Ugo Foscolo
Info tratte da
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Quando scrisse i "Sepolcri" nell'autunno del 1806, Ugo Foscolo aveva
28 anni; viveva a Milano, la capitale della Repubblica Cisalpina, che
era il luogo d'incontro dei più validi esponenti del mondo artistico e
letterario italiano.
L'opera fu scritta in breve tempo, quasi di getto, anche se la stesura
definitiva occupò per vari mesi il poeta, tanto che la prima edizione
uscì solo nell'anno seguente.
La spinta a questa breve, ma intensa fatica poetica venne
dall'entrata in vigore della legge di Saint-Cloud, che stabiliva un
nuovo ordinamento in materia di sepolture (proibizione di
seppellire chiunque all'interno degli abitati e uniformità di lapidi e
di iscrizioni per tutti).
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La spinta, ma non l'ispirazione: perché i temi espressi nei "Sepolcri"
furono quelli che da sempre costituivano il nucleo del suo pensiero
e della sua poesia.
Foscolo non era un poeta occasionale, se si fosse limitato solo a
quell'argomento, se avesse scritto i "Sepolcri" solo per commentare
una legge, avrebbe scritto dei buoni versi, ma non un capolavoro.
In un primo tempo egli intendeva comporre solamente un'epistola
in versi, limitandosi a trattare l'argomento della legge sui cimiteri in
una forma volutamente ristretta; ma, appena cominciò a scrivere,
l'impeto stesso della sua poesia lo portò a lasciare quel progetto per
abbandonarsi a un canto in cui potesse esprimere tutta la sua anima
di pensatore, di cittadino e poeta.
Fu per questa esigenza interiore e per la necessità stilistica che
nasceva da essa che Ugo Foscolo scelse per i Sepolcri la forma
poetica più libera, quella del carme.
Questa parola significa letteralmente "composizione poetica": la
poesia che si esprime attraverso essa non è arginata da limiti e da
schemi di alcun genere.
Il poeta stesso l'aveva definita come la più adatta al suo
temperamento: era perciò naturale che vi ricorresse in quel
particolare momento di pienezza spirituale e immaginativa.
La poesia dei "Sepolcri"
295 endecasillabi, non rimati né divisi in strofe: una lunga, compatta
cascata di versi, nei quali è espresso tutto il fremente mondo
interiore del poeta.
Il fascino e la meravigliosa forza evocatrice dei "Sepolcri" nascono
appunto da questa pienezza e dalla profonda unità dell'armonia che
la esprime.
Non c'è, in tutta la letteratura italiana, un'opera poetica che abbia
insieme una così splendida perfezione formale e un così elevato
contenuto di pensiero in uno spazio altrettanto breve.
295 versi, e non una similitudine, non uno di quegli artifici ai quali
ricorrono spesso anche i grandi poeti: morbido o fremente,
squillante o tormentato, il verso fluisce con una capacità espressiva
così suggestiva, così pienamente aderente all'idea dell'autore, che
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qualsiasi arricchimento sarebbe superfluo.
Si può pensare ai "Sepolcri" come a una sinfonia mesta e insieme
gloriosa, che prorompe senza sosta nel cuore del poeta.
Analizzando il carme si può scomporlo in varie parti, ma non si
tratta di episodi separati, perché tutto è legato da una grandiosa
unità di pensiero e di stile.
Proprio come in una grande sinfonia vi sono i vari "tempi" così nei
"Sepolcri" si possono distinguere degli ideali capoversi: ma non c'è
frattura tra l'uno e l'altro.
Un grande critico ha definito i "Sepolcri" come un canto
essenzialmente religioso. (1)
Foscolo non era credente, eppure la definizione di quel critico coglie
la natura del carme.
Anche se non aveva un fede, Foscolo aveva una concezione della
vita e della morte, dell'uomo e della storia, che può essere detta una
"religione" per la passione e l'ardore con cui egli sentiva e viveva le
sue idee.
E nei "Sepolcri", che sono una specie di summa lirica del suo
pensiero, noi ritroviamo tutti i temi fondamentali di esso, quelli che
possono essere definiti i "dogmi" della sua fede terrena.
LA MORTE: è per Foscolo, la "fatal quiete", il termine ultimo di ogni
cosa, un oblio senza fine in cui l'uomo si annulla. Ma non c'è orrore
in questa visione che può apparire così pessimista: la morte è
accettata nobilmente e serenamente, come un limite inevitabile che,
anzi, rende ancor più ardente la passione di vivere.
L'EROISMO: il breve spazio di tempo che ci è concesso dalla vita
non deve essere disperso in azioni futili e vane.
Compiendo, sorretto dalla sua libera volontà, gesta nobili e
generose, l'uomo si rende cosciente del proprio valore e della sola
possibilità che gli è offerta di sollevarsi al di sopra dei bruti.
Questo eroismo come regola di vita non è una semplice esaltazione
dell'atto temerario e clamoroso, ma un vigoroso ideale civile e
patriottico, un invito ad operare con tutte le forze per il bene della
società, che ogni uomo ha il dovere di rendere più libera e più
giusta.
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LA BELLEZZA: Insieme all'amore, di cui è la fonte, essa è il sale della
vita, la forza divina che non è solo stimolo dei sensi, ma alimento di
nobili sentimenti. è il concetto pagano della bellezza, già espresso
dai poeti dell'antica Grecia, ai quali Foscolo si sente legato non
soltanto per la sua cultura imbevuta di Classicismo, ma per una
profonda affinità spirituale (e che perfezionerà contemplando
Lunaria, il suo grande amore)
LA POESIA: pur condannato, secondo Foscolo, a scomparire nel
nulla, l'uomo possiede ugualmente un mezzo per giungere
all'immortalità: la Poesia, che può eternare la sua memoria nei
secoli, come i sepolcri, altari della pietà e della gloria, conservano i
suoi resti mortali.
è evidente che questo concetto di immortalità non ha nulla in
comune con quello cristiano dell'immortalità dell'anima; esso
possiede, tuttavia, un fascino profondo per la suggestione poetica
che ne emana: la Poesia, che vince di mille secoli il silenzio, appare
come un dono divino, una forza capace di far trionfare l'uomo sulla
morte stessa.
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I Sepolcri iniziano con un'affermazione di sconsolato pessimismo:
duro e implacabile è il sonno della morte in cui tutto si annulla. E
un sasso, una lapide, non mi darà alcun conforto, perché non mi
impedirà di scomparire negli spazi infiniti dell'Universo.
Ma la cruda visione di questa morte annientatrice è mitigata dalla
dolcezza dell'immagine evocata dai primi versi: uno svettare di
cipressi, solenni e sereni nel cielo; e quel pianto che conforta le
tombe... Per contrasto, inoltre, dal ricordo di ciò che la Morte ci
toglie nasce un canto struggente alla Vita, a tutto quel che la rende
bella e degna di essere vissuta: la Natura ("nella d'erbe famiglia e
d'animali"), la Poesia e l'Amore ("unico spirto a mia vita raminga"),
l'Amicizia, le Illusioni.
Poi, ecco di nuovo il pensiero della Morte, e dietro a quello,
incalzante, una visione cosmica in cui la vanità delle cose umane è
raffrontata all'immensità dell'Universo, dove tutto continua a
rovinare.
Più avanti Foscolo esprime il suo orgoglioso disprezzo pagano per
chi non ha compiuto gesta degne di ricordo e di fronte alla morte si
preoccupa solamente del premio o del castigo eterno; nessuno
curerà la sua memoria e il suo povero corpo giacerà dimenticato fra
gli sterpi di una terra abbandonata:
"Sol chi non lascia eredità d'affetti
poca gioia ha dell'urna; e se pur mira
dopo l'esequie, errar vede il suo spirto
Fra 'l compianto de' templi
acherontei,
o ricovrarsi sotto le grandi ale
del perdono d'Iddio; ma la sua polve
lascia alle ortiche di deserto gleba..."
Per questi versi, dove Foscolo accenna alla Fede di coloro che dopo
la morte affidano la propria anima a Dio, può essere considerato un
poeta religioso, anche se non praticava nessun culto ma senza un
profondo senso dell'Eterno non sarebbe mai giunto a cogliere così
potentemente lo spirito della Fede.
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(1) Commento del Momigliano ai Sepolcri:
"Su tutto il carme si stende la religiosa pace di un cimitero... Qui gli
uomini e la terra sono veduti, più che come vivi e dimora dei vivi,
come ombre auguste e lontane e come ricetto sacro di queste
ombre; e la vita acquista la sua santità dalla morte, e solo perché noi
abbiamo dietro di noi una schiera di grandi morti pare che noi
dobbiamo vivere o operare. Il carme si svolge in mezzo ad un
remoto silenzio, dove i morti parlano e i vivi ascoltano riverenti. La
Morte semina di infinite ossa la terra e il mare, una forza operosa
avvicenda senza tregua i nati e gli istinti, la potenza si tramuta di
popolo in popolo, le sembianze della terra e del cielo si cambiano
perennemente; in mezzo a questa fiumana triste ove tutto si
trascolora, si dissolve, si cancella, una cosa sopravvive, immortale:
la magnanimità dell'uomo, meglio - la poesia che canta la
magnanimità dell'uomo: vince di mille secoli il silenzio"
Un paio di pensieri, tratti da
"Il mio nome significa luce (fos) e bile (cholos)... di volto non bello
ma stravagante, e d'una aria libera, di crini non biondi ma rossi, di
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naso aquilino e grosso ma non picciolo e non grande... nella mia
fanciullezza fui tardo, caparbio: infermo spesso per malinconia, e
talvolta feroce, e insano per ira..." (dalle "Lettere")
Io odo la mia patria che grida: "Scrivi ciò che vedesti, manderò la
mia voce dalle rovine, e ti detterò la mia storia. Piangeranno i secoli
su la mia solitudine; e le genti s'ammaestreranno nelle mie
disavventure. Il tempo abbatte il forte: e i delitti di sangue sono
lavati nel sangue."
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"I monumenti, inutili ai morti, giovano ai vivi, perché destano affetti
virtuosi lasciati in eredità dalle persone dabbene; solo i malvagi...
immeritevoli di memoria, non la curano; a torto dunque la legge
accomuna le sepolture... degli illustri e degli infimi. (...) Le reliquie
degli eroi destano a nobili imprese, e nobilitano le città che le
raccolgono. Esortazione agli italiani a venerare i sepolcri dei loro
illustri concittadini; quei monumenti ispireranno l'emulazione agli
studi e l'amore della patria, come le tombe di Maratona nutrivano
nei Greci l'aborrimento dei barbari. Anche i luoghi dov'erano le
tombe dei grandi, sebbene non ne rimanga vestigia, infiammano la
mente dei generosi."
è questo il riassunto dei Sepolcri, delineato dal poeta stesso in una
sua lettera polemica contro il critico Guillon.
Vediamo qualche verso di rara bellezza del carme di Foscolo:
All'ombra de' cipressi e dentro l'urne
confortate di pianto è forse il sonno
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della morte men duro? Ove più il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d'erbe famiglia e d'animali,
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l'ore future,
né da te, dolce amico, udrò più il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né più nel cor mi parlerà lo spirto
delle vergini Muse e dell'amore,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a' dì perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte?
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme
ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve
tutte cose l'oblio nella sua notte;
e una forza operosa le affatica
di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe
e l'estreme sembianze e le reliquie
della terra e del ciel traveste il tempo.
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ALTRO COMMENTO, tratto da
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Nella nostra letteratura Ugo Foscolo occupa un luogo
particolarissimo, in adeguata rispondenza alla notevole complessità
della sua figura.
Il tumultuoso e tempestoso prorompere dell'ingegno foscoliano
suscitò dubbi, timore, avversioni, ma anche entusiasmi grandi e
duraturi. Attraverso un affinamento costante, Ugo Foscolo, prima
noto soltanto ai veneziani, conquistò in breve una rinomanza anche
attraverso l'azione politica, giornalistica e militare, che si concluse
con l'assedio di Genova (1799-1800), la composizione della prima
parte dell'"Ortis" e delle odi "Bonaparte liberatore" e "A Luigia
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Pallavicini".
