi a differenze di grandezza, figura, moto e persino di colore131. Pochi anni prima, Henry Power, nella Experimental Philosophy (1664), la prima opera di microscopia pubblicata in Inghilterra, si era dichiarato convinto che i progressi della diottrica avrebbero prima o poi consentito la visibilità degli effluvia: If the dioptricks further prevail, […] we might hope, ere long, to see the magnetical effluviums of the loadstone, the solary atoms of light (or globuli aetherei of the renowned Des-Cartes), the springy particles of air, the constant and tumultuary motion of the Atoms of all fluid bodies, and those infinite, insensible corpuscles (which daily produce those prodigious (though common) effects amongst us): and though these hopes be vastly hyperbolical, yet who can tel how far mechanical industry may prevail; for the process of art is indefinite, and who can set a non-ultra to her endevours?132 Malgrado le sue fiduciose aspettative, in base alle quali non escludeva di poter osservare al microscopio «the aerial genii, and even spiritualities themselves»133, Power dovette confessare di non avere mai percepito quella nebbiolina (mist) che il dottor Nathaniel Highmore aveva visto sollevarsi dal magnete. Power non possedeva una vista così acuta, né lenti abbastanza perfette da poter vedere gli effluvi corporei: non solo quelli emessi dal magnete, ma neppure quelli più grossolani che esalano dai corpi elettrici e aromatici, come la canfora, capace di emettere esalazioni così continue e abbondanti da disperdere interamente in esse la sua massa. 130 Ivi, cap. III, pp. 691-92; cap. IV, pp. 693-94. Lo stesso concetto era stato espresso nella Usefulness of Experimental Natural Philosophy, part II, sect. I, essay V. cap. XIV, ivi, vol. II, p. 176. 131 Of the Determinate Nature of Effluviums, cap. IV, in The Works cit., vol. III, p. 693. 132 H. Power, Experimental Philosophy cit., «The Preface to the Ingenious Reader», senza indicazione di pagine. Il passo di Henry Power è riportato da G. K. Chalmers, Effluvia, the History of a Metaphor cit., p. 1049, e da T. Cowles, art. cit., p. 353. Cfr. anche C. Webster, Henry Power’s Experimental Philosophy, «Ambix», 14, 1967, pp. 150-78. 133 H. Power, Experimental Philosophy cit., l. III, cap. II, p. 155. 131 Le frequenti oscillazioni di Boyle sulla natura degli effluvi dipendono dalla necessità di rendere conto dell’apparente azione a distanza, che sembra indubitabile nei casi di contagio, e in molti altri, raccontati sulla base dell’autorità di Sennert e Mattioli: i vapori delle sostanze oppiacee, se inspirati, inducono un sonno letargico, mentre quelli emessi dalle sostanze purgative sono più efficaci della somministrazione delle sostanze stesse; non solo il morso, ma anche il semplice alito, o l’odore del cane rabbioso trasmettono la rabbia; la pietra chiamata dai chimici Realgar, usata anche dai pittori, provoca il gonfiore del volto, il deliquio, le vertigini; vi sono velenose piante americane sulle quali non si posano gli uccelli. Gli stessi chimici, se non prestano la debita attenzione nelle operazioni di distillazione e di sublimazione di sostanze come lo zolfo, l’antimonio e l’arsenico, possono essere colpiti dai vapori nocivi che si sprigionano da tali sostanze. Questi odori e vapori non devono essere considerati species, alla maniera degli Scolastici, bensì «sciami di effluvi» invisibili emessi nell’aria, di cui Boyle intende mostrare le azioni e le operazioni visibili, tramite gli esperimenti chimici che descrive134. L’ultimo argomento affrontato è quello del modo di agire, ovvero dell’efficacia, degli effluvi, che viene fatta dipendere sia dal numero dei corpuscoli, sia dalla loro natura «penetrante» – per la quale essi possono insinuarsi nei pori di un corpo e dilatarli, agendo come cunei e alterandone così la struttura (texture) –, sia dalla velocità del loro moto, senza dimenticare il loro accordo con i «catholic agents of the universe». Tra gli effetti prodotti senza contatto apparente dagli effluvi, Boyle elenca la luce, sulla cui natura corporea o incorporea è in corso un acceso dibattito; le convulsioni, simili a quelle epilettiche, e altri disturbi del sistema nervoso – sia maschile, sia femminile – prodotte da alcuni odori in certi soggetti; l’acidità della birra, causata dai tuoni; gli aborti indotti dai fumi di candele. Lui stesso ha calmato alcune isteriche facendo loro odorare tabacco o sali di ammoniaca, e ha utilizzato suffumigi di corna di cervo contro l’epilessia, con frequente (non costante) successo135. I suffumigi possono rivelarsi più efficaci ove non vengano aspirati con la bocca o con le narici, ma con altre parti del corpo, come la vagina e l’ano: Paracelso e van Helmont raccomandano, per le malattie dell’utero, il fumo emesso dalle verruche presenti sulle zampe dei cavalli136. Boyle è convinto che trascurare gli effluvi, negandone l’esistenza o l’efficacia, sarebbe un errore, e avrebbe conseguenze negative sia per la filosofia naturale, sia per la medicina, disciplina nella quale non è lecito rifiutare quei rimedi che agiscono in modo invisibile, o in virtù di qualità non manifeste. Anche se sfuggono al senso più «agile» e «delicato», cioè la vista, gli effluvi sottili hanno una portata teorica, e un’utilità pratica, che prescindono dai tentativi – ai quali tuttavia non si deve mai rinunciare – di renderli visibili137. Facendo propria una convinzione diffusa tra i medici inglesi sin dagli ultimi decenni del XVI secolo138, Boyle ritiene che un bravo medico dovrebbe discriminare i rimedi da 134 Of the Determinate Nature of Effluviums, cap. V, in The Works cit., vol. III, pp. 702-703; Of the Great Efficacy of Effluviums, cap. III, ivi, p. 680. 135 Ivi, capp. I, V-VI, pp. 678, 684-88; Usefulness of Experimental Natural philosophy, part II, sect. I, essay V, capp. XIII e XIV, ivi, vol. II, pp. 171, 176-77. 136 Ivi, p. 178. 137 Of the Great Efficacy of Effluviums, cap. I, p. 677; Usefulness of Experimental Natural Philosophy, part II, sect. I, essay V, cap. XIII, ivi, vol. II, p. 170. 138 Cfr. A. G. Debus, The English Paracelsians, London, Oldbourne, 1965 e Paracelso e la tradizione paracelsiana cit., pp. 52 sgg. 132 utilizzare esclusivamente in base alla loro efficacia: cita, ad esempio, l’olio di scorpioni di ruscelliana memoria, che in Italia viene usato con successo come antidoto contro il morso di scorpione139. Questa cura, come si è visto, era stata consigliata anche da Francis Bacon, Kenelm Digby, Athanasius Kircher e Pierre Gassendi. Boyle, che non intende porre dei limiti all’«umana industria», non dispera che si possa trovare una medicina universale140; non esclude neppure l’efficacia medicinale della musica: lui stesso, che se ne professa cultore, ha sperimentato che esistono «toni» determinati capaci di agire potentemente sugli spiriti e sul sangue. L’esempio classico è quello dei tarantati, che guariscono con musiche speciali, «convenienti» alla natura specifica del corpo del tarantato. Gli spiriti, così mossi, entrano nei nervi, i quali, agendo sui muscoli, provocano una danza scomposta, comune agli uomini e agli animali – come vespe e galli – che sono stati morsi dal velenoso ragno: il medico pugliese Epifanio Ferdinando racconta di un vecchio tarantato che saltava a novantaquattro anni. Il sudore che viene così emesso provoca a sua volta l’espulsione della «virulent matter», debitamente predisposta dai mutamenti indotti dalla musica nella texture e nel moto sia di quella stessa materia, sia del sangue avvelenato: così si ottiene la guarigione141. Come si vede, non manca in Boyle una ripresa della teoria fisiologica degli spiriti; egli non aderì mai, però, a dottrine gravide di implicazioni metafisiche, e pericolose per la religione cristiana, come quelle dell’origine divina dello spirito o dell’anima mundi, molto diffuse nel Cinquecento e nel Seicento: sarà questa la principale obiezione che farà al platonico di Cambridge Henry More142. Proprio gli aspetti più interessanti della filosofia naturale seicentesca saranno criticati dall’aristotelico John Sergeant, nella Solid Philosophy (1697): come il metodo baconiano, a suo avviso, non ha dato luogo a una scienza, ma si è rivelato utile soltanto per la storia naturale, allo stesso modo tutti gli esperimenti boyleani non sono bastati neppure per decidere la questione dell’esistenza del vuoto143. Boyle, da parte sua, si diceva disposto a sottoscrivere le parole di Scaligero, secondo il quale «latet natura haec et sicut aliarum rerum species in profundissima caligine inscitiae humanae»: ogni volta che dalle ipotesi generali si discende alla «spiegazione minuta e accurata dei particolari», si avverte «la grande oscurità delle cose»144. Eppure, da sperimentatore instancabile, che affermava di aver compiuto i suoi esperimenti sui colori come «diversivo», in quei giorni in cui, sotto l’effetto dei medicinali, si sentiva incapace di speculazione, ma «avverso all’ozio»145, Boyle è convinto che sia importante anche indicare la strada che altri percorreranno, mostrare la possibilità di cose che altri scopriranno, come Colombo ha indicato la via per le Americhe, pur non avendole tutte esplorate146. 139 Usefulness of Experimental Natural Philosophy, part II, sect. I, essay V, cap. XVI, in The Works cit., vol. II, p.183. 140 Ivi, cap. XX, pp. 196-97. 141 Ivi, cap. XV, pp. 181-82. 142 J. Henry, Henry More versus Robert Boyle: The Spirit of Nature and the Nature of Providence, in S. Hutton (ed.), Henry More (1614-87). Tercentenary Studies, Kluwer, Dordrecht, 1989, pp. 55-76; A. Clericuzio, The Internal Laboratory cit.; S. Hutton, Anne Conway cit., pp. 133 sgg. Cfr. infra, § 4. 143 A. Pacchi, op. cit., nota 181 a p. 156. 144 R. Boyle, The Experimental History of Colours, pt. I, cap. V, § 5, in The Works cit., vol. I, p. 696. 145 Ivi, cap. I, § 2, p. 668. 146 Certain Physiological Essays, ivi, p. 316. 133 Il dominio dell’inesplorato, che si apre di fronte all’umano ingegno, ha due facce: da un lato, ci sono i desiderata elencati alla fine della Usefulness of Experimental Natural Philosophy. Boyle parla, ad esempio, della navigazione sottomarina, campo nel quale si è cimentato con successo l’inventore olandese Cornelius Drebbel (1572-1633): queste, ed altre perfezioni auspicabili nelle varie arti, gli sembrano molto difficili, ma non impossibili da raggiungere. Per definizione, infatti, è possibile tutto ciò che non è contrario né alla «natura delle cose», né ai «principi generali della ragione e della filosofia»; se qualcosa sembra impossibile dal punto di vista chimico o meccanico, è solo perché ci mancano ancora gli strumenti e i metodi per realizzarlo147. Dall’altro lato, ci sono gli aspetti ignoti di ciò che riteniamo noto: Boyle è convinto che «non c’è nulla, in natura, di cui siano perfettamente note le possibilità di impiego per la vita dell’uomo»148. Non si può non notare il reiterato uso del plurale: a differenza di Bacon e di Descartes, Boyle crede nella pluralità dei metodi della ricerca, che richiedono l’uso di diversi strumenti, e permettono la stesura di storie naturali capaci di cogliere la molteplicità dei particolari, la varietas qualitatum. Da un diverso punto di vista, l’autore della Physica curiosa sarà dello stesso avviso. 3. La fisica e la fisica curiosa Le differenze tra un rappresentante della «experimental natural philosophy» come Boyle e un campione del barocco come il gesuita Caspar Schott (1608-1666), degno allievo di Athanasius Kircher, non devono essere ricercate sul piano degli intenti. Rispondendo a una possibile obiezione, Schott dichiara infatti, nel Praeloquium ad Lectorem della sua Physica curiosa (1662): Ma queste sono cose vecchie – dirai – io me ne aspettavo di nuove. Molte cose sono vecchie, ma non saranno analizzate con il vecchio metodo. Molti fatti mirabili che narrerò qui, li hanno raccontati anche altri; ma si sono limitati a narrarli. Io li peserò sulla bilancia della verità: innanzitutto separerò quelli veri da quelli falsi, gli autentici dagli spurii; in secondo luogo, cercherò di indagarne le cause149. Schott afferma di avere speso molto tempo e fatica nel vaglio critico delle fonti, che cita a piene mani («variorum enim scriptorum loca non refero tantum, sed integra appono»150), senza mai dimenticare, però, di dichiarare apertamente i propri debiti e i prestiti di cui si avvale. Saluta «con grande voluttà dell’animo» i nuovissimi esperimenti e le rare osservazioni sull’aria compiuti a Londra da Boyle, e al tempo stesso apre la sua fisica con un libro dedicato alle «Meraviglie degli Angeli e dei Demoni» che – pur poggiando su «fondamenta solide» – può essere saltato dal «curioso lettore», «si minus placet». 147 Usefulness of Experimental Natural Philosophy, part II, sect. II, essay VIII, sect. II, in The Works cit., vol. III, pp. 452-53. 148 Ivi, part II, sect. II, essay X, p. 470. 149 C. Schott, Physica curiosa cit., Praeloquium ad Lectorem, senza indicazione di pagine: «At vetera sunt haec, inquis; ego nova expectabam. Vetera sunt pleraque, sed non veteri pertractata modo. Referunt et alii non pauca eorum, quae hic enarro Mirabilia; at referunt tantum; ego pleraque ad veritatis trutinam expendo, ac vera a falsis, genuina a spuriis discerno primum, tum singulorum causas indagare adnitor». Su Schott, cfr. L. Thorndike, History of Magic cit., vol. VII, cap. XXI, pp. 597 sgg. 150 Ivi, «Praeloquium ad lectorem», senza indicazione di pagine. 134 Lo scopo che Schott persegue è quello di esercitare una giusta curiosità – che sia buona ed utile, non vana e pericolosa per la nostra anima – nei confronti del gran teatro della Natura, che si apre di fronte al nostro sguardo, senza perdere di vista gli aspetti meravigliosi delle cose ovvie e apparentemente banali, alle quali siamo da sempre abituati, perché «trita esse multa, et obvia, non diffiteor; mira non esse, nec curiosa, hoc nego». Non bisogna necessariamente stupirsi delle cose «nuove e peregrine», perché «si nascondono aspetti meravigliosi nelle cose che abbiamo ogni giorno davanti agli occhi. Nella maestà della Natura, c’è quanto basta per appagare la curiosità umana»151. Schott non è secondo a nessuno dei maghi e degli autori di libri di segreti, per il numero di questioni peregrine che solleva: egli si chiede, ad esempio, dove Dio abbia creato le uova dei pidocchi; quanto misuri, e che figura abbia, la «sfera di estensione angelica» – un concetto che richiama la «sfera di attività» del magnete – all’interno della quale gli angeli possono muoversi, contrarsi, dilatarsi, percorrendo un certo spazio in un certo tempo152. Ritiene che due siano i fenomeni che da sempre sfidano l’ingegno dei filosofi: «magnetis attractio ferri, et echeneidis seu remorae detentio navium»; la fisica curiosa, come si vede, non rispetta le distinzioni novecentesche tra fenomeni «buoni» e «cattivi», tra scienze sperimentali e magia153. Il metodo impiegato da Schott nell’esame di questi fenomeni è quello scolastico, che consiste nel riportare, discutendole, le opinioni di tutti gli autori, antichi e moderni – da Aristotele, Plinio e Plutarco ad Aldrovandi, Cardano, Fracastoro e Gesner – per tentare un «epilogo». Nel caso dell’echeneide, o remora, alla quale è dedicata un’ampia «dissertatio physiologica», questo animale è con ogni probabilità un «pisciculum fabulosum», come ha dimostrato l’estendersi della navigazione dal Mediterraneo agli oceani, e come suggerisce la logica, data la sproporzione palese tra la causa e l’effetto ad essa attribuito. Se talvolta accade che una nave si fermi o rallenti improvvisamente nel proprio tragitto, la responsabilità non dev’essere attribuita a una qualità occulta, né a una «virtù derivata dall’influsso del cielo», ma alla presenza di correnti contrarie, all’inganno dei marinai, alla volontà angelica o diabolica154. Il ricorso – tutt’altro che infrequente – all’intervento degli spiriti soprannaturali non esclude, in Schott come in Cardano, il tentativo costante di fornire una spiegazione naturale dei fenomeni: ad esempio, i fuochi fatui che si vedono di notte nei cimiteri, nei luoghi dei patiboli o sui campi di battaglia non sono altro che «exhalationes pingues et viscosae» che vengono trattenute dalla pressione esercitata dalla fredda aria notturna, e successivamente s’incendiano, agitate dal sopraggiungere di altre esalazioni, o per la collisione dei corpuscoli che le compongono. Così si spiega anche la meteora resa nota da Paracelso come «drago volante»: esso non è, come crede il volgo, un segno di morte imminente per colui al quale appare, ma può essere indizio di un’infezione dell’aria, satura di esalazioni, annunciando, in tal caso, morbi e pestilenze155. Tra i fenomeni «superstiziosi» della simpatia e dell’antipatia c’è l’uso della verga di nocciòlo per scoprire tesori o vene metallifere; il potere 151 Ibid.: «Latet in his, quae ab oculos nostros versantur quotidie, quod miremur. Est in Naturae majestate, quod humanam pascat curiositatem». 152 Ivi, vol. II, lib. VII, cap. XI; vol. I, lib. I, pars I, cap. VII. 153 Ivi, vol. II, lib. VIII, cap. XIV, p. 1309. Cfr. supra, Introduzione. 154 Ivi, vol. II, lib. VIII, cap. XIV, pp. 1329-35. 155 Ivi, vol. II, lib. XI, capp. IX e XIV; vol. I, lib. II, pars I, cap. VI. 135 attribuito dai cabbalisti a lettere e parole – mentre nulla e nessuno può «inseminare vocabulis» –; l’unguento armario, «a Satana armatum»156. Non ha senso, inoltre, esorcizzare i melanconici, che nella maggior parte dei casi sono semplici malati, affetti da un temperamento freddo e secco e da un’abbondanza di umori, spiriti e neri vapori. Nella physica curiosa seicentesca continua e sopravvive la magia naturale del Rinascimento – che, come ha affermato John L. Heilbron, «come la prima fisica moderna, comprendeva tutte le scienze fisiche e biologiche»157. E comprendeva anche la tecnica: basta ricordare il titolo delle altre imponenti opere del poligrafo gesuita, che fu professore di matematica e fisica a Palermo, Magonza e Würzburg: Magia universalis naturae et artis (1657-58) e Technica curiosa (1664). Nei superbi volumi in folio di Schott, stupendamente illustrati, si parla di angeli e demoni, di spettri, uomini, energumeni, mostri, di ogni specie di animali e delle meteore, ma anche di meccanica, aritmetica, geometria, idraulica e ottica. Tutti i fenomeni vi sono indagati «methodice, ac summa varietate»158. Malgrado l’attenzione dedicata alle qualità occulte, nessun aggettivo accompagnava la Physica gassendiana; allo stesso modo, il Traité de physique (1671) del cartesiano Jacques Rohault (1618-1672), un fortunato manuale di fisica cartesiana, venne tradotto in latino da Samuel Clarke, con l’aggiunta di un ricco apparato di note newtoniane e l’essenziale titolo di Physica (1697). La definizione del termine che dà Rohault è tale da escludere in partenza la subtilitas cardaniana: la fisica è la «scienza che insegna le cause e le ragioni dei singoli effetti di natura», cioè la «scienza delle cose naturali»159: in essa, conformemente all’estensione seicentesca (e aristotelica) del termine160, sono incluse la cosmologia, la meteorologia, la geologia, la diottrica e la fisiologia (compresa quella degli organi di senso), nonché alcune nozioni basilari di medicina – come le definizioni di «salute», «malattia» o «febbre». Come quella di Descartes, la fisica di Rohault non è «curiosa», ma perspicua ai sensi e all’intelletto, proprio all’opposto di quella subtilitas che Scaligero aveva definito «ratio qua sensibilia a sensibus, intelligibilia ab intellectu difficile apprehenduntur»161. Come la fisica di Descartes, quella di Rohault è fondata sulla metafisica, e profondamente connessa alla gnoseologia: vi si trova, ad esempio, teorizzato per la prima volta l’esperimento dell’uso successivo dei sensi, da parte di un neonato, che abbia la capacità di giudizio di un adulto; declinato nelle varianti della statua, del selvaggio, del cieco, del sordomuto o di Adamo, esso sarà alla base del dibattito gnoseologico settecentesco162. Ma nella metodologia, Rohault è largamente debitore a Francis Bacon: nella dichiarazione di intenti premessa all’opera, egli esprime la necessità di esaminare le veteres notio- 156 Ivi, vol. II, lib. XII, cap. IV. J. L. Heilbron, Alle origini della fisica moderna cit., p. 16. 158 C. Schott, Magia universalis naturae et artis, Herbipoli, sumptibus haeredum Joannis Godefridi Schönwetteri, excudebant H. Pigrin & J. Hertz, 1657-58, 3 voll.; l’espressione citata si trova nel frontespizio del secondo volume. 159 J. Rohault, Physica, Venetiis, apud F. Pitteri, 1740, pars I, cap. I, p. 1. 160 Cfr., ad esempio, F. de La Mothe Le Vayer, La physique du Prince, in Oeuvres, Paris, J. Guignard, 1684, tomo I. J. L. Heilbron (Alle origini cit., p. 15) ha scritto che «l’ampiezza del suo campo e il disprezzo per la matematica derivavano da Aristotele; l’indifferenza nei confronti dell’esperimento, in quanto opposto all’esperienza quotidiana, dagli autori dei manuali peripatetici». 161 G. C. Scaligero, Exercitationes cit., I, p.1. 162 J. Rohault, op. cit., pars I, cap. II; cfr. S. Parigi, La critica all’innatismo nel Settecento, «Rivista di filosofia», 83, 1992, pp. 51-75. 157 136 Caspar Schott: Il su, animale della Patagonia 137 nes, allo scopo di eliminare i praejudicia, ovvero le teorie non adeguatamente fondate sui sensi e sulla ragione, sterili di risultati pratici. La fisica deve essere liberata anche dai termini oscuri e confusi, come simpatia, antipatia, horror vacui, appetitio coniunctionis, vis attrahens e discrepanza di natura: non è inventando nomi per designare cose ignote che si accresce la conoscenza. La polemica di Rohault è rivolta esplicitamente contro gli scolastici, che hanno riempito il mondo di «infinite entità», trasformando arbitrariamente le parole in cose, e – in quanto insegnanti – hanno reso i loro allievi «incapaci per tutta la vita di una solida erudizione». Ma anche la fisica gassendiana, con l’ampia trattazione dedicata alle qualità occulte e l’idea di una materia actuosa, appare lontana dal meccanicismo di Rohault, che non tiene in nessuna considerazione l’azione a distanza e l’attribuzione alle cose materiali di «poteri» analoghi a quelli posseduti dagli esseri senzienti163. Samuel Clarke si sente in dovere di rispondere, in nota, a una fondamentale obiezione antinewtoniana, che non poteva ovviamente essere formulata da Rohault per ragioni cronologiche: la gravitatio materiae universalis è compatibile con la volontà – condivisa da Newton, secondo Clarke, e certamente da lui stesso – di eliminare dalla fisica tutte le qualità occulte e le azioni a distanza? Omnino admittenda erit talis attractio, quae non sit utique actio materiae in distans, sed actio causae cuiusdam immaterialis, materiam perpetuo certis legibus moventis, et regentis164. Il problema – sollevato da Newton nelle Queries dell’Opticks – diventa quello di trovare la «causa immateriale» dell’attrazione gravitazionale – accomunata alle «virtù elettrica e magnetica», che agiscono «ad satis magna intervalla» – e magari simile ad altri generi di attrazione, meno evidenti ai sensi, e perciò ancora ignoti. Clarke si preoccupa di difendere Newton dall’accusa – che gli appariva probabilmente più grave di quanto non sembrasse allo stesso Newton – di reintrodurre nella fisica le qualità occulte degli scolastici, o le azioni a distanza dei neoplatonici, dei maghi e dei paracelsiani, e riporta una citazione dalla query 31 dell’Opticks: These principles I consider, not as occult qualities, supposed to result from the specific forms of things, but as general laws of nature, by which the things themselves are formed; their truth appearing to us by phenomena, though their causes be not yet discovered. For these are manifest qualities, and their causes only are occult165. Le qualità occulte si trasformano, con Newton, in «leggi generali della natura», ma il dominio dell’occulto, pur riducendosi significativamente, non si esaurisce: piuttosto, si sposta dalla ricerca delle cause dei fenomeni «sottili» e inspiegabili all’indagine sulle cause delle leggi che spiegano quei fenomeni. Rohault si muove, sotto questo aspetto, nella piena ortodossia cartesiana: gli unici mirabilia naturae che è disposto ad ammettere sono le attrazioni elettrica e magnetica, che spiega entrambe con vortici di materia sottile emessi dai corpi elettrici e dal magnete, capaci di «scacciare» l’aria circostante e di attrarre i corpi che incontrano, prima di tor- 163 J. Rohault, op. cit., pars I, capp. II-IV (la citazione è a p. 19). Ivi, pars I, cap. XI, p. 59. 165 Cfr. ivi, p. 60, per la citazione in latino; la citazione inglese è tratta da I. Newton, Optics, Chicago, London, Toronto, Encyclopedia Britannica, 1952, p. 542. 164 138 nare nei «meati» del corpo che li ha emessi. Ma rifiuta senza appello ogni potere – medico o di altro genere – attribuito alle gemme e alle pietre dagli «scrittori di storia naturale»166. Nella «Prefazione» al De magnete, William Gilbert afferma di avere vagliato le proprie esperienze, indicando con un asterisco grande o piccolo il grado maggiore o minore della loro importanza e «sottigliezza». Mentre elenca i fenomeni, più o meno prodigiosi, che sono stati attribuiti alla simpatia e all’antipatia, nell’opera enciclopedica Magisterium naturae at artis (1684-92), il gesuita bresciano Francesco Lana Terzi (1631-1687), un altro allievo di Kircher, per facilitare il lettore, contrassegna con una croce posta a lato le esperienze che reputa vere, con una «R» – che sta per «reprobanda» – quelle ritenute false, mentre non appone generalmente nessun segno accanto a quelle che considera incerte. Non c’è bisogno di dire che queste ultime sono le più numerose: «la maggior parte è del tutto incerta, molte [esperienze] sono palesemente false o vane, e superstiziose; alcune per la verità sono certe, e sperimentalmente provate»167. L’opera di Lana Terzi è un’interessante commistione di dottrina scolastica, corpuscolarismo meccanicistico e filosofia chimica, che rientra appieno nella fisica curiosa. Vi è contenuta una lunga e articolata trattazione dei fenomeni elettrici e magnetici, insieme a una grande quantità di mirae historiae, artificia e desiderata. Lana Terzi espone una teoria corpuscolaristica degli effluvi, capaci di espandersi «ad magnam aliquam distantiam» e di penetrare nei pori di altri corpi, attraendoli, cioè spingendoli verso il corpo che li ha emessi. La «sottigliezza», «tenuità» o «fluidità» delle particelle emesse da un corpo non basta, da sola, a garantire la penetrazione in un altro corpo: occorre anche la congruità tra la figura dei corpuscoli esalati da un corpo e la densità e la forma dei pori del corpo da penetrare. Ad esempio, gli effluvi «viscidi», untuosi o composti di particelle ramosae, «mutuo plexu intricatae, et irretitae» non riescono ad «aprirsi una strada» nei pori di un altro corpo, alterandone la textura168. Lana Terzi propone più di una classificazione dei pori e degli effluvi, in base alla figura dei corpuscoli che li compongono e alla natura dei corpi che li emettono169. La dottrina degli effluvi è usata per rendere conto dei più diversi generi di fenomeni, classificati in «osservazioni» ed «esperimenti»: la «traspirazione insensibile» che emana dal corpo dell’assassino, facendo letteralmente «ribollire» il sangue dell’ucciso; il fascino, gettato da occhi «invidiosi e maligni», il veleno trasmesso dai cani rabbiosi, gli effluvi magnetici che si propagano continuamente, oltre che dai magneti, dall’uno all’altro polo del globo terrestre, la vis tractiva dei corpi elettrici, gli effluvi odorosi, quelli della simpatia e della peste, le virtù mediche di alcune pietre. Tutte queste instantiae – alcune delle quali vengono riprese dalle centuriae della Sylva sylvarum – sono «admirabiles, sed tamen indubitatae». Tutti i corpi emettono effluvi in ogni direzione, e sono rivestiti da un’atmosfera propria: così i corpi odorosi spargono effluvi di odore, i corpi velenosi emettono spiriti venefici, i corpi elettrici diffondono un effluvio elettrico170. 166 J. Rohault, op. cit., vol. II, pars III, capp. VII-VIII. F. Lana Terzi, Magisterium naturae et artis, Brixiae, apud Jo. Mariam Ricciardum, 1684-1692, 3 voll., tomo III, lib. XXIV, capp. I e II e p. 415: «plurima sunt omnino incerta, multa etiam manifeste falsa aut vana, et superstitiosa; quaedam vero certa, et experimentis comprobata». 168 Ivi, vol. III, lib. XIV, prop. IX; vol. II, lib. I, cap. II, propp. I-XIV. 169 Ivi, loc. cit., prop. XIV. 170 Ivi, vol. III, lib. XXIII, cap. V, prop. XI, p. 363. 167 139 Lana Terzi potrebbe apparire meno prudente di Kircher e di Schott riguardo all’azione a distanza, alla simpatia e all’antipatia, spiegate con il «consenso e dissenso degli spiriti»: spesso, infatti, gli effluvi si trasmettono a grandi distanze – come gli influssi dei corpi celesti, che possono spiegare anche certe malattie; l’influenza dei tuoni sul vino; i presentimenti della morte dei consanguinei; il vino che ribolle nelle botti in Germania, mentre le viti fioriscono in Gallia – e con grande velocità, come dimostrano gli odori, i movimenti dell’ago magnetico, gli effluvi pestilenziali e velenosi – che, entrando dalla bocca e dal naso, si propagano rapidissimi fino al cuore e si diffondono in tutti gli arti, provocando le convulsioni. Ma in realtà, come risulta evidente dalla trattazione dei fenomeni elettrici e magnetici171, Lana Terzi non intende allontanarsi – almeno in linea di principio – dall’ortodossia scolastica, che nega la possibilità dell’azione a distanza. Affermo che gli effetti simpatici e antipatici hanno origine dal fatto che lo spirito etereo infuso in tutti i corpi misti e negli elementi, erompendo da un corpo misto e insinuandosi in un altro, porta con sé le parti più sottili di quel misto, e le introduce, congiunte a sé stesso, in un altro corpo172. I diversi effluvi che emanano dai corpi si spiegano con l’unione delle parti più pure e sottili di ciascun corpo con quelle, ad esse affini, dell’aura aetherea. Uscendo dai pori di un corpo, questi effluvi sono portati dall’onnipervadente etere – una sostanza universale estremamente mobile e attiva, il «primo elemento» cartesiano – anche a grandi distanze, finché entrano nei pori di un altro corpo, che abbia una textura conveniente: se c’è un «consenso» nell’impeto, nella figura e nella grandezza degli spiriti, si verifica un’actio sympathica; se invece c’è «dissenso», si ha un’actio antipathica. Non vi sono oscure «influenze» o «idee» che si trasmettono a distanza, né qualità occulte173. Ad esempio, gli aculeoli urticae provocano irritazione alla mano, ma non all’unghia, che ha una diversa textura. Lana Terzi accusa l’imbecillitas dei sensi umani, ai quali sfugge la maggior parte degli effluvi a causa della sottigliezza delle particulae che li compongono, e cade in contraddizione – come quando, dopo aver affermato che l’emissione continua di effluvi materiali non comporta una perdita di peso o di massa da parte dei corpi, parla di «compensazione» tra gli effluvi emessi da un corpo e quelli assorbiti da un altro174. Incorrendo in una classica petitio principii, egli, dopo aver affermato che tutti gli effluvi hanno la massima efficacia operativa, sia gli uni verso gli altri, sia nei confronti di corpi diversi, aggiunge: «haec propositio non indiget probatione, cum satis sit manifesta ex iis, quae passim narravimus»175. Gli «experimenta notabilia» e le «historiae singulares» sono insomma, al tempo stesso, sia le instantiae da spiegare, sia le prove della spiegazione fornita. Gli esperimenti sulla natura dell’aria, da Torricelli a Boyle (non a caso, l’autore più citato da Lana Terzi), che hanno reso possibile abbandonare il concetto aristotelico di horror vacui176, vengono ripresi dai gesuiti Schott e Lana Terzi, e uniti alla dottrina degli effluvi. L’aria, «mobile, e facilmente permeabile», come pensava Schott, perché è un corpo 171 Cfr. infra, pp. 141 sgg. F. Lana Terzi, Magisterium cit., vol. III, lib. XXIV, cap. IV, prop. VI, p. 455. 173 Ivi, loc. cit., propp. VII-X. 174 Ivi, vol. II, lib. II, cap. I, LXXVII; cap. II, propp. I-III. 175 Ivi, loc. cit., prop. XII, p. 63. 176 Ivi, vol. II, lib. VI, cap. II. 172 140 elastico, non oppone resistenza al passaggio, continuo e successivo, degli effluvi: così quelli della stessa natura (che poi è la natura del corpo che li ha emessi) si uniscono per simpatia, e aumentano la loro efficacia e capacità di propagazione, mentre quelli di natura diversa (l’odore di molti fiori, i suoni consonanti) possono mescolarsi, costituendo una «terza natura». L’aria è una miscela di effluvi: le particelle acide che compongono i fumi di zolfo, unendosi ai miasmi pestilenziali, possono neutralizzarli; a Napoli, dopo l’ultima eruzione del Vesuvio177, si sono avute piogge di sangue178. Come Boyle, ma a differenza di Schott, Lana Terzi includeva tra gli effluvi sparsi nell’aria anche quelli provenienti dalle miniere sotterranee, dai pianeti e dalle stelle: gli influssi di questi ultimi, a suo parere, non potevano essere spiegati «con il semplice moto»; oltre a permeare l’aria, insinuandosi – insieme alle altre esalazioni – nei pori corporei o venendo inspirati dagli animali con l’aria che li contiene, gli influssi celesti tornano verso il cielo, verso i globi dai quali in origine emanarono, misti agli effluvi dei corpi terrestri179. La dottrina degli effluvi rende così possibile ipotizzare un continuo scambio all’interno di quella che Boyle chiamava la «fabbrica del mondo». Nel terzo volume della sua opera, che venne pubblicato postumo nel 1692, Lana Terzi parla dei moti dovuti alla simpatia e all’antipatia, e vi include quelli elettrici e magnetici. Come Gilbert era restio a parlare di «attrazione» per i moti del magnete, Lana Terzi rifiuta quel termine per l’azione dei corpi elettrici – non soltanto l’ambra gialla, ma le gemme traslucide, come il diamante, lo zaffiro e il topazio bianco, lo smeraldo, e le gomme che essudano dagli alberi, come la resina di pino e la pece greca. Egli è convinto che la virtus electrica non si spieghi con la classificazione scolastica delle qualità in prime, seconde e occulte180, perché le qualità, essendo accidenti inerenti a una sostanza, non emanano, né possiedono un’autonoma «vis movendi localiter», ma si muovono soltanto se si muove il corpo al quale ineriscono. Né ha senso ricorrere al linguaggio metaforico delle qualità occulte o «simpatiche», che è sempre una confessione di ignoranza, o invocare, come Fracastoro, una similitudine, analogia o convenienza tra i corpi che attraggono e i corpi attratti: da un lato, infatti, l’elettro attrae corpi che hanno nature diverse e anche contrarie; dall’altro lato, in base a quella teoria, l’oro dovrebbe essere attratto dall’oro, e l’argento dall’argento, mentre invece tutti i metalli sono attratti dal succino, che è un corpo del tutto dissimile181. Lana Terzi è contrario anche a uniformare la trattazione dei fenomeni elettrici e magnetici, attribuendola alle stesse cause, come fa Emmanuel Maignan182, perché si tratta di fenomeni dei quali il gesuita non manca di fornire un elenco, ormai classico, di differenze. La dottrina degli effluvia può essere inserita nel quadro teorico della fisica scolastica: quello che emana non è infatti una nuda qualità, come è stato già dimostrato; dunque emanano effluvi spiritosi e sottili, i quali, benché siano invisibili, si manifestano tuttavia con i loro effetti183. 177 Nel XVII secolo, si verificarono due importanti eruzioni del Vesuvio: nel 1631 (con più di 4000 morti) e nel 1681. 178 F. Lana Terzi, Magisterium cit., vol. II, lib. II, cap. II, propp. IV-VIII. 179 Ivi, loc. cit., prop. XI. 180 Cfr. supra, p. 110. 181 F. Lana Terzi, Magisterium cit., vol. III, lib. XXII, cap. II, propp. I-III. 182 Cfr. infra, § 4. 183 F. Lana Terzi, Magisterium cit., vol. III, lib. XXII, cap. II, propp. IV-V, p. 296: «non emanat autem nuda qualitas, ut supra probatum est, igitur emanant spirituosa et subtilia effluvia, quae licet invisibilia effectu tamen manifestantur». 141 Dal corpo elettrico emanano «certi effluvi, ovvero un alito tenuissimo, per mezzo del quale si realizza l’attrazione dei corpuscoli»184: questi effluvi non sono accidenti, altrimenti non potrebbero produrre moto locale; sono, dunque, sostanze corporee e mobili, benché invisibili, che, come tutte le sostanze, non possono agire a distanza, ma comunicano successivamente il loro impulso alle parti del mezzo, intermedie tra il corpo che attrae e quello attratto. Quella realizzata dal corpo elettrico non è dunque, propriamente parlando, un’attrazione a distanza, ma un’azione per contatto. Perciò un corpo elettrico, a differenza del magnete, perde la sua virtus ove venga interposto un altro corpo, per quanto sottile. Ma parlare genericamente di effluvi non sembra soddisfacente a Lana Terzi, che rimprovera anche a Gilbert una certa approssimazione nell’uso dei termini: il gesuita si sforza quindi di intraprendere un’analisi chimico-fisica degli effluvi elettrici. Essi devono essere in primo luogo viscosi, di natura oleosa. Questa è una condizione necessaria, ma non sufficiente, a differenza di quanto riteneva Cardano: se la causa dell’attrazione elettrica fosse l’«umido pingue e glutinoso», di cui le cose secche e leggere circostanti desidererebbero imbeversi, l’aria, che è umida, dovrebbe comportarsi come un corpo elettrico. Ma questo non accade; anzi, l’aria umida ostacola e annulla la vis electrica – come molti autori riconoscono, a partire da Gilbert – e tale forza viene perduta dai corpi non appena questi vengono inumiditi. Anche un’interpretazione esclusivamente meccanicistica degli effluvi, nei termini del moto di azione e reazione, o di riflessione degli spiriti185, sembra da respingere. Infatti, non è logico ipotizzare – come fa Schott – che gli effluvi o spiriti viscosi «catturino» i corpi leggeri nei quali si imbattono, uscendo dall’elettro: invece di spingerli verso di esso, dovrebbero piuttosto allontanarli, comunicando ad essi il loro impulso. Nel moto di ritorno verso il corpo elettrico, inoltre, gli spiriti viscosi dovrebbero essere respinti dal flusso opposto e continuo degli effluvi in uscita186. L’opinione di Lana Terzi, presentata come «più probabile» delle altre, è che gli effluvi elettrici non siano soltanto oleosi e viscosi, ma anche sulfurei ed ignei: sulfurei, perché la maggior parte dei corpi elettrici sono sostanze bituminose, che hanno questa natura; ignei, perché il calore degli effluvi provoca la rarefazione dell’aria nella quale essi si espandono, che così diventa meno elastica, mentre, al contrario, l’aria che si trova oltre la sfera di azione del corpo elettrico si condensa, accrescendo la propria vis elastica. Il risultato di questo duplice moto di rarefazione e di condensazione è l’attrazione dei corpi leggeri, come le pagliuzze, i pezzetti di carta o le piume, entro una certa distanza dal corpo elettrico; ma poiché la rarefazione e la condensazione dell’aria sono moti violenti, essi tendono a cessare, e l’aria torna nella precedente condizione di quiete: così si spiega il carattere transitorio, non permanente, dell’attrazione elettrica. Lo strofinamento ha l’effetto di accrescere il calore – per natura piuttosto debole – degli spiriti igneo-solforosi, amplificandone i fenomeni. Alla descrizione e alla spiegazione, fa seguito – secondo una procedura consueta nell’opera di Lana Terzi – un elenco di artificia e di artificia desiderata. Tra i primi, il gesuita menziona le proprietà mediche dell’ambra gialla, capace di essiccare gli umori umidi, 184 Ibid.: «aliqua effluvia, seu tenuissimus halitus, quo mediante fit corpusculorum attractio». È da notare che i termini «spirito» ed «effluvio» sono considerati sinonimi. 186 F. Lana Terzi, Magisterium cit., vol. III, lib. XXII, cap. II, propp. VII-IX. 185 142 come il catarro, di guarire il mal di testa, se la si porta appesa al collo, di contrastare la peste, le ulcere e le febbri maligne. «Gemmis enim vires medicas non esse denegandas», perché gli effluvi elettrici che emettono possono suscitare il moto in ogni genere di corpi, quindi anche alterare la costituzione del corpo umano187. I moti elettrici non devono essere inclusi tra quelli «simpatici», perché provengono da qualità comuni, come il calore e l’elasticità dell’aria; i moti magnetici, invece, sono moti simpatici, perché derivano da una qualità propria, insita nel corpo magnetico. Ma, a parte questa sottile distinzione scolastica, la virtù magnetica si spiega, come quella elettrica, con l’emissioni di effluvi materiali, concepiti non come «nude qualità accidentali», ma come sostanze corporee, invisibili e impenetrabili, simili ai raggi luminosi, che si propagano in un certo tempo – giacché nessun moto locale è istantaneo – ed entro un determinato spazio, che è la sfera di attività del magnete. Il loro passaggio, come la propagazione dell’aria, non può essere impedito da nessun corpo. La virtus magnetica «nihil aliud est, quam subtilissimam substantiam perpetuo emanantem a magneticis corporibus, et per tenuissimos quoslibet poros aliorum corporum permeans». Non vi è alcuna azione a distanza, perché essa potrebbe estendersi istantaneamente a qualunque distanza: gli effluvi agiscono per impulso su un «corpo intermedio»; la loro diffusione e propagazione dipende dalla textura delle parti delle sostanze, e dalla disposizione dei «pori». Gli spiritus magnetici formano un’atmosfera (capillitium) costante intorno al magnete, perché vengono continuamente reintegrati da quelli terrestri188. Il concetto di textura, come si vede, è suscettibile, a partire da Gassendi, di un’interpretazione non rigidamente meccanicistica, in termini di incastro di parti piene e parti vuote della materia. Ove quel concetto si unisca a quello di spirito, o di effluvio, risulta infatti perfettamente compatibile con la teoria della materia actuosa – dotata, cioè, di proprietà non riducibili alle mere caratteristiche quantitative delle particelle che la compongono. Emerge, tuttavia, la difficoltà di eliminare, dalla dottrina degli effluvia, il ricorso alle qualità occulte: non si può che ammirare, a questo riguardo, la coerenza insita nella drastica posizione di Descartes, il quale – proponendo un cosmo interamente visualizzabile, nelle sue parti più piccole come nel suo insieme più vasto – eliminava senza appello, insieme alle qualità occulte, l’ambigua ricchezza della natura «curiosa». Lana Terzi contrappone, infatti, le teorie gassendiana e cartesiana del magnetismo: la prima – che ipotizza, per spiegare l’attrazione del ferro da parte del magnete, l’incastro di corpuscoli a forma di «uncini, o piccoli ami», emessi dal magnete, nei pori del ferro, simili ad «asole, o occhielli» – pur non essendo del tutto soddisfacente per rendere conto del moto di «sistole e diastole» proprio delle cose animate, non è da rigettare. È vero che alcuni hanno sottolineato il carattere fittizio di tali entità («obijciunt aliqui haec non probari, sed gratis fingi»), ma Lana Terzi è convinto che non ci sia nulla di male a utilizzare cose cognite e visibili per spiegare cose incognite e invisibili: «hoc enim modo melius quam recurrendo ad occultam qualitatem desiderio sciendi satisfaciamus»189. Descartes, invece, ha utilizzato una teoria che è lontana dalla semplicità della natura, e che per questo appare «meno solida» di quella gassendiana: le due diverse spirali di «corpuscoli striati» provenienti dai due poli celesti, suscettibili di percorrere soltanto i canaliculi cilin- 187 Ivi, cap. III, art. VII, p. 312. Ivi, vol. III, lib. XXIII, cap. V, propp. IV-VII (la citazione è a p. 358). 189 Ivi, loc. cit., prop. XVI, p. 368. 188 143 drici presenti nei due poli terrestri, e in quelli della terrella, è troppo artificiosa per rivelarsi efficace nella spiegazione dei fenomeni190. Gli spiriti magnetici, secondo Lana Terzi, scorrono principalmente da un polo all’altro, attraverso i pori, che formano piccoli canali nel magnete, paralleli al suo asse. E poiché questo è più lungo delle linee parallele ad esso, vi scorre una maggiore quantità di spiriti: ecco perché la vis magnetica si concentra ai due poli, capaci di emettere una maggiore quantità di spiriti; quelli che escono dal polo boreale hanno una natura diversa, in qualche modo opposta, rispetto a quelli emessi dal polo australe. Cercando di spiegare in cosa consista questa differenza, il gesuita bresciano ricorre alla figura e al moto «connaturato» a tali spiriti, ma non esclude l’azione «alterius peculiaris qualitatis quae vim habeat mutuae antipathiae». Gli spiriti magnetici boreali, più vigorosi e numerosi, si differenziano da quelli australi come il sangue arterioso, ricco di spiriti ignei, è diverso da quello venoso: gli uni e gli altri hanno una diversa natura e un movimento opposto, scorrono per diverse vie191. Il sangue, infatti, ha una grande affinità con lo «spirito etereo», igneo e lucido192. L’uso indiscriminato dei termini «spirito» ed «effluvio», ancora alla fine del Seicento, ripropone il significato cosmico e rinascimentale dello spiritus mundi, che unifica il mondo inanimato al microcosmo animale e umano. Un secolo e mezzo dopo Agrippa, capita di imbattersi in affermazioni di questo genere: Ogni erba, seme, frutto, pietra, metallo che ha una similitudine con qualche membro, o morbo, nella figura o nel colore, giova moltissimo a quel membro, o a quel morbo193. Perciò, il papavero giova alla testa, l’orchidea ai genitali, il limone è efficace contro il mal di cuore, il chelidonio e il croco, che sono fiori gialli, guariscono l’ittero. L’universo è «pieno di effetti simpatici»: questo tutti i filosofi lo ammettono, e Lana Terzi concorda, tanto che gli esempi che riporta raggiungono il ragguardevole numero di millecentosettantadue, contro le centosettantotto esperienze magnetiche e le trentanove osservazioni elettriche esposte nei libri precedenti. Ma occorre discriminare, nell’antico e sterminato mare magnum di effetti prodigiosi attribuiti alle forze, individuali e cosmiche, della simpatia e dell’antipatia, gli esperimenti degni di fede da quelli palesemente falsi e inaffidabili. Tra questi ultimi, Lana Terzi elenca l’unguento armario e la polvere simpatica; tra le esperienze incerte, riporta i fenomeni del tarantismo, che cesserebbero soltanto con la morte del ragno194; la transplantatio morbis, ad esempio il trasferimento della tisi dall’uomo al cavallo, con relativa ricetta, datagli da un amico, consistente nel far bere al tisico la bava di un cavallo giovane, prelevata dalla bocca dell’animale nella fase di luna calante, ed esposta poi al sole per tre giorni. E ancora, lo sguardo ammutolente del lupo e quello letale del basilisco, l’odio dello scorpione per la tarantola, il contagio oftalmico e vari altri casi di azioni a distanza sono effetti incerti, come anche la proprietà di favorire il parto, che sarebbe posseduta, secondo l’autorità di van Helmont e Robert Boyle, dal fegato di anguilla essiccato e polverizzato, misto al fiele195. 190 Ivi, loc. cit., prop. XVII. Ivi, loc. cit., propp. XIX-XXIV. La citazione è a p. 374. 192 Ivi, vol. III, lib. XXIV, cap. IV, prop. XIV. 193 Ivi, vol. III, lib. XXIV, cap. III, p. 448. 194 Lana Terzi non condivide l’opinione di Kircher: la tarantola vive solo d’estate, mentre gli effetti dell’avvelenamento continuano anche dopo la morte del ragno. 195 Ivi, vol. III, lib. XXIV, cap. I. 191 144 Tra le osservazioni ritenute vere (contrassegnate con una V) ci sono quattrocentouno esempi di cure simpatiche: mentre quelle attribuite a Boyle vengono tutte accettate, quelle helmontiane – insieme alle testimonianze di Pierre Borel sulla transplantatio – non superano l’esame, e vengono classificate come «incerte» (indicate con una crocetta, o senza alcun contrassegno). È vero, ad esempio che l’erba Persicaria, immersa nell’acqua di un ruscello, risana le ferite; che l’idropisia guarisce quando l’urina del malato, sospesa sopra un fuoco dentro una vescica di porco, è completamente evaporata. Sono veri anche i presentimenti della morte dei consanguinei, dovuti a un’insolita commozione interna degli spiriti; per lo stesso motivo, i mariti che amano appassionatamente le proprie mogli possono avvertire i dolori del parto. Il sanguinare del fresco cadavere dell’ucciso in presenza dell’assassino è un fatto «pervulgatum», e a ragione Francis Bacon afferma che un cane è in grado di riconoscere i canicidi. Viene accettata come degna di fede anche la celebre storia, raccontata da Tommaso Campanella nel De sensu rerum et magia, del signore di Tropea, il cui naso – ricostruito con la carne sottratta al braccio di un suo servo – si staccò alla morte di quest’ultimo196. Quanto al potere paralizzante della torpedine marina, esso è autentico, a patto che vi sia contatto tra quel pesce e la mano del pescatore; ma se viene concepito come un’azione a distanza, è da ritenersi favoloso. È possibile che la remora, o echeneide, arresti una nave, per un’azione magnetica simile a quella degli scogli di fracastoriana memoria, che verrebbe amplificata dall’acqua. Tra gli esperimenti che vengono esaminati (recensentur) e accettati, ci sono ovviamente le attrazioni elettrica e magnetica; c’è l’attrazione della luce da parte della «pietra bolognese», che ha una textura congruente rispetto a quella dei corpuscoli luminosi, ed è quindi capace di imbeversene e di conservarli al proprio interno per parecchio tempo, mentre l’attrazione lunare spiega il flusso e il riflusso del mare197. È vero che il leone teme il canto del gallo; che le pernici amano i cervi e le colombe le rondini; che la vite odia il cavolo, tanto da evitare di intrecciare i suoi vitigni con questo ortaggio, mentre ama l’olivo; che i serpenti, con gli occhi e con il fiato, incantano gli usignuoli per divorarli (come afferma Kircher): perciò l’usignuolo ama i luoghi spinosi e i pavoni, perché nei primi i serpenti non si nascondono, e per i secondi provano una potente avversione. Il discrimine tra instantiae vere e reprobandae dipende spesso dalle auctoritates riconosciute dall’autore: incerto è ciò che poggia sull’autorità di Plinio, ma anche di van Helmont e Borel; è quasi sempre vero, invece, ciò che riportano il citatissimo Boyle, Dioscoride, Aldrovandi, Thomas Bartholin e ciò che dice Gutiérrez sul fascino198. Lana Terzi auspica che filosofi, medici e chimici si dividano gli esperimenti incerti, e si applichino a ripeterli finché non si raggiunga un accordo sul loro status epistemologico. Le esperienze classificate come «incerte» coincidono, infatti, con le inventiones desiderata che concludono ogni libro: ottenere transplantationes efficaci contro ogni malattia, scegliendo oppor196 T. Campanella, De sensu rerum cit., lib. IV, cap. XI, pp. 308 sgg. Questa storia divenne molto celebre nel XVII secolo: è raccontata, tra gli altri, da van Helmont, da Robert Fludd, nella sua risposta a William Foster (cfr. infra, parte II, cap. I, § 5), da Sylvester Rattray (Aditus novus ad occultas sympathiae et antipathiae causas inveniendas, in Theatrum sympatheticum cit., p. 69) e da G. B. de Saint-Romain, Physica, sive scientia naturalis, scholasticis tricis liberata, Lugduni Batavorum, apud P. van der Aa, 1684, pars IV, cap. XXI. Ancora nel XVIII secolo, François de Saint-André la ritiene verosimile (Lettres à quelquesuns de ses amis au sujet de la magie, des malefices et des sorciers, Paris, J.-B- de Maudouyt, 1725). 197 F. Lana Terzi, Magisterium cit., loc. cit., cap. II. 198 Cfr. infra, parte II, cap. II. Cfr. Juan Lazaro Gutiérrez, Opusculum de fascino, Lugduni, sumpt. Philip Borde, Laur. Arnaud, & Cl. Rigaud, 1653. 145 tunamente il soggetto (minerale, vegetale o animale), il mezzo e il modo adatti; realizzare filtri amatori, applicare con successo la musicoterapia (efficace contro il veleno della tarantola) e la terapia basata sugli odori. Tra le ricette della «medicina simpatica», c’è un olio di lombrichi immersi in vino bianco e seppelliti sotto lo sterco equino: si tratta di un rimedio contri i disturbi nervosi, che assomiglia straordinariamente all’olio di cane rosso di Girolamo Ruscelli199. La fisica «curiosa» e la medicina «simpatica» vengono trattate anche in un’altra opera enciclopedica, pubblicata nel 1684 dal medico parigino G. B. de Saint-Romain: Physica, sive Scientia Naturalis, scholasticis tricis liberata. Mentre la Utriusque cosmi historia di Robert Fludd era divisa in due parti, dedicate rispettivamente al micro e al macrocosmo, l’opera di Saint-Romain è divisa in quattro parti, dedicate rispettivamente a una discussione generale delle cause materiali, formali, efficienti e finali, con importanti digressioni, soprattutto di natura medica; al mondo astronomico celeste; a quello terrestre inanimato; alla biologia umana. Saint-Romain – che attribuisce alla fisica un ruolo fondativo sia rispetto alla filosofia naturale, sia rispetto alla teologia – non si discosta dalla tradizionale concezione degli spiritus o effluvia atomorum, l’unica ipotesi che permetta di spiegare gli effetti straordinari della simpatia e dell’antipatia, del magnetismo e dell’elettricità. Da tutti i corpi esalano particulae subtiles, diverse per figura e grandezza, ma sempre impercettibili ai sensi umani, che si disperdono nell’aria anche a grandi distanze, e provocano effetti diversi a seconda del «temperamento» dei corpi – animati o inanimati – che incontrano. È da notare che, a partire da Gassendi, il concetto di «temperamento» – che nella medicina galenica dipendeva dall’equilibrio degli umori – diventa sinonimo di textura200. Saint-Romain non è disposto ad ammettere né «temperamenti» umorali, né oscure «forme sostanziali»: gli uni e le altre vengono spiegati con la «disposizione delle parti», e ad essa ricondotti201. Il mondo si divide in corpi macroscopici (corpora magna), questi in parti, le parti in masse più piccole, le masse più esigue in corpuscoli, e infine questi corpuscoli si dividono in atomi202. Sulla costituzione della materia, Saint-Romain preferisce l’atomismo di Gassendi agli elementi – che sono sempre corpi composti – ipotizzati dagli aristotelici, dai paracelsiani e dai cartesiani. Nello «status libertatis, ante compositione corporum», gli atomi sono dotati di un moto continuo, mentre nello «status servitutis et obligationis» persiste soltanto un moto fatto di piccole «vibrazioni» e «palpitazioni» all’interno dei vacui disseminati, che consente tuttavia agli atomi di sfuggire dai corpi porosi, liberandosi nell’aria circostante. Atomi di diversa figura si muovono di moti diversi a seconda degli atomi da cui vengono colpiti e spinti, e della diversa «ratio vacuorum in corporibus dispersorum» 203. Vi sono, inoltre, atomi «plebei», destinati alla prigionia e al servizio, come quelli che compongono i corpi freddi e pesanti, e atomi «nobili» destinati alla libertà e al comando sui primi. Di quest’ultimo genere sono gli atomi velocissimi che compongono i cieli, gli astri, il fuoco, la luce e gli spiriti vitali, i quali percorrono liberamente, grazie alla loro figura, tutte le parti del corpo animato, conferendogli moto e sensibilità204. 199 F. Lana Terzi, Magisterium cit., vol. III, lib. XXIV, cap. V. Cfr. supra, cap. II, § 1. G. B. de Saint-Romain, op. cit., pars I, cap. VI. 201 Ivi, cap. XVII, p. 105. 202 Ivi, cap. XVIII, p. 110. 203 Ivi, cap. XX. 204 Ivi, pars IV, cap. I, p. 275. 200 146 La dottrina ficiniana e rinascimentale dello spiritus si unisce, nell’opera di SaintRomain, all’atomismo gassendiano: gli stessi atomi «celesti, ignei e luminosi» che compongono i cieli costituiscono anche gli spiriti presenti nel corpo animale e umano, nei vegetali e persino nei minerali, seppure in forma «più astrusa». Alla morte dei bruti, delle piante e dei metalli, lo spiritus vitae ritorna alla sua origine, unendosi ai corpuscula luminis presenti nell’aria, giacché «spiritus aerem petunt, corpus terram»205. L’attrazione e la polarità magnetica si spiegano con la «peculiare convenienza» che i corpuscoli emessi dal magnete hanno con i pori del ferro, per la quale «turmatim in eius poros irruunt»; quelli che non riescono a entrare, vengono respinti con forza dalle particelle del ferro, sulle quali premono, con un «moto riflesso». Polus septentrionalis ferrum attrahit; meridionalis idem repellit, quia spiritus septentrionales ferri poros ingrediuntur; meridionales vero cum intrare non possint, in ferrum impingunt, et particulas elasticas nimis repellunt206. La convenienza non esiste solo tra gli «atomi» degli effluvi e i pori, ma anche tra gli spiriti emessi da certe sostanze – come al solito, le più varie: amuleti, oro, argento vivo, vischio di quercia, rospi o ragni essiccati, il lapis nephriticus o i denti dei morti – e gli spiriti animali, che possono essere «rafforzati» dall’unione con gli spiriti esterni, riuscendo così ad opporsi efficacemente ai veleni sia interni, sia esterni. I rimedi contro la peste, inoltre, hanno pori atti ad accogliere i «corpuscoli pestiferi», che così penetrano in tali sostanze, senza raggiungere l’organismo umano, o entrandovi in quantità modesta, in modo tale da non nuocergli. Saint-Romain racconta di aver fatto esperienza di un preparato di argento vivo, bianco e splendente, che, indossato da un uomo che era stato a contatto con gli appestati, dopo un certo tempo era diventato nero, e quindi inutile, «quoniam nulla restabant spatiola vacua, pro veneno aereo retinendo»207. Tali sostanze servono anche a trattenere, assorbendoli, i vapori interni che salgono al capo, provocando diverse malattie; per questo i Principi le portano sempre sulle loro «sacre persone». Saint-Romain ammette che gli effetti degli ipotetici effluvi non si producono sempre e infallibilmente, «nec facile omnia quae de iis dicuntur credo»: ma certo, anche gli influssi astrali, ammesso che esistano, devono essere spiegati con la figura, la grandezza e il movimento degli atomi208. Nessuno dubita che il ferro rappresenti il pianeta Marte, il rame Venere, l’oro il Sole, l’argento la Luna, il piombo Saturno, e lo stagno, infine, Giove, ove le qualità di quei metalli siano confrontate con quei pianeti. Così il cielo agisce incessantemente sulla terra, e la terra rimanda verso il cielo i suoi corpuscoli sotto forma di vapore; allo stesso modo, il cielo li restituisce alla terra sotto forma di pioggia o di rugiada. […] Perciò ogni pianeta influisce eminentemente su quel metallo che condivide la sua natura, per mezzo di corpuscoli o di atomi invisibili, che emanano dal corpo del pianeta209. 205 Ivi, pars IV, cap. XXII, p. 362. La stessa dottrina è esposta da T. Campanella, De sensu rerum cit., lib. IV, cap. 8: Campanella è convinto che la morte sopraggiunga quando lo spirito fuoriesce dalla testa, mutandosi in aria. 206 Ivi, pars I, cap. VII, p. 34. 207 Ivi, cap. X, p. 53. 208 Ivi, cap. IX, p. 42.. 209 Ivi, cap. XI, pp. 60-61: «Nemo dubitat quin ferrum Martem Planetam, cuprum Venerem; Solem aurum, argentum Lunam, Saturnum plumbum, et stannum denique Iovem repraesentent, si horum metal- 147 Questa energica asserzione della corrispondenza macro-microcosmo – per la quale si attribuiscono al Sole e ai pianeti poteri generativi dei metalli, e curativi nei confronti delle corrispondenti parti del corpo umano – si trova all’interno di un’opera di impianto aristotelico, con forti simpatie gassendiane, insieme a una concezione dell’aria come miscela di effluvi terrestri, sotterranei e siderei, che si era diffusa a partire da William Gilbert, e soprattutto dopo Boyle. Gli effluvi – sotto forma di spiriti, venti o vapori – sono il nuovo legame tra il micro e il macrocosmo, il veicolo delle simpatie e delle antipatie cosmiche, reinterpretate in chiave corpuscolaristica: essi possono costituire un pericolo sia per il macrocosmo, dove i venti scuotono e agitano l’aria, la terra e il mare210, sia per il corpo umano, attraversato da perniciosi «venti» di spiriti atomici «effrenati, et emancipati», che aggrediscono gli organi vitali. I fenomeni naturali che vengono attribuiti all’antipatia sono riconducibili o a casi di avvelenamento – come lo sguardo mortale del basilisco, un animale che nasce in fondo ai pozzi putridi e limacciosi, ed emette dagli occhi spiriti aculeati, «quae cor perfodere possunt» – o all’«irregolarità» delle figure dei corpuscoli che compongono gli effluvi, che perciò si respingono, come accade tra il cavolo e la vite. Se queste piante crescono l’una accanto all’altra, tendono ad allontanarsi, piegandosi di lato, mentre il succo di cavolo, bevuto dopo una sbronza, annulla gli effetti del vino «quia corpuscula succi caulium puncta et acumina corpusculorum vini hebetant»211. L’analisi delle malattie da avvelenamento – che, per Saint-Romain, rappresentano la totalità delle malattie stesse – viene condotta «al di fuori dei pregiudizi delle Scuole»: la peste, ad esempio, non deriva da una «qualitas pestifera», né da un’«antipathia aëris» o da un «aër corruptus» – tutte pseudospiegazioni generiche, che offrono solo un «asilo all’ignoranza». La sua causa è invece da ricercare nella presenza, nell’aria, di atomi «sciolti ed emancipati», che hanno forme «acute, uncinate, acuminate», capaci di «trafiggere» e di «dividere» le «parti vitali», interrompendo il corso degli spiriti animali. Con la stessa causa si spiegano tutte le malattie che consistono nella dissoluzione del corpo, per il movimento continuo di quegli atomi «effrenati, et emancipati», che ne staccano e ne fanno muovere altri «iteratis concussionibus»: così gli umori corporei si corrompono, trasformandosi in veleni212. Il morso del cane rabbioso trasmette la rabbia perché gli «atomi venefici sciolti, emancipati e quasi rabbiosi» presenti nella saliva dell’animale si diffondono nel corpo umano, in cerca di una sostanza molle, più facile da distruggere, e la trovano, insinuandosi nei piccoli spazi vuoti della sostanza fluida cerebrale, capace di accogliere facilmente l’impressione degli atomi che «in eius plicis circumvolvuntur»213. Gli atomi rabbiosi, però, non si incastrano totalmente tra i corpuscoli cerebrali, ma rimangono parzialmente liberi, come un carcerato incatenato soltanto a un braccio, o un uccello con i piedi incollati, ma con le ali libere, che cercano in tutti i modi di liberarsi: proprio in questa «furiosa agitatio» degli spiriti consiste la rabbia. Gli antidoti possono agire in un duplice modo: o espel- lorum qualitates cum Planetis comparentur. Sic licet caelum indesinenter in terram influat, et terra corpuscula sua ad caelum, sub forma vaporis remittat, quemadmodum caelum ea sub pluvia aut roris forma terrae reddit. […] Sic quaelibet Planeta specialiter influit in metallum, eiusdem cum eo naturae, medio corpusculorum aut atomorum invisibilium, ex corpore planetae emanantium». 210 Ivi, cap. XX. 211 Ivi, cap. X, p. 47, pp. 50-51. 212 Ivi, cap. XII, pp. 67-71. 213 Ivi, cap. XII, pp. 74-75. 