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Ugo Foscolo (ediz agg 2024)

Ugo Foscolo Info tratte da 1 2 3 Quando scrisse i "Sepolcri" nell'autunno del 1806, Ugo Foscolo aveva 28 anni; viveva a Milano, la capitale della Repubblica Cisalpina, che era il luogo d'incontro dei più validi esponenti del mondo artistico e letterario italiano. L'opera fu scritta in breve tempo, quasi di getto, anche se la stesura definitiva occupò per vari mesi il poeta, tanto che la prima edizione uscì solo nell'anno seguente. La spinta a questa breve, ma intensa fatica poetica venne dall'entrata in vigore della legge di Saint-Cloud, che stabiliva un nuovo ordinamento in materia di sepolture (proibizione di seppellire chiunque all'interno degli abitati e uniformità di lapidi e di iscrizioni per tutti). 4 La spinta, ma non l'ispirazione: perché i temi espressi nei "Sepolcri" furono quelli che da sempre costituivano il nucleo del suo pensiero e della sua poesia. Foscolo non era un poeta occasionale, se si fosse limitato solo a quell'argomento, se avesse scritto i "Sepolcri" solo per commentare una legge, avrebbe scritto dei buoni versi, ma non un capolavoro. In un primo tempo egli intendeva comporre solamente un'epistola in versi, limitandosi a trattare l'argomento della legge sui cimiteri in una forma volutamente ristretta; ma, appena cominciò a scrivere, l'impeto stesso della sua poesia lo portò a lasciare quel progetto per abbandonarsi a un canto in cui potesse esprimere tutta la sua anima di pensatore, di cittadino e poeta. Fu per questa esigenza interiore e per la necessità stilistica che nasceva da essa che Ugo Foscolo scelse per i Sepolcri la forma poetica più libera, quella del carme. Questa parola significa letteralmente "composizione poetica": la poesia che si esprime attraverso essa non è arginata da limiti e da schemi di alcun genere. Il poeta stesso l'aveva definita come la più adatta al suo temperamento: era perciò naturale che vi ricorresse in quel particolare momento di pienezza spirituale e immaginativa. La poesia dei "Sepolcri" 295 endecasillabi, non rimati né divisi in strofe: una lunga, compatta cascata di versi, nei quali è espresso tutto il fremente mondo interiore del poeta. Il fascino e la meravigliosa forza evocatrice dei "Sepolcri" nascono appunto da questa pienezza e dalla profonda unità dell'armonia che la esprime. Non c'è, in tutta la letteratura italiana, un'opera poetica che abbia insieme una così splendida perfezione formale e un così elevato contenuto di pensiero in uno spazio altrettanto breve. 295 versi, e non una similitudine, non uno di quegli artifici ai quali ricorrono spesso anche i grandi poeti: morbido o fremente, squillante o tormentato, il verso fluisce con una capacità espressiva così suggestiva, così pienamente aderente all'idea dell'autore, che 5 qualsiasi arricchimento sarebbe superfluo. Si può pensare ai "Sepolcri" come a una sinfonia mesta e insieme gloriosa, che prorompe senza sosta nel cuore del poeta. Analizzando il carme si può scomporlo in varie parti, ma non si tratta di episodi separati, perché tutto è legato da una grandiosa unità di pensiero e di stile. Proprio come in una grande sinfonia vi sono i vari "tempi" così nei "Sepolcri" si possono distinguere degli ideali capoversi: ma non c'è frattura tra l'uno e l'altro. Un grande critico ha definito i "Sepolcri" come un canto essenzialmente religioso. (1) Foscolo non era credente, eppure la definizione di quel critico coglie la natura del carme. Anche se non aveva un fede, Foscolo aveva una concezione della vita e della morte, dell'uomo e della storia, che può essere detta una "religione" per la passione e l'ardore con cui egli sentiva e viveva le sue idee. E nei "Sepolcri", che sono una specie di summa lirica del suo pensiero, noi ritroviamo tutti i temi fondamentali di esso, quelli che possono essere definiti i "dogmi" della sua fede terrena. LA MORTE: è per Foscolo, la "fatal quiete", il termine ultimo di ogni cosa, un oblio senza fine in cui l'uomo si annulla. Ma non c'è orrore in questa visione che può apparire così pessimista: la morte è accettata nobilmente e serenamente, come un limite inevitabile che, anzi, rende ancor più ardente la passione di vivere. L'EROISMO: il breve spazio di tempo che ci è concesso dalla vita non deve essere disperso in azioni futili e vane. Compiendo, sorretto dalla sua libera volontà, gesta nobili e generose, l'uomo si rende cosciente del proprio valore e della sola possibilità che gli è offerta di sollevarsi al di sopra dei bruti. Questo eroismo come regola di vita non è una semplice esaltazione dell'atto temerario e clamoroso, ma un vigoroso ideale civile e patriottico, un invito ad operare con tutte le forze per il bene della società, che ogni uomo ha il dovere di rendere più libera e più giusta. 6 LA BELLEZZA: Insieme all'amore, di cui è la fonte, essa è il sale della vita, la forza divina che non è solo stimolo dei sensi, ma alimento di nobili sentimenti. è il concetto pagano della bellezza, già espresso dai poeti dell'antica Grecia, ai quali Foscolo si sente legato non soltanto per la sua cultura imbevuta di Classicismo, ma per una profonda affinità spirituale (e che perfezionerà contemplando Lunaria, il suo grande amore) LA POESIA: pur condannato, secondo Foscolo, a scomparire nel nulla, l'uomo possiede ugualmente un mezzo per giungere all'immortalità: la Poesia, che può eternare la sua memoria nei secoli, come i sepolcri, altari della pietà e della gloria, conservano i suoi resti mortali. è evidente che questo concetto di immortalità non ha nulla in comune con quello cristiano dell'immortalità dell'anima; esso possiede, tuttavia, un fascino profondo per la suggestione poetica che ne emana: la Poesia, che vince di mille secoli il silenzio, appare come un dono divino, una forza capace di far trionfare l'uomo sulla morte stessa. 7 I Sepolcri iniziano con un'affermazione di sconsolato pessimismo: duro e implacabile è il sonno della morte in cui tutto si annulla. E un sasso, una lapide, non mi darà alcun conforto, perché non mi impedirà di scomparire negli spazi infiniti dell'Universo. Ma la cruda visione di questa morte annientatrice è mitigata dalla dolcezza dell'immagine evocata dai primi versi: uno svettare di cipressi, solenni e sereni nel cielo; e quel pianto che conforta le tombe... Per contrasto, inoltre, dal ricordo di ciò che la Morte ci toglie nasce un canto struggente alla Vita, a tutto quel che la rende bella e degna di essere vissuta: la Natura ("nella d'erbe famiglia e d'animali"), la Poesia e l'Amore ("unico spirto a mia vita raminga"), l'Amicizia, le Illusioni. Poi, ecco di nuovo il pensiero della Morte, e dietro a quello, incalzante, una visione cosmica in cui la vanità delle cose umane è raffrontata all'immensità dell'Universo, dove tutto continua a rovinare. Più avanti Foscolo esprime il suo orgoglioso disprezzo pagano per chi non ha compiuto gesta degne di ricordo e di fronte alla morte si preoccupa solamente del premio o del castigo eterno; nessuno curerà la sua memoria e il suo povero corpo giacerà dimenticato fra gli sterpi di una terra abbandonata: "Sol chi non lascia eredità d'affetti poca gioia ha dell'urna; e se pur mira dopo l'esequie, errar vede il suo spirto Fra 'l compianto de' templi acherontei, o ricovrarsi sotto le grandi ale del perdono d'Iddio; ma la sua polve lascia alle ortiche di deserto gleba..." Per questi versi, dove Foscolo accenna alla Fede di coloro che dopo la morte affidano la propria anima a Dio, può essere considerato un poeta religioso, anche se non praticava nessun culto ma senza un profondo senso dell'Eterno non sarebbe mai giunto a cogliere così potentemente lo spirito della Fede. 8 (1) Commento del Momigliano ai Sepolcri: "Su tutto il carme si stende la religiosa pace di un cimitero... Qui gli uomini e la terra sono veduti, più che come vivi e dimora dei vivi, come ombre auguste e lontane e come ricetto sacro di queste ombre; e la vita acquista la sua santità dalla morte, e solo perché noi abbiamo dietro di noi una schiera di grandi morti pare che noi dobbiamo vivere o operare. Il carme si svolge in mezzo ad un remoto silenzio, dove i morti parlano e i vivi ascoltano riverenti. La Morte semina di infinite ossa la terra e il mare, una forza operosa avvicenda senza tregua i nati e gli istinti, la potenza si tramuta di popolo in popolo, le sembianze della terra e del cielo si cambiano perennemente; in mezzo a questa fiumana triste ove tutto si trascolora, si dissolve, si cancella, una cosa sopravvive, immortale: la magnanimità dell'uomo, meglio - la poesia che canta la magnanimità dell'uomo: vince di mille secoli il silenzio" Un paio di pensieri, tratti da "Il mio nome significa luce (fos) e bile (cholos)... di volto non bello ma stravagante, e d'una aria libera, di crini non biondi ma rossi, di 9 naso aquilino e grosso ma non picciolo e non grande... nella mia fanciullezza fui tardo, caparbio: infermo spesso per malinconia, e talvolta feroce, e insano per ira..." (dalle "Lettere") Io odo la mia patria che grida: "Scrivi ciò che vedesti, manderò la mia voce dalle rovine, e ti detterò la mia storia. Piangeranno i secoli su la mia solitudine; e le genti s'ammaestreranno nelle mie disavventure. Il tempo abbatte il forte: e i delitti di sangue sono lavati nel sangue." 10 *** 11 12 13 14 15 "I monumenti, inutili ai morti, giovano ai vivi, perché destano affetti virtuosi lasciati in eredità dalle persone dabbene; solo i malvagi... immeritevoli di memoria, non la curano; a torto dunque la legge accomuna le sepolture... degli illustri e degli infimi. (...) Le reliquie degli eroi destano a nobili imprese, e nobilitano le città che le raccolgono. Esortazione agli italiani a venerare i sepolcri dei loro illustri concittadini; quei monumenti ispireranno l'emulazione agli studi e l'amore della patria, come le tombe di Maratona nutrivano nei Greci l'aborrimento dei barbari. Anche i luoghi dov'erano le tombe dei grandi, sebbene non ne rimanga vestigia, infiammano la mente dei generosi." è questo il riassunto dei Sepolcri, delineato dal poeta stesso in una sua lettera polemica contro il critico Guillon. Vediamo qualche verso di rara bellezza del carme di Foscolo: All'ombra de' cipressi e dentro l'urne confortate di pianto è forse il sonno 16 della morte men duro? Ove più il Sole per me alla terra non fecondi questa bella d'erbe famiglia e d'animali, e quando vaghe di lusinghe innanzi a me non danzeran l'ore future, né da te, dolce amico, udrò più il verso e la mesta armonia che lo governa, né più nel cor mi parlerà lo spirto delle vergini Muse e dell'amore, unico spirto a mia vita raminga, qual fia ristoro a' dì perduti un sasso che distingua le mie dalle infinite ossa che in terra e in mar semina morte? Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve tutte cose l'oblio nella sua notte; e una forza operosa le affatica di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe e l'estreme sembianze e le reliquie della terra e del ciel traveste il tempo. 