Un senso virile della tragicità della vita, una lucida coscienza della
totale sparizione dell'uomo con la morte e insieme la possibilità di
divenire immortali grazie alla poesia, maestra di vita come già con
Omero ai tempi eroici della Grecia e con Dante nel medioevo, il
conforto derivante all'uomo dalle illusioni che l'esistenza ci offre e
di cui possiamo godere pur sapendo che sono illusioni e che la
nostra sorte è segnata: ecco quel che si può cogliere alla lettura dei
versi del Foscolo, in una forma vibrata e concisa, assolutamente
originale nonostante i visibili ricordi da altri poeti: perché ogni volta
che il Foscolo deriva, subito ricrea cosa affatto sua, ricca di
significati taciuti o trascurati nel verso o nel passo imitato, più piena
e più bella: così accadrà per il largo influsso formale che il Foscolo
subì da parte della stupenda frondosità inventiva e canora di
Vincenzo Monti: ma tale influsso non andrà mai oltre la zona del
mestiere, perché non appena si debba tener conto dell'accento vero
e personale siamo costretti a riconoscere la grandezza e la
superiorità foscoliane: e in proposito è impossibile che si modifichi
un giudizio sul quale la critica è storicamente concorde, anche oggi
che senza dubbio ci è dato di comprendere il Monti assai meglio che
non qualche decennio fa.
Se l'"Ortis" è del 1802, e le odi e i sonetti nella redazione definitiva
sono del 1803, dobbiamo giungere al 1807 per trovare quella che è
l'ultima grande composizione poetica foscoliana terminata,
accettata e stampata dall'autore.
Alludiamo ai "Sepolcri",
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il carme che stabilì definitivamente la fama poetica del Foscolo,
quello a cui soprattutto guardarono i posteri delle generazioni del
Risorgimento. Lo spunto è offerto da un tema a quel tempo
piuttosto in voga, vale a dire la meditazione sulle tombe e su coloro
che vi giacciono; mentre però in genere i predecessori e i
contemporanei, in Italia e fuori, ne traevano il pretesto o l'occasione
per divagazioni di tipo moralistico-sentimentale, il Foscolo impostò
ex novo il problema, assunse la tomba quale momento della vita
dell'uomo e collocò per così dire i sepolcri profondamente dentro al
viluppo storico della vita umana, come vichiano primo segno di
civiltà separante gli uomini dalle belve, come distintivo dell'uomo il
quale onora nelle tombe la memoria dei suoi cari e dei suoi grandi e
desidera che anche a lui a suo tempo vengano resi gli onori funebri,
per mantenere viva l'illusione dell'immortalità.
La morte è presente in tutto il carme non sotto gli aspetti cupi della
minaccia d'inferno o sotto quelli artatamente consolatori del "ci
rivedremo in cielo", ma quale condizione umana ineliminabile, da
affrontare con sereno coraggio e raccolta meditazione. Di infinite
tombe non si saprà nulla, o subito o pochissimo dopo che sono state
scavate, ma di alcune poche è proprio un particolare potere, quello
di parlare ai vivi incitandoli a pensare e ad agire magnanimamente,
di parlare ai poeti e di ispirarli a cantare celebrando le grandi storie
dei grandi scomparsi e rendendoli vittoriosi sulla morte nell'unico
modo in cui gli uomini possono vincerla, grazie cioè alla memoria
nutrita di affetti generosi. Non moralismo dunque ma morale nel
senso più vivo e più degno della parola, non sentimentalismo
dunque ma sentimento, o meglio, affetti, termine che il Foscolo
amava: lettore vero dei "Sepolcri" avrebbe dovuto essere quel popolo
italiano futuro che l'Alfieri auspicava, per il quale il Foscolo
combattè e sperò durante un certo numero di anni; popolo e non
plebe, cittadini e non sudditi, capaci di una dignitosa sincerità nella
vita e nelle opere, muniti di alta coscienza collettiva, aperti al bello
sincero e alla responsabilità coraggiosa.
"Dei Sepolcri" di Ugo Foscolo
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Il Carme fu composto nel 1806 a Milano e pubblicato nel 1807. è
indirizzato a Pindemonte, con cui Foscolo aveva avuto a Venezia
una discussione sul valore delle tombe.
DEORUM MANIUM IURA SANCTA SUNTO. (1)
("I diritti degli dèi Mani siano sacri". Nella religione romana i Mani
sono i defunti).
All'ombra de' cipressi e dentro l'urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? (2)
2) "Il sonno della morte è forse meno profondo se la tomba è
ombreggiata da cipressi e se il sepolcro è confortato dal pianto dei
cari rimasti in vita?" la domanda retorica equivale a una negazione:
la cura della tomba e il pianto dei vivi non servono al morto, perché
non possono evitare che la morte sia totale annullamento.
Ove più il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d'erbe famiglia e d'animali,
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l'ore future,
né da te, dolce amico, udrò più il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né più cor mi parlerà lo spirto
delle vergini Muse e dell'amore,
unico spirto a ma vita raminga,
qual fia ristoro a' di perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte? (3).
3) "Quando per me che sarò morto e non sentirò più nulla, il sole
non feconderà più la terra, facendo generare questa bella famiglia di
esseri vegetali e animali, e quando le ore future non danzeranno
dinanzi a me, non mi offriranno alcuna aspettativa, attraenti per le
promesse lusinghiere che esse recano con sé, e non udrò più da te,
dolce amico Pindamonte, i tuoi versi regolati da una mesta armonia
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[Pindemonte era un Poeta di ispirazione malinconica] e la poesia e
l'amore non parleranno più al mio cuore [le Muse sono dette vergini
ad indicare l'elevatezza dell'ispirazione e il valore purificatore della
Poesia], unico stimolo di vita spirituale ["spirto"] alla mia vita di
esule, come potrà compensarmi dei giorni perduti ["dì perduti"] che
non vivrò, una pietra tombale che distingua le mie ossa dalle infinite
altre che la morte dissemina per terra e mare? [Il fatto di avere una
tomba non compensa i beni della vita che l'uomo perde morendo].
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
ultima Dea, fugge i sepolcri (4); e involve
tutte cose l'obblio nella sua notte;
e una forza operosa le affatica
di moto in moto (5); e l'uomo e le sue tombe
e l'estreme sembianze e le reliquie
della terra e del ciel traveste il tempo (6).
4) Anche la speranza ("Speme") abbandona le tombe: cioè non vi è
alcuna speranza di sopravvivenza dopo la morte.
5) la dimenticanza avvolge ogni cosa nelle sue tenebre, cancella ogni
traccia degli esseri esistenti,e la forza della Natura, sempre all'opera
li trasforma in un continuo travaglio ("affatica") distruggendo le
forme assunte dalla materia e ricreando da esse forme diverse.
Parere di Lunaria: anche in de Sade, materialista convinto, in
"Justine", appare questo discorso, della dissoluzione di ogni cosa,
per opera della Natura-Matrigna, tema anche Leopardiano, del
resto.
6) Il tempo muta e rende irriconoscibili ("traveste") l'uomo, le
tombe, i resti mortali dell'uomo e i vari aspetti della terra e del cielo,
che sono i residui di una catena di trasformazioni precedenti.
Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l'illusion che spento
pur lo sofferma a limitar di Site? (7)
Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà muta l'armonia del giorno,
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se può destarla con soavi cure
nella mente de' suoi? (8) Celeste è questa
corrispondenza d'amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; (9) e spesso
per lei (10) si vive con l'amico estinto,
e l'estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall'insultar de' nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi una sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.(11)
7) "Ma perché l'uomo, prima che sia il momento di morire, dovrà
privarsi dell'illusione (di poter sopravvivere), che lo trattiene al di
qua della soglia della morte?" "Dite" è il Regno dei Morti nella
mitologia classica. Anche se la ragione dimostra che la morte è la
fine di tutto, l'uomo deve mantenere l'illusione di una
sopravvivenza dopo di essa.
8) "Non continua a vivere anche sottoterra, quando la bellezza del
mondo dei vivi ("giorno": il mondo della luce, delle persone vive)
non potrà più parlargli, destar sentimenti, se può suscitare
l'illusione di essere ancora vivo nella mente dei suoi attraverso
un'affettuosa partecipazione?" Cioè l'uomo si illude di non morire
del tutto se rimane nel ricordo dei suoi cari; per questo però è
necessaria la tomba che tenga desta la memoria.
9) Questa corrispondenza affettiva tra il morto e i viventi è una dote
divina per gli uomini, dà cioè una forma di immortalità che li
accomuna agli Dèi.
10) "Per lei", ovvero grazia a questa corrispondenza.
11) "A patto che la terra che appena nato, accolse e nutrì l'uomo,
offrendogli pietosamente l'ultimo rifugio nel suo grembo materno
("con la sepoltura"), rende sacri i suoi resti, preservandoli
dall'azione distruttrice delle tempeste("insultar de' nembi") e dal
piede profanatore del volgo, e a patto che una pietra tombale
conservi il suo nome ed un albero amico ("arbore"), profumato di
fiori, consoli le ceneri con le sue gradevoli ombre". Non è inutile,
quindi, che la tomba sia protetta da ombre e un sasso serbi la
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memoria del nome. La terra è raffigurata in sembianze materne:
morire, per Foscolo, è come rientrare nel grembo che ci ha generati.
Sol chi non lascia eredità d'affetti
poca gioia ha dell'urna (12); e se pur mira
dopo l'esequie, errar vede il suo spirto
fra'l compianto de' templi acherontei,
o ricovrarsi sotto le grandi ale
del perdono d'Iddio; ma la sua polve
lascia alle ortiche di deserta gleba
ove né donna innamorata preghi,
né passeggier solingo oda il sospiro
che dal tumulo a noi manda Natura. (13)
12) "Solo chi non lascia tra i vivi nessuno che lo ami - si può
intendere una persona arida e malvagia - non ricava nessun conforto
dal pensiero di avere una tomba: non potrà sperare di sopravvivere
nel ricordo."
13) Se spinge lo sguardo dopo le esequie, se cerca di immaginare ciò
che sarà di lui dopo la morte, vede la sua anima errare tra i lamenti
dei dannati nelle regioni infernali ("Templi Acherontei"): è un'eco
degli Acherusia Templa di Lucrezio. "Templi" conserva il senso
archaico del termine latino. "Rifugiarsi sotto le ali del perdono di
Dio" si intende come pensare di essere salvato o dannato, "ma lascia
i suoi resti alle ortiche di un angolo di terra deserta ("Gleba"), dove
non viene a pregare nessuna donna che lo ami, né il passante
solitario può sentire il sospiro che la natura manda dalla tomba,
cioè, dalla tomba sembra fuoriuscire il sospiro del defunto, che
esprime il desiderio di sopravvivere connaturato con l'uomo; è un
concetto che proviene dall'Elegia di Thomas Gray: "Even from the
Tomb the voice of Nature cries = anche dalla Tomba grida la voce
della Natura".
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Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
fuor de' guardi pietosi, e il nome a' morti
contende (14). E senza tomba giace il tuo
sacerdote, o Talia, che a te cantando
nel suo povero tetto educò un lauro
con lungo amore; e t'appendea corone (15);
e tu gli ornavi del tuo riso i canti
che il lombardo pungean Sardanapalo,
cui solo è dolce il muggito de' buoi
che dagli antri abduani e dal Ticino
lo fan d'ozi beato e di vivande. (16)
O bella Musa, ove sei tu? Non sento
spirar l'ambrosia, indizio del tuo Nume,
fra queste piante ov'io siedo e sospiro
il mio tetto materno (17). E tu venivi
e sorridevi a lui sotto quel tiglio
ch'or con dimesse frondi va fremendo
perchè non copre, o Dea, l'urna del vecchio
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cui già di calma era cortese e d'ombre.(18)
14) "Nonostante questo alto significato delle tombe, oggi una nuova
legge impone di seppellire i morti in cimiteri comuni fuori delle
città e sottrae ad essi la possibilità di avere una lapide col loro
nome." Foscolo si riferisce all'editto di Saint-Cloud, e a disposizioni
analoghe, di ispirazione illuministica, che erano state adottate in
precedenza dal governo austriaco. Difatti il Poeta Parini, morto nel
1799, era già stato sepolto secondo tali norme.
15) Parini, sacerdote di Talia, cioè poeta satirico (Talia era la Musa
della Commedia), che cantando in suo onore, coltivò con costante
amore nella sua povera casa un alloro (pianta sacra ad Apollo, Dio
della Poesia), e le appendeva con corone in segno di devozione.
L'immagine metaforica significa che Parini aveva un culto per la
poesia, che praticava disinteressatamente, con totale dedizione,
anche a prezzo della povertà.
16) La Musa ispirava l'ironia dei canti (l'opera "Il Giorno") con cui
Parini colpiva i nobili lombardi oziosi e corrotti a cui stavano a
cuore solo le proprietà, il muggito dei buoi che dalle stalle del
Lodigiano e del Ticino li rendevano beati, procurando loro ozio e
cibi pregiati.
Sardanapalo era un re assiro, noto per il suo lusso e la sua
corruzione.
"Abduani" da "Abdua", nome latino di Lodi; qui Foscolo riproduce lo
stile di Parini nel "Giorno", l'uso di termini aulici ed immagini
ricercate per esprimere realtà prosaiche, a fini ironici.