148 lendo dal corpo gli atomi emanicipati, acuminati e penetranti, oppure arrestandone il moto214. Tutte le malattie sono da ricondurre a «venti, vapores, flatus» che consistono in «exigua corpora soluta» e producono alterazioni di diverso genere nelle parti del corpo – soprattutto nel fegato, nella milza, nella regione ipocondrica e nel cervello – intaccandole, irritandole e pungendole con i loro piccoli uncini ed ami215. Saint-Romain crede nella possibilità di una «medicina universale», capace di prolungare la vita, riparando i danni prodotti dall’età, e forse persino di risuscitare i morti e di trasformare i metalli in oro; essa «si può ottenere solo da un’acqua distillata di raggi del Sole e della Luna», che andrebbe a riempire i vuoti prodotti dalla dissipazione progressiva degli spiriti vitali216. La dottrina della conservazione all’interno del corpo dello spiritus vitae, la teorizzazione dell’aurum potabile e della catena aurea tra il cielo e la terra fanno di Saint-Romain e della sua opera un anello della catena che unisce la dottrina ficiniana dello spiritus mundi, e la baconiana Historia vitae et mortis, alla Siris di George Berkeley. 4. Gli esiti «curiosi» e i critici del meccanicismo Galileo Galilei è certamente uno dei filosofi del XVII secolo meno compromessi con la tradizione della magia naturale, e meno interessati alla storia naturale. Nella Prima Giornata del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1633), Sagredo, rivolto a Simplicio, pronuncia la seguente battuta: Voi mi fate sovvenire di uno che mi voleva vendere un segreto di poter parlare, per via di certa simpatia di aghi calamitati, a uno che fusse stato lontano due o tre mila miglia; e dicendogli io che volentieri l’avrei comprato, ma che volevo vederne l’esperienza, e che mi bastava farla stando io in una delle mie camere ed egli in un’altra, mi rispose che in sì piccola distanza non si poteva veder bene l’operazione: onde io lo licenziai, con dire che non mi sentivo per allora di andare nel Cairo o in Moscovia per veder tale esperienza; ma se pure voleva andare esso, che io arei fatto l’altra parte, restando in Venezia217. Questa stessa «esperienza», che faceva sorridere olimpicamente l’astronomo toscano ed era stata giudicata «favolosa» da Niccolò Cabeo218, veniva riportata da Joseph Glanvill per fornire evidenza al suo principio antidogmatico secondo il quale: «the best Principles, excepting Divine, and Mathematical, are but Hypotheses»219. Lo scetticismo, che è la posizione teorica difesa da Glanvill nella Vanity of Dogmatizing (1661), da un lato non gli permette di operare una scelta tra l’ipotesi dell’anima mundi, rimessa in auge dai platonici di Cambridge come il suo amico Henry More, e l’opposta spiegazione meccanicistica dell’azione a distanza, basata sulla propagazione dei movimenti di effluvia o atomical aporrheas attraverso una «materia fluida» eterea; ma dall’altro lato, non gli impedisce di 214 Ivi, cap. XIV. Ivi, cap. XV, p. 96. 216 Ivi, pars IV, capp. IX e XXII, pp. 311 e 362. 217 G. Galilei, Dialogo cit., p. 101. 218 N. Cabeo, op. cit., lib. IV, cap. X. 219 J. Glanvill, The Vanity of Dogmatizing. The Three «Versions» (with a critical introduction by S. Medcalf), Hove, Sussex, The Harvester Press, 1970, p. 195. 215 149 credere entusiasticamente – proprio lui che era un critico dell’entusiasmo religioso – nell’azione a distanza, variamente esemplificata dai fenomeni telepatici, magnetici, e dai poteri dell’immaginazione. Glanvill è convinto della possibilità di comunicare a distanza tramite una coppia di aghi magnetizzati dalla stessa pietra e posti in due analoghi quadranti, circondati dalle lettere dell’alfabeto: ne scaturirebbe una «sympathetick conference», ottenibile, peraltro, anche solo in virtù di «sympathized hands», dopo aver stabilito i punti corrispondenti alle lettere dell’alfabeto. Può accadere così che un uomo chieda a un esterrefatto chirurgo di amputargli un braccio perfettamente sano, dopo aver saputo della morte del suo amico e «corrispondente magnetico», la cui mano era stata «simpatizzata» insieme alla sua. Tra gli esempi di «magnetick efficiency» riportati da Glanvill, c’è la cura magnetica delle ferite, stabilita da Digby al di là di ogni dubbio. Mi basta che de facto si dia una simile relazione tra l’unguento magnetico e il corpo ferito, e non ho bisogno di andare a cercarne la causa220. La posizione di Glanvill – e la sua credulità – assomigliano a quelle degli autori cinquecenteschi dei «libri di segreti», ma il suo scopo è la dimostrazione del principio scettico, secondo il quale «ciò che sembra impossibile a noi, può darsi che non lo sia in Natura». In questo, il suo maestro è Francis Bacon: «and, as my Lord Bacon notes, we judge from the Analogy of our selves, not the Universe»221. L’indecidibilità dell’ipotesi meccanicistica – avanzata dal «Grand Secretary of Nature, the miraculous Des-Cartes» – dipende dall’umana impossibilità di attingere la causa originaria del moto, «the first springs of natural motions»: siamo obbligati, quindi, ad essere empiristi, dato che «we know nothing but effects, and those but by our senses». Ma non dobbiamo commettere l’errore di postulare che le cause invisibili dei fenomeni assomiglino ad essi: come lo sperma non assomiglia all’animale, né il letame alle creature che genera, così le cause ignote delle apparenti azioni a distanza possono essere sia gli effluvi atomici, sia l’anima mundi222. La natura corpuscolare degli effluvi appare invece incompatibile con il loro presunto potere di agire a grandi distanze al medico scozzese Sylvester Rattray. Questo autore, piuttosto oscuro e poco citato anche nel suo secolo, per spiegare i prodigiosi effetti della simpatia e dell’antipatia propone una delle teorie più eclettiche nelle quali mi sia capitato di imbattermi: con un’inedita sintesi aristotelica e platonica, helmontiana, gilbertiana e fracastoriana, egli attribuisce infatti tali fenomeni a una «forma universale» che dà vita a tutto ciò che esiste. Essa finisce per coincidere, quindi, con l’anima mundi dei platonici, ma assomiglia anche a quella forma, o energia primaria con la quale William Gilbert spiegava il magnetismo. Rattray usa, inoltre, i termini helmontiani fermenta e mumiae; si tratta di virtutes che agiscono attraverso raggi, spirituali come le species di Fracastoro, estendendosi in un determinato spazio sferico223. 220 Ivi, p. 208: «It is enough for me that de facto there is such an entercourse between the Magnetick unguent and the vulnerated body, and I need not be solicitous of the Cause». 221 Ivi, pp. 208-209 e 193-94. 222 Ivi, pp. 210-11. 223 S. Rattray, Aditus novus cit.: cfr. soprattutto le pp. 55 e 65. 150 A differenza di Rattray, Joseph Glanvill non era affatto un «minore», né un mago attardato, come Tommaso Campanella o Robert Fludd; era un membro piuttosto stravagante della Royal Society, che fece oggetto di un lungo e appassionato elogio nell’epistola dedicatoria della Scepsis scientifica (1665), una revisione della sua precedente opera, emendata dai barocchismi della prosa e dai toni entusiastici e ispirati. Tra i suoi corrispondenti, c’era Robert Boyle; la sua opera fu una delle fonti dell’Essay concerning Human Understanding di John Locke (1690) e probabilmente anche del Treatise of Human Nature di David Hume (1739-40)224. Nelle tre versioni della sua opera – oltre a quelle del 1661 e del 1665, il saggio Against Confidence in Philosophy, and Matters of Speculation, contenuto negli Essays on Several Important Subjects in Philosophy and Religion, pubblicati nel 1676 – Glanvill controlla sempre di più i suoi slanci verso i fenomeni «curiosi», ne elimina alcuni (come l’amputazione della mano «simpatizzata», dopo la morte del proprietario della sua gemella225), procede con maggiore cautela, sostituendo la dichiarata possibilità dei fenomeni curiosi alla loro accettazione indiscussa, abbandona progressivamente metafore e neologismi, fino ad raggiungere, nell’ultima versione, «lo stile classico dell’empirismo razionale inglese»226. La conciliazione delle contraddizioni non era certo merce rara nel secolo della rivoluzione scientifica: basta pensare a quell’«inestricabile groviglio di razionalità e teosofia, misticismo cabalistico e filosofia naturale» che caratterizzò l’opera di Henry More (161487)227: «egli mescola con indifferenza i suoi ingredienti, sostiene tesi fantasiose seppure ancora lecite nel suo secolo, come quella secondo cui gli spiriti, sia buoni che malvagi, siano dotati di sensibilità e di un involucro corporeo, e discetta a lungo sul tipo di “veicolo” da assegnare agli angeli e ai demoni»; descrive dettagliatamente le sue visioni, tra le quali hanno un ruolo importante le apparizioni delle anime dei trapassati, ed è convinto che, in tali circostanze, il suo corpo profumi intensamente di violetta228. Le apparizioni degli spiriti, o anime separate dai corpi (benché provviste di un veicolo aereo), sembrano a More una prova importante dell’esistenza e dell’immortalità delle sostanze incorporee: tra gli esempi di tali apparizioni, egli cita quelle presenti nei cimiteri, o sui campi di battaglia, e rifiuta di considerarle mero «fumus aut vapor cadaverum», che assumerebbe la stessa forma del morto, secondo quanto affermano alcuni teorici degli effluvi suoi contemporanei. Tra le storie antiche e recenti che riporta nella Immortality of the Soul (1659), c’è quella di Marsilio Ficino, «egregius ille Platonicus», che sarebbe apparso più volte dopo la sua morte, per confemare la propria dottrina dell’anima229. More non esita ad accettare opinioni tanto antiche quanto improbabili, come quella – sostenuta, tra gli altri, da Plinio, Virgilio e sant’Agostino – che il vento possa ingravidare le cavalle230. 224 J. Glanvill, The Vanity cit., «Introduction», pp. XIII-XLVI. Sulla figura e sull’opera di J. Glanvill, cfr. A. Pacchi, op. cit., pp. 92-102. 225 J. Glanvill, Scepsis scientifica, cap. XXIV, § 2, ivi, pp. 149-51. 226 Ivi, «Introduction», p. XIII. 227 A. Pacchi, op. cit., p. 46. 228 Ibid. e p. 124. 229 H. More, Immortalitas animae, lib. I, cap. XIII; lib. II, capp. XIV-XVI, London, Typis R. Norton, impensis J. Martyn & Gualt. Kettilby, 1679, in Opera omnia, Hildesheim. G. Olms, 1966 (Reprographischer Nachdruck der Ausgabe London 1679), vol. II, tomo 2, pp. 381-82. 230 H. More, Magni mysterii pietatis explanatio (1674), lib. III, cap. XVIII, § 5, in Opera theologica, Londini, typis J. Macock, impensis J. Martyn et G. Kettilby, 1675, p. 120. In questo luogo, More parla 151 In opere come l’Antidotus adversus atheismum (1652), Immortality of the Soul (1659) o Enchiridion Metaphysicum (1671), viene reintrodotto il concetto ermetico e rinascimentale di spirito come intermediario cosmico: tra Dio e i corpi in movimento, finché More accetta una versione del meccanicismo cartesiano limitata ai fenomeni macroscopici del mondo naturale inorganico; come causa seconda universale o «spirito plastico» immateriale, dopo che il vitalismo ha espunto definitivamente il meccanicismo di ascendenza cartesiana. Lo «spiritus mundanus» è una materia sottile sparsa ovunque nell’universo, capace di spiegare, tra l’altro, le infinite possibilità di trasformazione delle anime, una volta uscite dai corpi; è il fondamento della «magica sympathia»231. Lo «spirito della natura» viene definito: una sostanza incorporea, ma sprovvista di sensibilità e di coscienza, che penetra tutta la materia dell’universo, esercitandovi un potere plastico, conformemente alle varie predisposizioni e circostanze delle parti su cui agisce, e dirigendo le parti della materia e il loro movimento, così da produrre nel mondo quei fenomeni che non possono essere ridotti a una forza meramente meccanica232. Il dominio di quei fenomeni va progressivamente ampliandosi nell’opera di More, dai fenomeni organici complessi come «le ali delle farfalle o le code dei pavoni» fino alla gravità; il concetto di spirito naturale viene utilizzato, in assenza di modelli, come il «deus ex machina che viene a risolvere tutti i problemi lasciati in sospeso da Descartes e dai suoi seguaci. […] Proprio perché risolve ogni situazione, esso finisce per non risolverne nessuna, se non a livello puramente verbale»233. L’attacco a Descartes – convinto che tutti i fenomeni si lascino ridurre a cause puramente meccaniche – è esplicito e radicale nell’Enchiridion Metaphysicum: in quest’opera More, richiamandosi a Plotino, introduce un principio vitale, chiamato ilarchico, che coincide con lo «spirito mondano» o anima mundi, il cui ambito di applicazione non è limitato alla fisica, ma si estende anche alla fisiologia e persino alla psicologia della visione. Esso, ad esempio, «trasmette ai nostri sensi la vera grandezza dell’oggetto, in rapporto alle variazioni della distanza»234. Ma la centralità del concetto di spirito nella filosofia naturale di More, e la sua definizione – «modellata, con ogni evidenza, su quella di un fantasma», eppure pertinente alle descrizioni della luce, della forza magnetica e dell’attrazione gravitazionale – non può essere un motivo sufficiente per ritenere che questo autore appartenga «molto di più alla storia della tradizione ermetica, o a quella dell’occultismo, piuttosto che a quella della filosofia propriamente detta», né tantomeno che «egli non sia del suo tempo»235. Lo spirito di More, non diversamente dalle species di Roger Bacon e, poco più tardi, dall’etere di Newton, viene proposto come una causa universale, capace di unificare fenomeni diversi anche dei demoni incubi, dotati di un corpo aereo in figura d’uomo, che consente loro di accoppiarsi. Questa ipotesi è giudicata una favola da C. Schott, (Physica curiosa cit., lib. VII, cap. VII), il quale però auspica una «più lunga indagine», che dovrebbe essere compiuta a tale riguardo dai medici. 231 H. More, Immortalitas cit., lib. II, cap. XV, § 8. 232 Il passo è riportato da A. Koyré, op. cit., p. 105. Per le due fasi del pensiero di Henry More – quella limitatamente meccanicistica e quella apertamente anticartesiana – si veda A. Pacchi, op. cit., capp. I e IV. 233 Ivi, pp. 24, 174-75. Sulla filosofia di More, cfr. anche S. Hutton, Anne Conway cit., cap. 4. 234 H. More, Enchiridion Metaphysicum, cap. XIX, in Opera omnia, Londini, typis J. Macock, sumpt. J. Martyn et G. Kettilby, 1679 (Hildesheim, G. Olms, 1966), vol. II, tomo I, p. 266: «veram objecti magnitudinem pro ratione distantiae tantummodo variatam ad sensum nostrum transmittit». 235 A. Koyré, op. cit., pp. 103, 99. 152 come la gravità, la luce, l’elettricità e la sensazione, ovvero «tutti quei fenomeni che non possono essere ridotti a una forza meramente meccanica». Non è mia intenzione affrontare, in questo luogo, la complessa e assai dibattuta questione della natura e del significato dell’etere nella fisica newtoniana. Ma può essere utile proporre un passo, tratto dallo Scholium generale aggiunto alla seconda edizione dei Principia (1713), nel quale l’etere viene definito come un certo spirito sottilissimo, che pervade e si nasconde in tutti i corpi; per la forza e l’azione di questo spirito le particelle più piccole dei corpi si attraggono reciprocamente a brevi distanze, e, ove siano contigue, si produce la coesione; i corpi elettrici agiscono a distanze maggiori, sia respingendo, sia attraendo i corpuscoli vicini; la luce viene emessa, riflessa, rifratta, inflessa, e riscalda i corpi; ogni sensazione viene suscitata per suo mezzo, le membra dei corpi animali si muovono agli ordini della volontà, vale a dire, grazie alle vibrazioni di questo spirito, che si propagano attraverso i filamenti solidi dei nervi, dal cervello fino ai muscoli236. La teoria dell’etere aveva, come è noto, una lunga storia: Newton l’aveva già avanzata in una lettera del 1675 a Henry Oldenburg: Si deve supporre che esista un mezzo etereo di costituzione molto simile a quella dell’aria, ma ben più raro, ben più sottile, e molto più elastico. […] Invero gli effluvi elettrici e magnetici, e il principio di gravità, sembrano richiedere una simile varietà. Forse l’intera struttura della natura è riducibile a diverse tessiture (textures) di spiriti eterei, o vapori, condensati come per precipitazione237. Nella query 28 dell’Opticks, il mezzo etereo – come l’aria per Boyle – è considerato composto da «very thin vapours, steams, or effluvia, arising from the atmospheres of the Earth, planets, and comets»238. Newton era particolarmente in imbarazzo sia riguardo al modo di agire dell’attrazione gravitazionale, sia riguardo alla natura materiale o immateriale del mezzo etereo. Nello scolio alla proposizione LXIX del primo libro dei Principia239 scrive: Uso qui la parola attrazione in generale per indicare un qualsiasi tentativo fatto dai corpi per avvicinarsi l’uno all’altro, sia che questo tentativo sorga dall’azione dei corpi stessi, in quanto tendenti l’uno verso l’altro o agitantisi l’un l’altro grazie a spiriti emessi; sia che esso sorga dall’azione dell’etere o dell’aria, o di un qualsiasi altro mezzo, corporeo o incorporeo, che in qualsiasi maniera spinga gli uni verso gli altri i corpi che in esso sono situati.240 236 «A certain most subtle spirit which pervades and lies hid in all gross bodies; by the force and action of which spirit the particles of bodies attract one another at near distances, and cohere, if contiguous; and electric bodies operate to greater distances, as well repelling as attracting the neighboring corpuscles; and light is emitted, reflected, refracted, inflected, and heats bodies; and all sensation is excited, and the members of animal bodies move at the command of the will, namely, by the vibrations of this spirit, mutually propagated along the solid filaments of the nerves, from the outward organs of sense to the brain, and from the brain into the muscles». Questo passo newtoniano è riportato in I. Newton, Papers & Letters on Natural Philosophy (ed. by I. B. Cohen), Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 1958, p. 5. Sul legame tra i concetti di etere e di spirito in Newton, cfr. P. M. Rattansi, Newton’s Alchemical Studies cit. 237 M. Jammer, Storia del concetto di forza cit., p. 147. 238 I. Newton, Optics cit., query 28, p. 528; cfr. T. Airaksinen, «Berkeley and Newton on Gravity in Siris», in S. Parigi (ed.), George Berkeley. Religion and Science in the Age of Enlightenment, Dordrecht, Kluwer, 2010, pp. 87-106. 239 Nella seconda edizione del 1713; ma si veda anche la corrispondenza con Richard Bentley del 1692-93, in I. Newton, Papers & Letters cit., pp. 279-312. 240 M. Jammer, Storia del concetto di forza cit., p. 150. Il corsivo è nostro. 153 Affermazioni come queste sembrano giustificare pienamente il suggerimento di Daniel Walker, secondo il quale le speculazioni rinascimentali sul concetto di spirito potrebbero essere una fonte importante – sebbene alquanto imbarazzante, e quindi abitualmente trascurata – della teoria newtoniana dell’etere e, più in generale, della parte metafisica della sua fisica241. Come si è visto nei paragrafi precedenti, il significato degli effluvi nel Seicento è molto vario: essi vengono di volta in volta concepiti come immateriali o materiali e, in quest’ultimo caso, possono ancora essere o non essere corpuscolari. La teoria degli effluvia – ove questi vengano interpretati in termini di corpuscoli – può inoltre contrapporsi a un meccanicismo che utilizzi, come modello esplicativo della realtà micro e macrocosmica, la trasmissione del movimento242. Emmanuel Maignan (1601-76), uno studioso di ottica appartenente all’ordine dei Minimi, propone un’originale sintesi – che esclude l’azione a distanza – tra la teoria rinascimentale degli spiriti, il corpuscolarismo e la teoria degli effluvi, con diverse oscillazioni a favore dell’una o dell’altra dottrina. Egli si fa paladino di un atomismo qualitativo, basato sul presupposto che i «minima elementares» o «spiritus elementares», «particulae quaedam tenuiores ac defaecatiores» possiedano un’intrinseca «facoltà essenziale» o «virtù naturale» attiva e agente, non riconducibile alle figure, né alle dimensioni e alle altre proprietà meccaniche dei corpi. Gli spiriti dotati di movimento – animali, vitali, odorosi e simili – sono intrinseci ai corpi elementari e misti, e possono venire estratti dall’«arte chimica» 243. Con l’«appetito innato» degli spiriti elementari, che entrano ed escono dai corpi misti in virtù della loro sottigliezza, e della porosità dei corpi («ob eximiam tenuitatem [spiritus] viam inveniunt per obvios cuiusvis corporis poros liberam»), si spiegano l’amore e l’odio, la simpatia e l’antipatia. La forza automotrice innata degli spiriti è la causa di quel «naturalis cognationis vinculum, seu radicem quandam inclinationis mutuae in ipsorum natura fundatae»244. Questa cognatio naturalis o principio innato di movimento dei corpi elementari si manifesta eminentemente nei fenomeni magnetici, elettrici e gravitazionali. Ogni movimento è provocato dal contatto dei corpi: dal magnete, ad esempio, escono radii magnetici di spiriti, che entrano nei «meati» o «pori» del ferro. Ogni corpo ha il proprio «temperamento», che dipende dalla quantità e dalla libertà dei suoi spiriti: il magnete è fatto di «parti eterogenee», che indicano «effluvi opposti» di spiriti «australi» o «boreali»245. Su questo sfondo teorico, Maignan rivisita il vecchio tema, proprio del neoplatonismo magico, dell’analogia tra macro e microcosmo: l’eterogeneità delle parti del magnete è analoga all’eterogeneità delle parti organiche degli organismi viventi, nei quali sono presenti due generi di «vene» – australi e boreali – dove scorrono gli spiriti magnetici («innato impetu solent semper adversi progredi»). Tra gli esempi vegetali di moti magnetici, ci sono la rotazione del girasole «peculiari inclinationis affectu et nisu», e il ritrarsi delle piante 241 Cfr. supra, Introduzione. Sarebbe questo, ad esempio, il caso del medico Walter Charleton e dell’aristotelico John Sergeant, critico di Descartes e di Locke: si veda A. Pacchi, op. cit., pp. 78-79 e 160. 243 E. Maignan, Cursus philosophicus, Lugduni, ex officina Joannis Gregoire, 1673 (prima ed. 1653), pt. III, cap. XIII, propp. XIV-XV. Su Maignan, in particolare sulla sua teoria degli effluvi luminosi, cfr. F. Giudice, Luce e visione, Firenze, Olschki, 1999, pp. 111 sgg. 244 E. Maignan, op. cit., propp. XVI-XVIII, pp. 341-42. 245 Ivi, cap. XIV, prop. XXXIII, p. 388. 242 154 sensitive, quando vengono toccate dagli «aliti» essudati dalle mani, ove questi siano contrari ai loro «nervuli delicatissimi»246. Ma gli incastri tra gli spiriti elementari e la struttura porosa dei corpi non spiegano tutto: in particolare, Maignan critica la «materia sottile» e le «particelle striate» alle quali era ricorso Descartes per spiegare i fenomeni magnetici. La «materia sottile» – compresa quella dei vortici – è un’ipotesi «fittizia» e poco «verosimile»: «la ragione dei fenomeni magnetici non può essere nessun altro principio naturale, tranne la simpatia»247; la mancata attrazione del magnete verso corpi diversi dal ferro, ad esempio, non dipende dalla maggiore ampiezza dei pori dei corpi non ferrosi, che renderebbe impossibile l’incastro, ma da un «difetto di amicizia». Gli spiriti magnetici sono emessi sfericamente anche dalle viscere della Terra: formano così un’atmosfera percorsa da fremiti di amicizia o di ostilità nei confronti degli spiriti australi o boreali del magnete (terrella), determinandone l’inclinazione e la polarità e, al tempo stesso, spiegano il moto dei gravi verso il basso. Analogamente si spiega il moto elettrico, «effluvio scilicet electrico sollicitante ac determinante festucas, aliaque corpuscula: ipsis vero festucis, per innatum motus principium advolantibus tanquam ad aliquid sibi conveniens»248. Se il succino, o elettro, ha bisogno dello sfregamento per evidenziare i suoi poteri, è perché gli spiriti elettrici sono «più corpulenti» e perciò «più pigri» di quelli magnetici. La frizione non serve solo a riscaldare il corpo elettrico, suscitando così i suoi spiriti, ma anche a liberare i pori della sua sostanza «pingue» e «duttile», soggetti ad ostruirsi facilmente. Maignan si diffonde su molte categorie di fenomeni, paragonabili all’attrazione elettrica e magnetica: il rospo, immobile, attrae la donnola per divorarla, grazie a un alito velenoso emesso dalla sua bocca, e si imbeve di veleni come una spugna, in virtù della sua natura velenosa; perciò in Inghilterra si usa, contro la peste, un unguento di rospo, e con il lapis bufonius si guariscono molte malattie; se poi viene appeso vivo, in un sacco, al collo delle pecore, le preserva dalle pestilenze. Riprendendo una teoria di Fracastoro che era stata respinta da Gilbert, Maignan crede che le navi ferrose vengano fermate dalle rocce magnetiche sotto il polo artico. Tra gli esempi di cognationes, ci sono anche i «moti simpatetici» naturali tra alcuni veleni e determinate parti del corpo umano, come quelli tra l’oppio e il cervello, o tra il veleno della vipera e il cuore249. Come l’etere di Newton, gli spiriti di Maignan, in virtù della loro natura intrinsecamente mobile e in qualche modo animata, devono possedere un certo «rudimentum sensationis», cioè un «istinto» o un «appetito innato» che li rende instrumenta sensationum. Gli stessi spiriti che spiegano la gravità, l’elettricità e il magnetismo sono alla base della vita vegetativa e di quella sensitiva, e si differenziano nei diversi organi di senso, pur scorrendo tutti nei nervi, simili a «tubuli flexiles»250. «Non c’è nessun corpo che non emetta aliti o vapori»251: questo postulato di tanta filosofia naturale seicentesca – derivato dalla teoria medievale della moltiplicazione delle spe- 246 Ivi, pp. 389 e 402. Ivi, prop. XXXIV, p. 398. 248 Ivi, prop. XXXV, p. 400. 249 Ivi, propp. XXXVI-XXXVII. 250 Ivi, cap. XXIV. 251 K. Digby, Two Treatises in the one of which, The Nature of Bodies; in the other, The Nature of Mans Soule; is looked into: in way of discover, of the Immortality of Reasonable Soules, I, cap. XVIII, § 9, Paris, printed by Gilles Blaizot, 1644 (Faksimile. Neudruck der Ausgabe Paris 1644, Stuttgart-Bad Cannstatt, F. 247 155 cies – viene ribadito da sir Kenelm Digby nel primo di due impegnativi trattati, dedicato ai corpi (Of Bodies, 1644). L’opera di Digby è legata a «fumosità occultistiche ed alle persistenti suggestioni dell’aristotelismo», che proprio in essa «trova qualche convergenza con la scienza contemporanea»252. La posizione teorica di Digby – di cui Glanvill si professava entusiastico seguace, associandolo a Descartes – è una curiosa mescolanza di aristotelismo, baconismo e magia naturale. L’universalità della teoria degli effluvia serve a Digby sia a rivendicare la naturalità di alcune operazioni «curiose», sia a riscattarle dalla «calunnia dell’incredulità»253: sono soprattutto i corpi molto umidi o particolarmente caldi ad emettere vapori, come il latte, il sangue, le piaghe e le ulcere. Perciò, gli animali che hanno un temperamento caldo, come le colombe, i gatti e i conigli, possono attrarre facilmente il contagio; se vengono applicati ai piedi, alle braccia o alla testa degli ammalati quando il loro cadavere è ancora tiepido – come insegnava Francis Bacon254 – possono «estrarre dal corpo i vapori nocivi»; le qualità nocive dell’aria si possono eliminare accendendo un fuoco – per l’attrazione esercitata dal calore della fiamma – oppure utilizzando il pane appena sfornato, o le cipolle, e tutte le «strong breathing substances»255. Per la stessa ragione, i cani sentono l’odore e il «vapore» emessi dalla lepre e dalla volpe molto tempo dopo che quegli animali sono passati da un determinato luogo, e a grandi distanze; così si spiega anche l’efficacia degli amuleti contenenti arsenico, rospi secchi e ragni, appesi al collo dei malati, mentre le vipere e gli scorpioni, nonché altri animali velenosi, come il rospo, attraggono facilmente i vapori velenosi indotti dal morso di vipere o scorpioni. In questo genere di fenomeni, non vi è alcun concorso demonico: si tratta di «operazioni sia nocive, sia proficue, volgarmente chiamate magnetiche, forse impropriamente, dato che non possiedono quella proprietà, dalla quale il magnete trae il suo nome»256; le più famose e indubitabili sono le esperienze di transplantatio, e quelle con l’unguento armario e la polvere di simpatia – fenomeni, questi, che saranno accettati più tardi soprattutto sulla base dell’autorità di Digby257. Persino la crescita delle piante viene attribuita all’attrazione magnetica di atomi terrestri, ignei e acquosi: i «canali figurati» interni al legno del tronco e dei rami, come i condotti scanalati cartesiani, rendono possibile il passaggio esclusivo degli atomi dotati di una forma congruente258. Ciò che diversifica le «operazioni magnetiche» dai fenomeni dell’elettricità e del magnetismo propriamente detto è l’azione a distanza, che non riguarda le attrazioni elettrica e magnetica. I corpi elettrici, infatti, hanno «temperamenti pingui e oleosi», fatti di «parti sottili e ignee»: se vengono strofinati, queste particelle si dissolvono, trasformandosi in «aliti» invisibili, come quelli emessi da una candela che sta per spegnersi, o da uomini Frommann, 1970): «every body whatsoever, doth yield some steame, or vent a kind of vapour from it selfe» (p. 165). Cfr. anche la traduzione latina Tractatus duo philosophici, in quorum priori natura et operationes corporum, in posteriori vero, natura animae rationalis, ad evincendam illius immortalitatem, explicantur, Parisiis, apud F. Leonard, 1655. 252 A. Pacchi, op. cit., pp. 76 e 156. 253 K. Digby, Of Bodies cit., cap. XVIII, § 9. 254 Cfr. supra, cap. II, § 2. 255 K. Digby, Of Bodies cit., cap. XVIII, §§ 7-8, p. 163. 256 Ivi, p. 164. 257 Cfr. infra, parte II, cap. I, § 5. 258 K. Digby, Dissertatio de plantarum vegetatione, Amstelodami, apud Jodocum Pluymert, 1669 (prima ed. inglese 1661). 156 e cavalli sudati. Questi vapori si condensano per il freddo dell’aria circostante, e si contraggono, tornando alla loro fonte, come le corna delle lumache quando vengono toccate. Se gli «stringes of bituminous vapour» che «sporgono» come «raggi» dai corpi elettrici si imbattono in sostanze leggere e porose, come le pagliuzze o le foglie secche, le penetrano, riportandole poi indietro con loro verso le sorgenti che li hanno emessi259. Nella sua trattazione dell’elettricità e del magnetismo, la fonte principale di Digby è Gilbert – considerato, con William Harvey, un portabandiera della «solid philosophy» inglese –, ma egli dialoga anche con il gesuita Niccolò Cabeo e con Galilei. Come Gilbert, Digby è convinto che vi siano condizioni atmosferiche ideali perché l’attrazione elettrica agisca: l’aria secca e serena, spazzata dalla tramontana, garantisce la migliore trasmissione dei «fili tenui e viscosi», ad esempio da parte dell’ambra gialla. Egli respinge, invece, la teoria di Cabeo, che spiegava l’attrazione elettrica con il «vento» prodotto dalla «violenta irruzione», nell’aria, delle «emanazioni sottili» dei corpi elettrici. Anche ammesso che un simile vento esistesse (ma non è questo il caso), esso, lungi dallo spingere le pagliuzze verso l’ambra, le disperderebbe lontano260. Come Gilbert, Digby stabilisce un’analogia tra la terra e la terrella: sia l’una, sia l’altra hanno un polo boreale e un polo australe, e sono circondate da una «sfera di attività» degli effluvi. Le emanazioni contrarie dei poli magnetici sono «congruenti» agli effluvi atomici provenienti dai poli terrestri; il ferro ha un «temperamento idoneo» ad accogliere le emanazioni magnetiche, purché si trovi all’interno della sfera di attività del magnete stesso. Con gli effluvi provenienti dai poli terrestri, che penetrano nelle viscere della terra, si spiega anche la generazione della pietra magnetica. Non diversamente da Gilbert e Gassendi, Digby considera il moto gravitazionale un caso di moto magnetico, prodotto dagli effluvi terrestri261. Le simpatie e le antipatie, «arcani istinti», sono semplici sterili suoni privi di significato: i loro effetti si spiegano piuttosto con il «temperamento contrario», innato e trasmissibile alla prole, di alcuni animali come il lupo e l’agnello, il leone e il gallo, con la lotta di «qualità vere, corporee», oppure – per la simpatia – con la «convenienza» tra i corpuscoli emessi da un corpo e il temperamento dell’altro. Le avversioni per certi cibi generano antipatia anche tra gli uomini: Digby racconta il caso di un uomo, in Spagna, che arrivò a odiare la moglie perché non condivideva la sua antipatia per l’aglio262. La congruenza e la contrarietà dei temperamenti e degli effluvi rimanda, in Digby, più al modello aristotelico delle «qualità contrarie» che agli incastri di particelle. A differenza di Maignan, More e Glanvill, Ralph Cudworth accetta la verità dell’ipotesi corpuscolaristica in modo assai più deciso, rispetto a Digby; con un notevole sforzo di erudizione, ne rivendica l’antichità, e la ritiene conciliabile con la teologia263. Il corpuscolarismo cartesiano, a suo giudizio, è esente dalle implicazioni ateistiche di quello democriteo e hobbesiano, e può essere conciliato con la teoria platonica della «natura plastica». Questa, come 259 K. Digby, Of Bodies cit., cap. XIX, § 8, p. 172. Ivi, § 9. 261 Ivi, capp. XX e XXI, § 14. 262 Ivi, cap. XXXVIII, §§ 4 e 5. Sulla teoria della materia di Digby, cfr. A. Clericuzio, Elements, Principles and Corpuscles cit., pp. 81 sgg. 263 R. Cudworth, The True Intellectual System of the Universe (1678), lib. I, cap. I, §§ 16 e 27, in Collected Works, Hildesheim-New York, G. Olms, 1977-79, vol. I. 260 157 lo spirito di More, agisce da «intermediario tra il mondo e Dio», opera in modo inconscio, è «uno strumento puramente passivo nelle mani di Dio», e permette una spiegazione unitaria dei fenomeni organici e inorganici. Ma, a differenza di quanto pensava More nella fase finale della sua evoluzione filosofica, l’azione della natura plastica nel mondo inorganico coincide con le leggi della fisica cartesiana: è descrivibile, cioè, con le leggi generali e meccaniche del movimento264. Dopo aver cercato di ricostruire le dimostrazioni dell’esistenza di Dio fornite da Parmenide e Zenone, Empedocle e Melisso, Orfeo e Zoroastro, la concezione platonica della Trinità, o il dibattito filosofico e teologico sul corpo degli Angeli, Cudworth attacca tutte quelle dottrine astrologiche e magiche che hanno attribuito alla materia la sensibilità e la ragione265. Alla fine del secolo, More è ancora ampiamente citato da Richard Burthogge nell’Essay upon Reason, and the Nature of Spirits (1694), un’opera – dedicata a Locke – che intende conciliare il metodo «sperimentale o meccanicistico» con quello «scolastico». Mentre discute la teoria delle idee, Burthogge non rinuncia a fornire molte prove dell’esistenza degli spiriti (definiti «animali invisibili») degne di Cardano: racconta storie di angeli e genii, sia buoni sia cattivi, di apparizioni e di streghe; considera il mondo un grande animale, e sostiene che le anime e gli spiriti emanano da Dio, come la luce e i colori266. 5. La denuncia degli errori: Thomas Browne, Nicolas Malebranche e Balthasar Bekker We hope it would not be unconsidered, that we find no open tract, or constant manuduction in this Labyrinth; but are oft-times fain to wander in the America and untravelled parts of Truth267. Nel suo inglese barocco, Thomas Browne afferma che il progresso verso la verità (advancement of Learning) non consiste nel ricordo, come voleva Platone, ma al contrario nell’oblio: la scoperta di «verità incontestabili» presuppone l’abbandono di molte cose apprese, e date per scontate dal volgo come dai dotti. «Come un uomo che cammina da solo e nelle tenebre» si sentiva Descartes, accingendosi alla riforma universale del sapere delineata nel Discours de la méthode (1637)268, pubblicato appena nove anni prima della Pseudodoxia epidemica del medico Thomas Browne (1605-1682). Anche Browne è pienamente consapevole dell’audacia del progetto di esaminare «very many received tenents and commonly presumed truths», come recita il sottotitolo della sua opera, allo scopo di eliminare le opinioni false e infondate, tanto più pericolose, quanto più sono diffuse e basate sull’autorità. Tra le cause degli errori, Browne distingue quelle universali e remote – come la debolezza connaturata allo spirito umano, a partire da Adamo ed Eva, la quale 264 A. Pacchi, op. cit., pp. 183-84. R. Cudworth, op. cit., lib. I, cap. III,§ 32; cap. V. 266 R. Burthogge, An Essay upon Reason, and the Nature of Spirits, London, J. Dunton, 1694, capp. VII-VIII. 267 T. Browne, Pseudodoxia Epidemica, London, printed by J. R. for N. Ekins, 1672, «To the Reader», senza indicazione di pagine. 268 R. Descartes, Discorso sul metodo, in Opere (a cura di G. Cantelli), Milano, Mondadori, 1986, parte II, p. 159. 265 158 avrebbe dovuto dubitare del serpente – dalle cause particolari e immediate: la credulità e la pigrizia, la negligenza che ci fa «credere piuttosto che esaminare, o dubitare senza fondamento, piuttosto che credere a costo dell’esame» («rather believing, than going to see; or doubting with ease and gratìs, than believing with difficulty or purchase»), il «culto superstizioso» dell’antichità269. Ben due capitoli del primo libro sono dedicati all’elenco di quegli autori che hanno contribuito a introdurre opinioni erronee nelle scienze della natura, seguendo passivamente l’autorità o divenendo essi stessi auctoritates passivamente seguite: tra gli antichi, oltre a Erodoto, Apollonio e Dioscoride, spicca Plinio, grande «compilatore» di racconti meravigliosi che per la prima volta viene «processato»: the greatest Collector or Rhapsodist of the Latines. Now what is very strange, there is scarce a popular error passant in our days, which is not either directly expressed, or deductively contained in this Work; which being in the hands of most men, hath proved a powerful occasion of their propagation. Wherein notwithstanding the credulity of the Reader is more condemnable then the curiosity of the Author270. Tra i moderni, Cardano fu un «grande ricercatore della verità, ma troppo avido di acquisirla». Come per ogni altro autore, Browne riconosce e loda le cose buone che Cardano ha fatto, le opere «eccellenti» che ha lasciato nei campi della medicina, dell’astrologia e della storia naturale, ma giudica «sospette» le opere che afferma di aver composto per una rivelazione avuta in sogno, come il De Subtilitate e il De rerum varietate. Queste opere non sono inutili, ma hanno bisogno di essere esaminate e vagliate: il lettore deve essere «prudente», altrimenti corre il rischio di cadere in nuovi errori, oltre ad essere confermato nei vecchi271. Lo stesso atteggiamento circospetto si deve tenere nei confronti di quegli autori «who pretend to write of Secrets, to deliver Antipathies, Sympathies, and the occult abstrusities of things», come Alessio Piemontese, e il «famoso filosofo napoletano» Giovambattista Della Porta, i cui «effetti stupendi e facili» necessitano di essere sperimentalmente verificati per poter essere accolti272. L’intento di Browne non è quello di dissuadere gli studiosi dalla lettura degli «autori famosi», antichi e moderni, ma di abituare il lettore a diffidare di quei «pieces maintaining rather Typography then Verity», ad evitare quegli autori che scrivono per luoghi comuni, impiegano molti anni nella raccolta indifferenziata di tutto ciò che abbia qualche relazione con il loro argomento, per dare infine alla luce «trite and fruitless Rhapsodies». Questa regola, ovviamente, si deve applicare anche alla sua stessa opera: for discoursing of matters dubious, and many controvertible truths; we cannot without arrogancy entreat a credulity, or implore any farther assent, then the probability of our Reasons, and verity of experiments induce273. Ma non si deve mai dimenticare, secondo Browne, che il «primo autore della menzogna» è Satana, i cui «sforzi» per indurci in errore sono una causa importante degli errori 269 T. Browne, Pseudodoxia cit., lib. I, capp. I-VI (cfr. in particolare cap. V, p. 18). Ivi, cap. VIII, § 5. 271 Ivi, § 13. 272 Ivi, § 14. 273 Ivi, p. 35. 270 159 stessi. Nel tentativo di convincere gli uomini che «l’esistenza degli spiriti è una chimera», il Maligno li induce a dubitare delle apparizioni, insinuando in loro il dubbio che si tratti di illusioni dei sensi o del frutto di un’immaginazione turbata («deceptions of sight, or melancholly depravements of phansie»). Satana vuole convincere gli uomini che «tutto è favoloso»: l’immortalità dell’anima e la vita ultraterrena, l’esistenza di un Dio, di angeli e demoni, delle streghe e di lui stesso. Il diavolo ha introdotto errori sia speculativi, sia pratici; ha corrotto la medicina, l’astrologia e la magia naturale, diffondendo la credenza nei filtri, nelle legature, negli incantesimi, negli amuleti, nella guarigione superstiziosa di alcune malattie274. L’esame delle opinioni erronee, o dubbiose, inizia dal regno minerale, all’interno del quale i fenomeni magnetici occupano un posto importante. Le ipotesi formulate da Descartes e da Digby vengono giudicate da Browne entrambe compatibili con le esperienze, e considerate diverse formulazioni della dottrina degli effluvi: sia che essi si diffondano per mezzo di «striated Atoms and winding particles», come vuole Descartes, sia che scorrano come correnti (streams), attratte dai poli terrestri verso l’Equatore, come crede Digby, il nucleo teorico condiviso è l’ipotesi di una virtù attrattiva (power attractive) posseduta dalla Terra, che si diffonde a distanze indeterminate, comunicandosi all’aria, all’acqua e a tutti quei corpi che si trovano sulla superficie o all’interno della terra. Gli effluvi assomigliano, per quantità e varietà, alle species ottiche, che ad ogni istante sono presenti nell’aria, pronte a penetrare in tutti quei corpi che abbiano con esse un’adeguata proporzione. For these effluxions penetrate all bodies, and like the species of visible objects are ever ready in the medium, and lay hold on all bodies proportionate or capable of their action, those bodies likewise being of a congenerous nature, do readily receive the impressions of their motor; and if not fettered by their gravity, conform themselves to situations, wherein they best unite unto their Animator275. Ma la natura, il modo di agire e la portata della dottrina degli effluvi sono tanto importanti per la comprensione del libro della natura quanto oscuri, e sono destinati a rimanere tali ancora per molto tempo. La loro conoscenza sarà l’ultima che gli uomini acquisiranno: And truly the doctrine of effluxions, their penetrating natures, their invisible paths, and insuspected effects, are very considerable; for besides this Magnetical one of the Earth, several effusions there may be from divers other bodies, which invisibly act their parts at any time, and perhaps through any medium; a part of Philosophy but yet in discovery, and will, I fear, prove the last leaf to be turned over in the Book of Nature276. Browne fa frequenti riferimenti alle esperienze sia di Gilbert, sia di Kircher, e cita entrambi con approvazione; al primo, in particolare, si deve la scoperta della virtù polare della calamita, ignota agli antichi, e recente gloria d’Inghilterra, paragonabile alla scoperta del continente americano. 274 Ivi, capp. X-XI. Ivi, lib. II, cap. II, p. 59. Sull’utilizzazione della teoria degli effluvia da parte di Browne, e sul legame che questa teoria ebbe con la dottrina delle species visibili, cfr. G. K. Chalmers, Effluvia cit., pp. 1043 sgg. 276 T. Browne, Pseudodoxia cit., p. 60. 275 160 And therefore although some assume the invention of its direction, and other have had the glory of the Card; yet in the experiments, grounds, and causes thereof, England produced the Father Philosopher, and discovered more in it then Columbus or Americus did ever by it277. I principi certi riguardo ai fenomeni magnetici sono due: la dottrina degli effluvi e quella della coizione, di contro alla teoria dell’attrazione a distanza; il ferro e la calamita «ad invicem accedunt», come afferma Descartes; «ambo pari conatu ad invicem confluunt», per usare le parole di Cabeo: su questo sono tutti d’accordo, da Gilbert a Kircher e a van Helmont278. Sono false, invece, tutte quelle opinioni che attribuiscono poteri magici alla pietra magnetica: non vi sono calamite che attraggano solo di notte, che permettano la divinazione o rivelino l’infedeltà delle mogli, né aghi magnetizzati dal diamante, e l’aglio non fa perdere al magnete il suo potere attrattivo. Con ogni probabilità, sono false le storie che raccontano di «rocce magnetiche» situate nelle Indie o in prossimità dei poli, i cui effluvi determinerebbero l’inclinazione dell’ago magnetico della bussola. Se così fosse, sulle navi che passano vicino all’isola d’Elba, molto ricca di minerale ferroso, dovrebbero riscontrarsi variazioni della declinazione magnetica, cosa che invece non accade. Quanto poi alla leggenda del sepolcro di Maometto, che sarebbe sospeso tra due pietre di calamita, una sotto e una sopra di esso, i testimoni ci assicurano che si tratta di una sepoltura come tutte le altre. Browne ritiene possibile, invece, che la calamita possieda virtù mediche, antidolorifiche e cicatrizzanti, che si possa usare con successo come ingrediente nella composizione di unguenti capaci di curare le ferite, secondo l’opinione di Paracelso e Sennert, e persino che possa estrarre da una ferita le pallottole, o le punte di freccia che l’hanno provocata. Non intende però parlare dell’unguento armario, nella cui composizione non viene impiegato il magnete. I fenomeni magnetici devono essere depurati dalle qualità occulte della simpatia e dell’antipatia: ci si libererà, così, di un gran numero di favole, sussurrate all’orecchio come importanti segreti, ai quali prestano fede le «persone più sensate» (more judicious and distinctive heads), non meno degli «animi dappoco» (credulous and vulgar auditors). Se fosse vera, la comunicazione a distanza per mezzo di aghi simpatici perché magnetizzati con la stessa calamita, derisa da Galileo e difesa da Glanvill279, sarebbe un’esperienza «divina», perché ci permetterebbe di comunicare i nostri pensieri alla maniera degli spiriti, «e dalla terra discorrere con Menippo sulla Luna». Browne stesso ha tentato di eseguire questo esperimento, ma, malgrado i due aghi si trovassero alla breve distanza di mezza spanna, muovendo uno dei due, l’altro rimaneva «immobile come le colonne d’Ercole». Herein relations are strange and numerous; men being apt in all Ages to multiply wonders, and Philosophers dealing with admirable bodies, as Historians have done with excellent men, upon the strength of their great atcheivements, ascribing acts unto them not only false but impossible; and exceeding truth as much in their relations, as they have others in their actions […] multiplying obscurities in Nature, and authorising hidden qualities that are false: whereas wide men are ashamed there are so many true280. 277 Ivi, p. 65. Ivi, lib. II, cap. III, p. 69. 279 Cfr. supra, § 4. 280 T. Browne, Pseudodoxia cit., lib. II, capp. III, p. 78. 278 161 Per tutti gli altri magnetismi presenti in natura, come l’azione del Sole sui corpi inferiori, o l’attrazione della Luna sulle masse degli oceani, Browne rimanda alla grande Catena magnetica di Kircher, che lui non ha avuto il tempo di esaminare, ma che sarebbe stata di grande utilità per la sua trattazione. Sia nella spiegazione dei fenomeni magnetici, sia di quelli elettrici, Browne contrappone gli effluvi alle qualità occulte della simpatia e dell’antipatia: la prima è l’ipotesi più universalmente seguita e accreditata, sulla quale concordano autori come Gilbert, Descartes e Digby. Gli effluvi elettrici consistono in particelle sottili che visibilmente «volano», staccandosi dall’elettro riscaldato, fino a una distanza di due o tre pollici, e, come fili che si allungano, abbracciano i corpi leggeri che incontrano nello spazio della loro emanazione (projection of the Atoms). Il «vento elettrico» di Cabeo è un’ipotesi ingegnosa, ma superflua; l’attrazione, infatti, «is performed by the breath of the effluvium issuing with agility»281. Non vi è alcuna antipatia, ad esempio tra l’olio e l’ambra; se questa non attrae le pagliuzze intrise d’olio, è soltanto perché diventano troppo pesanti. Anche nei regni vegetale e animale sono molte le opinioni false tramandate, e comunemente credute: che vi siano piante con i frutti a forma di agnello (il boramez) è una cosa che non può stupire chi conosca la botanica, ma non si deve credere che i lupi se ne cibino, e che contengano sangue, invece che linfa282. I poteri posseduti dallo sguardo del basilisco, e da quello del lupo, sono diventati decisamente improbabili, dopo che le osservazioni fatte con la camera oscura hanno dimostrato che la visione non consiste nell’emissione di raggi dagli occhi – come pensavano Pitagora, Platone, Empedocle, Ipparco, Euclide e Galeno – ma nell’immissione di species provenienti dagli oggetti, secondo l’opinione di Aristotele, Alhazen e Witelo. Malgrado i passi biblici che lo menzionano, non è chiaro neppure che tipo di serpente sia il basilisco: per quanto velenoso possa essere, la sua vista non potrebbe certamente nuocere, perché il suo veleno non è una species visibile283. Il lupo non emette vapori nocivi dagli occhi: se fa ammutolire chi incrocia il suo sguardo, è solo per lo spavento; la piccola remora non può arrestare il corso di una grande nave; né il leone teme il gallo, che anzi è pronto a divorare. Quanto alla tarantola, e agli effetti indotti dal suo morso, non tutti ci credono; ma Browne, ancora una volta, non sembra disposto a mettere in discussione quanto afferma, con dovizia di particolari, Athanasius Kircher, il quale, oltre alle esperienze, riporta le melodie più adatte alla guarigione284. Browne conclude la sua opera con l’esame di molte opinioni curiose riguardo all’uomo, e con la denuncia di alcune ambiguità ed errori che si nascondono nei dipinti, nella geografia e nella storia sacra e profana. Lo stesso scopo si prefigge Balthasar Bekker, teologo e pastore calvinista, nonché cartesiano fervente, riguardo alle dottrine più diffuse sulla natura, i poteri e le operazioni degli spiriti, e sul loro presunto commercio con gli uomini, in un’opera pubblicata in olandese nel 1691-93 e tradotta in francese nel 1694: Le monde enchanté. Conformemente ai dettami della sua religione, Bekker intende emendare la teologia, seguendo soltanto la Scrittura e la ragione, 281 Ivi, lib. II, cap. IV, p. 83. Cfr. supra, cap. III, § 4. 283 T. Browne, Pseudodoxia cit., lib. III, cap. VII. 284 Ivi, lib. III, capp. VIII, XXVII, § 7 e XXVIII. Cfr. supra, cap. III, § 4. 282 162 Athanasius Kircher: Il boramez, arbusto tartarico 163 faire une recherche exacte de tout ce qui est cru faussement dans le monde, et des opinions erronées qu’on y laisse prendre cours, sans aucun autre fondement que parce qu’on les dit, et qu’on les entend dire sans cesse tous les jours285. Tale ricerca deve essere estesa alle opere degli antichi e dei moderni, a tutte le religioni e a tutti i paesi, comprese l’America e l’Africa. Al contrario di quanto riteneva l’anglicano Browne, Bekker è convinto che, per rendere gli uomini – i sapienti come gli altri – «più saggi e più onesti», sia fondamentale ridurre i poteri del diavolo, contestando gli effetti miracolosi che gli vengono attribuiti sia sul corpo, sia sull’anima dell’uomo. «Je bannis de l’Univers cette abominable Créature, pour l’enchaîner dans l’Enfer»: quelli che, come lui, si oppongono «all’opinione comune che si ha della potenza e della virtù del Diavolo» sono i più lontani dall’ateismo, i più disposti a rendere a Dio l’onore e il rispetto che gli sono dovuti286, perché la credenza nei poteri degli spiriti maligni – dovuta più agli ecclesiastici che ai magistrati – è solo una «superstizione» che non poggia né sulla Scrittura, né sull’esperienza, né sulla ragione. Diversamente da Boxel, il corrispondente dell’esecrabile Spinoza – che, a giudizio di Bekker, confonde Dio con la Natura, commettendo «errori stravaganti» –, Bekker include tra gli spiriti, oltre ai diavoli e agli angeli, le anime separate dal corpo dopo la morte, ma non gli «spiriti mediatori» o «sotto-dei» immaginati dai pagani greci e latini. Ritiene, però, che né le Scritture, né i «lumi naturali» della ragione possano offrirci conoscenze riguardo all’origine e alla natura degli spiriti benigni e maligni, e che abbia fatto bene Caspar Schott a non avventurarsi nelle speculazioni, tipiche dei papisti, sul Purgatorio: «notre Jesuite est trop sage pour parler lui-même beaucoup du Purgatoire, il laisse cela aux autres»287. Proprio i cattolici, come Cardano, Alessandro d’Alessandro e Jean Bodin, hanno portato il paganesimo alle sue conseguenze estreme, attribuendo agli angeli e alle anime dei trapassati, ma soprattutto al Diavolo, tutti quei miracoli che i pagani attribuivano alle loro molteplici divinità, e dilettandosi nei racconti sulle apparizioni di spiriti e fantasmi. Tous les éfets dont on ne peut rendre la raison, ou dont l’on ne connoît point la cause, sont atribués à ces Demons ou Sou-dieux288. D’altra parte, i passi scritturali riguardo agli angeli e ai demoni non permettono di distinguere chiaramente questi spiriti dagli uomini buoni e cattivi, e non lasciano dubbi sul fatto che i maghi, gli incantatori e gli indovini fossero semplicemente «de fort méchantes gens, dont la doctrine et les moeurs étoient très-corrompuës», condannati come idolatri e impostori: parlare di patti o contratti tra uomini e demoni, con buona pace di Glanvill, equivale a introdurre ipotesi prive di fondamento. La stessa ossessione diabolica non è altro che una malattia: «l’Empire du Diable n’est qu’une Chimère»289. Dopo un’ampia, profonda e originale disamina storica e filologica, che si estende anche agli atti giudiziari, Bekker respinge decisamente la credenza nelle apparizioni, nella 285 B. Bekker, Le monde enchanté, Amsterdam, chez P. Rotterdam, 1694, vol. I, «Préface», senza indicazione di pagine. Sulla figura e sull’opera di Bekker, cfr. J. I. Israel, op. cit., cap. 21. 286 B. Bekker, Le monde enchanté cit., ibid. 287 Ivi, vol. I, lib. I, cap. XX, p. 296. 288 Ivi, vol. I, «Abrégé du premier Livre», senza indicazione di pagine. 289 Ivi, «Abrégé du second Livre» e «Abrégé du troisième Livre»; lib. II, capp. XXVII-XXVIII ; lib. III, capp. II, XV. 164 possessione, nella stregoneria e nella fascinazione – fenomeni, questi, sui quali torna molte volte, in diversi luoghi della sua impegnativa opera: per la conoscenza insufficiente che abbiamo dei limiti della natura e delle arti, finiamo per considerare effetti della magia «accidenti puramente naturali»290. A conclusioni non dissimili da quelle di Bekker era giunto, quasi venti anni prima, il filosofo cattolico Malebranche, che nella Recherche de la vérité (1674-75) aveva ridotto ad errori, scaturenti dalla forza dell’immaginazione, le credenze nelle apparizioni degli spiriti, negli incantesimi, nei caratteri, nei sortilegi, nei licantropi e lupi mannari. Non aveva osato, è vero, estendere la categoria degli errori causati da un’immaginazione veemente fino a includervi la credenza nell’esistenza dei maghi, delle streghe, del sabba e del diavolo tout court, ma ci era andato molto vicino. Nulla è più terribile, né sgomenta di più lo spirito, o produce nel cervello tracce più profonde, dell’idea di una potenza invisibile, che pensa soltanto a nuocerci, e alla quale non si può resistere291. Non c’è dubbio che, laddove «tutti i racconti più stravaganti di sortilegi vengono ascoltati come storie vere» e si bruciano come autentici maghi dei poveri folli, stravaganti e visionari dall’immaginazione sconvolta (spesso per la ripetizione di quegli stessi racconti), i maghi e le streghe abbondano, perché «la persuasion commune se fortifie», e «un’infinità di persone si perde e si danna». In quei paesi, invece, nei quali non si fanno processi, perché i parlamenti non puniscono i presunti o sedicenti maghi, questi a poco a poco scompaiono. Malebranche, prudentemente, non si spinge fino a negare l’esistenza dei maghi e del demonio, ma crede che i primi siano ben pochi, e non si debbano confondere con la massa dei «sorciers de bonne foi» che sognano di partecipare al sabba, mentre non escono dal proprio letto. Quanto al Nemico, la Bibbia insegna che il suo regno è stato distrutto dalla venuta di Cristo: quindi, non si deve fare a Satana l’onore di temerlo, attribuendogli, sulla natura e sull’uomo, una potenza che non possiede. Ci sono, poi, alcuni uomini che hanno l’immaginazione talmente sconvolta da credersi lupi, e da comportarsi di conseguenza: escono di casa a mezzanotte e corrono in giro, gettandosi su qualche malcapitato bambino e prendendolo a morsi. Si tratta di un delirio più grave e più raro di quello dei sedicenti stregoni, prodotto o da un accesso di melanconia, come dicono i medici, oppure da una punizione divina. La denuncia delle superstizioni, degli errori e delle false credenze dovute a un’immaginazione sconvolta, o troppo vivace, non è un’impresa facile, né scevra di rischi: il principale è quello di passare per eretico. So bene che qualcuno troverà da ridire, perché attribuisco la maggior parte degli effetti di magia alla forza dell’immaginazione: agli uomini, infatti, piace essere spaventati; si arrabbiano se qualcuno vuole disilluderli e assomigliano ai malati immaginari, che ascoltano rispettosamente, ed eseguono fedelmente, le prescrizioni di quei medici, che predicono loro accidenti funesti. Le superstizioni non si distruggono facilmente, e non le si può attaccare senza imbattersi in un gran numero di difensori; questa inclinazione a credere ciecamente a tutte le fantasticherie dei demonografi è nata e perdura per la medesima causa che rende i superstiziosi così ostinati292. 290 Ivi, «Abrégé du quatrième Livre», senza indicazione di pagine. N. Malebranche, Recherche de la vérité cit., lib. II, pt. III, cap. VI, p. 281. 292 Ivi, p. 282 (trad. it. La ricerca della verità, a cura di M. Garin, Roma-Bari, Laterza, 2007, p. 265). 291 165 Bekker venne deposto dal ministero ecclesiastico dal Senato di Amsterdam; la sua opera generò la «più grande controversia intellettuale nell’Europa del primo Illuminismo»293, con più di trecento pubblicazioni a favore e contro, apparse soprattutto in Germania e nei Paesi Bassi. Eppure, affermò Voltaire, se anche il diavolo fosse mai esistito, certo sarebbe morto di noia leggendo i quattro volumi scritti dal «très-bon homme»294. I detrattori della filosofia cartesiana videro nella distruzione del «mondo incantato», operata dallo zelante pastore calvinista, la prova della naturale confluenza del pensiero di Descartes nello spinozismo. Negli stessi anni in cui ferveva il dibattito, eminentemente storico-teologico, sulla realtà della possessione di luoghi e persone, sulla magia e sulla stregoneria, i filosofi naturali continuavano a interrogarsi sulla natura dei fenomeni «magnetici»: il corpuscolarismo, come si vedrà nei capitoli che seguono, dette un contributo importante al «disincanto» del mondo. 293 294 166 J. I. Israel, op. cit., p. 382. Ivi, p. 401. PARTE SECONDA SPIRITI, EFFLUVI CORPUSCOLARI E FENOMENI MAGNETICI 167 168 CAPITOLO PRIMO FISICA MAGNETICA L’uomo non può misurare la natura: piuttosto, la natura può misurare l’uomo. (J. B. van Helmont, Causae, et initia naturalium) 1. I fenomeni magnetici: questioni preliminari Nel quarto libro dell’Essay concerning Human Understanding (1690), John Locke accomuna «l’esistenza, la natura e le operazioni degli esseri immateriali finiti fuori di noi, come gli spiriti, gli angeli e i diavoli» a quegli «esseri materiali» insensibili, che potrebbero essere la causa di alcuni fenomeni materiali aperti e visibili, le cui cause sono però ignote, così che «possiamo solo indovinarle, e congetturarle in modo probabile»: la generazione, la nutrizione e il movimento degli animali, l’attrazione che il magnete esercita sul ferro, la fiamma di una candela. Tali questioni rientrano tra quelle «cose che, non cadendo sotto i nostri sensi, non sono suscettibili di testimonianza», e riguardo alle quali gli uomini si formano opinioni accompagnate da diversi gradi di assenso1. Questo, e i successivi capitoli sono dedicati ad alcuni tra i principali fenomeni magnetici, caratterizzati da un’apparente azione a distanza, che animarono il dibattito non solo cinque-seicentesco, ma anche settecentesco: la bacchetta divinatoria, equiparata alla bussola e alla calamita; la polvere di simpatia, l’unguento armario e la transplantatio morbi, cioè le cure magnetiche; il fascino e il malocchio. La prima tassonomia sistematica dei fenomeni «occulti», in un’opera di fisica, nella quale mi sia capitato di imbattermi è quella gassendiana2: delineando la storia dei concetti di «spirito» e di «effluvio», nella prima parte di questo studio, è stato inevitabile richiamare le diverse teorie dei fenomeni magnetici. Non ci si stupirà, quindi, di trovare, in questa seconda parte, frequenti riferimenti alla prima: la ricchezza semantica degli «spiriti» rimane, come si vedrà, sostanzialmente immutata, pur nella loro trasformazione in «effluvi» corpuscolari. Al tempo stesso, l’analisi dei fenomeni magnetici dovrebbe comprovare, a posteriori, la tesi che è stata avanzata e argomentata nella prima parte di questa ricerca: il passaggio, cioè, dagli spiriti rinascimentali (ancora invocati da Robert Fludd come principio esplicativo universale dei fenomeni naturali) agli effluvi corpuscolari. 1 J. Locke, Saggio sull’intelligenza umana, lib. IV, cap. XVI, § 12 (trad. di C. Pellizzi e G. Farina, introd. di C. A. Viano), Roma-Bari, Laterza, 1988, vol. II, pp. 756-57. 2 Cfr. supra, parte I, cap. IV, § 1. 