17 18 ALTRO COMMENTO, tratto da 19 Nella nostra letteratura Ugo Foscolo occupa un luogo particolarissimo, in adeguata rispondenza alla notevole complessità della sua figura. Il tumultuoso e tempestoso prorompere dell'ingegno foscoliano suscitò dubbi, timore, avversioni, ma anche entusiasmi grandi e duraturi. Attraverso un affinamento costante, Ugo Foscolo, prima noto soltanto ai veneziani, conquistò in breve una rinomanza anche attraverso l'azione politica, giornalistica e militare, che si concluse con l'assedio di Genova (1799-1800), la composizione della prima parte dell'"Ortis" e delle odi "Bonaparte liberatore" e "A Luigia 20 Pallavicini". Un senso virile della tragicità della vita, una lucida coscienza della totale sparizione dell'uomo con la morte e insieme la possibilità di divenire immortali grazie alla poesia, maestra di vita come già con Omero ai tempi eroici della Grecia e con Dante nel medioevo, il conforto derivante all'uomo dalle illusioni che l'esistenza ci offre e di cui possiamo godere pur sapendo che sono illusioni e che la nostra sorte è segnata: ecco quel che si può cogliere alla lettura dei versi del Foscolo, in una forma vibrata e concisa, assolutamente originale nonostante i visibili ricordi da altri poeti: perché ogni volta che il Foscolo deriva, subito ricrea cosa affatto sua, ricca di significati taciuti o trascurati nel verso o nel passo imitato, più piena e più bella: così accadrà per il largo influsso formale che il Foscolo subì da parte della stupenda frondosità inventiva e canora di Vincenzo Monti: ma tale influsso non andrà mai oltre la zona del mestiere, perché non appena si debba tener conto dell'accento vero e personale siamo costretti a riconoscere la grandezza e la superiorità foscoliane: e in proposito è impossibile che si modifichi un giudizio sul quale la critica è storicamente concorde, anche oggi che senza dubbio ci è dato di comprendere il Monti assai meglio che non qualche decennio fa. Se l'"Ortis" è del 1802, e le odi e i sonetti nella redazione definitiva sono del 1803, dobbiamo giungere al 1807 per trovare quella che è l'ultima grande composizione poetica foscoliana terminata, accettata e stampata dall'autore. Alludiamo ai "Sepolcri", 21 il carme che stabilì definitivamente la fama poetica del Foscolo, quello a cui soprattutto guardarono i posteri delle generazioni del Risorgimento. Lo spunto è offerto da un tema a quel tempo piuttosto in voga, vale a dire la meditazione sulle tombe e su coloro che vi giacciono; mentre però in genere i predecessori e i contemporanei, in Italia e fuori, ne traevano il pretesto o l'occasione per divagazioni di tipo moralistico-sentimentale, il Foscolo impostò ex novo il problema, assunse la tomba quale momento della vita dell'uomo e collocò per così dire i sepolcri profondamente dentro al viluppo storico della vita umana, come vichiano primo segno di civiltà separante gli uomini dalle belve, come distintivo dell'uomo il quale onora nelle tombe la memoria dei suoi cari e dei suoi grandi e desidera che anche a lui a suo tempo vengano resi gli onori funebri, per mantenere viva l'illusione dell'immortalità. La morte è presente in tutto il carme non sotto gli aspetti cupi della minaccia d'inferno o sotto quelli artatamente consolatori del "ci rivedremo in cielo", ma quale condizione umana ineliminabile, da affrontare con sereno coraggio e raccolta meditazione. Di infinite tombe non si saprà nulla, o subito o pochissimo dopo che sono state scavate, ma di alcune poche è proprio un particolare potere, quello di parlare ai vivi incitandoli a pensare e ad agire magnanimamente, di parlare ai poeti e di ispirarli a cantare celebrando le grandi storie dei grandi scomparsi e rendendoli vittoriosi sulla morte nell'unico modo in cui gli uomini possono vincerla, grazie cioè alla memoria nutrita di affetti generosi. Non moralismo dunque ma morale nel senso più vivo e più degno della parola, non sentimentalismo dunque ma sentimento, o meglio, affetti, termine che il Foscolo amava: lettore vero dei "Sepolcri" avrebbe dovuto essere quel popolo italiano futuro che l'Alfieri auspicava, per il quale il Foscolo combattè e sperò durante un certo numero di anni; popolo e non plebe, cittadini e non sudditi, capaci di una dignitosa sincerità nella vita e nelle opere, muniti di alta coscienza collettiva, aperti al bello sincero e alla responsabilità coraggiosa. "Dei Sepolcri" di Ugo Foscolo 22 Il Carme fu composto nel 1806 a Milano e pubblicato nel 1807. è indirizzato a Pindemonte, con cui Foscolo aveva avuto a Venezia una discussione sul valore delle tombe. DEORUM MANIUM IURA SANCTA SUNTO. (1) ("I diritti degli dèi Mani siano sacri". Nella religione romana i Mani sono i defunti). All'ombra de' cipressi e dentro l'urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro? (2) 2) "Il sonno della morte è forse meno profondo se la tomba è ombreggiata da cipressi e se il sepolcro è confortato dal pianto dei cari rimasti in vita?" la domanda retorica equivale a una negazione: la cura della tomba e il pianto dei vivi non servono al morto, perché non possono evitare che la morte sia totale annullamento. Ove più il Sole per me alla terra non fecondi questa bella d'erbe famiglia e d'animali, e quando vaghe di lusinghe innanzi a me non danzeran l'ore future, né da te, dolce amico, udrò più il verso e la mesta armonia che lo governa, né più cor mi parlerà lo spirto delle vergini Muse e dell'amore, unico spirto a ma vita raminga, qual fia ristoro a' di perduti un sasso che distingua le mie dalle infinite ossa che in terra e in mar semina morte? (3). 3) "Quando per me che sarò morto e non sentirò più nulla, il sole non feconderà più la terra, facendo generare questa bella famiglia di esseri vegetali e animali, e quando le ore future non danzeranno dinanzi a me, non mi offriranno alcuna aspettativa, attraenti per le promesse lusinghiere che esse recano con sé, e non udrò più da te, dolce amico Pindamonte, i tuoi versi regolati da una mesta armonia 23 [Pindemonte era un Poeta di ispirazione malinconica] e la poesia e l'amore non parleranno più al mio cuore [le Muse sono dette vergini ad indicare l'elevatezza dell'ispirazione e il valore purificatore della Poesia], unico stimolo di vita spirituale ["spirto"] alla mia vita di esule, come potrà compensarmi dei giorni perduti ["dì perduti"] che non vivrò, una pietra tombale che distingua le mie ossa dalle infinite altre che la morte dissemina per terra e mare? [Il fatto di avere una tomba non compensa i beni della vita che l'uomo perde morendo]. Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme, ultima Dea, fugge i sepolcri (4); e involve tutte cose l'obblio nella sua notte; e una forza operosa le affatica di moto in moto (5); e l'uomo e le sue tombe e l'estreme sembianze e le reliquie della terra e del ciel traveste il tempo (6). 4) Anche la speranza ("Speme") abbandona le tombe: cioè non vi è alcuna speranza di sopravvivenza dopo la morte. 5) la dimenticanza avvolge ogni cosa nelle sue tenebre, cancella ogni traccia degli esseri esistenti,e la forza della Natura, sempre all'opera li trasforma in un continuo travaglio ("affatica") distruggendo le forme assunte dalla materia e ricreando da esse forme diverse. Parere di Lunaria: anche in de Sade, materialista convinto, in "Justine", appare questo discorso, della dissoluzione di ogni cosa, per opera della Natura-Matrigna, tema anche Leopardiano, del resto. 6) Il tempo muta e rende irriconoscibili ("traveste") l'uomo, le tombe, i resti mortali dell'uomo e i vari aspetti della terra e del cielo, che sono i residui di una catena di trasformazioni precedenti. Ma perché pria del tempo a sé il mortale invidierà l'illusion che spento pur lo sofferma a limitar di Site? (7) Non vive ei forse anche sotterra, quando gli sarà muta l'armonia del giorno, 24 se può destarla con soavi cure nella mente de' suoi? (8) Celeste è questa corrispondenza d'amorosi sensi, celeste dote è negli umani; (9) e spesso per lei (10) si vive con l'amico estinto, e l'estinto con noi, se pia la terra che lo raccolse infante e lo nutriva, nel suo grembo materno ultimo asilo porgendo, sacre le reliquie renda dall'insultar de' nembi e dal profano piede del vulgo, e serbi una sasso il nome, e di fiori odorata arbore amica le ceneri di molli ombre consoli.(11) 7) "Ma perché l'uomo, prima che sia il momento di morire, dovrà privarsi dell'illusione (di poter sopravvivere), che lo trattiene al di qua della soglia della morte?" "Dite" è il Regno dei Morti nella mitologia classica. Anche se la ragione dimostra che la morte è la fine di tutto, l'uomo deve mantenere l'illusione di una sopravvivenza dopo di essa. 8) "Non continua a vivere anche sottoterra, quando la bellezza del mondo dei vivi ("giorno": il mondo della luce, delle persone vive) non potrà più parlargli, destar sentimenti, se può suscitare l'illusione di essere ancora vivo nella mente dei suoi attraverso un'affettuosa partecipazione?" Cioè l'uomo si illude di non morire del tutto se rimane nel ricordo dei suoi cari; per questo però è necessaria la tomba che tenga desta la memoria. 9) Questa corrispondenza affettiva tra il morto e i viventi è una dote divina per gli uomini, dà cioè una forma di immortalità che li accomuna agli Dèi. 10) "Per lei", ovvero grazia a questa corrispondenza. 11) "A patto che la terra che appena nato, accolse e nutrì l'uomo, offrendogli pietosamente l'ultimo rifugio nel suo grembo materno ("con la sepoltura"), rende sacri i suoi resti, preservandoli dall'azione distruttrice delle tempeste("insultar de' nembi") e dal piede profanatore del volgo, e a patto che una pietra tombale conservi il suo nome ed un albero amico ("arbore"), profumato di fiori, consoli le ceneri con le sue gradevoli ombre". Non è inutile, quindi, che la tomba sia protetta da ombre e un sasso serbi la 25 memoria del nome. La terra è raffigurata in sembianze materne: morire, per Foscolo, è come rientrare nel grembo che ci ha generati. Sol chi non lascia eredità d'affetti poca gioia ha dell'urna (12); e se pur mira dopo l'esequie, errar vede il suo spirto fra'l compianto de' templi acherontei, o ricovrarsi sotto le grandi ale del perdono d'Iddio; ma la sua polve lascia alle ortiche di deserta gleba ove né donna innamorata preghi, né passeggier solingo oda il sospiro che dal tumulo a noi manda Natura. (13) 12) "Solo chi non lascia tra i vivi nessuno che lo ami - si può intendere una persona arida e malvagia - non ricava nessun conforto dal pensiero di avere una tomba: non potrà sperare di sopravvivere nel ricordo." 13) Se spinge lo sguardo dopo le esequie, se cerca di immaginare ciò che sarà di lui dopo la morte, vede la sua anima errare tra i lamenti dei dannati nelle regioni infernali ("Templi Acherontei"): è un'eco degli Acherusia Templa di Lucrezio. "Templi" conserva il senso archaico del termine latino. "Rifugiarsi sotto le ali del perdono di Dio" si intende come pensare di essere salvato o dannato, "ma lascia i suoi resti alle ortiche di un angolo di terra deserta ("Gleba"), dove non viene a pregare nessuna donna che lo ami, né il passante solitario può sentire il sospiro che la natura manda dalla tomba, cioè, dalla tomba sembra fuoriuscire il sospiro del defunto, che esprime il desiderio di sopravvivere connaturato con l'uomo; è un concetto che proviene dall'Elegia di Thomas Gray: "Even from the Tomb the voice of Nature cries = anche dalla Tomba grida la voce della Natura". 26 Pur nuova legge impone oggi i sepolcri fuor de' guardi pietosi, e il nome a' morti contende (14). E senza tomba giace il tuo sacerdote, o Talia, che a te cantando nel suo povero tetto educò un lauro con lungo amore; e t'appendea corone (15); e tu gli ornavi del tuo riso i canti che il lombardo pungean Sardanapalo, cui solo è dolce il muggito de' buoi che dagli antri abduani e dal Ticino lo fan d'ozi beato e di vivande. (16) O bella Musa, ove sei tu? Non sento spirar l'ambrosia, indizio del tuo Nume, fra queste piante ov'io siedo e sospiro il mio tetto materno (17). E tu venivi e sorridevi a lui sotto quel tiglio ch'or con dimesse frondi va fremendo perchè non copre, o Dea, l'urna del vecchio 27 cui già di calma era cortese e d'ombre.