17) "Fra questi tigli dove io siedo sospirando la mia patria, non sento
diffondersi nell'aria il profumo di ambrosia, indizio della presenza
divina della Musa."
L'ambrosia era l'unguento degli Dei. Accanto a Parini - che aveva
incontrato in questo boschetto di tigli - sembrava al Poeta di sentire
la Presenza Divina della Poesia; ora non la sente più, perchè Parini è
morto.
18) "Tu (la Musa) venivi e sorridevi a Parini (in segno della tua
benevolenza) sotto quel tiglio che ora, come intristito ("con dimesse
fronde") freme perché non copre il sepolcro del vecchio poeta, a cui
aveva già offerto generosamente, quando era in vita, tranquillità e
ombra."
Ritorna l'immagine del sepolcro confinato dall'ombra degli alberi,
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ma in negativo: Parini non è sepolto sotto il tiglio, perché dall'editto
di Saint-Cloud, erano state adottate leggi che imponevano di
seppellire i morti in cimiteri comuni fuori dalle città, e Parini, morto
nel 1799, era già stato sepolto secondo tali norme.
Forse tu fra plebei tumuli guardi
vagolando, ove dorma il sacro capo
del tuo Parini? A lui non ombre pose
tra le sue mura la città, lasciva
d'evirati cantori allettatrice,
non pietra, non parola; (20) e forse l'ossa
col mozzo capo gl'insanguina il ladro
che lasciò sul patibolo i delitti. (21)
Senti raspar fra le macerie e i bronchi
la derelitta cagna ramingando
su le fosse, e famelica ululando;
e uscir del teschio, ove fuggia la Luna,
l'upupa, e svolazzar su per le croci
sparse per la funerea campagna,
e l'immonda accusar col luttuoso
singulto i rai di che son pie le stelle
alle obbliate sepolture. Indarno
sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade
dalla squallida notte. (23) Ahi! su gli estinti
non sorge fiore, ove non sia d'umane
lodi onorato e d'amoroso pianto.
Una delle parti più sublime del Carme, a mio parere, e che
riecheggia dello stile sepolcrale e oscuro delle Tragedie Foscoliane.
Vediamo meglio i significati:
19) "Forse tu, Musa, vaghi tra le tombe plebee dei cimiteri
suburbani, cercando la tomba del tuo Parini?". Ricordiamo che
precedentemente Foscolo aveva immaginato Parini, mentre
omaggiava la Musa della Commedia, Talia. Spicca la
contrapposizione tra il "capo sacro" del poeta e i tumuli "plebei":
Foscolo vuole dire: "Il corpo dell'uomo insigne e illustre è profanato
dalla mescolanza con i corpi di persone ignobili".
20) "La città corrotta di Parini, Milano, che attira e compensa con
successo i cantanti evirati, e non ha dedicato al poeta Parini
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neppure una tomba, dei cipressi che la ombreggiassero, o
un'epigrafe ("Parola") che lo ricordasse." Nel Settecento i cantanti
lirici evirati da fanciulli, in modo che conservassero la voce bianca
per le parti femminili, erano dei veri e propri divi, che godevano di
enorme successo. Contro questa usanza, Parini si era scagliato
nell'Ode "La Musica".
21) Parini, in obbedienza alle norme vigenti, fu sepolto nel campo
comune del cimitero di Porta Comasina, in cui venivano gettati
anche i cadaveri dei giustiziati. Per rendere questo a livello poetico,
Foscolo immagina che un ladro appena giustiziato sul patibolo,
insanguini le ossa del poeta Parini, con il suo capo mozzato. Foscolo
vuole mettere in evidenza come le norme sulle sepolture violino
tutti i valori più sacri, impedendo che le tombe degli uomini insigni
ed illustri esercitino la loro funzione di esempio, spronando
all'imitazione.
22) "Tra le macerie di tombe in rovina e gli sterpi ("Bronchi") che
crescono fra di esse, si sente raspare la cagna randagia ("derelitta")
che vaga tra le fosse e ulula famelica; e si vede un'upupa uscire da
un teschio, dove si era rifugiata per sfuggire alla luce lunare,
svolazzando tra le croci sparse per il campo del cimitero, e si sente
l'immondo uccello lanciare il suo lugubre verso, con il quale sembra
rimproverare le stelle perché illuminano con il loro raggio pietoso le
sepolture dimenticate."
L'upupa, nella tradizione, era -erroneamente- creduta uccello
notturno e luttuoso.
Tutta questa strofa rimanda al gusti cimiteriale della Poesia Inglese,
Young e Gray, ma anche ai "Canti di Ossian", o lo stesso Parini della
"Notte" e il Monti della "Bassvilliana".
Personalmente, tenterei anche un confronto con alcune delle Poesie
Rinascimentali Italiane che avrò modo di riportare più in là, perché
fascinazioni sepolcrali si ritrovano anche in poeti come Matteo
Bandello, Giovanni Guidiccioni, Giovan Battista Strozzi, Luigi
Tansillo, tutti del 1500 (che in un certo senso, anticipano la Poesia
Cimiteriale Inglese!).
23) Foscolo si rivolge sempre alla Musa Talia: "Invano invochi dalla
notte arida delle rugiade sulla tomba del poeta". La rugiada può
essere vista simbolicamente come un pianto che conforti la
sepoltura.
24) Sui morti non spuntano fiori, se l'estinto non riceve le cure dei
30
vivi che lo onorano con le loro lodi e lacrime, segni del loro amore.
La Pietas verso i morti è dovere della civiltà umana, perché la
Natura (ecco di nuovo il riferimento alla Natura Matrigna, tipico
anche del Leopardi) è impietosa, e prosegue nella sua opera di
decomposizione e di distruzione.
Dal dì che nozze e tribunali ed are
dietro alle umane belve esser pietose
di sé stesse e d'altrui, toglieano i vivi
all'etere maligno e alle fere
i miserandi avanzi che Natura
con veci eterne a sensi altri destina. (25)
Testimonianza a' fasti eran le tombe,
ed are a'figli; e uscian quindi i responsi
de' domestici Lari, e fu temuto
su la polve degli avi il giuramento:(26)
religion che con diversi riti
le virtù patrie e la pietà congiunta
tradussero per lungo ordine d'anni (27).
Non sempre i sassi sepolcrali a' templi
fean pavimento; né agl'incensi avvolto
de' cadaveri il lezzo i supplicanti
contaminò; (28) né le città fur meste
d'effigiati scheletri (29): le madri
balzan ne' sonni esterefatte, e tendono
nude le braccia su l'amato capo
del lor caro lattante onde nol desti
il gemer lungo di persona morta
chiedente la venal prece agli eredi
del santuario. (30)
25) "Da quando le istituzioni della famiglia ("Nozze"),
della Giustizia ("Tribunali") e della religione ("Are" = "Altari")
consentirono agli uomini, che allo stato primitivo erano come belve
feroci, di aver pietà e rispetto di se stessi e dei propri simili, i vivi
sottraevano all'azione distruttrice della Natura (aria e belve feroci) i
miseri resti dei cadaveri, che esposti all'azione della Natura, che con
un ciclo di continua trasformazione della materia ("Veci eterne"),
31
destina ad assumere altre forme."
Il rispetto dei morti è per Foscolo un segno di incivilimento, insieme
alle altre istituzioni fondamentali delle civiltà. è un concetto ripreso
dalla "Scienza nuova" di Vico.
26) "Le tombe erano testimonianza delle glorie del passato ("Fasti")
e altari per i figli (i defunti venivano venerati come Dèi); dalle
tombe venivano i responsi dei defunti, divenuti Lari, divinità
domestiche, e il giuramento pronunciato sulle ceneri degli antenati
era considerato sacro." Foscolo elenca alcuni esempi della funzione
civile delle tombe nelle società del mondo antico.
27)"Le virtù tradizionali, congiunte con la pietà, tramandarono per
una lunga serie di anni questo culto religioso dei morti, in diverse
forme ("Diversi riti")." Intorno al culto dei morti si concentrano tutti
i valori di una civiltà, poichè le tombe serbano il ricordo del passato.
28) "Non sempre i defunti erano sepolti nelle chiese (le lapidi
facevano da pavimento alle chiese), né il puzzo dei cadaveri,
mescolato al profumo dell'incenso contaminò i fedeli che pregavano
(come avveniva nel Medioevo)".
29) Né le città eran rattristate dalle raffigurazioni di scheletri.
Pitture e sculture di scheletri erano diffuse nel Medioevo, le
Totentanz, per ricordare che l'uomo è creatura mortale e deve
distaccarsi dai beni del mondo.
30) Foscolo esamina gli effetti psicologici della presenza ossessiva
della morte nella civiltà cristiana del Medioevo: "Le madri balzano
32
terrorizzate dal sonno e protendono le braccia nude a proteggere il
figlio lattante, affinchè non lo destino i lunghi gemiti di un defunto
che chiede agli eredi di far celebrare a pagamento delle messe a
suffragio della sua anima."
L'aggettivo "Venal" traduce l'atteggiamento sprezzante di Foscolo
contro i preti che si fanno pagare per recitare preghiere per i
defunti. L'allusione agli "eredi" viene interpretata a questo modo: il
familiare ha lasciato un'eredità, ma esige in cambio, con quel
denaro, delle messe, e terrorizza gli eredi per averle.
Ma cipressi e cedri
di puri effluvi i zefiri impregnando
perenne verde protendean su l'urne
per memoria perenne, e preziosi
vasi accogliean le lacrime votive. (31)
Rapian gli amici una favilla al Sole
a illuminar le sotterranea notte,
perchè gli occhi dell'uom cercan morendo
il Sole; e tutti l'ultimo sospiro
mandano i petti alla fuggente luce (32).
Le fontane versando acque lustrali, (33)
amaranti educavano (34) e viole
su la funebre zolla; e chi sedea
a libar latte e a raccontar sue pene
ai cari estinti, una fragranza intorno
sentìa qual d'aura de' beati Elisi. (35)
Pietosa insania, che fa cari gli orti
de' suburbani avelli alle britanne
vergini dove le conduce amore
della perduta madre, ove clementi
pregaro i Geni del ritorno al prode
che tronca fe' la trionfata nave
del maggior pino, e si scavò la bara. (36)
Ma ove dorme il furor d'inclite geste
e sien ministri al vivere civile
l'opulenza e il tremore, inutil pompa
e inaugurate immagini dell'Orco
sorgon cippi e marmorei monumenti. (37)
33
31) Alle costumanze cristiane del Medioevo, che ritiene barbariche,
Foscolo contrappone come più civil quelle pagane dell'età classica:
"Cipressi e cedri, impregnando l'aria primaverile ("zefiri") di puri
profumi (in contrapposizione con il lezzo dei cadaveri nella chiese)
protendevano sulle tombe i loro rami dal verde perenne, simbolo
del perenne ricordo, e preziosi vasi raccoglievano le lacrime votive"
(si credeva che i vasi lacrimali trovati nelle tombe pagane servissero
a raccogliere le lacrime versate dai famigliari; in realtà contenevano
profumi).
32) "Gli amici sottraevano una favilla al Sole per illuminare l'oscurità
delle tombe (era uso degli antichi porre nelle tombe sotterranee
delle lampade votive, simbolo di vita) perché l'uomo morendo cerca
la luce, e tutti mandano un sospiro di rimpianto alla luce che li
abbandona." Per Foscolo l'idea della morte nel mondo classico è
collegata con la luce: la vita ("Armonia del giorno") vince sulla
morte.
33) Lustrali = Purificatrici
34) Educavano = facevano crescere
35)"Chi sedeva presso il sepolcro a spargervi latte (secondo l'uso
rituale antico) o a raccontare le sue pene ai suoi cari defunti, sentiva
intorno un profumo (di fiori, di unguenti) come se si trovasse nei
Campi Elisi, dove stanno i beati". Torna il motivo della
"corrispondenza d'amorosi sensi" tra i vivi e i morti. La sepoltura
pagana, nella sua cornice serena e luminosa, associa alla morte l'idea
di un rapporto affettuoso con i vivi e l'idea della pace e della felicità;
mentre la sepoltura cristiana evoca l'idea paurosa di atroci
sofferenze ("Gemer lungo").
36) Questa sensazione di trovarsi insieme con il caro defunto, grazie
alla cornice serena e ridente della sepoltura, è una follia, un'illusione
("Insania") che nasce dall'amore e dalla pietà per essi; una analoga
illusione rende cari alle fanciulle inglesi i giardini dei cimiteri
suburbani, dove le spinge l'amore per la madre perduta, ma dove
pregano anche i Geni protettori della patria affinché concedano
clementi il ritorno all'eroe nazionale, l'ammiraglio Nelson,
impegnato nella guerra contro Napoleone. Nelson aveva fatto
tagliare l'albero maestro ("Maggior pino") alla nave ammiraglia
francese ("La trionfata nave" = "la nave vinta") dopo la battaglia di
Abikir (1798) e se ne era fatta una bara.