169 2. Il baculum divinatorium e le esalazioni Una delle prime trattazioni della virgula furcata nell’età moderna si trova nel secondo libro del De re metallica di Giorgio Agricola (1556), che riassume con rara efficacia lo status quaestionis: Tra i cercatori di minerali, ci sono molte e importanti dispute sulla bacchetta biforcuta: infatti alcuni affermano che è di grandissima utilità per trovare le vene; altri lo negano3. Il dibattito sulla realtà e sulla natura dei poteri della bacchetta – ritenuta capace, nelle mani di alcuni uomini, di individuare vene metallifere e miniere sotterranee, ma anche di scoprire sorgenti acquifere, tesori nascosti o rubati, di smascherare ladri e assassini – era destinato a proseguire fino alla metà del Settecento. Agricola inizia con l’esposizione delle diverse opinioni, e infine dice la sua. Tra coloro che ne fanno uso, alcuni sostengono che deve essere fatta soltanto di legno di nocciòlo, specie se quell’albero è cresciuto su una vena metallifera; altri, invece, affermano che vi è un certo tipo di legno specifico per ogni metallo: la bacchetta di nocciòlo, ad esempio, è adatta a trovare le miniere di argento, quella di frassino le vene di rame, mentre quella di abete bianco può scoprire il piombo. I cercatori di metalli vagano per i luoghi montuosi, impugnando la bacchetta per le estremità e tenendola verso l’alto; appena mettono il piede su una vena, la bacchetta inizia a girare nelle loro mani (versari, et volvi), tirando verso il basso. La causa del moto della bacchetta potrebbe essere, dunque, la vis venarum, tanto forte da far contorcere i rami degli alberi contigui ad essa. In ogni caso, affinché la bacchetta agisca, devono essere rispettate alcune condizioni: che non sia troppo grande, altrimenti la vena sotterranea non avrebbe la forza sufficiente a muoverla; che sia di figura biforcuta; che la presa del rabdomante non sia troppo debole né troppo forte, perché altrimenti la bacchetta potrebbe cadere prima di raggiungere la vena, oppure la pressione delle mani si opporrebbe a quella della vena; infine occorre, nel rabdomante, la privatio proprietatis occultae. Proprio quest’ultima condizione costituisce la principale difficoltà impugnata dai negatori del baculum divinatorium: il fatto che la bacchetta non si muove nelle mani di chiunque, ma solo in quelle di alcuni uomini, induce a sospettare imbrogli, incantesimi e magie. Ma questa obiezione si può facilmente rovesciare: se la bacchetta non si muove nelle mani di certuni, è per una loro occulta proprietas singularis, che ostacola la forza attrattiva delle vene, come l’aglio è in grado di togliere a una calamita la proprietà di attrarre il ferro. Agricola riconosce di trovarsi di fronte a una res controversa, che necessita di un attento esame: nella Bibbia e negli autori classici vi sono molti esempi di bacchette incantate, come quelle che i maghi egiziani trasformarono in serpenti, o quelle con le quali Circe mutava gli uomini in porci, Mercurio induceva il sonno e procurava il risveglio, Atena invecchiava e ringiovaniva Ulisse. 3 G. Agricola, De re metallica cit., lib. II, p. 26: «Porro de virgula furcata, inter metallicos multae et magnae contentiones sunt: nam eam alii aiunt in venis inveniendis sibi maximo usui esse; alii negant». 170 Georgius Agricola [Georg Bauer]: La virgula furcata 171 Sembra, quindi, che la bacchetta divina sia passata da impure origini magiche all’impiego nella ricerca dei metalli: perciò, dato che gli uomini onesti aborriscono gli incantesimi, devono rifiutarla4. Le verghe dei metallici, però, si muovono senza incantesimi: potrebbe essere, quindi, la vis venarum a farle muovere. La controargomentazione di Agricola muove dal paragone tra i fenomeni elettrici e magnetici e la bacchetta dei rabdomanti; le forze di attrazione già note in natura «non torquent res, sed eas ad se alliciunt»: il magnete non fa girare il ferro, ma lo attira verso di sé; così, l’ambra riscaldata per attrito attrae le pagliuzze, non ne provoca la rotazione. Perciò la forza attrattiva delle vene, se è della stessa natura di quelle elettrica e magnetica, dovrebbe attrarre la bacchetta in linea retta, esercitando i propri poteri nello spazio di un semicerchio – ciò che si chiamerà in seguito, con Garzoni, Della Porta, Gilbert e Kircher, orbis virtutis o sphaera activitatis di un corpo. Ma questo non accade: la causa del movimento della verga, quindi, è il modo in cui viene tenuta (tractatio), e i rabdomanti sono callidi tractatores, che hanno cura di scegliere bacchette forcute e flessibili, per manovrarle meglio. Se in questo modo trovano una vena, è per caso; quasi sempre perdono tempo («perdunt operam»), che sarebbe meglio impiegare per scavare («in fossis agendis»). Poiché quindi vogliamo che il cercatore di minerali sia un uomo onesto e serio, egli non deve far uso della bacchetta incantata; essendo, infatti, esperto e prudente nelle questioni naturali, comprende che la bacchetta biforcuta non può essergli di alcuna utilità; piuttosto, come ho detto prima, si attiene all’osservazione dei segni naturali delle vene5. Il metallicus può dunque avere successo grazie all’osservazione e alla decifrazione di segni naturali; il suo sapere, analogico, empirico e induttivo, non necessita del supporto di verghe: né incantate, né biforcute. La tenuis virgula d’argento, capace di scoprire miniere dello stesso metallo, agendo come un magnete, è uno dei «segreti» enunciati – senza alcuna analisi critica o tentativo di spiegazione – da Girolamo Cardano nel De rerum varietate (1557) e da Johann Jacob Wecker, medico di Basilea, in un’opera del 15596. Non sorprende, quindi, che quasi un secolo dopo, Athanasius Kircher, nel Magnes sive de arte magnetica (1641), si richiami direttamente ad Agricola, il quale ha diffuso l’opinione negativa riguardo alla possibilità di una virgula metalloscopica, mentre la paternità dell’opinione opposta viene attribuita a Paracelso. Kircher afferma che non c’è alcun dubbio riguardo all’emissione continua di «aliti» da parte delle miniere sotterranee; di conseguenza, risultano alterati i terreni in superficie e le piante che vi crescono: 4 Ivi, p. 27: «Itaque virgula divina primo ex incantatorum impuris fontibus defluxisse videtur in metalla: deinde, cum viri boni abhorrerent ab incantamentis carminium, eaque rejicerent». 5 Ivi, p. 28: «Metallicus igitur, quia eum virum bonum et gravem esse volumus, virgula incantata non utitur; quia, rerum naturae peritum et prudentem, furcatam intelligit sibi usui non esse; sed, ut supra dixi, habet naturalia venarum signa, quae observat». 6 G. Cardano, De rerum varietate cit., lib. XVI, cap. XC, p. 610; J. J. Wecker, De secretis libri XVII, Basileae, typis Conradi Waldkirchii, 1598 (prima ed. 1559), lib. X, p. 343. 172 le piante, per una qualità metallica, si imbevono delle continue esalazioni dei monti, ed hanno una certa similitudine con quei metalli, sulle cui vene crescono7. Il dubbio è se questa similitudine causi o meno un’attrazione, o «consenso occulto»: Paracelso è convinto che il nocciòlo, che cresce sulle vene di argento, si dirige, o appetisce naturalmente ad esse. Kircher, invece, è incredulo (non facile crediderim): lui stesso ha fatto più volte esperimenti, che hanno dato esito negativo, e ritiene, quindi, che i fenomeni della virgula divinatoria abbiano generato «innumerevoli superstizioni»: «ita pauci ei fidem habent». A giudizio di Kircher, l’inclinazione della bacchetta – nei pochi casi in cui si verifica – non ha una causa magnetica: lui stesso, avendo utilizzato una bacchetta di ontano che si inclina in presenza di vene acquifere, ma solo nelle ore antimeridiane, attribuisce questo fenomeno al peso dei vapori, di cui l’albero è intriso dalle radici fino ai rami; se nuovi vapori entrano nel legno, questo finisce per incurvarsi a causa dell’aumento di peso, fino a quando il calore del sole meridiano non prosciuga quei vapori. Il movimento della bacchetta sarebbe cioè, in questo caso, un effetto della gravità, non di quella vis magnetica, definita: una certa virtù specifica, ovvero un determinato potere particolare che emana da tutta la sostanza, voglio dire una forza magnetica, per la quale quella sostanza cerca naturalmente un altro corpo8. L’intento dell’eclettico gesuita – piuttosto soprendente per chi abbia qualche familiarità con le sue opere monumentali, piene di mirabilia – è quello di limitare il numero dei «miracoli»: «nos ne nimium miracula multiplicare videamur»9. A tale scopo, la Metallognomia teorizzata da Kircher non può che conformarsi al modello epistemologico dello scire per signa, come aveva auspicato Agricola. I segni e i mezzi che permettono di scoprire vene metallifere, o tesori latenti nelle profondità della terra, vengono classificati e descritti nel Mundus subterraneus (1665): accanto a quelli naturali (gli «aliti metallici» che alterano la costituzione dei monti, delle erbe e degli alberi, il colore e l’odore delle acque, sorgive e piovane, la limatura di metalli abrasi trasportata dai fiumi), vi sono quelli artificiali, come il processo chimico della distillazione, e quelli casuali, come le buche scavate da aratri, porci o cinghiali, o i segni rivelati dagli incendi dei boschi. Quanto alla virgula divinatoria, Kircher ribadisce che non funziona: le credenze contrarie possono essere ricondotte o a un’illusione dell’immaginazione, oppure a un patto satanico, reso più evidente dalle circostanze superstiziose che abitualmente accompagnano l’uso della bacchetta, come gli specchi magici, gli incantesimi, e i particolari requisiti dell’explorator (che dovrebbe essere nato di domenica) o della bacchetta stessa (che deve essere staccata dall’albero nel giorno di Pasqua o del solstizio). Satana, che è maestro nell’arte dell’inganno, attrae gli uomini nella sua rete, appagandone l’avidità: perciò può avere tutto l’interesse a far loro trovare vene aurifere e tesori sepolti. 7 A. Kircher, Magnes cit., lib. III, pars V, cap. VII, p. 726: «Dubium igitur nullum est, plantas metallica qualitate continuis montium exhalationibus imbutas, aliquam ad ipsa metalla supra quorum venas crescunt similitudinem fundare, difficultas solum est, utrum haec similitudo attractum causetur». La sezione «De magnetismo virgulae auriferae, sive divinatoriae» occupa le pp. 725-31. 8 Ivi, p. 756: «specifica quaedam virtus, sive dos quaedam particularis a tota substantia promanans, vis inquam magnetica, qua aliud corpus naturaliter appetit». 9 Ivi, p. 729. 173 In particolare, è una superstizione attribuire a un determinato legno la proprietà di scoprire uno specifico metallo. È possibile, invece, realizzare una virgula sympathica – fatta, ad esempio, del legno di una pianta acquatica – che inclini naturalmente verso una vena acquifera, «vapore aqueo cum tempore aggravata»: come i rami degli alberi cresciuti sulle rive dei fiumi si piegano verso l’acqua, fino a toccarla, così i rami degli alberi cresciuti su di una vena metallifera, gravati dai vapori emessi da quel metallo, si piegano per una naturale simpatia, indicando la vena10. Gassendi non era del tutto d’accordo su questo punto: mentre giudicava possibile che una bacchetta fatta del legno di un ontano cresciuto sull’acqua, gravata dal peso dei vapori esalati e penetrati in essa, si inclinasse verso una sorgente, per una sorta di appetitus alimenti, gli sembrava invece oltremodo improbabile (merito res dubia) che i vapori emessi in maniera uniforme dalla massa di un minerale, come l’argento o il rame, potessero far inclinare una bacchetta di nocciòlo, o di frassino, invece di mantenerla in equilibrio11. Il discepolo di Kircher, Caspar Schott, sarà più drastico nell’attribuire senz’altro alla superstizione l’uso della verga di nocciòlo per scoprire metalli e tesori12. Ancora la trattazione kircheriana è alla base delle Inquiries concerning Mines, una serie di queries pubblicate da Robert Boyle sulle «Philosophical Transactions» nel novembre 1666: in particolare, vengono messi in dubbio i segni elencati da Kircher (che non viene però mai nominato), capaci di far congetturare l’esistenza di una miniera. Tra questi, c’è la bacchetta: «What indications from mists, or the virgula divinatoria?». Non ci sono risposte a questa domanda, né da parte di Boyle, né di Hevelius e Scheffer, che rispondono, nei due brevi articoli successivi, ad alcune delle questioni poste dallo scienziato inglese13. Boyle si era soffermato velocemente sullo stesso problema nel secondo dei due Essays Concerning the Unsuccessfulness of Experiments (1661), e anche in quel caso aveva sospeso il giudizio: malgrado vi siano molti testimoni oculari dei fenomeni della «detecting wand», e si tratti di ricercatori «diligenti», «in other things very far from credulous», Boyle, che ha voluto provare di persona l’efficacia della bacchetta, non ne è rimasto soddisfatto. In definitiva, «what to determine concerning the truth of this perplexing experiment, I confess I know not»14. In particolare, Boyle è perplesso riguardo alla perdita della «inclinatory virtue», da parte della bacchetta, nelle mani di alcuni uomini, per giustificare la quale si ricorre a «some hidden property in him»; né crede alle circostanze astrologiche che influirebbero sull’esito felice degli esperimenti: pianeti e costellazioni avverse, o «certain unlucky hours», nelle quali i rabdomanti fallirebbero. Come nel caso dell’unguento armario e della polvere di simpatia, rimedi emostatici ritenuti capaci di agire a distanza, ma che, utilizzati dallo stesso Boyle, si sono dimostrati incapaci di arrestare persino una banale epistassi, egli 10 Id., Mundus subterraneus cit., vol. II, lib. X, sez. II, cap. VII. P. Gassendi, Physica cit., sect. III, mem. I, lib. IV, cap. III, p. 167a. 12 C. Schott, Physica curiosa cit., vol. II, pars II, lib. XII, cap. IV. 13 R. Boyle, Inquiries concerning Mines, «The Philosophical Transactions of the Royal Society of London», n. 19, 1666, pp. 330 sgg. 14 Id., The Second Essay, Concerning the Unsuccessfulness of Experiments, in The Works cit., vol. I, p. 342. 11 174 «non osa affermare che siano del tutto inefficaci; ma deve lasciare ad altri la persuasione che essi agiscano costantemente come ci si aspetterebbe da loro». Su questo esperimento devo limitarmi a dire – ciò che desidero fare, ove la mia opinione sia richiesta riguardo a quelle cose, che non oso rigettare perentoriamente, e delle quali tuttavia non sono convinto – che quanti hanno visto tali cose hanno molte più ragioni per credere ad esse, rispetto a coloro che non le hanno viste15. Il corpuscolarismo gassendiano è alla base delle spiegazioni tardo-seicentesche e settecentesche dei fenomeni di rabdomanzia: il medico parigino G. B. de Saint-Romain, ad esempio, insiste sulla proporzionalità degli «spiritus minerales aut aquatici», che si innalzano dai luoghi dove si celano miniere o sorgenti d’acqua, con i pori del legno di cui è fatta la bacchetta. Non tutti i legni hanno pori di forma e grandezza congruente: il nocciòlo è il più adatto «ad omnium atomorum uncos admittendos». Dopo essere entrati nei pori del legno, i corpuscoli uncinati che costituiscono gli «spiriti minerali o acquatici» attraggono verso il basso la bacchetta, con un moto perpendicolare che è il loro moto naturale, determinandone l’inclinazione. Anche le mani del rabdomante, però, emettono effluvi, che differiscono per textura quanto gli uomini stessi: vi sono spiriti che possono contrastare, quindi, il movimento della bacchetta, impedendo il prodursi dell’effetto16. Nel secondo tomo del monumentale Magisterium naturae et artis (1686), pubblicato due anni dopo la Physica di Saint-Romain, il gesuita Francesco Lana Terzi, dopo avere esposto le ragioni di Agricola, Kircher e Schott, dichiara certo e naturale, non diabolico, il movimento della virga corylacea, e racconta che, proprio mentre era intento alla stesura della sua opera, era venuto a trovarlo un contadino, uomo semplice e probo, capace di trovare vene d’acqua, oro e tesori sepolti. La spiegazione di quei fenomeni prodigiosi è possibile, dopo Gassendi, e viene esposta in modo più dettagliato, nell’opera di Lana Terzi, rispetto alla trattazione del medico parigino: i vapori che fuoriescono dalle vene metalliche o acquifere entrano nei pori del bastoncino di nocciòlo; essendo questi «tortuosi, et spirales», i vapori che vi entrano determinano la torsione e l’inclinazione della verga. Se, poi, l’umore racchiuso in tali pori è «di natura congenere» agli spiriti che entrano dall’esterno, quel legno sarà più adatto ad essere mosso, e più desideroso di unirsi magneticamente ad essi: ecco perché non ogni bastoncino si muove con eguale veemenza verso ogni metallo. Quanto al fatto che non tutti gli uomini possono essere rabdomanti, ciò si spiega facilmente con la differenza dei temperamenti – concetto, questo, si ricordi, ormai lontano dall’originario significato galenico, e usato come sinonimo di textura – nonché con la «imperitia tractandi virgam»; con la scelta imperscrutabile, ma provvidenziale, dell’Onnipotente, che non vuole mettere i tesori alla portata di chiunque, o ancora con la volontà malvagia dei demoni, custodi dei tesori sotterranei, che possono opporsi alla «forza naturale della verga»17. 15 Ivi, pp. 346 («Wherefore that the sympathetick powder and the weapon-salve are never of any efficacy at all, I dare not affirm; but that they constantly peform what is promised of them, I must leave others to believe») e 343 («But of this experiment I must content myself to say, what I am wont to do, when my opinion is asked of those things, which I dare not peremptorily reject, and yet am not convinced of; namely, that they that have seen them can much more reasonably believe them, than they that have not»). 16 G. B. de Saint-Romain, Physica cit., pars I, cap. VIII. 17 F. Lana Terzi, Magisterium cit., vol. II, lib. XXIV, cap. IV, prop. XIV, p. 469. 175 3. Il baculum divinatorium e i corpuscoli «Da quando gli uomini hanno iniziato a filosofare, non è mai stata esaminata una questione più curiosa, e più importante, di quella trattata in quest’opera»: Pierre Le Lorrain, abate di Vallemont (1649-1721), fisico corpuscolare e autore di un libro di segreti apparso nel 170518, inizia con queste eloquenti parole La physique occulte, ou Traité de la baguette divinatoire (1693)19. È proprio sul finire del Seicento, e poi nel Settecento, infatti, che il fenomeno magnetico della rabdomanzia riceve la massima attenzione, tanto da divenire l’argomento esclusivo di un trattato dedicato alla fisica occulta, o curiosa: Vallemont è convinto che, una volta spiegato il movimento della bacchetta, non vi sarebbero più stati misteri in natura. Infatti, i fenomeni di rabdomanzia sono solo i più eclatanti tra tutti quelli magnetici – in primo luogo il contagio – che costituiscono ancora, all’inizio del Secolo dei Lumi, la parte misteriosa della filosofia naturale. Innanzitutto, occorre rivendicare il carattere esclusivamente naturale delle proprietà della bacchetta, dato che c’è chi le attribuisce al diavolo, sulla base del principio: «ciò che non si comprende non può essere naturale». È per questo che il mondo si è riempito di tante favole grossolane e ridicole sui maghi. Quelli che sapevano un po’ di greco e di ebraico, qualche centinaio di anni fa passavano per maghi. È capitato più volte che gli ignoranti prendessero per caratteri magici delle figure matematiche […]. È sempre per la stessa ragione che vediamo oggi accusare di magia le operazioni della bacchetta: perché la causa è sconosciuta. […] Io, però, non sono stato trattenuto da questo spauracchio; perché siamo ormai in un secolo illuminato, dal quale dobbiamo attenderci più giustizia rispetto a quelli sui quali l’ignoranza e la barbarie avevano sparso tenebre tanto spesse20. L’intento dei filosofi naturali del Settecento non è diverso, come si vede, da quello dei medici, dei fisici o dei gesuiti del Seicento, e dei maghi del Cinquecento: spiegare i fenomeni occulti, stabilire i limiti e la portata di ciò che è naturale e può rientrare nel dominio della razionalità – che venga o meno intesa come uno scire per causas – circoscrivere l’ambito del favoloso e del soprannaturale – divino o diabolico. Non è un caso che Vallemont citi, a sostegno della propria posizione, l’articolo di Boyle, pubblicato sulle «Philosophical Transactions», che dimostra l’importanza attribuita dalla Royal Society ai fenomeni della bacchetta, insieme a un passo del De magnetica vulnerum curatione, nel quale van Helmont attribuisce all’ignoranza delle cause dei fenomeni magnetici quell’alone diabolico che li ha sempre circondati21. Non dovrebbe apparire, a questo punto, affatto sorprendente che il paradigma di riferimento utilizzato per spiegare i poteri della bacchetta sia quello gassendiano degli «écou- 18 P. Le Lorrain de Vallemont, Curiositez de la nature et de l’art sur la vegetation, ou l’agriculture, et le jardinage dans leur perfection, Bruxelles, J. Leonard, 1715 (prima ed. Paris 1705), 2 voll. In tale opera – largamente basata sull’autorità della Sylva sylvarum di Francis Bacon, oltre che sui volumi di Plinio, Cardano, Della Porta e Kircher – sono elencati i segreti per far fruttificare gli alberi sterili, per dare ai frutti virtù medicinali e per snocciolarli rapidamente, per far maturare l’uva in primavera, per dare ai fiori nuovi colori e odori inusitati. 19 Id., La physique occulte, ou Traité de la baguette divinatoire, Paris, J. Bodot, 1709 (prima ed. Amsterdam 1693), «Preface», senza indicazione di pagine. 20 Ivi. 21 J. B. van Helmont, De magnetica vulnerum curatione, in Ortus medicinae cit., pp. 454-75, § 6. 176 Pierre Le Lorrain de Vallemont: Il rabdomante 177 lemens des corpuscules», che escono da un corpo ed entrano nei pori di un altro. Ancora una volta, se l’azione a distanza è ciò che caratterizza i fenomeni magnetici, e se essa è responsabile del mistero che li circonda, sarà sufficiente negarla per restituire a quei fenomeni una patente di naturalità. A tale scopo, la «filosofia dei corpuscoli» – cioè, come vedremo tra poco, il corpuscolarismo qualitativo – dottrina antichissima, risalente a un Mosco Fenicio vissuto prima della guerra di Troia, ripresa da Gassendi e Boyle e largamente utilizzata dalla «fisica curiosa» seicentesca – può funzionare perfettamente. Quando parla di fisica «occulta», quindi, Vallemont intende riferirsi agli effetti accertati, reali e visibili, di «agenti invisibili»: la fisica occulta non è altro che la filosofia corpuscolare, e non deve essere confusa con la fisica «favolosa» degli antichi – disposti a credere, con Plinio, che la remora possa arrestare le navi, e ad accettare «visioni e chimere», screditando la propria disciplina. I fenomeni di rabdomanzia possono essere accolti ispirandosi a quella cautela epistemologica costantemente invocata da Boyle: per quasi un mese, l’abate ha osservato, due ore al giorno, il comportamento di Jacques Aymar, contadino analfabeta del Delfinato e celebre rabdomante, arrivato a Parigi nel gennaio del 1693. I suoi esperimenti non hanno avuto sempre successo, ma questo, come insegna Boyle, non prova nulla, perché i risultati di ogni tipo di esperimento dipendono sempre da un gran numero di variabili. A differenza di quelli che che lo hanno preceduto, Aymar non usa la bacchetta solo per trovare vene metallifere, come i «mineralisti» fanno da più di duecento anni, o sorgenti d’acqua, cosa che i «fontanieri» fanno da un secolo, ma anche per scoprire ladri e assassini, come l’omicida del vinaio di Lione, inseguito per più di quarantacinque leghe, e infine assicurato alla giustizia22. Da un lato, la «liberté philosophique» consiste nel «sottomettere a un severo esame tutto ciò che appare nuovo in materia di Fisica»; dall’altro lato, occorre impedire che tale libertà degeneri in una «incredulité hypocondriaque», che dubita più «par humeur» che «par raison». Giacché «occorrono ragioni per dubitare così come per credere», la Royal Society ha saggiamente stabilito in sessanta il numero dei testimoni necessari ad accertare un fatto23. Le scoperte compiute da Aymar, e da quanti utilizzano la bacchetta per scoprire sorgenti, miniere o tesori (Vallemont afferma di conoscerne più di cinquanta nella sola Francia), non devono essere, quindi, né attribuite a un segreto patto con il Maligno, né paragonate alla remora e al basilisco, ai tanti «segreti» della natura animata e inanimata. La natura ha un unico meccanismo in tutte le sue operazioni, e la filosofia dei corpuscoli è la sola che possa dare ragione delle meraviglie della simpatia, e del movimento della bacchetta divinatoria24. Esplicitando il proprio punto di vista, Vallemont afferma che non avrebbe senso fare «uno scisma» per un nome: che li si chiamino atomi, come i gassendisti, o materia sottile, come i cartesiani, quegli «agenti volatili, sottilissimi e attivissimi» che sono i corpuscoli o particelle di materia si differenziano sia dai «corpi visibili», uniche entità ammesse e concepibili dal «petit peuple», sia dagli «esseri inconcepibili» degli Scolastici, che hanno 22 P. Le Lorrain de Vallemont, La physique occulte cit., cap. II. Il cognome del rabdomante, citato più volte dagli autori di fisica curiosa nel primo Settecento, varia da Aymar a Haimar oppure Aimar. 23 Ivi, pp. 6, 35-36. 24 Ivi, cap. III, p. 40. 178 introdotto i termini di «qualità reali», «forme sostanziali», «simpatia», «antipatia» e «virtù occulte» per mascherare la loro ignoranza25. Così, attribuendo alla natura un comportamento diverso quando «si nasconde nelle sue opere» rispetto a quando «agisce allo scoperto», i filosofi della Scuola hanno finito per dilatare il campo del mistero. Vallemont ha ragione ad attribuire sia ai cartesiani, sia ai gassendiani il rifiuto dell’azione a distanza: ma questa pregiudiziale negativa – condivisa, del resto, anche dagli Scolastici – e il meccanismo dell’incastro di parti piene e parti vuote non bastano ad assimilare i corpuscoli di Descartes a quelli di Gassendi: ai primi, infatti, non sarebbe mai potuto convenire l’attributo di «attivissimi», perché erano inerti, privi di un principio interno e innato di moto, oltre che di differenze qualitative; incapaci, quindi, di spiegare le «meraviglie della simpatia», che Descartes escludeva coerentemente dalla propria fisica, insieme all’ambiguo concetto di «sfera di attività», ricondotta da Vallemont a «un tourbillon de matière subtile». E infatti, gli esempi fatti subito dopo per definire i corpuscoli sono gassendiani, non cartesiani: i corpuscoli possono essere sia una parte di una certa sostanza che si stacca da essa ed emana, o si espande nell’aria, come i corpuscoli di vetriolo che si staccano dalla polvere di simpatia; sia una sostanza intermedia tra un agente e un paziente, che porta al secondo le virtù del primo, come gli spiriti animali, che dal loro serbatoio cerebrale scorrono nei nervi e si distribuiscono nei muscoli, o come l’aria, che funge da veicolo per trasmettere al paziente l’impressione prodotta da un agente. I corpuscoli di Descartes, a differenza di quelli di Gassendi e di Boyle, non sono corpuscoli di una determinata sostanza, né l’aria riveste, per Descartes, il ruolo di veicolo universale – una dottrina, questa, come si è mostrato, peculiare della magia naturale del Rinascimento, e ripresa dal corpuscolarismo qualitativo del Seicento. I corpuscoli, insomma, non possono mai essere, per Descartes, sinonimo di spiriti. Prima di entrare nel vivo della sua spiegazione dei fenomeni di rabdomanzia, Vallemont elenca brevemente altri classici fenomeni magnetici. La pretesa spiegazione meccanicistica della simpatia e dell’antipatia – basata sulla «emission d’esprits, ou de corpuscules» che producono un’impressione gradevole o sgradevole sulla retina, sul nervo ottico o sugli altri nervi – non è una spiegazione cartesiana, perché fa uso del corpuscolarismo qualitativo introdotto da Gassendi e ripreso da Boyle. Vallemont riporta, infatti, la giustificazione gassendiana del fenomeno del cadavere che sanguina in presenza del suo assassino, insieme all’esempio di antipatia, sempre ripreso da Gassendi, per cui un branco di porci al mercato si mette a grugnire contro un macellaio: sia l’assassino, sia il macellaio sono circondati da atmosfere degli spiriti dell’uomo, o degli animali, che hanno appena ucciso. Questi corpuscoli, agitati da un moto violento, si dirigono velocemente verso gli spiriti rimasti nel corpo dell’ucciso, o presenti in quelli dei maiali, urtandoli violentemente, in modo da produrre il sanguinamento, o una sensazione sgradevole. Con l’emissione di spiriti corpuscolari, che muovendosi rapidamente «scacciano» l’aria contigua, e con l’elasticità dell’aria, che respinge gli effluvi elettrici, si spiega l’attrazione, conseguente allo sfregamento, esercitata dai corpi elettrici – come l’ambra, il diamante, lo zaffiro, l’agata, l’opale e la cera di Spagna – verso le pagliuzze, e altri corpi leggeri. Quanto alla calamita, «essa ha sempre tutto intorno un’atmosfera di materia magne- 25 Ivi, pp. 41-43. 179 tica», senza bisogno di essere strofinata; inoltre, i corpuscoli magnetici devono essere molto più sottili di quelli elettrici, dato che gli oggetti interposti non ne ostacolano il passaggio. Ancora una volta, il presupposto della «filosofia corpuscolare» è la dottrina della «fluidità» dell’aria, della quale Vallemont si spinge a dichiarare l’analogia con l’acqua: anche l’aria, infatti, è «liquida», fatta di particelle sottilissime, che si uniscono e si dividono con estrema facilità, insinuandosi in ogni minuscola apertura; come i corpuscoli d’acqua, le particelle d’aria si riscaldano e si raffreddano, si impregnano di odori buoni o cattivi, e si possono colorare. L’atmosfera è un fiume d’immensità prodigiosa, nel quale gli uomini e gli animali vivono a modo loro, come i pesci e i mostri marini fanno nell’acqua26. Questa osservazione, afferma Vallemont, potrebbe rivelarsi importante sia per la fisica, sia per la medicina, anche se i filosofi non ci hanno mai pensato. In realtà, la dottrina della natura non elementare dell’aria, composta di ogni genere di effluvi, era, come si è visto, un caposaldo della magia naturale di Campanella27. E infatti, subito Vallemont elenca una serie di «esperienze» che nulla hanno da invidiare a quelle dei maghi: come far diventare i volti pallidi, lividi e orrendi con «acqua di vita» e sale; come far apparire una persona circondata dalle fiamme, con «spirito di vino» e canfora, e così via. Vallemont riprende testualmente il saggio boyleano sulla natura degli effluvi: accusa di inutilità e di incompletezza le classificazioni aristoteliche, elenca le proprietà conoscibili dei corpuscoli, ipotizzabili per analogia con i corpi macroscopici dai quali emanano. La distanza che separa il corpuscolarismo cartesiano da quello gassendo-boyleano, ripreso da Vallemont, è tutta compresa nell’assunto secondo il quale le particelle invisibili di materia hanno qualità sensibili diverse, perché mantengono le stesse proprietà dei corpi che le hanno emesse. Così si spiegano fenomeni come i presentimenti di cui è responsabile il tatto, senso grossolano, ma esteso: da quelli dei cambiamenti del tempo a quelli delle disgrazie (Cardano, ad esempio, nella sua autobiografia racconta di avere presentito il crimine del figlio, condannato a morte per l’avvelenamento della moglie adultera); il suono all’unisono delle corde di liuto o il prodigioso olfatto dei cani, capaci di ritrovare il padrone a grandi distanze, e in mezzo a una folla, seguendo le tracce dei corpuscoli emananti dal suo corpo, e impregnati del suo odore28. Il comportamento della baguette è perfettamente analogo a quello dell’ago di una bussola; lo stesso meccanismo – quello degli «écoulemens de corpuscules» – spiega molti fenomeni diversi: la palma maschio che cerca la palma femmina, il cane da caccia che prende una lepre, l’unione «avida» dell’argento vivo con l’oro29. Mostreremo come da tutti i corpi, compresi i più duri e solidi, traspiri incessantemente una materia sottile, che se ne distacca, e si spande nell’aria30. 26 Ivi, p. 57. Cfr. supra, pt. I, cap. III, § 3. 28 P. Le Lorrain de Vallemont, La physique occulte cit., cap. IV. 29 Ivi, cap. V, p. 82. 30 Ivi, cap. VI, p. 101. 27 180 Anche il marmo e il diamante subiscono queste emanazioni, che fanno «breccia» nella loro «consistenza»: il risultato è «un dépérissement continuel de tous les êtres matériels». Francis Bacon, nella Sylva sylvarum, ma anche Plinio e Vitruvio, Perrault e Kircher, parlano delle esalazioni velenose del lago d’Averno, le quali uccidono gli uccelli che lo sorvolano, o gli uomini che vi sostino troppo a lungo; i medesimi autori invitano a sdraiarsi per terra al sorgere del sole, per scoprire l’ubicazione delle sorgenti d’acqua dai vapori che si innalzano dal suolo. Vallemont non capisce, quindi, perché, quando si parla di vapori anche a persone «di merito e di studio», il loro atteggiamento sia di difensiva diffidenza (se sont gendarmez). I corpuscoli che si elevano dalle falde acquifere, dalle miniere, dai tesori sotterrati, dalla pista dei criminali fuggitivi salgono verticalmente nell’aria e, incontrata la bacchetta, la impregnano, facendola abbassare per renderla parallela alle linee verticali, che essi descrivono innalzandosi. Anche una bacchetta di ferro calamitato si inclina perpendicolarmente verso il polo terrestre, perché i corpuscoli magnetici che circondano la terra fanno piegare la bacchetta fino a farla disporre parallelamente alle linee che essi descrivono intorno al globo terrestre. Però, affinché si verifichi una simile attrazione, occorre che la bacchetta sia impregnata degli stessi corpuscoli che esalano dalla terra. Ora, se questo è facile da capire nel caso della bacchetta magnetizzata dal contatto con una buona calamita, è più difficile immaginare in che modo i vapori entrino nella bacchetta di nocciòlo, o perché questa venga «magnetizzata» dal contatto con la mano di un uomo già impregnato dei vapori, esalazioni, fumi che si elevano dall’acqua, dai metalli o dal percorso di un fuggitivo. Eppure Jacques Aymar, appena tocca la bacchetta, le comunica «un petit tourbillon»: nel caso dell’assassinio del vinaio di Lione, Aymar ha dovuto sostare per un certo tempo nella cantina in cui era avvenuto l’omicidio, prima di poter inseguire con successo l’assassino, per quarantacinque leghe sulla terra e per altre trenta sul mare, consegnandolo infine alla pena capitale. I vapori che emanano dalle sorgenti penetrano nel legno di nocciolo con la stessa facilità con cui l’acqua viene assorbita dalle piante; come i rami degli alberi, lungo i fiumi, si inclinano a toccare l’acqua perché le particelle d’acqua, penetrandoli, li rendono più pesanti, così la massa dei vapori che emana da una sorgente sotterranea, compressa dall’aria sovrastante e spinta da quella sottostante, è costretta a entrare nei pori della bacchetta con la stessa impetuosità dell’acqua di una diga, che trovi infine uno sbocco. Poiché le colonne di vapori escono verticalmente dal suolo, «è dunque necessario, secondo le leggi del magnetismo, che la bacchetta si inclini perpendicolarmente», così da rendersi parallela alle colonne dei vapori. E, come una candela appena spenta, circondata di «piccoli corpuscoli fumanti», subito si riaccende se le si avvicina una candela accesa, così l’atmosfera di «corpuscoli umidi» che circonda la baguette può attrarre quelli presenti nell’aria31. Quanto ai fumi e alle esalazioni calde, maligne e talvolta letali che si sprigionano dalle miniere o dai metalli, Vallemont cita i pareri autorevoli di Plinio, Agricola, Fracastoro, Campanella, Kircher, Becker, Boyle, Digby e soprattutto di Bacon, «che ha compreso per primo, in questi ultimi tempi, la necessità di fare delle esperienze per rendere sicuri i nostri ragionamenti, e per perfezionare la storia naturale»32. Lui stesso ha conosciuto un uomo 31 32 Ivi, pp. 108-114. Ivi, cap. VII, p. 123-24. Cfr. anche il cap. VIII. 181 che non riusciva a entrare nella Zecca di Parigi senza sentirsi male, e ha assistito alla scoperta di una miniera di ferro sulle Alpi, grazie all’uso della bacchetta: in quell’occasione afferma di aver «formato il sistema, che ora dà al pubblico». Nel caso dei tesori sepolti, la terra smossa, divenuta più porosa, lascia passare con maggiore facilità le esalazioni dei metalli. Anche questi vapori, come quelli acquei, si innalzano verticalmente, a meno che non incontrino pietre, rocce o altri ostacoli a deviarne il percorso, facendo loro descrivere linee curve per la resistenza dell’aria: «la Nature n’a par tout qu’un même mécanisme»33. Se la bacchetta può scoprire ogni genere di metalli, dice Vallemont rispondendo a un’obiezione, è semplicemente perché ha pori di diverse figure: così, uno stesso setaccio può filtrare acqua, birra, vino e latte. Il corpuscolarismo permette di abbandonare definitivamente la dottrina delle simpatie tra certi tipi di legno e altrettanti metalli, e può far bollare come «ridicolo» il ricorso al diavolo per spiegare gli effetti della baguette. Ci sono anche pori di figure «convenienti» con «la materia sottile della traspirazione insensibile»: la bacchetta si inclina verso i corpi di chi è morto di morte violenta, perché questi cadaveri sono più ricchi di sangue e di spiriti animali, rispetto ai morti per malattia. Per questo motivo, Paracelso e van Helmont preferivano la mummia tratta dai corpi dei condannati a morte, ritenuta un rimedio più efficace rispetto a quella proveniente dai corpi dei morti di morte naturale, già consumati dalla malattia. Talvolta con la bacchetta si trovano ossa umane; Jacques Aymar trovò il cadavere di una donna strangolata, mentre era in cerca di tesori34. Da tutti i corpi appartenenti ai tre regni della natura traspirano continuamente particelle sottili, e tutti i corpi sono porosi: questi due semplici princìpi della filosofia corpuscolare – la teoria della «traspirazione insensibile» e della natura porosa dei corpi – attendono di essere confermati dal microscopio, «cet instrument si nécessaire à un Philosophe»35. È sorprendente, certo, che i corpi, dai quali si stacca perennemente «uno sciame di atomi», non diminuiscano di peso: Vallemont ipotizza che gli effluvi che traspirano dai corpi animali vengano rimpiazzati dai «succhi della nutrizione» che circolano nei «piccoli spazi vuoti» presenti, in gran numero, nella «contestura» dell’organismo vivente36. A differenza del gesuita Lana Terzi, che pure aveva fatto abbondante uso del concetto di «traspirazione insensibile», Vallemont si sofferma su questo principio, e su quello, ad esso complementare, di «respirazione insensibile», richiamando l’attenzione sulle loro possibili applicazioni mediche. La «respirazione insensibile» non avviene attraverso la laringe, la trachea e i polmoni, come quella «ordinaria e visibile»: piuttosto, «aprendo i pori di tutto il corpo, permette il passaggio dei corpuscoli mescolati all’aria, e li attira all’interno del corpo». I pori, dunque, non servono soltanto alla traspirazione degli effluvi corpuscolari, ma anche all’introduzione di particelle esterne, presenti nell’aria, come gli «atomi contagiosi». Il tatto, che è il senso più esteso, è quindi anche il più potente. La medicina dovrebbe, da un lato, «cercare il segreto di fissare nell’aria gli atomi contagiosi», dall’altro lato «difenderne gli uomini per mezzo di fumigazioni atte a tale scopo», invece di procedere con «inutili salassi». Riprendendo van Helmont e Boyle, Vallemont parla di certi odori capaci di allontanare la peste. Come, infatti, ci si può ammalare per contagio, 33 Ivi, pp. 127-33. Ivi, cap. VIII. 35 Ivi, p. 67. 36 Ivi, pp. 146 e 159. 34 182 allo stesso modo, in virtù della respirazione, visibile o invisibile, si può anche «guarire per contagio»37. Jacques Aymar, ad esempio (ancora lui!), era colto da mal di cuore, movimenti convulsivi e nausea, accompagnati da sudore e svenimenti, sia sul luogo del delitto, sia sulla pista dell’assassino, perché si trovava nella «sfera di attività» dei corpuscoli traspirati sia dal corpo della vittima, sia da quello dell’assassino. Sempre con la teoria della respirazione e della traspirazione insensibili si spiegano l’impressionabilità, per simpatia, delle persone «delicate e sensibili». La filosofia delle qualità occulte, e delle forme sostanziali non ha, per così dire, il naso abbastanza fine per scoprire le tracce che l’assassino ha lasciato nei luoghi che ha attraversato. […] Ecco dunque sui passi dei criminali una massa, un’atmosfera di corpuscoli sparsi nell’aria, che fanno inclinare la bacchetta divinatoria tra le mani di Jacques Aymar, quando egli ne segue esattamente il percorso38. E se uno stesso percorso è stato seguito da più di un criminale, e magari sotto i suoi passi ci sono anche miniere e sorgenti? Certo, in tal caso anche Aymar potrebbe sbagliare, affidandosi agli effluvi dei quali si è impregnato, «calamitandosi», sul luogo del delitto: però torna, in questo caso, il paragone con il cane, capace di seguire l’odore del padrone anche in mezzo a molta gente, e a grandi distanze. I corpuscoli, cioè, non si mescolano facilmente né tra di loro, né con l’aria: correggendo un paragone che lui stesso aveva fatto, Vallemont afferma che gli effluvi non assomigliano tanto alle gocce nel mare, quanto piuttosto ai raggi luminosi («atomi luminosi e colorati»), composti di corpuscoli riflessi dagli oggetti, che continuano a rappresentare gli oggetti in tutta la varietà dei loro colori, o agli «spiriti magnetici», di cui l’aria non può deviare il percorso39. Vallemont è pronto a dimostrare, con «esperienze curiose e incontestabili», che i corpuscoli dei vapori, delle esalazioni e della traspirazione insensibile sono abbastanza tenui e sottili da insinuarsi nei «piccoli spazi vuoti disseminati tra le fibre della bacchetta», e hanno abbastanza forza da produrre sia i movimenti della bacchetta, sia i sintomi di Jacques Aymar. A tale scopo elenca le esperienze di vegetazione dei metalli, nonché le «meravigliose esperienze della calamita» – dovute ai «corpuscoli magnetici» che passano istantaneamente attraverso i pori dell’argento, dell’oro, del rame e del vetro, facendo muovere il ferro sottostante – e cita insieme Boyle, Kircher e Alessandro d’Alessandro a proposito delle vigne dorate, perché cresciute sopra miniere d’oro. I vapori invisibili diventano pioggia che gonfia i torrenti e inonda i campi; gli stessi possono venire scoperti e misurati dai nuovi strumenti, come l’igrometro, il barometro e il termometro40. La gente è prevenuta, e crede che esistano soltanto quelle cause che agiscono con rumore e fracasso, dalle quali è lecito attendersi grandi effetti; non immagina neanche che la Natura abbia dei modi di agire sordi e occulti, per mezzo di quei piccoli agenti sui quali i sensi non hanno alcuna presa41. 37 Ivi, cap. IX, pp. 168 e 173. Ibid. e p. 155. 39 Ivi, capp. VIII e XII. 40 Ivi, cap. X, pp. 205-206 e cap. XI. 41 Ivi, pp. 223-24. 38 183 C’è però un’obiezione importante, usata sia da quanti attribuiscono al demonio i fenomeni della bacchetta, sia da coloro che intendono negarne la realtà: perché la bacchetta gira e si inclina solo nelle mani di alcuni uomini? Vallemont tenta di rispondere alla potente obiezione avanzata da Malebranche in una lettera pubblicata sul «Mercure Galant» nel gennaio 1693, e riportata per intero: Mi sembra chiaro che, chiunque tenga in mano la bacchetta, e in qualunque maniera la impugni, quand’anche la tenesse con le tenaglie, essa dovrebbe muoversi ugualmente, come la calamita agisce egualmente sul ferro, chiunque la afferri, e chiunque le si avvicini. Se poi si pretende che il temperamento contribuisca all’azione della bacchetta (poiché i difensori di queste follie credono di avere il diritto di dire tutto ciò che gli aggrada), li sfido a spiegare cosa intendano per temperamento: che facciano un’obiezione intelligibile, e cercherò di rispondere42. Con l’acume che gli è consueto, Malebranche mette il dito nella piaga, e Vallemont giudica (a torto) «facile» rispondergli, ma in realtà sostituisce a una parola altre parole, fornendo una classica spiegazione ad hoc. Mentre la calamita è la «causa totale» dell’attrazione che esercita sul ferro, i corpuscoli che si elevano dalle sorgenti e dalle miniere sono solo una causa «parziale» del movimento della bacchetta, che deve essere integrata dalla «disposizione della persona che la tiene». I vapori, cioè, agiscono esclusivamente su persone «sensibili», tali che la texture de leurs fibres abbia pori proporzionati al volume e alla figura degli «atomi volatili» che emanano da sorgenti, miniere, e dal corpo dei ladri e degli assassini. Gli esempi, come al solito, sono i più diversi, tratti dai tre regni naturali: quell’«atmosfera di materia magnetica», scoperta da Gilbert, che circonda la terra, può impregnare una verga di ferro, ma non una di argento; ci sono cani che cacciano la volpe, altri il cervo, la lepre o il cinghiale, mentre alcuni sono incapaci di dare la caccia a qualsivoglia animale; ci sono persone che amano l’odore del muschio, e altre che lo aborriscono; alcuni uomini sembrano immuni dal contagio, mentre altri muoiono. Persino la pietra calamitata perde in parte i suoi poteri nelle mani troppo calde, tipiche di individui dal temperamento forte, che traspirano molto per il «calore della loro complessione» e il «ribollire del loro sangue»: gli spiriti emessi, in tal caso, sono più forti e abbondanti sia degli «spiriti magnetici» della calamita, sia degli «atomi contagiosi»43. Padre Kircher rientra nella categoria degli individui dotati di un’abbondante traspirazione: ecco perché l’esperimento della bacchetta non gli è mai riuscito. Ma se poi si chiede quale debba essere il temperamento del rabdomante, «il n’est pas si aisé de dire»: tutti quelli che usano con successo la bacchetta hanno una buona complessione fisica, non sono né magri, né grassi, hanno la pelle «dolce» e le carni «ferme», la circolazione «uniforme» e la fermentazione «tranquilla»: il loro sangue, quindi, deve contenere più zolfo volatile che sali acidi. I vapori che si sprigionano da sorgenti o miniere sotterranee agiscono come «una specie di sali acidi che, mescolandosi al sangue per la respirazione, lo fanno fermentare eccessivamente, causando una circolazione violenta»44. I rabdomanti, infatti, sono colti da una sorta di febbre; ma basta un aumento della percentuale di sali acidi nel loro sangue, ad esempio a causa dell’alimentazione, dell’aria che respirano, o di un’intensa applicazione al lavoro o allo studio, perché la bacchetta smetta di girare nelle loro mani. 42 Ivi, cap. XIII, pp. 286-87. Il corsivo è nostro. Ivi, pp. 287-89. 44 Ivi, p. 295. 43 184 Esiste, come si vede, una precisa tipologia fisico-fisiologica del rabdomante, come esisteva, per Agrippa, quella del mago, e come, per i teorici del fascino, esisterà (con tutte le contraddizioni del caso) la tipologia della strega, o dello jettatore45. La spiegazione finale dei fenomeni di rabdomanzia è dunque la seguente: la «contestura» della pelle di Jacques Aymar, determinata dalla diversa figura e grandezza dei pori, è tale da rendere possibile il passaggio di corpuscoli esterni – provenienti da vene metalliche, sorgenti sotterranee, o dal corpo dei malfattori – che si mescolano al suo sangue, facendolo infiammare e fermentare. Durante questo processo di fermentazione, le mani traspirano sulla bacchetta una parte dei vapori inalati, così che essa, penetrata dalla «materia fluida», diventa «disposta a lasciarsi attrarre» e si imbeve facilmente degli altri corpuscoli congeneri rimasti nell’aria. Il principio, ripreso dal De contagione di Girolamo Fracastoro, è: «Non omnia agunt in omnia, sed certa in certa, solum quae analoga dicuntur»46. Come si vede, Vallemont propone una versione corpuscolaristica della teoria magica delle simpatie e della «costituzione straordinaria» di alcuni individui, e infatti non manca di riprendere, subito dopo, il tema delle meraviglie dell’uomo, risalente al De civitate Dei di S. Agostino e assai frequentato dai maghi del Rinascimento, come Cardano: Perché i vapori e le esalazioni sparsi nell’aria non dovrebbero fare sui corpi di alcuni uomini ciò che fanno sulle diverse sostanze di cui sono fatti gli igrometri, i barometri e i termometri, e su tante altre materie dure e compatte, che l’aria umida penetra e gonfia in modo così evidente ai sensi?47 La respirazione e la traspirazione insensibili dipendono dal senso del tatto, che è il più esteso e potente, ma non tutti gli uomini possiedono, a questo riguardo, lo stesso grado di sottigliezza. Alcuni hanno un temperamento tale, da procurare loro sensazioni più vive: è questo il caso dei neri delle Antille, dotati di un olfatto prodigioso, o delle guide africane, capaci, secondo La Mothe Le Vayer, di attraversare i deserti «annusando» il terreno48. Quanto alla bacchetta, essa, lungi dall’essere uno strumento diabolico49, «non ha nessuna virtù in sé stessa»: La bacchetta divinatoria non è che l’organo, il veicolo e lo strumento per mezzo del quale ci si assicura della presenza dei corpuscoli che si innalzano dalle sorgenti acquifere, dalle miniere e dai passi dei criminali fuggitivi. Non ha nessuna virtù in sé stessa. È semplicemente capace di lasciarsi penetrare e impregnare dalla materia che le mani esalano, e di attirare a sé per analogia e per convenienza i corpuscoli dei vapori, e delle esalazioni che vi si dirigono, come la fiamma di una candela si trasmette al lucignolo fumante di una candela che si è appena spenta. Essa fa per il tatto quello che la trombetta acustica fa per l’orecchio. Riceve ad una estremità i raggi delle 45 Cfr. infra, § 3. P. Le Lorrain de Vallemont, La physique occulte cit., p. 298. Cfr. G. Fracastoro, De contagionibus, et contagiosis morbis, et eorum curatione (1546), cap. VIII, in Opera philosophica et medica cit., p. 121. C. Pennuto (Simpatia, fantasia e contagio cit., cap.V, p. 263) attribuisce a Fracastoro un’interpretazione aristotelica del termine, che rimanderebbe a una «capacità di azione dell’agente» la quale «si rispecchia nella disposizione del paziente a ricevere quell’azione»: «facultas agentis, aptitudo materiae et applicatio conveniens» (pp. 261-62). 47 P. Le Lorrain de Vallemont, La physique occulte cit., p. 301. Il riferimento all’opera di Agostino è al lib. XIV, cap. XXIV. 48 F. de La Mothe le Vayer, La Physique du Prince cit., cap. 26. 49 Come si affermava in un articolo, pubblicato sul «Mercure Galant » di gennaio 1693, più volte citato da Vallemont, allo scopo di confutarlo. 46 185 parole che vengono pronunciate per portarle, attraverso l’altra estremità, all’orecchio di colui verso il quale questa macchina è diretta50. Se poi i filosofi naturali vogliono chiamare «spiriti» o «demoni» i vapori, in ragione della loro estrema sottigliezza, sono certamente liberi di farlo, purché ci si accordi sul significato delle parole51. «Voilà mon système», esclama Vallemont soddisfatto, corredando la propria esposizione di incisioni che mostrano colonne di corpuscoli, e nuvolette di effluvi. Il sistema è quello kircheriano del magnetismo universale, e infatti, a sostegno della propria teoria, egli riporta citazioni del gesuita tedesco: «Naturae clavis una est» – appunto, il magnetismo – e del suo discepolo Schott, che spiega ogni genere di simpatia «ex emissione tenuiorum quarundam exhalationum, quas effundi a multis corporibus»52, insieme ad alcune esperienze tratte dalla Physica di Gassendi. Il corpuscolarismo qualitativo serve a spiegare una serie di fenomeni naturali che nessun fisico attribuirebbe al demonio: le maree, le voglie trasmesse dalla madre al feto, l’attrazione del magnete, il sanguinamento di un cadavere in presenza del suo assassino, la morte dei fiori che ornano una casa53, e delle api nei loro alveari, quando il padrone di quella casa muore. L’impressionante catalogo di mirabilia naturae esposto da Vallemont è ripreso da Plinio e da Frommann. Ma, a differenza di quanto accadeva nel secolo barocco, l’abate Vallemont invoca l’utilité publique della bacchetta divinatoria, giudicandola il modo migliore, più facile e sicuro, di scoprire quelle sorgenti e miniere nascoste, di cui la Francia è ricchissima54. Non diversamente, invece, da quanto facevano molti filosofi naturali del Seicento, più o meno compromessi con la tradizione della magia naturale, l’abate combatte una dura battaglia contro i «superstiziosi» che ritengono il diavolo l’unico «agente invisibile» capace di agire in natura: Non vi sono anche dei piccoli corpuscoli che possono portarsi invisibilmente dall’agente al paziente, e unire per mezzo di un contatto fisico due corpi che appaiono agli occhi separati e lontani l’uno dall’altro55? Il patto tacito con i demoni non è altro che «l’ultimo rifugio degli ignoranti», e il fatto che qualcuno usi in modo improprio la bacchetta per scopi di magia non prova nulla contro di essa. Come molti filosofi naturali del Settecento, Vallemont non intende negare l’e- 50 P. Le Lorrain de Vallemont, La physique occulte cit., p. 306. Ivi, cap. XVI. 52 Ivi, pp. 93-95. Cfr. A. Kircher, Magnes cit., lib. III, Praelusio II, p. 532; C. Schott, Magia universalis cit., vol. IV, pt. IV, lib. IV, syntagma I, cap. III, p. 369. 53 Lo stesso esempio – limitato al rosmarino – verrà fatto da Vallemont nelle Curiositez de la nature cit., vol. I, cap.VII («Diverse vegetazioni curiose»). In tale luogo Vallemont, con una ricchezza immaginativa degna di Kircher, esamina gli straordinari poteri della mandragora, parla di orchidee antropomorfe, di piante che si trasformano in animali o in pietre, che parlano, si nutrono di fuoco o placano gli ossessi, che preservano le case dai malefici, che fanno rammollire o, al contrario, induriscono le ossa e i denti. Il cap. X è dedicato alla «palingenesi vegetale», considerata un fenomeno indubitabile, per le «esperienze di tanti abili chimici», come Digby e Boyle, «l’oracle de la Physique expérimentale» (p. 309). Vallemont afferma di averne ricevuto il «segreto» da Kircher (riportato alle pp. 292-97), ma di non essere riuscito a riprodurla: Schott, invece, avrebbe visto, a Roma, una rosa «risuscitata» da Kircher. 54 P. Le Lorrain de Vallemont, La physique occulte cit., capp. XIV e XV. 55 Ivi, p. 372. 51 186 sistenza della magia e dei fenomeni diabolici, perché in questo modo si potrebbe cadere in un altro genere di superstizione; i maghi esistono, anche se sono «assai rari», e anche il diavolo esiste, come afferma la Sacra Scrittura: semplicemente, essi non hanno nulla a che vedere con la bacchetta divinatoria. Da un lato, la Natura è più estesa della nostra intelligenza: Ce seroit sans doute une mauvaise conséquence de dire: Je ne conçois pas comment cela se peut faire; donc cela n’est point naturel; donc il y a de la diablerie. Dall’altro lato, occorre fissare dei limiti al soprannaturale: Comme c’est visiblement une impiété de nier qu’il y ait des sorciers, et de magiciens: c’est aussi une bêtise de les placer partout, et de se les figurer si communs56. Non a caso, nell’excursus storico che conclude l’opera di Vallemont, il posto d’onore spetta a Gassendi, «grande filosofo che, bilancia alla mano, pesa con un discernimento prodigioso ciascuna opinione»: egli deride Agricola, e il preteso incantesimo della bacchetta, attribuendone per primo i movimenti alla textura, capace di accogliere i vapori corpuscolari57. Della baguette e dei suoi poteri si continua a discutere in Inghilterra, in Germania e soprattutto in Francia almeno fino alla metà del Settecento: i filosofi e i teologi sono divisi tra quanti la ritengono una superstizione e quanti un fenomeno reale e naturale. Nella Dissertazione sulla magia diabolica (1751), il giurista e filosofo napoletano Costantino Grimaldi, cartesiano e insieme gassendiano, come tutti i novatores, fa il punto della situazione: tra i primi elenca Pierre Le Brun, seguito da altri quindici autori meno noti; tra i secondi, il cartesiano Pierre-Sylvain Regis, l’abate Vallemont e il medico François de Saint-André, seguiti da altri venticinque scrittori di cose divine e naturali, compreso Scipione Maffei e lui stesso58. 4. Ragione, religione e superstizione «Bella, e copiosa è la materia; e se si risalisse fino all’origine delle Favole, ella diverrebbe egualmente curiosa ed istruttiva. Possiamo aggiungere, che tutto nuovo sarebbe l’argomento»59: l’intento del liturgista Pierre Le Brun (1661-1729), insegnante di filosofia a Tolone, di teologia a Grenoble, di Sacra Scrittura e storia ecclesiastica nel seminario di Saint-Magloire a Parigi, autore di un’opera di successo come l’Histoire critique des pratiques superstitieuses (1702), che ebbe dodici edizioni nel Settecento, e cartesiano di stretta 56 Ivi, pp. 369 e 384. Ivi, cap. XVII, p. 411. 58 C. Grimaldi, Dissertazione in cui si investiga quali sieno le operazioni che dipendono dalla magia diabolica e quali quelle che derivano dalle magie artificiale e naturale e qual cautela si ha da usare nella malagevolezza di discernerle, Roma, nella stamperia di Pallade, appresso Niccolò, e Marco Pagliarini, 1751, § CLI. 59 P. Le Brun, Storia critica delle pratiche superstiziose, Mantova, D. Ramanzini, 1745 (prima ed. francese Rouen, 1702), lib. I, cap. XIII, p. 57. 57 187 osservanza, è quello di separare le «infinite favole» che gli autori di storia naturale – da Plinio il Vecchio in poi – hanno «intruso in tutta la Fisica», condannandola a «una grande oscurità». Se, in fatto di storia naturale, «non abbiam’Opera che sia buona», è perché è mancato, sino a quel momento, il necessario lavoro di vaglio, che ormai occorre intraprendere: bisogna «incominciare col separare il vero dal falso»; di ogni effetto raccontato e analizzato dagli autori di storia naturale, bisogna innanzitutto stabilire se è falso o vero: nel primo caso, occorre «disingannare il Pubblico»; nel secondo caso, bisogna cercarne le cause60. Gli storici hanno sbagliato, raccontando fatti non veri; i fisici hanno sbagliato, cercando le cause di «ciò che non è»: ma le «sorgenti degli errori degli uomini rispetto all’esistenza degli effetti sorprendenti» sono state la «puerile credulità» da un lato, e la «superba caparbietà» degli increduli, dall’altro61. Non diversamente da Thomas Browne e Balthasar Bekker, nel secolo precedente, e da Giacomo Leopardi, in quello successivo, Le Brun si prefigge lo scopo di individuare ed eliminare gli errori nei quali sono incorsi i filosofi antichi e moderni. L’occasione dell’opera è stata proprio la pratica, sempre più diffusa, di scoprire con la bacchetta «molte cose occulte»: non soltanto le sorgenti e le miniere, ma anche la verginità delle fanciulle e la virtù delle signore, la colpevolezza degli inquisiti e le cose smarrite. Le Brun loda il clero francese, che ha combattuto energicamente contro questa, ed altre superstizioni, e collabora di buon grado a tale impresa: che un tamburo fatto di pelle di pecora si spacchi, al suono di un tamburo di pelle di lupo, è una favola; allo stesso modo, la piccola remora non può fermare una nave, perché è evidente anche al «senso comune» che tra due forze diseguali prevale sempre quella maggiore: i filosofi, da Aristotele in poi, hanno cercato le cause di questo fenomeno, senza preoccuparsi di stabilirne preliminarmente la realtà. Potremmo noi sperare da’ compilatori delle pretese maraviglie della natura, che, nelle raccolte loro, più non saran’essi per rapportare, che il legno putrido, le conchiglie marine, i funghi, e le fronde degli alberi producano uccelli; che il vento generi pernici, e puledri; e che l’immaginativa render possa feconde le femmine62? Tra le favole e le «sciocchezze» denunciate come tali da Le Brun ci sono le lampade perpetue63 e la palingenesi vegetale e animale – una credenza che inizia con il racconto della fenice, descritta da Erodoto sulla base non dell’esperienza diretta, ma della visione dei geroglifici egiziani, e continua con Kircher, Jacques Gaffarel e Borelli64 –, i talismani di ogni genere, il sabba e la capacità della calamita di sostenere statue e altri corpi pesanti, sospesi in aria, le famiglie africane che ammaliano con la voce, gli Illirici dalla doppia pupilla, che uccidono con lo sguardo, la donna di Lisbona che con gli occhi penetra l’opacità dei corpi, l’astrologia giudiziaria e la Cabbala «numeraria». Le fonti di tali credenze sono le più varie, antiche e moderne, da Plinio alle «gazzette contemporanee». Le Brun analizza anche diversi casi sospetti di jettatura e malocchio, ma poi non si périta di attri- 60 Ivi, p. IV. Ivi, lib. I, cap. III, p. 7. 62 Ivi, p. 11. 63 Raimondo di Sangro affermava di averne costruita una, seppure in modo casuale; si proponeva di collocarne due alle estremità del Cristo velato scolpito da Giuseppe Sammartino per la sua cappella, e si offriva di pagare il viaggio a chiunque volesse venire a constatarlo di persona: cfr. le Lettere sopra alcune scoperte chimiche (1752), a cura di A. Crocco, Napoli, L. Regina, 1969, lettere I, III. 64 Anche Vallemont, come si è visto, era un sostenitore di questa teoria. 61 188 buire l’impotenza maschile all’opera dei demoni; non si scandalizza che vengano condannati al rogo quegli «stregoni» che abbiano compiuto sortilegi nocivi; crede nel potere taumaturgico dei re di Francia (ma non d’Inghilterra), per le «chiare» e «antiche» testimonianze a riguardo65. Le Brun fornisce prima i criteri per distinguere il vero dal falso, poi quelli per discernere i fenomeni naturali dagli effetti miracolosi o superstiziosi: se diversi autori rispettabili e degni di fede concordano nelle loro relazioni, o si propongono come testimoni oculari di un fatto, sarebbe irragionevole non credere nella realtà di quest’ultimo. Vi sono fatti che sono stati ritenuti erroneamente favole, come i satelliti di Giove, scoperti da Galileo, o la presenza di abitanti agli antipodi, rivelata dai viaggi transoceanici; vi sono poi eventi favolosi creduti a torto veri, come l’inabitabilità della zona torrida equatoriale, o la visibilità dei vascelli a seicento miglia, grazie a un buon cannocchiale, sostenuta da Della Porta66. Ma quando passa ai tentativi di definizione di ciò che è naturale, Le Brun si limita a enunciare alcuni assiomi: Dio esiste, e ha creato sia i corpi, sia gli spiriti; questi ultimi comprendono sia le anime umane, sia gli angeli e i demoni, spiriti sottomessi o ribelli a Dio, capaci entrambi di produrre effetti sensibili. Dio e gli angeli producono miracoli autentici; i demoni, invece, che sono «maestri di curiosità», generano miracoli falsi, ovvero superstizioni; i corpi sono governati da leggi naturali e meccaniche, tutte riducibili all’urto dei corpi. Certo, vi possono essere casi dubbi, come quello del soldato che ebbe salva la vita perché una palla di moschetto andò a conficcarsi nel Vangelo che portava sempre addosso67. I fenomeni erroneamente attribuiti alla «simpatia» e all’«antipatia» si spiegano con gli effluvi, che consistono in un continuo flusso di corpuscoli, causato dall’agitazione della «materia sottile» che riempie i pori dei corpi e li circonda, come un’atmosfera: l’olio e l’acqua non si uniscono perché hanno pori di grandezza e figura incompatibili, mentre l’acqua e il vino possono penetrare l’una nell’altro; uno scorpione morto può guarire la puntura dello stesso animale, perché il veleno presente nella ferita fuoriesce attraverso i pori e va ad unirsi con quello rimasto nell’animale68. Non vi sono, insomma, azioni a distanza, ma effluvi corpuscolari: chi parla di «amori naturali» o «risuscita il sistema delle attrazioni», come ha fatto Newton, confonde il corpo con lo spirito: «i muovimenti tutti de’ corpi, che appellansi simpatici, o antipatici, produconsi sempre dall’impressione di qualche materia, avvegnaché insensibile»69. Il settimo libro dell’opera di Le Brun è interamente dedicato alla «Storia critica dell’origine, e de’ progressi dell’uso della bacchetta presso tutte le nazioni»: da Galeno a Paracelso, da Agricola a Boyle, da Frommann a Schott, da Della Porta a Kircher e Fludd, il «segreto» della bacchetta è inseguito ed esaminato con profluvio di erudizione attraverso la storia sacra e profana, dagli Ebrei ai Greci, dagli Egizi ai Germani, dai Persiani agli Indiani, dai Caldei ai Romani e ai Franchi, fino al vasto uso che ne è stato fatto di recente soprattutto in Francia, in Germania e nelle Fiandre, ma anche in Spagna e in Italia 65 P. Le Brun, op. cit., vol. I, lib. I, capp. IV-VI e IX; lib. II, capp. II, III, § 3, IV; lib. III, cap. I; vol. II, lib. IV, cap. IV. 66 Ivi, lib. I, cap. VII. 67 Ivi, capp. VIII-IX. 68 Ivi, capp. XI-XIII. 69 Ivi, vol. I, p. 54. 