(18) 14) "Nonostante questo alto significato delle tombe, oggi una nuova legge impone di seppellire i morti in cimiteri comuni fuori delle città e sottrae ad essi la possibilità di avere una lapide col loro nome." Foscolo si riferisce all'editto di Saint-Cloud, e a disposizioni analoghe, di ispirazione illuministica, che erano state adottate in precedenza dal governo austriaco. Difatti il Poeta Parini, morto nel 1799, era già stato sepolto secondo tali norme. 15) Parini, sacerdote di Talia, cioè poeta satirico (Talia era la Musa della Commedia), che cantando in suo onore, coltivò con costante amore nella sua povera casa un alloro (pianta sacra ad Apollo, Dio della Poesia), e le appendeva con corone in segno di devozione. L'immagine metaforica significa che Parini aveva un culto per la poesia, che praticava disinteressatamente, con totale dedizione, anche a prezzo della povertà. 16) La Musa ispirava l'ironia dei canti (l'opera "Il Giorno") con cui Parini colpiva i nobili lombardi oziosi e corrotti a cui stavano a cuore solo le proprietà, il muggito dei buoi che dalle stalle del Lodigiano e del Ticino li rendevano beati, procurando loro ozio e cibi pregiati. Sardanapalo era un re assiro, noto per il suo lusso e la sua corruzione. "Abduani" da "Abdua", nome latino di Lodi; qui Foscolo riproduce lo stile di Parini nel "Giorno", l'uso di termini aulici ed immagini ricercate per esprimere realtà prosaiche, a fini ironici. 17) "Fra questi tigli dove io siedo sospirando la mia patria, non sento diffondersi nell'aria il profumo di ambrosia, indizio della presenza divina della Musa." L'ambrosia era l'unguento degli Dei. Accanto a Parini - che aveva incontrato in questo boschetto di tigli - sembrava al Poeta di sentire la Presenza Divina della Poesia; ora non la sente più, perchè Parini è morto. 18) "Tu (la Musa) venivi e sorridevi a Parini (in segno della tua benevolenza) sotto quel tiglio che ora, come intristito ("con dimesse fronde") freme perché non copre il sepolcro del vecchio poeta, a cui aveva già offerto generosamente, quando era in vita, tranquillità e ombra." Ritorna l'immagine del sepolcro confinato dall'ombra degli alberi, 28 ma in negativo: Parini non è sepolto sotto il tiglio, perché dall'editto di Saint-Cloud, erano state adottate leggi che imponevano di seppellire i morti in cimiteri comuni fuori dalle città, e Parini, morto nel 1799, era già stato sepolto secondo tali norme. Forse tu fra plebei tumuli guardi vagolando, ove dorma il sacro capo del tuo Parini? A lui non ombre pose tra le sue mura la città, lasciva d'evirati cantori allettatrice, non pietra, non parola; (20) e forse l'ossa col mozzo capo gl'insanguina il ladro che lasciò sul patibolo i delitti. (21) Senti raspar fra le macerie e i bronchi la derelitta cagna ramingando su le fosse, e famelica ululando; e uscir del teschio, ove fuggia la Luna, l'upupa, e svolazzar su per le croci sparse per la funerea campagna, e l'immonda accusar col luttuoso singulto i rai di che son pie le stelle alle obbliate sepolture. Indarno sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade dalla squallida notte. (23) Ahi! su gli estinti non sorge fiore, ove non sia d'umane lodi onorato e d'amoroso pianto. Una delle parti più sublime del Carme, a mio parere, e che riecheggia dello stile sepolcrale e oscuro delle Tragedie Foscoliane. Vediamo meglio i significati: 19) "Forse tu, Musa, vaghi tra le tombe plebee dei cimiteri suburbani, cercando la tomba del tuo Parini?". Ricordiamo che precedentemente Foscolo aveva immaginato Parini, mentre omaggiava la Musa della Commedia, Talia. Spicca la contrapposizione tra il "capo sacro" del poeta e i tumuli "plebei": Foscolo vuole dire: "Il corpo dell'uomo insigne e illustre è profanato dalla mescolanza con i corpi di persone ignobili". 20) "La città corrotta di Parini, Milano, che attira e compensa con successo i cantanti evirati, e non ha dedicato al poeta Parini 29 neppure una tomba, dei cipressi che la ombreggiassero, o un'epigrafe ("Parola") che lo ricordasse." Nel Settecento i cantanti lirici evirati da fanciulli, in modo che conservassero la voce bianca per le parti femminili, erano dei veri e propri divi, che godevano di enorme successo. Contro questa usanza, Parini si era scagliato nell'Ode "La Musica". 21) Parini, in obbedienza alle norme vigenti, fu sepolto nel campo comune del cimitero di Porta Comasina, in cui venivano gettati anche i cadaveri dei giustiziati. Per rendere questo a livello poetico, Foscolo immagina che un ladro appena giustiziato sul patibolo, insanguini le ossa del poeta Parini, con il suo capo mozzato. Foscolo vuole mettere in evidenza come le norme sulle sepolture violino tutti i valori più sacri, impedendo che le tombe degli uomini insigni ed illustri esercitino la loro funzione di esempio, spronando all'imitazione. 22) "Tra le macerie di tombe in rovina e gli sterpi ("Bronchi") che crescono fra di esse, si sente raspare la cagna randagia ("derelitta") che vaga tra le fosse e ulula famelica; e si vede un'upupa uscire da un teschio, dove si era rifugiata per sfuggire alla luce lunare, svolazzando tra le croci sparse per il campo del cimitero, e si sente l'immondo uccello lanciare il suo lugubre verso, con il quale sembra rimproverare le stelle perché illuminano con il loro raggio pietoso le sepolture dimenticate." L'upupa, nella tradizione, era -erroneamente- creduta uccello notturno e luttuoso. Tutta questa strofa rimanda al gusti cimiteriale della Poesia Inglese, Young e Gray, ma anche ai "Canti di Ossian", o lo stesso Parini della "Notte" e il Monti della "Bassvilliana". Personalmente, tenterei anche un confronto con alcune delle Poesie Rinascimentali Italiane che avrò modo di riportare più in là, perché fascinazioni sepolcrali si ritrovano anche in poeti come Matteo Bandello, Giovanni Guidiccioni, Giovan Battista Strozzi, Luigi Tansillo, tutti del 1500 (che in un certo senso, anticipano la Poesia Cimiteriale Inglese!). 23) Foscolo si rivolge sempre alla Musa Talia: "Invano invochi dalla notte arida delle rugiade sulla tomba del poeta". La rugiada può essere vista simbolicamente come un pianto che conforti la sepoltura. 24) Sui morti non spuntano fiori, se l'estinto non riceve le cure dei 30 vivi che lo onorano con le loro lodi e lacrime, segni del loro amore. La Pietas verso i morti è dovere della civiltà umana, perché la Natura (ecco di nuovo il riferimento alla Natura Matrigna, tipico anche del Leopardi) è impietosa, e prosegue nella sua opera di decomposizione e di distruzione. Dal dì che nozze e tribunali ed are dietro alle umane belve esser pietose di sé stesse e d'altrui, toglieano i vivi all'etere maligno e alle fere i miserandi avanzi che Natura con veci eterne a sensi altri destina. (25) Testimonianza a' fasti eran le tombe, ed are a'figli; e uscian quindi i responsi de' domestici Lari, e fu temuto su la polve degli avi il giuramento:(26) religion che con diversi riti le virtù patrie e la pietà congiunta tradussero per lungo ordine d'anni (27). Non sempre i sassi sepolcrali a' templi fean pavimento; né agl'incensi avvolto de' cadaveri il lezzo i supplicanti contaminò; (28) né le città fur meste d'effigiati scheletri (29): le madri balzan ne' sonni esterefatte, e tendono nude le braccia su l'amato capo del lor caro lattante onde nol desti il gemer lungo di persona morta chiedente la venal prece agli eredi del santuario. (30) 25) "Da quando le istituzioni della famiglia ("Nozze"), della Giustizia ("Tribunali") e della religione ("Are" = "Altari") consentirono agli uomini, che allo stato primitivo erano come belve feroci, di aver pietà e rispetto di se stessi e dei propri simili, i vivi sottraevano all'azione distruttrice della Natura (aria e belve feroci) i miseri resti dei cadaveri, che esposti all'azione della Natura, che con un ciclo di continua trasformazione della materia ("Veci eterne"), 31 destina ad assumere altre forme." Il rispetto dei morti è per Foscolo un segno di incivilimento, insieme alle altre istituzioni fondamentali delle civiltà. è un concetto ripreso dalla "Scienza nuova" di Vico. 26) "Le tombe erano testimonianza delle glorie del passato ("Fasti") e altari per i figli (i defunti venivano venerati come Dèi); dalle tombe venivano i responsi dei defunti, divenuti Lari, divinità domestiche, e il giuramento pronunciato sulle ceneri degli antenati era considerato sacro." Foscolo elenca alcuni esempi della funzione civile delle tombe nelle società del mondo antico. 27)"Le virtù tradizionali, congiunte con la pietà, tramandarono per una lunga serie di anni questo culto religioso dei morti, in diverse forme ("Diversi riti")." Intorno al culto dei morti si concentrano tutti i valori di una civiltà, poichè le tombe serbano il ricordo del passato. 28) "Non sempre i defunti erano sepolti nelle chiese (le lapidi facevano da pavimento alle chiese), né il puzzo dei cadaveri, mescolato al profumo dell'incenso contaminò i fedeli che pregavano (come avveniva nel Medioevo)". 29) Né le città eran rattristate dalle raffigurazioni di scheletri. Pitture e sculture di scheletri erano diffuse nel Medioevo, le Totentanz, per ricordare che l'uomo è creatura mortale e deve distaccarsi dai beni del mondo. 30) Foscolo esamina gli effetti psicologici della presenza ossessiva della morte nella civiltà cristiana del Medioevo: "Le madri balzano 32 terrorizzate dal sonno e protendono le braccia nude a proteggere il figlio lattante, affinchè non lo destino i lunghi gemiti di un defunto che chiede agli eredi di far celebrare a pagamento delle messe a suffragio della sua anima." L'aggettivo "Venal" traduce l'atteggiamento sprezzante di Foscolo contro i preti che si fanno pagare per recitare preghiere per i defunti. L'allusione agli "eredi" viene interpretata a questo modo: il familiare ha lasciato un'eredità, ma esige in cambio, con quel denaro, delle messe, e terrorizza gli eredi per averle. Ma cipressi e cedri di puri effluvi i zefiri impregnando perenne verde protendean su l'urne per memoria perenne, e preziosi vasi accogliean le lacrime votive. (31) Rapian gli amici una favilla al Sole a illuminar le sotterranea notte, perchè gli occhi dell'uom cercan morendo il Sole; e tutti l'ultimo sospiro mandano i petti alla fuggente luce (32). Le fontane versando acque lustrali, (33) amaranti educavano (34) e viole su la funebre zolla; e chi sedea a libar latte e a raccontar sue pene ai cari estinti, una fragranza intorno sentìa qual d'aura de' beati Elisi. (35) Pietosa insania, che fa cari gli orti de' suburbani avelli alle britanne vergini dove le conduce amore della perduta madre, ove clementi pregaro i Geni del ritorno al prode che tronca fe' la trionfata nave del maggior pino, e si scavò la bara. (36) Ma ove dorme il furor d'inclite geste e sien ministri al vivere civile l'opulenza e il tremore, inutil pompa e inaugurate immagini dell'Orco sorgon cippi e marmorei monumenti. (37) 33 31) Alle costumanze cristiane del Medioevo, che ritiene barbariche, Foscolo contrappone come più civil quelle pagane dell'età classica: "Cipressi e cedri, impregnando l'aria primaverile ("zefiri") di puri profumi (in contrapposizione con il lezzo dei cadaveri nella chiese) protendevano sulle tombe i loro rami dal verde perenne, simbolo del perenne ricordo, e preziosi vasi raccoglievano le lacrime votive" (si credeva che i vasi lacrimali trovati nelle tombe pagane servissero a raccogliere le lacrime versate dai famigliari; in realtà contenevano profumi). 32) "Gli amici sottraevano una favilla al Sole per illuminare l'oscurità delle tombe (era uso degli antichi porre nelle tombe sotterranee delle lampade votive, simbolo di vita) perché l'uomo morendo cerca la luce, e tutti mandano un sospiro di rimpianto alla luce che li abbandona." Per Foscolo l'idea della morte nel mondo classico è collegata con la luce: la vita ("Armonia del giorno") vince sulla morte. 