37) Ma in quei paesi (come l'Italia) in cui è spento l'ardore di gesta
34
eroiche ("Inclite = illustri") e la vita civile è dominata solo dalla
smania di arricchirsi ("Opulenza") e dalla paura servile dinnanzi al
potere ("Tremore"), colonne funebri ("Cippi") e tombe di marmo
sono solo inutile sfoggio ("Pompa") e malaugurate immagini di
morte ("Inaugurate": "in" è prefisso negativo; "Orco" è l'aldilà
pagano); vale a dire che le tombe non sono esempi di virtù civile e
stimolo all'azione.
Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,
decoro e mente al bello italo regno,
nelle adulate reggie ha sepoltura
già vivo, e i stemmi unica laude (38). A noi
morte apparecchi riposato albergo,
ove una volta la fortuna cessi
dalle vendette, e l'amistà raccolga
non di tesori eredità, ma caldi
sensi e di liberal carme l'esempio. (39)
38) "I ceti dirigenti del Regno d'Italia sono già sepolti, pur essendo
ancora vivi, nelle regge dove costantemente si piegano ad adulare i
dominatori, e come unico motivo d'onore ("Laude") hanno i titoli
nobiliari (ereditati da antica data, o concessi di recente da
Napoleone)." Gli intellettuali, i ricchi commercianti e i nobili ("Il
dotto, e il ricco ed il patrizio vulgo") erano i tre collegi elettorali del
Regno Italico. Sono definiti spregiativamente "vulgo" perchè per
Foscolo non hanno la dignità di una vera classe dirigente. Così è
sarcastica la definizione di "Decoro e mente" ("Onore e
intelligenza") come l'epiteto "Bello" attribuito al regno napoleonico
d'Italia.
39) Alla viltà servile dei suoi compatrioti Foscolo contrappone la
propria figura di uomo libero. Il passaggio logico rispetto a ciò che
precede è: i ceti dirigenti italiani sono già morti quando sono ancora
vivi; "per me invece la morte prepari un rifugio di pace ("Riposato
albergo"), dove finalmente la sorte cessi di perseguitarmi, e gli amici
("Amistà" = "Amicizia")raccolgano come mia eredità non ricchezze,
ma appassionati sentimenti e l'esempio di una poesia che conservi il
senso della libertà e della dignità umana." Per il motivo della morte
come rifugio di pace, si leggano i Sonetti di Foscolo "Alla sera" e "In
morte del fratello Giovanni". Se le tombe dei suoi compatrioti sono
35
inutili, dalla sua tomba deve scaturire un esempio civile:
l'affermazione offre al poeta lo spunto per passare a trattare, nei
versi successivi, della funzione di esempio che possiedono le tombe
dei grandi uomini.
A egregie cose il forte animo accendono
l'urne de' forti, O Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta.(40) Io quanto il monumento
vidi (41) ove posa il corpo di quel grande,
che temprando lo scettro a' regnatori,
gli allor ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue (42);
e l'arca di colui che nuovo Olimpo
alzò in Roma a' Celesti (43); e di chi vide
sotto l'etereo padiglion rotarsi
più mondi, e il Sole irradiarli immoto,
onde all'Anglo che tanta ala vi stese
sgombrò primo le vie del firmamento (44);
40) Le tombe dei grandi uomini infiammano gli animi nobili a
compiere grandi azioni e rendono bella e sacra allo straniero la terra
che le accoglie. Come esempio di questa massima, propone subito le
tombe di Santa Croce a Firenze.
41) Comincia di qui un ampio inno a Firenze. "Io, quando vidi le
tombe di Santa Croce gridai: Beata te, Firenze, sia per la bellezza del
tuo paesaggio, sia per le tue glorie letterarie, ma soprattutto perché
accogli in quel tempio le glorie italiane, le uniche rimaste da quando
cominciò il declino politico dell'Italia e la dominazione straniera."
42) "Quando vidi la tomba dove riposa Machiavelli, quel grande che,
insegnando (nel "Principe") ai regnanti l'arte di governare
("Temprando lo scettro"), ne toglie gli allori (cioè priva il potere
regale delle apparenze di gloria che lo circondano) e rivela ai popoli
come il potere si fondi sulle sofferenze imposte ai sudditi
("Lagrime")e sui delitti ("Sangue"). Foscolo riprende qui
l'interpretazione Obliqua" del "Principe", già comparsa nel Sei e
Settecento, secondo cui Machiavelli, con il pretesto di dar consigli ai
principi, avrebbe avuto l'intenzione di svelarne la crudeltà.
43) è sempre retto da "Vidi": "Ed il sepolcro di Michelangelo che
36
innalzò a Roma la cupola di San Pietro" (per la sua mole immensa
paragonata al Monte Olimpo, sede degli dèi greci). Si osservi il
classicismo laico di Foscolo, che designa in termini pagani il
massimo tempio della cristianità.
44) La tomba di Galileo, che mediante il telescopio vide più pianeti
ruotare nella volta celeste ("Etereo padiglion") e il sole illuminarli
immobile, aprendo così per primo le vie della ricerca astronomica
all'inglese Newton, proseguendo sulla strada da lui tracciata,
formulò le leggi della gravitazione universale.
Te beata, gridai (45), per le felici
aure pregne di vita, e pe' lavacri
che da' suoi gioghi a te versa Apennino! (46)
Lieta dell'aer tuo (47) veste (48) la Luna
di luce limpidissima i tuoi colli
per vendemmia festanti, e le convalli
popolate di case e d'oliveti
mille di fiori al ciel mandano incensi (49):
e tu prima, Firenze, udivi il carme
che allegrò l'ira al Ghibellin fuggiasco (50),
e tu i cari parenti e l'idioma
desti a quel dolce di Calliope labbro (51)
che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma
d'un velo candidissimo adornando,
rendea nel grembo a Venere Celeste.(52)
Ma più beata ché in un tempio accolte
serbi l'itale glorie (53), uniche forse
sa che le mal vietate Alpi e l'alterna
onnipotenza delle umane sorti
armi e sostanze t'invadeano ed are
e patria e, tranne la memoria, tutto.(54)
45) "Gridai" è il verbo principale.
46) "Gridai felice te, Firenze, per la tua aria salubre e vivificatrice, e
per le acque pure dei fiumi e dei ruscelli ("Lavacri") che l'Appennino
versa a te dai suoi gioghi!"
47) "Lieta del tuo cielo terso"
48) "Veste" = "Riveste"
49) "Mandano al cielo mille profumi di fiori"
37
50) Dopo le bellezze naturali, il Poeta torna a cantare le glorie
culturali di Firenze: "Tu per prima udisti il poema che alleviò lo
sdegno di Dante esule". Foscolo accoglie la tradizione secondo cui
Dante è definito "Ghibellin" perché sostenne l'indipendenza
dell'imperatore dal papa e fu fautore della restaurazione del potere
imperiale in Italia; in realtà nella sua attività politica in Firenze,
Dante fu vicino ai Guelfi bianchi. Foscolo immagina che nella poesia
Dante abbia trovato sollievo all'amarezza dell'esilio e allo sdegno
per la corruzione della sua città e dell'Italia.
51) "Tu, Firenze, desti i genitori e la lingua a Petrarca, attraverso la
cui bocca sembrava parlare la dolce voce della musa Calliope".
Petrarca nacque nel 1304 ad Arezzo da genitori fiorentini ed usò la
lingua fiorentina per il suo "Canzoniere". Calliope è propriamente la
musa dell'Epica, ma qui sta ad indicare la poesia in genere.
52) Petrarca nella sua poesia spiritualizzò l'amore, che nella poesia
classica era sensuale ("Nudo"); in tal modo la restituì a Venere
celeste, Dea degli amore casti e spirituali, ed una Venere terrestre,
Dea degli amori sensuali.
53) Ma soprattutto Firenze è beata, perché conserva in una chiesa
(Santa Croce) le glorie italiane (le tombe dei grandi sopra
menzionate)
54) Tali glorie del passato sono forse le uniche rimaste all'Italia da
quando i confini delle Alpi mal difesi e la legge ineluttabile delle
sorti umane (che ora innalza i prodi ora li fa decadere) hanno fatto
sì che gli stranieri la spogliassero delle armi, della ricchezza, della
sua religione ("Are") della libertà nazionale, ("Patria") e, tranne le
memorie del passato, di tutto.
Che ove speme di gloria agli animosi
intelletti rifulga ed all'Italia,
quindi trarrem gli auspici (55). E a questi marmi (56)
venne spesso Vittorio (57) ad ispirarsi.
Irato a' patrii Numi, errava muto
ove Arno è più deserto, i campi e il cielo
desioso mirando; e poi che nullo
vivente aspetto gli molcea la cura
qui posava l'austero; e avea sul volto
il pallor della morte e la speranza.(58)
Con questi grandi abita eterno (59), e l'ossa
38
fremono amor di patria (60). Ah sì! da quella
religiosa pace un Nume parla:
e nutrìa contro a'Persi in Maratona
ove Atene sacrò tombe a' suoi prodi,
la virtù greca e l'ira (61). Il navigante
che veleggiò quel mar sotto l'Eubèa (62),
vedea per l'ampia oscurità scintille
balenar d'elmi e di cozzanti brandi,
fumar le pire igneo vapor (63), corrusche
d'armi ferree vedea larve guerriere
cercar la pugna (64); e all'orror de' notturni
silenzi si spandea lungo ne' campi
di falangi un tumulto e un suon di tube (65),
e un incalzar di cavalli accorrenti
scalpitanti su gli elmi a'moribondi,
e pianto, ed inni, e delle Parche il canto. (66)
Felice te che il regno empio de' venti,
Ippolito, a' tuoi verdi anni correvi! (67)
55) "Se un giorno tornerà a risplendere una speranza di gloria per gli
animi generosi e per l'Italia, di qui verremo a trarre ispirazione ad
agire". La speranza di gloria allude alla lotta per la rinascita
dell'Italia. Foscolo riprende qui la massima generale enunciata
all'inizio di questa sezione: "A egregie cose il forte animo
accendono/l'urne de' forti" conferendole un preciso valore politico
in riferimento ad una situazione particolare.
56) Alle tombe di Santa Croce.
57) Il Poeta Alfieri. L'uso del nome proprio sottolinea come in
Alfieri, Foscolo veda un'anima fraterna, con i suoi stessi sentimenti.
58) "Irato contro gli dèi protettori della patria, (perché sono
indifferenti dinnanzi alla sua degradazione), errava in silenzio nei
luoghi più deserti in riva all'Arno guardando i campi e il cielo,
desideroso di trovarvi un conforto alle proprie delusioni politiche; e
poiché nessun aspetto del mondo dei vivi alleviava la sua pena ("Gli
molcea la cura"), quell'uomo austero veniva a fermarsi tra le tombe
dei morti a Santa Croce, ed aveva sul volto il pallore della morte
vicina e la speranza di una rinascita futura dell'Italia." La speranza di
Alfieri è suscitata dalla vista delle tombe dei grandi uomini.
59) Anche Alfieri è sepolto in Santa Croce.
39
60) Dalle ossa di Alfieri sembra ancor provenire il fremito di amor di
patria che lo animava in vita.
61) Con trapasso improvviso, Foscolo collega le tombe di Santa
Croce alle tombe di Maratona: "Dalla pace di Santa Croce spira un
senso religioso di amor di patria; questo stesso spirito alimentò il
valore e l'ira dei Greci contro i Persiani a Maratona, dove Atene
consacrò le tombe dei suoi guerrieri". Nella battaglia di Maratona
(490 a.C) i Greci fermarono i Persiani che avevano invaso la Grecia.
La religione che spira dalla chiesa di Santa Croce per Foscolo non è
lo spirito religioso cristiano, ma la religione dell'amor di patria: è
una delle numerose manifestazioni di spirito fortemente laico
presenti nel Carme.
62) A partire da questo punto, viene rievocata la battaglia di
Maratona. Lo spunto è preso dallo scrittore greco Pausania, che
afferma che i naviganti, passando di notte lungo l'isola di Eubea
(che è di fronte alla pianura di Maratona) vedevano ombre di
guerrieri rinnovare la battaglia. Questo scontro notturno di
fantasmi però risponde a un gusto lugubre, ossianesco e
preromantico.