189 (dove tuttavia non ne hanno parlato né Mattioli né Cardano, «autori assai avidi di segreti»70), in Boemia, Svezia, Ungheria, in Inghilterra e persino in Egitto71. Non diversamente da Grimaldi, Le Brun elenca gli studiosi che si sono pronunciati pro o contro la bacchetta: tra i primi, Robert Fludd è stato certamente il più credulone: «autore non vi fu mai, che più di lui abbia avanzate le sue inconvenienze, con maggior audacia, e con maggior fidanza. Non ci è nulla, che vaglia a fargli temere l’imbroglio»72. Ma negli ultimi tempi, «da’ discorsi filosofici sono state sbandite le qualità occulte», e infatti Saint-Romain ha sostituito, nella spiegazione delle proprietà della bacchetta, il moto degli «atomi, che uscendo dall’acqua, e da’ metalli, vanno al dire di lui, ad unicinar la bacchetta» alla dottrina delle simpatie73. Tra quanti invece hanno considerato l’uso della bacchetta un «avanzo» superstizioso della magia antica, ci sono Agricola, Paracelso «avvegnaché sia spacciato per l’uomo del mondo il meno scrupoloso», il padre Cesio, Kircher, Aldrovandi, Malebranche, John Ray – che nella Historia plantarum (1686) esclude le proprietà straordinarie della pianta di nocciolo – e il padre Roberti – il quale, nella sua vibrante polemica contro Goclenius, afferma che c’è più simpatia tra quest’ultimo e il fuoco eterno, di quanta ve ne sia tra i metalli e il legno di nocciolo74. Questa differenza di opinioni non deve stupire, perché si riscontra abitualmente nelle «cose composte», che «tengon del fisico e del morale»: Fra que’, che non rigettano i fatti, ciascun gli accomoda a’ suoi principi. Gli aggiusta il peripatetico con qualità; e con corpuscoli il filosofo novello. L’astrologo vuol rinvenire la ragione di tutte le cose nell’armonia da lui osservata negli astri, e nelle segrete relazioni, che hanno essi con noi75. Procedendo more scolastico, Le Brun espone infine il proprio punto di vista: i fenomeni della baguette non possono essere né reali, né naturali, sia perché la bacchetta spesso fallisce; sia perché si agita sopra cose nascoste diversissime tra loro, come l’acqua, i metalli e i cadaveri, dalle quali debbono necessariamente sprigionarsi effluvi molto diversi, e a distanze tali da rendere impossibile qualunque movimento della bacchetta; sia perché in tali effetti influisce anche il desiderio, o l’intenzione del rabdomante di trovare ladri, ossa di santi o tesori sepolti; sia perché la bacchetta non gira nelle mani di chiunque. Per di più, le risposte fornite a tutte queste obiezioni sono spesso contraddittorie, come avviene sempre nelle pratiche superstiziose, che da questo si rivelano come tali76. I bravi vescovi, curati, predicatori e confessori devono quindi opporsi con forza a tali ingannevoli superstizioni, per mezzo di frequenti visite pastorali nelle proprie diocesi, e con la scomunica dei presunti maghi, astrologi e stregoni, come nel Medioevo la Chiesa ha condannato le prove dell’acqua e del fuoco, usate al posto delle inchieste giudiziarie fino al 170177. L’uso della bacchetta, diffusissimo in Francia, era stato proibito, sotto pena di scomunica, nel 1691 nella diocesi del Delfinato, la stessa dove viveva e operava 70 Ivi, vol. II, p. 104. Ivi, vol. II, lib. VII, capp. III-IX. 72 Ivi, cap. XII, p. 118. 73 Ivi, pp. 119-120. 74 Ivi, cap. XIII, p. 124. 75 Ivi, cap. XV, pp. 128-29. 76 Ivi, capp. XVI-XVII. 77 Ivi, lib. VIII, capp. I-IV. 71 190 il contadino Jacques Aymar, assurto agli onori della cronaca per aver catturato l’assassino del vinaio di Lione. Proprio le imprese di Aymar, «le ridicule de cette sorte de Magie qui fait aujourd’hui tant de bruit dans le monde», costituiscono l’occasione della prima delle Lettres à quelques-uns de ses amis (1725) di François de Saint-André, chimico e medico del re78. La pena di scomunica per i maghi è giustissima, a suo parere, come pure la recente condanna del re di Francia, che prevede addirittura la condanna a morte per i maghi, assimilati agli avvelenatori e ai malfattori79. Lui stesso, però, è stato quasi «scomunicato» da due «dottori in teologia» per non aver voluto attribuire al demonio i prodigiosi effetti del morso della tarantola, o della bacchetta divinatoria. La baguette, infatti, è solo l’ultimo di una lunga serie di eventi mirabili, attribuiti alla magia o al potere diabolico, dopo gli uragani, i tuoni, la polvere da sparo, l’inchiostro simpatico, i fenomeni del tarantismo, l’attrazione della calamita e la polvere di simpatia: «l’ignoranza è sempre stata la madre della meraviglia, e la fonte della superstizione e dell’idolatria»80. Saint-André dubita dell’autenticità delle scoperte del contadino del Delfinato; ma, quand’anche si trattasse di un vero indovino, le sue scoperte potrebbero essere spiegate naturalmente, senza ricorrere ai patti con il diavolo, in virtù di quell’«infinità di particelle» che si staccano continuamente da tutti i corpi, si spandono nell’aria, e agiscono sui corpi che incontrano, in modo più o meno vivace, insinuandosi nei loro pori. Nello stesso modo si spiegano altri fenomeni magnetici, come l’attrazione della calamita e i poteri curativi della polvere di simpatia. Aymar era capace di individuare, con la bacchetta, anche i confini delle terre, grazie ai corpuscoli lasciati nell’aria da coloro che avevano misurato quei campi. Quanto alla solita obiezione che la bacchetta non si muove in tutte le mani, Saint-André tira in ballo la diversa disposizione degli organi nei diversi uomini, che ricevono diverse impressioni dagli stessi corpi, la «tissure» della pelle, più o meno fine, la struttura dei nervi, più o meno suscettibili di movimento, e il grado di vivacità degli spiriti animali, che vi scorrono. Inoltre, «le esalazioni che escono dai corpi degli uomini sono diverse a seconda delle loro differenti nature»: certuni, ad esempio, riescono a sciupare qualunque cosa tocchino81. 5. Cure magnetiche Dall’età di Paracelso a quella di Newton, vengono definite «magnetiche» le presunte cure a distanza: di una ferita (unguento armario, polvere di simpatia) o, più in generale, di qualunque malattia si possa «trasferire» dal corpo dell’uomo a un soggetto esterno, considerato vivente – minerale, vegetale, o più spesso, animale. Si tratta di un tema poco studiato82, per cui è opportuno fornire subito alcune precisazioni, utili a suffragare la mia tesi di fondo riguardo alla differenza tra spiriti ed effluvi. 78 F. de Saint-André, Lettres à quelques-uns de ses amis cit., p. 3. Ivi, «Seconde Lettre». La Déclaration contre les Magiciens è del 1682. 80 Ivi, «Première Lettre», p. 22. 81 Ivi, p. 58; cfr. anche la «Troisième Lettre». 82 Lo studio più completo è quello di T. Griffero, Immagini contagiose cit.; cfr. anche A. G. Debus, Robert Fludd and the use of Gilbert’s «De magnete» in the weapon-salve controversy, «Journal of the History of Medicine and Allied Sciences», 19, 1964, pp. 389-417 (successivamente in Id., Chemistry, Alchemy and New Philosophy, 1550-1700, London 1987, stessa paginazione) e The Chemical Philosophy cit., vol. I, cap. IV, pp. 279 sgg. Si veda anche il più recente studio di M. A. Waddell, The Perversion of 79 191 Sebbene siano stati spesso considerati sinonimi, perché entrambi servono a curare le ferite a distanza e senza dolore, tra l’unguento armario e la sympathetick powder vi sono alcune differenze relative sia alla loro composizione, sia alle modalità della loro azione, sia alla cronologia dell’uso di quei termini83. Mentre, infatti, la polvere di simpatia – entrata nel dibattito medico-filosofico intorno alla metà del XVII secolo, dopo il celebre Discours di Digby – era composta essenzialmente di vetriolo, l’unguento armario – del quale Della Porta, Andreas Libavius e Daniel Sennert attribuiscono l’introduzione a Paracelso84 – era composto, nelle ricette dei medici paracelsiani come Oswald Croll, da ingredienti fatti di materia vivente: la mummia, ricca di spiriti vitali, l’usnea – cioè il muschio cresciuto su un teschio umano –, i lombrichi, il grasso di orsa o il legno di sandalo85. Inoltre, i poteri della polvere di simpatia si spiegano con effluvi corpuscolari; l’azione dell’unguento armario è invece una spiritualis operatio, spiegabile con una «vis magnetica attractiva a syderibus causata quae mediante aëre vulneri adducitur»86. Quindi, la decisa affermazione di priorità nell’introduzione della polvere di simpatia in Europa, fatta da Digby nelle prime pagine del suo Discours touchant la guérison des plaies par la poudre de sympathie (1658), non è semplicemente il frutto della sua immodestia87. L’esistenza di una distinzione tra l’unguento armario e la polvere di simpatia è evidente sin dal titolo completo della più ampia raccolta seicentesca di scritti su tali argomenti: il Theatrum sympatheticum di Sylvester Rattray (1662), nel quale le opere sull’unguento armario vengono separate da quelle sulla polvere di simpatia88. Oltre che nella tradizione medica paracelsiana, l’unguento armario era presente nelle compilazioni cinque-seicentesche di «segreti», da Della Porta – che ne aveva fornito una delle prime ricette nella Magia naturalis (1589) – a Pierre Borel. In definitiva, all’inizio del XVII secolo ne circolavano «almeno cinquanta diverse ricette»89. Il dibattito sulla possibilità, l’efficacia e la natura di tali cure «simpatiche» è, come ho già accennato altrove90, uno dei più vivaci all’interno della fisica curiosa e vede schierati su fronti opposti autori Nature: Johannes Baptista Van Helmont, the Society of Jesus, and the Magnetic Cure of Wounds, «Canadian Journal of History», 38, 2003, pp. 179-97. 83 Cfr. D. Stolzenberg, The Sympathetic Cure of Wounds: A Study of Magic, Nature, and Experience in Seventeenth-Century Science, MA thesis, Indiana University, 1998: questo lavoro è citato in M. A. Waddell, The Perversion of Nature cit. 84 G. B. Della Porta, Magia cit., lib VIII, cap. XII; Andreas Libavius, Tractatus duo physici, Francofurti, excudebat I. Saur, impensis P. Kopffii, 1594, tract. I, p. 43: «Illud certum est, quod Paracelsus illustrator eius, amplificatorque extiterit, a quo postea transcripsit Baptista Porta»; D. Sennert, Practica medicinae (1635), lib. V, pt. IV, cap. X, in Opera omnia cit., tomo III, pp. 397-402. 85 La ricetta dell’«unguentum sympatheticum seu stellatum Paracelsi» viene data da Croll proprio alla fine della Basilica chymica cit., pp. 278-83. 86 Ivi, p. 279. 87 Come ritiene A. G. Debus, Robert Fludd and the use of Gilbert’s «De magnete» cit. 88 S. Rattray, Theatrum sympatheticum auctum, exhibens varios authores, de pulvere sympathetico quidem: Digbaeum, Straussium, Papinum, et Mohyum. De unguento vero armario: Goclenium, Robertum, Helmontium, Robertum Fluddum, Beckerum, Borellum, Bartholinum, Servium, Kircherum, Matthaeum, Sennertum, Wechtlerum, Nardium, Freitagium, Conringium, Burlinum, Fracastorium, et Weckerum. Praemittitur his Aditus ad sympathiam et antipathiam, Norimbergae, apud Johan. Andream Endterum, et Wolfgangi Junioris Haeredes, 1662. Per una sintesi, si veda L. Thorndike, History of Magic cit., vol. VII, pp. 503-507. 89 Cfr. T. Griffero, Immagini contagiose cit. (p. 28). 90 Cfr. supra, parte I, cap. IV, § 1. 192 come Sennert, Kircher, Gassendi, Charleton, Fludd, Glanvill, Boyle e Vallemont. Tale dibattito attraversa la medicina – all’interno della quale le posizioni più interessanti non sono tanto quelle assunte dai galenici e dai paracelsiani di stretta osservanza, quanto piuttosto l’atteggiamento «aperto» dei «chemiatri», disposti ad accettare le medicine chimiche senza rigettare in toto la medicina degli antichi, e senza aderire alla complessa cosmologia paracelsiana91 – e la filosofia naturale, sfidando in entrambi i campi le egemonie consolidate. Scrivendo nel 1594 i Tractatus duo physici – dedicati rispettivamente all’unguento armario e al presunto sanguinamento spontaneo di un cadavere, in presenza del suo uccisore – il medico e chimico tedesco Andreas Libavius (Libau), professore a Jena, non può avere che Paracelso come bersaglio. Le ferite guariscono naturalmente, detergendole e disinfettandole con l’urina, come già insegnava Teofrasto: gli unguenti possono contribuire a farle cicatrizzare purché vengano applicati su di esse, non su spade o indumenti distanti. La presunta efficacia dell’unguento armario o è un’impostura, oppure è da attribuirsi alla forza dell’immaginazione del ferito, che crede ciecamente nei poteri di quel rimedio; se si paragona la composizione dell’unguento con i suoi effetti, si constata un «mirificorum absurdorum chaos». Quanto alla magia nera, essa probabilmente non vi ha parte: il diavolo, infatti, non risana le ferite, perché essendo cattivo non fa nulla di buono; nel caso dell’unguento armario, potrebbe agire soltanto per dare altre prove dei suoi poteri ai suoi adepti, o per procacciarsene di nuovi92. In definitiva, la virtus magnetica non è che un «sogno», anchora stultitiae Paracelsi93; sono gli ignoranti ad appellarsi a tale forza occulta per spiegare effetti naturali e manifesti. Per una stolida credulitas nata dalla «superstizione» di maghi diabolici e monaci empi, si attribuiscono a una semplice «paroletta» (verbulum) o a una herbula quaedam, della quale si riesce a percepire a malapena l’odore, non appena la si stacchi dalle narici, straordinari poteri, tali da «far scendere la luna dal cielo»94. Libavius individua correttamente la causa della credenza nell’unguento armario, o in quella, analoga, nel sanguinamento spontaneo di un cadavere in presenza dell’assassino, nella dottrina neoplatonica ed ermetica della «conspiratio coelestium cum elementaribus, et rerum cognatio»95. Si tratta, invece, o di fenomeni «vani» e «nulli», come l’unguento armario, oppure di fenomeni naturali. Anche i cadaveri degli appestati, dei morti per apoplessia o sepolti da un crollo possono sanguinare spontaneamente all’improvviso, per la rottura di una vena; ma in quel caso nessuno cerca segni: «et quid mirum, si vulneratus cruentet?»96. Ancora una volta, Libavius si scaglia contro i «deliri» di Paracelso, che attri- 91 Questo stesso atteggiamento verrà assunto da Boyle: cfr. supra, parte I, cap. IV, § 2. Su questi temi si vedano, oltre ai fondamentali lavori di Walter Pagel (Paracelso. Un’introduzione alla medicina filosofica nell’età del Rinascimento, Milano, Il Saggiatore, 1989 (ed. orig. 1958); From Paracelsus to Van Helmont, London, Variorum Reprint, 1986), A. G. Debus (ed.), Science, Medicine and Society in the Renaissance cit.; Paracelso e la tradizione paracelsiana cit. Il termine «chemiatra» è usato da Libavius nella sua Alchymia (1606): cfr. A. G. Debus, Guntherius, Libavius and Sennert cit., pp. 156 sg. 92 A. Libavius, Tractatus duo physici cit., tract. I, pp. 48, 96: «Diabolus non vulnera sanat, sed suos satellites confirmat, alios autem ad suum famulicium alliciat». Su Libavius, si veda A. G. Debus, Guntherius, Libavius and Sennert cit. 93 Ivi, p. 37. 94 Ivi, tract. II, p. 144. 95 Ibid. 96 Ivi, tract. II, p. 150. 193 buiva una fantasia al sangue: esso è il nutrimento del corpo, veicolo degli spiriti e del calore; ci fa sentire e vivere, ma non per questo sente e vive a sua volta97. Tuttavia, dopo aver attribuito il presunto sanguinamento di un cadavere in presenza del suo uccisore a cause naturali, come la rottura di una vena o un residuo di calore supplementare, che permetterebbe un certo protrarsi del moto degli umori, Libavius chiama in causa la forza degli «spiriti» o dei «vapori» veicolati dalle passioni, senza avvertire alcuna contraddizione. Dal corpo dell’assassino – soprattutto dalle parti maggiormente «porose, calde, vaporose e umide» – si sprigiona nell’aria uno «spirito» molto efficace, perché non si tratta di uno spirito «escrementizio», bensì proveniente dal sangue per la «commozione dell’anima»98. Dopo la pubblicazione del De magnete di William Gilbert (1600), la discussione sui poteri dell’unguento armario entra nel vivo: non si tratta certo di una coincidenza99. Gli esperimenti di Gilbert dimostravano infatti l’esistenza di una forza «simpatetica» che agisce a distanza secondo precise modalità: potevano quindi essere interpretati da Goclenius e van Helmont, oltre che dall’«alchimista mistico» Robert Fludd, come altrettante prove dell’efficacia di quell’unguento armario, di cui Gilbert (che considerava Paracelso un volgare ciarlatano) non parlò mai. La polemica, iniziata nel 1608, tra Goclenius, van Helmont e Jean Roberti mostra come, dopo la medicina galenica, anche la filosofia naturale scolastica dei Gesuiti si sia scontrata con le dottrine eterodosse dei paracelsiani. Goclenio il giovane (Rudolph Göckel, 1572-1621), professore calvinista di fisica, matematica e medicina all’università di Marburgo, pubblica nel 1608 il Tractatus de magnetica vulnerum curatione: questo libellus novus è l’oggetto, l’anno successivo, della puntuale e puntigliosa replica del gesuita belga Jean Roberti (1569-1651). La disputa, che si articola in una serie di risposte dell’uno e dell’altro contendente, prosegue fino al 1621, anno della morte di Goclenius e della (forzata) discesa in campo di van Helmont. La questione è la seguente: può un unguento curare a distanza una ferita, ove venga applicato sull’arma che l’ha provocata, sul panno che l’ha tamponata, o sugli indumenti intrisi del sangue del ferito? Goclenius, che è un medico con forti simpatie astrologiche e paracelsiane, ritiene possibile ottenere questi effetti, in virtù di una cognatio naturae che permetterebbe alla virtus magnetica di passare attraverso il mezzo aereo e lo «spirito stellato» impregnato di «vigore magnetico». Roberti, invece, che è un aristotelico coerente, nega qualunque azione a distanza, applicando il principio: «operari sequitur esse: ubi esse non est, nequit esse operatio»100. Sulla scorta delle Sacre Scritture, di Aristotele, Tommaso e Francisco Suarez, egli afferma che persino Dio e gli angeli agiscono per contatto: la virtus magnetica deve essere una qualità, o accidente; come tale, non può propagarsi sine substantia. Quanto allo «spirito stellato», non è altro che «ventus tuae vanitatis»: una ferita, quindi, può migliorare soltanto applicandovi direttamente sostanze e rimedi naturali – come il sangue umano, la mummia e il grasso – oppure per opera diabolica: 97 Ivi, pp. 190, 231. Ivi, pp. 268-70, 289. Cfr. T. Griffero, Cose da credere cit. 99 Cfr. A. G. Debus, Robert Fludd and the Use of Gilbert’s De Magnete cit. 100 J. Roberti, Goclenius Heautontimorumenos: id est, Curationis magneticae, et unguenti armarii, ruina, Luxemburgi, excudebat H. Reulandt, 1618, sect. IX, pp. 109, 114; sect. XV, p. 168. Su Goclenius, cfr. L. Thorndike, History of Magic cit., vol. VII, cap. X, pp. 283 sgg. 98 194 Diabolus in vulnus illud agit, in quod Olla, tanto intervallo remota, nihil potest: ergo, ut olla abest, ita Diabolus adest101. Ma neppure il diavolo è capace di agire a distanza; semplicemente finge, per meglio illudere gli uomini. E infatti, i paladini dell’unguento armario sono individui «vel aperte improbi», come Paracelso, «vel merito suspecti», come Della Porta102. Tuttavia, come abbiamo ormai visto più volte nel caso dei gesuiti, la negazione categorica dell’azione a distanza è accompagnata dall’ambigua ammissione che ogni cosa creata possieda una vis finita, che dà luogo a una maggiore o minore sphaera activitatis: così, un fuoco riscalda una certa porzione di aria, il magnete attrae il ferro, mentre i corpi celesti, più nobili, hanno una sfera di attività maggiore, ed esercitano la loro influenza sui corpi terrestri, ma sempre attraverso un mezzo103. Non sembra molto diverso considerare tale mezzo l’aria invece che lo spiritus mundi, ma Roberti non è affatto di questo avviso: egli contesta a Goclenius l’uso di termini dei quali non viene mai fornita una spiegazione, introdotti senza che poggino su argomentazioni razionali: lo spiritus mundi e la simpatia non sono altro che «rancidi deliri dei Platonici», basati sull’empia e perniciosa dottrina dell’animazione universale104. Oltre all’«unguentum cacodaemono-goclenianum», anche la virga metallaria, bifida come il forcone di Satana, è una superstizione o «idolatrica impostura» difesa da Goclenius, non meno Daemonolatra che Rhabdolatra105. Se talvolta qualcuno scopre, per suo mezzo, una miniera, deve essere per l’azione di quei «diabolici virunculi montani» di cui parla Agricola, e che Paracelso considera esseri creati da Dio, ma non progenitura di Adamo106. A Jean Roberti risponde Jean Baptiste van Helmont nel De magnetica vulnerum curatione (1621), pubblicato contro la volontà dell’autore – che ne attribuisce l’iniziativa al perfido gesuita – e «fonte per lui di numerosi guai» per l’attiva presenza dell’Inquisizione spagnola nei Paesi Bassi107. La premessa dell’argomentazione helmontiana è decisamente antiaristotelica: contrariamente a quanto pensava Aristotele, «qui totius naturae ignarus fuit», esiste un unico spirito che trasmette le azioni a distanza di qualunque genere, facendo colloquiare e compatire tutte le cose tra loro108. Il malocchio, la trasmissione delle voglie dalla madre al feto, la polvere di simpatia, composta di vetriolo, e l’unguento armario – fatto di sangue sano, che attrae e guarisce rapidamente quello del ferito – non sono effetti diabolici, ma fenomeni naturali resi possibili dallo spirito, o intermediario univer- 101 J. Roberti, op. cit., p. 168. Ivi, sectt. XI-XII e XV. 103 «Non potest physicum agens agere in extremum, quin prius agat in medium, cum omnis actio physica agat per contactum»: ivi, p. 171. Cfr. anche J. Roberti, Curationis magneticae et unguenti armarii magica impostura clare demonstrata, Luxemburgi, excudebat H. Reuland, 1621, § 12. 104 J. Roberti, Goclenius Heautontimorumenos cit., sect. XXIV, p. 295. 105 Ivi, sect. XVI, p. 185. 106 Ivi, pp. 202-203. 107 Cfr. il classico studio di W. Pagel, Joan Baptista van Helmont: Reformer of Science and Medicine, Cambridge, Cambridge University Press, 1982. Si vedano anche T. Griffero, Immagini contagiose cit., p. 24 e nota 27; cfr. soprattutto il § 4; M. A. Waddell, art. cit. Questo trattato helmontiano è invece poco analizzato da G. Giglioni, Immaginazione e malattia cit.. 108 J. B. van Helmont, Vis magnetica, in Ortus medicinae cit., p. 375a. 102 195 sale, modellato, per così dire, dalle idee, o intenzioni, di colui che applica tali rimedi109. L’interprete della natura deve essere il medico, non il teologo. I fenomeni magnetici non hanno nulla di superstizioso, né di diabolico: la novità sta soltanto nell’uso di un termine – «magnetismo», appunto – con il quale si vuole indicare l’antica e ben nota concinnitas di tutta la natura110. L’unguento armario guarisce le ferite a distanza, senza dolore né pericolo, senza parole, riti, caratteri, sigilli, cerimonie e altre «vane osservanze», perché Dio gli ha conferito una «vis naturalis, et mumialis»111, capace di risvegliare la torpida fantasia del sangue di una ferita. Le proprietà curative dell’unguento non dipendono, cioè, dalla fantasia di colui che lo prepara, ma dalla fantasia dei componenti stessi – oltre al sangue umano, sangue di toro, miele e semplici112. La replica di Roberti non tarda ad arrivare: che a cose materiali – come il sangue, gli umori, i cibi e gli escrementi – inerisca una phantasia, imaginatio, voluntas electiva o appetitus magicus gli sembrano incredibili «deliri» degli «pseudo-alchimisti», spiegabili soltanto con l’«invaghimento» di van Helmont per Paracelso, «monarcha arcanorum». Egli è convinto che In sanguine esse vim, et potestatem quandam extaticam: quae si quando ardenti desiderio excita fuerit, etiam ad absens aliquod obiectum, exterioris hominis spiritum, deducendo sit113. Attribuendo i poteri dell’unguento armario alla qualità occulta del magnetismo, van Helmont incorre in una petitio principii, dando per scontato ciò che deve dimostrare (cioè, il carattere non fittizio del magnetismo stesso) e finisce per spiegare obscurum per obscurius. La disputa teorica sulla possibilità di un’azione a distanza tende, a questo punto, a trasformarsi in uno scambio di accuse di empietà e di eresia: è empio, infatti, sia attribuire al diavolo un potere sulla natura, sia credere nell’animazione universale e nei poteri dell’immaginazione, annullando i miracoli, come fanno Paracelso, Goclenius e van Helmont, che hanno profanato sia la teologia, sia la medicina delle scuole114. Infatti, che bisogno può esserci ancora di reliquie, ove si possieda l’unguento armario115? Roberti afferma di aver sottoposto alcune proposizioni di Helmont e Paracelso al giudizio di illustri dottori e professori dell’università di Lovanio, che professano la «medicina cristiana», come Thomas Fienus (Feyens) e Martin Remy: ne è risultata un’unanime condanna. Nessuno può sensatamente asserire, e giustificatamente credere, che un tale, ferito in Polonia, sia curato in Olanda, semplicemente cospargendo di unguento la spada che l’ha ferito: «Pudet, et piget, Lectoris mei oculos, et aures his quisquiliis imbuere»116. 109 Id., De sympatheticis mediis, ivi, pp. 375-76. Id, De magnetica vulnerum curatione, ivi, pp. 454-75, §§ 7, 11, 72. 111 Ivi, §§ 13-15, p. 458a. 112 Ivi, §§ 159, 166, 173. Sulla «credulità» di van Helmont, e sulla cura magnetica delle ferite, cfr. L. Thorndike, History of Magic cit., vol. VII, cap.VIII; A. G. Debus, The Chemical Philosophy cit., vol. II, cap. V. 113 J. Roberti, Curationis magneticae et unguenti armarii magica impostura cit., § 12, p. 80. La citazione è tratta da J. B. van Helmont, De magnetica vulnerum curatione cit., § 80. 114 J. Roberti, Curationis magneticae et unguenti armarii magica impostura cit., §§ 5-7. 115 Era stato van Helmont a paragonare i poteri curativi dell’unguento armario a quelli delle reliquie, attirandosi la veemente condanna non soltanto dei gesuiti, ma anche delle facoltà di teologia e medicina delle università di Lovanio e Douai: cfr. M. A. Waddell, art. cit. 116 J. Roberti, Curationis magneticae cit., p. 80. 110 196 Si je voulois faire le catalogue de tous ceus qui se vantent d’avoir treuvé la pierre, et la poudre de projection, il me faudroit un plus gros livre que la Biblioteque de Gesnerus117. Il Padre Mersenne ha parole assai dure per quei ciarlatani, che «ont l’esprit remply de fantaisies et vuide de science», i quali ad ogni angolo di Parigi pretendono di saper guarire ogni genere di malattia, con l’«oro potabile» e con la poudre de projection. Dieci anni dopo la conclusione della disputa tra Roberti e van Helmont, ne inizia un’altra, meno nota, tra un oscuro curato di campagna inglese, William Foster (15911643), che rappresenta la tradizione aristotelica, e un membro autorevole, benché discusso, del Royal College of Physicians di Londra: Robert Fludd, che fu uno degli ultimi teorici dei «due mondi»118 ed ebbe grande fama sul continente, anche perché pubblicò le sue voluminose opere in Germania. La sua filosofia naturale, permeata di ermetismo, neoplatonismo e magia, non poteva non farne un ardente paladino dell’unguento armario, e un entusiastico difensore della naturalità dei suoi poteri. Nella sua Hoplocrisma-spongus: or, A sponge to wipe away the weapon-salve, pubblicata a Londra nel 1631, Foster muove a Fludd, e al suo preteso rimedio magnetico, le accuse di stregoneria e magia nera, già avanzate da Libavius e Roberti contro l’unguento armario, e da Marin Mersenne contro Robert Fludd119. Il nome stesso di Philippus Aureolus Bombastus Theophrastus Paracelsus, «the first inventer of this Magicall oyntment», suona come un’invocazione diabolica. Riproponendo un argomento di Libavius che sarà ripreso, tra gli altri, da James Hart, Daniel Sennert e Pierre Gassendi, Foster attribuisce inoltre la presunta efficacia di tale unguento alla costante e accurata detersione della ferita, sempre raccomandata dai teorici del balsamo come circostanza concomitante alla cura. Fludd risponde120 accusando Foster, che era figlio di un barbiere-chirurgo, di difendere gli interessi di quella corporazione, minacciati dal successo dell’unguento amario, e rivendicando l’efficacia e la naturalità di tale rimedio, il quale, lungi dall’essere uno strumento diabolico, è invece un dono di Dio. Come van Helmont, egli è convinto che nel sangue umano sia presente un potere spirituale simpatetico, uno spirito vitale e mumiale che deriva dalla distillazione dei raggi solari operata all’interno del corpo umano. Si tratta di effluvi celesti, eterei, astrali, più sottili dell’aria, che in ultima analisi coincidono con lo 117 M. Mersenne, La verité des sciences, Paris, chez Toussainct Du Bray, 1625, lib. I, cap. I, p. 3; cap.VII, p. 78; cap. VIII, pp. 100-101. Mersenne aveva preso nettamente posizione contro l’unguento armario, polemizzando con Oswald Croll, anche nelle Quaestiones celeberrimae in Genesim, Lutetiae Parisiorum, sumpt. Sebastiani Cramoisy, 1623, caput I, versiculus I, obiectio XXV, caput XX, coll. 565-66. 118 R. Fludd, Utriusque Cosmi, maioris scilicet et minoris, metaphysica, physica, atque technica historia, Oppenhemii, T. De Bry, 1617-21, 2 voll.: sulla filosofia naturale di Fludd, cfr. J. Godwin, Robert Fludd: Hermetic Philosopher and Surveyor of Two Worlds, Michigan, Grand Rapids, 1991; A. G. Debus, Robert Fludd and the Use of Gilbert’s «De magnete» cit. La disputa tra Foster e Fludd è analizzata anche da T. Griffero, Immagini contagiose cit., e da M. A. Waddell, art.cit. 119 Nelle Quaestiones celeberrimae in Genesim (1623), Mersenne rigetta, insieme al «sistema esplicativo» basato sulla simpatia e sull’antipatia, anche i poteri curativi all’unguento armario: cfr. T. Griffero, Immagini contagiose cit., p. 31, nota 65. Sulla disputa che oppose Mersenne a Fludd, cfr. A. G. Debus, Paracelso e la tradizione paracelsiana cit., cap. III e The Chemical Philosophy cit., vol. I, cap. IV. 120 R. Fludd, Dr. Fludd’s Answer unto M. Foster: or, The Squeezing of Parson Foster’s Sponge (London, 1631), ripubblicato in latino nel 1638, insieme alla Philosophia moysaica (Responsum ad hoplocrisma-spongum M. Fosteri Presbiteri, Goudae, excudebat Petrus Rammazenius, 1638). 197 Spirito di Dio, e sono responsabili della forza di attrazione magnetica121. Il sangue diviene, così, un rimedio magico, capace di attrarre e di essere attratto, anche a grandi distanze: quello presente su una spada tenderebbe, perciò, a ritornare alla sua fonte, portando con sé i benefìci del balsamo. Questa stessa teoria – rivestita di sistematicità scolastica – verrà espressa da Digby nei termini degli effluvi corpuscolari. Nella Philosophia moysaica (1638, postuma), Fludd offre un’ulteriore spiegazione dei poteri dell’unguento armario: in virtù di una transplantatio di spiriti animali dal sangue del ferito, rimasto sulla spada o sugli indumenti, all’unguento balsamico, quest’ultimo diviene animato e «magnetico»: gli «spiriti boreali» trapiantati nell’unguento vengono così attratti dagli «spiriti radiosi» australi provenienti dalla ferita. Questi spiriti mumiali si comportano, cioè, come un «director et ductor» della virtù magnetica dell’unguento, che viene perciò portato verso la ferita «ad quodvis intervallum»122. Il «magnetico consenso» ovvero la «continuità spirituale» rendono possibili i più svariati «trapianti» di malattie dalle «parti escrementizie» del corpo umano e animale (capelli, unghie, peli, frammenti di pelle), nelle quali sarebbe presente una «magnetica mumiae spiritualis virtus», alle piante, anch’esse ripiene di spirito magnetico. Ad esempio, un suo conoscente è stato guarito dall’ittero tramite la «sepoltura» della sua urina nelle ceneri di un frassino, e per giunta a cento miglia di distanza dal luogo in cui si trovava il malato. Le attrazioni di spiriti magnetici spiegano, infine, gli innesti123. Fludd non esita, come ho già detto, a invocare l’autorità di Gilbert, il padre fondatore della «scienza magnetica», che aveva tentato senza successo di preservarla da tentazioni e sconfinamenti nella sfera dell’occulto: probabilmente il De magnete non ebbe, nel Seicento, un lettore più attento di Fludd, che nella Philosophia moysaica citò quell’opera più di quaranta volte124; stabilì una duplice identità tra il rapporto che la terrella di Gilbert ha con la Terra e il rapporto che il microcosmo umano ha con il macrocosmo, o quello che il sangue ha con l’uomo; postulò una polarità tra le regioni «settentrionali» e quelle «equinoziali» del corpo umano; colse appieno l’ambiguità della teoria gilbertiana della forza magnetica come «forma astrale», reinterpretandola senza troppa difficoltà nei termini dell’ermetismo rinascimentale: «non est corporeum, quod defluit a magnete, aut quod ferrum ingreditur…, sed magnes magnetem forma primaria disponit»125. Non può sembrare strano o impossibile agli uomini saggi, che gli spiriti del sangue presenti nell’unguento e quelli della persona ferita si incontrino e si uniscano a grandi distanze per simpatia, dato che essi costituiscono un unico, continuo e indivisibile spirito quintessenziale126. Nel 1633, un altro medico era sceso in campo per difendere la tradizione aristotelicogalenica, minacciata dalle ansie helmontiane e fluddiane di riforma del sapere: si tratta di 121 L’unità dello spirito divino, macrocosmico e microcosmico era un grande tema della filosofia del Neoplatonismo rinascimentale: cfr. supra, parte I, cap. I, § 1. 122 R. Fludd, Philosophia moysaica, Goudae, excudebat Petrus Rammazenius, 1638, sect. II, lib. III, membrum I, cap.VI, foll. 135r.-146v. (142r.). 123 Ivi, sect. II, lib. III, membrum I, capp. III-V e VII. 124 Cfr. A. G. Debus, Robert Fludd and the use of Gilbert’s «De magnete» in the weapon-salve controversy cit. 125 R. Fludd, Philosophia moysaica cit., fol. 137r. Cfr. supra, parte I, cap. III, § 2. 126 Il passo, tratto dalla Philosophia moysaica, è riportato in T. Griffero, Immagini contagiose cit., p. 33, nota 75. Cfr. A. G. Debus, Robert Fludd and the use of Gilbert’s «De magnete» in the weapon-salve controversy cit. 198 James Hart. Egli rileva l’inconsistenza di un rimedio, come l’unguento armario, del quale autori diversi forniscono diverse ricette: Croll, ad esempio, non include tra gli ingredienti il sangue umano, che per Fludd, invece, è l’elemento essenziale. È vero che esistono azioni a distanza, come l’attrazione del ferro da parte del magnete; ma sono spiegabili con il contatto di «efflussi» o «emanazioni» materiali, che hanno un’estensione limitata127. Questo è anche il parere espresso, con dovizia di argomenti, da Daniel Sennert nella Practica medicinae (1635): per poter credere nei poteri magnetici del sangue, trasmessi all’unguento, occorrerebbe dare per scontata l’ipotesi, tutt’altro che dimostrata, dell’esistenza di uno spiritus mundi che veicoli il consenso universale. Inoltre, le presunte azioni a distanza possono avvenire o attraverso l’emissione di effluvi corpuscolari, oppure in virtù delle species o virtutes che emanano dalle sostanze corporee. Ora, l’unguento armario non può agire né «per effluvium corporeum», perché il moto dei corpuscoli non è regolare, ma disordinato, imprevedibile e incontrollabile, e quindi non potrebbe dirigersi verso la ferita – senza contare che, a grandi distanze, i corpuscoli finirebbero per disperdersi nell’aria (a flatu quocunque varie disperguntur) – e neppure «per speciem spiritalem». In quest’ultimo caso, infatti, occorrerebbe sia provare che l’unguento emette le specie, sia determinare l’estensione della sua sfera di attività, che è propria di tutti i corpi magnetici, ma non è mai infinita: è minima per i corpi sonori e massima per quelli lucidi, «hinc stellae omnium longissime et latissime lumen de se spargunt»128. Inoltre, vi sono ostacoli che possono interrompere ed arrestare quella vis che «orbiculariter diffunditur», come i corpi opachi si oppongono al passaggio della luce solare. La forza dell’unguento armario, «e pauxillo unguento et sanguinis tantillo», dovrebbe attraversare i muri, oltrepassare i monti, entrare infine nella stanza dove giace il ferito e penetrare le fasciature, per insinuarsi finalmente nella ferita. Questo è assurdo e incredibile, sia che si parli di corpuscula, sia che si parli di species129. Per dimostrare che né il sangue, né l’unguento sono corpi magnetici, Sennert sottolinea le differenze tra il comportamento di un magnete e quello dell’unguento: il primo agisce in modo uniforme, e direttamente sul ferro; del secondo esistono invece molte ricette, tra loro incompatibili; si presume, inoltre, che abbia effetti diversi – antidolorifici, disinfettanti, cicatrizzanti – su corpi diversi, che presentano diversi tipi di ferita; infine, viene applicato sull’arma che ha inferto la ferita, invece che direttamente ad essa. Quanto agli influssi astrali, invocati da Oswald Croll, non c’è nessuna prova né del fatto che le stelle guariscano le ferite, né che possano eventualmente comunicare tale potere all’unguento. In definitiva, è vero che gli ingredienti solitamente inclusi nella preparazione dell’unguento possiedono virtù curative, come il sangue, la mummia, l’usnea e il grasso umano, usati con successo dai medici. Di tali sostanze, però, si possono fare usi superstiziosi, come nel caso dell’unguento armario, o dei malefici delle streghe: «quae omnia superstitiosa sunt, quorum nulla ratio dari potest». Se talvolta l’unguento sembra guarire ferite che è stato impossibile curare naturalmente, bisogna sospettare un patto esplicito o implicito con il diavolo, che si intromette e si cela nelle azioni magnetiche: «atque actiones diabolicae ac magicae sub magneticarum actionum velo obvolvuntur et obtruduntur»130. 127 L’opera di J. Hart (KLINIKH, or The Diet of the Diseased, London, J. Beale, 1633) è analizzata da A. G. Debus, Robert Fludd and the use of Gilbert’s «De magnete» in the weapon-salve controversy cit. 128 D. Sennert, Practica medicinae cit., loc. cit., p. 400b. 129 Ivi, p. 401a. 130 Ivi, pp. 401b e 402a. 199 Passano ancora pochi anni, e un altro gesuita, Athanasius Kircher, torna da par suo sulle cure magnetiche, all’interno della più vasta e monumentale (tanto quanto non sistematica) riflessione dedicata al magnetismo nell’età moderna: si tratta dell’ormai più volte citato Magnes, sive de arte magnetica libri tres (1641). Come Roberti, prima di lui, e come Schott dopo, Kircher rifiuta l’unguento armario dell’«infame» Goclenius, e attacca la Philosophia moysaica di Fludd; i gesuiti si pronunciano, al solito, contro la possibilità dell’azione a distanza, invocando la filosofia di Aristotele, e fatta salva la «sfera di attività» dei corpi magnetici. Ma Kircher ha parole molto dure per quei medicamenti «pseudo-magnetici» che presumono di sanare il corpo, mentre perdono l’anima: si tratta di cure «fallaci, sospette e per nulla naturali», «riti superstiziosi» come quelli compiuti nelle conventicole di streghe, «esiziosi e satanici», «provenienti dalla scuola di un Demone». A differenza di Gilbert, Kircher ammette, però, gli usi medici del magnete e della limatura di ferro, purché vengano usati a contatto con il corpo131. A favore dell’efficacia dell’unguento armario si pronunciano, nel Seicento, oltre a Robert Fludd132, Francis Bacon nella Sylva sylvarum, Gassendi, Digby, Glanvill, Boyle, (quest’ultimo, con la consueta cautela), Frommann e Vallemont, che ne difende l’uso insieme a quello della baguette divinatoire133. Nel secolo successivo, François de SaintAndré è ancora convinto che le «guarigioni simpatiche», universalmente riconosciute, siano una prova dell’efficacia della polvere di simpatia134. Ma le ragioni alle quali i suddetti autori si appellano sono profondamente diverse: Fludd e Bacon chiamano infatti in causa gli spiriti, dotati di un’“estensione” e capaci, quindi, di attraversare fino a grandi distanze i corpi opachi. Da Gassendi in poi, invece, sono gli effluvi corpuscolari a spiegare i poteri curativi delle sostanze magnetiche: essi possono agire, però, solo a brevi distanze, perché si indeboliscono man mano che si diffondono nell’aria. Nel 1627, Bacon spiega le prodigiose guarigioni a distanza con la trasmissione di spiriti o «virtù immateriate»135. Afferma di avere avuto il «segreto» della composizione dell’unguento armario da un uomo «degnissimo di fede», che potrebbe essere stato Kenelm Digby: tra gli ingredienti ci sarebbero la polvere di ematite, la materia cerebrale presa dal cranio di un cadavere insepolto e il grasso di orsa. L’efficacia di tale rimedio, conformemente a una pregiudiziale antiastrologica molto radicata in Bacon, non può dipendere dalle costellazioni; la ferita deve essere accuratamente detersa e fasciata e la spada, una volta unta, deve essere coperta, in modo che nessuna sua parte risulti esposta al vento. L’unguento armario – come gli è stato riferito – ha successo anche con gli animali: Bacon se ne rallegra, perché così gli sarà più facile ripetere l’esperimento136. L’atteggiamento baconiano, ancora una volta137, è molto diverso da quello di van Helmont: la sua fiducia, infatti, è sempre subordinata alla possibilità del controllo empirico. 131 A. Kircher, Magnes cit., lib. I, pars I, cap. VI; lib. III, pars VII, capp. I-II, p.782. Cfr., oltre ai luoghi già citati della Philosophia moysaica, Anatomiae amphitheatrum, Francofurti, T. de Bry, 1623, sect. I, port. III, pt. III, lib. II, cap. IX, pp. 236-39. 133 P. Le Lorrain de Vallemont, Physique occulte cit., cap. IX, pp. 184 sgg. 134 F. de Saint-André, Lettres cit., «Troisième Lettre sur les malefices», p.181; «Sixième Lettre sur les malefices». 135 F. Bacon Sylva cit., cent. X, §§ 911, 998. 136 Sull’importanza degli esperimenti sugli animali per la medicina seicentesca, cfr. M. Baldwin, The Snakestone Experiments cit., p. 414. 137 Cfr. supra, parte I, cap. II, § 2. 132 200 È significativo che il trattato helmontiano sia stato tradotto in inglese nel 1650 dal medico Walter Charleton, che ebbe anche il merito di introdurre la filosofia gassendiana in Inghilterra. Nella Physiologia epicuro-gassendo-charltoniana (1654), Charleton rifiuta l’unguento armario di Helmont e la polvere simpatetica di Digby, pur muovendosi, come è stato osservato, all’interno del medesimo paradigma atomistico di quest’ultimo138. Gassendi ricorda di averne discusso con Helmont, che prendeva le parti di Goclenius, già morto. Egli ribadisce il rifiuto delle azioni a distanza, ma, non diversamente da Sennert, prima di lui, e da Boyle più tardi139, tende ad accettare un «magnetismo naturale, di breve raggio e possibile solo in assenza di ostacoli», distinguendolo da un «magnetismo occulto» – che rientrava, per Sennert, nella magia nera140. Il filosofo francese fa, infatti, la pericolosa ammissione che gli spiriti astringenti e cicatrizzanti presenti nella polvere di vetriolo possano estendere la propria energia a una distanza di «poche dita»: «quod superest, videtur res mere fabulosa habenda». Come al solito, il paradigma degli effluvi è compatibile con l’attrazione a distanza, purché questa sia breve, dato che il principio «nihil agere in rem distantem» è considerato «perspicuo» da Gassendi. E certuni sognano l’anima del mondo, che, ovunque diffusa, espanda il potere dell’unguento, efficace nel luogo in cui si trova, a un’enorme distanza dalla ferita141. Occorre, inoltre, un mediatore tra la ferita e l’unguento: un «halitus insensibilis», simile alla scia di fumo lasciata da un «tizzone fumante». Una similitudine sopperisce, ancora una volta, alle ambiguità della teoria. Nel primo dei due trattati dedicati ai corpi e all’anima, pubblicati nel 1644, Kenelm Digby, a differenza di Bacon, si dice totalmente propenso a credere alle cure magnetiche: non si possono mettere in dubbio la «prudenza» e la «sincerità» di tanti testimoni, compreso lui stesso. Purché nella spada siano rimasti gli «aliti» o «spiriti» introdottisi nei suoi pori dal sangue del ferito, l’unguento armario avrà successo; analogamente, una malattia si può «trapiantare» dal corpo dell’uomo a quello degli animali, o da questi ai vegetali. Ad esempio, il tumore ai piedi delle vacche si può curare «trasferendolo» alle zolle di erba calpestate dall’animale, successivamente appese al suo recinto; l’erba persicaria, sfregata sulle verruche, le fa sparire man mano che si consuma142. Nello stesso anno in cui venne pubblicata (postuma) la Physica di Gassendi, uscì a Parigi il Discours touchant la guérison des plaies par la poudre de sympathie, pronunciato da Digby l’anno precedente a Montpellier, di fronte a una «celebre assemblea» di medici, matematici, teologi e «virtuosi»143. L’opera, subito tradotta in inglese, e successivamente 138 T. Griffero, Immagini contagiose cit., p. 30, nota 61. Cfr. supra, parte I, cap. IV, § 2. 140 T. Griffero, Immagini contagiose cit., p. 32. 141 P. Gassendi, Physica cit., sect. I, lib. VI, cap. 14, p. 456 b: «Et somniant quidem animam Mundi, quae quoquoversum diffusa vim unguenti, quae heic viguerit, ad milliare centesimum, qua vulnus erit, exprimat». 142 K. Digby, Of bodies cit., cap. XVIII, § 9. 143 Id., La polvere di simpatia (a cura di A. M. Rubino), Palermo, Sellerio, 1991, «Introduzione», nota 20. Alcune citazioni sono state parzialmente modificate dopo il confronto con il Discours fait en un celebre assemblée touchant la guerison des playes et la composition de la poudre de sympathie, Autrecht, chez Rudolphe van Zyll, 1681. 139 201 anche in latino, tedesco e olandese, ebbe molte edizioni seicentesche: il suo successo «si prolungò fino alla prima metà del Settecento»144. La prodigiosa guarigione, citata da Digby come esemplare, è quella di James Howell, letterato e storiografo, segretario del Duca di Buckingham, ferito a una mano mentre cercava di separare due suoi amici, che si stavano battendo in duello, e guarito da Digby stesso grazie alla polvere di simpatia, applicata alle sue fasciature. Il segreto della composizione e dell’uso di quel rimedio gli era stato rivelato, a Firenze, da un frate carmelitano di ritorno dalla Cina e dalle Indie: non spontaneamente, ma in cambio di un «grande favore». Digby si decide a parlarne soltanto quando, dopo essere stato da lui stesso rivelato al re Giacomo I, il cui medico lo ha poi scoperto, quell’antico segreto ha finito per diventare patrimonio di qualunque «barbiere di provincia». Egli vuole essere il primo ad enunciarne chiaramente e sistematicamente le cause, allo scopo di togliergli quell’alone di mistero che lo ha reso sospetto di magia nera. L’esposizione, che Digby pretende di condurre more geometrico, poggia su sette princìpi: il primo – ben noto ai filosofi antichi – è l’onnipresenza della luce o calore, una materia eterea sottile universalmente diffusa nell’atmosfera, e capace di «staccare», urtando a grande velocità le superfici dei corpi, qualche piccola particella. Il fatto che Digby le chiami anche «atomi» non gli impedisce di considerarle composte dei quattro elementi; la luce si «attacca» alle parti più umide e viscose, e le trasporta con sé a grandi distanze: il vento che soffia e va da ogni parte non è altro che un gran fiume di simili atomi. […] I venti, quindi, risentono sempre dei luoghi da cui provengono: così, se soffiano da Mezzogiorno sono caldi, se da terra secchi, se dal mare, umidi; se soffiano dai luoghi che producono sostanze odorifere, sono profumati, sani e gradevoli, […] quelli che spirano da luoghi infetti sono portatori di contagio.145 Di conseguenza, l’aria è piena dappertutto di questi corpuscoli o atomi; in altri termini, quella che chiamiamo aria non è altro che un miscuglio e una congerie di tali atomi, dove le particelle aeree prevalgono146. Nel periodo di tempo che intercorre tra Tommaso Campanella e Robert Boyle, la dottrina, neoplatonica e magica, della presenza dello spirito (o degli spiriti) nell’aria si trasforma nella teoria corpuscolaristica dei «venti», o degli «effluvi», per confluire infine nella teoria «scientifica» della natura composita dell’aria, concepita come un fluido elastico. Tra i numerosi esempi che fa Digby, ci sono un olio di tartaro che profuma intensamente di rose, ma solo nella stagione in cui esse fioriscono, e l’inquinamento di Londra, dove l’aria «fuligginosa», satura dei fumi di carbon fossile, «rovina le tappezzerie, i letti ed altri mobili pregiati che abbiano un bel colore chiaro»; sporca i polsini, in un solo giorno, più che in dieci giorni trascorsi in campagna, e rende i londinesi «soggetti alle infiammazioni e alle ulcerazioni polmonari»147, tanto che un abitante di Londra su due finisce per morire di tisi. Per rendere più perspicuo il principio della composizione dell’aria, Digby 144 Ivi, p. 25. Ivi, pp. 57, 65-66. 146 Ivi, p. 66. 147 Ivi, pp. 69-70. 145 202 raccomanda l’esperienza dello specchio che raccolga i raggi lunari: al contrario di quanto accade in uno specchio ustorio, vi si forma «una sostanza acquosa, viscida e appiccicosa»; sostituendo allo specchio una lucida bacinella d’argento, ci si potranno addirittura lavare le mani con i raggi di luna riflessi. Come tutti i teorici degli effluvi, Digby si chiede come mai le sostanze che li emettono di continuo non «diminuiscano», e dà una risposta inedita, introducendo una contaminatio cartesiana alla quale, coerentemente, nessuno era ricorso, né ricorrerà più dopo di lui: il principio della divisibilità infinita dei corpi, per la quale essi non si consumano, pur emanando di continuo particelle. A questo punto, la spiegazione dei mirabili effetti della polvere di simpatia è facile: tutti i corpi caldi attraggono l’aria circostante – ciò che spiega, tra l’altro, perché «il grande Ippocrate» potesse liberare dalla peste un’intera regione, «facendo accendere ovunque dei gran fuochi»148; inoltre, l’attrazione è maggiore, ove nell’aria siano presenti particelle dello stesso genere del corpo caldo che attrae l’aria stessa. Ora, il sangue è un corpo caldo, capace di attrarre l’aria circostante: quindi, il sangue di una ferita attrarrà con forza l’aria, nella quale siano presenti particelle di quello stesso sangue, emanate da un panno, o da una spada, di esso intrise, insieme alle particelle balsamiche di vetriolo, che potranno infine curare con successo la ferita. Quello che fa difetto – e Digby se ne rende conto – sono i fondamenti dei princìpi stessi: se per argomentare l’infinita divisibilità dei corpi era ricorso alle dimostrazioni di Euclide, oltre che alle esperienze dei battiloro, Digby non trova poi di meglio che spiegare l’attrazione dell’aria da parte dei corpi ignei con la naturale unione dell’umido e del secco, e l’affinità delle particelle congeneri con l’incastro di determinate forme nei pori ad esse congruenti: l’autore al quale si richiama è, ancora una volta, Gassendi. Le esperienze elencate per suffragare la teoria sono quelle ormai consuete: il vino si agita e fermenta nelle botti nel periodo di fioritura delle viti; il veleno presente nel morso di una vipera, o di uno scorpione, può essere, per così dire, risucchiato da uno scorpione morto, o da una testa di vipera schiacciata, applicati al morso stesso; in caso di peste, è consigliabile portare addosso polvere di rospo, oppure il rospo stesso, o dell’arsenico; chi ha l’alito cattivo, invece, dovrebbe sostare a bocca spalancata davanti a una latrina, perché il simile attrae il simile, e il più il meno. Digby poteva apparire a ragione un personaggio «contraddittorio»: allievo oxoniense, spadaccino e corsaro, realista e probabile spia al servizio di Cromwell, alchimista e sperimentatore nei campi della botanica, dell’embriologia, della chimica e dell’ottica, egli fu tra i fondatori della Royal Society; passò dalla religione cattolica a quella protestante, per tornare infine al cattolicesimo; viaggiò a lungo in Europa, fu considerato un interlocutore da illustri contemporanei, come Bacon e Descartes, Gassendi e Hobbes, Gilbert e William Harvey. Non meno contraddittorie risultano le sue dottrine: le particelle – composte come quelle di Sennert, eppure chiamate atomi – vengono chiamate anche spiriti; dopo aver analizzato a lungo i diversi generi di attrazione, Digby finisce per concludere che ogni tipo di causalità in natura prevede il contatto dei corpi, sia pure invisibili, e utilizza la metafora dell’orologio: ritiene, insomma, di poter mescolare impunemente il corpuscolarismo meccanicistico cartesiano con quello qualitativo, che era stato di Gassendi e che sarà di Boyle. Eppure, per quanto deboli e inconsistenti 148 Ivi, p. 89. 203 appaiano oggi, gli argomenti di Digby dovettero apparire molto convincenti ai suoi contemporanei. Nel 1661 Glanvill scriveva: The Sympathetick medicine is for matter of fact put out of doubt by the noble Sir K. Digby, and the proof he gives in his ingenious discourse on the subject, is unexceptionable149. Glanvill individua lucidamente, come si è detto, le alternative teoriche presenti nel suo tempo: da un lato, l’ipotesi neoplatonica dell’anima mundi «lately reviv’d by that incomparable Platonist and Cartesian, Dr. H. More»150; dall’altro lato, la teoria «meccanicistica» degli effluvi atomici di Gassendi, Digby e Boyle. La prima gli appare più «disperata»; la seconda più «ingenua», cioè aperta alla valutazione e suscettibile di esame, nell’accezione positiva che Glanvill dà a quel termine151: ma la scelta tra l’una e l’altra ipotesi è impossibile, dato il suo empirismo scettico. A un’analoga cautela è improntato l’atteggiamento di Boyle riguardo alle cure magnetiche, che alcuni reputano «favolose e magiche»; vi sono, però, numerose e autorevoli testimonianze dell’utilità di tali rimedi. Non soltanto medici e filosofi come Paracelso, Helmont e Goclenius li hanno energicamente difesi: un «onestissimo gentiluomo» e noto studioso ha smesso di soffrire per un’ulcera alla vescica dopo aver applicato, su consiglio dello stesso Boyle, la polvere di simpatia alla materia ulcerosa evacuata con l’urina; una donna di elevata condizione sociale, sua parente, «aliena da ogni superstizione» (very far from credulous), è guarita dall’ittero con una polvere simpatica fatta di cenere e urina; il figlio di un vasaio trapiantò la scrofola, di cui soffriva, al suo cane, facendosi leccare le piaghe. È vero che i rimedi simpatici non hanno sempre successo; ma è anche vero che, a differenza delle cure tradizionali, non possono comunque nuocere152. Il medico Saint-Romain, di simpatie gassendiane, non dubita che le esalazioni corpuscolari possano spiegare anche le prodigiose cure magnetiche153; il gesuita Lana Terzi assume invece una posizione ambigua. Nel secondo volume del suo Magisterium naturae et artis, pubblicato nel 1686, egli dà la ricetta della polvere di simpatia «capace di sanare le ferite, arrestare il flusso del sangue e calmare altri dolori»: la sua efficacia risiederebbe negli effluvi di vetriolo, «neque ulla intercedit superstitio, aut pactum cum Demone»154. Ma nel terzo volume della stessa opera, uscito postumo sei anni dopo, il «celebre esperimento dell’unguento armario e della polvere simpatica» viene rigettato come falso155, all’interno di un’amplissima analisi degli effetti della simpatia e dell’antipatia, che pure non discrimina affatto, nel suo complesso, le cure a distanza. Il medico tedesco Johann Christian Frommann esamina e rigetta tutte le ipotesi avanzate per spiegare la transplantatio e le altre cure magnetiche: la loro efficacia non può dipendere né dagli «esigui» effluvi, che – come aveva rilevato Sennert – si muovono disordinatamente e si mescolano nell’aria, senza seguire una direzione precisa; né dai «fer- 149 J. Glanvill, The Vanity cit., cap. XXI, p. 207. Ivi, cap. XX, p. 199; cfr. supra, parte I, cap. IV, § 4. 151 Ivi, p. 208. 152 R. Boyle, Usefulness of Experimental Natural Philosophy cit., pt. II, sec. I, essay V, cap. XI, in The Works cit., vol. II, pp. 164-68. 153 G. B. de Saint-Romain, Physica cit., pars I, capp. VI e VIII. 154 F. Lana Terzi, Magisterium cit., vol. II, tract. IV, lib. II, cap. III, art. XI, p. 76. 155 Ivi, vol. III, lib. XXIV, cap. I, 4. 150 204 menti», princìpi formali, seminali o spiriti vitali di Helmont e Rattray; né dal diavolo o dalla magia. Nelle cure magnetiche, infatti, non c’è nulla di «superstizioso»: è vero che le loro cause fisiche sono sconosciute, e incapaci di produrre i propri effetti «solide, et apodictice», ma, sulla base dell’analogia con i molti fenomeni della simpatia, è lecito concludere che si tratta comunque di effetti naturali. La loro causa più probabile è lo «spiritus Universi», responsabile di quel «consensus microcosmi cum macrocosmo», nel quale può rientrare ogni genere di azione a distanza. Tale spirito, però, può essere indagato soltanto a posteriori, dal momento che «eius essentiam manifestam reddere ratio humana nequit»156. Da un lato, Frommann rivendica la naturalità delle cure magnetiche; dall’altro lato, invita i medici a non abusarne, per non creare scandalo e non danneggiare la propria reputazione: lui stesso confessa di avervi fatto ricorso appena tre volte, in venti anni di esercizio della professione. Per Vallemont, che fa propria la posizione di Frommann, le «furiose dispute» sull’unguento armario hanno dimostrato due cose: innanzitutto, che i filosofi hanno in corpo «della bile, oltre che del flegma». In secondo luogo, che i negatori più «sfrenati» dell’unguento armario erano ignari di filosofia corpuscolare: i corpuscoli, infatti, sono «quei piccoli agenti invisibili, attraverso i quali la natura compie i suoi miracoli»157. 156 J. C. Frommann, «Quaestio unica: An transplantatio morborum ex uno subjecto in aliud sit magica?», §§ 63-69, 72, 79, 90, in Tractatus de fascinatione cit., vol. II, lib. III, pp. 1035, 1040, 1045. 157 P. Le Lorrain de Vallemont, La physique occulte cit., cap. IX, pp. 194 e 199. Cfr. J. C. Frommann, «Quaestio unica» cit., § 91, p. 1046. 205 206 CAPITOLO SECONDO LA FASCINATIO E IL MAGNETISMO DELL’IMMAGINAZIONE L’immaginazione non è altro che un magnete. (Paracelso, De virtute imaginativa) Natura maga est, et per phantasiam suam agit. (J. B. van Helmont, De magnetica vulnerum curatione) 1. Species, tracce, spiriti e raggi: fisiologia e magia dell’immaginazione Molto è stato scritto sull’ambiguità ontologica e sulla peculiarità gnoseologica dell’imaginatio: da Aristotele1 a Kant, l’immaginazione è stata considerata una facoltà conoscitiva insieme attiva e passiva, intermedia tra la sensibilità e l’intelletto, tra l’oggetto e il soggetto, tra il particolare e l’universale, tra la molteplicità e l’unità, insomma, tra il corpo e l’anima. «Haec utique omnes actiones animae fingit et exprimit, atque externas accommodat intimis», secondo il medico cinquecentesco Johann Weyer; «ministra et cognitrix eorum, quae ad totum pertinent», nella definizione di Fracastoro, l’immaginazione è proteiforme e camaleontica come Satana stesso, che infatti su di essa esercita in modo eminente i suoi poteri2. Essa «rende possibile il passaggio dal cielo alla terra, dal pensiero all’estensione», in virtù di un «terzo genere» di esseri, «mediano rispetto alle idee e alle cose generate», la cui ricerca è «in qualche modo il più grande affare della filosofia»3. Non è questo il luogo per soffermarsi sulle diverse teorie gnoseologiche dell'immaginazione, né sulle differenze di significato tra phantasia e imaginatio: la prima viene solitamente considerata una facoltà che rielabora i dati dei sensi, in loro assenza; la seconda avrebbe invece il compito essenziale di conservare le tracce o forme impresse dai sensi esterni sul sensus communis cerebrale. La fantasia, pertanto, sarebbe maggiormente incline all’irrealtà, alla rêverie, sia in senso negativo – in quanto facoltà illusoria e ingannatrice – sia in senso positivo, in quanto facoltà creatrice del nuovo attraverso la scoperta di inediti rapporti tra le cose. L’immaginazione, invece, da un lato è legata alla memoria, e quindi è passiva ritenzione di immagini in assenza degli oggetti che le hanno prodotte, dall’altro è una facoltà attiva, in quanto è capace di riprodurre ciò che in essa i sensi hanno inscritto: le tracce, che, in quanto prive di materia, sono, al tempo stesso, sia un sistema di ritenzione del passato, sia un «sistema di riflessione sempre vergine» e 1 De anima, III, 3 (Dell’anima, trad. di R. Laurenti, in Opere, Roma-Bari, Laterza, 1973, vol. IV). J. Weyer, De praestigiis daemonum cit., lib. II, cap. VIII, p. 183; l’asserita natura proteiforme dell’immaginazione è una citazione ficiniana; G. Fracastoro, De sympathia cit., cap. XVI. 3 Cfr. M. Ferraris, L’immaginazione, Bologna, il Mulino, 1996, p. 28; N. Panichi, Introduzione, in M. de Montaigne, L’immaginazione (a cura di N. Panichi), Firenze, Olschki, 2000, p. VIII; E. Garin, Phantasia e imaginatio fra Marsilio Ficino e Pietro Pomponazzi, in M. Fattori, M. Bianchi (a cura di), Phantasia–imaginatio, Roma, Ed. dell’Ateneo, 1988, pp. 3-20; F. Piro, Il retore interno cit. 2 207 proiettato verso il futuro4. La follia, secondo Paracelso, è generata dalla phantasia, mentre l’imaginatio produce effetti reali5. È importante, invece, per l’analisi degli aspetti magici dell’immaginazione, evidenziare preliminarmente il peculiare, duplice rapporto che la lega alla visione, dalla quale riceve, e alla quale trasmette, le species. Esiste, infatti, un aspetto della facoltà visiva che è stato solitamente trascurato dagli studiosi di ottica e dagli storici della scienza che si sono occupati di teorie della visione: quello dell’oculus fascinans, cioè dell’occhio che, stimolato da qualche potente affetto, agisce sulla realtà invece di limitarsi a conoscerla. Tale aspetto – uno dei più rilevanti tra i fenomeni «magnetici» dell’immaginazione – era presente nella tradizione medievale della perspectiva, dominata dalla teoria delle species intese sia come raggi, sia come virtù attive, capaci di produrre la generazione e la corruzione dei corpi6: «actio autem cuiusque rei elementaris radiis suis facta aut exercetur in coniunctum localiter, aut in separatum»7. Al-Kindı̄, Alhazen e il suo contemporaneo Avicenna si pongono alle origini sia della lunga tradizione ottico-gnoseologica della perspectiva, o teoria della visione diretta, sia dell’altrettanto lungo dibattito sul fascino, o malocchio, o oculus malus – espressione che si applica, secondo Francis Bacon, sia all’amore, sia all’invidia8: quella tradizione e quel dibattito arrivano fino al Settecento, si fondano sulle stesse opere (il De radiis di al-Kindı̄, il De aspectibus o Perspectiva di Alhazen, il De anima di Avicenna) e muovono da un identico principio, secondo il quale tutto ciò che esiste nel mondo elementale emette raggi in ogni direzione, come una stella. Da questo principio, al-Kindı̄ e Avicenna derivano la teoria magica dell’actio in distans e dell’immaginazione transitiva; Alhazen ne ricava la dottrina ottico-geometrica della «piramide radiosa» che ha la base nell’oggetto visto e il vertice nel centro dell’occhio. Le diverse teorie hanno in comune, ad esempio, il riconoscimento alla vista di un primato che è, insieme, gnoseologico e operativo (perché dall’occhio soprattutto escono i raggi salutari o perniciosi, veicoli di amore o di odio), e l’assioma secondo il quale l’azione più forte è esercitata dai raggi che vanno «dal centro della stella al centro della terra»9, ovvero da quel raggio centrale che è l’asse della piramide ottica, il quale attraversa l’oggetto, le tuniche e gli umori dell’occhio, garantendo, da un punto di vista gnoseologico, l’oggettività assoluta, e da un punto di vista pratico un’azione più efficace. L’occhio, «rex sensuum et animae familiarissimus», «alter animus»10, ci fa conoscere e al tempo stesso ci inganna, fornisce all’immaginazione il materiale per le sue costruzioni e alla fantasia le sue parvenze irreali; è il senso conoscitivo e illusorio per eccellenza, proprio in virtù del suo strettissimo legame con l’immaginazione o fantasia – termine che, 4 Cfr. M. Ferraris, L’immaginazione cit., pp. 29, 37; E. Grassi, Potenza della fantasia (a cura di C. Gentili), Napoli, Guida, 1990 (prima ed. tedesca 1979). Ma M. Fattori (Prefazione, in Phantasia cit.) sostiene esattamente il contrario: passiva sarebbe la fantasia, facoltà legata alla sensibilità e alla memoria, e quindi riproduttiva, mentre l’immaginazione, legata alla volontà, sarebbe una facoltà eminentemente attiva. 