33) Lustrali = Purificatrici 34) Educavano = facevano crescere 35)"Chi sedeva presso il sepolcro a spargervi latte (secondo l'uso rituale antico) o a raccontare le sue pene ai suoi cari defunti, sentiva intorno un profumo (di fiori, di unguenti) come se si trovasse nei Campi Elisi, dove stanno i beati". Torna il motivo della "corrispondenza d'amorosi sensi" tra i vivi e i morti. La sepoltura pagana, nella sua cornice serena e luminosa, associa alla morte l'idea di un rapporto affettuoso con i vivi e l'idea della pace e della felicità; mentre la sepoltura cristiana evoca l'idea paurosa di atroci sofferenze ("Gemer lungo"). 36) Questa sensazione di trovarsi insieme con il caro defunto, grazie alla cornice serena e ridente della sepoltura, è una follia, un'illusione ("Insania") che nasce dall'amore e dalla pietà per essi; una analoga illusione rende cari alle fanciulle inglesi i giardini dei cimiteri suburbani, dove le spinge l'amore per la madre perduta, ma dove pregano anche i Geni protettori della patria affinché concedano clementi il ritorno all'eroe nazionale, l'ammiraglio Nelson, impegnato nella guerra contro Napoleone. Nelson aveva fatto tagliare l'albero maestro ("Maggior pino") alla nave ammiraglia francese ("La trionfata nave" = "la nave vinta") dopo la battaglia di Abikir (1798) e se ne era fatta una bara. 37) Ma in quei paesi (come l'Italia) in cui è spento l'ardore di gesta 34 eroiche ("Inclite = illustri") e la vita civile è dominata solo dalla smania di arricchirsi ("Opulenza") e dalla paura servile dinnanzi al potere ("Tremore"), colonne funebri ("Cippi") e tombe di marmo sono solo inutile sfoggio ("Pompa") e malaugurate immagini di morte ("Inaugurate": "in" è prefisso negativo; "Orco" è l'aldilà pagano); vale a dire che le tombe non sono esempi di virtù civile e stimolo all'azione. Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, decoro e mente al bello italo regno, nelle adulate reggie ha sepoltura già vivo, e i stemmi unica laude (38). A noi morte apparecchi riposato albergo, ove una volta la fortuna cessi dalle vendette, e l'amistà raccolga non di tesori eredità, ma caldi sensi e di liberal carme l'esempio. (39) 38) "I ceti dirigenti del Regno d'Italia sono già sepolti, pur essendo ancora vivi, nelle regge dove costantemente si piegano ad adulare i dominatori, e come unico motivo d'onore ("Laude") hanno i titoli nobiliari (ereditati da antica data, o concessi di recente da Napoleone)." Gli intellettuali, i ricchi commercianti e i nobili ("Il dotto, e il ricco ed il patrizio vulgo") erano i tre collegi elettorali del Regno Italico. Sono definiti spregiativamente "vulgo" perchè per Foscolo non hanno la dignità di una vera classe dirigente. Così è sarcastica la definizione di "Decoro e mente" ("Onore e intelligenza") come l'epiteto "Bello" attribuito al regno napoleonico d'Italia. 39) Alla viltà servile dei suoi compatrioti Foscolo contrappone la propria figura di uomo libero. Il passaggio logico rispetto a ciò che precede è: i ceti dirigenti italiani sono già morti quando sono ancora vivi; "per me invece la morte prepari un rifugio di pace ("Riposato albergo"), dove finalmente la sorte cessi di perseguitarmi, e gli amici ("Amistà" = "Amicizia")raccolgano come mia eredità non ricchezze, ma appassionati sentimenti e l'esempio di una poesia che conservi il senso della libertà e della dignità umana." Per il motivo della morte come rifugio di pace, si leggano i Sonetti di Foscolo "Alla sera" e "In morte del fratello Giovanni". Se le tombe dei suoi compatrioti sono 35 inutili, dalla sua tomba deve scaturire un esempio civile: l'affermazione offre al poeta lo spunto per passare a trattare, nei versi successivi, della funzione di esempio che possiedono le tombe dei grandi uomini. A egregie cose il forte animo accendono l'urne de' forti, O Pindemonte; e bella e santa fanno al peregrin la terra che le ricetta.(40) Io quanto il monumento vidi (41) ove posa il corpo di quel grande, che temprando lo scettro a' regnatori, gli allor ne sfronda, ed alle genti svela di che lagrime grondi e di che sangue (42); e l'arca di colui che nuovo Olimpo alzò in Roma a' Celesti (43); e di chi vide sotto l'etereo padiglion rotarsi più mondi, e il Sole irradiarli immoto, onde all'Anglo che tanta ala vi stese sgombrò primo le vie del firmamento (44); 40) Le tombe dei grandi uomini infiammano gli animi nobili a compiere grandi azioni e rendono bella e sacra allo straniero la terra che le accoglie. Come esempio di questa massima, propone subito le tombe di Santa Croce a Firenze. 41) Comincia di qui un ampio inno a Firenze. "Io, quando vidi le tombe di Santa Croce gridai: Beata te, Firenze, sia per la bellezza del tuo paesaggio, sia per le tue glorie letterarie, ma soprattutto perché accogli in quel tempio le glorie italiane, le uniche rimaste da quando cominciò il declino politico dell'Italia e la dominazione straniera." 42) "Quando vidi la tomba dove riposa Machiavelli, quel grande che, insegnando (nel "Principe") ai regnanti l'arte di governare ("Temprando lo scettro"), ne toglie gli allori (cioè priva il potere regale delle apparenze di gloria che lo circondano) e rivela ai popoli come il potere si fondi sulle sofferenze imposte ai sudditi ("Lagrime")e sui delitti ("Sangue"). Foscolo riprende qui l'interpretazione Obliqua" del "Principe", già comparsa nel Sei e Settecento, secondo cui Machiavelli, con il pretesto di dar consigli ai principi, avrebbe avuto l'intenzione di svelarne la crudeltà. 43) è sempre retto da "Vidi": "Ed il sepolcro di Michelangelo che 36 innalzò a Roma la cupola di San Pietro" (per la sua mole immensa paragonata al Monte Olimpo, sede degli dèi greci). Si osservi il classicismo laico di Foscolo, che designa in termini pagani il massimo tempio della cristianità. 44) La tomba di Galileo, che mediante il telescopio vide più pianeti ruotare nella volta celeste ("Etereo padiglion") e il sole illuminarli immobile, aprendo così per primo le vie della ricerca astronomica all'inglese Newton, proseguendo sulla strada da lui tracciata, formulò le leggi della gravitazione universale. Te beata, gridai (45), per le felici aure pregne di vita, e pe' lavacri che da' suoi gioghi a te versa Apennino! (46) Lieta dell'aer tuo (47) veste (48) la Luna di luce limpidissima i tuoi colli per vendemmia festanti, e le convalli popolate di case e d'oliveti mille di fiori al ciel mandano incensi (49): e tu prima, Firenze, udivi il carme che allegrò l'ira al Ghibellin fuggiasco (50), e tu i cari parenti e l'idioma desti a quel dolce di Calliope labbro (51) che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma d'un velo candidissimo adornando, rendea nel grembo a Venere Celeste.(52) Ma più beata ché in un tempio accolte serbi l'itale glorie (53), uniche forse sa che le mal vietate Alpi e l'alterna onnipotenza delle umane sorti armi e sostanze t'invadeano ed are e patria e, tranne la memoria, tutto.(54) 45) "Gridai" è il verbo principale. 46) "Gridai felice te, Firenze, per la tua aria salubre e vivificatrice, e per le acque pure dei fiumi e dei ruscelli ("Lavacri") che l'Appennino versa a te dai suoi gioghi!" 47) "Lieta del tuo cielo terso" 48) "Veste" = "Riveste" 49) "Mandano al cielo mille profumi di fiori" 37 50) Dopo le bellezze naturali, il Poeta torna a cantare le glorie culturali di Firenze: "Tu per prima udisti il poema che alleviò lo sdegno di Dante esule". Foscolo accoglie la tradizione secondo cui Dante è definito "Ghibellin" perché sostenne l'indipendenza dell'imperatore dal papa e fu fautore della restaurazione del potere imperiale in Italia; in realtà nella sua attività politica in Firenze, Dante fu vicino ai Guelfi bianchi. Foscolo immagina che nella poesia Dante abbia trovato sollievo all'amarezza dell'esilio e allo sdegno per la corruzione della sua città e dell'Italia. 51) "Tu, Firenze, desti i genitori e la lingua a Petrarca, attraverso la cui bocca sembrava parlare la dolce voce della musa Calliope". Petrarca nacque nel 1304 ad Arezzo da genitori fiorentini ed usò la lingua fiorentina per il suo "Canzoniere". Calliope è propriamente la musa dell'Epica, ma qui sta ad indicare la poesia in genere. 52) Petrarca nella sua poesia spiritualizzò l'amore, che nella poesia classica era sensuale ("Nudo"); in tal modo la restituì a Venere celeste, Dea degli amore casti e spirituali, ed una Venere terrestre, Dea degli amori sensuali. 53) Ma soprattutto Firenze è beata, perché conserva in una chiesa (Santa Croce) le glorie italiane (le tombe dei grandi sopra menzionate) 54) Tali glorie del passato sono forse le uniche rimaste all'Italia da quando i confini delle Alpi mal difesi e la legge ineluttabile delle sorti umane (che ora innalza i prodi ora li fa decadere) hanno fatto sì che gli stranieri la spogliassero delle armi, della ricchezza, della sua religione ("Are") della libertà nazionale, ("Patria") e, tranne le memorie del passato, di tutto. Che ove speme di gloria agli animosi intelletti rifulga ed all'Italia, quindi trarrem gli auspici (55). E a questi marmi (56) venne spesso Vittorio (57) ad ispirarsi. Irato a' patrii Numi, errava muto ove Arno è più deserto, i campi e il cielo desioso mirando; e poi che nullo vivente aspetto gli molcea la cura qui posava l'austero; e avea sul volto il pallor della morte e la speranza.(58) Con questi grandi abita eterno (59), e l'ossa 38 fremono amor di patria (60). Ah sì! da quella religiosa pace un Nume parla: e nutrìa contro a'Persi in Maratona ove Atene sacrò tombe a' suoi prodi, la virtù greca e l'ira (61). Il navigante che veleggiò quel mar sotto l'Eubèa (62), vedea per l'ampia oscurità scintille balenar d'elmi e di cozzanti brandi, fumar le pire igneo vapor (63), corrusche d'armi ferree vedea larve guerriere cercar la pugna (64); e all'orror de' notturni silenzi si spandea lungo ne' campi di falangi un tumulto e un suon di tube (65), e un incalzar di cavalli accorrenti scalpitanti su gli elmi a'moribondi, e pianto, ed inni, e delle Parche il canto. (66) Felice te che il regno empio de' venti, Ippolito, a' tuoi verdi anni correvi! (67) 55) "Se un giorno tornerà a risplendere una speranza di gloria per gli animi generosi e per l'Italia, di qui verremo a trarre ispirazione ad agire". La speranza di gloria allude alla lotta per la rinascita dell'Italia. Foscolo riprende qui la massima generale enunciata all'inizio di questa sezione: "A egregie cose il forte animo accendono/l'urne de' forti" conferendole un preciso valore politico in riferimento ad una situazione particolare. 56) Alle tombe di Santa Croce. 57) Il Poeta Alfieri. L'uso del nome proprio sottolinea come in Alfieri, Foscolo veda un'anima fraterna, con i suoi stessi sentimenti. 58) "Irato contro gli dèi protettori della patria, (perché sono indifferenti dinnanzi alla sua degradazione), errava in silenzio nei luoghi più deserti in riva all'Arno guardando i campi e il cielo, desideroso di trovarvi un conforto alle proprie delusioni politiche; e poiché nessun aspetto del mondo dei vivi alleviava la sua pena ("Gli molcea la cura"), quell'uomo austero veniva a fermarsi tra le tombe dei morti a Santa Croce, ed aveva sul volto il pallore della morte vicina e la speranza di una rinascita futura dell'Italia." La speranza di Alfieri è suscitata dalla vista delle tombe dei grandi uomini. 59) Anche Alfieri è sepolto in Santa Croce. 39 60) Dalle ossa di Alfieri sembra ancor provenire il fremito di amor di patria che lo animava in vita. 61) Con trapasso improvviso, Foscolo collega le tombe di Santa Croce alle tombe di Maratona: "Dalla pace di Santa Croce spira un senso religioso di amor di patria; questo stesso spirito alimentò il valore e l'ira dei Greci contro i Persiani a Maratona, dove Atene consacrò le tombe dei suoi guerrieri". Nella battaglia di Maratona (490 a.C) i Greci fermarono i Persiani che avevano invaso la Grecia. La religione che spira dalla chiesa di Santa Croce per Foscolo non è lo spirito religioso cristiano, ma la religione dell'amor di patria: è una delle numerose manifestazioni di spirito fortemente laico presenti nel Carme. 