63) I roghi dei cadaveri ("Pire") emanano fumo misto a bagliori di
fiamme ("Igneo vapor")
64) Vedeva fantasmi ("Larve") di guerrieri luccicanti ("Corrusche")
d'armi ferree cercare la battaglia.
65) Tube = Trombe (Latinismo)
66) "Il pianto dei vinti e gli inni dei vincitori." Le Parche erano le
Dee che filavano il filo della vita umana; col loro canto vaticinavano
le sorti degli uomini nascenti e dei morenti.
67) Come i luoghi della battaglia di Maratona serbano ancora la
memoria degli antichi fatti gloriosi, così la serbano i luoghi dell'Asia
minore dove si svolse la guerra di Troia. Per questo Pindemonte è
stato fortunato per aver potuto visitare quei luoghi nei suoi viaggi
giovanili e per aver sentito riecheggiare in essi le imprese degli eroi
omerici. "Il regno ampio de' venti" è il mare (immagine omerica).
E se il piloto ti drizzò l'antenna
oltre l'isole egèe, d'antichi fatti
certo udisti suonar dell'Ellesponto
i liti (68), e la marea mugghiar portando
alle prode retèe l'armi d'Achille
40
sovra l'osse d'Aiace (69): a' generosi
giusta di glorie dispensiera è morte; (70)
né senno astuto, né favor di regi
all'Itaco le spoglie ardue serbava,
ché alla poppa raminga le ritolse
l'onda incitata dagl'inferni Dei. (71)
68) "E se il timoniere indirizzò la nave ("Antenna" è l'albero che
regge le vele) oltre alle isole Egee, certo udisti le rive dell'Ellesponto
(lo stretto dei Dardanelli, presso cui sorgeva Troia) risuonar delle
antiche gesta."
69) "A Pindemonte, immagina il poeta, sembra ancor di sentire
muggire la marea che riportò le armi di Achille sulle ossa d'Aiace,
giacenti sul promontorio Reteo, vicino a Troia." Alla morte di
Achille le sue armi sarebbero dovute toccare al più forte dopo di lui,
Aiace; ma Ulisse, con astuti raggiri, riuscì a farle assegnare
ingiustamente a sé. Aiace, per il dolore, impazzì e tornato in sé si
uccise. Ma mentre Ulisse tornava in patria, una tempesta lo fece
naufragare, riportando le armi sul sepolcro di Aiace.
70) "La morte distribuisce equamente la gloria agli animi generosi".
La tomba, conservando il ricordo dell'uomo garantisce il
riconoscimento dei meriti ed il trionfo della giustizia, anche se la
grandezza era stata misconosciuta in vita. Infatti Aiace col suo
suicidio, ottenne il giusto riconoscimento del proprio valore, sia
pure nella memoria dei posteri.
71) "Né l'astuzia (con cui si era fatto assegnare le armi) né il favore
dei re (Agamennone e Menelao) consentirono ad Ulisse ("all'Itaco")
di conservare le spoglie di Achille, difficili da ottenere ("Ardue"
perché per ottenerle occorreva essere guerrieri valorosi), poichè il
mare, sconvolto dagli dèi infernali, le tolse alla nave di Ulisse che
vagava durante il ritorno in patria ("Raminga").
E me che i tempi ed il desio d'onore
fan per diversa gente ir fuggitivo,
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
del mortale pensiero animatrici (72).
Siedon custodi de' sepolcri e quando
il tempo con sue fredde ale vi spazza
41
fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
di lor canto i deserti, e l'armonia
vince di mille secoli il silenzio.(73)
Ed oggi nella Tròade inseminata (74)
eterno splende a' peregrini (75) un loco
eterno per la Ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dàardano figlio
onde fur troia e Assàraco e i cinquanta
talami e il regno della Giulia gente. (76)
Però che quando Elettra udì la Parca
che lei dalle vitali aure del giorno
chiamava a' cori dell'Eliso, a Giove
mandò il voto supremo (77): E se, diceva,
a te fur care le mie chiome e il viso
e le dolci vigilie (78), e non mi assente
premio miglior la volontà de' fati (79),
la morta amica almen guarda dal cielo
onde (80) d'Elettra tua resti la fama.
Così orando (81) moriva. E ne gemea
l'Olimpio (82); e l'immortal capo accennando (83)
piovea dai crini (84) ambrosia (85) su la Ninfa,
e fe' sacro quel corpo e la sua tomba.
72) "Le Muse, animatrici della vita spirituale degli uomini, chiamino
me a celebrare gli antichi eroi, me che i tempi, sfavorevoli agli animi
generosi e amanti della libertà, ed il desiderio di gloria fanno vagare
esule tra diversi popoli."
Gli eroi antichi, come Aiace, hanno ricevuto la giusta gloria dopo la
morte grazie al canto dei poeti; anch'io -pensa Foscolo- desidero
essere chiamato dalle Muse a cantare gli eroi. Il poeta intende
continuare l'opera dei poeti del passato, come Omero. Il compito di
celebrare l'eroismo, per Foscolo, deve toccare a un poeta come lui
che rifiuta la viltà dominante nella cultura della sua epoca ed è
animato da spirito eroico, e paga per questo il prezzo dell'esilio.
73) "Quando il tempo distrugge le tombe e ne cancella persino le
rovine, la poesia eredita la loro funzione di conservare la memoria e
ridà vita al deserto col suo canto che vince la dimenticanza per mille
secoli." Le Muse sono dette "Pimplèe" dal monte Pimpla in
Tessaglia, dove era una fonte ad essa sacra. Le ali del tempo sono
42
"fredde" perché suscitano un vento freddo: il tempo distrugge la
vita. I "Deserti" sono metafora dell'abbandono e della dimenticanza
in cui cadono le cose quando il tempo cancella le tracce della vita di
un popolo e della sua civiltà. "Lieti" vale "Fertili, ricchi di
vegetazione" secondo l'uso latino ("Pabula Laeta" = "Pascoli
rigogliosi" in Lucrezio).
74) La regione di Troia, oggi divenuta un deserto. La Poesia
subentra alle tombe nel compito di salvare le memorie del passato.
Dove un tempo sorgeva Troia, ora è il deserto. Ma quel luogo resterà
famoso in eterno, perchè cantato da Omero.
75) Visitatori stranieri.
76) La Troade è divenuta eterna grazia alla ninfa Elettra, che diede a
Giove un figlio, Dardano, da cui ebbe origine la stirpe troiana.
Assaraco (padre di Anchise, a sua volta padre di Enea), i cinquanta
figli di Priamo,("Talamo" è il letto matrimoniale) e L'Impero
Romano (fondato da Cesare, dalla gente Giulia, che si vantava di
discendere da Iulo, figlio di Enea).
77) "Perché quando Elettra sentì la Parca che la chiamava dall'aria e
dalla luce del mondo dei vivi ("Vitali aure del giorno") ai cori dei
beati nei Campi Elisi, innalzò a Giove un'ultima preghiera."
La Parca è Atropo, che tronca il filo della vita.
78) Le dolci notti d'amore.
79) "E la volontà del fato non mi consente sorte migliore" cioè
l'immortalità.
80) "Onde" = "Affinchè"
81) Pregando
82) Giove, Re dell'Olimpo.
83) Annuendo.
84) Capelli
85) L'ambrosia era l'unguento degli di che preservava i corpi dalla
corruzione.Con questo Giove consacra il corpo e la tomba di Elettra,
rendendone eterna la memoria, come la ninfa aveva chiesto.
86)"Fe'" = "Fece"
Ivi posò Erittonio (87), e dorme il giusto
cenere d'Ilo (88); ivi l'iliache donne
sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando
da' lor mariti l'imminente fato (89);
ivi Cassandra (90), allor che il Nume in petto
43
le fea parlar di Troia il dì mortale,
venne, e all'ombre cantò carme amoroso,
e guidava i nepoti, e l'amoroso
apprendeva lamento ai giovinetti (91).
E dicea sospirando: Oh, se mai d'Argo,
ove al Tidide e di Laerte al figlio
pascerete i cavalli, a voi permetta
ritorno il cielo, invan la patria vostra
cercherete (92)! Le mura opra di Febo
sotto le lor reliquie fumeranno (93).
Ma i Penati di Troia avranno stanza
in queste tombe (94); ché de' Numi è dono
serbar nelle miserie altero nome (95).
87) Riposò, fu sepolto, Erittonio, figlio di Dardano.
88) Ilo, il figlio di Erittonio; sono i progenitori della stirpe troiana.
89) Sulla tomba di Elettra, in cui riposano anche i suoi discendenti,
venivano le donne troiane, ("Iliache") a piangere e a pregare per
allontanare dai loro mariti la morte che incombeva su di essi; ma
invano, perché ben presto Troia sarebbe caduta.
90) Cassandra è figlia di Priamo. Aveva respinto l'amore di Apollo
che la punì dandole la facoltà profetica, ma con la condanna di non
essere mai creduta.
91) "Cassandra, quando la forza profetica del Dio Apollo le faceva
predire la caduta di Troia, venne alle tombe dei progenitori e cantò
alle ombre dei sepolti un inno colmo di pietà e affetto ("Carme
amoroso") e vi conduceva una schiera di nipoti, insegnando il mesto
inno pietoso ai giovinetti".
Cassandra vuole educare i giovinetti, costretti a breve alla schiavitù,
alla memoria della loro civiltà.
92) "Se mai il cielo vi consentirà di tornare a Troia dalla Grecia dove
come schiavi porterete al pascolo i cavalli di Diomede (figlio di
Tideo) e di Ulisse figlio di Laerte, cercherete invano la vostra patria".
Era uso nel mondo antico rendere schiavi i vinti.
93) "Le mura di Troia, costruite da Apollo, fumeranno ancora sotto
le loro rovine"
94) "Anche se la città sarà distrutta, resteranno ("Avranno stanza")
qui nelle loro tombe gli antichi progenitori ("Penati")".
95) "è privilegio degli Dèi conservare il loro onore ("Altero nome")
44
anche nelle sventure"
E voi, palme e cipressi che le nuore
piantan di Priamo, e crescerete ahi presto!
di vedovili lagrime innaffiati (96),
proteggete (97) i miei padri: e chi la scure
asterrà pio dalle devote frondi
men si dorrà di consanguinei lutti
e santamente toccherà l'altare (98).
Proteggete i miei padri. Un dì vedrete
mendico un cieco (99) errar sotto le vostre
antichissime ombre (100), e brancolando
penetrar negli avelli (101), e abbracciar l'urne (102),
e interrogarle. Gemeranno gli antri
secreti (103), e tutto narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
splendidamente su le mute vie
per far più bello l'ultimo trofeo
ai fatati Pelidi (104). Il sacro vate (105),
placando quelle afflitte alme col canto,
i prenci argivi eternerà per quante
abbraccia terre il gran padre Oceàno (106).
E tu onore di pianti, Ettore, avrai
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finchè il Sole
risplenderà su le sciagure umane (107).
Ho desunto questo modo di poesia de' Greci i quali dalle antiche
tradizioni traevano sentenze morali e politiche, presentandole non
al sillogismo de' lettori, ma alla fantasia ed al cuore. Lasciando
agl'intendenti di giudicare sulla ragione poetica e morale di questo
tentativo, scriverò le seguenti note onde rischiarare le allusioni alle
cose contemporanee, ed indicare da quali fonti ho ricavato le
tradizioni antiche.
96) "E voi, palme e cipressi che le nuore di Priamo piantano, e
crescerete presto bagnati dalla lacrime delle vedove".
97) Torna il motivo delle ombre degli alberi che proteggono le
45
tombe e delle lacrime che le bagnano.
98) "Chi fra i Greci vincitori si asterrà pietosamente dall'abbattere
questi alberi sacri sarà risparmiato dai lutti domestici e potrà
accostarsi agli altari degli Dèi" non essendo contaminato da un
sacrilegio; mentre chi non rispetterà le piante sacre sarà punito dagli
dèi e sarà considerato impuro.
99)è il poeta Omero, che secondo la tradizione, era cieco. Foscolo
immagina che il poeta vada ad interrogare le tombe dei progenitori
di Troia per trarre ispirazione al suo canto. Il motivo del poeta che si
ispira alle ombre dei defunti deriva dai poemi di Ossian: col
classicismo grecizzante, si fondono spunti preromantici.
100) Omero verrà in quei luoghi dopo lungo tempo, quando gli
alberi saranno ormai antichi. Ciò sottolinea come le tombe
preservino le memorie del passato dal trascorrere del tempo.
101) Sepolcri.
102) I vasi contenenti le ceneri dei progenitori.
103) "Le cavità più interne dei sepolcri (si tratta di tombe
sotterranee) risuoneranno del lamento dei Penati per le sventure
delle loro città."