5 Paracelso, De virtute imaginativa. Frammento (a cura di T. Griffero), «Rivista di estetica», n. s., XXXVII, 1997, n. 4, pp. 105-117; T. Griffero, Immagini attive cit., cap. 3, § 1. 6 Cfr. supra, pt. I, cap. I, § 1. 7 Al-Kindı̄, De radiis cit., p. 225. 8 F. Bacon, Sylva sylvarum cit., X, p. 574. 9 Al-Kindı̄, De radiis cit., p. 219. 10 L. Vairo, De fascino, Venetiis, apud Aldum, 1589, lib. I, cap. III. 208 secondo Aristotele, sarebbe derivato da phaos, o luce11. Al tempo stesso, l’occhio può ricevere, dall’immaginazione, species cariche di intenzioni (intentio è un termine tecnico della perspectiva medievale), di passioni dell’animo, fortemente volute o desiderate: accade, così, che «fortis imaginatio generat casum» – come afferma Montaigne12, esprimendo un luogo comune cinquecentesco: gli occhi fungono, in questo caso, da «ministri dell’anima»13. A partire dal Rinascimento, l’imaginatio è stata strettamente correlata allo spiritus – un termine, come si è cercato di mostrare, non meno ambiguo, o ricco di significati. Anche il rapporto degli spiriti con la facoltà dell’immaginazione è duplice: da un lato, gli spiriti animali, a partire da Galeno, spiegano la sensazione e il movimento e, dopo Descartes, sono anche gli strumenti fisiologici dell’immaginazione e della memoria. Con il flusso degli spiriti animali che escono dalla ghiandola pineale si spiegano, infatti, le «specie» o «tracce» mnestiche, ovvero le «idee» dell’immaginazione, «pieghe» attuali o potenziali della sostanza cerebrale, fibrosa e filamentosa14. Il modello fisiologico cartesiano ebbe un grande successo nel Seicento: ad esso aderirono filosofi come Gassendi, Spinoza e Malebranche (che chiamò phantasmata le tracce cerebrali), studiosi di ottica come Emmanuel Maignan e medici come Thomas Willis e Michael Ettmüller. Kenelm Digby combinò quel modello dominante con la concezione democritea, epicurea e lucreziana delle species atomiche, effluvi o aporroviai emessi dagli oggetti, per esporre una teoria materialistica della sensazione, dell’immaginazione e della memoria. Dopo essere passati attraverso i sensi, i corpuscoli che costituiscono le species materiali formano idee o immagini che riproducono, in piccolo, gli oggetti dai quali provengono. Quindi, essi «rimbalzano» nelle parti interne del cervello, finché non trovano una «cellula» vuota. A quel punto, vi si insediano, e lì restano «nascosti» nel magazzino dlla memoria, fino a quando non vengono “stanati” dagli spiriti animali, che riempiono con il loro vapore le cavità cerebrali15. C’è, però, un altro tipo di rapporto tra lo spirito e l’immaginazione, che non presuppone né fonda teorie fisiologiche, ed è legato al significato di spirito come raggio, presente in testi fondamentali per la dottrina dei poteri magici o «magnetici» dell’immaginazione, come il De radiis di al-Kindı̄ e il De anima di Avicenna16. Lo spirito del mondo, attraverso i raggi delle stelle, agisce sullo spirito dell’uomo e, quindi, sulla sua immaginazione – che, essendo una facoltà inferiore dell’anima, è suscettibile di ricevere le influenze astrali17. A sua volta, l’imaginatio «vires suos inferiori mundo communicat, ad imitationem ipsius 11 Aristotele, Dell’anima, 428b, in Opere cit. Cfr. anche Giovanfrancesco Pico della Mirandola, De imaginatione liber (prima ed. 1505), in Opera omnia, Basileae, ex officina Henricpetrina, 1573, vol. II, cap. I. 12 M. de Montaigne, L’immaginazione cit., p. 37. 13 L. Vairo, De fascino cit., loc. cit. 14 Si vedano R. Descartes, L’uomo, in Opere ( a cura di G. Cantelli), Milano, Mondadori, 1986, pp. 125 sgg., e le lettere a Meyssonnier del 29 gennaio 1640 e a Mersenne del 1 aprile, 11 giugno e 6 agosto dello stesso anno (in AT, vol. III). Cfr., su questi temi, S. Parigi, Cose viste e cose ricordate: metafore della memoria da Cartesio a Locke, «Montag»: La natura della visione, n. 2 (1997), pp. 143-58. 15 K. Digby, Of Bodies cit., cap. XXXIII; La polvere di simpatia cit., pp. 106 sgg. 16 Cfr. supra, pt. I, cap. I, § 1. 17 Cfr. R. Klibansky, E. Panofsky, F. Saxl, Saturno e la melanconia, Torino, Einaudi, 1983, parte III, cap. II. 209 Dei»18; lo spirito è lo strumento di cui l’immaginazione si serve per agire sul corpo, è il mezzo materiale di una facoltà dell’anima localizzata nel cervello. Questo corpo sottile proveniente dai luoghi cerebrali dell’immaginazione, «currus et navis phantasiarum»19, saetta i suoi raggi preferibilmente attraverso gli occhi, «come per finestre di vetro», secondo Marsilio Ficino20. Sull’immaginazione, facoltà intermedia e mediatrice per eccellenza, come si è detto, agiscono spiriti di ogni specie: quelli animali, lasciandovi «tracce» più o meno metaforiche; lo spiritus mundi, tramite i raggi astrali; lo spirito presente nel corpo umano come suo principio attivo e vitale – che agisce, appunto, come strumento dell’immaginazione, essendo il mezzo attraverso il quale l’anima comunica con il corpo, e il corpo con l’anima. Sull’immaginazione, facoltà localizzata nel cervello, e quindi in qualche modo corporea, agiscono anche gli spiriti benigni o, più spesso, maligni: il diavolo ha su di essa il massimo potere, e per il suo tramite s’impossessa degli uomini, producendo effetti nefasti. Come il demonio, infatti, l’immaginazione è illusoria e cangiante: alla deceptrix imaginatio devono essere attribuiti gli errori nei giudizi percettivi (soprattutto quelli legati alla visione) e nello stesso tempo i peccati; essa cambia nei diversi uomini e nello stesso uomo in tempi diversi. Perciò la varietà delle cose immaginate dipende, oltre a Dio, che è la causa di tutte le cose, dal temperamento del corpo, dall’impressione delle cose percepite con il senso, dal libero arbitrio, nonché dal ministero degli angeli buoni e cattivi21. L’immaginazione, insomma, ci inganna (fallit) per le stesse ragioni per le quali muta (variat); è sempre in balia degli spiriti, in tutte le accezioni nelle quali questo termine viene usato nel Rinascimento22. Tra gli spiriti più efficaci e pericolosi ci sono quelli che, provenienti da un cervello «surriscaldato» per la presenza di un’immagine capace di generare forti affetti dell’animo, escono dagli occhi, veicolando intenzioni benefiche o malvagie. È opportuno notare, ancora una volta, che quelle che sembrano metafore in realtà non lo sono: infatti, in tutti i casi di «delirio» – che si manifesti come fanatismo o malinconia, amore o odio, tarantismo, possessione diabolica, «visioni» e apparizioni di spettri o vampiri, fascino e malocchio – il cuore e il cervello sono invasi da vapori, o spiriti caldi, che sono insieme la causa e l’effetto del déreglement dell’immaginazione (per usare una fortunata espressione usata nel 1725 dal medico François de Saint-André, e ripresa da Ludovico Antonio Muratori23). Nelle pagine che seguiranno, tralascerò del tutto il dibattito fisiologico e gnoseologico relativo alla visione e all’immaginazione, per concentrarmi esclusivamente sul rapporto che tali facoltà ebbero con gli spiriti prima, e con gli effluvi corpuscolari poi. Le 18 Giovanfrancesco Pico, De imaginatione cit., p. 133. E. Garin, Phantasia e imaginatio cit. 20 M. Ficino, Sopra lo amore (1543), a cura di G. Rensi, Milano, SE, 1998, pp. 142-43. 21 Giovanfrancesco Pico, De imaginatione cit., p. 140: «imaginationum itaque varietas, praeter Deum rerum omnium causam, ab ipsa corporis temperatura, a rebus sensu perceptis, quibus afficimur, ab arbitrio nostro, a bonorum malorumque angelorum ministerio dependet». 22 Cfr. supra, pt. I, cap. I, §§ 1-2. 23 Cfr. infra, cap. III. 19 210 domande, alle quali teologi e medici, filosofi aristotelici e neoplatonici, maghi e demonologi cercano di fornire delle risposte sono: l’immaginazione è capace di agire a distanza, sul proprio corpo o su quelli altrui? E se lo è, di quali mezzi si serve e quali effetti produce? Quanto è ampia la sua sphaera activitatis? La tipologia delle risposte, come si vedrà, ricalca gli schemi più volte incontrati e analizzati nel dibattito sul magnetismo nella natura. 2. Gli spiriti e l’ ottica: le origini del dibattito sull’oculus fascinans Tra tutte le possibili forme di fascinatio, quella operata dall’occhio è stata una delle più indagate da filosofi, medici e teologi, dall’età di Marsilio Ficino fino al Settecento, quando la dottrina rinascimentale dell’oculus fascinans rinacque, negli ambienti illuministici napoletani, come un’ideologia della jettatura. Basta prendere in mano la Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura del giurista Nicola Valletta (1787) per convincersi, dalla varietà e dalla ricchezza dei riferimenti bibliografici, che in quell’opera, malgrado la veste scherzosa, confluiva una nobile e antica tradizione filosofica, e che quel termine popolare napoletano, come proclamato dal titolo, non era altro che una volgarizzazione, e al tempo stesso una divulgazione, del fascino, dottamente teorizzato e difeso da uomini come Marsilio Ficino, Pietro Pomponazzi, Michel de Montaigne, Francis Bacon. Innanzitutto, la fascinatio oculis è duplice; in due modi, dice Bacon, l’occhio può affascinare, cioè agire a distanza: con l’invidia e con l’amore24. In secondo luogo, gli spiriti sono il mezzo della fascinatio; a partire da Ficino, per tutto il Cinquecento e nella prima metà del Seicento, essi vengono concepiti sia come vapori, sia come raggi: manca però, negli autori che affrontano questi temi, una vera e propria dottrina, un’analisi di quel concetto, che pure è fondamentale per le loro teorie. Inoltre, la fascinatio presuppone una teoria emissionista della visione e un’immaginazione attiva e transitiva – capace, cioè, di agere in externa, attraverso gli spiriti (raggi o vapori ) emessi attraverso gli occhi. Il fascino, dunque, non è solo un’applicazione della magia naturale, o un «caso al limite della magia nera»25, ove vi siano coinvolti i demoni, o ancora un aspetto delle teorie fisio-psicologiche dell’immaginazione transitiva: è anche una questione ottica. «Fascinatio est ligatio, quae ex spiritu fascinantis per oculos fascinati ad cor ipsius ingressa pervenit»26: nella lunga e complessa storia del duplice fascino – d’amore e d’odio – le teorie ottiche svolgono il ruolo di punto di raccordo tra molte diverse tradizioni: quella fisiologica degli spiriti, utilizzata anche dalla poesia stilnovista, quella magica dell’actio in distans, quella gnoseologica, democritea e cartesiana, degli effluvia o tracce lasciate nei luoghi cerebrali dell’immaginazione. E questo è però che ‘l nervo per lo quale corre lo spirito visivo, è diritto a quella parte, e però veramente l’occhio l’altro occhio non può guardare, sì che esso non sia veduto da lui; ché, sì come quello che mira riceve la forma ne la pupilla per retta linea, così per quella medesima linea 24 F. Bacon, Sermones fideles, Lugduni Batavorum, apud F. Hackium, 1644, IX, p. 35. P. Zambelli, L’immaginazione cit., p. 69, nota 46. 26 H. C. Agrippa di Nettesheim, De occulta philosophia cit., p. LIX. 25 211 la sua forma se ne va in quello ch’ello mira: e molte volte, nel dirizzare di questa linea, discocca l’arco di colui al quale ogni arme è leggiere.27 Nel Convivio, Dante dà questa originale spiegazione ottica dell’assioma «amor, ch’a nullo amato amar perdona», posto in bocca a Francesca da Rimini, amante appassionata e sfortunata, nel canto V dell’Inferno. L’asse ottico, che coincide con l’altezza della «piramide radiosa» di Alhazen, continua nel nervo ottico, pieno di spiriti visivi di provenienza cerebrale: da questo allineamento e dalla continuità degli sguardi scaturisce la reciprocità della passione amorosa. La poesia stilnovista insiste soprattutto sull’aspetto fisio-psicologico dell’amore, che si basa su un complesso gioco di spiriti: Pegli occhi fere un spirito sottile, che fa ’n la mente spirito destare, dal qual si move spirito d’amare, ch’ogn’altro spiritello fa gentile. Sentir non po’ di lu’ spirito vile, di cotanta vertù spirito appare: quest’è lo spiritel che fa tremare, lo spiritel che fa la donna umìle. E poi da questo spirito si move un altro dolce spirito soave, che siegue un spiritello di mercede: lo quale spiritel spiriti piove, ché di ciascuno spirit’ha la chiave, per forza d’uno spirito che ’l vede28. Non a caso, Guido Cavalcanti «filosofo» è considerato da Marsilio Ficino colui che ha esposto in versi le teorie del Simposio platonico29. Quella degli spiriti era una teoria fisiologica e medica «indiscussa», al tempo di Dante. Lo spirito, come abbiamo spesso ripetuto, è un intermediario universale, è lo strumento attraverso il quale l’anima compie tutte le sue funzioni corporee («vehiculum quod animae vires vehit in organa corporis», secondo la definizione di Alberto Magno30), è un «vehiculum virtutis»: sia dell’anima dell’uomo, che si serve dello spirito per agire sulla materia corporea – in primis i luoghi cerebrali dove risiede la facoltà dell’immaginazione – sia dell’anima del mondo, che attraverso lo spirito comunica la vita al macrocosmo e alle sue parti31. Un argomento decisivo pro o contro il fascino è l’adesione a un modello di visione aristotelico invece che platonico – basato, cioè, sull’intromissione delle species piuttosto che sull’estromissione dei raggi. Il dibattito tra i sostenitori dell’ipotesi emissionista (Euclide, Tolomeo, Galeno, Erone Alessandrino, Hunain, al-Kindı̄) e quelli della teoria immissio27 Dante, Convivio, II, IX, 4-5, in Tutte le opere (a cura di F. Chiappelli), Milano, Mursia, 1965, pp. 528-29. 28 G. Cavalcanti, Pegli occhi fere un spirito sottile, in Poeti del Duecento (a cura di G. Contini), MilanoNapoli, Ricciardi, 1960, tomo II, XXVIII, p. 530. 29 M. Ficino, Sopra lo amore cit., Orazione settima, cap. I. Cfr. anche G. Vitale, Ricerche intorno all’elemento filosofico nei poeti del «dolce stil novo», «Il giornale dantesco», XVIII, 1910, pp. 162-85. 30 Ivi. 31 M. Ficino, De vita cit., lib. III, cap. III. 212 nista (Alhazen, Avicenna, al-Ghāzāli, Witelo, Roger Bacon, John Peckham) era stato molto vivace nel Medioevo, e non si esaurì con l’adesione, più o meno esclusiva e coerente, dei teorici della perspectiva all’ipotesi immissionista32. Nel Commentarius de anima (1543), Filippo Melantone riepiloga lucidamente gli argomenti contrapposti, nessuno dei quali gli appare decisivo: «et tota visionis ratio, plena est miraculorum, nec potest integre explicari»33. Giulio Cesare Scaligero ritiene invece, nelle Exotericae exercitationes de subtilitate (1557), che dopo Aristotele siano da biasimare i sostenitori dell’ipotesi emissionista «qui post divini viri iudicium, nugas illas sunt secuti»34. Gli sembra assurdo che l’occhio emetta continuamente raggi in grado di arrivare sino al cielo; trova, invece, perfettamente ragionevole la trasmissione di species tra le diverse parti e membra del corpo umano, «sicut radium continuum promotum»: così si spiegano, ad esempio, le voglie che macchiano il corpo dei neonati35. A favore della teoria aristotelica della visione, basata sulla ricezione di species immateriali, o intenzionali, da parte dell’occhio si pronuncia, alla fine del secolo, anche André du Laurens, medico alla corte di Enrico IV, nel Discours de la conservation de la veue; des maladies mélancholiques, des catarrhes, et de la vieillese (1594), un’opera che ebbe quattro edizioni in Francia, durante la vita del suo autore, e fu tradotta, nel giro di pochi anni, in inglese, in latino e in italiano36. La teoria emissionista della visione, introdotta da Euclide nell’Optica, piaceva soprattutto ai matematici, e si intreccia con la dottrina dell’oculus fascinans a partire da al-Kindı̄. Nel IV secolo, l’autore anonimo della premessa all’Optica di Euclide (forse, Teone Alessandrino) porta, come prova a favore della teoria emissionista, lo sguardo mortale del basilisco. Questo animale, dotato, secondo Paracelso, di una «immaginazione mestruale», viene identificato da Vairo con il diavolo stesso, secondo quanto afferma la Sacra Scrittura: in natura non è mai stato trovato, e comunque, se affascina, lo fa tramite gli aliti velenosi che emanano dal suo corpo, non tramite raggi emessi dagli occhi. L’occhio, infatti, non affascina, ma si limita a vedere, cioè ad accogliere species che, attraverso il mezzo diafano e i nervi ottici colmi di spirito visivo, arrivano ai sensi interni cerebrali: «videre est pati quoddam», come insegna Aristotele, e la cognitio oculis spetta alla filosofia37. Vairo riporta alcuni argomenti classici contro l’ipotesi emissionista: se dall’occhio uscissero raggi, il vento li disperderebbe, così che essi non potrebbero mai estendersi fino a corpi lontani come il cielo o gli astri, né potrebbero abbracciare, in un solo istante, un’ampia prospettiva di oggetti; inoltre, tutti gli uomini, non soltanto qualche creatura eccezionale, sarebbero dotati di visione notturna, e non ci sarebbe bisogno della complessa struttura dell’occhio, composto da sette tuniche e da tre umori; potremmo vedere anche quando l’occhio è danneggiato; infine, con la continua fuoriuscita di raggi, la 32 Su questo dibattito, e sui suoi protagonisti dal Medioevo al XVII secolo, cfr. S. Parigi, Il mondo visibile cit., cap. I, §§ 2 e 12. 33 F. Melantone, Commentarius de anima cit., p. 587. 34 G. C. Scaligero, Exotericae exercitationes cit., ex. CCXCVIII, § 16, p. 374. 35 Ivi, ex. CCCXLIV, § 5, p. 455. 36 A. du Laurens, Discorsi della conservatione della vista, delle malattie melanconiche, delli catarri, e della vecchiaia, trad. e commento di Fr. G. Germano francese, Napoli, L. Scorigio, 1626, disc. I, cap. X. 37 L. Vairo, De fascino cit., lib. II, cap. IX. Della stessa opinione sono A. du Laurens, Discorsi cit., I, cap. X; M. Del Rio, Disquisitionum cit., lib. I, cap. III, qu. IV e J. L. Gutiérrez, Opusculum de fascino cit., dubium IV. 213 potenza visiva si debiliterebbe progressivamente. Se a volte sembra di vedere nelle tenebre – esperienza che ha fatto anche Vairo – questo non dipende dall’occhio, ma dall’immaginazione. Dopo le dimostrazioni per assurdo, Vairo passa alla demolizione delle prove tradizionali a favore dell’esistenza del fascino, o, che è lo stesso in questo contesto, dell’ipotesi emissionista. Il basilisco, come si è detto (se davvero esiste) avvelena, non affascina38; nello stesso modo, cioè con l’esalazione di vapori putridi, si spiega il contagio delle malattie; se il lupo fa ammutolire, non è per il suo sguardo scintillante, ma per il terrore che la sua vista ispira; se un cadavere sanguina in presenza del suo assassino, manifestando così un «occultum dissensum», non si tratta di fascinatio, ma di un puro caso, che sarebbe potuto avvenire alla presenza di qualunque altro uomo, o di nessuno. L’amore non è un incantesimo di sguardi, ma un accoglimento di species nell’occhio e poi nell’immaginazione. La continua frequentazione mentale dell’immagine della persona amata, considerata la più bella, basta a spiegare la follia d’amore; quanto alle vecchie o agli uomini «tristi e macilenti», cioè melanconici, non sono da considerarsi jettatori: le prime, soprattutto, hanno la cornea rugosa a causa dell’età, quindi, lungi dall’affascinare, a stento ci vedono39. Il medico romano Scipione Mercurio rifiuta la spiegazione naturale della fascinatio e della cruentatio cadaverum sulla base dell’autorità di Aristotele: se la fascinatio nuocesse agli occhi, «morebbe prima à quello nel quale risiede»; lo sguardo letale del basilisco è una favola, come ha già argomentato Mattioli, che non si spiegava come tale credenza potesse essersi diffusa, visto che quanti ne sperimentarono il potere non poterono raccontarlo a nessuno, morendo all’istante: «se fù visto morse, e non lo puote dire ad alcuno. Come dunque ciò s’è possuto sapere?». Dagli occhi non escono «folgori»: se la donna mestruata macchia lo specchio, è «per alcuni vapori putridi elevati dalla malignità del mestruo, i quali escono non solo da gli occhi per essere porrosi: ma dalla bocca, e da tutto il corpo, e queste macchiano lo specchio». Allo stesso modo, nel caso del basilisco «non è l’occhio quello, che l’uccide; perché è più tosto la bocca, e il fiato, il quale infettando l’aere vicino, ucide chi si trova colà con molta prestezza». Quanto all’occulto fenomeno del sanguinamento di un cadavere in presenza del suo uccisore, esso non ammette cause naturali, a meno di aderire alla dottrina platonica della visione per estromissione, insieme a «quella opinione di Avicenna, che l’imaginatione possa operare ne gli altrui corpi, spreggiata da tutti i migliori Filosofi»; al tempo stesso, però, si tratta di un dato di fatto, «e tutto il Mondo ciò tiene certissimo, e gli stessi giudici, e Criminalisti l’hanno osservato». Non resta altro, dunque, che ricorrere alla volontà divina, la quale si manifesta allo scopo di smascherare un colpevole, destinato altrimenti a rimanere impunito40. Kircher aderisce alla teoria aristotelica, secondo la quale l’oggetto della vista sono la luce e i colori: la visione è, quindi, un’azione immanente, non transitiva, e le teorie ficiniane della fascinatio, con le connesse storie degli sguardi letali, ammutolenti o inquinanti del basilisco, del lupo o delle donne mestruate sono da ritenersi mere favole41. 38 Anche J. C. Frommann (Tractatus cit., lib. I, pars II, sectio I, cap. IX) attribuisce il potere mortifero del basilisco al suo alito velenoso. 39 L. Vairo, De fascino cit., lib. II, cap.p IX-X. 40 S. Mercurio, De gli errori popolari cit., lib. IV, cap. 16, p. 318; La Commare cit., lib. II, cap. 40, pp. 265-67. 41 A. Kircher, Magnes cit., lib. III, pars IX, cap. II. 214 Schott non nega la possibilità di tali fenomeni, ma li spiega con i «vapori viscosi e putridi» che escono dagli occhi, dando per scontata la verità della teoria immissionista della visione42. Per negare le dottrine della fascinatio, Andrea Cesalpino, nelle Peripateticae quaestiones (1571), si richiama alla piramide visuale con la base nell’oggetto esterno e il vertice nell’occhio, che è il concetto fondamentale della «scientia perspectiva»43. Un secolo dopo, Johann Christian Frommann, sulla base dell’autorità di alcuni perspectivi tedeschi del ‘600, come Christoph Scheiner, Ambrosius Rhodius e Johann Christoph Kolhans, adduce come prova la camera oscura, per sostenere che l’occhio non emette raggi, ma tutt’al più species, non diversamente dagli altri oggetti, e dalle parti del corpo: così si spiega il fatto che le malattie degli occhi, ad esempio la congiuntivite, sono contagiose. Gli «umori e vapori» di cui traboccano i vasi sanguigni delle donne mestruate fanno sì che in loro presenza si appannino gli specchi; quanto all’amore, se dipendesse dai raggi scoccati dagli occhi, sarebbe reciproco, cosa che non sempre accade: in amore, quindi, gli occhi non si comportano come duces, ma piuttosto come ministri44. Nel 1670, in un’opera intitolata De miraculis mortuorum, che è una lunga raccolta di opinioni antiche e moderne e consta quasi esclusivamente di rimandi ad altri scritti, il medico Christian Friedrich Garmann riassume i principali argomenti pro e contro le teorie emissioniste e immissioniste della visione. Il cadavere di S. Ignazio di Loyola era clarus; alcuni insetti sono scintillanti; possono esistere, quindi, occhi che brillano di luce propria, come quelli dei gatti e delle civette, dei leoni e delle pantere, e di alcuni uomini fuori dal comune: la tradizione pone tra costoro Alessandro Magno, Caio Mario, gli imperatori Augusto e Tiberio, Giulio Cesare, mentre Cardano, Della Porta, Descartes45, Athanasius Kircher e Garmann stesso si includono in questo numero per loro ammissione. Il medico tedesco attribuisce la luminosità dei propri occhi, in certi improvvisi risvegli notturni, all’umidità interna: evaporato questo umore, gli occhi tornano secchi e incapaci di visione nell’oscurità. Il fascino, come la visione notturna, è un’illusione, che si può evitare come si evitano le illusioni ottiche: non solo con la corretta disposizione dell’occhio e la purezza del mezzo aereo, ma con l’assenza di turbamenti del senso comune e della mente, cioè con l’assenza di passioni: in primo luogo la passione d’amore, che crea immagini fittizie e reca, così, grave minaccia all’oggettività della visione46. 3. I poteri dell’immaginazione Tutti i teorici del fascino credono nei poteri dell’occhio e dell’immaginazione: come nel caso della calamita, il disaccordo riguarda esclusivamente l’ambito di estensione dell’attrazione magnetica, e la natura degli eventuali intermediari. Anche in questo caso, le posizioni sono le più diverse: si va dall’actio in distans diretta e persino istantanea, teoriz- 42 C. Schott, Magia universalis cit., vol. I, pt. I, lib. II, propp. I-II. A. Cesalpino, Peripateticae quaestiones cit., lib. V, cap. VII, p. 136r. 44 J. C. Frommann, Tractatus cit., lib. I, pars II, sectio I, capp. IV, VIII, IX. 45 Per questa peculiarità di Descartes, cfr. W. R. Shea, Copernico, Galileo, Cartesio, Roma, Armando, 1989, pp. 256-57 e p. 274, nota 145. 46 C. F. Garmann, De miraculis mortuorum cit., lib. II, tit. IX, §§ 42-43 e lib. II, tit. X, §§ 141 sgg. 43 215 zata da Ficino e Paracelso, all’apparente azione a distanza, che è in realtà un’azione per contatto perché necessita di intermediari, come gli spiriti: è questa la posizione di un umanista eclettico come Giovanfrancesco Pico e di un aristotelico eterodosso come Pietro Pomponazzi. Altri aristotelici più coerenti, come il teologo beneventano Leonardo Vairo e i medici Andrea Cesalpino e Thomas Fienus (Feyens), negando la fascinatio, negano anche i poteri attivi dell’occhio e dell’immaginazione: sia l’uno, sia l’altra si limitano a ricevere le species dagli oggetti esterni, e non agiscono né sul corpo al quale sono uniti, né, a maggior ragione, su quello altrui. Nel Commentarium in Convivium Platonis de amore (1484), volgarizzato nel 1491 e pubblicato postumo nel 1544, Ficino paragona la fascinatio oculis all’attrazione del magnete e del ferro; attribuisce il sanguinamento improvviso di un cadavere alla presenza del suo assassino a una «vendetta degli spiriti», come l’amato riama; paragona le voglie, che le gravide imprimono al feto, all’impressione che l’immagine dell’amato esercita sull’amante, per la quale quest’ultimo finisce per assomigliare all’oggetto del suo amore «in qualche colore, o lineamento, o affetto, o gesto»47. Nell’uomo, lo spirito sottile esce soprattutto dagli occhi: sia perché sono posti in alto, così che ad essi arrivano più facilmente gli spiriti leggeri; sia perché sono «trasparenti e nitidi» come gli specchi, e quindi particolarmente adatti a ricevere gli spiriti lucenti; sia perché posseggono qualche lume anche in proprio, come dimostrano gli animali e gli uomini (imperatori come Ottaviano e Tiberio) dotati di visione notturna48: «sic amores acerrimi solis oculorum radiis accenduntur, etiam vel repentino quodam intuitu»49. Ma se la fantasia è «malefica», l’occhio indurrà disgrazie, malattie, infermità – lebbra e pestilenza, rogna, prurito e mal di petto, oltre, naturalmente, alle infiammazioni degli occhi (lippitudo)- e persino la morte nei malcapitati su cui poserà lo sguardo. In amore, gli occhi che hanno maggiori poteri (pur essendo, al tempo stesso, più soggetti al fascino) sono «grandi, azzurri e splendidi»: questi soprattutto fanno innamorare, anche se la persona che li possiede non è bella di corpo; al contrario, un bel corpo privo di un bello sguardo induce semplicemente una moderata benevolenza50. Gli occhi degli jettatori sono, invece, preferibilmente dotati di pupille doppie, o effigiate di immagini equine51. Nella Theologia platonica (1482), Marsilio Ficino difende l’actio in distans dell’anima, attraverso i poteri transitivi dell’immaginazione: come le pietre e le erbe, tramite i loro «vapori», agiscono a distanza, così non c’è affatto da meravigliarsi (neque mirum est) che anche la virtus vivifica della fantasia possa agire sullo spirito. Ad esempio, i «vapori fetidi et febriferi» suscitati da un «cholericus et febrifer spiritus» possono uscire «come frecce» (tamquam sagittae) dagli occhi dei vecchi ed entrare in quelli dei bambini, corrompendo i loro «spiriti e umori», «tanta est vis in vaporibus oculorum»52. 47 M. Ficino, Sopra lo amore cit., Orazione settima, capp. IV, V e VIII, p. 149. M. Ficino, Sopra lo amore cit., Orazione settima, cap. IV, pp. 142-44. 49 H. C. Agrippa di Nettesheim, De occulta philosophia cit., p. LIX. 50 È, questo, un luogo comune nelle teorie sul fascino: si veda, ad esempio, M. Ficino, Sopra lo amore cit., Orazione settima, capp. IX e X; G. B. Della Porta, Magia naturalis cit., lib. VIII, cap. XIV; L. Vairo, De fascino cit., lib. I, cap. XIII. 51 Anche questo è un luogo comune, a partire, come si è detto, da C. Plinius Secundus, Naturalis historia (a cura di F. Semi), Pisa, Giardini, 1977, vol. III, lib. VII, II. 52 M. Ficino, Theologia platonica, in Opera omnia cit., vol. I, lib. XIII, cap. IV, p. 300. Il paragone: «tanquam sagittae ab arcu» è ripreso da Giulio Cesare Vanini, che confessa di ardere d’amore per la «bella Amasia»: cfr. De admirandis cit., lib. IV, cap. LIX, p. 473. 48 216 Il raggio si distende insino a colui che guarda: e insieme col raggio, il vapore del sangue corrotto corre: per la contagione del quale, l’occhio di chi vede, inferma53. Da passi come questo, risulta evidente che Ficino, al pari di Giovanbattista Della Porta e, in pieno Settecento, di Ludovico Antonio Muratori54 e dei teorici napoletani della jettatura, usa indifferentemente l’uno o l’altro termine, né ritiene problematico il rapporto dei raggi emessi dagli occhi con i vapori dispersi nell’aria. Anche questa indifferenza, quest’uso sinonimico dei termini, a guardar bene, affonda le radici nella teoria ottica delle species: quelle emesse dagli oggetti (o anche, a volte, dagli occhi) hanno, infatti, sia la consistenza fisica di immagini, sia la natura matematica di configurazioni di raggi luminosi55. La «fantasia malefica» è particolarmente potente nei melanconici: Ficino collega il fascino alla melanconia; non solo, però, quello d’invidia, ma anche quello d’amore, perché i poteri benefici dell’immaginazione sono più forti di quelli malefici. I nati sotto il maligno aspetto di Saturno, che è il pianeta più alto e induce alla contemplazione, sono massimamente capaci di quel «pensiero fisso, e profondo» che sta alla base sia della passione amorosa, sia dell’odio56. I malinconici sono dotati di una forte immaginazione, l’unica che possa produrre ciò che immagina, in base all’assioma: «fortis imaginatio generat casum»57. Pertanto è consigliabile, secondo Paracelso, fornire ai melanconici continue occupazioni e innocui piaceri, come il vino, il cibo e il sesso, affinché siano distratti e si astengano dall’invidere. Le donne, soprattutto, non si devono trascurare o lasciare troppo sole, ma si devono tenere sempre allegre e in compagnia, perché sono inclini alla malinconia, in quanto fornite di un’immaginazione più potente e viva, rispetto agli uomini. L’immaginazione, infatti, «prende corpo dal loro mestruo»58; ogni mese ribolle in loro «sangue melanconico», i cui vapori perniciosi escono dai meati corporei: bocca, narici, vagina59. Oppure, viceversa, la massa corrotta di umori che ristagna nell’utero della gravida genera vapori «terrei, melanconici, viscidi», che salgono al cervello e corrompono l’immaginazione, suscitandovi species viziose. La stessa cosa accade agli ipocondriaci e ai malinconici, che credono di vedere ciò che non esiste per le «ombre dei vapori ribollenti» nel loro cervello60; essi hanno il sangue corrotto, e questo genera spiriti viziosi, che si trasformano in 53 M. Ficino, Sopra lo amore cit., p. 143. L. A. Muratori, Della forza della fantasia cit., cap. II. Cfr. infra, cap. III. 55 Cfr. S. Parigi, Il mondo visibile cit., cap. I, par. 1. 56 M. Ficino, Theologia platonica, in Opera omnia cit., loc. cit. e Sopra lo amore cit., Orazione settima, cap. VII; anche Leonardo Vairo (De fascino cit., lib. I, cap. VIII, p. 39) considera la malattia d’amore qualcosa di simile alla bile nera, perché produce un’analoga inquietudine perpetua dell’animo. 57 La malinconia consisterebbe, a partire da Averroè e nella medicina scolastica, in una «laesio virtutis imaginativae», secondo R. Klibansky, E. Panofsky, F. Saxl, Saturno cit., parte I, cap. II. 58 Paracelso, De virtute imaginativa cit. Questo scritto paracelsiano sarebbe stato composto tra il 1529 e il 1532. Alla potenza immaginativa delle donne nell’amplesso veniva ricondotto l’aspetto e persino il sesso dei figli concepiti: questa dottrina risale probabilmente a Lucrezio, De rerum natura cit., lib. IV, vv. 1208 sgg. L. Vairo (De fascino cit., lib. I, cap. II) riporta questa opinione per confutarla; egli, infatti, attribuisce al seme, piuttosto che alla forza dell’immaginazione, tutto ciò che attiene alla generazione, come le somiglianze e il sesso dei figli (ibid., lib. II, cap. VII). 59 Paracelso, De virtute imaginativa cit., lib. I, cap. XII. 60 A. Kircher, Magnes cit., lib. III, parte VII, cap.VII. 54 217 veicoli di malattia61: l’amore, sotto questo aspetto, non è diverso dal suo contrario, ma è anch’esso un caso di malocchio. I teorici del fascino amoroso, infatti, non omettono mai di indicare, sul modello di Ovidio62, i rimedi per guarire: in primo luogo, l’allontanamento fisico degli amanti, così che non possano mai più incrociare gli sguardi. Le cose non cambiano se si considera il fascino un’illusione, o un’operazione diabolica, come fanno alcuni dotti critici della magia, ad esempio il medico Johann Weyer e il teologo Martin Del Rio: anche in questo caso, i più esposti alle arti del maligno risultano i malinconici (perché i demoni si mescolano volentieri e facilmente all’umore melanconico, e suscitano amore e odio imprimendo nella fantasia specie dilettevoli o sgradevoli), oltre, naturalmente, alle donne63. Tra i «morbi melanconici», Martin Del Rio include il fascino magico – che deriva da un patto fatto dai maghi o dalle streghe con il demonio – l’impotenza e l’epilessia: in questi casi, il demonio agita la bile nera e spinge gli umori così prodotti (fuligines) nelle «cellule» cerebrali, sedi dei sensi interni; quindi impedisce la fuoriuscita di quegli umori perniciosi, ostruendo i nervi che si dipartono dal cervello. Le malattie suddette, però, possono avere anche cause naturali, e i demoni possono aggiungersi in seguito, trasformando i melanconici in ossessi64. Nella decima centuria della Sylva sylvarum – un’opera quanto mai aperta a tutti i generi di fascinatio, nella natura e nell’uomo – Francis Bacon ammette che l’immaginazione produce i propri effetti in modo eminente sul corpo di colui che immagina, e che alcuni presunti prodigi, come il sanguinamento di un cadavere in presenza dell’assassino e la ligatio ad impotentiam, non sono miracoli della giustizia divina o incantationes, ma meri effetti dell’immaginazione. È convinto, però, dell’esistenza di un’azione a distanza, della quale si limita ad elencare i molteplici mezzi: i vapori, o emissioni di particelle corporee, attraverso le quali si diffonde il contagio, nel caso di malattie come la peste; le species visibiles et soni, che si trasmettono velocissime a grandi distanze; gli influssi astrali; infine, le «virtù immateriate», come l’attrazione del magnete o la trasmissione degli spiriti, ad esempio tra un’arma e la ferita che ha provocato, o tra le parti separate di qualcosa, che vivono e muoiono insieme. Così si spiegherebbero i presentimenti e le capacità telepatiche dei consanguinei, o degli esseri umani legati da un forte vincolo affettivo, come i mariti che avvertono le doglie mentre le loro mogli partoriscono. Questi effetti sono ritenuti veri e credibili, settant’anni dopo, da Francesco Lana Terzi65. Ma, tra gli spiriti che saettano dagli occhi e gli spiriti emessi da tutto il corpo come vapori attraverso il mezzo aereo, alcuni autori trovano una differenza importante: quella che passa tra la teoria magica dell’immaginazione, dotata di poteri a distanza, e la teoria naturale dell’immaginazione che agisce attraverso emanazioni materiali, a brevi 61 Cfr., ad esempio, J. C. Frommann, Tractatus de fascinatione cit., lib. I, pars I, sectio III, cap. I, § 2. Frommann distingue i temperamenti sanguigni, che inducono l’amore (specie se glaucopidi), dai temperamenti melanconici, inclini all’invidia e all’odio. 62 Ovidio, Remedia amoris (a cura di F. W. Lenz), Torino, Paravia, 1965, vv. 613-620. Sulle cure della malinconia amorosa si diffonde, tra gli altri, A. du Laurens, Discorsi cit., II, cap. X. 63 J. Weyer, De praestigiis daemonum cit., lib. II, cap. V; L. Vairo, De fascino cit., lib. III, capp. VII e IX; M. Del Rio, Disquisitionum magicarum cit., lib. II, quaestio XXIV. 64 Ibid., lib. III, parte I, quaestio IV, sezz. I e V. Cfr. anche J. C. Frommann, Tractatus cit., vol. II, lib. III, pars II, cap. I. 65 F. Bacon, Sylva cit., X, 902 sgg., 958-59, 986; F. Lana Terzi, Magisterium cit., vol. III, lib. XXIV, cap. I, § XVII. 218 distanze. Thomas Fienus sottolinea lucidamente questa differenza: in entrambi i casi, si tratta di un’azione a distanza; ma, mentre nel primo caso l’immaginazione può agire anche su corpi lontani e senza intermediari, nel secondo caso tale facoltà produce i propri effetti esclusivamente sul corpo di colui che immagina, o su corpi molto vicini, «emissione spirituum»66. Quest’ultimo caso non è quindi molto diverso da un’azione per contatto. Tra i seguaci della prima, e più radicale teoria, vi sono maghi e medici – a partire da Avicenna – come Agrippa, Paracelso, Della Porta, van Helmont e, in pieno Seicento, Robert Fludd, Joseph Glanvill e sir Kenelm Digby67. Non è corretto, quindi, affermare che «nel primo quarto del Seicento, la fantasia perde il potere di agire sugli oggetti esterni, diviene incapace di azione a distanza» per il successo del paradigma meccanicistico68. Sia nel De occulta philosophia (1533) di Agrippa, sia nella Magia naturalis (1589) di Della Porta è presente il tradizionale elenco dei fenomeni magnetici attribuiti alla fascinazione: lo sguardo ammutolente del lupo e quello inquinante delle donne mestruate, il contagio oftalmico. La spiegazione fa ricorso all’ambigua teoria ficiniana degli spiriti che escono dagli occhi come raggi, trasmettendo a distanza la loro vis ignea69. Ma è Paracelso l’autore che più concede ai poteri dell’immaginazione, unica e vera causa dei prodigi di natura. Essa è concepita come una forza attiva e produttiva che deve essere innescata da un desiderio per poter riprodurre le sue forme. Simile a «un Sole nell’uomo», prima attrae le forme e i colori delle cose esterne, e successivamente li imprime al di fuori del corpo al quale è unita: è capace di realizzare il passaggio dal piano del pensiero al piano della realtà, purché venga mossa da un affetto, come accade alle donne gravide nel passaggio delle voglie dalla loro fantasia al corpo del bambino nel loro utero. E non è tutto: l’immaginazione produce i propri effetti immediatamente; il basilisco – animale diabolico perché nato non dal simile, ma dalla putrefazione di cose diverse – può uccidere con lo sguardo. Il suo veleno è simile a quello presente negli occhi e nell’alito di una donna mestruata, che non si limita a far appannare gli specchi, ma può anche generare macchie negli occhi di colui verso il quale dirige il suo sguardo70. Oswald Croll, seguace di Paracelso, non esita a sostenere l’onnipotenza dell’immaginazione: «imaginatio fide coniuncta omnia potest». Con la sola immaginazione, un uomo può introdurre la peste in un intero paese: «ex metu et terrore [imaginatio] generat Basiliscum coeli»71. In numerosi scritti, poi raccolti nell’Ortus medicinae, van Helmont aveva affermato che la fantasia è massimamente potente nell’uomo, giacché la mente, ad immagine e somiglianza di Dio, è capace di creatio, seppure transmutativa piuttosto che ex nihilo: questo è talmente vero, che una fantasia eccessiva indebolisce il corpo, oltre che la mente. Van Helmont spiega dettagliatamente in che modo la cogitatio, che è un non-ens, 66 T. Fienus, De viribus imaginationis tractatus, Londini, ex officina Rogeri Danielis, 1657, qu. XII, p. 178. 67 Su questo, e sulla concezione della malattia come contagio dell’immaginazione, si veda T. Griffero, Immagini contagiose cit.; sull’immaginazione transitiva e sulla sua storia, cfr. Id., I sensi di Adamo cit.(specie le pp. 132-54), Immagini attive cit. 68 Cfr. M. Angelini, Il potere plastico cit., p. 62; Le voglie cit., pp. 67, 69. 69 C. Agrippa, De occulta philosophia cit., lib. I, cap. L; G. B. Della Porta, Magia naturalis cit., lib. VIII, cap. XIII. 70 Paracelso, De virtute imaginativa cit. 71 O. Croll, Basilica chymica cit., «Praefatio admonitoria», pp. 83, 85. 219 possa trasformarsi in ens reale: ciò accade attraverso una successione di passaggi, che portano la cogitatio a diventare un’immagine (o idea), e a trasformarsi in idea seminalis dopo che lo spirito etereo se ne è imbevuto, imprimendosi infine nella sostanza dell’Archeus72. Così si spiegano i prodigiosi effetti dell’immaginazione materna sul feto, nonché le malattie ereditarie; questo è anche il fondamento della fisiognomica. Il gesuita Jean Roberti raccoglie in una vera e propria antologia i passi helmontiani che ha intenzione di confutare: affermare che la fantasia inerisca a cose materiali come il sangue, i cibi, gli umori e gli escrementi; che l’uomo sia dotato di una facoltà magica capace di «agere extra se», di creare come Dio, senza intermediari e a grandi distanze; sostenere che l’idea sia reale; che tutto sia vivente, senziente, animato: tutto questo equivale semplicemente a ribadire l’ingens mysterium del magnetismo: «in homine sita est energia, qua solo nutu, et phantasia sua, queat agere extra se»73. Ma, più che confutare le dottrine helmontiane, Roberti si limita ad accusarle di assurdità e insensatezza, senza opporre controargomenti convincenti: l’unica prova dell’«ingens phantasiae imperium» sono proprio le suddette teorie helmontiane. È vero che il concetto di un «radius spiritualis ab homine ad hominem, aut brutum, migrans» è un principio non meno oscuro dei fenomeni magnetici che dovrebbe spiegare, ma anche il concetto della sphaera activitatis dei corpi, di cui Roberti, da bravo gesuita, si serve nella sua polemica contro i «vulcanii fratres» (Paracelso, Goclenius, van Helmont), non appare meno problematico74. La «potenza estatica» della fantasia non viene messa in discussione da Sylvester Rattray, che pure non esitava a criticare, quando lo riteneva necessario, le dottrine helmontiane; che la fantasia sia «omnium rerum trasmutatrix» è «sulla bocca di tutti»: lo dimostra il consueto elenco di prodigi, tra i quali Rattray, come Fienus, include il mimetismo degli animali, capaci di adattarsi al loro ambiente cambiando colore, come le lepri e i cervi albini che nascono sulle Alpi75. Negli stessi anni Joseph Glanvill, nella Vanity of Dogmatizing (1661), si sofferma sulle meraviglie dell’immaginazione, capace di agire a distanza, ad esempio esercitando una costrizione sulla fantasia di un altro uomo, così da imporgli i pensieri che deve pensare. Racconta, a questo proposito, la storia di uno studente di Oxford, in seguito unitosi a una compagnia di gitani, che impara dal loro «traditional kind of learning» a sviluppare il potere dell’immaginazione, tanto da essere capace, dopo aver incontrato per caso due excompagni di studi, di riferire per filo e per segno la loro conversazione, alla quale non aveva assistito76. Nello stesso modo gli angeli comunicano agli uomini i loro pensieri, e leggono nella nostra mente: in confronto a questi esempi di telepatia, e ai prodigiosi, ma reali casi di fascinazione, il caso delle voglie impresse dalla madre sul tenero corpo del feto appare quasi trascurabile, perché si può considerare minima, se non nulla, la distanza tra il corpo della gestante e quello del feto. La «strana» azione a distanza dell’immaginazione si potrebbe spiegare con l’ipotesi dell’anima mundi, riportata in auge in quegli anni dall’«incomparabile platonico e carte- 72 J. B. van Helmont, Ortus medicinae cit., pp. 221a, 332b, 369a, 375a. J. Roberti, Curationis magneticae cit., §§ V, XII, p. 86. Cfr. J. B. van Helmont, De magnetica vulnerum curatione cit., § 168, in Ortus medicinae cit., p. 474a. 74 J. Roberti, Curationis magneticae cit., p. 83. 75 S. Rattray, «Aditus novus» cit., in Theatrum sympatheticum cit., pp. 60-61. 76 J. Glanvill, The Vanity cit., cap. XX, pp. 196 sgg. 73 220 siano» Henry More77. Oppure, si può tentare una soluzione meccanicistica e cartesiana dei prodigi della fantasia umana, causati dalla trasmissione dei movimenti dei sottili filamenti cerebrali, che costituiscono il corrispettivo fisiologico dell’immaginazione, attraverso quella materia fluida «interspers’d among all bodies, and contiguous to them», che costituisce l’etere, fino all’immaginazione di un altro uomo. Questa spiegazione appare, però, a Glanvill più incerta e imperfetta. In ogni caso, non si dovrebbe senz’altro rigettare ciò che non si comprende: lo scetticismo dilata i confini del possibile, sia nel caso dei fenomeni magnetici, sia per quanto riguarda i poteri dell’immaginazione78. La teoria degli spiriti come vapores, la dottrina dell’immaginazione come actio immanens, capace di produrre i propri effetti esclusivamente per contatto, sul corpo al quale è unita, e la teoria immissionista della visione sono presenti, di solito, in autori – spesso aristotelici – che negano l’esistenza del fascino «volgare», o (dal nostro punto di vista è quasi la stessa cosa) considerano il malocchio un’operazione esclusivamente diabolica79. Leonardo Vairo toglie all’immaginazione anche la facoltà di agire sul proprio corpo, perché le immagini hanno un mero carattere ostensivo e rappresentativo, ma non hanno il potere di agire sulla materia, neppure su quella del proprio corpo; altrimenti, non ci sarebbero né malati, né poveri, né ignoranti80. Se Paracelso avesse ragione, osserva il medico aristotelico Andreas Libavius, non ci sarebbe nessun bisogno di imparare l’arte della guerra: la fantasia dei malinconici basterebbe, da sola, ad uccidere i nemici81. Essi – come osservano, oltre a Fienus, du Laurens e Caspar Schott – coltivano spesso le immaginazioni più stravaganti, come quella di essere zoppi o di vetro, morti o imperatori, senza che tali cose accadano realmente. Un gentiluomo senese rifiutava di urinare perché credeva che, se l’avesse fatto, avrebbe inondato la sua città; per convincerlo, i suoi domestici furono costretti a incendiare una casa vicina, e a far suonare le campane a martello82. Quanto alle voglie impresse dalla gestante sul corpo in formazione del feto, esse non sono un prodotto dell’immaginazione della donna, ma vengono causate dai moti degli spiriti presenti nel sangue, che è identico nella madre e nel feto83. La posizione di Vairo, tuttavia, non è del tutto coerente: ad esempio, pur rifiutando il fascino naturale, perché «nemo ad fascinandum idoneus natura nascitur», egli ammette, come Frommann, il fascino diabolico, e sostiene che i demoni scelgono i fascinatori già nel ventre materno, marchiando con segni indelebili e inequivocabili – la duplice pupilla, o l’effigie equina nell’occhio – la tenera carne degli embrioni: dunque, fascinatori si nasce. D’altra parte, i demoni preferiscono mescolarsi al temperamento melanconico: dunque i melanconici sono predisposti per natura ad essere fascinatori84. 77 Ivi, p. 199. Cfr. supra, pt. I, cap. IV, § 4. 79 Si veda, ad esempio, M. Del Rio, Disquisitionum magicarum cit., lib. I, cap. III, quaestio III. 80 L. Vairo, De fascino cit., lib. II, cap. III. 81 A. Libavius, Tractatus duo physici cit., II, p. 156. 82 T. Fienus, De viribus imaginationis cit., qu. X, concl. XXXVI; A. du Laurens, Discorsi cit., II, cap. VII; C. Schott, Physica curiosa cit., pars II, vol. II, lib. XII, cap. IV. Nella trattazione della melanconia, Schott segue pedissequamente Du Laurens. 83 L. Vairo, De fascino cit., lib. II, cap. VII. 84 Ivi, lib. III, capp. VI-VII. 78 221 Andrea Cesalpino aveva incluso tra le superstizioni le credenze nei malefici di ogni genere: pozioni che perturbano la mente, inducendo amore, odio, terrore; filtri che generano sterilità, impotenza o aborti; incantesimi che colpiscono i bambini o gli adulti, facendoli ammalare di lebbra e di epilessia; che uccidono gli animali e fanno seccare le messi; che producono pioggia, grandine, fulmini e tempeste85. In tutti questi casi, e in molti altri – ammesso che siano reali – non è l’immaginazione ad agire, ma un demone, con il quale sia stato eventualmente stipulato un patto espresso o tacito, pubblico o privato. Il demone, cioè – creatura eminentemente dotata di immaginazione – può muovere l’immaginazione umana, e questa a sua volta può alterare il corpo al quale è unita: Hic igitur Daemones aliquando hominum mentes perturbant remotissime variis imaginibus moventes … Quod autem aliquando ex imaginatione transeat affectus in corpus86. Ma, se si esclude l’intervento diabolico, l’immaginazione non può nulla, né sul proprio corpo, né tantomeno su quello altrui; neppure il malinconico, da solo, ha il potere di realizzare l’idea fissa che lo domina: «magis autem putandum est res ipsas imaginationem moventes, non ipsam imaginationem corpus afficere»87. Se, infatti, l’immaginazione fosse in grado di far muovere i corpi «in longinquas regiones», di comandare all’aria e agli elementi, sarebbe simile all’intelletto divino. Perciò, ammesso che sia vero ciò che si racconta del basilisco, capace di uccidere con lo sguardo o con il sibilo, del lupo, che fa ammutolire colui che guarda, della torpedine, che paralizza la mano senza toccarla, degli specchi appannati dallo sguardo delle donne mestruate o del contagio della lippitudo, questi effetti prodigiosi si possono spiegare con l’emissione di spiriti venefici, soprattutto dagli occhi e dalla bocca, oppure con il terrore che nasce dal turbamento dell’anima. Ex his igitur manifestum est imaginationem per se nullam vim agendi habere in corpus proprium, tanto ergo minus in alienum, nisi aliquid aliud agat88. Tra gli effetti naturali dell’immaginazione, che anche quanti negano i suoi poteri sono disposti a riconoscere, ci sono i «fidei mira effecta», come le guarigioni inspiegabili, operate dalla cieca fiducia nella bravura del medico, e nell’efficacia della cura: è un luogo comune, infatti, che «opinio aegri plurimum facit ad sanationem», come dice Cardano89. La paura e la cogitatio, d’altra parte, predispongono alle malattie: chi ha troppa paura di contrarre la peste si ammala veramente, mentre «audaces impune cum infectis conversantur»90. Anche questo era un luogo comune nel Cinquecento; Fienus lo considera una prova del ruolo accidentale dell’immaginazione nella produzione di effetti fisici: l’imaginatio pestis produce, infatti, una passione dell’anima come il terrore, che a sua volta provoca l’agitazione di tutti gli umori maligni, putridi e pestilenziali latenti nel corpo, per i quali ci si ammala infine di peste. Ma occorre che il corpo sia già predisposto alla malattia: 85 A. Cesalpino, Daemonum investigatio peripatetica cit., cap. X. Ivi, cap. XVII, p. 161r. Per la teoria di Cesalpino sui demoni, cfr. supra, pt. I, cap. I, § 2. 87 Ivi, p. 161v. 88 Ibid. 89 G. Cardano, De secretis cit., cap. XIV, p. 545a; T. Campanella, De sensu rerum cit., lib. IV, cap. XVII; A. Libavius, Tractatus duo physici cit., I, pp. 35, 96. 90 Ivi, II, p. 269. 86 222 Ex quo patet, imaginationem non esse per se causam effectivam illius, sed solummodo occasionalem, per accidens, ac remotam91. Questo vale, naturalmente, anche per la guarigione, alla quale l’immaginazione contribuisce, generando letizia e serenità nel malato che ha fiducia nel medico e nella cura; tale benevola disposizione «dilata le vie, suscita il calore naturale, vivifica lo spirito», facilitando così la guarigione92. Proprio a Thomas Fienus, professore di medicina all’università di Lovanio, si deve l’esposizione aristotelica più dettagliata e coerente dei poteri dell’immaginazione: egli pubblica nel 1608 un trattato De viribus imaginationis che ebbe molta fortuna nel secolo XVII, e fu sicuramente una fonte importante dell’analoga trattazione di Daniel Sennert. Fienus sostiene che l’anima, per se e directe, non può agire sul corpo che informa, né, a fortiori, sui corpi esterni, perché agisce «per potentias materiales». L’immaginazione, «potenza e strumento dell’anima» non è una potenza attiva, bensì una potentia cognoscitiva, finalizzata alla ricezione delle species cognoscibiles: in quanto tale, è passiva e immanente. Omnis cognitio est actio immanens: imaginatio est cognitio: ergo imaginatio est actio immanens: at actiones immanentes sunt infoecundae, et non sunt activae: ergo nec imaginatio est activa93. Ragionando per sillogismi, Fienus espone con grande chiarezza la dottrina della natura passiva o attiva delle species: nel primo caso, l’oggetto «nihil patitur a sensu, sed agit in sensum»94. È questa la teoria gnoseologica più nota e diffusa nel XVII secolo, da Descartes a Locke, da Hobbes a Berkeley e Hume. Nel secondo caso, invece, i sensi – in primo luogo, la vista – e l’immaginazione sono considerati capaci di agire sugli oggetti: è questa la teoria «magica» di Ficino, Agrippa, Francis Bacon. Fienus si schiera decisamente a favore della natura puramente rappresentativa delle species (ciò che esclude la loro efficacia) e della passività degli organi di senso e dell’immaginazione: non ci riscaldiamo, infatti, per il fatto di guardare il fuoco, né ci raffreddiamo contemplando il ghiaccio; osserviamo oggetti in movimento rimanendo immobili. È possibile che alcuni ci vedano meglio di altri, ma non che qualcuno affascini con lo sguardo, perché le «potenze» dell’anima (senso, moto, intelletto e volontà) sono potenze conoscitive, che possono essere possedute in gradi diversi, ma che non si trasformeranno mai in potenze attive. Se l’immaginazione avesse il potere di mutare la realtà, il cieco tornerebbe a vedere, e il paralitico a camminare: né possono influire l’intensità del desiderio, o gli astri. I corpi celesti, infatti, sono cause universali di effetti universali, come la luce: le loro presunte influenze sono, quindi, identiche per tutti gli uomini, poiché anche la fantasia è sempre la stessa, e nei diversi uomini cambia soltanto il temperamento, cioè la disposizione degli organi. Inoltre, le stelle sono corpi materiali, e come tali non possono agire su quelli spirituali, ontologicamente superiori: la dottrina della simpatia tra la nostra anima e l’anima del mondo e dei cieli è, pertanto, «falsa, erronea e dannata»95. 91 T. Fienus, De viribus imaginationis cit., qu. X, concl. XXXVI, p. 164. Ivi, qu. XI, concl. XXXVIII, p. 174. 93 Ivi, qu. VI, concl. XX, p. 85. 94 Ivi, p. 87. 95 Ivi, qu. IV, concl. XX; qu. VII, concl. XXVI, p. 145; qu. XXIV, concl. LVII.. 92 223 L’immaginazione può soltanto alterare per accidens il corpo al quale è unita, muovendo gli umori, gli spiriti e i vapori – tra i quali la distinzione non è chiara – che, insieme, costituiscono il temperamento96. Anche questa azione, tuttavia, non è diretta: l’immaginazione, che è una facoltà dell’anima sensitiva, provoca il movimento degli spiriti e degli umori stimolando le facoltà naturali dell’anima vegetativa, che propriamente muovono gli spiriti. La natura, infatti, non fa nulla invano, aborrisce il superfluo e agisce sempre in vista del meglio: se la fantasia potesse muovere gli spiriti e gli umori, potrebbe farlo anche in direzione contraria alla potenza vegetativa97. Ma è difficile, anche per un aristotelico coerente come Fienus, liberarsi del tutto dalla teoria «debole» dell’actio in distans tramite emanazioni materiali di spiriti. Egli ammette, infatti, che dagli occhi, come da tutte le altre parti del corpo, escano «spiriti o vapori» capaci di diffondersi nelle immediate vicinanze; nega, però, che l’emissione avvenga radialiter, in linea retta, fino a grandi distanze. Soprattutto, nega che il percorso di quegli spiriti venga in qualche modo deciso dall’immaginazione («pro imaginationis nostrae arbitrio, vibrati aut directi»): il contagio oftalmico, cioè, avviene sempre casualmente, non può mai essere intenzionale, e così pure l’azione inquinante delle donne mestruate, il corpo delle quali emana esalazioni venefiche98. Nelle Quaestiones celeberrimae in Genesim (1623), Marin Mersenne è molto più drastico nel negare ogni attività transitiva dell’immaginazione. La virtus phantastica «aderisce» al corpo e gli spiriti – sia naturali, sia vitali, sia animali – sono costretti nei loro vasi, dai quali non possono uscire in nessun caso. Essi servono, infatti, «ad proprii corporis usum»; altrimenti, ove vengano intesi come «exhalationes corporis» capaci di agire all’esterno, rischiano di diventare il nuovo baluardo degli atei99. È invece piuttosto sorprendente trovare la dottrina dei poteri limitati dell’immaginazione – capace di agire solo accidentalmente, e sul corpo al quale è unita – in un medico paracelsiano come Goclenius100. Ma occorrerà attendere la metà del Settecento perché un uomo come Muratori possa considerare definitivamente acquisito, grazie all’autorità di «filosofi, teologi e medici», che «la fantasia nostra non può alterare il corpo altrui»101, ma solo il proprio. S. Tommaso, Pietro Pomponazzi, Girolamo Fracastoro, Michel de Montaigne, Giulio Cesare Vanini, Tommaso Campanella, Athanasius Kircher, Pierre Gassendi, Robert Boyle, uno scrittore di ottica come Johann Zahn e i medici Andrea Cesalpino, Andreas Libavius, André du Laurens, Daniel Sennert e Johann Christian Frommann, tra gli altri, attribuiscono agli spiriti (vapori saturi di bontà o di malizia, secondo Pomponazzi) o agli effluvi la capacità di influenzare, oltre al proprio corpo, l’aria circostante, purché ciò avvenga entro un raggio d’azione limitato. Così si spiega, ad esempio, la vis fascinatrix degli sguardi, veicolata dagli spiriti (soprattutto da quelli che si trasmettono in linea retta, massimamente efficaci)102, la corruzione che il putrido alito delle vecchie induce nei teneri 96 Ivi, qu. II, concl. V-VII, XII; qu. VI, concl. XXIV-XXV. Ivi, qu. V, concl. XXII. 98 Ivi, qu. XII, concl. XXXIX, p. 186. 99 M. Mersenne, Quaestiones celeberrimae cit., caput I, versiculus I, obiectio XXV, caput XX, col. 565. 100 R. Goclenius, Uraniae divinatricis, quoad Astrologiae generalia, Marpurgi, typis Pauli Egenolphi, 1614, lib. II, cap. IX. 101 L. A. Muratori, Della forza della fantasia cit., cap. X. 102 Si vedano S. Tommaso d’Aquino, La somma teologica, trad . e commento a cura dei Domenicani italiani, Firenze, Salani, 1958, vol. VII, qu. 117, art. 3,2; P. Pomponazzi, De incantationibus, cap. IV, in 97 224 corpi infantili103, o il contagio delle malattie epidemiche attraverso gli effluvi insensibili che, emessi dal corpo malato, si espandono nell’aria ed entrano in un corpo sano, attraverso i pori della pelle104. In Frommann e in Lana Terzi è presente una concezione corpuscolare degli spiriti, o effluvi: il gesuita è tuttavia disposto a concedere alle «insensibili trasmissioni di spiriti» provenienti dall’immaginazione un’estensione maggiore, rispetto a quanto pensava il medico tedesco, che credeva nella realtà fisica del malocchio105. «Oculus multa ostendit magica», sentenzia Campanella: tra le magie operate dallo sguardo, «pupilla contra pupillam», elenca, oltre alle passioni di amore, odio, ira e vergogna, l’uccisione dei bambini e la fecondazione delle uova, operata dall’occhio delle tartarughe106. Tra gli esempi dell’uso terapeutico degli amuleti (che aveva sperimentato con successo anche su sé stesso), Robert Boyle racconta la cura di una presunta vittima del fascino: si tratta di un lattante, figlio di un celebre chimico, che improvvisamente smette di dormire e di mangiare, e piange, in preda ai dolori. A differenza del dottissimo padre, Boyle non è affatto sicuro che la diagnosi di fascino sia quella giusta, ma è certo che l’applicazione di un «minerale nobile» come l’ambra (raccomandata da Helmont contro tutti quei mali che derivano da un incantesimo), sospesa al collo in modo da toccare la bocca dello stomaco del bambino, lo ha guarito in modo rapido e sorprendente107. La ricerca di una coerenza, di un discrimine tra il verosimile e l’inverosimile, il razionalmente credibile e la palese irragionevolezza nelle teorie dell’oculus fascinans è una strada spesso difficile da percorrere. Campanella, Vairo e Frommann, ad esempio, si presentano come critici del fascino: il primo, tuttavia, ammette l’azione a distanza, seppure attraverso l’intermediazione degli spiriti e dell’aria, e gli altri due credono nel fascino di origine diabolica. Le donne vengono concordemente ritenute più capaci di affascinare, perché dotate di una maggiore potenza immaginativa: ma, mentre Cardano, ad esempio, attribuisce tale potenza alle gravide108, Paracelso la ritiene una conseguenza del mestruo. Campanella afferma, con una contraddizione tipica dei teorici della jettatura – condivisa, tra gli altri, dal medico sassone Johann Christian Frommann – che le donne mestruate Sull’immortalità dell’anima e il libro degli incantesimi (pref. di R. Ardigò, intr., trad. e note di I. Toscani), Roma, Editoriale Galileo Galilei, 1914; G. Fracastoro, De sympathia et antipathia rerum cit., capp. 16-18; M. de Montaigne, L’immaginazione cit., lib. I, cap. 21; G. C. Vanini, De admirandis cit., lib. IV, dial. LIX; D. Sennert, De consensu et dissensu cit., cap. XIV; T. Campanella, De sensu rerum cit., lib. IV, cap. XV; J. C. Frommann, Tractatus cit., lib. II, cap. VI, § 2; J. Zahn,Oculus artificialis teledioptricus, sive telescopium opus curiosum practico-theoricum, Herbipoli, sumptibus Quirini Heyk, 1685, fundamentum I, syntagma I, erotema VI. Per quanto riguarda Pierre Gassendi, cfr. supra, parte I, cap. IV, § 1. Questa stessa opinione è espressa dall’autore anonimo di un manoscritto del ‘400, trovato nella Biblioteca Vaticana: la presenza del medio indebolisce l’azione dell’anima, che quindi può agire sui corpi diversi dal proprio solo a patto che si trovino nelle immediate vicinanze; cfr. L. Thorndike, Imagination and magic, in AAVV, Mélanges Eugène Tisserant, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1964, vol. VII, pp. 353-58. 