62) A partire da questo punto, viene rievocata la battaglia di Maratona. Lo spunto è preso dallo scrittore greco Pausania, che afferma che i naviganti, passando di notte lungo l'isola di Eubea (che è di fronte alla pianura di Maratona) vedevano ombre di guerrieri rinnovare la battaglia. Questo scontro notturno di fantasmi però risponde a un gusto lugubre, ossianesco e preromantico. 63) I roghi dei cadaveri ("Pire") emanano fumo misto a bagliori di fiamme ("Igneo vapor") 64) Vedeva fantasmi ("Larve") di guerrieri luccicanti ("Corrusche") d'armi ferree cercare la battaglia. 65) Tube = Trombe (Latinismo) 66) "Il pianto dei vinti e gli inni dei vincitori." Le Parche erano le Dee che filavano il filo della vita umana; col loro canto vaticinavano le sorti degli uomini nascenti e dei morenti. 67) Come i luoghi della battaglia di Maratona serbano ancora la memoria degli antichi fatti gloriosi, così la serbano i luoghi dell'Asia minore dove si svolse la guerra di Troia. Per questo Pindemonte è stato fortunato per aver potuto visitare quei luoghi nei suoi viaggi giovanili e per aver sentito riecheggiare in essi le imprese degli eroi omerici. "Il regno ampio de' venti" è il mare (immagine omerica). E se il piloto ti drizzò l'antenna oltre l'isole egèe, d'antichi fatti certo udisti suonar dell'Ellesponto i liti (68), e la marea mugghiar portando alle prode retèe l'armi d'Achille 40 sovra l'osse d'Aiace (69): a' generosi giusta di glorie dispensiera è morte; (70) né senno astuto, né favor di regi all'Itaco le spoglie ardue serbava, ché alla poppa raminga le ritolse l'onda incitata dagl'inferni Dei. (71) 68) "E se il timoniere indirizzò la nave ("Antenna" è l'albero che regge le vele) oltre alle isole Egee, certo udisti le rive dell'Ellesponto (lo stretto dei Dardanelli, presso cui sorgeva Troia) risuonar delle antiche gesta." 69) "A Pindemonte, immagina il poeta, sembra ancor di sentire muggire la marea che riportò le armi di Achille sulle ossa d'Aiace, giacenti sul promontorio Reteo, vicino a Troia." Alla morte di Achille le sue armi sarebbero dovute toccare al più forte dopo di lui, Aiace; ma Ulisse, con astuti raggiri, riuscì a farle assegnare ingiustamente a sé. Aiace, per il dolore, impazzì e tornato in sé si uccise. Ma mentre Ulisse tornava in patria, una tempesta lo fece naufragare, riportando le armi sul sepolcro di Aiace. 70) "La morte distribuisce equamente la gloria agli animi generosi". La tomba, conservando il ricordo dell'uomo garantisce il riconoscimento dei meriti ed il trionfo della giustizia, anche se la grandezza era stata misconosciuta in vita. Infatti Aiace col suo suicidio, ottenne il giusto riconoscimento del proprio valore, sia pure nella memoria dei posteri. 71) "Né l'astuzia (con cui si era fatto assegnare le armi) né il favore dei re (Agamennone e Menelao) consentirono ad Ulisse ("all'Itaco") di conservare le spoglie di Achille, difficili da ottenere ("Ardue" perché per ottenerle occorreva essere guerrieri valorosi), poichè il mare, sconvolto dagli dèi infernali, le tolse alla nave di Ulisse che vagava durante il ritorno in patria ("Raminga"). E me che i tempi ed il desio d'onore fan per diversa gente ir fuggitivo, me ad evocar gli eroi chiamin le Muse del mortale pensiero animatrici (72). Siedon custodi de' sepolcri e quando il tempo con sue fredde ale vi spazza 41 fin le rovine, le Pimplèe fan lieti di lor canto i deserti, e l'armonia vince di mille secoli il silenzio.(73) Ed oggi nella Tròade inseminata (74) eterno splende a' peregrini (75) un loco eterno per la Ninfa a cui fu sposo Giove, ed a Giove diè Dàardano figlio onde fur troia e Assàraco e i cinquanta talami e il regno della Giulia gente. (76) Però che quando Elettra udì la Parca che lei dalle vitali aure del giorno chiamava a' cori dell'Eliso, a Giove mandò il voto supremo (77): E se, diceva, a te fur care le mie chiome e il viso e le dolci vigilie (78), e non mi assente premio miglior la volontà de' fati (79), la morta amica almen guarda dal cielo onde (80) d'Elettra tua resti la fama. Così orando (81) moriva. E ne gemea l'Olimpio (82); e l'immortal capo accennando (83) piovea dai crini (84) ambrosia (85) su la Ninfa, e fe' sacro quel corpo e la sua tomba. 72) "Le Muse, animatrici della vita spirituale degli uomini, chiamino me a celebrare gli antichi eroi, me che i tempi, sfavorevoli agli animi generosi e amanti della libertà, ed il desiderio di gloria fanno vagare esule tra diversi popoli." Gli eroi antichi, come Aiace, hanno ricevuto la giusta gloria dopo la morte grazie al canto dei poeti; anch'io -pensa Foscolo- desidero essere chiamato dalle Muse a cantare gli eroi. Il poeta intende continuare l'opera dei poeti del passato, come Omero. Il compito di celebrare l'eroismo, per Foscolo, deve toccare a un poeta come lui che rifiuta la viltà dominante nella cultura della sua epoca ed è animato da spirito eroico, e paga per questo il prezzo dell'esilio. 73) "Quando il tempo distrugge le tombe e ne cancella persino le rovine, la poesia eredita la loro funzione di conservare la memoria e ridà vita al deserto col suo canto che vince la dimenticanza per mille secoli." Le Muse sono dette "Pimplèe" dal monte Pimpla in Tessaglia, dove era una fonte ad essa sacra. Le ali del tempo sono 42 "fredde" perché suscitano un vento freddo: il tempo distrugge la vita. I "Deserti" sono metafora dell'abbandono e della dimenticanza in cui cadono le cose quando il tempo cancella le tracce della vita di un popolo e della sua civiltà. "Lieti" vale "Fertili, ricchi di vegetazione" secondo l'uso latino ("Pabula Laeta" = "Pascoli rigogliosi" in Lucrezio). 74) La regione di Troia, oggi divenuta un deserto. La Poesia subentra alle tombe nel compito di salvare le memorie del passato. Dove un tempo sorgeva Troia, ora è il deserto. Ma quel luogo resterà famoso in eterno, perchè cantato da Omero. 75) Visitatori stranieri. 76) La Troade è divenuta eterna grazia alla ninfa Elettra, che diede a Giove un figlio, Dardano, da cui ebbe origine la stirpe troiana. Assaraco (padre di Anchise, a sua volta padre di Enea), i cinquanta figli di Priamo,("Talamo" è il letto matrimoniale) e L'Impero Romano (fondato da Cesare, dalla gente Giulia, che si vantava di discendere da Iulo, figlio di Enea). 77) "Perché quando Elettra sentì la Parca che la chiamava dall'aria e dalla luce del mondo dei vivi ("Vitali aure del giorno") ai cori dei beati nei Campi Elisi, innalzò a Giove un'ultima preghiera." La Parca è Atropo, che tronca il filo della vita. 78) Le dolci notti d'amore. 79) "E la volontà del fato non mi consente sorte migliore" cioè l'immortalità. 80) "Onde" = "Affinchè" 81) Pregando 82) Giove, Re dell'Olimpo. 83) Annuendo. 84) Capelli 85) L'ambrosia era l'unguento degli di che preservava i corpi dalla corruzione.Con questo Giove consacra il corpo e la tomba di Elettra, rendendone eterna la memoria, come la ninfa aveva chiesto. 86)"Fe'" = "Fece" Ivi posò Erittonio (87), e dorme il giusto cenere d'Ilo (88); ivi l'iliache donne sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando da' lor mariti l'imminente fato (89); ivi Cassandra (90), allor che il Nume in petto 43 le fea parlar di Troia il dì mortale, venne, e all'ombre cantò carme amoroso, e guidava i nepoti, e l'amoroso apprendeva lamento ai giovinetti (91). E dicea sospirando: Oh, se mai d'Argo, ove al Tidide e di Laerte al figlio pascerete i cavalli, a voi permetta ritorno il cielo, invan la patria vostra cercherete (92)! Le mura opra di Febo sotto le lor reliquie fumeranno (93). Ma i Penati di Troia avranno stanza in queste tombe (94); ché de' Numi è dono serbar nelle miserie altero nome (95). 87) Riposò, fu sepolto, Erittonio, figlio di Dardano. 88) Ilo, il figlio di Erittonio; sono i progenitori della stirpe troiana. 89) Sulla tomba di Elettra, in cui riposano anche i suoi discendenti, venivano le donne troiane, ("Iliache") a piangere e a pregare per allontanare dai loro mariti la morte che incombeva su di essi; ma invano, perché ben presto Troia sarebbe caduta. 90) Cassandra è figlia di Priamo. Aveva respinto l'amore di Apollo che la punì dandole la facoltà profetica, ma con la condanna di non essere mai creduta. 91) "Cassandra, quando la forza profetica del Dio Apollo le faceva predire la caduta di Troia, venne alle tombe dei progenitori e cantò alle ombre dei sepolti un inno colmo di pietà e affetto ("Carme amoroso") e vi conduceva una schiera di nipoti, insegnando il mesto inno pietoso ai giovinetti". Cassandra vuole educare i giovinetti, costretti a breve alla schiavitù, alla memoria della loro civiltà. 92) "Se mai il cielo vi consentirà di tornare a Troia dalla Grecia dove come schiavi porterete al pascolo i cavalli di Diomede (figlio di Tideo) e di Ulisse figlio di Laerte, cercherete invano la vostra patria". Era uso nel mondo antico rendere schiavi i vinti. 93) "Le mura di Troia, costruite da Apollo, fumeranno ancora sotto le loro rovine" 94) "Anche se la città sarà distrutta, resteranno ("Avranno stanza") qui nelle loro tombe gli antichi progenitori ("Penati")". 95) "è privilegio degli Dèi conservare il loro onore ("Altero nome") 44 anche nelle sventure" E voi, palme e cipressi che le nuore piantan di Priamo, e crescerete ahi presto! di vedovili lagrime innaffiati (96), proteggete (97) i miei padri: e chi la scure asterrà pio dalle devote frondi men si dorrà di consanguinei lutti e santamente toccherà l'altare (98). Proteggete i miei padri. Un dì vedrete mendico un cieco (99) errar sotto le vostre antichissime ombre (100), e brancolando penetrar negli avelli (101), e abbracciar l'urne (102), e interrogarle. Gemeranno gli antri secreti (103), e tutto narrerà la tomba Ilio raso due volte e due risorto splendidamente su le mute vie per far più bello l'ultimo trofeo ai fatati Pelidi (104). Il sacro vate (105), placando quelle afflitte alme col canto, i prenci argivi eternerà per quante abbraccia terre il gran padre Oceàno (106). E tu onore di pianti, Ettore, avrai ove fia santo e lagrimato il sangue per la patria versato, e finchè il Sole risplenderà su le sciagure umane (107). Ho desunto questo modo di poesia de' Greci i quali dalle antiche tradizioni traevano sentenze morali e politiche, presentandole non al sillogismo de' lettori, ma alla fantasia ed al cuore. Lasciando agl'intendenti di giudicare sulla ragione poetica e morale di questo tentativo, scriverò le seguenti note onde rischiarare le allusioni alle cose contemporanee, ed indicare da quali fonti ho ricavato le tradizioni antiche. 96) "E voi, palme e cipressi che le nuore di Priamo piantano, e crescerete presto bagnati dalla lacrime delle vedove". 97) Torna il motivo delle ombre degli alberi che proteggono le 45 tombe e delle lacrime che le bagnano. 98) "Chi fra i Greci vincitori si asterrà pietosamente dall'abbattere questi alberi sacri sarà risparmiato dai lutti domestici e potrà accostarsi agli altari degli Dèi" non essendo contaminato da un sacrilegio; mentre chi non rispetterà le piante sacre sarà punito dagli dèi e sarà considerato impuro. 99)è il poeta Omero, che secondo la tradizione, era cieco. Foscolo immagina che il poeta vada ad interrogare le tombe dei progenitori di Troia per trarre ispirazione al suo canto. Il motivo del poeta che si ispira alle ombre dei defunti deriva dai poemi di Ossian: col classicismo grecizzante, si fondono spunti preromantici. 100) Omero verrà in quei luoghi dopo lungo tempo, quando gli alberi saranno ormai antichi. Ciò sottolinea come le tombe preservino le memorie del passato dal trascorrere del tempo. 