104) "Le ombre dei padri narreranno la storia di Troia, rasa al suolo
due volte (da Ercole e dalle Amazzoni), e risorta due volte più
splendida delle rovine deserte, ma solo per rendere più bella la
vittoria dei Greci, che per volontà del Fato la distruggeranno
definitivamente." I Pelidi erano Achille, figlio di Peleo, e suo figlio
Pirro.
105) Il Sacro Vate è Omero. Per Foscolo la funzione del Poeta è
sacra. Anche Parini era definito "sacerdote" della Musa.
106) Omero cantando la guerra di Troia "placherà il dolore delle
ombre dei padri, che sono afflitte per la rovina della loro città - la
poesia ha la funzione di consolare il dolore - e al tempo stesso
renderà eterna la fama dei principi greci ("Argivi") per tutte le terre
circondate dall'Oceano, il grande fiume che secondo la mitologia
greca circondava la terra - la poesia ha la funzione di eternare la
gloria -"
107) "Anche tu sarai onorato e pianto, Ettore, in tutti i luoghi in cui
il sangue versato per la patria sia sacro e compianto, e per tutti i
tempi, finchè gli uomini, soffrendo, sapranno compiangere le
sofferenze degli altri uomini." Il poeta eternerà non solo la gloria dei
vincitori, ma anche quella degli sconfitti: funzione della poesia è
46
anche ispirare la pietà per le sofferenze.
Altro commento, tratto da
47
Originariamente pensato come epistola in versi all'amico Ippolito
Pindemonte
48
e subito trasformato in un carme eroico, questo poemetto fu
composto nel 1806 ed è uno dei primi esempi di "letteratura
patriottica di sfondo storico".
Il motivo occasionale del carme fu l'editto di Saint-Cloud del 1804
sulla regolamentazione delle sepolture a cui si aggiunge un
colloquio col Pindemonte che in quei giorni stava pensando a un
poemetto sui Cimiteri, le radici vere e sentimentali dei Sepolcri
vanno ricercate in una esperienza umana e poetica ben più
profonda: la poesia sepolcrale, diffusa nella letteratura preromantica
verso la fine del '700.
La lunga meditazione sul significato della morte condotta dal poeta
negli anni precedenti, come rivelano l'Ortis e i sonetti, la combattiva
amarezza che lo stato politico dell'Italia napoleonica suscitava nel
cuore del Foscolo (oltre che la Bellezza di Lunaria, che Foscolo
contemplava di continuo)
Al centro del carme sta il mito del sepolcro.
Il sepolcro è l'unico elemento concreto, visibile che racchiude in sé
49
la possibilità di saldare il silenzio della morte alle vicende della vita.
Attorno al mito del sepolcro ruotano e s'intrecciano i motivi più
autentici della poesia moderna: la bellezza dell'universo e della vita,
la fatalità della morte, la grandiosità del perenne fluire delle forme
d'esistenza e l'immortalità degli uomini magnanimi dei quali vince
"la forza operosa" che tutto travolge e distrugge.
Il culto delle tombe esprime la continuità delle generazioni e delle
stirpi, è il simbolo vivente di quell'immortalità che gli uomini sono
andati raffigurandosi nelle mitologie e credenze religiose di tutti i
tempi.
Le tombe sono inutili ai morti: per chi lascia il regno della vita non è
data alcuna speranza.
L'oltretomba, per il razionalista Foscolo, è soltanto silenzio e nulla
eterno.
Ma ai viventi il culto delle tombe giova, in quanto desta in loro quei
sentimenti e quelle passioni di virtù e di valore che gli uomini
illustri lasciano in eredità.
La tomba si trasfigura così in un simbolico luogo dove l'uomo
perpetua se stesso, tramanda la propria memoria e dove le umane
vicende trovano un profondo significato di civiltà e storia che
altrimenti andrebbe smarrito.
Perciò è necessario che gli italiani (che ora sono impegnati a fare
cose da normaloidi. Nota di Lunaria) tornino a venerare le tombe
dei loro grandi concittadini (Machiavelli, Michelangelo, Galileo,
Alfieri) e a ispirare le loro azioni a tanto elevati esempi di grandezza
(la percentuale di persone intelligenti nell'"italia" del 2024 si aggira
su un misero 1%, se va già bene... nota di Lunaria)
A celebrare il culto dei sepolcri, anche quando essi sono stati
distrutti, è chiamata la poesia (e specialmente, le ricerche di
Lunaria) la cui voce "vince di mille secoli il silenzio" (e come
sottofondo, ci mettiamo "Dusk and Her Embrace" dei Cradle of Filth
50
e qualsiasi cd degli Abysmal Grief)
*
Era consuetudine antica seppellire i morti nelle chiese o nelle
51
adiacenze. Con l'editto napoleonico di St.Cloud (1804) per motivi
d'igiene, si interrompe la tradizione, ordinando che tutte le
sepolture avvengano in località extraurbane. Foscolo ascolta la
notizia durante una conversazione da salotto e in un primo tempo,
rimane del tutto indifferente, poi ci ripensa.
"A egregie cose il forte animo accendono l'urne dei forti" e nascono i
"Sepolcri"
"Dal dì che nozze e tribunali ed are
diero alle umane belve esser pietose
di se stesse e d'altrui, toglieano i vivi
all'etere maligno ed alle fere
i miserandi avanzi che Natura
con veci eterne a sensi altri destina.
Testimonianza a' fasti eran le tombe,
ed are a' figli; e uscian quindi i responsi
de' domestici Lari e fu temuto
su la polve degli avi il giuramento:
religion che con diversi riti
le virtù patrie e la pietà congiunta
tradussero per lungo ordine d'anni"
è racchiusa in questi versi tutta la concezione civile di Ugo Foscolo.
Civiltà è togliersi dalla condizione di belve, dandosi costumi, leggi,
religione ("nozze, tribunali ed are"); civiltà è liberarsi dal
meccanismo fatale della Natura che con "veci eterne", cioè secondo
immutabili leggi, distrugge e ricrea continuamente per i suoi fini
quelle povere cose che noi siamo; civiltà è culto del passato, senso
dell'onore e fedeltà agli ideali che gli avi ci hanno tramandato. è la
sua "religione" ed egli la chiama appunto con questa parola;
comunque si manifesti ("con diversi riti") questa religione civile
basata sulle "virtù patrie" (cioè l'amore della propria terra) e sulla
"pietà congiunta" (il vincolo di affetto che ci lega a coloro che
furono del nostro sangue) è da sempre ("lungo ordine d'anni") il
fondamento di ogni società degna di questo nome.
Nel rievocare le varie usanze seguite nei secoli per onorare i defunti,
il poeta traccia quindi un fosco quadro della superstizione
medioevale: un pezzo un po' di maniera, uno dei pochi momenti
meno felici del carme.
52
Ma di colpo, tornando a celebrare la bellezza e la serenità dei riti
funebri classici, quando i parenti ponevano sulla tomba una torcia
ardente, si risolleva a un livello altissimo di poesia. Con una
impennata superba, scaturisce dal verso un'altra meravigliosa
immagine, un grido sublime alla bellezza della vita, questa
tormentata avventura che dura un istante, così terribilmente breve:
"Rapian gli amici una favilla al Sole
a illuminar la sotterranea notte,
perché gli occhi dell'uomo cercan
morendo
il Sole; e tutti l'ultimo sospiro
mandano i petti alla fuggente luce"
Gli ultimi tre versi sono di una drammaticità e intensità senza
uguali. Nessuno, forse, ha mai saputo esprimere con tanta dolente
pietà il momento supremo della morte, l'ultimo anelito alla luce del
mondo prima della Notte senza fine.
A egregie cose il forte animo
accendono
l'urne de' forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta…
La parte centrale dei "Sepolcri" inizia con questi versi, che sono i più
noti, forse, di tutto il carne. Non per la loro bellezza: non hanno,
infatti, l'accesa passione e la splendida musicalità di altri passi, ma
un tono di nobile e alta sentenza, perché riassumono perfettamente
il concetto fondamentale dell'opera, partendo dal quale Foscolo
espone gli altri temi più universali. A enunciare il concetto, però,
bastano al poeta poco più di tre versi.
Subito dopo egli sente il bisogno di farlo "vivere" e rievoca per
questo una sua commossa esperienza. Nella chiesa di Santa Croce, a
Firenze, il poeta si era recato a visitare le tombe dei grandi italiani
che vi erano sepolti e accanto ai quali poi, anch'egli avrebbe avuto il
suo monumento.
Erano i primi anni del secolo: l'Italia, percorsa in ogni regione da
eserciti stranieri, era divisa e dominata; e Firenze, che custodiva
53
quelle "urne de' forti" parve al poeta come il solo luogo in cui
restasse ancora un segno dell'antica gloria d'Italia.
Davanti ai sepolcri di Michelangelo, di Galileo, di Machiavelli,
nell'atmosfera in cui vissero Dante e Petrarca, un canto di omaggio e
di speranza sgorgò dal suo cuore, e chiamò "beata", benedetta, la
città che serbava quelle memorie.
"... beata ché in un tempio accolte
Serbi l'Itale glorie, uniche forse
d che le mal vietate Alpi e l'alterna
Onnipotenza delle umane sorti
Armi e sostanze t'invadeano ed are
e patria e, tranne la memoria, tutto."
è un altro dei "crescendo" dei Sepolcri: il ritmo sale di intensità
insieme con le immagini rievocate dal poeta.
Da solenne, quasi sacrale nell'accenno alle "itale glorie", raccolte in
un "tempio", si fa spezzato, denso di amarezza nel rievocare i colpi
del destino ("l'alterna onnipotenza delle umane sorti", una
meditazione sulle continue vicende umane) e assume infine un tono
di totale desolazione culminante in quel "tutto" che cade come
l'ultimo fulmine di una tempesta.
Da sempre i sepolcri hanno esercitato una funzione di incitamento:
anche i Greci nella loro lotta contro i Persiani, trovarono ispirazione
alla volontà di vittoria nelle tombe dei caduti di Maratona.
I fantasmi degli eroi che morirono in quella battaglia tornano ogni
notte, secondo la leggenda, sul luogo del loro sacrificio, e
l'immagine di quelle ombre inquiete appare al navigante che passa
al largo, davanti alla pianura deserta:
"Il navigante
che veleggiò quel mar sotto l'Eubea,
vedea per l'ampia oscurità scintille
balenar d'elmi e di cozzanti brandi,
fumar le pire igneo vapor, corrusche
d'armi ferree vedea larva guerriere
cercar la pugna; e all'orror de' notturni campi
silenzi si spandea lungo ne' campi
di falangi un tumulto e un suon di tube,
54
e un incalzar di cavalli accorrenti."
"E me che i tempi e il desio d'onore
fan per diversa gente ir fuggitivo,
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
del mortale pensiero animatrici.
Siedon custodi de' sepolcri e quando
il tempo con sue fredde ale vi spazza
fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
di lor canto i deserti, e l'armonia
vince di mille secoli il silenzio."
è la conclusione del discorso. Il Poeta non smentisce il suo
sconsolato pessimismo, ma lo supera: è espressa in questi vesri la
sua concezione dell'immortalità attraverso la poesia.
Stretto da un'inquietudine che lo sospinge continuamente a "ir
fuggitivo" (che fa il paio con il "Un dì, s'io non andrò sempre
fuggendo..." di un suo sonetto) il Poeta trova un senso alla sua vita
nell'Arte (e nella Contemplazione di Lunaria, ovviamente).
55
Anche i sepolcri, un giorno, andranno in rovina: il tempo con le sue
fredde "ale" (e sono le stesse, fatali e implacabili della Morte…) ne
cancellerà ogni traccia; ma il canto dei poeti riempirà quel deserto; e
il silenzio, il silenzio del Nulla e dell'Oblio in cui saranno precipitate
le loro vite, ansie, dolori sarà vinto.
L'uomo, piccola cosa nell'Universo, scompare, ma l'armonia che egli
sa trarre dal suo cuore lo rende immortale.
Negli ultimi versi del carme rivive la voce di Cassandra, l'infelice
principessa troiana che previde la fine della sua città:
"Un dì vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l'urne,
e interrogarle. Gemeranno gli antri
secreti, e tutto narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
56
splendidamente su le mute vie
per far più bello l'ultimo trofeo
ai fatali Pelidi. (...)
L'immagine di Omero (il cieco mendico) che abbraccia le tombe dei
morti troiani e interroga quelle ombre per narrare ai posteri la loro
storia, è tutta avvolta in un'atmosfera di favolosa solennità.
Si avverte in questo finale epico e tragico un senso di fatalismo
straziante. Ugo Foscolo non dice "in eterno", perché per lui l'eternità
non esiste.