103 Cfr. G. C. Vanini, De admirandis cit., lib. IV, cap. LIX. 104 A. Kircher, Magnes cit., lib. III, pars IX, cap. II; R. Boyle, Usefulness of Experimental Natural Philosophy cit., pt. II, sect. I, essay V, cap. XIII, in The Works cit., vol. II, p. 173 e Of the Determinate nature of effluviums, ivi, vol. III, p. 704. 105 J. C. Frommann, Tractatus de fascinatione cit., lib. I, pt. I, sect. III, cap. II. § 5; pt. II, sect. I, cap. IV; F. Lana Terzi, Magisterium cit., vol. II, lib. II, cap. I, LXXVII; cap. II, prop. IV; vol. III, lib. XXIV, cap. IV, prop. XIV. 106 T. Campanella, De sensu rerum cit., loc. cit., pp. 326-27. Cfr. supra, parte I, cap. II, § 3. 107 R. Boyle, Usefulness of Experimental Natural Philosophy cit., pt. II, sect. I, essay V, cap. X, in The Works cit., vol. II, p. 159. 108 Cfr. G. Cardano, De secretis cit., cap. XVIII. 225 affascinano, in quanto mestruate, e che le vecchie affascinano, in quanto non più mestruate, e quindi piene di «esalazioni fetide», di umori nocivi e melanconici che non trovano altro sfogo, se non dalla bocca e dagli occhi109. 4. Le voglie, i mostri e i neuroni-specchio Tutti gli autori cinque-seicenteschi riconoscono all’immaginazione il potere di agire sul corpo al quale è unita: sia quelli che la considerano un principio autonomo di movimento, capace di agere in externa (trattandosi, in questo caso, di un ragionamento a fortiori), sia quelli che le attribuiscono un’azione limitata, immanente e indiretta. La «stretta connessione tra mente e corpo, che si comunicano reciprocamente ciò che loro accade»110 è un principio della medicina, a partire da Avicenna111; non è avvertita come problematica prima di Descartes, ed è spesso assunta come un assioma inspiegabile dopo. Da quella connessione derivano gli eventi più rari, straordinari e miracolosi, attribuiti all’immaginazione: i fenomeni di levitazione e il cambiamento di sesso, le stimmate di San Francesco e l’impotenza. L’entusiasmo provato da Cippo, re d’Italia, durante un combattimento di tori gli provocò, per tutta la notte, sogni di corna, e al mattino un paio di corna reali sulla fronte, prodotte da «umori corniferi» stimolati dall’immaginazione112. Tutti i medici, a parere di Boyle, riconoscono che l’immaginazione può alterare la disposizione degli spiriti, del sangue e degli umori: vi sono «affetti dell’animo» che hanno importanti conseguenze fisiche, come la melanconia, il desiderio, la sofferenza e la paura, le quali ultime possono provocare un’improvvisa canizie113. Ma l’esempio più comune e discusso dell’influenza dell’immaginazione sul corpo è quello delle voglie impresse dalla gestante sul feto, non ancora «organizato, e perfetto»: esse sono un esempio di immaginazione per contatto, perché il corpo del bambino non è separato da quello materno. Si tratta di un’ «opinione quasi invecchiatta di quanti mai ragionarono della imaginatione delle donne», vale a dire «un numero quasi infinito di scrittori»114, da Avicenna a Ficino, da Pomponazzi a Campanella115, da Paracelso a Malebranche. Maghi e filosofi naturali, ma anche medici, ostetrici e scrittori di «segreti», ne discussero per due secoli, senza evidenti passaggi o cesure che autorizzino interpretazioni sociologiche riguardo a una diversa 109 T. Campanella, De sensu rerum cit., lib. IV, cap. XV, p. 327; J. C. Frommann, Tractatus cit., lib. I, pars I, sectio III, cap. I, § 2; L. Vairo (De fascino cit., lib. I, cap. II) attribuiva i massimi poteri dell’immaginazione alle donne mestruate e alle gravide. Da tale contraddizione era esente Jean Fernel, che nel De abditis rerum causis cit. (lib. II, cap. XVI) attribuiva la fascinatio alle donne che non possono espellere attraverso il mestruo i loro «spiriti avvelenati», come le vecchie e le gravide. 110 M. de Montaigne, L’immaginazione cit., p. 52. 111 Si veda il Canon medicinae, Venetiis, apud Iuntas, 1555, vol. I, lib. I, fen. II, doctrina II, cap. 14, p. 36: «Omnia animae accidentia sequuntur, aut eis associant motiones spiritus interius, aut exterius». 112 M. de Montaigne, L’immaginazione cit., lib. I, cap. 21. Il racconto di questo episodio è presente in molte opere di magia quattro-cinquecentesche: ne parlano, tra gli altri, Agrippa (De occulta philosophia cit., lib. I, cap. LXIII) e Della Porta, Cardano e Vairo. Vanini lo riporta del De admirandis cit., lib. IV, dial. LVII. 113 R. Boyle, Usefulness of Experimental Natural Philosophy cit., pt. II, sect. I, essay V, capp. XIII e XIV, in The Works cit., vol. II, pp. 173-75. 114 S. Mercurio, La Commare cit., lib. II, cap. 40, p. 262. 115 De sensu rerum cit., cap. XI, pp. 313-14. 226 Caspar Schott: Gemelli siamesi 227 concezione della donna, da quella «creatrice» implicita nelle dottrine magiche dell’immaginazione transitiva, alla donna colpevolmente sregolata, soprattutto nella gravidanza, che necessita quindi di un «controllo maschile, religioso, medico»116 nel Seicento dominato dalla Controriforma. Come avveniva per la fascinatio, anche alla produzione delle note caratteristiche contribuiscono nello stesso modo le cose viste e quelle desiderate: lo strettissimo legame tra la vista e l’immaginazione è, una volta di più, efficacemente e mirabilmente illustrato. Vehemens fixaque mulieris cogitatio, visae vel concupitae rei species vehementer movet, et versat, et figuram quam assidua imaginatione revolvit, spiritibus imprimit, qui sic affecti eiusdem cogitatae rei figuram semini inducunt, semen autem foetui117. L’immaginazione della madre produce effetti mirabili sui figli, soprattutto al momento del concepimento, e può alterare l’embrione, imprimendo le immagini concepite con forza negli spiriti contenuti nel sangue che madre e figlio hanno in comune118. Vi sono molte oscillazioni nella individuazione dei limiti temporali entro i quali l’immaginazione materna può alterare il feto: c’è chi ne circoscrive l’azione al solo momento del concepimento, come Avicenna e Scipione Mecurio119, e chi la dilata sino al termine della gravidanza. Fortunio Liceti, medico e filosofo aristotelico, parla genericamente di «organizationis tempus», senza specificarne la durata120; Paolo Zacchia riferisce l’opinio communis che vorrebbe l’immaginazione attiva dal terzo, o dal settimo giorno dopo il concepimento, fino al quarantesimo, o al più tardi entro il primo trimestre di gestazione. Al di fuori di quei termini, l’immaginazione materna non avrebbe alcun potere, o per la natura ancora «informe» e indifferenziata dell’embrione, oppure, al contrario, perché il feto, ormai sviluppato e non più «tenerissimus», non è suscettibile di ulteriori modificazioni. Laurent Joubert, professore di medicina a Montpellier, citando Ippocrate, limita al primo mese di gestazione la formazione delle macchie fetali121. Il chirurgo Ambroise Paré, richiamandosi anche lui ad Ippocrate, quantifica con precisione in trentacinque giorni per i maschi, e quarantadue per le femmine, il periodo di attività dell’immaginazione materna122. Con i mirabili poteri dell’immaginazione si spiegano i casi noti sin dall’antichità, dei re di Etiopia che avevano generato una figlia bianca perché la regina aveva di fronte al letto un ritratto di Andromeda, come narra Eliodoro di Larissa (IV sec.); la bambina villosa concepita fissando la figura di San Giovanni Battista è un caso noto a partire da Giovanni 116 C. Pancino, Voglie materne cit., p. 88. G. C. Vanini, De admirandis cit., lib. III, dial. XXXVIII, p. 237. Non sembra fondata l’opinione di Claudia Pancino (Voglie materne cit., p. 14 e passim), che considera sostanzialmente diversa l’influenza sulla formazione e sullo sviluppo del feto delle cose viste rispetto a quelle immaginate. 118 Cfr., ad esempio, N. Malebranche, Recherche de la vérité cit., lib. II, pt. I, cap. VII, § 1: in quel periodo, si trattava di una opinio communis. Cfr. M. Angelini, Il potere plastico cit.; C. Pancino, Voglie materne cit., cap. III. 119 Avicenna, Canon cit., loc. cit.; S. Mercurio, La Commare cit., lib. II, cap. 40. 120 F. Liceti, De monstris cit., lib. II, cap. XLII e passim. Si noti l’uso inedito, e diffuso, del termine organizatio. 121 L. Jaubert, Des erreurs populaires, et propos vulgaires touchant la Medecine et le regime de santé, Lyon, chez Pierre Rigaud, 1608, vol. I, lib. III, cap. VII. 122 P. Zacchia, Quaestiones medico-legales cit., lib. VII, tit. I, quaest. II; Ambroise Paré, Des monstres et prodiges cit., cap. IX, pp. 35-37. 117 228 Damasceno (secc. VII-VIII), mentre Ippocrate racconta di come abbia fatto assolvere una principessa accusata di adulterio per aver generato un figlio nero, essendo lei e il marito bianchi: l’anomalia del concepimento è attribuita alla contemplazione del ritratto di un moro, posto in prossimità del talamo123. Nelle opere filosofiche e mediche cinque-seicentesche sono spesso citati anche i casi del feto acefalo partorito a Bruxelles, dopo che la madre aveva assistito a una pubblica decapitazione, o quello dei pulcini con il becco di sparviero generati da una gallina atterrita, durante il coito, dal volo di un nibbio124. Le voglie o note caratteristiche, e più in generale, tutte le alterazioni della figura prodotte dalla gestante nel feto vengono ammesse anche dai teorici dell’immaginazione immanente – aristotelici come Fienus, Mercurio e Liceti, o gesuiti eclettici come Kircher: in questo caso, infatti, l’immaginazione agisce su un corpo estraneo, ma non esterno. La fenomenologia è molto varia, ed è la stessa descritta da Agrippa: il tiranno Dionisio, brutto e deforme, per avere una bella prole aveva appeso un bel quadro di fronte al letto; il figlio dell’adultera discolpa la madre perché questa, temendo di essere scoperta, pensa intensamente al marito durante il coito; se la discendenza degli esseri umani è più varia, rispetto a quella degli altri animali (che pure non sono esenti dalle signaturae dell’immaginazione), è perché i primi sono dotati di un ingegno vario e multiforme125. Si tratta di un fatto evidente e di una opinio communis, a favore della quale si potrebbero citare infinite auctoritates126, oltre a molte esperienze ed esempi. Fienus riconosce l’esistenza di «secreta naturae valde stupenda», che devono essere ammirati piuttosto che investigati, ma non rinuncia mai al ragionamento: ci tiene a distinguere gli autentici miracoli dagli effetti naturali dell’immaginazione; continua a porsi questioni, che esamina dettagliatamente, soppesando ragioni, esperimenti e auctoritates, prima di enunciare le proprie conclusioni. Non esita, ad esempio, a passare al vaglio le esperienze e i racconti tramandati da un’antica tradizione, e ne salva pochi: si tratta quasi sempre di ridicole esagerazioni, o di sciocchezze. A volte i parti mostruosi sono «soprannaturali e miracolosi», prodotti dal diavolo e voluti da Dio come castigo per qualche colpa. Altre volte le somiglianze prodigiose nella prole si spiegano naturalmente: se un’Etiope genera un figlio bianco, «genitor est illegitimus», perché gli umori non possono né sbiancare, né annerire la pelle del feto. Quanto agli effetti delle cose contemplate durante il coito, essi sono nulli: non basta concentrarsi su una bella immagine per generare figli belli, altrimenti nessuno nascerebbe brutto e deforme, e i quadri si venderebbero a peso d’oro127. 123 Ibid. Il racconto di Eliodoro – che era un poeta, non uno storico – è ritenuto favoloso da Liceti: cfr. De monstris cit., lib. II, cap. XLVI. Cfr. anche P. Boaistuau et al., Histoires prodigieuses cit., lib. I, cap. V; S. Mercurio, La Commare cit., lib. I, capp. XI-XII . 124 Agrippa, De occulta philosophia cit., lib. I, capp. LXIII e LXV; cfr. anche M. Del Rio, Disquisitionum cit., lib. I, cap. III, quaestio III; T. Campanella, De sensu rerum cit., lib. IV, capp. XI e XIX; T. Fienus, De viribus imaginationis cit., qu. IX, concl. XXX; K. Digby, Of Bodies cit., cap. XXXVIII, § 3. La storia del feto acefalo è raccontata, tra gli altri, da J. B. van Helmont, Ortus medicinae cit., p. 221a e da C. Schott, Physica curiosa, lib. V, pt. II, cap. XXX. Le voglie sono l’oggetto di una digressione nel Discours touchant la guérison des plaies par la poudre de sympathie di Digby: cfr. La polvere di simpatia cit., pp. 105 sgg. 125 Cfr. G. C. Vanini, De admirandis cit., lib. III, dial. XXXVIII. 126 Cfr. Aristotele, Problemi cit., X, 10. 127 T. Fienus, De viribus imaginationis cit., qu. XIII, concl. XL; qu. XX, concl. LIII; qu. XXII, concl. LV; qu. XXIII, concl. LVI. 229 Caspar Schott: Le meraviglie dell’uomo 230 Nel dominio del soprannaturale rientrano, oltre ad alcune mostruose generazioni, anche le guarigioni prodotte dalle reliquie dei santi (contrariamente a quanto pensava l’empio Pomponazzi), e il celebre fenomeno del sanguinamento del cadavere in presenza del suo assassino. In questo modo, infatti, Dio vuole che un colpevole venga scoperto e punito, oppure il diavolo fa in modo che un innocente sia condannato, spingendo il colpevole alla disperazione e alla perdizione128. La spiegazione che Fienus dà delle voglie è analoga a quella di Vairo, ma molto più ampia e dettagliata. Il moto degli umori e degli spiriti passa dalla madre al feto per continuità e simpatia, causando varie permutationes – più spesso monstruosae deformitates che verae signaturae: ad esempio, l’impeto del sangue nell’utero, conseguente a un desiderio intenso, può produrre, nel feto, parti più grandi o in sovrannumero; al contrario, se gli spiriti si ritraggono dall’utero per un improvviso terrore, il feto può avere parti più piccole, o mancanti. Ma tutti questi mutamenti sono casuali, non intenzionali. Quanto alle voglie vere e proprie, esse sono prodotte dalle specie della fantasia che si imprimono negli spiriti presenti nel sangue materno, e di lì passano per continuità nel sangue e negli spiriti del feto: questi agiscono infine sulla «potenza conformatrice» dell’anima del feto. Ma non si tratta di un fenomeno frequente: anche in questo caso, come in quelli della malattia e della guarigione, è necessaria una determinata disposizione corporea: le donne «forti, prudenti e coraggiose» non facile signant; se il seme è «valido» e la conformatrice «robusta», non si generano «note caratteristiche» nel feto129. Nel De monstruorum causis, natura et differentiis (1616), Fortunio Liceti nega invece all’immaginazione il potere di produrre o annichilire una certa quantità di materia, come avviene nei mostri «mutili» o in quelli per eccesso: le voglie dimostrano che la fantasia dei genitori – soprattutto quella materna, capace di odio e di amore al massimo grado – per quanto intensamente esercitata, può soltanto modificare la forma, la disposizione, il numero e il colore delle parti del feto. Con la stessa quantità di materia contenuta nell’utero, ad esempio, si possono formare un mostro bicipite, un ermafrodito, un bambino con la testa di elefante, oltre alle più varie tipologie di gemelli siamesi130. Nel De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis, pubblicato a Parigi nello stesso anno dell’opera teratologica di Liceti, Giulio Cesare Vanini attribuisce a donne particolarmente lascive la facoltà di concepire senza il concorso del seme maschile, in seguito ad amplessi immaginari. In questi casi, mancando del tutto la ratio contenuta nel seme virile, la sovrabbondanza di materia femminile genera «forme assurde». La stessa cosa accade nei rari casi in cui il concepimento avviene durante il periodo mestruale, perché il mestruo «sporca» il seme maschile131. In un’opera del 1601 che costituisce uno dei primi testi europei di ostetricia, Scipione Mercurio tenta di discriminare, nell’ambito delle generazioni mostruose, i casi possibili dalle chimere: rifiuta senza indugio gli ibridi umani e animali, come il centauro, ma ammette l’esistenza del satiro, prodotto dalla forza dell’immaginazione materna, e del ciclope; accetta i giganti, attestati dalla storia sacra e profana, 128 Ivi, qu. XXIV, concl. LVII. Ivi, qu. XV, concl. XLVI sgg.; qu. XVII. 130 F. Liceti, De monstris cit., lib. II, capp. IX, XI, XIX, XLII, LVI, LXVI. 131 G. C. Vanini, De admirandis cit., lib. III, dial. XL. Laurent Joubert (Des erreurs populaires cit., lib. II, cap. 3) aveva rifiutato questa credenza, in base alla convinzione che il seme non possa attaccarsi alla matrice, per il flusso di sangue che ne esce. 129 231 e attribuiti alla «forza delle costellazioni celesti», ma rifiuta i pigmei, che Colombo e Cortez non hanno mai incontrato nei loro viaggi132. «Imaginationis generantium simulachra vehementiora facile posse in embryj substantiam alienissimarum rerum imagines, ac figuras insculpere»133: il tramite di quest’azione è costituito, anche per Liceti, dagli spiriti. Nessuno, però, si sofferma sul modo in cui gli spiriti agiscono, ad eccezione di Kenelm Digby, che estende alla spiegazione delle voglie la sua teoria materialistica della conoscenza: se una gravida ha voglia di more, e la prima che riesce ad ottenere le cade sul collo, il bambino che ha in grembo nascerà con il segno di una mora sul collo. In questo caso, infatti, gli atomi di mora passano dal collo della donna alla sua immaginazione, e di lì, sempre attraverso gli spiriti, «numerosissimi e rapidissimi messaggeri», vanno a colpire l’immaginazione del feto, e infine il suo collo: si nascondono nella sua pelle, e fungono da catalizzatori degli atomi di mora, presenti nell’aria nel periodo della maturazione di quel frutto, durante il quale, appunto, le voglie di mora si infiammano134. Sulla teoria delle voglie come effetti immanenti e indiretti dell’immaginazione si sofferma anche Kircher, nel terzo libro del Magnes, sive de arte magnetica (1641): gli spiriti, diffusi in tutto il corpo attraverso i nervi e le arterie, trasportano le species cerebrali in tutte le parti del corpo, e quindi anche all’utero della gravida; se questa tocca la testa o il piede del feto mentre desidera o teme intensamente qualcosa, gli trasmette la voglia per una vis magnetica, veicolata dagli spiriti, capace di alterare la vis plastica del seme. Da un lato, Kircher si sforza di prendere le distanze dalla teoria avicenniana dell’actio in distans, che gli appare empia; dall’altro, la sua posizione – a differenza dell’aristotelismo di Fienus – è tutt’altro che coerente, e finisce per assomigliare moltissimo alla spiegazione di Helmont, che considerava le voglie della gravida un effetto della virtus sigillifera posseduta dalla fantasia, capace di irradiarsi istantaneamente, attraverso la mano, «il principale tra gli organi attivi»135. Kircher è convinto, come Avicenna, che i feti umani ed animali assomiglino alle cose viste o pensate durante il coito, assumendone anche il colore. Per ottenere animali neri o rossi, cerulei o verdi, dorati o maculati, basta cingere il luogo del concepimento di tende di quei colori; né è sorprendente che gli orsi polari siano bianchi136. Kircher aderisce, come si è detto, alla teoria immissionista delle species visive, che è aristotelica137; ma, nello stesso tempo, è il più ardente difensore, nell’età moderna, della teoria platonica dell’amore, che connette, in una catena magnetica immensa e universale, Dio, ovvero il «Magnete centrale, dal quale tutte le cose sono emanate», l’angelo, l’anima, il corpo, le facoltà dell’uomo (mens, ratio, phantasia, sensus exteriores), il lumen, il calore, i quattro elementi e i corpi misti. Dall’amore tutto procede, comprese le arti e le scienze, e tutto l’amore conserva: l’Amore è un magnete138. 132 S. Mercurio, La Commare cit. lib. II, capp. 34-37. F. Liceti, De monstris cit., cap. XLII, p. 146. 134 K. Digby, La polvere di simpatia cit., pp. 105 sgg. Questo stesso effetto è attribuito da Frommann allo spiritus mundi, nella «Quaestio unica: An transplantatio morborum ex uno subjecto in aliud sit magica?», §§ 79-80, in Tractatus de fascinatione cit., vol. II, lib. III, pp. 1040 sg. 135 J. B. van Helmont, Ortus medicinae cit., p. 332a. 136 A. Kircher, Magnes cit., lib. III, sez. VII, cap.VII. 137Cfr. supra, § 2. 138 A. Kircher, Magnes cit., lib. III, pars IX, cap. I; pars X, p. 907. 133 232 Tocca a Daniel Sennert, un autore caratterizzato dalla costante ricerca di chiarezza e correttezza epistemologica, denunciare i limiti delle proprie, e delle altrui teorie. Egli osserva, ad esempio, che le voglie sono immagini sempre imperfette, e non di qualunque cosa: non si possono mai formare, ad esempio, corna, piume o squame, né colori squillanti come il verde, il giallo e l’azzurro. È vero che le voglie impresse dalla madre al feto sono il risultato di un’azione immanente e indiretta dell’immaginazione, ma occorre riconoscere che quest’azione è del tutto oscura. Non si riesce a spiegare, infatti, in che modo e attraverso quali mezzi le species presenti nel cervello di una donna si trasferiscano al suo utero, imprimendosi sul feto. Neppure il ricorso agli effluvia sembra sufficiente, in questo caso139. Digby si spinge fino a ipotizzare un canale che metta direttamente e costantemente in comunicazione il cervello delle donne con il loro utero140. Un secolo più tardi, Ludovico Antonio Muratori affermerà che, in mancanza di osservazioni più accurate e di «esperienze filosofiche», è opportuno sospendere il giudizio sulle cause della formazione delle voglie, e delle generazioni mostruose141. Ma già Laurent Joubert, nel 1578, aveva considerato la maggior parte dei casi di voglie come dei «contes mal resonnez, et aussi mal fondez», come quello della «bonne femme» che raccontò al marito di essere rimasta incinta in sua assenza per aver mangiato la neve142. Nella Recherche de la vérité (1674-75), Malebranche è molto meno prudente nell’attribuire agli spiriti animali una sorta di onnipotenza sia nella produzione delle voglie, sia nella generazione dei mostri: il passaggio degli spiriti dal cervello della madre a quello del feto, e dall’uno e dall’altro verso tutte le parti dei reciproci corpi, spiega non soltanto le voglie, ma, ad esempio, perché nascano bambini a forma di frutto. Se la madre, in una fase precoce della sua gravidanza, desidera ardentemente un frutto, trasmette questo desiderio al bambino, per il contagio della sua immaginazione, e il flusso violento degli spiriti suscitato dall’immagine di quel frutto può mutare la figura del tenero corpo del feto. Malebranche racconta di avere visto con i suoi stessi occhi agli Incurabili un giovane folle, che aveva le braccia e le gambe rotte negli stessi punti nei quali esse vengono spezzate ai criminali, perché la madre, incinta, aveva assistito a una pubblica esecuzione: «tutti i colpi inferti a quel miserabile colpirono con forza l’immaginazione della donna, e, per una specie di contraccolpo, anche il cervello tenero e delicato del suo bambino». Ma, mentre le fibre del cervello materno resistettero al «corso violento degli spiriti prodotto dalla visione di un’azione tanto terribile», le fibre cerebrali del feto erano troppo delicate per resistere al «torrent de ces esprits», e ne risultarono «entiérement dissipées»: il bambino, quindi, nacque «privé de sens». E nacque anche con le ossa spezzate, perché «il corso violento degli spiriti animali» si indirizzò, nella madre e nel bambino, dal cervello verso tutte le parti dei loro corpi, corrispondenti a quelle del criminale. Ma, mentre le ossa robuste della donna resistettero all’urto degli spiriti, quelle del feto, avendo ancora «poca consistenza», si spezzarono negli stessi punti di quelle del criminale. È consigliabile, quindi, che una gestante, se è sconvolta da qualche visione o passione, diriga e incanali il flusso degli spiriti, toccandosi le parti più nascoste del corpo, in modo da evitare che suo figlio nasca con qualche segno o nota evidente143. 139 D. Sennert, Tractatus de consensu et dissensu cit., p. 790a. K. Digby, La polvere di simpatia cit., p. 112. 141 L. A. Muratori, Della forza della fantasia cit., cap. XII. 142 L. Jaubert, Des erreurs populaires cit., vol. I, lib. III, cap. VII. 143 N. Malebranche, Recherche de la vérité cit., lib. II, pt. I, cap. VII, § 3, p. 154 sgg. (trad. it. pp. 166 sgg.). 140 233 Caspar Schott: Mostri marini (Lutero?) 234 È da notare che questa credenza era stata inclusa tra gli «errori popolari» da Laurent Joubert, più di un secolo prima; Scipione Mercurio l’aveva giudicata una «scioccheria certo indegna dell’ingegno di Avicenna», e aveva attribuito la formazione delle voglie al sangue «effigiato» dagli spiriti animali, che scorre nelle vene, irrorando maggiormente una certa parte del corpo piuttosto che un’altra144. Spesso i bambini così colpiti nell’utero delle madri non sopravvivono: gli spaventi, i desideri e le passioni violente sono le principali cause di aborto nelle gestanti sane. Un anno prima che Malebranche ne parlasse, tutta Parigi aveva potuto vedere un feto, conservato per parecchio tempo nell’alcool, del tutto somigliante a un ritratto di San Pio, che la madre aveva contemplato con eccessiva attenzione, durante la festa per la canonizzazione di quel santo. Il bambino era nato con il viso di un vecchio, benché senza barba, con le braccia incrociate sul petto e gli occhi rivolti al cielo, e con la fronte sfuggente, perché l’immagine del santo essendo dipinta in alto, sulla volta della chiesa, aveva «tres peu de front», per un banale accorgimento prospettico. Ma non è tutto: il bambino era nato con una «specie di mitria rovesciata sulle spalle». Dio, conclude l’oratoriano, non ha progettato i mostri, né ha voluto gli aborti, che dipendono dal «déréglement de l’imagination de la mère», ed essendo legati a tutte le altre creature (non soltanto dal punto di vista metafisico, ma secondo la teoria biologica del preformismo), non diminuiscono la bellezza del mondo nel suo insieme, né lo rendono imperfetto. Non si deve credere, tuttavia, che la comunicazione tra gli spiriti animali e il cervello della madre e quelli del feto sia contraria all’ordine della natura: al contrario, essa ha un valore adattivo, rivelandosi utile alla propagazione della specie. Così si spiega, ad esempio, perché una cavalla non partorisca buoi, o perché l’uovo di gallina contenga di solito un pulcino, e perché solo in certi paesi, dove abbondano i lupi, gli agnelli nascano con il cervello disposto a fuggirli, o ancora, la trasmissione del canto negli uccelli, e persino il peccato originale145. Vi sono anche, per così dire, voglie spirituali, «sentimenti e idee dell’anima» che sorgono in occasione delle tracce cerebrali corrispondenti, e che le madri trasmettono ai figli: famiglie intere sono caratterizzate da una ereditaria «debolezza dell’immaginazione»; così si spiegano le avversioni innate per alcuni animali, o per determinati cibi; o ancora il fatto, raccontato da Digby, che re Giacomo I Stuart non potesse sopportare la vista di una spada sguainata. Mentre sua madre Maria, regina di Scozia, era incinta di lui, infatti, cercò di impedire l’assassinio del suo segretario italiano a colpi di spada, facendogli scudo con il suo corpo. Venne ferita di striscio, ma trasmise a suo figlio, peraltro coraggioso, un’invincibile avversione per le spade. Digby stesso sperimentò quanto potesse essere pericolosa questa debolezza in un re, quando Giacomo lo nominò cavaliere: poiché non guardava la spada con la quale avrebbe dovuto toccargli la spalla, gliela puntò in faccia e, se il duca di Buckingham non fosse intervenuto a deviarne la punta, gliel’avrebbe infilata in mezzo agli occhi146. La lunga e affascinante analisi malebranchiana della facoltà dell’immaginazione slitta spesso dalla fisiologia alla tassonomia, e non si discosta dall’opinione, comune tra i filosofi suoi contemporanei, che l’immaginazione sia una facoltà troppo legata ai sensi per non 144 L. Joubert, Des erreurs populaires, lib. III, cap. 7; S. Mercurio, La Commare cit., lib. I, cap. 20, p. 91. N. Malebranche, Recherche de la vérité cit., § 5. 146 Ivi, § 4. Cfr. K. Digby, La polvere di simpatia cit., pp. 122 sg. 145 235 ingannarci. Le donne, ad esempio, che hanno un’immaginazione vivace, sono dotate di grande esprit de finesse in tutte quelle cose che dipendono dai sensi, ma sono sostanzialmente incapaci di pensiero astratto, e soggette a tutti i déréglements propri di quella facoltà che possiedono in grado eminente. Ci sono, tuttavia, delle eccezioni: il giusto rapporto tra la grandezza e l’agitazione degli spiriti animali e le fibre del cervello dona a certune un felice temperamento; «il y a des femmes sçavantes, des femmes courageuses, des femmes capables de tout»147. Gli studiosi sono gli uomini più esposti agli errori dell’immaginazione: sia per i cattivi effetti dell’erudizione, che li rende seguaci ciechi del principio di autorità, sia per l’invenzione di sistemi nuovi, che li porta, in seguito, a trovare ovunque conferme dei princìpi che hanno immaginato, sia per la presunzione che li conduce allo scetticismo148. Nella vasta casistica degli errori indotti dall’immaginazione rientrano la mollezza degli spiriti «effeminati» e l’angustia (fisiologicamente fondata) degli spiriti superficiali, i pregiudizi dei teologi, che ignorano le scienze e giudicano «par fantaisie», la mancanza di metodo dei chymistes, che finisce per pregiudicare l’utilità della «filosofia sperimentale», della quale Malebranche pronuncia un elogio baconiano e boyleano: Il vaut mieux sans doute étudier la nature que les livres; les expériences visibles et sensibles prouvent certainement beaucoup plus que les raisonnemens des hommes149. I visionari e i pazzi (permanenti o temporanei, come gli amanti) hanno una conformazione cerebrale capace di accogliere vestigia profonde del corso sregolato degli spiriti animali; talvolta il turbamento della loro immaginazione può essere contagioso. La forza dell’immaginazione agisce anche gerarchicamente: spesso i superiori influenzano i sottoposti, come accade quando i genitori, i padroni, i maestri o il re «contagiano» con le loro credenze i figli, i servi, gli allievi o i cortigiani150. Oltre alle voglie, c’era un altro genere di effetti «simpatetici» prodotti dal magnetismo dell’immaginazione e spiegati, nel Cinquecento e nel Seicento, con la trasmissione degli spiriti: si tratta di «cose, le quali oltre che sono mirabili, ognun le tocca con mano quasi ogni giorno»151, vale a dire tutta quell’interessante gamma di fenomeni imitativi, già elencati da Aristotele nei Problemi e accennati da Avicenna nel Canon medicinae152, che Agrippa includeva nella magia naturale, e che anche gli autori più prudenti – come Vairo, Cesalpino e Fienus – erano disposti ad ammettere; ne parlano, tra gli altri, Bacon, Kircher, Digby, Glanvill. Giacomo Rizzolatti ha spiegato quei fenomeni, alla metà degli anni ’90 del secolo XX, con i neuroni-specchio: se vediamo qualcuno ridere o sbadigliare, ridiamo e sbadigliamo; se immaginiamo il freddo, abbiamo freddo; l’appetito, la tristezza e lo sti- 147 N. Malebranche, Recherche cit., lib. II, pt. II, cap. I, §1, p. 179. Ivi, capp. IV- VIII. 149 Ivi, cap. IX, p. 233. 150 Ivi, lib. II, pt. III, capp. I-II. 151 S. Mercurio, La Commare cit., lib. II, cap. 40, pp. 263-64. 152 Aristotele, Problemi cit., sez. VII. Tra gli «effetti dell’azione simpatetica», Aristotele includeva il contagio di alcune malattie, come la tisi, l’oftalmia e la scabbia (VII, 8). Avicenna, Canon cit., vol. I, lib. I, fen. II, doctrina II, cap. 14, p. 36: «Et istius capituli est congelatio dentium: propterea, quod alius acredinem comedit. Et invenire dolores membri propterea, quod tale quale illud dolent alii cum de eo cogitaverit. Et istius capituli est mutatio complexionis: propterea, quod imaginatur de re, quam timet ne cadam in eam, aut per quam laetatur». 148 236 molo a urinare sono contagiosi; se pensiamo a cose aspre, i denti «stupescunt»; se vediamo qualcuno che mangia un frutto molto aspro e amaro, digrignamo i denti; si può vomitare solo pensando a una cosa fetida, o soffrire il mal di mare soltanto a guardarlo; fissando la ferita di un altro, si può svenire per il dolore153. Tutti questi effetti derivano dall’azione dell’oggetto visto sulla fantasia di colui che vede: questa azione, infatti, imprimendo la sua specie sulla fantasia dell’osservatore, richiama anche gli spiriti verso quelle medesime parti, e gli spiriti fanno muovere le membra, e quindi vengono prodotte le medesime azioni154. Malebranche analizza nei termini della fisiologia cartesiana i fondamenti dell’empatia; riconosce che si tratta di spiegazioni ipotetiche, ma afferma che, se una supposizione può risolvere tutte le difficoltà, quell’ipotesi deve essere considerata «un principio incontestabile»: Nel nostro cervello, vi sono certamente dei meccanismi (ressorts) che ci portano naturalmente all’imitazione, perché questo è necessario alla società civile. … Bisogna che tutti gli uomini abbiano una certa disposizione ad assumere gli stessi modi e a fare le stesse cose di coloro con cui vogliono vivere. Infatti, affinché gli uomini si leghino, è necessario che si rassomiglino sia nel corpo, sia nello spirito. … Nel cervello vi sono delle disposizioni naturali che ci portano alla compassione, come pure all’imitazione155. Gli spiriti animali, cioè, affluiscono verso determinate parti del nostro corpo sia quando compiamo un’azione, sia quando la vediamo compiere, sia quando immaginiamo di compierla: basta sostituire al flusso degli spiriti animali l’attivazione di specifiche aree corticali per «saltare» dal XVII secolo ai giorni nostri. Malebranche è convinto che tali effetti si producano soprattutto nelle «persone delicate, che hanno l’immaginazione viva, e i tessuti molto teneri e molli», come le donne e i bambini, che sono più compassionevoli, mentre gli uomini nel pieno del loro vigore sono «inflessibili e inesorabili». La morale non vi ha nessuna parte: si tratta di un effetto che si produce meccanicamente (machinalement)156: ma su questo legame naturale, che spinge gli uomini all’imitazione e alla compassione, si fonda la conservazione della società civile, tanto che un uomo che non possieda quella «disposizione del cervello» è considerato un insensibile e un asociale157. 153 C. Agrippa, De occulta philosophia cit., lib. I, cap. LXIII; L. Vairo, De fascino cit., lib. I, cap. II; A. Cesalpino, Daemonum investigatio cit., cap. XVII; T. Fienus, De viribus imaginationis cit., qu. V, concl. XXIII e qu. VII, concl. XXVII; F. Bacon, Sylva cit., cent. VIII, § 795; A. Kircher, Magnes cit., lib. III, pars VII, cap. VII; J. Glanvill, The Vanity of Dogmatizing cit., cap. XX, p. 199. Per la teoria dei neuroni-specchio, si veda G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Milano, Cortina, 2006; G. Rizzolatti, L. Fogassi e V. Gallese, «Specchi nella mente», Le Scienze 460 (2006), pp. 54-61. 154 K. Digby, Of Bodies cit., cap. XXXVIII, § 7, p. 335: «All these effects, do proceed out of the action of the seen object upon the fantasy of the looker on: which making the picture or likeness of its own action in the others’ fantasy, makes his spirits run to the same parts; and consequently move the same members, that is, do the same actions». 155 N. Malebranche, Recherche cit., lib. II, pt. I, cap. VII, § 2, pp. 150-51 (trad. it. pp. 163-64). 156 Ivi, p. 153 (165). 157 Ivi, lib. II, pt. III, cap. I. 237 5. La fascinatio come contagio: Sennert versus Cardano Come si è cercato di mostrare nei paragrafi precedenti, la teoria del fascino aveva diversi aspetti: spesso (ma non necessariamente) si collocava all’interno di una concezione magica del mondo; presupponeva sempre una teoria dell’occhio, dello spirito e dell’immaginazione; a volte poteva presentarsi come una teoria medica del contagio. Quello che affascina, agendo a distanza, non è infatti soltanto l’occhio – che pure viene ritenuto lo strumento per eccellenza dell’immaginazione transitiva – ma la voce, la musica, e più in generale, gli spiriti benigni o maligni, talvolta venefici o infetti: «infectio est ex spiritu in spiritum», dice Francis Bacon158. Le malattie contagiose e tutti i generi di avvelenamento, compresi gli effetti del morso della tarantola e del cane rabbioso o il potere paralizzante della torpedine, sono esempi di fascinatio. Nelle Disquisitiones magicae (1599), il teologo gesuita Martin Del Rio distingue quella filosofica, o fisica, dalla fascinatio volgare, o poetica (il cosiddetto «malocchio»), e l’una e l’altra da quella magica, che deriva da un patto, espresso o tacito, tra il mago o la strega, da un lato, e il demonio dall’altro. Soltanto la prima e l’ultima sono reali: la fascinatio fisica è da considerare un semplice contagio o infezione naturale, che si propaga rettilineamente nel mezzo aereo. Il malocchio di cui talvolta parlano i poeti non è invece nulla di reale, ma rientra nel vasto dominio della superstizione. Quanto alla fascinatio operata dalle streghe e dai maghi, essa può produrre effetti nefasti, ma non per i poteri posseduti dallo sguardo, quanto piuttosto in virtù del patto diabolico159. Secondo Della Porta, il fascino d’amore e d’odio non è altro che un tipo di contagio, simile al prurito e alla scabbia160; un caso di avvelenamento come la peste, a parere di Libavius161. Juan Lazaro Gutiérrez, medico e professore, suggerisce di abbandonare del tutto l’ambiguo termine fascino, per sostituirlo con il più chiaro termine medico contagio162. Il vastissimo dibattito cinque-seicentesco può essere efficacemente esemplificato e riassunto dal confronto tra la dottrina della fascinatio esposta da Girolamo Cardano nel De venenis, un’opera pubblicata a Basilea nel 1564 che fu a lungo considerata autorevole in materia, e la classificazione dovuta a Daniel Sennert, contenuta nella Practica medicinae (1635). È Sennert stesso a citare costantemente il medico milanese come termine di paragone: entrambi si interessano al fascino da un punto di vista medico, allo scopo di sondare la possibilità delle malattie da esso provocate; entrambi hanno un atteggiamento critico verso le credenze volgari nei malefici delle presunte streghe; entrambi propongono dettagliate sintomatologie dei casi di veneficio, corredati dall’elenco delle possibili cure, e si sforzano costantemente di discriminare ciò che è naturale da ciò che eccede la natura, ciò che è credibile da ciò che è superstizioso. Ma nelle pagine del medico tedesco emerge, una volta di più, quel principio d’ordine che, invano inseguito da Cardano, caratterizza invece 158 F. Bacon, Sylva cit., cent. X, § 944. M. Del Rio, Disquisitionum cit., lib. III, parte I, qu. IV, sez. I. Questa distinzione è ripresa, tra gli altri, da J. C. Frommann, Tractatus cit., Exercitatio praeliminaris, § 5. 160 G. B. Della Porta, Magia naturalis cit., lib. VIII, cap. XIII, p. 161: «amatoria contagio, morborum omnium gravissima pestis». 161 A. Libavius, Tractatus duo physici cit., II, p. 355. 162 J. L. Gutiérrez, Opusculum de fascino, Lugduni, sumpt. P. Borde, L. Arnaud, & C. Rigaud, 1653, dubium VIII. La stessa opinione viene espressa da J. C. Frommann, Tractatus cit., lib. II, cap. I. 159 238 la forma mentis aristotelica di Sennert – un autore tutt’altro che alieno, come si è visto, da simpatie per la magia naturale e per la chimica post-paracelsiana. Cardano non distingue chiaramente il fascino dal veneficio, e l’uno e l’altro dai praestigia; inizia tassonomie che non conclude; attribuisce i casi di fascinatio a un abuso dell’attività immaginativa, senza intraprendere un’analisi della natura e dei poteri di tale facoltà. Lo sguardo malvagio di una vecchia, magari strabica e con gli occhi «torvi», può spaventare a morte un bambino: «inde opinio nata strigarum»; gli occhi dei felini atterriscono anche gli adulti: «ex eo nata fabula de lamiis, verti lamias in feles». Se il fascino è un effetto dell’immaginazione, che si origina «mala timendo atque imaginando», la sua cura non può essere altro che la «confirmatio mentem»: «quod si aliud non esset, depulso timore, effugata superstitione, corde atque animo confirmato, cuncta melius cedunt»163. E tuttavia Cardano, come al solito, non è coerente con la sua stessa teoria: tra i segni dei fascinati, accanto a quelli naturali, come il pallore, la magrezza, l’insonnia, l’infelicità e l’odio verso sé stessi – sintomi che, come si vede, coincidono con quelli classici della melanconia – ci sono alcuni mirabilia, come la credenza secondo la quale un anello fatto di zoccolo asinino si allarghi dopo qualche giorno, nel dito di una vittima del fascino164. Gli excantati devono essere distinti dagli ossessi, che parlano lingue sconosciute e discettano di scienze che ignorano, anche se in certi casi un demone può sopraggiungere, a completare un quadro clinico già compromesso dal fascino. Mentre Sennert rifiuterà il potere preventivo dei presunti rimedi naturali, capaci di allontantanare la fascinatio e il contagio, Cardano elenca coscienziosamente il sangue mestruale, la carne di vipera, le cantaridi, il latte, l’olio, la ruta, la lattuga con il burro, la teriaca, l’aglio – che, se usati assiduamente, «indeboliscono il potere di ogni genere di veleno»; lo stesso effetto possono avere gli amuleti di corallo e di smeraldo, nonché un animale come la donnola, «credo potius imposita, quam in cibo sumpta»165. Rimedi che ci appaiono giudiziosi ed altri decisamente fantasiosi si giustappongono, nelle dense pagine cardaniane. Per guarire i bambini vittime del fascino, sono efficaci i suffumigi a base di ambra e sangue di sparviero, le pietre appese in varie parti del corpo, dormire nelle pelli di lupo, ma anche il cambiamento d’aria e la riflessione filosofica, che rinforza l’animo. Contro il veleno trasmesso dal morso del cane rabbioso, l’unico rimedio è risucchiarlo fuori, con la bocca, le sanguisughe o con un ferro arroventato. Per sfuggire alla peste, occorre recarsi in luoghi boscosi e montani, dove i venti impediscono la corruzione dell’aria e il ristagno dei vapori corrotti, e i profumi emessi dalle piante cacciano i miasmi. Quanto alle vittime dei filtri d’amore, la cura migliore è applicare, a loro insaputa, lo sterco dell’amata: «cum odoris foeditatem senserit, amor solvitur». Sono efficaci, però, anche i salassi, le purghe, «venus assidua usque ad delassationem», il lavoro gravoso, una lunga passeggiata, una grande paura, una robusta bevuta di vino dolce, il gioco dei dadi o la radice di mandragora sorbita in infusione166. La trattazione di Sennert procede con ordine, a partire da una vulgaris sententia ormai consolidata, che deriva dalla fondamentale classificazione fracastoriana dei diversi generi 163 G. Cardano, De venenis cit., lib. I, cap. XVII, in Opera omnia cit., vol. VII, pp. 297b-298a. Ivi, lib. II, cap. VII. La sintomatologia degli affascinati è presente anche in G. B. Della Porta, Magia naturalis cit., lib. VIII, cap. XIII. 165 G. Cardano, De venenis cit., lib. III, cap. II. Cfr. anche G. B. Della Porta, op.cit., loc.cit. 166 G. Cardano, De venenis cit., lib. III, capp. XI, XV e XIX, p. 341b. 164 239 di contagio167. Riprendendo un’analoga distinzione fatta da Leonardo Vairo168, Sennert afferma che il fascino può essere di tre tipi: quello fatto con la vista (visu), quello operato con la voce e con l’elogio (voce et laudatione), e quello esercitato con il contatto corporeo (contactu et contrectatione). Esso può colpire bambini o adulti, animali – come agnelli, polli, galline, cavalli – ma anche le piante (l’esempio classico è quello delle messi) e gli oggetti inanimati (vasi, specchi). Quanto alle cause della fascinatio – un argomento, questo, significativamente assente in Cardano –, gli autori ricorrono solitamente agli spiriti emessi dagli occhi e alle arorroviai, o vaporum effluvia, umori spesso velenosi emessi dal corpo umano nella sua interezza, non soltanto con la vista, ma con il tatto e il respiro (afflatus). Sennert rifiuta decisamente le credenze – non meno filosofiche che popolari – sulle prime due specie di fascino, ritenute false, favolose e superstiziose: né gli occhi affascinano – perché la visione è un’«azione immanente», come insegna Aristotele, e avviene «non radiorum emissione, sed specierum visibilium receptione» – né le parole o la voce, oggetto dell’udito, possiedono qualche efficacia. Quanto alla possibilità di nuocere a qualcuno con il contatto fisico, questo è banalmente fuori discussione. Gli effluvia, invece, esistono, e spiegano una fascinatio naturalis responsabile dei «morbi occulti» (la peste, la sifilide, la scabbia, la congiuntivite, o la paralisi provocata dalla torpedine sul braccio del pescatore), che è impropriamente considerata un genere di fascìno: Ho già dimostrato, con ragionamenti ed esempi, che esistono effluvi occulti delle cose, i quali inducono diversi morbi occulti, sia casi di avvelenamento, sia di contagio: e quegli effluvi sono in parte atomi che emanano dai corpi, in parte sono enti spirituali, simili alle specie sensibili169. Insomma, tutti i mirabilia naturae legati alla fascinatio sono o casi di avvelenamento – naturale, sebbene non spiegabile con princìpi evidenti ai sensi – oppure azioni diaboliche, soprannaturali, o – che è lo stesso – azioni a distanza. Nel primo caso rientrano le emissioni nocive provenienti dai corpi del basilisco, dei serpenti, o del rospo – tutti animali capaci di avvelenare per «occulta effluvia» – nonché dai corpi degli appestati, di alcune vecchie malvagie e delle donne mestruate, che fanno appannare gli specchi. È da notare, però, che tali effluvi non vengono emessi soltanto attraverso gli occhi, quanto piuttosto attraverso la bocca (è questo il vero significato della fascinatio ex voce) e le narici: infatti, non è la visione di un appestato, a distanza, a metterci in pericolo di contrarre la peste, ma il contatto ravvicinato con lui e la sua frequentazione. Come si vede, Sennert non nega l’esistenza di una vasta casistica di fenomeni della fascinatio, risalente almeno a Plinio, e marginalmente presente in Aristotele. Nel De insomniis, infatti, egli parla dei poteri dello sguardo delle donne mestruate, capaci di produrre sulla superficie degli «specchi molto tersi» una «nuvola rosso sangue», e nei 167 Cfr. supra, Introduzione. L. Vairo, De fascino cit., lib. I, cap. II, p. 6: «Fascinum est perniciosa quaedam qualitas, intensa imaginatione, visu, tactu, voce, coniunctim vel divisim, coeli quandoque observatione adhibita, propter odium vel amorem inflicta». 169 D. Sennert, Practica medicinae cit., lib. VI, pt. IX, cap. I, in Opera omnia cit., tomo III, p. 668b: «Probavimus supra rationibus et exempla (sic!), dari occulta rerum effluvia, per quae vari morbi occulti, cum simpliciter venenati, tum etiam contagiosi, inducuntur: eaque effluvia esse partim atomos e corporibus effluentes, partim spiritualia, speciebus sensibilibus cognata». 168 240 Problemi individua nella ruta un «rimedio del malocchio»170. Poeti come Virgilio e Ovidio, storici e filosofi come Plinio, Plutarco e, più di recente, Cornelio Agrippa hanno raccontato una grande quantità di storie, tra le quali occorre innanzitutto discriminare i racconti credibili, e successivamente indicarne le possibili cause. È favoloso, ad esempio, che lo sguardo del lupo faccia perdere la voce a quell’uomo che venga fissato per primo dalla bestia; non è superstizioso, invece, credere che un animale velenoso come il basilisco possa uccidere «per occulta effluvia». La teoria degli effluvi atomici, ancora non chiaramente distinti dalle specie spirituali (come già in Fracastoro, che è una fonte importante di Sennert), permette di rendere ragione dei morbi occulti e dei casi prodigiosi di contagio a distanza. L’immaginazione, invece, non vi ha parte: essa, infatti, non agisce al di fuori del proprio corpo, perché è una potentia cognoscens, non locomotiva; anche sul proprio corpo non agisce direttamente, ma soltanto per accidens, muovendo quelle «potenze naturali» – attrattrice, ritentrice ed espultrice – che a loro volta fanno muovere gli spiriti e gli umori, i quali infine muovono le parti del corpo. Come si vede, Sennert riprende quasi testualmente la dottrina di Thomas Fienus: le idee dell’immaginazione, o «specie fantastiche», non possono produrre qualità reali, e neppure alterarle. È vero che l’immaginazione può fare sia ammalare, sia guarire, ma solo e sempre per accidens: nel primo caso, suscitando quelle passioni dell’anima che possono alterare lo stato degli umori corporei – ad esempio, il terrore della peste risveglia gli umori maligni latenti nel corpo, che a loro volta inducono la peste; il melanconico, triste, insonne, disappetente e ansioso, finisce per diventare un malato; nel secondo caso, la fiducia nel medico e nella cura, insieme a un temperamento lieto e fiducioso, possono provocare la guarigione171. Mai, però, l’immaginazione può agere in externa, come credeva Paracelso, i cui «sogni» non sono neppure degni di essere confutati: la falsa dottrina dei poteri transitivi dell’immaginazione è individuata da Sennert come la chiave di volta della «cattiva magia» degli antichi, cioè della magia nera o demoniaca, in varia misura teorizzata e praticata dagli Egiziani e dai Platonici, da Avicenna e Tritemio, Ficino, Agrippa, Paracelso e Croll. La trattazione più ampia dedicata da Sennert ai poteri dell’immaginazione è contenuta nel Tractatus de consensu et dissensu Galenicorum et Peripateticorum cum Chymicis (1619); in quest’opera, egli ammette che gli spiriti e gli umori mossi per accidens dall’immaginazione possano uscire da certe parti del corpo, seppure a una distanza circoscritta, e così spiega gli sguardi malefici, invidiosi delle vecchie o quelli inquinanti delle donne mestruate, individuando nell’occhio, ricco di spiriti sottili, lo strumento del fascino per eccellenza. Sedici anni più tardi, nella Practica medicinae, Sennert non è più disposto a concedere alcun potere transitivo all’immaginazione, neppure limitato e a breve distanza, attraverso l’aria. L’invidia – che è il significato etimologico più proprio della fascinatio – non ha quindi alcun potere: Dal momento che le passioni dell’anima non possono uscire al di fuori del corpo nel quale agiscono, è fondato quel proverbio secondo il quale: «Preferisco l’invidia alla pietà»172. 170 Aristotele, De insomniis, 459b25- 460a20, in Il sonno e i sogni cit., pp. 117-18; Problemi cit., sez. XX, 34, 926b, p. 315. 171 D. Sennert, Tractatus de consensu et dissensu cit., cap. XIV, in Opera omnia, vol. III. 172 Id., Practica medicinae cit., lib. VI, pt. IX, cap. I, in Opera omnia cit., tomo III, p. 670b: «…cum affectus animi extra suum corpore non egrediantur. Unde recte cum illo dici posse puto: Malo invidiam, quam misericordiam». 241 Oltre alla presunta fascinatio che è in realtà un’azione naturale, e si può curare con mezzi naturali, sia interni, sia esterni (vomitivi, purganti, diuretici), Sennert ammette una fascinatio di origine diabolica, e questa a sua volta può avvenire in due modi. Innanzitutto il diavolo, «rerum naturalium scientissimus»173, può causare malattie in modo naturale, corrompendo o agitando gli spiriti animali e alterando così la «costituzione» corporea: l’epilessia, le convulsioni, la paralisi e la melanconia hanno questa origine. L’«amore insano» e l’odio senza causa rientrano nella melanconia: è vero, infatti, che neppure il diavolo può coartare il libero arbitrio umano174, ma può suscitare nell’immaginazione «varia et falsa phantasmata» (ad esempio, dipingendoci bellissime le cose «turpi» o viceversa), inducendo in tal modo odio o amore, attraverso idee fisse. Per produrre i suoi effetti, il diavolo sfrutta la naturalis constitutio dei giovani, inclini ai piaceri della carne; dissipa e corrompe gli spiriti, «qui omnium actionum naturae proximum sunt instrumentum», inducendo, ad esempio, l’odio coniugale, impedendo la copulatio nei modi più diversi, producendo convinzioni ipocondriache (compresa quella dell’avvenuta evirazione) attraverso i suoi praestigia175. In tutti questi casi, la cura non si può ottenere soltanto con i mezzi naturali (come unguenti, bagni o suffumigi); è necessaria anche una cura «divina», cioè l’esorcismo, che è l’unico rimedio al quale ricorrere quando il diavolo affascina senza servirsi di alcun mezzo naturale. Ma di questo non è compito suo parlare, non rientra tra le competenze della sua «professione»: «falcem in alienam messem non immittam»176. La fenomenologia dei sintomi e delle cure dei fascinati, nonché delle peculiarità dei fascinatori, è la più varia: ma sempre occorre distinguere, ad esempio nel caso dei sintomi, ciò che è compatibile con le malattie naturali; denunciare le cure «superstiziose» e inefficaci (parole, incantesimi, caratteri, cerimonie e tutte le cure «magiche»); individuare quei segni che, se presenti, indicano invece un patto diabolico – come la pupilla doppia dei fascinatori, o la presenza in essa di un’effigie equina o canina, di cui parla Plinio177. Nella sfera della superstizione rientrano le credenze nei poteri delle streghe, che hanno soltanto la malvagia volontà di nuocere, e vengono ingannate dal diavolo, illuse di poter compiere venefici, in virtù della loro femminile debolezza di giudizio. Né si deve credere ai filtri d’amore – che hanno talvolta prodotto, invece, la pazzia. Esistono, è vero, farmaci afrodisiaci, ma non tali da indirizzare la libido verso una determinata persona: «in voluntatem hominis nec Daemonis, nec pharmacorum ullum esse imperium»178. 173 Ivi, lib. VI, pt. IX, cap. V, p. 676a. Questa convinzione era stata espressa anche da J. B. van Helmont, De magnetica vulnerum curatione cit., § 130, in Ortus medicinae cit., p. 470b: egli negava a Satana qualunque potere sull’«uomo interiore». 175 D. Sennert, Practica medicinae cit., p. 679a. 176 Ivi, lib. VI, pt. IX, capp. VIII-X, p. 629b. 177 C. Plinius Secundus, Naturalis historia, lib. VII, II. 178 D. Sennert, Practica medicinae, lib. II, pt. III, sect. II, cap. IV, in Opera omnia cit., vol. II, p. 424a. 174 242 CAPITOLO TERZO SPIRITI, EFFLUVI E SEGRETI NEL SECOLO DEI LUMI «Multa ficta, pauca vera, a daemone nulla» (F. de Saint-André, Lettres à quelques-uns de ses amis au sujet de la magie) 1. I fenomeni magnetici nel Secolo dei Lumi I “segreti”, come è stato ribadito più volte, non erano affatto scomparsi nel Secolo dei Lumi1: semplicemente, la filosofia corpuscolare qualitativa di Gassendi e Boyle era diventata il fondamento teorico della fisica occulta, come dimostrano le opere, tra gli altri, dell’abate di Vallemont e di Costantino Grimaldi. Gli effluvi continuavano a venire usati per distruggere le credenze false e superstiziose riguardo ai fenomeni magnetici, troppo spesso ritenuti effetti demonici e magici. L’intento che mi prefiggo in questo capitolo non è certo quello di esplorare il territorio vastissimo della sopravvivenza dell’occulto nel Settecento. Mi limiterò piuttosto a mostrare i mutamenti nel modo di considerare alcuni dei fenomeni già esaminati nei capitoli precedenti, allo scopo di portare nuova evidenza a favore dell’immagine, suggestivamente delineata da alcuni storici della letteratura e del pensiero, di un «Settecento tutto teso al riconoscimento della luce della ragione, ma nello stesso tempo pronto ad avventurarsi nell’ombra di ciò che è mistero, irrazionalità»2. In quel Settecento in chiaroscuro rientrano le dottrine della jettatura, maturate negli ambienti dell’Illuminismo partenopeo3; il dibattito, tutto settentrionale, tra l’abate Girolamo Tartarotti e il marchese Scipione Maffei sul carattere reale o illusorio della magia, e sui rapporti tra la magia e la stregoneria4; lo studio storico e l’ampia disamina dei fenomeni del tarantismo pugliese, compiuti prima da Ludovico Valletta, monaco della congregazione dei Celestini, poi, da un diverso punto di vista, dal medico Francesco Serao nelle sue lezioni, rimaste incompiute, all’Accademia delle scienze di 1 Per la sopravvivenza dei mirabilia nella seconda metà del Settecento, si veda R. Darnton, Il mesmerismo e il tramonto dei Lumi, Milano, Medusa, 2005, cap. I. 2 P. Tesi, L’America come un azzardo: il Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez, «Studi e problemi di critica testuale», 1995, n. 50, pp. 135-73 [p. 148]. Cfr. l’importante studio di V. Ferrone, I profeti dell’Illuminismo, Roma-Bari, Laterza, 1989. 3 S. Parigi, Oculus fascinans cit.; T. Griffero, Immagini attive cit., cap. IV. 4 Questo dibattito è aperto dalla pubblicazione dell’opera di G. Tartarotti, Del congresso notturno delle lammie (Rovereto, G. Pasquali, 1749), alla quale S. Maffei rispose con l’Arte magica dileguata (Verona, A. Carattoni, 1749). Alla successiva Apologia del congresso notturno delle lammie scritta da Tartarotti (Venezia, S. Occhi, 1751), Maffei rispose con l’Arte magica annichilata (Verona, A. Andreoni, 1754). A questa discussione presero parte anche altri personaggi, come Bartolomeo Melchiori e Clemente Baroni di Cavalcabò, Giovanni Paolo Zapparella, commissario del Sant’Uffizio di Venezia, oltre allo stesso Muratori: cfr. infra, § 4. 243 Napoli5; la rinnovata fortuna del concetto di entusiasmo, più o meno compatibile con la ragione6. Vi rientrano anche la meteorologia, che nelle opere di Geminiano Montanari e Giuseppe Toaldo prende insensibilmente il posto dell’astrologia, senza che si neghino l’azione esercitata dai «secreti effluvi» astrali, «sovente involti tra l’aere, che quasi di corteccia loro serve», attraverso i «pori», sui «fluidi» e sugli «umori» dei corpi animali7, o i «giorni critici» delle malattie, cari all’ipocondriaco Campailla, ma già considerati una colpevole superstizione dal vescovo Caramuel nel 16658. Anche i «fluidi sottili» di Benjamin Franklin, che trasportano l’elettricità o si fanno conduttori dei suoni9, e le scoperte «fuori dell’ordine della natura» compiute da Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, Gran Maestro della Massoneria per il Regno di Napoli, il cui museo venne considerato una tappa irrinunciabile del Grand Tour settecentesco da viaggiatori come Daniel Bernoulli e Joseph-Jérôme de Lalande10, rientrano tra gli aspetti più in ombra del Secolo dei Lumi. Nel 1703, alla facoltà di diritto dell’università di Lipsia, si discutevano tesi sulla liceità di rescindere contratti di affitto, ove la casa fosse infestata dagli spettri: la risposta affermativa era suffragata dall’autorità di molti autori, e basata su sentenze analoghe11. Nel 1706, Ludovico Valletta, monaco nel convento di Lucera, spiegava il «ricorso» annuale dei disturbi dei tarantati con una «sympathica correlatio» tra alcune cose naturali e alcune cose spirituali, e aggiungeva: «so che i Neoterici ingiungono di eliminare dalla filosofia questo nome di simpatia, perché non significherebbe altro che il consenso delle cose naturali, senza spiegare in cosa esso consista». Ma come giustificare altrimenti la subitanea scomparsa delle danze dei tarantati, alla morte del ragno?12 Ancora nel 1742, malgrado l’approccio dotto, erudito e illuminato che Serao aveva riservato ai presunti effetti del tarantismo – ricondotti soprattutto all’«estro» dell’immaginazione, oltre che al temperamento malinconico, prodotto dal suolo, dal clima e dalla qualità del cibo – il problema non veniva considerato definitivamente risolto: «o che si parli del fatto, o che si cerchi la ragione di esso, tutto qui è dubbioso, tutto coverto di folte tenebre, e contrastato»13. Nel 1746, l’abate lorenese Antoine (Augustin) Calmet, conside- 5 L. Valletta, De phalangio apulo opusculum, Neapoli, ex typographia De Bonis, 1706; F. Serao, Della tarantola o sia falagio di Puglia, Napoli, senza ed., 1742: cfr. G. L. Di Mitri, op. cit., cap. II, §§ 2-4 e 6 e cap. III, §§ 4, 6. 6 Cfr. S. Bettinelli, Dell’entusiasmo delle belle arti (1769), in Opere edite e inedite in prosa e in versi, Venezia, A. Cesare, 1799, tomi III e IV; A. Bettini, S. Parigi (a cura di), Studi sull’entusiasmo, Milano, F. Angeli, 2001. 7 G. Toaldo, Della vera influenza degli astri sulle stagioni e mutazioni di tempo saggio meteorologico, Padova, nel Seminario appresso T. Bettinelli, 1797 (prima ed. 1770), parte I, art. II; G. Montanari, L’astrologia convinta di falso, Venezia, F. Nicolini, 1684. 8 J. Caramuel y Lobkowitz, Apparatus philosophicus, Coloniae, s. ed., 1665, cap. CXXI; T. Campailla, Problemi naturali, I, § 1, in Opuscoli filosofici, Palermo, nella stamperia di Antonino Gramignani, 1738. 9 B. Franklin, Oeuvres (trad. par M. Barbeu du Bourg), Paris, chez Quillau l’aîné, Esprit et l’Auteur, 1773, 2 voll. 10 Cfr. G. Lutzenchirchen, Una pagina poco nota della storia della medicina: le «macchine anatomiche» di Raimondo di Sangro (1710-1771), «Medicina nei secoli», vol. 10, n. 2, 1973, pp. 161-70. 11 Karl Friedrich Romanus, Exercitatio inauguralis de rescissione contractus locati conducti ob metum spectrorum, Lipsiae, Recusa, 1748. 12 L. Valletta, De phalangio cit., cap. VII, pp. 153-54. 13 F. Serao, Della tarantola cit., Lezione I, p. 1. Cfr. il classico studio di Ernesto De Martino, La terra del rimorso, Milano, Il Saggiatore, 1996 (prima ed. 1961). 244 rava il fenomeno dei presunti vampiri, apparsi negli ultimi sessant’anni in Ungheria, Moravia, Slesia e Polonia, una delle «mode», «inclinazioni» o «malattie» tipiche del Settecento, e lo esaminava ampiamente, citando fonti mediche, come Thomas Bartholin e Jacques-Bénigne Winslow, il quale ultimo aveva dedicato una dissertazione all’«incertezza dei segni di morte» nel 174014. Alla fine del secolo, le catene magnetiche teorizzate da Kircher conobbero un’ultima, significativa ripresa nel sistema del magnetismo animale di Franz Anton Mesmer, che, pur «discendendo direttamente da quelli di Paracelso, van Helmont, Robert Fludd», «soddisfece l’interesse per la scienza … durante la decade precedente la Rivoluzione, e non sembrò contraddire lo spirito dell’illuminismo», tanto che il mesmerismo si può considerare «la più grande moda culturale degli anni Ottanta del XVIII secolo»15. Il lapis philosophorum, capace di mutare i metalli in oro e di prolungare la vita, era considerato da Muratori un «idolo» della fantasia; il pio abate non trascurava di aggiungere, però, che c’era ancora qualcuno, ai suoi giorni, che ne andava in cerca16: in pieno Settecento, un medico paracelsiano come lo spagnolo Francisco Suarez de Rivera poteva ancora dedicarsi a un’attardata «ricerca dell’alkahest, della polvere di simpatia e dell’oro potabile»17. Un altro medico, Giorgio Baglivi, negli anni ’30 del XVIII secolo si inserisce nella disputa che si era svolta circa settant’anni prima tra Athanasius Kircher e Francesco Redi riguardo ai poteri curativi della pietra serpentina, così chiamata perché si riteneva che si formasse spontaneamente nella testa del cobra. Schierandosi dalla parte del gesuita, Baglivi considera quella pietra efficace contro il morso dei serpenti, perché capace di succhiare il veleno per una sorta di attrazione magnetica tra sostanze simili18. I lavori di Aldrovandi continuarono a soddisfare gli «standard» della storia naturale nel XVIII secolo, anche per un autore come Buffon, fatta salva l’«eccessiva credulità», di cui lo accusa19. Persino Giacomo Leopardi, che definisce la magia, e le connesse credenze nelle «ombre, larve, spettri, fantasmi, visioni», «il pregiudizio dei secoli», uno degli «errori popolari degli antichi» più duri a morire, soprattutto presso il «volgo», scrivendo nel 1815 il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, ammette la possibilità che «si dimostri che la Magia non è assolutamente una chimera»20. 