101) Sepolcri. 102) I vasi contenenti le ceneri dei progenitori. 103) "Le cavità più interne dei sepolcri (si tratta di tombe sotterranee) risuoneranno del lamento dei Penati per le sventure delle loro città." 104) "Le ombre dei padri narreranno la storia di Troia, rasa al suolo due volte (da Ercole e dalle Amazzoni), e risorta due volte più splendida delle rovine deserte, ma solo per rendere più bella la vittoria dei Greci, che per volontà del Fato la distruggeranno definitivamente." I Pelidi erano Achille, figlio di Peleo, e suo figlio Pirro. 105) Il Sacro Vate è Omero. Per Foscolo la funzione del Poeta è sacra. Anche Parini era definito "sacerdote" della Musa. 106) Omero cantando la guerra di Troia "placherà il dolore delle ombre dei padri, che sono afflitte per la rovina della loro città - la poesia ha la funzione di consolare il dolore - e al tempo stesso renderà eterna la fama dei principi greci ("Argivi") per tutte le terre circondate dall'Oceano, il grande fiume che secondo la mitologia greca circondava la terra - la poesia ha la funzione di eternare la gloria -" 107) "Anche tu sarai onorato e pianto, Ettore, in tutti i luoghi in cui il sangue versato per la patria sia sacro e compianto, e per tutti i tempi, finchè gli uomini, soffrendo, sapranno compiangere le sofferenze degli altri uomini." Il poeta eternerà non solo la gloria dei vincitori, ma anche quella degli sconfitti: funzione della poesia è 46 anche ispirare la pietà per le sofferenze. Altro commento, tratto da 47 Originariamente pensato come epistola in versi all'amico Ippolito Pindemonte 48 e subito trasformato in un carme eroico, questo poemetto fu composto nel 1806 ed è uno dei primi esempi di "letteratura patriottica di sfondo storico". Il motivo occasionale del carme fu l'editto di Saint-Cloud del 1804 sulla regolamentazione delle sepolture a cui si aggiunge un colloquio col Pindemonte che in quei giorni stava pensando a un poemetto sui Cimiteri, le radici vere e sentimentali dei Sepolcri vanno ricercate in una esperienza umana e poetica ben più profonda: la poesia sepolcrale, diffusa nella letteratura preromantica verso la fine del '700. La lunga meditazione sul significato della morte condotta dal poeta negli anni precedenti, come rivelano l'Ortis e i sonetti, la combattiva amarezza che lo stato politico dell'Italia napoleonica suscitava nel cuore del Foscolo (oltre che la Bellezza di Lunaria, che Foscolo contemplava di continuo) Al centro del carme sta il mito del sepolcro. Il sepolcro è l'unico elemento concreto, visibile che racchiude in sé 49 la possibilità di saldare il silenzio della morte alle vicende della vita. Attorno al mito del sepolcro ruotano e s'intrecciano i motivi più autentici della poesia moderna: la bellezza dell'universo e della vita, la fatalità della morte, la grandiosità del perenne fluire delle forme d'esistenza e l'immortalità degli uomini magnanimi dei quali vince "la forza operosa" che tutto travolge e distrugge. Il culto delle tombe esprime la continuità delle generazioni e delle stirpi, è il simbolo vivente di quell'immortalità che gli uomini sono andati raffigurandosi nelle mitologie e credenze religiose di tutti i tempi. Le tombe sono inutili ai morti: per chi lascia il regno della vita non è data alcuna speranza. L'oltretomba, per il razionalista Foscolo, è soltanto silenzio e nulla eterno. Ma ai viventi il culto delle tombe giova, in quanto desta in loro quei sentimenti e quelle passioni di virtù e di valore che gli uomini illustri lasciano in eredità. La tomba si trasfigura così in un simbolico luogo dove l'uomo perpetua se stesso, tramanda la propria memoria e dove le umane vicende trovano un profondo significato di civiltà e storia che altrimenti andrebbe smarrito. Perciò è necessario che gli italiani (che ora sono impegnati a fare cose da normaloidi. Nota di Lunaria) tornino a venerare le tombe dei loro grandi concittadini (Machiavelli, Michelangelo, Galileo, Alfieri) e a ispirare le loro azioni a tanto elevati esempi di grandezza (la percentuale di persone intelligenti nell'"italia" del 2024 si aggira su un misero 1%, se va già bene... nota di Lunaria) A celebrare il culto dei sepolcri, anche quando essi sono stati distrutti, è chiamata la poesia (e specialmente, le ricerche di Lunaria) la cui voce "vince di mille secoli il silenzio" (e come sottofondo, ci mettiamo "Dusk and Her Embrace" dei Cradle of Filth 50 e qualsiasi cd degli Abysmal Grief) * Era consuetudine antica seppellire i morti nelle chiese o nelle 51 adiacenze. Con l'editto napoleonico di St.Cloud (1804) per motivi d'igiene, si interrompe la tradizione, ordinando che tutte le sepolture avvengano in località extraurbane. Foscolo ascolta la notizia durante una conversazione da salotto e in un primo tempo, rimane del tutto indifferente, poi ci ripensa. "A egregie cose il forte animo accendono l'urne dei forti" e nascono i "Sepolcri" "Dal dì che nozze e tribunali ed are diero alle umane belve esser pietose di se stesse e d'altrui, toglieano i vivi all'etere maligno ed alle fere i miserandi avanzi che Natura con veci eterne a sensi altri destina. Testimonianza a' fasti eran le tombe, ed are a' figli; e uscian quindi i responsi de' domestici Lari e fu temuto su la polve degli avi il giuramento: religion che con diversi riti le virtù patrie e la pietà congiunta tradussero per lungo ordine d'anni" è racchiusa in questi versi tutta la concezione civile di Ugo Foscolo. Civiltà è togliersi dalla condizione di belve, dandosi costumi, leggi, religione ("nozze, tribunali ed are"); civiltà è liberarsi dal meccanismo fatale della Natura che con "veci eterne", cioè secondo immutabili leggi, distrugge e ricrea continuamente per i suoi fini quelle povere cose che noi siamo; civiltà è culto del passato, senso dell'onore e fedeltà agli ideali che gli avi ci hanno tramandato. è la sua "religione" ed egli la chiama appunto con questa parola; comunque si manifesti ("con diversi riti") questa religione civile basata sulle "virtù patrie" (cioè l'amore della propria terra) e sulla "pietà congiunta" (il vincolo di affetto che ci lega a coloro che furono del nostro sangue) è da sempre ("lungo ordine d'anni") il fondamento di ogni società degna di questo nome. Nel rievocare le varie usanze seguite nei secoli per onorare i defunti, il poeta traccia quindi un fosco quadro della superstizione medioevale: un pezzo un po' di maniera, uno dei pochi momenti meno felici del carme. 52 Ma di colpo, tornando a celebrare la bellezza e la serenità dei riti funebri classici, quando i parenti ponevano sulla tomba una torcia ardente, si risolleva a un livello altissimo di poesia. Con una impennata superba, scaturisce dal verso un'altra meravigliosa immagine, un grido sublime alla bellezza della vita, questa tormentata avventura che dura un istante, così terribilmente breve: "Rapian gli amici una favilla al Sole a illuminar la sotterranea notte, perché gli occhi dell'uomo cercan morendo il Sole; e tutti l'ultimo sospiro mandano i petti alla fuggente luce" Gli ultimi tre versi sono di una drammaticità e intensità senza uguali. Nessuno, forse, ha mai saputo esprimere con tanta dolente pietà il momento supremo della morte, l'ultimo anelito alla luce del mondo prima della Notte senza fine. A egregie cose il forte animo accendono l'urne de' forti, o Pindemonte; e bella e santa fanno al peregrin la terra che le ricetta… La parte centrale dei "Sepolcri" inizia con questi versi, che sono i più noti, forse, di tutto il carne. Non per la loro bellezza: non hanno, infatti, l'accesa passione e la splendida musicalità di altri passi, ma un tono di nobile e alta sentenza, perché riassumono perfettamente il concetto fondamentale dell'opera, partendo dal quale Foscolo espone gli altri temi più universali. A enunciare il concetto, però, bastano al poeta poco più di tre versi. Subito dopo egli sente il bisogno di farlo "vivere" e rievoca per questo una sua commossa esperienza. Nella chiesa di Santa Croce, a Firenze, il poeta si era recato a visitare le tombe dei grandi italiani che vi erano sepolti e accanto ai quali poi, anch'egli avrebbe avuto il suo monumento. Erano i primi anni del secolo: l'Italia, percorsa in ogni regione da eserciti stranieri, era divisa e dominata; e Firenze, che custodiva 53 quelle "urne de' forti" parve al poeta come il solo luogo in cui restasse ancora un segno dell'antica gloria d'Italia. Davanti ai sepolcri di Michelangelo, di Galileo, di Machiavelli, nell'atmosfera in cui vissero Dante e Petrarca, un canto di omaggio e di speranza sgorgò dal suo cuore, e chiamò "beata", benedetta, la città che serbava quelle memorie. "... beata ché in un tempio accolte Serbi l'Itale glorie, uniche forse d che le mal vietate Alpi e l'alterna Onnipotenza delle umane sorti Armi e sostanze t'invadeano ed are e patria e, tranne la memoria, tutto." è un altro dei "crescendo" dei Sepolcri: il ritmo sale di intensità insieme con le immagini rievocate dal poeta. Da solenne, quasi sacrale nell'accenno alle "itale glorie", raccolte in un "tempio", si fa spezzato, denso di amarezza nel rievocare i colpi del destino ("l'alterna onnipotenza delle umane sorti", una meditazione sulle continue vicende umane) e assume infine un tono di totale desolazione culminante in quel "tutto" che cade come l'ultimo fulmine di una tempesta. Da sempre i sepolcri hanno esercitato una funzione di incitamento: anche i Greci nella loro lotta contro i Persiani, trovarono ispirazione alla volontà di vittoria nelle tombe dei caduti di Maratona. I fantasmi degli eroi che morirono in quella battaglia tornano ogni notte, secondo la leggenda, sul luogo del loro sacrificio, e l'immagine di quelle ombre inquiete appare al navigante che passa al largo, davanti alla pianura deserta: "Il navigante che veleggiò quel mar sotto l'Eubea, vedea per l'ampia oscurità scintille balenar d'elmi e di cozzanti brandi, fumar le pire igneo vapor, corrusche d'armi ferree vedea larva guerriere cercar la pugna; e all'orror de' notturni campi silenzi si spandea lungo ne' campi di falangi un tumulto e un suon di tube, 54 e un incalzar di cavalli accorrenti." "E me che i tempi e il desio d'onore fan per diversa gente ir fuggitivo, me ad evocar gli eroi chiamin le Muse del mortale pensiero animatrici. Siedon custodi de' sepolcri e quando il tempo con sue fredde ale vi spazza fin le rovine, le Pimplèe fan lieti di lor canto i deserti, e l'armonia vince di mille secoli il silenzio." è la conclusione del discorso. Il Poeta non smentisce il suo sconsolato pessimismo, ma lo supera: è espressa in questi vesri la sua concezione dell'immortalità attraverso la poesia. Stretto da un'inquietudine che lo sospinge continuamente a "ir fuggitivo" (che fa il paio con il "Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo..." di un suo sonetto) il Poeta trova un senso alla sua vita nell'Arte (e nella Contemplazione di Lunaria, ovviamente). 