Il tempo finirà con l'uomo, con la Vita: quella vita che è la sciagura
dell'uomo e nello stesso tempo il suo unico bene.
Nel finale, torna anche il Sole, simbolo della vita che già aveva
ispirato al Poeta la meravigliosa immagine dell'estremo anelito di
ogni vivente: "gli occhi dell'uomo cercan morendo il Sole"
Foscolo a confronto con Hölderlin e Keats
Il Carme "Dei Sepolcri" stabilì la fama poetica di Foscolo: lo spunto
gli fu offerto da un tema a quel tempo molto in voga: la meditazione
sulle tombe. Mentre la maggior parte degli autori divagava con
concetti moralistici\sentimentali, Foscolo collocò la tomba dentro lo
sviluppo storico della vita umana, come segno di civiltà che ci rende
umani (e ci distingue dagli animali), come monito alla memoria dei
nostri cari e dei grandi eroi, per consolarci con un'illusione di
immortalità.
Per Foscolo la morte va affrontata con coraggio e meditazione.
Mentre della maggior parte delle tombe non si saprà nulla, altre
"parlano ai vivi" incitandoli ad ispirarsi ai grandi personaggi.
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"Le fontane versando acque lustrali amaranti educavano e viole su la
funebre zolla; e chi sedea a libar latte e a raccontar sue pene ai cari
estinti, una fragranza intorno sentìa, qual d'aura de' beati Elisi"
Uno dei brani dei Sepolcri che per molti versi si può considerare
pre-romantico.
In cosa è classico il Foscolo?
Nel tono, nella solennità del verso, nell'oggettività limpida
dell'immagine, con quel "acque lustrali", quel sedersi sommesso e
dignitoso "a raccontar le sue pene", ai defunti, il repertorio
classicheggiante dei Beati Elisi.
Potremo citare anche i versi classicheggianti di Hölderlin e Keats,
che segnano il punto di passaggio tra Classicismo e Romanticismo:
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"Solo un'estate, Onnipotenti, datemi
ed un autunno a maturarmi il canto;
così che, sazio di quel dolce giuoco,
più volentieri mi si fermi il cuore!
Pago sarò, se pur non mi accompagni
il suono di mie corde... un solo istante,
vissuto in terra avrò come gli Dei...
ed altro io più non chiedo al mio Destino" (Hölderlin, "Alle Parche")
"Venusta Attica forma! Con ricami
di figure marmoree tessuta,
con erbe peste e con silvestri rami;
59
dismaghi il pensier nostro, o forma muta,
come l'eternità: Ecloga gelida!
Allor che l'età nostra sarà morta
rimarrai tu, in mezzo ad altro lutto
che il nostro, amica all'uomo, a cui riveli:
il bello è il vero, il vero è il bello"
è tutto quel che in terra sapete, e quel che importa".
(Keats, "Ode su un'urna greca")
Come si è visto, il Classicismo intende l'Arte come strumento di
elevazione morale, di miglioramento e purificazione interiore.
L'Arte, la Bellezza, diventa una strada verso la Verità, fondamento
della vita morale, il controllo sereno della Ragione sulla Fantasia.
Infine, aggiungo anche degli stralci funebri tratti da "Ultime Lettere
di Jacopo Ortis" di Foscolo
60
"Il mal tempo s'è diradato, e fa il più bel dopo pranzo del mondo. Il
Sole squarcia finalmente le nubi, e consola la mesta Natura,
diffondendo su la faccia di lei un suo raggio. Ti scrivo di rimpetto al
balcone donde miro la eterna luce che si va a poco a poco perdendo
nell'estremo orizzonte tutto raggiante di fuoco. L'aria torna
tranquilla; e la campagna, benché allagata, e coronata soltanto
d'alberi già sfrondati e cospersa di piante atterrate pare più allegra
che non la non era prima della tempesta. Così, o Lorenzo, lo
sfortunato si scuote dalle funeste sue cure al solo barlume della
speranza, e inganna la sua triste ventura, con que' piaceri a' quali era
affatto insensibile in grembo alla cieca prosperità - Frattanto il dì
m'abbandona: odo la campagna della sera; eccomi dunque a dar fine
una volta alla mia narrazione. Noi proseguimmo il nostro breve
pellegrinaggio fino a che ci apparve biancheggiar dalla lunga la
casetta che un tempo accoglieva. (...) Io mi vi sono appressato come
se andassi a prostrarmi su le sepolture de' miei padri, e come uno di
que' sacerdoti che taciti e riverenti s'aggiravano per li boschi abitati
dagl'Iddii."
"(...) riscaldava l'aria irrigidita dalla nebbia del morente autunno. Le
villanelle vennero sul mezzodì co' loro grembiuli di festa
intrecciando i giuochi e le danze di canzonette e di brindisi. (...) E
quando le ossa mie fredde dormiranno sotto quel boschetto
alloramai ricco ed ombroso, forse nelle sere d'estate al patetico
susurrar delle fronde si uniranno i sospiri degli antichi padri della
villa, i quali al suono della campana de' morti pregheranno pace allo
spirito dell'uomo dabbene e raccomanderanno la sua memoria ai lor
figli. E se talvolta lo stanco mietitore verrà a ristorarsi dall'arsura di
giugno, esclamerà guardando la mia fossa: Egli, Egli innalzò queste
fresche ombre ospitali!" (1)
(1) Una versione alternativa prevedeva questa variante: "E se talvolta
io, Foscolo, verrò a ristorarmi dall'arsura di giugno, esclamerò
guardando la fossa di Lunaria: Ella, Ella innalzò questa Bellezza, la
Donna Divina che amai! Oh Lunaria! Forse perché di una Dea Tu sei
l'Imago! Sempre Ti mostri invocata."
Del resto il Foscolo aveva dedicato a Lunaria una poesia nel 1796
61
dichiarando "Io non posso amare se non altamente, ardentemente,
forsennatamente forse, se non Lunaria, Lei Sola", e il ricordo di Lei
non poteva che imprimersi in tutte le opere del Poeta.
62
63
64
Brevi commenti ai Sonetti
Info tratte da
65
In proseguimento e, almeno nelle intenzioni dell'autore, in
approfondimento della linea dei "Sepocri" avrebbe dovuto collocarsi
l'altro carme "Le Grazie"
66
cui il Foscolo pensava almeno fin dal 1802, che portò parecchio
innanzi nel 1812-14 e che sperò sempre di terminare, rassegnandosi
alfine a lasciarlo incompiuto, con notevoli incertezze circa
l'ordinamento definitivo. è un'altra interpretazione poetica della
storia dell'umanità vista attraverso il suo incivilimento, di cui le
Grazie sono il simbolo: però la salda compattezza ideale dei
"Sepolcri" qui manca, rispecchiando nella stessa frammentarietà
dell'opera taluni dubbi dell'autore; anche l'espressione poetica si fa
diversa, più levigata e sottile e scavata quasi a captare le vibrazioni
più recondite dei suoni, e lontana dalla magnanimità (non
magniloquenza) dei "Sepolcri". Il giudizio sul carme è reso più
difficile dalla sua condizione di abbozzo, dalla presenza di un mare
di varianti e di rifacimenti, dagli equivoci che possono nascere in
noi leggendo i frammenti compiuti come poesie a sé stanti, quindi
col fascino romantico della rovina, risultato a cui il Foscolo non
mirava di sicuro (eppure proprio la frammentarietà delle "Grazie" fu
uno dei motivi del loro revival tra i critici e i poeti del '900).
D'altronde, anche nell'asserire che il Foscolo non mirava al
frammento, occorre una certa cautela, perché senza dubbio il carme
fu lavorato per frammenti destinati poi a essere collocati e
raccordati, e a un certo punto Ugo si accorse che le forze non gli
bastavano più a tanta fatica. Rimangono quindi l'estremo tentativo
di dar vita e respiro agli antichi miti, inserendoli nella storia degli
uomini, anche degli uomini d'0ggi (estremamente indicative sono le
allusioni politiche di cui il carme è fitto), con una ricchezza
alessandrina splendida ma talvolta rischiosa, nei confronti della
potente semplicità dei "Sepolcri" (il che non toglie che parecchi
passi siano assolutamente mirabili, e senza meno tra le massime
cose del Foscolo)
67
S'ingannerebbe profondamente chi assumesse il Foscolo dell'"Ortis"
o quello dei "Sepolcri" a paradigma immutabile della personalità
foscoliana, assai più profonda e complessa di quanto comunemente
si creda. C'è nel Foscolo infatti tutto un coté psicologico inatteso, in
un atteggiamento apparentemente umile e dimesso, in realtà
attentissimo al mutare della psicologia umana e alle umane
debolezze, contemplate con indulgenza non servile ma consapevole.
è il lato del carattere foscoliano che già figura in certi abbozzi del
1801-2 e che si è convenuto di chiamare didimeo in omaggio al
personaggio di Didimo Chierico nel quale il Foscolo amò ritrarre se
stesso in appendice alla sua traduzione del "Viaggio sentimentale" di
Sterne pubblicata nel 1813.
La passione civile e amorosa, le incertezze, le polemiche, i dubbi, le
malinconie profonde, la galanteria e le ore solari dell'animo umano
figurano tutti in quelle pagine, con prevalenza dell'alternanza
Foscolo-Ortis e Foscolo-Didimo, due personaggi egualmente veri
pur nella loro diversa realtà.
68
"Sermone Primo" (1805)
Muoiono i dardi tuoi sul gelo antico,
d'atlante, e dove inviolate guarda negli antri
le sue prime Ombre la Notte.
"Le Grazie" (1802)
E dopo breve dì sacri alla Morte,
vagavan tutti colle belve all'Ombra,
della gran selva della terra: e gli antri
eran tetto, e i Sepolcri eran Altari.
"Ai Novelli Repubblicani" (1797)
Quando all'Orror di Notte taciturna
del tuo spento fratel l'immane spetro
coi crin su gli occhi,
e sanguinoso e tetro
surse del tebro dall'incognit'urna
a lampeggiar di livido baleno
voce dall'imo seno
trasse e gridò.
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"In Morte di Amaritte - Elegia - " (1796)
Qui sorge un'urna e qui in funereo manto,
erran le Grazie, e qui echeggiar s'ascolta
flebili versi, fioche voci, e pianto.
E di cipressi sotto oscura volta
cupa malinconia muta si aggira
coi crin sugli occhi, e nel suo duol raccolta.
Qui gemebondo a lagrimar si mira
vate canuto su la sorda pietra,
e ora ammuta, ora geme, ed ora sospira.
Trista è così de' Morti la campagna
allora che Young fra l'Ombre della Notte
sulfato di Narciso egro si lagna.
E al suon di sue querele alte interrotte
Silenzio, Oscurità, s'alzan turbati
dal ferro sonno di lor ampie grotte.
"Le Rimembranze - Elegia - " (1796)
E questa è l'ora: mormorar io sento
co' miei sospiri in suon pietoso e basso
tra fronda e fronda il solitario vento
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"Tieste" (1797)
Atto Primo. Scena I
Erope: D'empi rimorsi oggetto, infausto,
caro pegno d'amor, de' miei delitti
O negra, O spaventosa imago!
O Notte, Orrida Notte di profanato amor!
Atto Terzo. Scena IV
Erope: Fra poco, sì, morrommi (= morirò),
e d'ogn'intorno starotti (= ti starò)
Ombra d'Orrore:
in mezzo a' cupi più deserti
recessi io seguirotti (= ti seguirò)
Là tronca i giorni tuoi, là seppellisci
una trista memoria, e là confina
il vituperio delle genti.
Atto Quarto. Scena I
Tieste: L'avrai... fumante. Orrido arcano
è ormai svelato: insidia di re vil
qui mi trasse: ebben, se l'abbia
quella, ch'ei vuol, Morte.
Tieste: Quest'è Notte di pianto,
E a noi di Morte, O Pace.
Odi, abbandona me al mio Furor.
Tieste: Vengo, vengo. Sangue chiedi?
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L'avrai. Quelle grand'orme
che tu stampo di foco...
Sieguo.
Oh! Lampo! Oh! Tenebre!
Oh singhiozzi moribondi!
Erope... il vedi? Senti tu?
Ma dove lo spettro è, che scortavami?
Lo voglio, lascia, seguir.
Tu, tu, vil, mi trattieni.
"Ricciarda" (1812)
Atto Quarto. Scena I
Ricciarda: Torgli il pugnal degg'io.
Né ormai può salvo fuggir per or.
Né oggi vorria lasciarmi.
Troppa certezza ch'io scontar
col sangue deggia il dì che gli serbo.
I suoi pensieri ostinata possiede.
Ed oggi io stessa quel terror (vano forse)
io mal mio grado
più mestamente il sento.