2. Effluvi, demoni e spettri Il dibattito sulla realtà degli spiriti, dei demoni e degli effetti magici, nonché sui poteri dell’immaginazione è ancora vivo nel Settecento, ed è un unico dibattito: come nei due 14 A. Calmet, Dissertazioni sopra le apparizioni de’ spiriti, e sopra i vampiri, o i redivivi d’Ungheria, di Moravia ec., trad. dal francese sulla seconda ed. rivista e corretta, Venezia, presso Simone Occhi, 1756, diss. II, capp. XVII e XXXVIII. 15 R. Darnton, Il mesmerismo cit., pp. 26, 45, 50. Su questo tema, cfr. anche P. Fara, Sympathetic Attractions cit., cap.VII, pp. 193 sgg.; Fatal Attraction cit., pt. III, pp. 145 sgg. 16 L. A. Muratori, Della forza della fantasia cit., cap. XIV. 17 Cfr. A. G. Debus, Paracelso e la tradizione paracelsiana cit., p. 59. 18 Cfr. G. Baglivi, Dissertatio de historia, anatome, morsu, et effectibus tarantulae cit.; M. Baldwin, The Snakestone Experiments cit. 19 L. Thorndike, History of Magic cit., vol. VI, p. 296. 20 G. Leopardi, Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, capp. IV e VIII, in Id., Tutte le opere (a cura di W. Binni), Milano, Sansoni, 1993, vol. I. 245 secoli precedenti, esso investe sia la filosofia naturale, sia la medicina, sia la teologia, e coinvolge, accanto a personaggi meno noti, alcuni protagonisti del movimento illuministico. Negare del tutto l’esistenza degli spiriti e della magia continua ad apparire empio alla maggior parte degli autori settecenteschi, anche dopo il coraggioso tentativo di «disincanto» del mondo, operato alla fine del secolo precedente dal calvinista Bekker21. D’altra parte, è innegabile che il dominio del miracoloso e del soprannaturale si riduca, soprattutto nell’opinione di quegli autori cattolici i quali, come Pierre Le Brun e Ludovico Antonio Muratori, ci tengono a depurare la religione autentica dalla superstizione. Dio, infatti, è ordine: nel culto che gli è dovuto non deve esserci nulla di «eccessivo» o «sregolato»; la superstizione consiste proprio nel «disordine» del culto. Dal diavolo, «maestro di curiosità», traggono spesso origine le scienze «disordinate, furiose, stolte» come l’arte della divinazione22. Ma dopo la venuta di Cristo, le superstizioni indotte dai demoni con la collaborazione dei loro accoliti – creature sataniche come le streghe, i maghi o gli ossessi – si sono drasticamente ridotte: mentre, quindi, è opportuno, in un secolo curioso come quello dei Lumi, costruire sistemi per spiegare le cause occulte dei fenomeni naturali – gli effetti della calamita, il flusso e il riflusso del mare o il moto dei pianeti – non si può e non si deve fare, a parere di Le Brun, un sistema del commercio tra gli uomini e i demoni23. Non diversamente da quanto avevano sostenuto Weyer, Fienus e van Helmont nel secolo precedente, e da quanto sosterranno Hoffmann e Saint-André, Le Brun è convinto che le streghe siano delle povere illuse, dementi soggette a idee ipocondriache, e che quelli del sabba siano «sogni di cervelli leggieri». Crede, però, che si debbano distinguere i semplici, innocui «visionari» dai veri e propri «malfattori»: quando i sortilegi si rivelano nocivi, è giusto che intervenga il braccio secolare, anche con la condanna al rogo24. Da un lato c’è un riconoscibile progresso nel duplice processo di discriminazione degli effetti naturali da quelli soprannaturali, e dei fenomeni autentici dalle credenze superstiziose; dall’altro lato, da Weyer e Del Rio fino a Le Brun e a Friedrich Hoffmann, archiatra del re di Prussia e professore di medicina all’università di Halle (1660-1742), al concorso demonico con le streghe vengono attribuiti sempre gli stessi fenomeni: tempeste, raccolti che si seccano, morie di bestiame. Analogamente, come si è visto, le teorie dell’oculus fascinans erano pressoché identiche in Ficino e Frommann, che pure scriveva due secoli dopo: i bambini e le donne, temperamenti «umidi», sono più soggetti al contagio dell’immaginazione; gli occhi «grandi, azzurri e splendidi», i temperamenti sanguigni e melanconici possiedono il massimo potere di affascinare, e nello stesso tempo sono i più esposti alla fascinatio. L’intento dal quale muove Hoffmann, nella sua «dissertatio physico-medica curiosa» De Diaboli potentia in corpore, pubblicata per la prima volta nel 1703, e successivamente ristampata nel 1712 e nel 1725, è quello consueto di trovare il giusto mezzo «ne nimium, 21 Cfr. supra, pt. I, cap. IV, § 5. P. Le Brun, Storia critica delle pratiche superstiziose cit., lib. I, cap. VIII; L. A. Muratori [Lamindo Pritanio], Della regolata divozion de’ cristiani, Venezia, nella stamperia di Giambattista Albrizzi, 1747 (prima ed. 1741). 23 P. Le Brun, Storia critica cit., lib. II, cap. III, § 2. 24 Ivi, § 3. Alla dissoluzione della credenza nelle streghe, anche sulla base dei referti medici, SaintAndré dedica ben quattro delle sue Lettres cit. 22 246 et ne nihil tribuamus diabolo», giacché, come dice Plutarco: «nimium credere, aut nimium diffidere periculosum est, propter humanam infirmitatem, quae finem non habet»25. Eppure, anche nella sua trattazione dei poteri diabolici, Hoffmann non si discosta in modo significativo dalla disamina compiuta da Del Rio più di un secolo prima, a parte l’identificazione dell’avversario, che adesso è Bekker. Il diavolo non può compiere miracoli che sospendano il corso ordinario delle leggi naturali; è falso, quindi, che faccia volare i corpi, annullando la gravità, e che possa trasmutare le sostanze, trasformando gli uomini in lupi, o i metalli in oro; è parimenti falso che possa creare ex nihilo esseri organici e viventi. È possibile, invece, che agisca sulle sostanze fluide, come l’aria, l’etere o gli spiriti animali (non per nulla gli appartiene l’epiteto biblico di princeps aeris), sia assumendo forme fittizie come quelle delle nubi, o corpi aerei, sia provocando – direttamente o per mezzo delle streghe – tuoni, venti, fulmini, tempeste e altri avversi fenomeni meterologici; sia suscitando species, altrettanto fittizie, nell’immaginazione, facoltà sulla quale il suo potere è massimo26. Le apparizioni, le estasi, i sogni, i deliri e il sabba sono soltanto alcuni esempi della fascinazione diabolica. I mezzi che Hoffmann suggerisce per scongiurarla assomigliano a quelli raccomandati da Marsilio Ficino nel De vita: vivere in paesi dal clima mite, bere vino, dilettarsi in conversazioni amene; non è un caso che le streghe e gli spettri abbondino in paesi come la Germania, la Svezia, la Lapponia e la Finlandia. Lo sconvolgimento degli spiriti animali può causare anche malattie come l’epilessia o la melanconia, l’afonia, la sordità e l’impotenza; Hoffmann è consapevole del fatto che vi sono casi dubbi, e che molti medici attribuiscono ormai a cause naturali quelle malattie che nella Scrittura sono considerate di origine demonica: per quanto lo riguarda, egli non si sente di escluderlo, ma neppure di affermarlo27. Alle persone «curiose» sono destinate le Lettres à quelques-uns de ses amis au sujet de la magie, des malefices et des sorciers, scritte dal medico François de Saint-André: se avessero avuto successo, il loro autore si riprometteva di pubblicarne altre «sugli spettri, i fantasmi, l’astrologia giudiziaria, i talismani, la pietra filosofale, la simpatia, l’antipatia»28. Morì, invece, in quello stesso anno, il 1725. Il suo intento era quello di distruggere gli «errori popolari» – quasi sempre fondati sugli errori dei dotti – che portano alla «superstizione», all’«empietà», all’«idolatria»: la radice di tutti quegli errori consisteva, a suo avviso, nell’attribuire al diavolo un potere assoluto sugli elementi, e nel credere alla realtà degli effetti di magia (scongiuri, incantesimi, caratteri, cerimonie e patti diabolici). Occorre, quindi, argomentare contro ciò che «si legge nei libri dei Demonografi, che fanno passare per cose reali le visioni, i sogni, le immaginazioni dei fanatici, deboli di spirito»29. In realtà, Saint-André è ben lungi dal rifiutare i mirabilia: semplicemente, intende sottrarli al dominio di Satana, reintegrandoli pienamente nella natura. L’attrazione della calamita e la polvere di simpatia non sono più inspiegabili, per un francese, di quanto lo 25 F. Hoffmann, De Diaboli potentia in corpore cit., in Opera omnia physico-medica cit., vol. V, «Praeloquium», pp. 94-95. 26 Ivi, §§ V-X, XIV, XVII-XVIII. 27 Ivi, §§ XIX, XXI-XXIII. 28 F. de Saint-André, Lettres cit., «Préface», senza indicazione di pagina. 29 Ibid. 247 sarebbe la pendola del Cabinet du roi, a Versailles, per un selvaggio americano: se potesse vederla, ne attribuirebbe certamente l’origine alla magia, ai demoni o a qualche divinità. Si tratta, invece, di una macchina inventata dai «matematici»: allo stesso modo, la polvere di simpatia o la danza frenetica dei tarantati di Puglia sono effetti naturali, spiegabili con le «emanazioni che provengono dai corpi, anche i più solidi, e con le impressioni che gli spiriti o le particelle che se ne staccano fanno sui corpi che toccano»30. Nello stesso modo si spiegano gli spettri che appaiono vicino alle tombe: dai cadaveri sepolti degli uomini e degli animali, infatti, emanano vapori; le particelle che li compongono esalano dai corpi in putrefazione secondo un determinato ordine, attraversano i pori della terra e si assemblano nell’aria, riproducendo la figura del corpo dal quale sono usciti31. L’uso anti-magico degli effluvi corpuscolari è evidentissimo nelle pagine di Saint-André: egli ha parole molto dure per i maghi, che vanno estirpati dalla Francia come una «cancrena che bisogna fermare subito, prima che raggiunga il cuore», e contro i libri di magia «pieni di cose vane, ridicole, superstiziose», assimilabili ai «romans ou contes de fées», privi di effetti sugli «esprits raisonnables»32. I presunti malefici, come la legatura (aiguillette), sono in realtà debolezze della natura, o malattie dell’immaginazione, o ancora, casi di avvelenamento: giustamente il re Luigi XIV di Francia, nella Déclaration contre les Magiciens (1682), ha condannato la magia come «ars venefica et malefica», assimilando i maghi ad avvelenatori e malfattori, senza mai menzionare i patti con il diavolo33. Saint-André non nega, però, che vi siano «malefici naturali» per spegnere la passione d’amore: droghe come il sale di Saturno, l’agnocasto e l’odore di canfora, usato anche per curare le isteriche, piante come l’orchidea e il nenufaro possono rendere frigidi e impotenti; mentre racconta storie degne di Cardano, il medico francese attribuisce agli effluvi tutti gli effetti, apparentemente magici, sui quali si diffonde. È proprio questo il vantaggio offerto dalla moderna «filosofia dei corpuscoli»: poter spiegare i fenomeni prodigiosi della natura e dell’immaginazione in virtù degli «spiriti» o delle «particelle» che emanano dai corpi – compresi quelli dei maleficatori e delle maleficatrici, che li emettono continuamente «attraverso il naso, la bocca, gli occhi e i pori insensibili della pelle». Tali emanazioni «portano con sé un carattere di malignità impressa loro dalla passione del maleficatore o della maleficatrice, e dall’invidia che hanno di vendicarsi»: questa può essere una causa dell’odio e dell’impotenza, rovina dei matrimoni; può generare sofferenza e persino la morte, indotta «in virtù dell’agitazione e dell’irregolarità» nel sangue, negli spiriti e negli umori. La credenza nella fascinatio non esclude l’adesione alla fisiologia meccanicistica cartesiana: gli spiriti animali, infatti, «avvelenati» dall’intenzione di nuocere, «déreglent entierement les mouvements de la machine», spezzandone le molle (ressorts) 34. Con l’esalazione di effluvi, e con la diversa costituzione degli uomini – che risulta dalla tissure più o meno fine della pelle, dalla diversa consistenza dei nervi, più o meno suscettibili di essere scossi, e dal grado di forza o vivacità degli spiriti animali – si spiegano i pre- 30 Ivi, «Première Lettre», pp. 24-25. Ivi, «Seconde Lettre de la Magie». 32 Ivi, pp. 88, 90-91, 101. 33 Ivi, «Première Lettre des malefices». 34 Ivi, «Seconde Lettre des malefices», pp. 151-52; «Troisième Lettre des malefices», pp. 175, 198-99. 31 248 sentimenti che legano in modo misterioso le persone che si amano, la capacità delle donne mestruate di corrompere tutto ciò che toccano, compresi i cibi, la maggiore o minore acutezza dei sensi, i sentimenti positivi e le avversioni istintive che certuni ispirano, l’effetto rianimatore della respirazione bocca a bocca, e quello rinvigorente del contatto con un corpo giovane e sano. Saint-André non tralascia di raccontare la storia di una dama di sua conoscenza, la quale emette dagli occhi spiriti corrosivi a tal punto, da avere le lenti degli occhiali tutte bucherellate. Il corpo degli animali viventi è tutto poroso: vi si fa una comunicazione continua dall’interno all’esterno, e dall’esterno all’interno, per mezzo dei pori; essa non cessa che al momento della morte35. Il catalogo dei mirabilia include anche diversi casi clinici, come accadeva nel Cinquecento e nel Seicento, quando i libri di segreti erano spesso scritti dai medici, e per i medici: la comunicazione dall’interno all’esterno della macchina corporea, e viceversa, spiega i presunti malefici diabolici, come il vomito di oggetti strani, o il caso della ragazza di Granville, che aveva l’utero come una «cava», dal quale fuoriuscivano sassolini di ogni genere. Gli unici malefici diabolici autentici ammessi da Saint-André erano i casi di ossessione e possessione, sebbene fossero molto rari, e comunque estranei a qualsiasi patto con i maghi e le streghe; per riconoscerli, egli elenca i classici segni, familiari a tutti gli autori cinque e seicenteschi: il dono della divinazione, la sapienza improvvisa, ad esempio delle lingue, la scoperta delle cose più nascoste e dei sentimenti più segreti. Per la maggior parte, le ossesse sono splendide attrici, isteriche, melanconiche, folli, o donne «tormentate dai vapori» e vittime della propria immaginazione. Non bisogna dimenticare né sottovalutare, tuttavia, gli aspetti più apertamente antiocculti del Settecento: senza dubbio, la dissoluzione dei mirabilia è uno degli scopi che si propongono alcuni protagonisti del movimento delle Lumières. Buffon, ad esempio, riprende a distanza di un secolo la spiegazione ottica degli spettri, che aveva dato Thomas Hobbes nel Leviathan (1651)36: le false apparenze, o ingannevoli apparizioni, non dipendono dall’immaginazione, bensì dall’errato giudizio dell’occhio, che, al buio, non ha a disposizione i consueti indizi che gli permettono di giudicare correttamente la distanza e la grandezza degli oggetti. Costretto a servirsi unicamente dell’angolo formato dagli assi ottici, sbaglia, e giudica gli oggetti vicini enormemente grandi. Così si spiegano le credenze negli spettri e nelle figure gigantesche e spaventose che «tanti dicono di avere visto». Ma basta toccare ciò che ci spaventa per riconoscerlo, percependolo all’istante delle giuste dimensioni37. Nell’Émile (1762), Rousseau ripercorre con brevità fulminea la storia del concetto di spirito e altrettanto fulmineamente lo demolisce: spirito, in origine, significa soffio, vento, aria. Non abbiamo nessuna idea di un altro significato del termine, ove questo venga assunto a designare un essere incorporeo e insensibile: infatti gli spiriti, così come vengono immaginati dal «popolo» e dai «fanciulli», «gridano, parlano, battono, fanno rumore», cioè sono dei corpi; ma certo, «quando si abituano le persone a dire delle parole senza capirle, è facile far dire loro tutto ciò che si vuole»38. 35 Ivi, «Quatrième Lettre des malefices», p. 223. Cfr. supra, pt. I, cap. I, § 2. 37 Buffon, De l’homme (1749), présentation et notes de M. Duchet, Paris, F. Maspero, 1971, p. 182. 38 J. J. Rousseau, Emilio, lib. IV, in Opere, a cura di Paolo Rossi, Firenze, Sansoni, 1993, p. 530. 36 249 Che cosa potrei dire di nuovo su coloro che immaginano di essere trasformati in lupi mannari, in galli, in vampiri, o che credono che i morti vengano a succhiarli? Perché dovrei soffermarmi su coloro che credono il loro naso o altre membra del corpo fatti di vetro e che bisogna consigliare di dormire sulla paglia perché non li rompano 39 ? Si tratta, osserva il medico La Mettrie nell’Homme-machine (1747), di effetti comunemente attribuiti a un déréglement della facoltà immaginativa. Egli ritiene opportuno, quindi, soffermarsi sulla teoria dell’immaginazione, anche allo scopo di difendere il padre Malebranche dall’accusa di credulità: è vero che la fantasia della gravida può plasmare il feto, «come una cera molle riceve ogni specie di impressioni», ma il fenomeno del prodursi delle voglie appare al medico La Mettrie, come al medico Sennert più di un secolo prima40, oscuro e poco comprensibile. D’altra parte, è l’immaginazione stessa, «quella parte fantastica del cervello la cui natura ci è altrettanto sconosciuta che il suo modo di agire», la fonte delle difficoltà nelle teorie che la riguardano, e nei fenomeni che le vengono attribuiti. Essa coincide, per La Mettrie, con l’intelligenza stessa, per cui tutte le facoltà dell’anima – il giudizio, il ragionamento, la memoria – non sono altro che «modificazioni di quella specie di tessuto midollare sul quale gli oggetti dipinti nell’occhio sono proiettati come da una lanterna magica». C’è bisogno, quindi, di educare l’immaginazione, affinché il suo naturale impeto non la trascini fuori strada, come accade ai «brillanti», ma deprecabili, «entusiasti»: Guardate quell’uccello sull’albero: sembra sempre sul punto di spiccare il volo. Così è l’immaginazione. Sempre trascinata dal turbine del sangue e degli spiriti, un’onda segna una traccia, subito cancellata dall’onda seguente. L’anima le corre dietro, spesso invano: bisogna che sia preparata a rimpiangere ciò che non ha afferrato e fissato abbastanza in fretta. In questo modo l’immaginazione, vera immagine del tempo, si distrugge e si rinnova senza tregua41. Nell’Encyclopédie, l’articolo «Imagination», scritto da Voltaire, reca un’ampia appendice, attribuibile con molta probabilità a Diderot, sul presunto potere che l’immaginazione delle gravide avrebbe sul feto. Si tratta, in gran parte, di una trascrizione letterale di alcuni passi dell’Histoire générale des animaux di Buffon, con alcune citazioni tratte dall’ampio commento di Albrecht von Haller alle Institutiones medicae di Hermann Boerhaave. L’antica credenza relativa alla capacità delle gravide di plasmare il feto era stata già posta in dubbio dal medico romano Paolo Zacchia (1584-1659) – il quale osservava che, se l’immaginazione avesse la forza che pressoché tutti le attribuiscono, i mostri nascerebbero continuamente dappertutto42 – e successivamente rigettata da James Augustus Blondel, membro del Royal College of Physicians, in un trattato uscito anonimo a Londra nel 172743. Il paragone tra l’immaginazione e «una potentissima calamita, la quale abbia la sfera della sua attività molto estesa, e che possa perciò attrarre, muovere, girare per ogni verso 39 J. Offroy de La Mettrie, L’uomo macchina, in Opere filosofiche, trad., introd. e note di S. Moravia, Roma-Bari, Laterza, 1978, p. 180. 40 Cfr. supra, pt. II, cap. II, §§ 4-5. 41 J. Offroy de La Mettrie, L’uomo macchina cit., pp. 195, 196, 200, 219. 42 P. Zacchia, Quaestiones medico-legales cit., lib. VII, tit. I, quaest. II. 43 Dal titolo The Strength of Imagination in Pregnant Women: cfr. M. Angelini, Il potere plastico cit., p. 68; Le voglie cit., pp. 21, 42-43; C. Pancino, Voglie materne cit., cap. IV. 250 tutte le cose animate, ed inanimate, che nel giro ritrovansi delle sue sfere» rientra tra gli errori popolari da abbandonare una volta per tutte, al pari dell’astrologia giudiziaria44. L’unico potere ancora concesso all’immaginazione nel secolo illuminato in cui Blondel scrive è quello che ha la madre di imprimere note caratteristiche sul feto. Quell’opinione viene completamente demolita dall’anonimo redattore dell’Encyclopédie: invece di essere un effetto dell’immaginazione della madre, le voglie dipendono dall’immaginazione di quanti pretendono di ravvisarvi dei frutti. Se poi le voglie si infiammano con il calore estivo, non è perché in quella stagione maturano i frutti corrispondenti, ma perché il sangue penetra con maggior forza nei vasi, i quali a loro volta possono essere più o meno grandi e numerosi, tesi o rilassati. I desideri della madre non sono «scritti sulla pelle del bambino», altrimenti nascerebbero solo maschi, e molti feti verrebbero soppressi per «fare un sacrificio all’onore, cioè al pregiudizio»: Come le nostre sensazioni non assomigliano agli oggetti che ne sono la causa, è impossibile che le fantasie, i timori, l’avversione, lo spavento, insomma qualunque passione o interna emozione possano produrre una rappresentazione reale di quegli stessi oggetti45. Opponendosi a Malebranche, l’anonimo autore afferma che, se un bambino nasce con le ossa spezzate dopo che la madre ha assistito al pubblico supplizio della ruota, questo è un post hoc, non un propter hoc, giacché non c’è alcun modo – né fisico, né meccanico – di spiegare il prodursi di un simile effetto. Nella natura agiscono soltanto il caso e la necessità, che regolano il perenne alternarsi di «spinta» e «resistenza» nelle parti fluide e solide dei corpi; i mostri sono sì rari, ma si spiegano come tutti gli altri esseri, con il «numero infinito di combinazioni che la materia può assumere»: «ce n’est point une imagination agissante qui a produit les variétés que l’on voit dans les pierres figurées, les agathes, les dendrites»46. Non bisogna illudersi, però, di riuscire a cancellare quel pregiudizio, né tantomeno di convincere le donne, perché «dans le monde les raisons générales et philosophiques font moins d’effet qu’une historiette», e ogni volta che si cerca di far riflettere qualcuno, si ottiene soltanto l’effetto di infastidirlo: Les préjugés, sur-tout ceux qui sont fondés sur le merveilleux, triompheront toûjours de lumieres de la raison; et l’on seroit bien peu philosophe, si l’on en étoit surpris47. 3. Pietà, credulità e Lumi: l’abate Calmet e il vescovo Davanzati Nel 1746, a un secolo esatto dalla pubblicazione della Pseudodoxia epidemica di Thomas Browne, uscì il Traité sur les apparitions des esprits et sur les vampires dell’abate lorenese Antoine Augustin Calmet, che giustamente scandalizzò Voltaire: 44 Dissertazione del signor Giacomo Blondel, Ferrara, Francesco Gardi, 1760, cap. III, p. 28. Encyclopédie, ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, voce «Imagination», Livourne, de l’imprimerie des editeurs, 1773, vol. VIII, p. 512a. 46 Ivi, p. 512b. 47 Ivi, p. 513a. Cfr. Buffon, Histoire générale des animaux, cap. XI, in Histoire naturelle générale et particulière, Paris, de l’imprimérie royale, 1749, vol. II; H. Boerhaave, Praelectiones academicae in proprias institutiones rei medicae, edidit, et notas addidit Albertus Haller, editio prima veneta post secundam Gottingae, Venetiis, apud Simonem Occhi, 1743-45, 6 voll: vol. V, pt. II, § 694, quaestio 9, pp. 263-69. 45 251 Quoi! C’est dans notre dix-huitième siècle qu’il y a eu des vampires! c’est après le règne des Locke, des Shaftesbury, des Trenchard, des Collins; c’est sous le règne de d’Alembert, de Diderot, des Saint-Lambert, des Duclos qu’on a cru aux vampires, et que le révérend père dom Augustin Calmet, prêtre, bénédictin de la congrégation de Saint-Vannes et de Saint-Hidulphe, abbé de Sénone, abbaye de cent mille livres de rentes, voisine de deux autres abbayes du même revenu, a imprimé et réimprimé l’histoire des vampires avec l’approbation de la Sorbonne, signée Marcilli 48! Eppure lo stesso Voltaire, nella stesura delle sue opere, e in particolare nel Dictionnaire philosophique, fece più volte ricorso all’erudizione del padre benedettino, il cui dichiarato intento, nella composizione del suddetto trattato – che ebbe quattro edizioni francesi nel giro di pochi anni, e fu subito tradotto in inglese e in italiano – era quello di sottoporre al vaglio critico della ragione tutto il vasto materiale che gli storici, i filosofi e i poeti, nonché le Sacre Scritture, avevano tramandato sulle apparizioni degli spiriti, buoni e cattivi, dei morti e dei vivi. «Io ho deliberato di trattare questa materia per vedere fino a qual segno di certezza ella può giungere»: come Browne, Caramuel e Bekker nel secolo precedente, e come molti autori settecenteschi, sul modello di Muratori, Calmet vorrebbe trovare il giusto mezzo tra l’incredulità degli esprits forts, che negano a priori tutto ciò che appare soprannaturale, e la credulità degli esprits faibles, scioccamente superstiziosi, o la «vana curiosità dei visionari». Il motto da seguire è quello paolino: «omnia probate, quod bonum est tenete»49. Come Pierre Le Brun, Calmet è convinto che la questione delle apparizioni delle anime, degli angeli, dei demoni e dei vampiri d’Ungheria, «che da qualche tempo han fatto nel mondo cotanto strepito», debba essere esaminata «come istorico, come filosofo, come teologo. Come istorico cercherò di scoprire la verità dei fatti; come filosofo ne esaminerò le cagioni, e le circostanze; finalmente i lumi della teologia mi suggeriranno delle conseguenze riguardo alla religione»50. Ancora una volta, l’erudizione è lo strumento che consente di comparare fonti sacre e profane: le religioni ebraica, cristiana, islamica e orientale, gli autori greci e latini. Ma le conclusioni alle quali Calmet giunge sono tali da giustificare pienamente lo sdegno di Voltaire: l’apparizione di angeli buoni e cattivi è ampiamente provata dal Vecchio e dal Nuovo Testamento, dai Padri della Chiesa e dalle decisioni dei Concili, dall’autorità di «medici, giureconsulti, storici sacri e profani». Tra le «operazioni» e le «apparizioni» di Satana, ci sono «i falsi Cristi, i falsi Profeti, gli Oracoli de i Pagani, i Maghi, gli Stregoni, le Streghe: quelli che sono invasi dallo Spirito di Pitone, gli ossessi, e i posseduti da i Demoni, quelli che si vantano di predire il futuro …, quelli, che fan patti col Demonio per discoprire tesori, e per arricchirsi, … i Demoni incubi, e succubi; le evocazioni per mezzo della Magia, gl’incantesimi, le malie, la morte, le furberie de’ Sacerdoti Idolatri»51. Calmet è convinto che la magia sia reale, che negare le apparizioni equivalga a mettere in dubbio l’esistenza di un aldilà, e intende provarlo «colla Sacra Scrittura, coll’autorità della Chiesa, 48 Voltaire, Dictionnaire philosophique, voce «Vampires», Paris, de l’imprimérie de la Fonderie Stéréotypes de Pierre Didot l’Ainé, et de Firmin Didot, 1816, tomo XIV, vol. VII, p. 120 (il corsivo è nel testo). 49 A. Calmet, Dissertazioni cit., «Prefazione», p. V e diss. I, p. 1. La citazione di S. Paolo è dalla prima lettera ai Tessalonicesi, V, 21. 50 Ivi, p. VI. 51 Ivi, diss. I, cap. VI, p.15. 252 e colla testimonianza de’ più seri, e più sensati Scrittori». L’errore da denunciare, pertanto, non è quello di chi perseguita e punisce i sedicenti maghi e streghe, ma, proprio al contrario, quello degli «spiriti forti» che rifiutano di credere alla magia per un puro e semplice pregiudizio; sbagliano anche i «principali Parlamenti del Regno di Francia» a non considerarla un reato, se non quando si unisce ad altri delitti52. I maghi non sono vittime della propria immaginazione agitata: è giusto, pertanto, che siano distinti dagli ipocondriaci e dai maniaci, e che vengano condannati a morte. È vero che ci sono «effetti meravigliosi» di natura che sono stati scambiati per fenomeni riconducibili alla «magia nera e diabolica», come la bacchetta divinatoria, la polvere simpatica, i «fosfori» e alcuni «secreti mattematici»; ma questo non equivale a dimostrare che la magia nera non esista, e che il diavolo non abbia alcun potere sulla natura. La ragion critica viene usata da Calmet per giustificare le credenze nella magia diabolica: a tale scopo, la teoria da esaminare e circoscrivere gli appare quella degli effluvia, che era stata usata, da Gassendi fino a Saint-André, proprio per espungere il potere demonico dalla natura. Calmet ha difficoltà a credere alla «possibilità di queste esalazioni»: Io vorrei prove di questo sistema, e non esempi degli effetti dubbiosi ed incertissimi della polvere simpatica. … Questo è un provare l’oscuro coll’oscuro, e l’incerto coll’incerto53. Il padre Calmet, che era disposto a credere agli spiriti folletti, denuncia il carattere puramente ipotetico e l’incertezza della teoria degli effluvi, della quale sono stati forniti, a suo avviso, più esempi che ragioni: la sua critica era stata, come si è detto, ampiamente anticipata e condivisa dai sostenitori epistemologicamente più avveduti di tale dottrina, in primo luogo Robert Boyle54. Inoltre, quand’anche quella degli effluvi fosse un’ipotesi plausibile, nulla vieterebbe di considerare le esalazioni emesse dai corpi le cause seconde usate dal diavolo, il quale, essendo meno potente di Dio, non può agire direttamente. Tuttavia, malgrado le sue riserve, Calmet segue Saint-André nell’attribuire agli spiriti emessi dagli occhi, all’«effluvio de’ corpicelli» e all’«insensibile traspirazione de’ corpi», quell’«infezione» trasmessa con il fiato e con gli sguardi, e diffusa soprattutto nei paesi caldi, che viene chiamata malocchio; i presentimenti di ogni genere; la particolare acutezza dei sensi, in alcuni uomini o animali; i nasi e i denti trapiantati da un corpo all’altro, che si putrefanno quando il loro originario possessore muore. L’azione a distanza è possibile in natura, purché tale distanza sia breve; se è grande, gli effetti sono da considerare soprannaturali. Esiste anche una «negromanzia naturale e lecita», in virtù della quale si possono spiegare i fantasmi che si vedono, di notte, nei cimiteri e nei campi di battaglia, con le «esalazioni prodotte dal calor della terra imbevuta del sangue, e degli spiriti volatili de’ morti, e particolarmente di morte violenta»55. I fenomeni di vampirismo, invece, non essendo fondati su testimonianze autorevoli, o sono casi di morte apparente, oppure sono da considerare fantastici, ed è giusto, in ogni caso, condannare gli atti di violenza compiuti sui cadaveri dei presunti «redivivi»56. 52 Ivi, capp. VII-IX, pp. 16, 19. Ivi, cap. IX, pp. 23-24. 54 Cfr. supra, pt. I, cap. IV, § 2. 55 A. Calmet, Dissertazioni cit., I, cap. XLII, p. 131. 56 È questa la conclusione alla quale Calmet giunge, non senza numerose oscillazioni, alla fine della seconda Dissertazione (cap. LVII), interamente dedicata ai vampiri. 53 253 Calmet, come Cardano (che è una delle sue fonti), intesse i suoi argomenti di numerosi racconti, senza fornire un criterio sicuro per discriminare il vero dal falso: al lettore è lasciato spesso il compito di giudicare la verosimiglianza delle storie narrate. L’abate lorenese, che è un seguace del sistema malebranchiano delle cause occasionali, non crede ai demoni incubi e succubi, considera false tutte le storie di fantasmi e dubita fortemente dei vampiri, ma crede negli «spiriti familiari» che ci fanno scoprire gli oggetti smarriti, e in quelli – sia buoni, sia cattivi – che custodiscono i tesori, oltre che nelle apparizioni delle anime dei defunti57. La Dissertazione sopra i vampiri (1774, postuma) venne scritta da Giuseppe Davanzati, arcivescovo di Trani, nel 1739: ebbe un’ampia circolazione manoscritta, anche al di là dei confini italiani, per la buona reputazione del suo autore, il quale, nel corso dei suoi numerosi viaggi, aveva conosciuto, tra gli altri, Pierre Bayle e Leibniz, oltre ad essere in contatto con scienziati e letterati italiani come Francesco Redi, Ludovico Antonio Muratori e Scipione Maffei. La teoria degli effluvi, utilizzata per dare una spiegazione «fisica» agli spettri e ai fantasmi dei morti, gli appare quantomeno incerta, anche se è stata proposta da autori come Boyle, Fludd e Garmann. Egli preferisce ricondurre quei fenomeni, riportati da molte gazzette e riferiti da numerosi ed autorevoli testimoni oculari, alla forza della fantasia, «miracolosa nelle sue operazioni»58, che verrà presto indagata da Muratori. Per lo stretto legame che ha con la vista, una fantasia corrotta ci induce a credere di vedere cose che non ci sono: i fantasmi, le ombre dei morti, le apparizioni dei vampiri sono meri effetti di fantasia59. Quella dei vampiri è una superstizione diffusa presso «gente idiota, ed ignorante, e semplice, dedita molto al vino», tenuta nell’ignoranza e nel timore da un clero parimenti credulo, ed ignorante: non ve n’è traccia presso le «nazioni colte», a Napoli, Roma, Parigi e Londra. Le esalazioni emesse dai cadaveri, che fermentano, unendosi a particelle di nitro e di zolfo, possono spiegare soltanto il fenomeno dei fuochi fatui60. Tutti gli altri prodigi sono riconducibili a moti spontanei della macchina corporea. 4. Magia, stregoneria e poteri dell’immaginazione: il dibattito italiano A distanza di nove anni escono a Venezia, presso lo stesso editore, Giambattista Pasquali, Della forza della fantasia umana (1740), di Ludovico Antonio Muratori, e Del congresso notturno delle lammie (1749) di Girolamo Tartarotti, pubblicato dopo una dura lotta contro l’Inquisizione61. La prima, che ebbe otto edizioni settecentesche, fu l’opera di Muratori che godette di maggior fortuna nel suo secolo. Della fantasia, o immaginazione, Muratori – come già aveva fatto Davanzati – parla in termini aristotelici, per quanto riguarda la gnoseologia, e cartesiani per quanto riguarda la fisiologia. L’immaginazione, infatti, non è soltanto «quell’arsenale, di cui l’Intelletto, potenza o sia Facoltà Spirituale, si serve per pensare e discorrere sopra un’infinità di cose, che egli apprende e conosce per 57 Ivi, I, capp. XXV-XXVII, XXIX, XXX, XXXII-XXXV, XL. G. Davanzati, Dissertazione sopra i vampiri, Napoli, presso i fratelli Raimondi, 1774, capp. XII-XIII, p. 162. 59 Ivi, capp. XIII-XV. 60 Ivi, cap. XVIII. 61 Quest’ultima opera indicava però Rovereto come luogo di pubblicazione. 58 254 mezzo di questa Materiale Potenza». Poiché in essa «consiste il commercio dell’Anima col Corpo», tale facoltà è tanto importante per la medicina, quanto lo è per la gnoseologia e per la morale62. Tuttavia, quando si parla delle «funzioni dell’anima», che hanno sede nel cervello, Muratori è convinto che occorra «contentarsi del Verisimile», perché non c’è, né ci potrà mai essere, un microscopio che ci aiuti a progredire in questo studio; anche gli spiriti animali sono un mero concetto teorico: «tutto dì abbiamo in bocca gli spiriti animali, cioè gl’immaginiamo senza mai averli veduti, e senza poterli vedere»63. Quella degli spiriti animali è dunque una mera ipotesi, che appare, però, «non solamente probabile, ma quasi necessaria», perché i corpi, sia solidi, sia fluidi, «tramandano effluvi»64. Muratori non insiste su questo punto, ma cita con approvazione la filosofia del suo corrispondente Tommaso Campailla da Modica (1668-1740), nella quale gli effluvi corpuscolari rivestono un ruolo centrale. Battagliero divulgatore della filosofia cartesiana in Sicilia, Campailla era un pensatore eclettico, capace di conciliare il cartesianesimo con la filosofia naturale gassendiana e newtoniana, e anche con la filosofia sperimentale di Robert Boyle e Giovanni Alfonso Borelli65. Proprio a Muratori era indirizzato il Disordinato discorso dell’uomo nelle varie pazzie, delirj, e sogni, incluso nei Problemi naturali (1727). Con gli effluvi degli umori morbosi, stagnanti nelle viscere, che alterano il movimento e la costituzione degli spiriti vitali e animali, Campailla spiega i disturbi della fantasia, alla quale assegna una precisa sede cerebrale, nel «setto lucido» fatto di fibre così pieghevoli, da farvi imprimere ciò che vi si «specchia»: tra le malattie dell’immaginazione, ci sono la melanconia, fino al suo più alto grado, che è la pazzia, il delirio degli ubriachi, dei maniaci, dei frenetici e degli idrofobi, il sonnambulismo e le visioni dei devoti66. Campailla è, a quanto mi risulta, l’unico sedicente seguace della «magia cartesiana»67: il «meccanismo degli eterei effluvi» non deve essere inteso, infatti, almeno nelle sue intenzioni, nei termini gassendiani degli atomi uncinati, i quali, dotati di una «sensitiva facoltà», entrano ed escono dai corpi porosi. Campailla preferisce postulare moti inerziali per «compressione»: i corpi sono sì porosi per la presenza di un vuoto «disseminato», ma i loro pori sono pieni di etere (il primo elemento della fisica cartesiana, che per Campailla tende a coincidere con l’etere «sottilissimo» newtoniano), che scorre in «rivoletti» o «effluvi». Se poi trova, nei corpi vicini a quello in cui scorre, pori di forma e grandezza congruente, quei corpi si uniscono, come l’acqua e il sale; altrimenti, i corpi rimangono separati da una «atmosferetta» di etere, come accade per l’acqua e l’olio. Così, con la «particolar testura» dei «composti» (concetto, questo, non cartesiano, bensì gassendiano e boyleano), si spiegano molti fenomeni medici, chimici, magici e astrologici, che gli aristotelici, con un’aperta confessione di ignoranza, consideravano effetti delle qualità occulte della simpatia e dell’antipatia68 Il sale, ad esempio, è il «vincolo universale» perché i suoi 62 L. A. Muratori, Della forza della fantasia umana cit., «Ai lettori», pp.VII-VIII. Ivi, p. XII; cap. I, p. 4. 64 Ivi, cap. II, p. 12. 65 Su Campailla, cfr. S. Parigi, La «biddizza» e il «sapiri»: il dialogo poetico-filosofico tra Girolama Lorefice Grimaldi e Tommaso Campailla, in P. Totaro (a cura di), Donne filosofia e cultura nel Seicento, Roma, Consiglio nazionale delle ricerche, 1999, pp. 143-54 e la bibliografia lì citata. 66 T. Campailla, Del disordinato discorso dell’uomo nelle varie pazzie, delirj, e sogni, probl. I, II, IV, X, XI, in Problemi naturali, Palermo, Giovan Battista Aiccardo, 1727. 67 Questo concetto è stato usato, come si è detto, da Tonino Griffero: cfr. supra, Introduzione e pt. I, cap. IV, § 1. 68 T. Campailla, Problemi naturali cit., «Introduzione» e probl. IX. 63 255 pori sono in «parte simili all’acqua, parte al solfo, parte all’aria, e parte al mercurio, ed alla terra»69. Campailla, però, è un cartesiano critico, pronto a riconoscere l’insufficienza dell’ipotesi degli effluvi eterei, ad esempio nella spiegazione della «virtù elettrica» e dell’attrazione magnetica; è poi decisamente eterodosso nell’ammettere «la virtù attrattiva degli amuleti» o quella animale tra il rospo e la donnola; i poteri della pietra serpentina, capace di attrarre il veleno, e quelli della «pietra nefritica» che, applicata a un fianco dolente, provoca l’espulsione dei calcoli renali. Descartes avrebbe considerato questi esempi di attrazione «mere baje … da mettersi nella classe delle arabiche sozzure .. de’ Talismani, de’ filtri … e di altri errori popolari, e superstizioni della cieca Gentilità, e della credula plebe», come affermava l’editore e commentatore delle opere di Campailla, l’abate torinese Secondo Sinesio, segretario del vescovo di Siracusa70. Gli effluvi emessi dal corpo del rospo, o del «soggetto venefico» che intende ammaliare, formano «un’ampia atmosfera» che lambisce, con la sua «periferia», il corpo della donnola, o della vittima del fascino, causando diversi moti degli spiriti animali. Il «magnetismo de’ vicendevoli effluvietti eterei» permette di spiegare anche la scomposta danza dei tarantati, che si rinnova nell’anniversario del loro infortunio; la passione d’amore e le avversioni istintive; gli influssi astrali, attraverso la successiva azione della luce sull’etere, e di questo sugli spiriti animali, consustanziali; la trasmissione al feto delle voglie materne; lo svanire delle macchie di more e di uva rossa nei «panni lini» nella stagione in cui quei frutti si maturano, e l’accentuarsi delle corrispondenti voglie nello stesso periodo71. A differenza di Muratori, Campailla era tutt’altro che «regolato», sia nelle abitudini di vita, secondo la testimonianza dei suoi biografi72, sia nelle simpatie per la magia naturale e per l’astrologia giudiziaria, coniugate con l’adesione al cartesianesimo. Tutto, invece, doveva essere «regolato» per l’abate Muratori: il pensiero, le azioni, la devozione, lo stile letterario, e persino i sogni che, lungi dal predire il futuro, sono solo «curiose, ma ordinariamente incoerenti, slegate e ridicole commedie» formate dalla fantasia nella libertà del sonno. Gli spiriti del sangue circolante per le cellette del cerebro commuovono allora i fantasmi, confitti ne’ varj strati e nelle piegature d’esso cerebro, onde vengono a formarsi varie scene, ora regolate, ma per lo più sregolate, e senza connessione veruna73. La credenza nella divinazione, come quella nell’astrologia giudiziaria, è un «dolce delirio», e nei deliri (compresi i sogni degli innamorati) c’è sempre una parte di colpa, che consiste nel non avvalersi abbastanza del proprio intelletto. Persino il sogno, infatti, che 69 Ivi, p. 41. T. Campailla, Problemi naturali, in L’Apocalisse dell’apostolo San Paulo, gli Opuscoli filosofici e tutte l’altre opere, edite dall’abate torinese D. Secondo Sinesio, Siracusa, nelle stampe di D. Francesco Maria Pulejo, 1784, probl. XIV e XVII, note alle pp. 242b e 266b. L’edizione di Sinesio è tutt’altro che affidabile: presenta, infatti, numerosi interventi e correzioni arbitrarie. 71 T. Campailla, Problemi naturali cit., XVII, XVIII e Problemi naturali, in Opuscoli filosofici cit., I, § 2, III. È da notare che i primi quattro problemi affrontati da Campailla sono contenuti esclusivamente in quest’ultima edizione. 72 Cfr. D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, Palermo, L. Dato, 1824, vol. I. 73 L. A. Muratori, Della forza della fantasia umana cit., cap. V, pp. 45- 47. 70 256 procede dalla fantasia, deve avvenire «sotto gli occhi per dir così della Mente stessa»74. Quando la fantasia si libera dal controllo della ragione, produce «deplorabili» e sregolati effetti, come il sonnambulismo, la frenesia e la pazzia, le estasi e le visioni, che – ove non siano di origine soprannaturale – differiscono solo quantitativamente dai sogni disordinati75. A una «fantasia guasta» sono riconducibili le fobie per alcuni animali, o le avversioni per particolari cibi, che si possono superare con la riflessione e con la forza di volontà; molte ipotesi, poste dai filosofi e dai medici antichi e moderni a fondamento dei loro sistemi, sono frutto di una fantasia colpevolmente sregolata. E poiché la fantasia malata può essere contagiosa, soprattutto tra le donne «plebee», si producono a volte casi di isteria collettiva76. I fenomeni «stravaganti e rari» della fantasia – che Muratori afferma di avere ripreso dalla Physica di Gassendi – si producono soprattutto nei temperamenti malinconici, come quello di Torquato Tasso, che aveva l’idea fissa del demone di Socrate, ed era perciò soggetto alle apparizioni. Anche i presunti effetti magici sono da attribuire alla forza della fantasia: le streghe sono donne isteriche, malinconiche, ipocondriache o epilettiche; il sabba è «uno sporchissimo sogno»; i demoni incubi e succubi servono ad alcune «sciocche femmine» per «coprire la sregolata loro incontinenza»; in quei paesi nei quali non si conoscono streghe o esorcisti, neppure si riscontrano casi di stregoneria, o «spiritati»; il malocchio, infine, come tutte le «malìe», è un esempio di «sognato, ma vero male»77. Attribuir tanta forza a i Diavoli fra i Cristiani, da che il divino Salvator nostro soggiogò l’Inferno, è un far torto alla santa nostra Religione78. Gli intenti riformatori e il razionalismo dell’abate Muratori lo conducono, come si vede, a conclusioni non dissimili da quelle alle quali erano giunti, nel secolo precedente, Juan Caramuel y Lobkowitz, vescovo di Campagna79, e il calvinista Bekker, oltre che, all’inizio del nuovo secolo, Pierre Le Brun, e successivamente Giuseppe Davanzati e Francesco Saverio Salfi80. Girolamo Tartarotti (Rovereto, 1706-61) cita con approvazione Muratori in un’opera che aprì una vivace discussione, e che fu lodata, a sua volta, da Muratori: Del congresso notturno delle lammie. Il titolo non rende giustizia alla portata reale dell’opera, che fu scritta in occasione di alcune esecuzioni capitali di presunte streghe avvenute, in quegli anni, in Germania e nel Trentino. Tartarotti non si proponeva soltanto di distruggere, con i mezzi offertigli dalla sua erudizione storica, una «favola popolare» come il 74 Ivi, cap.VI, p. 55; cfr. anche La filosofia morale, Napoli, a spese di Bernardino Gessari, nella stamperia di Felice Carlo Mosca, 1737 (prima ed. Verona 1735), cap. VI. 75 L. A. Muratori, Della forza della fantasia umana cit., capp. VII-IX. 76 Ivi, capp. XI e XVI. 77 Ivi, cap. X, pp. 129, 131, 135. Sul carattere puramente immaginario dei demoni incubi e succubi concordava anche Calmet: cfr. le Dissertazioni cit., I, cap. XXXII. 78 L. A. Muratori, Della forza della fantasia umana cit., p. 126. 79 J. Caramuel y Lobkowitz, Apparatus philosophicus cit.: cfr. soprattutto i capp. LXXIX-LXXX. 80 Questo religioso cosentino, che abbandonò presto il sacerdozio, fu un’esemplare figura di «curioso» settecentesco, filofrancese e massone; si distinse nella lotta contro le superstizioni e i pregiudizi, attaccando in particolare quelli che accompagnano il terremoto nel Saggio di fenomeni antropologici relativi al tremuoto (Napoli, per Vincenzo Flauto, a spese di Michele Stasi, 1787), scritto in occasione del terremoto calabrese del 1783. 257 sabba (ritenuta una sciocchezza persino dall’abate Calmet81), ma intendeva distinguere la stregoneria, considerata una malattia (curabile) dell’immaginazione, dalla magia, ritenuta invece reale, per quanto rara, e punibile anche con la morte, non diversamente dal reato di «veneficio». La stregoneria è un’illusione, come dimostra il fatto che le streghe abbondano nei paesi settentrionali, «ove più si gastigano», tra le contadine, che hanno il sangue «grosso e lento», e soffrono di melanconia a causa dei disturbi degli spiriti animali indotti da una cattiva alimentazione; la magia, invece, coincide con la magia diabolica, ed è fondata su un patto, espresso o tacito, con il diavolo: «il Mago è vero Malefico: ma la strega è piuttosto maleficiata, che Malefica. Il Mago comanda a Satanasso, la Strega ubbidisce»82. L’immaginazione non ha il potere di nuocere, se non a chi si convince di essere strega, lupo, fatto di vetro o di burro: non possiede alcun potere transitivo. A Tartarotti non sembrano molto diverse, a questo riguardo, le teorie di Avicenna, che riteneva l’anima capace di agire «col solo imperio della volontà» a grandi distanze, da quelle di Pomponazzi, che postulava l’intermediazione, a brevi distanze, di vapori prodotti dall’«ebollimento del sangue, e degli spiriti agitati dalla fantasia»83. In appendice alla sua opera, Tartarotti pubblica una lettera del conte di origine istriana Gian Rinaldo Carli, professore all’università di Padova, allievo di Muratori a Modena e poi amico di Scipione Maffei. Anticipando le obiezioni di quest’ultimo, Carli contesta la distinzione tra stregoneria e magia diabolica: non è corretto, infatti, neanche dal punto di vista storico, «distinguere il Diavolo dalla pazzia»84. Nella sua risposta, Tartarotti si diffonde su quei passi della storia sacra, ecclesiastica e profana che attesterebbero l’esistenza della magia, come i casi di ossessione, le apparizioni di spettri e i vaticini che si avverano. Negare l’esistenza della magia diabolica, oltre ad essere falso, è anche empio, perché equivale a negare l’esistenza del diavolo. Dopo la pubblicazione della sua opera, Tartarotti dice di essere stato attaccato sia da quanti lo accusavano di avere negato troppo, sia da quelli che, al contrario, gli rimproveravano di avere negato troppo poco. La difficoltà sta proprio nel trovare «quel desiderabile, ma difficil mezzo, in cui sta nascosta, e quasi appiattata la verità»85. Nella sua Arte magica dileguata (1749), il veronese Scipione Maffei, erudito, militare e drammaturgo, nonché fondatore, con Antonio Vallisnieri e Apostolo Zeno, del «Giornale de’ Letterati d’Italia», sposta molto oltre il confine del credibile, rispetto al moderato Tartarotti. L’arte magica è una «chimera», «un bel nulla», e così pure tutte le «curiosissime istoriette» di «persone ammaliate», di «case invasate» e di «cavalli infollettati»; le teorie dell’anima mundi e del «consenso delle basse, e delle alte parti del mondo» sono «bizzarrie romanzesche»; lui stesso è considerato un mago, quando compie esperienze elettriche che appaiono «stravaganti» e «mirabili» al volgo86. Ma «chi sa quanti siano al mondo i corpicelli che non si veggono, quanti effluvii escano sempre da i corpi naturali, e 81 Cfr. le Dissertazioni cit., I, capp. XVII-XVIII. G. Tartarotti, Del congresso notturno cit., cap. XIII, § III, p. 161. 83 Ivi, cap. XIV, p. 172. Dopo Malebranche, anche Calmet riteneva queste convinzioni semplici prodotti dell’immaginazione: cfr. Dissertazioni cit, I, cap. XII. 84 G. R. Carli, Lettera intorno all’origine, e falsità della dottrina de’ Maghi, e delle Streghe, ivi, pp. 31950 (p. 319). Questa lettera reca la data del 20 dicembre 1745. 85 Risposta di G. Tartarotti a G. R. Carli, del 15 giugno 1746, ivi, pp. 353-447 (§ 2, p. 353). 86 S. Maffei, Arte magica dileguata cit., § I, p. 5, §§ IV-VI, pp. 13-14. 82 258 quanto mirabili, e occulti effetti producano» non dovrebbe stupirsi di nulla87. Ormai, infatti, non soltanto i dotti, ma anche «quel minuto popolo, che non è stolido, e scimunito» non credono all’esistenza della magia, né al potere diabolico sul mondo, dopo la venuta di Cristo. Due anni più tardi, Tartarotti replica ancora a Maffei, appoggiandosi all’autorità del moderato Muratori, che in una lettera del 1746 gli aveva scritto, a proposito della magia, «mi par troppo il crederne nulla» – un’opinione, questa, ribadita nel trattato Della forza della fantasia umana. L’unico sistema del tutto incompatibile con la magia, e che quindi autorizzi a deriderla, appare a Tartarotti, come a Spinoza nel secolo precedente, quello degli empi epicurei88. L’accusa di empietà è ribaltata da Maffei contro i sostenitori dell’esistenza della magia, inventata da alcuni platonici pagani «per far contrapposto a’ miracoli del Salvatore»89, e sempre negata da tutti gli «uomini di senno, e di dottrina», sia antichi, sia moderni. L’«annichilimento» dell’arte magica risparmia, però, la credenza nel demonio, essenziale ai cristiani. L’Arte magica annichilata esce nel 1754, un anno prima della morte del suo autore; l’anno successivo, dopo la morte di Maffei, Giovanni Paolo Zapparella, commissario del Sant’Uffizio di Venezia, pubblica le Riflessioni sopra l’Arte magica annichilata, nelle quali approva il pronunciamento della Facoltà di Teologia di Parigi, che aveva condannato l’errore di quanti negavano le arti magiche. L’opinione ortodossa è quella di Tartarotti e Muratori, che distinguono la magia diabolica dalla «stregheria», ritenuta una malattia dell’immaginazione90. Maffei è assimilato a Bekker, Saint-André e Gian Rinaldo Carli dal giurista e filosofo naturale napoletano Costantino Grimaldi, che si schiera dalla parte di Muratori e Tartarotti. Dopo aver distinto, nelle operazioni naturali, i fenomeni «manifesti e aperti», cioè sensibili e conoscibili, da quelli nei quali la natura opera «per virtù nascosta», nella Dissertazione sulla magia diabolica (1751, postuma) egli considera l’attrazione della calamita, la bacchetta divinatoria, la remora che ferma le navi, l’azione degli amuleti e di alcuni rimedi, come la polvere di rospo contro la peste, il fascino causato dagli «sguardi maligni» delle «maliarde», fenomeni di magia naturale, «secreti» che rimandano all’ipotesi degli insensibili effluvi corpuscolari, giudicata però tutt’altro che sufficiente a spiegare gli effetti mirabili della natura: come il decantano le squole (sic!): o secondo gl’insegnamenti dei moderni filosofanti, quando (la natura) opera in virtù d’insensibili effluvj di particelle tenuissime, o di briciolette, di cui sono i misti composti. Ma come, e qualmente questi effluvj mandi, in che copia gli spinga, con che veemenza, e quanto lontano vadano, questo è da noi ignorato, senza poterne far giudicio, e discernimento, di modo che non sappiamo, se gli effluvj prodotti dalle cose sieno proporzionati agli effetti, che ingenerano91. 87 Ivi, § XV, p. 46 (il corsivo è nostro). G. Tartarotti, Apologia del congresso notturno cit., «Prefazione» e oss. I. La lettera di Muratori è del 27 luglio 1746. Per il giudizio spinoziano, cfr. supra, pt. I, cap. I, § 2, p. 29. 89 S. Maffei, Arte magica annichilata cit., lib. II, cap. VII, p. 119. 90 [G. P. Zapparella], Riflessioni sopra l’Arte magica annichilata, Venezia, F. Pitteri, 1755. 91 C. Grimaldi, Dissertazione in cui si investiga quali sieno le operazioni che dependono dalla magia diabolica e quali quelle che derivano dalle magie artificiale e naturale e qual cautela si ha da usare nella malagevolezza di discernerle, Roma, nella stamperia di Pallade, appresso Niccolò, e Marco Pagliarini, 1751, § LIII, p. 38. 88 259 Quella degli «effluvj benigni, o maligni» che escono ed entrano attraverso i pori dei corpi, emanando anche a molte miglia di distanza, è l’ipotesi più comune presso i naturalisti, in primo luogo Robert Boyle, e poi Digby, Schott, Frommann, Vallemont e SaintAndré. Grimaldi non pone limiti all’actio in distans: crede nei poteri cicatrizzanti della polvere simpatica e nella possibilità di comunicare attraverso gli aghi magnetizzati; lui stesso afferma di avere assistito a un esperimento simile, a Napoli, dai Padri Oratoriani. Tra i prodigi naturali, Grimaldi menziona anche la «virtù elettrica, che supera tutti i portenti». Le apparizioni di morti, larve o spettri, proprie soprattutto di malati, frenetici o malinconici si devono attribuire, invece, alla fantasia alterata92. Con le «esalazioni oleaginose» emesse dai cadaveri si spiega il fenomeno dei fuochi fatui, che appaiono nei cimiteri o sui freschi campi di battaglia; sulla scia di Digby, Kircher, Gaffarel, Garmann e Le Brun, Grimaldi non esclude che i fantasmi possano formarsi dai sali e vapori liberati dalla fermentazione dei cadaveri sepolti. Se è vero, infatti, che la forma sostanziale di un corpo risiede nei sali che lo compongono, come ammettono Kircher e i «più savj chimici», quei Sali, mossi dal calore, formeranno «sopra la superficie» la medesima figura che la natura aveva dato loro93. Le opere di Campailla e Grimaldi dimostrano che era ancora possibile, nell’Italia del Settecento, conciliare Galilei e Cardano, Marsilio Ficino e Robert Boyle, Garmann con Muratori, Della Porta con Vallemont, Francis Bacon con Saint-André, il cartesianesimo con l’anticopernicanesimo dei teologi; si poteva impunemente credere nella proporzione tra i suoni e gli spiriti94, nella comunicazione a distanza attraverso gli aghi calamitati, nella remora che ferma le navi, nella bacchetta divinatoria, nella polvere di simpatia e nel malocchio, ed essere cionodimeno inclusi tra i novatores. 5. La teoria della jettatura La rinascita, e la nuova fortuna, delle teorie dell’oculus malus negli ambienti illuministici napoletani può apparire, a seconda dei casi, un problema storiografico o un fenomeno antropologico e folclorico. Benedetto Croce considera la teorizzazione settecentesca della jettatura un divertissement letterario prodotto da persone altrimenti serie, come il giurista Nicola Valletta e il medico Gian Leonardo Marugi, che fu autore, oltre che dei Capricci sulla jettatura (1788), di un manuale lockiano-scolastico, il Corso di studi sull’uomo (1795). Croce ha dalla sua le dichiarazioni degli autori suddetti, che effettivamente presentano le loro opere come scherzi, bizzarrie, nugae95. Tra le interpretazioni più recenti, mi limiterò a considerare quelle di Ernesto De Martino, Gabriele De Rosa e Vincenzo Ferrone, che concordano solo sul presupposto di prendere sul serio la jettatura. De Martino è convinto che la presentazione scherzosa delle loro dottrine, da parte di Valletta e Marugi, sia solo una finzione letteraria, che permette di difendere un’ideologia nella quale si crede ancora. Quell’ideologia appare a De Martino «un singolare compromesso pratico tra magia e razionalità»; «non rappresenta per nulla 92 Ivi,§§ LXXIII-LXXIV, LXXVI, p. 52, CIX, CXI- CXIV, CXVI-CXVII. Ivi, §§ LXXXI, LXXXIII. 94 Ivi, §§ CXXVIII-CXXXVIII. 95 B. Croce, La «cicalata» di Nicola Valletta, «Quaderni della critica», 1945, n. 3, pp. 20 sgg. 93 260 una scelta impegnata e seria a favore dell’irrazionale», ma dimostra una «mancata opzione a favore del razionale» che differenzia nettamente l’illuminismo napoletano da quello anglo-francese. Dopo aver contribuito in modo decisivo, nel Rinascimento, a favorire la magia naturale rispetto a quella cerimoniale, con uomini come Della Porta, Giordano Bruno e Campanella, il pensiero meridionale, nell’età dell’Illuminismo, «ha scarsamente partecipato alla esplicita presa di coscienza» dell’alternativa tra la magia e la razionalità. Se l’illuminismo napoletano permise, al suo interno, quello «sviluppo secondario e minore» che è l’ideologia della jettatura, ci sono dei motivi storici: infatti, l’«esperienza di essere-agito-da», che sta alla base dei fenomeni di fascinazione e di possessione, era particolarmente diffusa e frequente in un mondo, come il Regno di Napoli, caratterizzato da una storia «negativa», dove la «ricorrente esperienza della precarietà dei beni vitali elementari, […] l’insicurezza delle prospettive, […] il caos di cozzanti interessi particolaristici e individualistici, […] l’ininterrotta pressione di forze non dominabili» spiegano il «ricorso alle tecniche protettive della bassa magia, l’accentuazione magica del cattolicesimo, […] il largo spirito di compromesso, la scarsa capacità d’espansione della cultura di vertice». La jettatura, come tutte le pratiche magico-religiose, serve a proteggere l’uomo da un mondo in cui tutto «va di traverso»96. Gabriele De Rosa è d’accordo, in questo, con De Martino: nel gran «corpo anchilosato» del Regno di Napoli, «ciò che accadeva all’uomo non si misurava con la logica né con il metro della civiltà dei filosofi. […] La natura non era un fatto obiettivo, esterno, calcolato con leggi fisiche e matematiche, ma portava i segni profondi dell’impronta divina». La generale precarietà dell’esistenza induceva a rifugiarsi nella magia, e nella «Chiesa magico-sensitiva», le cui pratiche rituali costituivano altrettante forme di difesa dall’ignoto, di «fuga da una realtà dura, senza sbocchi e risorse economiche». A differenza di De Martino, De Rosa tende ad attribuire alla capitale del Regno la colpa di tanta diffusa superstizione e irrazionalità: «Napoli fece indigestione di illuminismo anglo-francese, ma non immise un pizzico di razionalità nel corpo anchilosato del paese, dove perdurava il mondo del fascino stregonesco accanto a quello dell’arbitrio dei galantuomini». L’illuminismo napoletano, dunque, non era «arretrato» rispetto a quello europeo, come pensava De Martino; la sua pecca, se mai, era un’altra: quella di essersi impegnato in un «pugnace anticurialismo […] causidico e litigioso, formalistico e arido», invece di favorire la diffusione del cattolicesimo post-tridentino, onesto, ordinato e razionale, sul modello della «regolata divozione» dell’abate Muratori97. La tesi demartiniana del sincretismo magico-religioso nel Mezzogiorno d’Italia, insomma, è solo una parte della verità, secondo De Rosa: «la storia religiosa del Mezzogiorno fu anche storia di sinodi e di vescovi anti-magici»98, come Juan Caramuel e Giuseppe Davanzati. Certo, la «religione ufficiale tridentina» era destinata a rimanere a lungo minoritaria: però esisteva, «parallela, quando non in conflitto, con la religione vissuta e popolare e quotidiana»99. Quest’ultima non era propria solo delle classi subalterne, ma 96 E. de Martino, Sud e magia, Milano, Feltrinelli, 1976 (prima ed. 1959), parr. 6-8, pp. 104, 116, 128, 132-33, 137. 97 G. De Rosa, Vescovi, popolo e magia nel Sud, Napoli, Guida, 1971, pp. 2, 7, 58, 92, 142. 98 Ibid., p. 3. 99 Id., Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Roma-Bari, Laterza, 1978, p. 93. 