55 Anche i sepolcri, un giorno, andranno in rovina: il tempo con le sue fredde "ale" (e sono le stesse, fatali e implacabili della Morte…) ne cancellerà ogni traccia; ma il canto dei poeti riempirà quel deserto; e il silenzio, il silenzio del Nulla e dell'Oblio in cui saranno precipitate le loro vite, ansie, dolori sarà vinto. L'uomo, piccola cosa nell'Universo, scompare, ma l'armonia che egli sa trarre dal suo cuore lo rende immortale. Negli ultimi versi del carme rivive la voce di Cassandra, l'infelice principessa troiana che previde la fine della sua città: "Un dì vedrete mendico un cieco errar sotto le vostre antichissime ombre, e brancolando penetrar negli avelli, e abbracciar l'urne, e interrogarle. Gemeranno gli antri secreti, e tutto narrerà la tomba Ilio raso due volte e due risorto 56 splendidamente su le mute vie per far più bello l'ultimo trofeo ai fatali Pelidi. (...) L'immagine di Omero (il cieco mendico) che abbraccia le tombe dei morti troiani e interroga quelle ombre per narrare ai posteri la loro storia, è tutta avvolta in un'atmosfera di favolosa solennità. Si avverte in questo finale epico e tragico un senso di fatalismo straziante. Ugo Foscolo non dice "in eterno", perché per lui l'eternità non esiste. Il tempo finirà con l'uomo, con la Vita: quella vita che è la sciagura dell'uomo e nello stesso tempo il suo unico bene. Nel finale, torna anche il Sole, simbolo della vita che già aveva ispirato al Poeta la meravigliosa immagine dell'estremo anelito di ogni vivente: "gli occhi dell'uomo cercan morendo il Sole" Foscolo a confronto con Hölderlin e Keats Il Carme "Dei Sepolcri" stabilì la fama poetica di Foscolo: lo spunto gli fu offerto da un tema a quel tempo molto in voga: la meditazione sulle tombe. Mentre la maggior parte degli autori divagava con concetti moralistici\sentimentali, Foscolo collocò la tomba dentro lo sviluppo storico della vita umana, come segno di civiltà che ci rende umani (e ci distingue dagli animali), come monito alla memoria dei nostri cari e dei grandi eroi, per consolarci con un'illusione di immortalità. Per Foscolo la morte va affrontata con coraggio e meditazione. Mentre della maggior parte delle tombe non si saprà nulla, altre "parlano ai vivi" incitandoli ad ispirarsi ai grandi personaggi. 57 "Le fontane versando acque lustrali amaranti educavano e viole su la funebre zolla; e chi sedea a libar latte e a raccontar sue pene ai cari estinti, una fragranza intorno sentìa, qual d'aura de' beati Elisi" Uno dei brani dei Sepolcri che per molti versi si può considerare pre-romantico. In cosa è classico il Foscolo? Nel tono, nella solennità del verso, nell'oggettività limpida dell'immagine, con quel "acque lustrali", quel sedersi sommesso e dignitoso "a raccontar le sue pene", ai defunti, il repertorio classicheggiante dei Beati Elisi. Potremo citare anche i versi classicheggianti di Hölderlin e Keats, che segnano il punto di passaggio tra Classicismo e Romanticismo: 58 "Solo un'estate, Onnipotenti, datemi ed un autunno a maturarmi il canto; così che, sazio di quel dolce giuoco, più volentieri mi si fermi il cuore! Pago sarò, se pur non mi accompagni il suono di mie corde... un solo istante, vissuto in terra avrò come gli Dei... ed altro io più non chiedo al mio Destino" (Hölderlin, "Alle Parche") "Venusta Attica forma! Con ricami di figure marmoree tessuta, con erbe peste e con silvestri rami; 59 dismaghi il pensier nostro, o forma muta, come l'eternità: Ecloga gelida! Allor che l'età nostra sarà morta rimarrai tu, in mezzo ad altro lutto che il nostro, amica all'uomo, a cui riveli: il bello è il vero, il vero è il bello" è tutto quel che in terra sapete, e quel che importa". (Keats, "Ode su un'urna greca") Come si è visto, il Classicismo intende l'Arte come strumento di elevazione morale, di miglioramento e purificazione interiore. L'Arte, la Bellezza, diventa una strada verso la Verità, fondamento della vita morale, il controllo sereno della Ragione sulla Fantasia. Infine, aggiungo anche degli stralci funebri tratti da "Ultime Lettere di Jacopo Ortis" di Foscolo 60 "Il mal tempo s'è diradato, e fa il più bel dopo pranzo del mondo. Il Sole squarcia finalmente le nubi, e consola la mesta Natura, diffondendo su la faccia di lei un suo raggio. Ti scrivo di rimpetto al balcone donde miro la eterna luce che si va a poco a poco perdendo nell'estremo orizzonte tutto raggiante di fuoco. L'aria torna tranquilla; e la campagna, benché allagata, e coronata soltanto d'alberi già sfrondati e cospersa di piante atterrate pare più allegra che non la non era prima della tempesta. Così, o Lorenzo, lo sfortunato si scuote dalle funeste sue cure al solo barlume della speranza, e inganna la sua triste ventura, con que' piaceri a' quali era affatto insensibile in grembo alla cieca prosperità - Frattanto il dì m'abbandona: odo la campagna della sera; eccomi dunque a dar fine una volta alla mia narrazione. Noi proseguimmo il nostro breve pellegrinaggio fino a che ci apparve biancheggiar dalla lunga la casetta che un tempo accoglieva. (...) Io mi vi sono appressato come se andassi a prostrarmi su le sepolture de' miei padri, e come uno di que' sacerdoti che taciti e riverenti s'aggiravano per li boschi abitati dagl'Iddii." "(...) riscaldava l'aria irrigidita dalla nebbia del morente autunno. Le villanelle vennero sul mezzodì co' loro grembiuli di festa intrecciando i giuochi e le danze di canzonette e di brindisi. (...) E quando le ossa mie fredde dormiranno sotto quel boschetto alloramai ricco ed ombroso, forse nelle sere d'estate al patetico susurrar delle fronde si uniranno i sospiri degli antichi padri della villa, i quali al suono della campana de' morti pregheranno pace allo spirito dell'uomo dabbene e raccomanderanno la sua memoria ai lor figli. E se talvolta lo stanco mietitore verrà a ristorarsi dall'arsura di giugno, esclamerà guardando la mia fossa: Egli, Egli innalzò queste fresche ombre ospitali!" (1) (1) Una versione alternativa prevedeva questa variante: "E se talvolta io, Foscolo, verrò a ristorarmi dall'arsura di giugno, esclamerò guardando la fossa di Lunaria: Ella, Ella innalzò questa Bellezza, la Donna Divina che amai! Oh Lunaria! Forse perché di una Dea Tu sei l'Imago! Sempre Ti mostri invocata." Del resto il Foscolo aveva dedicato a Lunaria una poesia nel 1796 61 dichiarando "Io non posso amare se non altamente, ardentemente, forsennatamente forse, se non Lunaria, Lei Sola", e il ricordo di Lei non poteva che imprimersi in tutte le opere del Poeta. 62 63 64 Brevi commenti ai Sonetti Info tratte da 65 In proseguimento e, almeno nelle intenzioni dell'autore, in approfondimento della linea dei "Sepocri" avrebbe dovuto collocarsi l'altro carme "Le Grazie" 66 cui il Foscolo pensava almeno fin dal 1802, che portò parecchio innanzi nel 1812-14 e che sperò sempre di terminare, rassegnandosi alfine a lasciarlo incompiuto, con notevoli incertezze circa l'ordinamento definitivo. è un'altra interpretazione poetica della storia dell'umanità vista attraverso il suo incivilimento, di cui le Grazie sono il simbolo: però la salda compattezza ideale dei "Sepolcri" qui manca, rispecchiando nella stessa frammentarietà dell'opera taluni dubbi dell'autore; anche l'espressione poetica si fa diversa, più levigata e sottile e scavata quasi a captare le vibrazioni più recondite dei suoni, e lontana dalla magnanimità (non magniloquenza) dei "Sepolcri". Il giudizio sul carme è reso più difficile dalla sua condizione di abbozzo, dalla presenza di un mare di varianti e di rifacimenti, dagli equivoci che possono nascere in noi leggendo i frammenti compiuti come poesie a sé stanti, quindi col fascino romantico della rovina, risultato a cui il Foscolo non mirava di sicuro (eppure proprio la frammentarietà delle "Grazie" fu uno dei motivi del loro revival tra i critici e i poeti del '900). D'altronde, anche nell'asserire che il Foscolo non mirava al frammento, occorre una certa cautela, perché senza dubbio il carme fu lavorato per frammenti destinati poi a essere collocati e raccordati, e a un certo punto Ugo si accorse che le forze non gli bastavano più a tanta fatica. Rimangono quindi l'estremo tentativo di dar vita e respiro agli antichi miti, inserendoli nella storia degli uomini, anche degli uomini d'0ggi (estremamente indicative sono le allusioni politiche di cui il carme è fitto), con una ricchezza alessandrina splendida ma talvolta rischiosa, nei confronti della potente semplicità dei "Sepolcri" (il che non toglie che parecchi passi siano assolutamente mirabili, e senza meno tra le massime cose del Foscolo) 67 S'ingannerebbe profondamente chi assumesse il Foscolo dell'"Ortis" o quello dei "Sepolcri" a paradigma immutabile della personalità foscoliana, assai più profonda e complessa di quanto comunemente si creda. C'è nel Foscolo infatti tutto un coté psicologico inatteso, in un atteggiamento apparentemente umile e dimesso, in realtà attentissimo al mutare della psicologia umana e alle umane debolezze, contemplate con indulgenza non servile ma consapevole. è il lato del carattere foscoliano che già figura in certi abbozzi del 1801-2 e che si è convenuto di chiamare didimeo in omaggio al personaggio di Didimo Chierico nel quale il Foscolo amò ritrarre se stesso in appendice alla sua traduzione del "Viaggio sentimentale" di Sterne pubblicata nel 1813. La passione civile e amorosa, le incertezze, le polemiche, i dubbi, le malinconie profonde, la galanteria e le ore solari dell'animo umano figurano tutti in quelle pagine, con prevalenza dell'alternanza Foscolo-Ortis e Foscolo-Didimo, due personaggi egualmente veri pur nella loro diversa realtà. 68 "Sermone Primo" (1805) Muoiono i dardi tuoi sul gelo antico, d'atlante, e dove inviolate guarda negli antri le sue prime Ombre la Notte. "Le Grazie" (1802) E dopo breve dì sacri alla Morte, vagavan tutti colle belve all'Ombra, della gran selva della terra: e gli antri eran tetto, e i Sepolcri eran Altari. "Ai Novelli Repubblicani" (1797) Quando all'Orror di Notte taciturna del tuo spento fratel l'immane spetro coi crin su gli occhi, e sanguinoso e tetro surse del tebro dall'incognit'urna a lampeggiar di livido baleno voce dall'imo seno trasse e gridò. 69 "In Morte di Amaritte - Elegia - " (1796) Qui sorge un'urna e qui in funereo manto, erran le Grazie, e qui echeggiar s'ascolta flebili versi, fioche voci, e pianto. E di cipressi sotto oscura volta cupa malinconia muta si aggira coi crin sugli occhi, e nel suo duol raccolta. Qui gemebondo a lagrimar si mira vate canuto su la sorda pietra, e ora ammuta, ora geme, ed ora sospira. Trista è così de' Morti la campagna allora che Young fra l'Ombre della Notte sulfato di Narciso egro si lagna. E al suon di sue querele alte interrotte Silenzio, Oscurità, s'alzan turbati dal ferro sonno di lor ampie grotte. "Le Rimembranze - Elegia - " (1796) E questa è l'ora: mormorar io sento co' miei sospiri in suon pietoso e basso tra fronda e fronda il solitario vento 70 "Tieste" (1797) Atto Primo. Scena I Erope: D'empi rimorsi oggetto, infausto, caro pegno d'amor, de' miei delitti O negra, O spaventosa imago! O Notte, Orrida Notte di profanato amor! Atto Terzo. Scena IV Erope: Fra poco, sì, morrommi (= morirò), e d'ogn'intorno starotti (= ti starò) Ombra d'Orrore: in mezzo a' cupi più deserti recessi io seguirotti (= ti seguirò) Là tronca i giorni tuoi, là seppellisci una trista memoria, e là confina il vituperio delle genti. Atto Quarto. Scena I Tieste: L'avrai... fumante. Orrido arcano è ormai svelato: insidia di re vil qui mi trasse: ebben, se l'abbia quella, ch'ei vuol, Morte. Tieste: Quest'è Notte di pianto, E a noi di Morte, O Pace. Odi, abbandona me al mio Furor. Tieste: Vengo, vengo. Sangue chiedi? 71 L'avrai. Quelle grand'orme che tu stampo di foco... Sieguo. Oh! Lampo! Oh! Tenebre! Oh singhiozzi moribondi! Erope... il vedi? Senti tu? Ma dove lo spettro è, che scortavami? Lo voglio, lascia, seguir. Tu, tu, vil, mi trattieni. "Ricciarda" (1812) Atto Quarto. Scena I Ricciarda: Torgli il pugnal degg'io. Né ormai può salvo fuggir per or. Né oggi vorria lasciarmi. Troppa certezza ch'io scontar col sangue deggia il dì che gli serbo. I suoi pensieri ostinata possiede. Ed oggi io stessa quel terror (vano forse) io mal mio grado più mestamente il sento. Scena II Ricciarda: Orrore di Nuove Colpe, e pietà del suo stato a questo avel (= tomba, sepolcro) mi conducean tremando. 