Scena II
Ricciarda: Orrore di Nuove Colpe, e pietà
del suo stato a questo avel (= tomba, sepolcro)
mi conducean tremando.
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Atto Quinto. Scena III
Guelfo: O il Sangue oggi darammi (= mi darai)
O un sempiterno pianto.
Vinto non son se ho la vendetta un pugno.
Guelfo: In Dio, tu fidi?
In Dio che solo a vendicarsi regna?
Già della lunga sua Notte Infernale,
mentre ancora alla Luce apro questi occhi,
m'ha ravvolto e atterito.
Orrendamente rugge intorno alla trista anima mia
tenebroso tra i fulmini.
Il suo nome non proferisco io mai,
ch'ei non risponda: "Alla Vendetta Io Veglio"
E la Vendetta nel mio petto mortale indi riarde
poichè perdono ei nega...
Se tu innocente sei, te Iddio,
te muta, Insanguinata Ombra al Sepolcro mio
manderà ad aspettarmi insino al giorno
che sorgerò dalla polve e dall'ossa...
"Aiace" (1811)
Atto Secondo. Scena I
Agamennone: Al dolor mio vittime voglio.
... ch'io possa me stesso
almen non abborrir!
Io tutti punirò meco (= con me).
Scena VII
Aiace: Orribile arcano io leggo
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già sul tuo volto smarrito.
Onta resti a chi teme illustre Tomba.
Atto Quinto. Scena III
Aiace: Ben sento freddo un Orror
nel perdere la luce del giorno:
odo ulular i disperati miei genitor
nel funereo deserto delle mie case...
Scena IV
Aiace: Gli ultimi passi miei verso la Morte,
Giudice Vera di noi tutti,
alfine libero e forte io volgerò
la speme (= speranza) più non m'illude,
e certa è la mia pace.
... O Salamina, patria mia,
paterne are, da me non profanate mai
campi difesi dal mio sangue
Addio!
"Alla Sera"
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Forse perché della fatal quïete
tu sei l’imago a me sì cara vieni
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,
e quando dal nevoso aere inquïete
tenebre e lunghe all’universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.
"Non son chi fui; perì di noi gran parte"
Non son chi fui; perì di noi gran parte:
questo che avvanza è sol languore e pianto.
E secco è il mirto, e son le foglie sparte
del lauro, speme al giovenil mio canto.
Perché dal dì ch’empia licenza e Marte
vestivan me del lor sanguineo manto,
cieca è la mente e guasto il core, ed arte
la fame d’oro, arte è in me fatta, e vanto.
Che se pur sorge di morir consiglio,
a mia fiera ragion chiudon le porte
furor di gloria, e carità di figlio.
Tal di me schiavo, e d’altri, e della sorte,
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conosco il meglio ed al peggior mi appiglio,
e so invocare e non darmi la morte.
"Te nudrice alle muse"
Te nudrice alle muse, ospite e Dea
le barbariche genti che ti han doma
nomavan tutte; e questo a noi pur fea
lieve la varia, antiqua, infame soma.
Ché se i tuoi vizi, e gli anni, e sorte rea
ti han morto il senno ed il valor di Roma,
in te viveva il gran dir che avvolgea
regali allori alla servil tua chioma.
Or ardi, Italia, al tuo Genio ancor queste
reliquie estreme di cotanto impero;
anzi il Toscano tuo parlar celeste
ognor più stempra nel sermon straniero,
onde, più che di tua divisa veste,
sia il vincitor di tua barbarie altero.
"Perchè taccia"
Perché taccia il rumor di mia catena
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di lagrime, di speme, e di amor vivo,
e di silenzio; ché pietà mi affrena
se di lei parlo, o di lei penso e scrivo.
Tu sol mi ascolti, o solitario rivo,
ove ogni notte amor seco mi mena,
qui affido il pianto e i miei danni descrivo,
qui tutta verso del dolor la piena.
E narro come i grandi occhi ridenti
arsero d’immortal raggio il mio core,
come la rosea bocca, e i rilucenti
odorati capelli, ed il candore
delle divine membra, e i cari accenti
m’insegnarono alfin pianger d’amore.
"Così gl’interi giorni"
Così gl’interi giorni in lungo incerto
sonno gemo! ma poi quando la bruna
notte gli astri nel ciel chiama e la luna,
e il freddo aer di mute ombre è coverto;
dove selvoso è il piano più deserto
allor lento io vagabondo, ad una ad una
palpo le piaghe onde la rea fotuna,
e amore, e il mondo hanno il mio core aperto.
Stanco mi appoggio or al troncon d’un pino,
ed or prostrato ove strepitan l’onde,
con le speranze mie parlo e deliro.
Ma per te le mortali ire e il destino
spesso obblïando, a te, donna, io sospiro:
luce degli occhi miei chi mi t’asconde?
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"Meritamente"
Meritamente, però ch’io potei
abbandonarti, or grido alle frementi
onde che batton l’alpi, e i pianti miei
sperdono sordi del Tirreno i venti.
Sperai, poiché mi han tratto uomini e Dei
in lungo esilio fra spergiure genti
dal bel paese ove meni sì rei,
me sospirando, i tuoi giorni fiorenti,
sperai che il tempo, e i duri casi, e queste
rupi ch’io varco anelando, e le eterne
ov’io qual fiera dormo atre foreste,
sarien ristoro al mio cor sanguinente;
ahi vota speme! Amor fra l’ombre e inferne
seguirammi immortale, onnipotente.
"Solcata ho fronte"
Solcata ho fronte, occhi incavati intenti,
crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto,
labbro tumido acceso, e tersi denti,
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capo chino, bel collo, e largo petto;
giuste membra; vestir semplice eletto;
ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti;
sobrio, umano, leal, prodigo, schietto;
avverso al mondo, avversi a me gli eventi:
talor di lingua, e spesso di man prode;
mesto i più giorni e solo, ognor pensoso,
pronto, iracondo, inquïeto, tenace:
di vizi ricco e di virtù, do lode
alla ragion, ma corro ove al cor piace:
morte sol mi darà fama e riposo.
"E tu ne’ carmi avrai perenne vita"
E tu ne’ carmi avrai perenne vita
sponda che Arno saluta in suo cammino
partendo la città che dal latino
nome accogliea finor l’ombra fuggita.
Già dal tuo ponte all’onda impaurita
il papale furore e il ghibellino
mescean gran sangue, ove oggi al pellegrino
del fero vate la magion si addita.
Per me cara, felice, inclita riva
ove sovente i pie’ leggiadri mosse
colei che vera al portamento Diva
in me volgeva sue luci beate,
mentr’io sentia dai crin d’oro commosse
spirar ambrosia l’aure innamorate.
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"A Zacinto"
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l’inclito verso di colui che l’acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
"In Morte del Fratello Giovani"
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentili anni caduto.
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La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.
Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quïete.
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.
"Alla Musa"
Pur tu copia versavi alma di canto
su le mie labbra un tempo, Aonia Diva,
quando de’ miei fiorenti anni fuggiva
la stagion prima, e dietro erale intanto
questa, che meco per la via del pianto
scende di Lete ver la muta riva:
non udito or t’invoco; ohimè! soltanto
una favilla del tuo spirto è viva.
E tu fuggisti in compagnia dell’ore,
o Dea! tu pur mi lasci alle pensose
membranze, e del futuro al timor cieco.
Però mi accorgo, e mel ridice amore,
che mal ponno sfogar rade, operose
rime il dolor che deve albergar meco.
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"Che Stai?"
Che stai? già il secol l’orma ultima lascia;
dove del tempo son le leggi rotte
precipita, portando entro la notte
quattro tuoi lustri, e obblio freddo li fascia.
Che se vita è l’error, l’ira, e l’ambascia,
troppo hai del viver tuo l’ore prodotte;
or meglio vivi, e con fatiche dotte
a chi diratti antico esempi lascia.
Figlio infelice, e disperato amante,
e senza patria, a tutti aspro e a te stesso,
giovine d’anni e rugoso in sembiante,
che stai? breve è la vita, e lunga è l’arte;
a chi altamente oprar non è concesso
fama tentino almen libere carte.
"Di Weisse Allemano (1) - La Tempesta"
Sparve il sereno, o Doride,
dal ciel, già mugge il vento
fra gli alberi, e succedono
silenzio, orror, spavento.
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Tutti gli augei si turbano
entro i lor nidi ascosi,
ove i concerti obbliano
de' canti armoniosi.
Sol vedesi la rondine,
priva de' suoi compagni,
rader la superficie
de' paludosi stagni.
Vieni, Dori, vien: cerchiamoci
salvar dalla tempesta,
ve' quante rose chinano
la tenerella testa.
Sopra di loro il turbine
tetre minacce ha sciolte,
sembra che solo bramino
esser de tue man colte.
Come all'aspetto tremano
di lor vicina morte,
le cogli, o Dori tenera,
pria di sì 'nfausta sorte.
Spiri la gaia porpora
delle lor foglie lievi
del seno tuo purissimo
su le ridenti nevi.
Ecco dal nembo torbido
in parte siam sicura,
qual sotto questa pergola
si temerà sventura?
Felicitade amabile!
In questo asilo ombroso
ci attende di bei grappoli
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il succo delizioso.
Fiero Aquilone, or l'impeto
del tuo furor qui puoi
spiegar, e al sen di Doride
torre anche il vel se vuoi.
(1) Il poeta tedesco Christian Felix Weisse nacque nel 1726 e morì
nel 1804. Allemano sta per "alemanno", cioè tedesco.
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Approfondimento:
Monti e Foscolo: pensieri su Napoleone
Info tratte da
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Il 14 giugno 1800 Napoleone sconfigge gli Austriaci a Marengo e si
assicura il possesso definitivo dell'Italia.
Da Parigi, dove si trova in esilio, il poeta Vincenzo Monti saluta
l'evento come l'inizio di una nuova era per la società italiana, cui le
armi di Napoleone avrebbero garantito pace e libertà.
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E rivolgendosi classicamente al Po, "de' fiumi algoso re", lo invita a
propalare il suo entusiasmo:
"Di' che l'asta il franco Marte
ancor fissa al suol non ha,
di' che dove è Bonaparte
sta vittoria e libertà"
Anche Ugo Foscolo aveva composto un'ode dedicata a "Bonaparte
liberatore". Ma non molti mesi dopo Marengo, egli scrive il suo
grande romanzo "Ultime lettere di Jacopo Ortis" nel quale il
giudizio su Napoleone è radicalmente mutato:
"Moltissimi de' nostri presumono che la libertà si possa comperare a
danaro; presumono che le nazioni straniere vengano per amore
dell'equità a trucidarsi scambievolmente su' nostri campi onde
liberare l'Italia. Ma i francesi che hanno fatto parere esecrabile la
divina teoria della pubblica libertà, faranno da Timoleoni
[liberatori] in pro nostro?
Moltissimi intanto si fidano nel Giovine Eroe nato di sangue
italiano; nato dove si parla il nostro idioma.
Io da un animo basso e crudele non m'aspetterò mai cosa utile ed
alta per noi.
Che importa ch'abbia il vigore e il fremito del leone, se ha la mente
volpina, e se ne compiace? Sì, basso e crudele - né gli epiteti sono
esagerati... (...) La natura lo ha creato tiranno: e il tiranno non
guarda a patria: e non l'ha."
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In conclusione: l'esaltazione prima dei miti dell'Illuminismo (il mito
della Ragione, pace, giustizia sociale, fratellanza, progresso, il
benessere materiale) e poi l'amara delusione per l'impossibile
realizzazione di tali miti si ritrovano nelle opere dei migliori
scrittori italiani della fine del Settecento come Vincenzo Monti, Ugo
Foscolo e Vittorio Alfieri.
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La Rivoluzione Francese spazzava via il passato e introduceva la
libertà, l'uguaglianza e la fraternità (abolendo Dio e sostituendolo
con l'astratta Dea Ragione).
Ma la realtà fece svanire tutto questo.
Napoleone non portava tutto questo, ma una nuova dominazione.
Per circa due decenni si susseguirono battaglie, stragi, campagne
militari durissime e devastatrici.
Come conseguenza, si ebbe il crollo dei miti illuministi.
Il sentimento della Patria, accentuatosi dopo la caduta del mito
settecentesco del cosmopolitismo e della solidarietà tra i popoli, fece
esplodere nell'Italia soggetta all'Austria una letteratura patriottica a
cui contribuirono i maggiori scrittori dell'Ottocento come Massimo
d'Azeglio.
Falliti i nobili, romantici ideali dei patrioti, si sentì l'esigenza di un
maggior realismo: questa esigenza sfociò nel Verismo, che ebbe
come massimo rappresentante Giovanni Verga.
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