261 era, per così dire, trasversale alla società meridionale: «la scienza di un avvocato o di un medico della metà del Settecento, nel Mezzogiorno più profondo, non contrasta con l’attesa e le credenze nei miracoli e nella santità»100; «la religione popolare non ha nessun significato classista: […] la pratica religiosa, anche quando è inserita in un tessuto di magia e di superstizione, si ritrova in tutte le classi: braccianti, massari, fittavoli, proprietari, baroni, e anche clero»101. Lo stesso Valletta portava, a sostegno della jettatura, la credenza comune a tante persone «coltissime, ed erudite», come «gravi togati, cavalieri di rango, avvocati, giurisperiti, medici valenti, matematici sublimi, acuti filosofi»102. Le credenze superstiziose nella «jella» e negli scongiuri erano deviazioni dalla prescrizione tridentina, che accomunavano «larghe frange del clero e, perché no?, certa borghesia illuminata»103. Il problema sta tutto in quella proposizione interrogativa incidentale: perché un avvocato come Valletta e un medico come Marugi, borghesi illuminati, seppure napoletani e non provinciali104, non avrebbero dovuto credere alla jettatura? Vincenzo Ferrone è l’autore della disamina più ampia e approfondita dell’ideologia della jettatura: contro De Martino, egli nega l’arretratezza dell’illuminismo napoletano rispetto a quello europeo; contro De Rosa, contesta la tesi del colpevole isolamento di Napoli dalle campagne e dalle zone più periferiche del Regno. Negli anni ’60 e ’70 del ’700, a Napoli, prevale un «naturalismo vitalistico» che non è un sintomo di «arretratezza o disinformazione culturale», ma è solo l’eredità di una diversa concezione della scienza: quella dellaportiana della natura vivente e animata, piuttosto che quella galileiana e cartesiana dell’universo-macchina. La teoria della jettatura è assimilata ad altre «scienze popolari», «di matrice empirico-divinatoria», fiorite nel tardo Settecento, come il mesmerismo o la metereologia, la fisiognomica o la rabdomanzia. L’illuminismo napoletano, quindi, non è incerto tra magia e razionalità, ma propone «strategie alternative nella lotta contro il magico», scaturenti da diversi modelli di razionalità105. Ma il naturalismo vitalistico, magico o scientifico che sia, può non costituire un’alternativa al meccanicismo: ne è prova quella «magia cartesiana», o piuttosto (come si è cercato di mostrare nei capitoli precedenti) gassendiana, basata sulla teoria corpuscolare, che sopravvive ancora nel Settecento, e costituisce un possibile paradigma interpretativo degli effluvi, oltre a quello più marcatamente vitalistico del fluido. I teorici della jettatura, infatti, al pari di molti autori dell’età rinascimentale, non distinguono tra effluvi, spiriti e raggi: per spiegare il malocchio, dunque, il meccanicismo può integrare il vitalismo. L’ideologia della jettatura non rappresenta una semplice curiosità antiquaria o un’anomalia dell’illuminismo napoletano; è piuttosto un’originale commistione di teorie magiche e scientifiche, le une e le altre ben rappresentate nella cultura erudita di Valletta. Proprio l’erudizione, componente fondamentale della cultura retorico-umanistica meridionale, potrebbe aver ostacolato o addirittura impedito una scelta drastica, una presa di posizione 100 Ibid. Ibid., p. VI della Premessa. 102 N. Valletta, Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura, Napoli, nella stamperia della Società Tipografica, 1814, p. 45. 103 G. De Rosa, Chiesa cit., p. 7. 104 De Rosa distingue sempre la capitale del Regno dalle province più remote, anche se è da dimostrare che il popolo napoletano fosse diverso dal popolo della Calabria o del Cilento. 105 Cfr. V. Ferrone, I profeti dell’Illuminismo, Roma-Bari, Laterza, 1989, pp. 11, 44, 125 e i capp. I, II e VIII della prima parte. 101 262 radicale a favore della concezione scientifica del mondo. A ciò si aggiunga l’eredità vichiana, con l’importanza data alla «forza della fantasia», lo sfondo storico di tale concetto – nel quale hanno un ruolo importante Agrippa e Montaigne106 – e la circolazione, negli ambienti illuministici napoletani, del manuale del medico mesmerista Amédée Doppet107. La magia naturale e gassendiana, Vico e Mesmer, permettono di comprendere la fioritura, a Napoli, dal 1787 agli anni ’30 dell’800, di un’ideologia della jettatura. Prima di esplorare queste teorie, che rispecchiano le contraddizioni dell’universo e dell’ambiente che le ha generate, conviene ricordare brevemente il punto di vista del più saldo e illuminato razionalismo: i casi di stregoneria, ossessione, malocchio e malie sono esempi di «un sognato, ma vero male»; per orientarsi in quel «regno delle ombre» che è «il paradiso dei sognatori» bisogna trovare il giusto mezzo tra «il credere troppo» e «il credere nulla», «siccome il non credere, senza ragione, nulla del molto che viene raccontato con una qualche apparenza di verità, è un pregiudizio altrettanto sciocco quanto il credere, senza esame, tutto ciò che la voce comune dice»108. Nelle teorie settecentesche della jettatura, i demoni non hanno alcun ruolo: «Guardimi Dio! co i diavoli non voglio aver che fare; né m’intendo punto, né poco di Magia, sia negra, sia del color pallidetto in moda del volto delle donne»109. L’affermazione preliminare alla Cicalata del Valletta è una chiara dichiarazione di intenti: la jettatura, che consiste nel «gittarsi su di alcuno gli occhi attenti, ed immoti»110, non rientra nel campo della magia, né bianca, né nera: è un sapere eminentemente storico-pratico, una forma di storia naturale basata sulla raccolta dei casi, sullo sfondo di un «universo ripieno di verità indubitabili nel tempo stesso, ed incomprensibili»111. Francesco Serao, professore di medicina nella regia università di Napoli, assimilava il tarantismo a un caso di malocchio, con l’intenzione di rigettarli entrambi. È «come se il mal del tarantismo altro non fosse, che un effetto di rabbiosa ira, con cui quella bestia guardasse fino alla morte la povera gente, che le fosse una volta caduta nelle mani»112. La lotta contro «il colosso del pregiudizio, figlio dell’ignoranza»113 deve comprendere anche il rifiuto, senza esame, di ciò che risulta difficile giustificare nella teoria, ma che può avere effetti drammmatici nella pratica. Valletta racconta, ad esempio, la storia di una sua figlioletta uccisa in fasce dallo sguardo «torvo, ed obliquo» di uno jettatore; Marugi parla di una vecchia arpia, sua dirimpettaia, che gli avrebbe procurato molti guai, se non fosse stato parzialmente riparato dalla jettatura dalla presenza di un’altra sua vicina, «amabilissima signora». Ancora Marugi mette in guardia le «bellissime, e vezzosissime donne» perché imparino a distinguere, tra i loro spasimanti, quelli che potrebbero distruggerne la vita e la bellezza; se alcune fanciulle si trasformano dopo il matrimonio, è infatti colpa della 106 Cfr. G. Costa, Genesi del concetto vichiano di fantasia, in M. Fattori, M. Bianchi (a cura di), Phantasia cit., pp. 309-65. 107 A. Doppet, Traité théorique et pratique du magnétisme animal, Turin, J.-M. Briolo, 1784. 108 L. A. Muratori, Della forza della fantasia cit., capp. IX e X, pp. 119 e 135; I. Kant, Sogni di un visionario chiariti con sogni della metafisica (a cura di P. Carabellese), Bari, Laterza, 1953, p. 368. A. Doppet, nel Traité théorique cit. (p. 12), definisce l’abbandono dell’astrologia da parte dei medici un «pregiudizio», dal quale Franz Anton Mesmer si sarebbe affrancato. 109 N. Valletta, Cicalata cit., p. 4. 110 Ibid., p. 6. 111 Ibid., pp. 1-2. 112 F. Serao, Della tarantola cit., Lezione I, p. 6. Il corsivo è nostro. 113 N. Valletta, Cicalata cit., p. 2. 263 jella gettata su di loro dai mariti114. In un’opera del 1830, Antonino Schioppa si dice convinto che la sua malasorte dipenda da «qualche vecchia maligna» che lo «jettò fin da che giaceva nell’utero»115. «In casa, nella piazza, nel foro, nella campagna»116, ogni giorno pende su di noi, quale funestissima spada di Damocle, la jettatura; sarebbe una forma di «fanatismo» rifiutare quei fenomeni naturali che, pur osservati e osservabili, sfuggono ai nostri tentativi di comprensione, e di cui «la ragione risiede negli abissi della natura»117. Tutta la scienza, d’altra parte, non è che «una dotta ignoranza»118. Ma, al di là delle loro dichiarazioni, i teorici settecenteschi della jettatura appaiono tutt’altro che rassegnati all’ignoramus et ignorabimus. Valletta distingue due specie di fascino: uno patente, di cui si intende la causa, e uno occulto, le cui cause sono ignote.119 Questa distinzione è criticata da Marugi per l’ottima ragione che o si devono ignorare le cause di entrambi i tipi di jettatura, oppure bisogna ammettere che le cause sono le stesse120. Schioppa afferma che della jettatura non si conoscono le cause, mentre gli effetti sono «palpabili»121. La jettatura si può dividere anche in fisica, quando colpisce i corpi degli uomini o gli elementi naturali, provocando dimagrimento, malattie o tempeste, e morale, quando colpisce la sorte degli uomini, la loro volontà o quella di chi potrebbe beneficarli122. Un’importante causa del fascino è, per Valletta, la diversa fisionomia degli uomini, che rende immediatamente riconoscibili gli jettatori. Possediamo, infatti, un istinto naturale, una voce interna che ci consiglia di fuggire certi individui: da questa «voce della natura […] deriva il consenso universale delle nazioni sulla jettatura»; una «scienza ragionata della jettatura» dovrebbe pertanto basarsi sulla «scienza fisionomica», che è alla base anche della medicina, eppure, a torto, «passa per problematica, e dubbiosa»123. Esiste, quindi, una tipologia fisica dello jettatore, uomo o donna, che Valletta si limita ad accennare, e Marugi illustra nei dettagli, nella quale ciò che maggiormente colpisce è la sistematica violazione del principio di non contraddizione. Gli jettatori sono «omaccioni», oppure «macilenti e pallidi» (in questo caso, a quanto pare, rientrava lo stesso Valletta, che godette, in vita, di una solida fama di jettatore124); gettano la jella le donne brutte e vecchie, baffute, pelose, di lunga bazza, «di vita corta, di piede lungo, e cispose», oppure giovani e belle, ma con gli occhi «loschi», le ciglia inarcate, i capelli scuri; gli uomini con gli occhi «infuocati» e malsani, oppure miopi; e questi ultimi sono da temere sia perché probabilmente la loro vista si è indebolita a forza di 114 Ibid., par. 13 [i.e. 16]; G. L. Marugi, Capricci sulla jettatura, Napoli, L. Nobile, 1815 (prima ed. 1788), capriccio IV, nota 1 p. 59 e prosa VI, pp. 74 sgg.. 115 A. Schioppa, Antidoto al fascino detto volgarmente jettatura, Napoli, per le stampe del Pierro, 1830, p. 10. Cfr. anche G. P. Cirillo, I malocchi. Commedia, Napoli, P. Perger, 1789 e M. Zezza, La iettatura. Poema cuommeco, Napoli, Società Fremmateca, 1835. 116 N. Valletta, Cicalata cit., p. 37. 117 G. L. Marugi, Capricci cit., p. 81, nota 1 e p. 97, nota 1. 118 N. Valletta, Cicalata cit., p. 42. 119 La jettatura patente viene suddivisa a sua volta in meccanica, quando è evidente in che modo la causa produca l’effetto, e fisica, quando la causa e l’effetto sono certi, ma il modo è oscuro (ibid., par. 27 [i. e. 31]). 120 G. L. Marugi, Capricci cit., prosa II. 121 A. Schioppa, Antidoto cit., p. 21. 122 G. L. Marugi, Capricci cit., prosa II. 123 N. Valletta, Cicalata cit., parr. 15 e 16 [i. e. 19 e 20], pp. 49, 51, 52. 124 Come afferma Oreste Mosca, curatore di un’edizione dell’opera di Valletta uscita a Napoli, senza data, dall’editore Tirrena, ai primi del ‘900. 264 jettare, sia perché gli occhiali amplificano il malocchio, visto che nel fuoco delle lenti i raggi acquistano maggior forza. Bisogna fuggire quelli che indossano una parrucca, perché i capelli con i quali è fatta potrebbero essere appartenuti a uno jettatore; chi parla poco, senza guardare in faccia l’interlocutore, e chi parla troppo, ridendo e gesticolando; chi non ha mai pianto (come i maghi, che erano tutti jettatori) e chi loda spesso gli altri; più in generale, chiunque induca turbamento125. Marugi attribuisce molta importanza a questa tassonomia di «mostri»: «s’imprende a classificare una famiglia di conchiglie, di pesci, di piante, che poco, o nulla giovano, o nuocono, e si dovranno poi trascurare i jettatori che sono il flagello del genere umano?»126. D’altro canto, gli istinti non devono essere trascurati dai filosofi, né distrutti con «sistematici raggionamenti, che han per base l’ignoranza, e la vanità», perché sono «conoscenze naturali, non chiaramente sviluppate, alle quali può la ragione coll’esperienza supplire»127. Gli istinti, dunque, e in primo luogo quello di cercare il piacere, evitando il dolore, non sono alternativi alla ragione, e, pur essendo innati, possono essere affinati dall’esperienza. Se la «voce della natura» ci suggerisce di evitare certi individui, l’esperienza, in seguito, confermerà quei presentimenti, perché il giudizio fisiognomico, per Valletta, è certo. Un’altra causa importante del fascino è quella, classica, degli effluvi, assimilati ai raggi: Valletta ne dà una spiegazione fisiologica insieme cartesiana e halleriana, che coincide con la spiegazione della simpatia e dell’antipatia. Sia gli effluvi, sia la simpatia e l’antipatia – le quali, lungi dal riguardare soltanto il mondo umano o animale, costituiscono «l’ordine costante dell’universo» – sono riconducibili a differenti tensioni delle fibre nervose elastiche: quando i moti prodotti nei nervi sono «irregolari ed ineguali», un oggetto o un individuo ci dispiacciono, i loro effluvi ci colpiscono negativamente; quando quei movimenti sono, invece, «dolci, ed equabili», gli oggetti o gli individui ci affascinano128. Tra le fonti della teoria vallettiana della «jettatura d’influssi maligni» ci sono Plinio e Lucrezio, Ovidio e Bacon, Albrecht von Haller e Antonio Vallisnieri. Il naturalista padovano racconta, ad esempio, la storia di un cavaliere suo amico che non poteva soffrire i pipistrelli, tanto da apparire «affatto avvilito, e perduto» non appena ne vedeva uno. Ciò credeva il Vallisneri effetto d’immaginazione, ma chiuso in una camera, dove fosse un pipistrello, gli [al cavaliere] venivano i sudori, si cangiava di colore, il polso alterato batteva in forme irregolari, e morbose, come s’assicurò colla vista, e col tatto. Da ciò conobbe la forza degli effluvii, che scappano da corpi contrari alla gentilissima tessitura de’ nostri spiriti, i quali subito entrano in tumulto, e più non s’insinuano nelle funi de’ nervi con quella placida, e regolata maniera, che devono129. Secondo Valletta, ciascuno ha d’intorno a se [sic] un’atmosfera di effluvi diversa. […] Or non si può una particella colla sua omogenea attrarre, se non poste in certa distanza, l’una usi forza su dell’altra per 125 N. Valletta, Cicalata cit., par. 21 [i. e. 25]; G. L. Marugi, Capricci cit., capriccio VI e note al testo; A. Schioppa, Antidoto cit., pp. 53 sgg. 126 G. L. Marugi, Capricci cit., p. 82, nota 1. 127 N. Valletta, Cicalata cit., p. 49. 128 Ibid., pp. 52-53, 56. 129 A. Vallisnieri, Opere fisico-mediche stampate e manoscritte, raccolte da Antonio suo figliuolo, Venezia, S. Coleti, 1733, tomo I, pp. 83-84. 265 unirsi. Per usar tal forza e’ ci vuole il mezzo, cioè altra potenza fuori d’esse. Ma quest’altra potenza non vi è: dunque per influssi ignoti si attraggono.130 Nell’interpretazione degli effluvi, o raggi, Valletta, Marugi e Schioppa oscillano spesso tra il modello corpuscolare e quello del fluido. La simpatia e l’antipatia universali, delle quali la jettatura costituisce un corollario, sono infatti assimilabili ai fenomeni elettrici, perché dagli occhi degli jettatori esce continuamente un «fluido igneo» che, come quello elettrico, può addirittura provocare tempeste. Anche il fluido contenuto nei nervi può produrre, se eccitato da un cervello furioso per l’invidia, una specie di temporale, dovuto allo strofinio degli atomi131: «i corpi degli uomini non men delle piante, e dei bruti animali, gettano l’uno all’altro degli effluvi, che che essi sieno, a’ quali convien soggiacere»132. L’assioma dal quale muovono i teorici settecenteschi della jettatura, come si vede, è quello seicentesco di Gilbert, Schott, Digby e Boyle, secondo il quale tutti i corpi emettono effluvi. Gli uomini si dividono in elettrici, cioè «coibenti, o trattenitori», e non elettrici, cioè «conduttori, o deferenti»: i primi sono jettatori o vittime della jettatura, in gradi diversi; i secondi vengono attraversati dalla jettatura, che tuttavia non li colpisce. C’è, in questa teoria dell’elettricità umana, una contraddizione rilevata dal suo stesso autore: perché gli jettatori non sono, al tempo stesso, vittime della jettatura, così da «tirarsi sopra i temporali, le grandini, le tempeste, e le carte da perdere nelle mani?». Marugi lascia questo problema agli eruditi e ai «fisici sperimentatori»133, ma non manca di consigliare, per evitare la jettatura, di portare sempre poche monete in tasca, perché l’oro e l’argento possono caricarsi di elettricità più degli altri metalli; di indossare vesti senza bottoni di legno o di metallo, per lo stesso motivo, e insegna alle signore a diffidare di quei mariti che regalano loro gioielli e gemme, cioè corpi coibenti, con lo scopo segreto di levarsele di torno134. Schioppa si limita ad osservare che la jettatura non colpisce quei corpi che «si trovano in perfetto equilibrio di elettricismo»135; l’uomo jetta più della donna, perché i peli che rivestono il suo corpo sono conduttori di elettricità; per la stessa ragione il corno, lungi dallo stornare la jella, la attrae su colui che lo indossa136. La dottrina degli effluvi permette anche di trovare l’unico antidoto veramente efficace contro la jettatura: il magnetismo animale, o galvanismo, un «agente universale» diffuso ovunque nell’universo, e presente nell’uomo come un fluido nervoso, per cui Si vedono in Francia, ed altrove in oggi degli uomini, e delle donne, che possedendo sì bella fisica virtù, fan vedere palpabilmente, che col solo tocco delle mani magnetizzando le persone, le immergono in un dolce letargo, ed in tale stato le obbligano a parlare, e rispondere ad ogni sorta di quesiti e vengono con tal mezzo a capo di curare, e guarire qualsiasi male fisico137. Questo «magnetismo positivo» si potrebbe efficacemente opporre alla jettatura, che consiste in un «magnetismo negativo», perché «contrariis contraria curantur»: per liberare il popolo napoletano da «una peste, cui ancora non si apportò rimedio», e che è «vergogna 130 N. Valletta, Cicalata cit., pp. 74, 77. G. L. Marugi, Capricci cit., capricci III e IV e note ai testi. 132 A. Schioppa, Antidoto cit., pp. 44-45. 133 G. L. Marugi, Capricci cit., capriccio V e note al testo. 134 Ibid., capriccio VII, pp. 98-99, nota 1. 135 A. Schioppa, Antidoto cit., p. 28. 136 Ibid., pp. 53-54, 93 sgg. 137 A. Schioppa, Antidoto cit., p. 42. 131 266 d’un secolo illuminato», basta far venire a Napoli «più migliaia di magnetizzanti», quindi fare «un esatto reclutamento di tutti i nostri jettatori», e farli magnetizzare «più e più volte»138. Gli effluvi assomigliano anche a vibrazioni sonore – che, propagandosi nell’aria, o in un fluido sottile, possono produrre «semipercezioni» inconsce, capaci di spiegare i presentimenti139 – e a vapori, che vengono assorbiti facilmente, ad esempio, dalle tonache e dalle barbe dei frati, jettatori involontari140. È da notare che gli «ignoti influssi» dell’universo comprendono la gravitazione newtoniana, ma escludono gli influssi astrali: i pronostici dell'astrologia giudiziaria sono infatti, per Valletta, «vanissimi e chimerici». Non sono gli astri i responsabili delle nostre disgrazie, ma unicamente «la jettatura degli uomini»141. Gli effluvi, infine, si possono considerare raggi: in questo caso, la jettatura consisterà «in certe particelle più, o meno tenuissime, emanate dal corpo del jettatore»142, che entrano in un altro corpo «per tutt’i forellini minuti della corporatura»143: come la luce bianca viene rifratta in modo diverso da corpi diversi, così i raggi emessi dagli occhi di uno jettatore vengono diversamente riflessi o rifratti dai corpi che incontrano. Basta cambiare posizione, basta l’interposizione casuale di un’altra persona per stornare da noi la jettatura, che cadrà su qualcun altro144. E come la luce si trasmette a grandissime distanze, così il malocchio può attraversare porte e finestre chiuse, colpendo anche chi si crede al riparo nella propria casa145. La potenza della fantasia – aristotelicamente e cartesianamente intesa – è un’altra causa della jettatura, sia in chi la fa, sia in chi la subisce. Valletta riprende la classica dottrina rinascimentale della perniciosa immaginazione muliebre: le donne, che «o amano, o odiano, non vi è via di mezzo», sono tutte jettatrici potenziali, capaci, ad esempio, di imprimere le loro voglie sui bambini che portano in grembo146. Schioppa sostiene che i perniciosi effetti della jettatura – lampadari che cadono e vanno in pezzi, carrozze che si rompono, e casi simili – sono «prima immaginati, desiderati, e voluti nella loro estenzione [sic], e con quella tale energia dai jettatori medesimi»147. Ma l’immaginazione appare, tutto sommato, una causa minore della jettatura: Marugi, ad esempio, non la menziona affatto148. 138 Ibid., pp. 12-13, 51, 98. Una analisi critica della cura mesmerica era contenuta nel manuale di A. Doppet (Traité théorique cit.); pur considerandola utile ed efficace in alcuni casi, soprattutto per le malattie nervose, Doppet rifiutava l’atmosfera magica che la circondava, e puntava il dito contro il suo ideatore, considerato un fanatico «entusiasta» e «furioso». Su questi temi, si veda il classico R. Darnton, op. cit. 139 N. Valletta, Cicalata cit., pp. 83-84. Il traduttore di Franklin, Barbeu du Bourg, racconta la storia di un mercante parigino che cominciò a cantare un motivo e, duecento passi dopo, incontrò un cieco che strimpellava al violino quello stesso motivo: cfr. B. Franklin, Oeuvres cit., tomo II, pp. 231-33, nota del traduttore. 140 A. Schioppa, Antidoto cit., pp. 62-64. 141 N. Valletta, Cicalata cit., pp. 78-79. 142 G. L. Marugi, Capricci cit., p. 16, nota 1. 143 N. Valletta, Cicalata cit., p. 87. 144 G. L. Marugi, Capricci cit., pp. 15-17, nota 1. 145 A. Schioppa, Antidoto cit., pp. 70 sgg. 146 N. Valletta, Cicalata cit., pp. 56-60. 147 A. Schioppa, Antidoto cit., p. 22. 148 Sulla svalutazione dell’immaginazione nel Settecento, cfr. T. Griffero, I sensi cit., p. 154. In uno studio recente, L. Daston e K. Park osservano che «la meraviglia e le meraviglie persero la loro importanza 267 La jettatura prende il posto del caso, in un universo che mostra «un reciproco concorso, mediante l’attrazione, e repulsione, secondo le particolari affinità positive, e negative, o ciò ch’è lo stesso, in forza di una reciproca jettatura benefica, o malefica»149. Se «tutto è jettatura»150, si possono conciliare Newton e Goethe, Paracelso e Franklin, Cardano e Mesmer; solo così i fenomeni più misteriosi della natura e della società umana – come il repentino cambiamento dei venti, la sfortuna dei «galantuomini» e, viceversa, la fortuna sfacciata di «tanti bricconi», le vincite al gioco del lotto, e persino il contagio della «lue celtica» – appaiono comprensibili151. La teoria della jettatura, come si è detto, permette di smascherare le superstizioni dell’astrologia giudiziaria152; può contribuire addirittura alla causa dell’emancipazione femminile, visto che le donne non sono soltanto artefici di incantesimi, ma anche, spesso, vittime usate dagli uomini come «parafulmini». In un caso e nell’altro, è colpa della loro posizione marginale e subalterna, sulla quale Marugi punta il dito: «Coltivate lo spirito, imparate a pensare, ragionate; in una parola, avanzatevi nelle lettere, e sarete vendicate, libere, ragionevoli»153. Il malocchio si basa su un’originale applicazione antropologica, fisio-psicologica, della gravitazione universale newtoniana e della teoria dell’elettricità presente nei fenomeni meteorologici, di Franklin. «Credo, e fermamente credo, che siavi una forza insita negli uomini di agire a vicenda, e regolare le azioni loro non meno, che regolati vengono i moti de’ pianeti dalla gravità, che conservano»154; l’odio e l’amore sono venti e tempeste che traggono origine da certi occhi «elettrici», capaci di provocare il «colpo di fulmine». 6. Lo spirito etereo e l’acqua di catrame Quando pubblicò la Siris (1744), George Berkeley era un rispettabile filosofo, lettore di greco, di ebraico e di teologia al Trinity College di Dublino, ben introdotto presso la corte inglese, amico di Richard Steele, Joseph Addison, Jonathan Swift e Alexander Pope; era, inoltre, già da un decennio lo zelante vescovo della sperduta diocesi di Cloyne, nel sud dell’Irlanda. Aveva pubblicato opere filosofiche molto discusse dai contemporanei, come il Treatise concerning the Principles of Human Knowledge (1710) e i Three Dialogues between Hylas and Philonous (1713); aveva dato contributi importanti all’ottica (con l’Essay towards a New Theory of Vision del 1709), alla fisica (con il De motu, uscito nel 1721) e alla matematica (The Analyst, 1734, A Defence of Free-Thinking in Mathematics, 1735), oltre che alla teologia filosofica (con l’Alciphron del 1732). Date queste premesse, la Siris, che recava l’imbarazzante sottotitolo di: A Chain of Philosophical Reflections and Inquires Concerning the Virtues of Tar-Water, and divers other nei circoli elitari come oggetti privilegiati di contemplazione e di apprezzamento. […] Per gli intellettuali europei la meraviglia e le meraviglie divennero semplicemente volgari»; tuttavia, «i naturalisti non distrussero la cultura del meraviglioso durante l’Illuminismo, così come non l’avevano creata durante l’alto Medioevo»: cfr. L. Daston, K. Park, Le meraviglie del mondo, Roma, Carocci, 2000 (prima ed. 1998), soprattutto l’Introduzione (p. 21) e il cap. 9 (p. 285). 149 A. Schioppa, Antidoto cit., p. 39. 150 Ibid. 151 Ibid., pp. 33- 37. 152 N. Valletta, Cicalata cit., p. 78. 153 G. L. Marugi, Capricci cit., p. 99, nota 1. 154 Ibid., p. 32. 268 subjects connected together and arising one from another, risultò decisamente spiazzante, prima per i contemporanei, e successivamente per tutti gli studiosi berkeleiani, fino ad oggi. I motivi del grande successo di questo scritto – il maggiore mai goduto da un’opera berkeleiana, al di qua e al di là dell’oceano – sono gli stessi per i quali gli interpreti l’hanno trovata ermetica, eccentrica, disordinata, incomprensibile. La Siris trae infatti spunto dalle provate virtù mediche dell’acqua di catrame – un rimedio già noto ai medici greci, latini e arabi, che parlavano di un oleum picinum, picis flos o pissevlaion, da poco riproposto in un articolo del Gentleman’s Magazine del 1739 – che Berkeley aveva sperimentato con successo sui suoi diocesani a partire dall’anno successivo, in occasione delle epidemie di vaiolo e dissenteria scoppiate dopo una delle ricorrenti carestie irlandesi155. Non ci interessa, qui, discutere la parte medico-pratica della Siris, incentrata sulle ricette dell’acqua di catrame, che veniva considerata una panacea, bensì discutere le ragioni chimico-filosofiche che Berkeley dava dell’universalità di quel «rimedio cattolico». I poteri curativi dell’acqua di catrame, «dio potabile», le derivano infatti dall’essere l’ultimo anello di una «catena» che dal mondo sensibile arriva fino a Dio, attraverso l’etere, che è una sostanza spirituale onnipervadente e invisibile, un intermediario universale contenente i semi di tutte le cose, la causa strumentale dell’unico agente divino. Etere è sinonimo, per Berkeley, di luce, fuoco e spirito: si tratta di un principio attivo, utilizzato come un’alternativa alle spiegazioni meccanicistiche e corpuscolaristiche dei fenomeni fisico-chimici, di stampo cartesiano. Il fuoco è il corpo più elastico ed espansivo. […]Questo etere o fuoco puro invisibile, il più sottile ed elastico di tutti i corpi, pervade e si espande in tutto l’universo. […] Essendo sempre in movimento, esso attiva e vivifica l’intera massa visibile. […] Tanto è rapido nei suoi movimenti, sottile e penetrante nella sua natura, espansivo nei suoi effetti, che sembra coincidere con l’anima vegetativa o spirito vitale del mondo. […]. I Pitagorici e i Platonici avevano un’idea del vero sistema del mondo: ammettevano princìpi meccanici, ma posti in atto da un’anima o da una mente. […] Essi sapevano che esiste un etere sottile che pervade l’intera massa degli esseri corporei, e che viene a sua volta mosso e diretto da una mente; sapevano anche che le cause fisiche sono semplici strumenti, o meglio segni156. L’operazione che Berkeley intende compiere è esplicitamente indicata nei passi sopra citati, eppure i suoi interpreti non l’hanno ancora pienamente compresa: il vescovo irlandese ritiene di poter conciliare l’autorità degli antichi – i migliori tra loro, escludendo gli «empi» corpuscolaristi – con la recente fortuna di cui il concetto di etere aveva goduto presso Newton e More, Wilhelm Homberg, Hermann Boerhaave e Bernard Nieuwentyt. Soprattutto Newton, che rappresentava la massima autorità filosofica e scientifica, viene considerato da Berkeley l’avversario per eccellenza del meccanicismo cartesiano: Non c’è nulla di più pretensioso e fantastico che supporre, con Descartes, che in seguito alla semplice comunicazione – da parte dell’Agente supremo – di un movimento circolare alle particelle della sostanza estesa, si sia prodotto necessariamente, in conseguenza delle leggi del moto, il mondo intero, con tutte le sue parti principali e secondarie, e i suoi fenomeni. […] Sir Isaac Newton, con la sua straordinaria capacità di penetrazione, la sua profonda conoscenza della 155 Cfr. S. Parigi, «Introduzione», in G. Berkeley, Opere filosofiche, a cura di S. Parigi, Torino, UTET, 1996, § 5, pp. 34 sgg. 156 G. Berkeley, Siris, §§ 149, 152, 266, in Opere filosofiche cit.. 269 geometria e della meccanica e la grande precisione dei suoi esperimenti, ha gettato una luce nuova sulla scienza naturale. Per molti aspetti, egli è stato il primo a scoprire le leggi di attrazione e repulsione: mostrandone la validità generale, ha svelato molti e profondi segreti della natura, come se ne possedesse la chiave. Grazie a lui, la conoscenza della natura ha fatto più progressi di quanti gliene abbiano fatti compiere, prima, tutti gli atomisti messi insieme. Il principio di attrazione, però, non può essere spiegato per mezzo di cause fisiche o corporee157. Se Berkeley preferisce la fisica di Newton a quella cartesiana è precisamente perché non si tratta di una fisica meccanicistica e corpuscolaristica, ma è basata sui concetti, meno compromessi con l’odiata metafisica materialistica, di attrazione, repulsione ed etere. L’etere, infatti, essendo puro, invisibile, sempre attivo, è, per così dire, meno materiale dei corpuscoli; si tratta, inoltre, di un principio antico, già usato dai Greci (Anassimene, Eraclito, Empedocle, i Pitagorici, Ippocrate nel De diaeta, Platone nel Timeo, i Platonici, lo pseudo-Aristotele del De mundo, i Peripatetici, gli Stoici, Galeno, Plotino, Ermete Trismegisto) e dagli autori rinascimentali, come Marsilio Ficino, gli uni e gli altri familiari a Berkeley, data la sua grande erudizione umanistica. Il motivo principale dell’imbarazzo provocato dalla Siris agli studiosi berkeleiani è l’esplicito riconoscimento, da parte di Berkeley, di due principali autorità, tra le quali viene messa in luce la continuità: gli antichi e Newton. Il cieco fato e il caso cieco, in fin dei conti, sono più o meno la stessa cosa, e parimenti inintelligibili. I reciproci rapporti, la connessione, il movimento e la simpatia delle parti di questo mondo sono tali, che queste ultime sembrano vivificate e tenute insieme da un’Anima; tale è la loro armonia, l’ordine e la regolarità del loro corso, che quest’Anima deve essere governata e diretta da una Mente. È un’opinione che risale alla più remota antichità che il mondo sia un animale; secondo quanto attestano gli scritti ermetici, gli Egiziani ritenevano che tutte le cose fossero partecipi della vita. Questa opinione era così generale e diffusa presso i Greci, che secondo Plutarco tutti sostenevano che il mondo è un animale governato da una Provvidenza, ad eccezione di Leucippo, Democrito ed Epicuro.158. C’è una lunga e gloriosa catena di pensiero che considera il mondo un essere animato, o quanto meno un cosmo ordinato e armonioso, prodotto e governato da una Mente, la quale agisce in virtù di un mezzo onnipervadente, che è l’etere, ovvero lo spirito, o luce, o fuoco: «questa dottrina non è meno filosofica che pia»159. Berkeley riprende, in pieno Settecento, i classici temi neoplatonici della simpatia e dell’antipatia cosmiche, del micro e macrocosmo, e, non diversamente da Ficino e dalla tradizione rinascimentale, considera lo spirito un intermediario tra l’anima e il corpo, sia quelli dell’uomo, sia quelli del mondo: Nessun occhio, finora, ha mai potuto discernere, e nessun senso percepire, lo spirito animale in un corpo umano, se non tramite i suoi effetti. La stessa cosa si può dire del fuoco puro o spirito dell’universo, che si percepisce solo per mezzo di qualche altro corpo, sul quale esso opera, o al quale è congiunto. […] Nel corpo umano, la mente comanda e muove le membra: eppure si 157 Ivi, §§ 232, 245. Ivi, § 273. 159 Ivi, § 291. Cfr. S. Parigi, Siris and the Renaissance: Some Overlooked Berkeleian Sources, «Revue philosophique de la France et de l’étranger», n. 1, 2010, pp. 151-62 e ”Scire per causas” Versus “Scire per signa”: George Berkeley and Scientific Explanation in Siris, in George Berkeley. Religion and Science cit., pp. 107-119. 158 270 ritiene che lo spirito animale sia la causa fisica immediata del loro movimento. Analogamente, nel sistema mondano è una mente a presiedere: ma la causa immediata, meccanica o strumentale che muove e anima ogni sua parte è il fuoco puro elementare, o spirito del mondo, […] quell’elemento che, così come agisce nel macrocosmo, allo stesso modo anima il microcosmo160. Cionondimeno, non sarebbe corretto fare di Berkeley un «reazionario antiscientifico», come alcuni suoi interpreti hanno creduto; egli era invece un «newtoniano sincero ed entusiasta»161, che contrappose il sistema delle attrazioni e repulsioni a «quegli altri principi meccanici di grandezza, figura, e simili». Il vescovo di Cloyne era convinto che «la Natura si possa conoscere e spiegare meglio […] con Sir Isaac Newton piuttosto che con Descartes»; che «le cose piccole e grandi operano uniformemente in virtù di forze attrattive e repulsive»: «le differenti modalità di coesione, attrazione, repulsione e movimento – piuttosto che le diverse forme e figure – sono la fonte dalla quale derivano le proprietà specifiche [dei corpi]»162. Può essere utile, a tale proposito, riproporre il passo, tratto dallo Scholium generale aggiunto alla seconda edizione dei Principia (1713), nel quale l’etere viene definito come un certo spirito sottilissimo, che pervade e si nasconde in tutti i corpi; per la forza e l’azione di questo spirito le particelle più piccole dei corpi si attraggono reciprocamente a brevi distanze, e, ove siano contigue, si produce la coesione; i corpi elettrici agiscono a distanze maggiori, sia respingendo, sia attraendo i corpuscoli vicini; la luce viene emessa, riflessa, rifratta, inflessa, e riscalda i corpi; ogni sensazione viene suscitata per suo mezzo, le membra dei corpi animali si muovono agli ordini della volontà, vale a dire, grazie alle vibrazioni di questo spirito, che si propagano attraverso i filamenti solidi dei nervi, dal cervello fino ai muscoli163. Berkeley intravvede anche un rapporto tra le simpatie e le antipatie cosmiche e le attrazioni e repulsioni newtoniane: Perché non si dovrebbero ipotizzare determinate idiosincrasie, simpatie e opposizioni nelle parti solide, in quelle fluide o nello spirito animale del corpo umano, nei confronti delle parti sottili e insensibili dei minerali e dei vegetali, impregnati dai raggi luminosi di diverse proprietà, le quali non dipendono dalla differente grandezza, figura, numero, solidità e peso di quelle particelle, né dalle leggi generali del moto, né dalla densità e dall’elasticità del mezzo, ma solo e soltanto dalla bontà del Creatore nella formazione originaria delle cose?164 Né i corpuscoli dei cartesiani, né l’etere e le forze dei newtoniani possiedono un autentico potere causale: è Dio solo ad agire, attraverso una catena di fenomeni posti in comunicazione da un intermediario come lo spirito etereo, luminoso, igneo e sottile. L’immagine che Berkeley evoca, nel sottotitolo della Siris, è quella neoplatonica della «catena»: egli riteneva, dunque, che vi fosse, nella sua ultima opera come nell’universo, un certo ordine; ma quest’ordine finisce per assomigliare più al magnetismo universale di Athanasius Kircher che al concetto biologico di scala naturae. 160 Siris, §§ 159, 161, 166. Lisa Downing, Berkeley’s Natural Philosophy and Philosophy of Science, in The Cambridge Companion to Berkeley, ed. Kenneth P. Winkler, Cambridge - New York, Cambridge University Press, 2005, p. 253. 162 Siris cit., §§ 243, 234, 162. 163 Cfr. supra, p. 153. 164 Siris cit., § 239. 161 271 272 CONCLUSIONE NISI FABULA EST… Dopo queste riflessioni, il rispetto, non altrimenti che il disprezzo per l’antichità, viene a moderarsi, le età si ravvicinano nella mente del saggio, e si comprende che l’uomo fu sempre composto degli stessi elementi. (G. Leopardi, Saggio sopra gli errori popolari degli antichi) Io intanto fo conto di ragionare da uomo né ciecamente persuaso di ciò che spaccia la popolar fama; né per contrario impegnato a negar tutto a diritto, ed a traverso. Chi aspettasse, che io venissi in mezzo con Euclide alle mani per dimostrare che sia, o non sia vero ciò che dicesi volgarmente del veleno della nostra tarantola, avrebbe troppo sfacciatamente il torto1. Quello che l’accademico Francesco Serao affermava dei fenomeni del tarantismo può essere tranquillamente esteso all’intero dominio dei fenomeni magnetici, nel quale non ci si doveva aspettare di potersi orientare «con Euclide alle mani», cioè con i mezzi delle scienze esatte. Non c’è dubbio, però, che tra la metà del XVI e la metà del XVIII secolo sia stata operata una discriminazione, all’interno di quei fenomeni, tra gli effetti autentici, indagabili sperimentalmente, dei quali aveva senso produrre spiegazioni razionali, e le mere favole, da respingere nel «regno delle ombre», che per Kant coincideva con il «paradiso dei sognatori». Giacché è avvenuto in tutti i tempi, e certo avverrà anche in futuro, che certe cose assurde trovino credito anche presso gli uomini assennati, solo perché tutti ne parlano. A tale genere di cose appartengono la simpatia, la bacchetta magica, i presagi, l’effetto dell’immaginazione delle donne incinte, gli influssi delle fasi lunari sugli animali e sulle piante2. Schopenhauer, scrivendo nel 1836, sostituisce agli effluvi e all’etere cosmico la metafisica della volontà per spiegare tutti i casi più dibattuti e antichi di actio in distans, come la fascinatio e le «cure simpatiche», della cui realtà «si può a stento dubitare». L’autorità alla quale Schopenhauer si appella, nella convinzione che «per ridere anticipatamente di ogni segreta relazione simpatica … occorre trovare il mondo … in tutto e per tutto comprensibile», è la Sylva sylvarum di Francis Bacon3. Anche ove si ritenga che il lunghissimo dibattito sulla possibilità di un’azione a distanza abbia un carattere puramente metafisico, come osserva Mary Hesse, e che tale questione non sia decidibile sulla base dell’esperienza, si deve tuttavia convenire da un lato, che «il modello delle attrazioni e repulsioni a 1 F. Serao, Della tarantola cit., lezione II, pp. 105-106. I. Kant, Sogni di un visionario cit., p. 409. 3 A. Schopenhauer, Magnetismo animale e magia (a cura di E. Tavani; prefazione di A. Arbo), Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1994, pp. 13-15, 17, 37; I. Kant, Sogni di un visionario cit., p.370. 2 273 distanza è stato utile per tutto il Settecento», e dall’altro lato, che «una società che non ha interesse per la metafisica non avrà una scienza teorica»4. Come si è cercato di mostrare in questa ricerca, i confini tra il credibile e l’incredibile, nei secoli centrali dell’età moderna, erano diversi da quelli ai quali siamo ormai abituati: anche personaggi insospettabili, non in odore di magia, destinati ad assurgere al ruolo di protagonisti della scienza moderna, erano disposti a prendere sul serio le nugae, e a ritenere verosimili credenze fantastiche. Ma un percorso venne compiuto, e certamente ci fu un progresso ben riconoscibile, da Cardano a Diderot: se questo è chiarissimo negli epigoni e nei termini estremi, le cose sono un po’ meno chiare ove si provi a tracciarne la storia con continuità. «Sostenere che il magnetismo non appariva irragionevole nel contesto della scienza del XVIII secolo non significa affermare che il pensiero scientifico da Newton a Lavoisier fosse una raccolta di favole»5: la storia dell’elettricità e del magnetismo, come è noto, diventa autonoma a partire dalla metà del secolo XVIII6. Non mi sembra, però, che sia stato finora altrettanto chiaro da quale amalgama essa emerse, e come si separò dal «magnetismo» inteso nel significato più vasto del termine, che per due secoli fu anche l’unico: un’«azione a distanza» sconosciuta nelle sue cause e nota soltanto per i suoi effetti sensibili. L’incidentale «nisi fabula est…», che ricorre spesso nel capitolo della Physica di Pierre Gassendi dedicato alle «cosiddette qualità occulte», è la spia di un atteggiamento di analisi critica dei fenomeni «occulti» o «curiosi» della natura – tutti quelli, cioè, di cui non sono manifeste o visibili le cause – che fu costante nei maghi e nei filosofi naturali, nei medici non meno che negli interpreti della Bibbia, teologi o demonologi, dal XVI al XVIII secolo. Cardano e Della Porta, Cornelio Agrippa e Pierre Gassendi, Francis Bacon e Robert Boyle, Jean Baptiste van Helmont e Athanasius Kircher, Jacques Rohault e Ludovico Antonio Muratori, Costantino Grimaldi e Nicola Valletta, e molti altri autori, la cui notorietà attuale non è sempre proporzionale alla fama di cui godettero in vita, assegnarono alla filosofia il compito di distinguere le «favole» prodotte dall’immaginazione dai racconti veri o verosimili, ai quali la ragione può dare il suo motivato assenso. I «segreti» della natura costituiscono una sfida costante per l’indagine razionale, che non intende abdicare ai suoi diritti conoscitivi a favore dell’immaginazione. I tentativi di fornire una spiegazione di tutti quegli effetti naturali, che per la loro «sottigliezza» non sembrano avere cause chiaramente riconoscibili, confluiscono prima nella teoria galenica, avicenniana e ficiniana degli «spiriti», quidi nella ipotesi seicentesca degli effluvi corpuscolari, capaci di spiegare i fenomeni «curiosi», sia fisiologici (l’immaginazione con le sue malattie, il fascino e il malocchio, il passaggio delle voglie dal corpo materno al feto, il tarantismo), sia fisici (il magnetismo, l’elettricità, la luce, la gravitazione, ma anche la polvere di simpatia, l’unguentum armarium, il baculum divinatorium dei rabdomanti o le apparizioni dei vampiri). Lo scopo che mi sono prefissa in questo lavoro non è stato tanto quello di esplorare le modalità di sopravvivenza della magia naturale nell’età moderna, quanto piuttosto quello 4 M. Hesse, Forze e campi cit., cap. XI, p. 345. R. Darnton, Il mesmerismo cit., p. 27 6 Cfr. i classici studi di J. L. Heilbron, Electricity in the 17th and 18th Centuries cit. e Alle origini della fisica moderna cit. 5 274 di mostrare la varietà delle applicazioni, e la fecondità di un modello esplicativo – quello degli effluvia, eidola, spiritus o species – fondato su un’applicazione del corpuscolarismo gassendiano. La teoria degli effluvi ha permesso, infatti, di ricondurre a un paradigma pseudo-meccanicistico le simpatie e le antipatie, azioni a distanza presenti nell’universo magico, e al tempo stesso ha sottratto al dominio diabolico le «meraviglie» presenti nell’uomo, spesso basate anch’esse su misteriose azioni a distanza. Per due secoli, alla «regolata» ragione è stata contrapposta l’immaginazione «sregolata», capace di turbare l’ordine razionale; alla natura geometrica galileiana, cartesiana e lockiana, costituita dalle qualità primarie chiare e distinte, si è opposta una natura priva di cause e di scopi apparenti, costituita dalle qualità occulte: per usare le parole di Aristotele, una natura «demonica» piuttosto che divina. E il diavolo, «summus physicus et opticus», secondo la definizione del medico Friedrich Hoffmann, agisce prevalentemente sull’immaginazione umana, le cui caratteristiche – inlusio, celeritas e fictio – coincidono, per l’appunto, con quelle del grande Avversario. Vagliare il materiale sterminato, proveniente dalle fonti più disparate, offerto dalla storia naturale; discriminare il falso e il superstizioso dal probabile e dal verosimile; circoscrivere il soprannaturale e il diabolico tramite le esperienze e le spiegazioni naturali e razionali; trovare un giusto mezzo tra il «credere troppo» e il «credere nulla»; analizzare, vincolare, verificare le congetture fondate sull’immaginazione: sono questi alcuni dei compiti attribuiti alla ragione nei due secoli centrali dell’età moderna. Una ragione che, da Bacon a Vico, da Cardano a Muratori, da Boyle a Diderot, non pretende di costruire un sapere universale su fondamenti veri, certi, ultimi e necessari, procedendo «con Euclide alla mano», ma impone a sé stessa «piombo e pesi», occupandosi di volta in volta di questioni diverse e circoscritte; una ragione che riconosce e rispetta la varietas rerum naturalium, senza voler ricondurre la molteplicità ad unità; che non recide i suoi legami con l’immaginazione, anche se definisce quest’ultima la facoltà degli errori. Perché è vero, come afferma Lavoisier, che «è con le cose che non si possono vedere né percepire che è importante difendersi dai voli dell’immaginazione»7. 7 R. Darnton, Il mesmerismo cit., pp. 27-28. 275 276 BIBLIOGRAFIA Fonti: Agricola, Georgius [Georg Bauer], De re metallica libri XII, Basileae, L. Regis, 1621 (prima ed. 1556); Agrippa von Nettesheim, Heinrich Cornelius, De occulta philosophia libri tres, s. l., s. ed., s. d. [Coloniae, J. 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Alessio Piemontese, 57 e n., 159 Alhazen, 25 e n., 33, 162, 208, 212 Alighieri, Dante, 23, 114, 212 Angelini, Massimo, 9n., 17n., 18n., 65n., 219n., 228n., 250n. Aristotele, 7, 25 e n., 27 e n., 29, 31, 33 e n., 42, 44, 55, 67, 77, 115n., 117, 118, 119, 120, 130 e n., 135, 136n., 162, 188, 194, 200, 207, 209, 213, 214, 229n., 236, 240, 241n., 270, 275 Arnaldo da Villanova, 63, 78, 119 Averroè, 55, 217n. Avicenna, 24-25, 55, 81, 114, 208, 209, 212, 219, 226, 228, 232, 235, 236, 241, 258 Aymar, Jacques, 178, 181-183, 185, 191 Bacon, Francis, 12, 20 e n., 28, 47-48, 53, 54, 65-73, 76, 77, 88, 92 e n., 100, 104n., 121, 127, 128, 133, 134, 136, 145, 150, 156, 176n., 181, 200, 201, 203, 208, 211, 218, 223, 235, 237n., 238, 260, 265, 273, 274, 275 Bacon, Roger, 25-26, 46, 78, 80, 152, 212 Baglivi, Giorgio, 98 e n., 245 e n. Baldini, Ugo, 19n., 105n. Baldwin, Martha, 16n., 17n., 120n., 200n., 245n. Barbeu du Bourg, M., 267n. Bartholin, Thomas, 60, 145, 245 Bayle, Pierre, 254 Becker (o Becher), Johann Joachim, 38, 181 Bekker, Balthasar, 158, 162-166, 188, 246, 247, 252, 257, 259 Benitez, M., 109n. Benivieni, Antonio, 55-56 Benivieni, Girolamo, 56 Berkeley, George, 20, 25n., 48 e n., 65, 149, 223, 268-271 Bernoulli, Daniel, 244 Bertucci, Paola, 16n. Bettinelli, Saverio, 244n. Bettini, Amalia, 244n. Bianchi, Massimo Luigi, 26n., 27n., 28n., 29n., 45n., 47n., 53 e n., 86n., 100n., 207n., 253n. Bloch, Olivier René, 103n., 104n., 109n., 119 e n. Blondel, James Augustus, 250 e n., 251 e n. Boaistuau, Pierre, 36n., 57 e n., 229n. Boas Hall, Marie, 129n. Bodin, Jean, 164 Boerhaave, Hermann, 250, 251n., 269 Borel, Pierre, 8, 39 e n., 60-62, 91, 109 e n., 110 e n., 112 e n., 114 e n., 145, 192 Borelli, Giovanni Alfonso, 188, 255 Borrelli, Antonio, 42n. Boxel, Hugo, 34, 38, 43, 44, 164 Boyle, Robert, 9, 12, 13, 14, 17, 18n., 19, 28, 32, 75n., 76, 77, 86, 91, 103n., 107 e n., 115, 119, 120-134, 140-141, 144-145, 148, 151, 153, 174-175, 176, 178, 179, 181, 182, 183, 186n., 189, 193 e n., 200, 201204, 224, 225, 226, 243, 253, 254, 255, 260, 266, 274, 275 291 Browne, Thomas, 16 e n., 34 e n., 36, 45, 112 e n., 158-159, 164, 188, 251, 252 Bruno, Giordano, 31, 261 Buffon, Georges-Louis Leclerc de, 8, 59, 245, 249 e n., 250, 251n. Burthogge, Richard, 158 e n. Cabeo, Niccolò, 84-85, 92, 118, 129, 149 e n., 157, 161, 162 Calmet, Antoine Augustin, 35n., 244, 245 n., 251-254, 257n., 258 e n. Cameron, Euan, 44n. Campailla, Tommaso, 244 e n., 255, 260 Campanella, Tommaso, 14, 29, 76, 86-91, 111, 122, 145 e n., 147n., 151, 180, 181, 202, 222n., 224, 225, 226, 229n., 261 Cantor, G. N., 16n. Caramuel y Lobkowitz, Juan, 244 e n., 252, 257, 261 Cardano, Girolamo, 12, 32, 37, 38-39 e n., 40, 42, 43, 54-55, 63, 65, 67, 78, 79, 80, 81, 83, 84, 97, 111, 125, 135, 142, 158, 159, 164, 172 e n., 176n., 180, 185, 190, 215, 222, 225, 226n., 238-240, 248, 254, 260, 268, 274, 275 Carli, Gian Rinaldo, 258 e n., 259 Castelli, Patrizia, 28n. Cattier, Isaac, 60 Cavalcanti, Guido, 23 e n., 212 Celso, 100n. Cesalpino, Andrea, 29-30, 40-41, 45, 215, 216, 222, 224, 236, 237n. Chalmers, Alan, 119n. Chalmers, Gordon Keith, 9n., 14n., 33n., 49n., 75n., 80n., 107n., 120n., 131n., 160n. Charleton, Walter, 14, 90n., 111n., 154n., 193, 201 Cicerone, Marco Tullio, 117 Cirillo, Giuseppe Pasquale, 264n. Clark, Stuart, 9, 10 e n., 12n., 17n., 32n., 37n., 67n. Clarke, Samuel, 123, 136-138 Clericuzio, Antonio, 19n., 23n., 26n., 29n., 32n., 58n., 103n., 109n., 110n., 118n., 121n., 126 e n., 129n., 133n., 157n. Collins, J., 105n. Colombo, Cristoforo, 133, 232 Copenhaver, Brian, 8n., 17n., 103n. Cosmacini, Giorgio, 56n. Costa, G., 253n. Cottingham, John, 105n. 292 Cowles, Thomas, 31n., 131n. Croce, Benedetto, 260 e n. Croll, Oswald, 29n., 192 e n., 197n., 199, 219, 241 Cudworth, Ralph, 76, 121n., 157-158 Curi, Umberto, 114n. D’Alessandro, Alessandro, 38 e n., 39, 43, 45, 164, 183 Darnton, Robert, 243n., 245n., 267n., 274n., 275n. Daston, Lorraine, 17n., 18n., 19n., 34n., 39n., 55n., 57n., 65n., 105n., 267n., 268n. Davanzati, Giuseppe, 251, 254, 257, 261 Debus, Allen G., 9n., 13n., 18n., 27n., 29n., 30n., 70n., 71n., 121n., 122n., 132n., 191n., 193n., 194n., 196n., 197n., 198n., 199n., 245n. Decker, Johann Heinrich, 36n., 37n., 44-45 De Frenza, Lucia, 17n. Del Rio, Martin, 34n., 36n., 45n., 63, 90n., 213n., 218, 221n., 229n., 228, 246, 247 Della Porta, Giovan Battista, 12, 53, 57, 5960, 62, 63, 67, 78, 83, 98, 115 e n., 159, 172, 176n., 189, 192 e n., 195, 215, 216n., 217, 219, 226n., 238, 239n., 260, 261, 274 De Martino, Ernesto, 17n., 244n., 260-262 Democrito, 31, 33, 43, 44, 45, 49, 118, 119, 123, 270 Dennehy, Myriam, 121n. De Rosa, Gabriele, 17n., 260-262 Descartes, René, 8, 13, 23, 44, 48, 91, 103109, 119, 120n., 134, 136, 143, 150, 152, 154n., 155, 156, 158 e n., 160, 161, 162, 179, 203, 209, 215, 223, 226, 256, 269, 271 Detel, Wolfgang, 9n., 19n., 33n., 85n., 103n., 119n., 122n. Diderot, Denis, 250, 274, 275 Digby, Kenelm, 13, 57-58, 76, 123, 129, 133, 150, 155-157, 160, 162, 181, 186n., 192, 198, 200, 201-204, 209, 219, 229n., 232, 233, 235, 236, 237n., 260, 266 Di Mitri, Gino L., 17n., 244n. Dionigi di Alicarnasso, 125 Dioscoride, 58, 78, 90n., 100n., 145, 159 Donà, Massimo, 17n. Doppet, Amédée, 263 e n., 267n. Downing, Lisa, 271n. Drebbel, Cornelius, 134 du Laurens, André, 213, 218n., 221, 224 Eamon, William, 17n., 53 e n., 54, 57 e n., 58n., 59n., 60n., 62n., 73n. Eliodoro di Larissa, 228, 229n. Empedocle, 110, 118, 158, 162, 270 Epicuro, 33 e n., 42, 44, 45, 49, 75, 80n., 81, 123, 270 Eraclito, 270 Ermete Trismegisto, 31, 119, 270 Ernst, Germana, 86n. Erodoto, 159, 188 Erone Alessandrino, 212 Ettmüller, Michael, 209 Euclide, 162, 203, 212, 213, 273 Fara, Patricia, 17n., 19n., 245n. Farina, Paolo, 19n. 104n. Fattori, Marta, 26n., 28n., 47n., 207n., 208n., 263n. Ferdinando, Epifanio, 133 Fernel, Jean, 14, 27n., 29, 42, 45-46, 47, 56 e n., 78, 226n. Ferraris, Maurizio, 207n., 208n. Ferrone, Vincenzo, 17n., 243n., 260, 262 Festa, Egidio, 42n., 107n. Ficino, Marsilio, 8, 9, 14, 24, 26, 27n., 28n., 29, 30, 34, 38, 48, 56, 78, 84, 114, 151, 210, 211, 212, 215, 216-217, 223, 226, 241, 246, 247, 260, 270 Fienus (Feyens), Jean, 29 e n. Fienus (Feyens), Thomas, 196, 216, 219, 220, 221, 222-224, 229-231, 232, 236, 237n., 241, 246 Fioravanti, Leonardo, 58-59, 62, 65, 128 Fludd, Robert, 12, 30, 34n., 37n., 45n., 85, 97, 145n., 146, 151, 189, 190, 193, 194, 197198, 199, 200, 219, 245, 254 Foster, William, 145n., 197 Fracastoro, Girolamo, 9, 12, 13, 18, 29, 33, 34n., 48-50, 51, 75, 78, 84, 88, 118, 122, 135, 150, 155, 181, 185 e n., 207, 224, 225n., 241 Frank, Robert G., 19n., 124n. Franklin, Benjamin, 244 e n., 267n., 268 Freudenthal, Gad, 80n., 81n. Frommann, Johann Christian, 40n., 42, 45 e n., 186, 189, 200, 204-205, 214n., 215, 218n., 221, 224, 225, 226n., 232n., 238n., 246, 260 Funkenstein, Amos, 7n. Gaffarel, Jacques, 188, 260 Galeno, 8, 23, 29, 42, 55, 77, 78, 114, 162, 189, 209, 212, 270 Galilei, Galileo, 52 e n., 63, 77, 84-85, 86, 91, 104n., 111, 119, 149 e n., 157, 161, 189, 260 Garin, Eugenio, 26n., 28n., 30n., 207n., 210n. Garmann, Christian Friedrich, 44 e n., 215, 254, 260 Garzoni, Leonardo, 16n., 83-84, 92, 172 Gassendi, Pierre, 8, 13, 14, 16, 23, 44, 45, 67, 73, 75, 76, 103-104, 108-119, 120n., 121, 122, 129, 133, 143, 146, 157, 174, 175, 178, 179, 186, 187, 193, 197, 200, 201, 203, 204, 209, 224, 225n., 243, 253, 257, 274 Gatto, Romano, 42n., 107n. Gaukroger, Stephen, 105n. al-Gh?z?li, 212 Gesner, Konrad, 42, 57 e n., 65, 134 Giglioni, Guido, 17n., 28n., 195n. Gilbert, William, 12, 14, 68, 76, 77-85, 86, 87, 88, 92, 94, 97, 101, 107n., 118, 123, 124, 129, 139, 141-142, 148, 150, 155, 157, 160, 161, 162, 172, 184, 194, 198, 200, 203, 266 Giovanni Damasceno, 228 Giudice, Franco, 154n. Glanvill, Joseph, 10, 76, 103, 120, 149-151, 156, 157, 161, 164, 193, 200, 204, 219, 220-221, 236, 237n. Glisson, Francis, 14 e n., 26 Goclenius (Göckel, Rudolph), 190, 194-196, 200, 201, 204, 220, 224 Godwin, Joscelyn, 197n. Goethe, Johann Wolfgang, 268 Grassi, Ernesto, 208n. Greengrass, M., 126n. Gregory, Tullio, 119 e n. Griffero, Tonino, 8n., 17n., 19n., 103, 191n., 192n., 194n., 195n., 197n., 198n., 201n., 208n., 219n., 243n., 255n., 267n. Grillando, Paolo, 42n. Grimaldi, Costantino, 187 e n., 190, 243, 259260, 274 Grosseteste, Robert, 24-25, 81 Guerlac, Henry, 124n. Gutiérrez, Juan Lazaro, 145 e n., 213n., 238 Hale, Matthew, 14 Haller, Albrecht von, 250, 251n., 265 Hart, James, 197, 199 e n. Hartlib, Samuel, 126 e n. Harvey, William, 157, 203 Heilbron, John L., 16n., 91, 92n., 136 e n., 274n. Helmont, Franciscus Mercurius van, 112 Helmont, Jan Baptiste van, 8, 14, 26, 28 e n., 29, 32, 37, 42, 67, 69n., 85, 112 e n., 115 e n., 121n., 132, 144, 145 e n., 161, 169, 293 176, 182, 194-196, 197, 200, 201, 204, 205, 207, 219-220, 225, 229n., 232, 242n., 245, 246, 274 Henry, John, 10n., 13 e n., 14, 25n., 77n., 79n., 84n., 103n., 122n., 123n., 126n., 127n., 133n. Hesse, Mary B., 16n., 18n., 81n., 273, 274n. Highmore, Nathaniel, 131 Hirai, Hiro, 13 e n., 14n., 18n., 32n., 49n. Hobbes, Thomas, 42-43, 44, 52, 109 e n., 203, 223, 249 Hodge, M. J. S., 16n. Hoffmann, Friedrich, 32 e n., 36, 42n., 246247, 275 Homberg, Wilhelm, 269 Hooke, Robert, 125n. Howell, James, 202 Hume, David, 126, 151, 223 Hunain, 212 Hunter, Michael, 25n. Hutchison, Keith, 8n., 18n., 19n., 50n., 65n., 90n., 103n., 109n., 111n. Hutton, Sarah, 28n., 84n., 133n., 152n. Ipparco, 29, 162 Ippocrate, 31, 203, 228, 270 Israel, Jonathan I., 18n., 19n., 45n., 108 e n., 164n., 166n. Jammer, Max, 16n., 26n., 110n., 153n. Joubert, Laurent, 16n., 228, 231n., 233, 235 Kant, Immanuel, 207, 263n., 273 e n. Kargon, Robert H., 103n. al-Kind?, 23-24, 25, 26, 81, 208, 209, 212, 213 Kircher, Athanasius, 8, 12, 35n., 37 e n., 44, 62n., 63, 75n., 76, 78, 85, 91-101, 114, 118, 120n., 133, 134, 140, 144n., 145, 160, 161, 162, 172-174, 175, 176n., 181, 183, 184, 186n., 188, 189, 190, 193, 200, 214, 215, 217n., 224, 225n., 229, 232, 236, 245, 260, 271, 274 Klibansky, Raymond, 209n., 217n. Kolhans, Johann Christoph, 215 Koyré, Alexandre, 9n., 152n. Kuhn, Thomas, 17n., 19n. Lalande, Joseph-Jérôme, 244 La Mettrie, Julien Offroy de, 251 e n. La Mothe le Vayer, François de, 62-63, 136n., 185 e n. Lana Terzi, Francesco, 8, 13, 76, 92n., 139146, 175, 182, 204, 218, 225 Lavater, Ludwig, 35 e n., 36n., 37, 38, 43, 44 Lavoisier, Antoine Laurent, 274, 275 294 Le Brun, Pierre, 187-191, 246, 252, 257, 260 Leibniz, Gottfried Wilhelm, 100n., 104n., 123, 254 Lenoble, Robert, 104n. Leonardo di Capua, 42 e n. Leopardi, Giacomo, 16n., 188, 245 e n., 273 Leslie, M., 126n. Leucippo, 123, 270 Libavius (Libau), Andreas, 8, 192 e n., 193194, 197, 221, 222n., 224, 238 Liceti, Fortunio, 36n., 56 e n., 57, 64n., 112 e n., 228, 229, 231, 232 Lindberg, David C., 17n. Locke, John, 126, 151, 154n., 158, 169 e n. Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, 56 Lower, Richard, 14 Lucrezio, 8, 23, 33 e n., 42, 44, 49, 78, 81, 109, 110 e n., 112, 118, 217n., 265 Lullo, Raimondo, 30n., 119 Luther, Martin, 44, 65n. Lutzenchirchen, G., 244n. MacIntosh, J. J., 120n. Maffei, Scipione, 187, 244 e n., 254, 258-259 Maignan, Emmanuel, 76, 141, 154-155, 157, 209 Malebranche, Nicolas, 108 e n., 158, 165, 184, 190, 209, 226, 228n., 233-236, 237, 250, 251, 258n. Marcus Marci, Johannes, 37, 63 Marugi, Gian Leonardo, 260, 262, 263-268 Mattioli, Pietro Andrea, 58 e n., 78, 90n., 132, 190, 214 Mayow, John, 14, 124n. McEvoy, J. 25n. McKenna, A., 109n. Melantone, Filippo (Melanchton, Philipp), 29, 30 e n., 43, 65n., 213 Melisso, 158 Menone, 115 e n. Mercurio, Scipione, 16n., 36n., 214, 226n., 228, 229, 231-232, 235, 236n. Mersenne, Marin, 31 e n., 104n., 197 e n., 209n., 224 Mesmer, Franz Anton, 245, 263 e n., 268 Mocchi, Giuliana, 37n. Montaigne, Michel de, 209, 211, 224, 225n., 226n., 263 Montanari, Geminiano, 244 e n. More, Henry, 38, 76, 103n., 133 e n., 149, 151-152, 157, 158, 204, 221, 269 Mosè, 119 Muratori, Ludovico Antonio, 92, 94n., 210, 217, 224, 233, 243n., 245, 246, 252, 254255, 256-57, 258, 259 e n., 260, 261, 263n., 274, 275 Newton, Isaac, 18, 26, 76, 103n., 105n., 108, 120n., 138 e n., 152-153, 155, 189, 191, 268, 269, 270, 271, 274 Nieuwentyt, Bernard, 269 Nutton, Vivian, 8n., 50n. Olao Magno, 37, 63, 78 Oldenburgh, Henry, 153 Oresme, Nicola di, 10 Orfeo, 119, 158 Ovidio, 218 e n., 241, 265 Pacchi, Arrigo, 8n., 38n., 103n., 120n., 121n., 133n., 151n., 152n., 154n., 156n., 158n. Paganini, Gianni, 109n. Pagel, Walter, 193n., 195n. Pancaldi, Giuliano, 16n. Pancino, Claudia, 17n., 228n., 250n. Panichi, Nicola, 207n. Panofsky, Erwin, 209n., 217n. Paracelso (Philipp Theophrast von Hohenheim), 14, 28, 29, 42, 44, 50, 58, 60, 66, 78, 100n., 119, 121n., 132, 135, 161, 172, 173, 182, 189, 190, 191, 193-197, 204, 207, 208, 213, 215, 217, 219, 220, 221, 226, 241, 245, 268 Paré, Ambroise, 36 e n., 56 e n., 57, 60, 65n., 112 e n., 228 Parigi, Silvia, 23n., 25n., 37n., 43n., 48n., 111n., 136n., 153n., 209n., 213n., 217n., 243n., 244n., 255n., 269n., 270n. Park, Katherine, 17n., 18n., 19n., 34n., 39n., 55n., 57n., 65n., 105n., 267n., 268n. Parmenide, 157 Patrizzi, Francesco, 29, 30-31 Pav, P. A., 119n. Peckam, John, 212 Pennuto, Concetta, 8n., 18n., 48n., 49n., 50n., 185n. Peruzzi, Enrico, 49n. Peterschmitt, Luc, 121n. Pico, Giovanfrancesco, 36n., 209n., 210n., 216 Pico, Giovanni, 29 Piro, Francesco, 17n., 207n. Pistacchio Castelli, Angelo, 34n., 36n. Pitagora, 31, 98, 162 Platone, 31, 34, 44, 112, 114n., 115n., 158, 162, 270 Plinio, Caio Secondo, detto il Vecchio, 7n., 8, 9, 37, 43, 54, 63, 67, 78, 87, 100 e n., 118, 120, 135, 145, 152, 159, 176n., 178, 181, 186, 188, 216n., 240, 241, 242, 265 Plotino, 69n., 151, 270 Plutarco di Cheronea, 43, 63, 118, 135, 241, 247, 270 Pomponazzi, Pietro, 18n., 29, 211, 216, 224, 226, 231, 258 Pope, Alexander, 268 Power, Henry, 14, 31 e n., 76, 124 e n., 131 e n. Primerose, James, 16n. Psello, Michele, 34n. Pumfrey, Stephen, 10n., 16n., 84n., 92n. Pyle, Andrew, 120n. Rattansi, P. M., 18n., 26n., 27n., 153n. Rattray, Sylvester, 12 e n., 13, 63, 145n., 150151, 192 e n., 205, 220 Rawley, William, 67 Ray, John, 190 Raylor, T., 126n. Raymond, Charles, 121n. Redi, Francesco, 120n., 245, 254 Rees, G., 47n. Reeves, E., 9n., 85n. Regis, Pierre-Sylvain, 187 Remy, Nicholas, 44 e n., 45 Rhodius (Rhode), Ambrosius, 215 Rigotti, Francesca, 4n. Rizzolatti, Giacomo, 236, 237n. Roberti, Jean, 92, 190, 194-196, 197, 200, 220 Rochot, Bernard, 119n. Rohault, Jacques, 77, 136-139, 274 Romanus, Karl Friedrich, 244n. Rosati, Giovanni, 56 Rossi, Paolo, 39n., 49n., 63n., 67n., 70 e n., 73n., 92n. Rossi, Paolo L., 10n. Rousseau, Jean-Jacques, 249 e n. Roux, Sophie, 107n. Ruscelli, Girolamo, 57, 146 Sabra, A. I., 16n. Saint-André, François de, 145n., 187, 191 e n., 200, 210, 246 e n., 247-249, 253, 259, 260 Saint-Romain, G. B. de, 76, 145n., 146-149, 175, 190, 204 Salem, J., 109n. Salfi, Francesco Saverio, 257 e n. 295 Sangro, Raimondo di, principe di Sansevero, 188n., 244 e n. Sarasohn, L. T., 103n. Sarpi, Paolo, 83 Savonarola, Girolamo, 56 Saxl, Fritz, 209n., 217n. Scaligero, Giulio Cesare, 29, 32 e n., 33, 39, 58, 67, 83, 84, 90n., 112 e n., 114 e n., 133, 136 e n., 213 Scheiner, Christoph, 215 Schioppa, Antonino, 264-268 Schopenhauer, Arthur, 273 e n. Schott, Caspar, 12, 31 e n., 34n., 35, 36n., 37n., 44, 45n., 52, 57 e n., 60, 65, 76, 92, 98n., 123, 124 e n., 134-36, 140-142, 164, 174, 175, 186 e n., 189, 200, 214-215, 221, 229n., 260, 266 Schuhmann, K., 42n. Scinà, Domenico, 256n. Seneca, Lucio Anneo, 31 Sennert, Daniel, 8n., 12, 13, 17, 27-28, 29, 32, 42, 50-52, 71 e n., 132, 161, 192 e n., 193, 197, 199, 201, 203, 204, 224, 225n., 233, 238-242, 250 Sepper, Dennis L., 104n. Serao, Francesco, 243, 244 e n., 263 e n., 273 e n. Sergeant, John, 133, 154n. Serveto, Michele, 30 Shea, William R., 104n. Simonazzi, Mauro, 17n. Sinesio, Secondo, 256 e n. Skinner, Quentin, 9 e n. Socrate, 40, 44, 115, 257 Sortais, George, 104n. Spink, J. S., 103n. Spinoza, Baruch, 34 e n., 43-44, 45, 164, 209, 259 Steele, Richard, 268 Suarez, Francisco, 194 Suarez de Rivera, Francisco, 245 Swedenborg, Emanuel, 36 Swift, Jonathan, 268 Tachau, Katherine H., 26n. Talete, 83 Tannery, Paul, 104n. Tartarotti, Girolamo, 243 e n., 254, 257-259 Tasso, Torquato, 257 Teofrasto, 98, 193 Teone Alessandrino, 213 296 Tesi, Paola, 243n. Thorndike, Lynn, 28n., 44n., 53 e n., 54n., 59n., 123n., 134n., 192n., 194n., 196n., 225n., 245n. Thyraeus, Petrus, 34-37, 39, 40, 41, 43 Toaldo, Giuseppe, 244 e n. Tolomeo, Claudio, 77, 78, 212 Tommaso d’Aquino, 194, 224 Torricelli, Evangelista, 63, 140 Totaro, Pina, 255n. Trevisani, Francesco, 19n., 105n. Trinci, M., 17n., 65n. Ugaglia, M., 16n., 83n. Vairo, Leonardo, 208n., 209n., 213-214, 216 e n., 217n., 218n., 221, 225, 226n., 231, 236, 237n., 240 Vallemont, Pierre Le Lorrain, abate di, 8, 13, 71n., 75 e n., 76, 77, 176-187, 193, 200, 205, 243, 260 Valletta, Ludovico, 27n., 243, 244 e n. Valletta, Nicola, 38, 211, 260, 262, 263-268, 274 Vallisnieri, Antonio, 258, 265 Vanini, Giulio Cesare, 29, 44 e n., 90n., 216n., 224, 225n., 226n., 227n., 231 Vico, Giambattista, 38, 253, 275 Virgilio, 30 e n., 31, 87, 151, 241 Vitale, G., 23n., 212n. Vitruvio, 181 Voltaire, François-Marie Arouet, detto, 103n., 166, 250, 251-252 Waddell, Mark A., 12n., 191n., 192n., 195n., 196n. Walker, Daniel P., 18 e n., 26n., 27 e n., 28n., 30n., 34n., 37n., 70n., 73n., 86n., 154 Warner, Walter, 14 Webster, Charles, 131n. Wecker, Johann Jacob, 172 e n. Westfall, Richard, 13 e n., 27n., 105n. Westman, R. S., 17n. Weyer (Wier), Johann, 34n., 37 e n., 43, 207, 218, 246 Willis, Thomas, 14, 26, 209 Wilson, Catherine, 19 e n., 33n., 122n. Winkler, Kenneth P., 271n. Winslow, Jacques-Bénigne, 245 Witelo, 162, 212 Worsley, Benjamin, 126 e n., 127 Zacchia, Paolo, 13n., 36n., 228, 250 e n. Zahan, Johann, 224, 225n. Zambelli, Paola, 24n., 211n. Zanier, Giancarlo, 19n., 105n. Zapparella, Giovanni Paolo, 259 e n. Zarka, Yves-Charles, 42n. Zenone di Elea, 158 Zezza, Michele, 264n. Zittel, Claus, 9n., 19n., 33n., 85n., 103n., 122n. Zoroastro, 31, 158 297