72 Atto Quinto. Scena III Guelfo: O il Sangue oggi darammi (= mi darai) O un sempiterno pianto. Vinto non son se ho la vendetta un pugno. Guelfo: In Dio, tu fidi? In Dio che solo a vendicarsi regna? Già della lunga sua Notte Infernale, mentre ancora alla Luce apro questi occhi, m'ha ravvolto e atterito. Orrendamente rugge intorno alla trista anima mia tenebroso tra i fulmini. Il suo nome non proferisco io mai, ch'ei non risponda: "Alla Vendetta Io Veglio" E la Vendetta nel mio petto mortale indi riarde poichè perdono ei nega... Se tu innocente sei, te Iddio, te muta, Insanguinata Ombra al Sepolcro mio manderà ad aspettarmi insino al giorno che sorgerò dalla polve e dall'ossa... "Aiace" (1811) Atto Secondo. Scena I Agamennone: Al dolor mio vittime voglio. ... ch'io possa me stesso almen non abborrir! Io tutti punirò meco (= con me). Scena VII Aiace: Orribile arcano io leggo 73 già sul tuo volto smarrito. Onta resti a chi teme illustre Tomba. Atto Quinto. Scena III Aiace: Ben sento freddo un Orror nel perdere la luce del giorno: odo ulular i disperati miei genitor nel funereo deserto delle mie case... Scena IV Aiace: Gli ultimi passi miei verso la Morte, Giudice Vera di noi tutti, alfine libero e forte io volgerò la speme (= speranza) più non m'illude, e certa è la mia pace. ... O Salamina, patria mia, paterne are, da me non profanate mai campi difesi dal mio sangue Addio! "Alla Sera" 74 Forse perché della fatal quïete tu sei l’imago a me sì cara vieni o Sera! E quando ti corteggian liete le nubi estive e i zeffiri sereni, e quando dal nevoso aere inquïete tenebre e lunghe all’universo meni sempre scendi invocata, e le secrete vie del mio cor soavemente tieni. Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme che vanno al nulla eterno; e intanto fugge questo reo tempo, e van con lui le torme delle cure onde meco egli si strugge; e mentre io guardo la tua pace, dorme quello spirto guerrier ch’entro mi rugge. "Non son chi fui; perì di noi gran parte" Non son chi fui; perì di noi gran parte: questo che avvanza è sol languore e pianto. E secco è il mirto, e son le foglie sparte del lauro, speme al giovenil mio canto. Perché dal dì ch’empia licenza e Marte vestivan me del lor sanguineo manto, cieca è la mente e guasto il core, ed arte la fame d’oro, arte è in me fatta, e vanto. Che se pur sorge di morir consiglio, a mia fiera ragion chiudon le porte furor di gloria, e carità di figlio. Tal di me schiavo, e d’altri, e della sorte, 75 conosco il meglio ed al peggior mi appiglio, e so invocare e non darmi la morte. "Te nudrice alle muse" Te nudrice alle muse, ospite e Dea le barbariche genti che ti han doma nomavan tutte; e questo a noi pur fea lieve la varia, antiqua, infame soma. Ché se i tuoi vizi, e gli anni, e sorte rea ti han morto il senno ed il valor di Roma, in te viveva il gran dir che avvolgea regali allori alla servil tua chioma. Or ardi, Italia, al tuo Genio ancor queste reliquie estreme di cotanto impero; anzi il Toscano tuo parlar celeste ognor più stempra nel sermon straniero, onde, più che di tua divisa veste, sia il vincitor di tua barbarie altero. "Perchè taccia" Perché taccia il rumor di mia catena 76 di lagrime, di speme, e di amor vivo, e di silenzio; ché pietà mi affrena se di lei parlo, o di lei penso e scrivo. Tu sol mi ascolti, o solitario rivo, ove ogni notte amor seco mi mena, qui affido il pianto e i miei danni descrivo, qui tutta verso del dolor la piena. E narro come i grandi occhi ridenti arsero d’immortal raggio il mio core, come la rosea bocca, e i rilucenti odorati capelli, ed il candore delle divine membra, e i cari accenti m’insegnarono alfin pianger d’amore. "Così gl’interi giorni" Così gl’interi giorni in lungo incerto sonno gemo! ma poi quando la bruna notte gli astri nel ciel chiama e la luna, e il freddo aer di mute ombre è coverto; dove selvoso è il piano più deserto allor lento io vagabondo, ad una ad una palpo le piaghe onde la rea fotuna, e amore, e il mondo hanno il mio core aperto. Stanco mi appoggio or al troncon d’un pino, ed or prostrato ove strepitan l’onde, con le speranze mie parlo e deliro. Ma per te le mortali ire e il destino spesso obblïando, a te, donna, io sospiro: luce degli occhi miei chi mi t’asconde? 77 "Meritamente" Meritamente, però ch’io potei abbandonarti, or grido alle frementi onde che batton l’alpi, e i pianti miei sperdono sordi del Tirreno i venti. Sperai, poiché mi han tratto uomini e Dei in lungo esilio fra spergiure genti dal bel paese ove meni sì rei, me sospirando, i tuoi giorni fiorenti, sperai che il tempo, e i duri casi, e queste rupi ch’io varco anelando, e le eterne ov’io qual fiera dormo atre foreste, sarien ristoro al mio cor sanguinente; ahi vota speme! Amor fra l’ombre e inferne seguirammi immortale, onnipotente. "Solcata ho fronte" Solcata ho fronte, occhi incavati intenti, crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto, labbro tumido acceso, e tersi denti, 78 capo chino, bel collo, e largo petto; giuste membra; vestir semplice eletto; ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti; sobrio, umano, leal, prodigo, schietto; avverso al mondo, avversi a me gli eventi: talor di lingua, e spesso di man prode; mesto i più giorni e solo, ognor pensoso, pronto, iracondo, inquïeto, tenace: di vizi ricco e di virtù, do lode alla ragion, ma corro ove al cor piace: morte sol mi darà fama e riposo. "E tu ne’ carmi avrai perenne vita" E tu ne’ carmi avrai perenne vita sponda che Arno saluta in suo cammino partendo la città che dal latino nome accogliea finor l’ombra fuggita. Già dal tuo ponte all’onda impaurita il papale furore e il ghibellino mescean gran sangue, ove oggi al pellegrino del fero vate la magion si addita. Per me cara, felice, inclita riva ove sovente i pie’ leggiadri mosse colei che vera al portamento Diva in me volgeva sue luci beate, mentr’io sentia dai crin d’oro commosse spirar ambrosia l’aure innamorate. 79 "A Zacinto" Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell’onde del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l’inclito verso di colui che l’acque cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura. "In Morte del Fratello Giovani" Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, me vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de’ tuoi gentili anni caduto. 80 La Madre or sol suo dì tardo traendo parla di me col tuo cenere muto, ma io deluse a voi le palme tendo e sol da lunge i miei tetti saluto. Sento gli avversi numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta, e prego anch’io nel tuo porto quïete. Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, almen le ossa rendete allora al petto della madre mesta. "Alla Musa" Pur tu copia versavi alma di canto su le mie labbra un tempo, Aonia Diva, quando de’ miei fiorenti anni fuggiva la stagion prima, e dietro erale intanto questa, che meco per la via del pianto scende di Lete ver la muta riva: non udito or t’invoco; ohimè! soltanto una favilla del tuo spirto è viva. E tu fuggisti in compagnia dell’ore, o Dea! tu pur mi lasci alle pensose membranze, e del futuro al timor cieco. Però mi accorgo, e mel ridice amore, che mal ponno sfogar rade, operose rime il dolor che deve albergar meco. 81 "Che Stai?" Che stai? già il secol l’orma ultima lascia; dove del tempo son le leggi rotte precipita, portando entro la notte quattro tuoi lustri, e obblio freddo li fascia. Che se vita è l’error, l’ira, e l’ambascia, troppo hai del viver tuo l’ore prodotte; or meglio vivi, e con fatiche dotte a chi diratti antico esempi lascia. Figlio infelice, e disperato amante, e senza patria, a tutti aspro e a te stesso, giovine d’anni e rugoso in sembiante, che stai? breve è la vita, e lunga è l’arte; a chi altamente oprar non è concesso fama tentino almen libere carte. "Di Weisse Allemano (1) - La Tempesta" Sparve il sereno, o Doride, dal ciel, già mugge il vento fra gli alberi, e succedono silenzio, orror, spavento. 82 Tutti gli augei si turbano entro i lor nidi ascosi, ove i concerti obbliano de' canti armoniosi. Sol vedesi la rondine, priva de' suoi compagni, rader la superficie de' paludosi stagni. Vieni, Dori, vien: cerchiamoci salvar dalla tempesta, ve' quante rose chinano la tenerella testa. Sopra di loro il turbine tetre minacce ha sciolte, sembra che solo bramino esser de tue man colte. Come all'aspetto tremano di lor vicina morte, le cogli, o Dori tenera, pria di sì 'nfausta sorte. Spiri la gaia porpora delle lor foglie lievi del seno tuo purissimo su le ridenti nevi. Ecco dal nembo torbido in parte siam sicura, qual sotto questa pergola si temerà sventura? Felicitade amabile! In questo asilo ombroso ci attende di bei grappoli 83 il succo delizioso. Fiero Aquilone, or l'impeto del tuo furor qui puoi spiegar, e al sen di Doride torre anche il vel se vuoi. (1) Il poeta tedesco Christian Felix Weisse nacque nel 1726 e morì nel 1804. Allemano sta per "alemanno", cioè tedesco. 84 85 86 87 88 Approfondimento: Monti e Foscolo: pensieri su Napoleone Info tratte da 89 Il 14 giugno 1800 Napoleone sconfigge gli Austriaci a Marengo e si assicura il possesso definitivo dell'Italia. Da Parigi, dove si trova in esilio, il poeta Vincenzo Monti saluta l'evento come l'inizio di una nuova era per la società italiana, cui le armi di Napoleone avrebbero garantito pace e libertà. 90 91 E rivolgendosi classicamente al Po, "de' fiumi algoso re", lo invita a propalare il suo entusiasmo: "Di' che l'asta il franco Marte ancor fissa al suol non ha, di' che dove è Bonaparte sta vittoria e libertà" Anche Ugo Foscolo aveva composto un'ode dedicata a "Bonaparte liberatore". Ma non molti mesi dopo Marengo, egli scrive il suo grande romanzo "Ultime lettere di Jacopo Ortis" nel quale il giudizio su Napoleone è radicalmente mutato: "Moltissimi de' nostri presumono che la libertà si possa comperare a danaro; presumono che le nazioni straniere vengano per amore dell'equità a trucidarsi scambievolmente su' nostri campi onde liberare l'Italia. Ma i francesi che hanno fatto parere esecrabile la divina teoria della pubblica libertà, faranno da Timoleoni [liberatori] in pro nostro? Moltissimi intanto si fidano nel Giovine Eroe nato di sangue italiano; nato dove si parla il nostro idioma. Io da un animo basso e crudele non m'aspetterò mai cosa utile ed alta per noi. Che importa ch'abbia il vigore e il fremito del leone, se ha la mente volpina, e se ne compiace? Sì, basso e crudele - né gli epiteti sono esagerati... (...) La natura lo ha creato tiranno: e il tiranno non guarda a patria: e non l'ha." 92 In conclusione: l'esaltazione prima dei miti dell'Illuminismo (il mito della Ragione, pace, giustizia sociale, fratellanza, progresso, il benessere materiale) e poi l'amara delusione per l'impossibile realizzazione di tali miti si ritrovano nelle opere dei migliori scrittori italiani della fine del Settecento come Vincenzo Monti, Ugo Foscolo e Vittorio Alfieri. 93 94 La Rivoluzione Francese spazzava via il passato e introduceva la libertà, l'uguaglianza e la fraternità (abolendo Dio e sostituendolo con l'astratta Dea Ragione). Ma la realtà fece svanire tutto questo. Napoleone non portava tutto questo, ma una nuova dominazione. Per circa due decenni si susseguirono battaglie, stragi, campagne militari durissime e devastatrici. Come conseguenza, si ebbe il crollo dei miti illuministi. Il sentimento della Patria, accentuatosi dopo la caduta del mito settecentesco del cosmopolitismo e della solidarietà tra i popoli, fece esplodere nell'Italia soggetta all'Austria una letteratura patriottica a cui contribuirono i maggiori scrittori dell'Ottocento come Massimo d'Azeglio. Falliti i nobili, romantici ideali dei patrioti, si sentì l'esigenza di un maggior realismo: questa esigenza sfociò nel Verismo, che ebbe come massimo rappresentante Giovanni Verga. 95 96