LE FILIPPINE: TRA LA MINACCIA CINESE E QUELLA JIHADISTA
Autore: MARCO LEOFRIGIO
Pubblicato/Published in www.analisidifesa.it
Manila e l’assertività di Pechino
Ad inizio 2020 il vulcanico presidente filippino, Rodrigo Duterte, annunciò una
clamorosa azione: chiudere le basi americane e rimandare i soldati
statunitensi a casa. Avrebbero avuto solo sei mesi per fare i bagagli. Trump
rispose nel suo stile, affermando che così facendo “allora gli Stati Uniti
avrebbero risparmiato un bel po' di cash”. Qual’è oggi, dopo questi reciproci
scambi di gentilezze, lo stato dei rapporti tra Manila e Washington ? Molto
cordiali e solidi. Probabilmente nessuno ci avrebbe troppo scommesso.
Duterte dopo aver minacciato la cancellazione del Visiting Forces Agreement
(VFA), nel febbraio 2020 ed aver bloccato per tre volte il processo di rinnovo
dell’accordo, due volte nel 2020 e poi nel giugno 2021, nello scorso 29 luglio
ha scelto la via del proseguimento della lunga relazione con gli Stati Uniti. Il
VFA è stato rinnovato, con la presenza a Manila del segretario alla difesa, il
generale Lloyd Austin, e nell’occasione il presidente Duterte ha asserito "So,
the VFA is in full force again; there is no termination letter pending, and we
are back on track with your secretary to plan for future exercises under the
VFA."
Ancor più del VFA, vi è l’accordo EDCA (Enhanced Defense
Cooperation Agreement) fissa i rapporti cooperazione tra i due paesi in tema
di
sicurezza
e
costituisce
un
rafforzamento
del
VFAhttps://en.wikipedia.org/wiki/Visiting_Forces_Agreement_(Philippines_%E2%80%93_United_States).
Accordo che ha consentito la presenza di forze americane in cinque basi
filippine ed ha autorizzato l’ampliamento delle strutture nelle due grandi basi
statunitensi americane, quella navale di Subic Bay e la base aerea di Clark.
In tale ottica di eccellenti rapporti, da poche settimane si è anche conclusa la
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grande esercitazione annuale con le unità dei rispettivi paesi. L’esercitazione
Balikatan 2022 (spalla-a-spalla) si è svolta nell’isola di Luzon dal 28 marzo al
8 aprile, con lo scopo di incrementare la cooperazione e l’addestramento
focalizzandosi soprattutto in questi ambiti: sicurezza marittima, operazioni
anfibie, urban warfare, anti-terrorismo, intelligence, operazioni aeree. Le
esercitazioni sono state condotte anche su delle simulazioni di eventi
richiedenti assistenza umanitaria e per disastri naturali. Il training è stato
condotto con munizioni vere. La Balikatan 2022 ha visto il coinvolgimento di
quasi 9mila soldati: 3800 membri delle forze armate filippine e 5100 di
personale americano ed ha coinciso con il 75simo anniversario degli accordi
di cooperazione in tema di sicurezza tra Stati Uniti e Filippine. Sono stati
impiegati una cinquantina di velivoli, dieci hovercraft, batterie di lanciamissili
Himars e Patriot, e per la prima volta vi ha preso parte un piccolo nucleo di
personale australiano. Gli americani hanno dispiegato un reggimento di
Marines (il 3rd Marine Littoral Regiment, stanziato nelle Hawaii) che si è
esercitato con marines filippini del Marine Corps Coastal Defense Regiment.
Questo training si è svolto in clima internazionale molto diverso dai
precedenti, a causa della guerra in corso, dal mese di febbraio, in Ucraina e
delle tante tensioni geostrategiche innescatesi a catena. Tuttavia per Manila
le preoccupazioni più gravi provengono dalle tensioni costanti e sovente
molto critiche nella regione dell’Indo-Pacifico. La nota postura di Pechino
mirante ad aumentare la propria influenza e il contemporaneo focus degli
Stati Uniti diretto quasi esclusivamente su questo quadrante, in funzione anticinese ha ricompattato i paesi della regione, è stato quindi giocoforza per il
governo di Manila (ri)scoprire i vantaggi di una ancor più stretta amicizia con
Washington. La grande assertività di Pechino nella regione è stata
ulteriormente rilanciata dal recentissimo accordo con il governo delle Isole
Salomone, che apre, come mai era accaduto prima, all’influenza cinese nel
Pacifico Meridionale, allarmando in primis il governo di Canberra. La
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presenza di forze americane nelle Filippine non è stata una costante, difatti
furono assenti da questo paese alleato tra il 1992 e 1999. Tuttavia nel 1995,
l’occupazione a sorpresa da parte cinese del Mischief Reef, nel Mar Cinese
Meridionale, zona di perenne disputa, convinse Manila a fare marcia indietro
e riammettere le forze americane. Pertanto nel 1999 fu siglato un nuovo VFA
e nel 2014 a causa dell’occupazione dei cinesi, nel 2012, dello Scarborough
Shoal, sito a meno di 200 km dalla grande base navale di Subic Bay, si è
provveduto alla redazione del EDCA (Enhanced Defense Cooperation
Agreement), un documento atto a sottolineare la grande solidità delle
relazioni filippino-americane e del connesso impegno militare. In questo
accordo i filippini vollero includere il supporto per contrastare non solo i
cinesi, ma anche i gruppi islamisti legati al network jihadista di al-Qaeda (poi
passati sotto le bandiere nere del c.d. stato islamico) attivissimi nel sud
dell’isola di Mindanao e nell’arcipelago delle Sulu. Le basi militari del EDCA
dove gli americani sono stati autorizzati a costruire strutture, immagazzinare
equipaggiamenti e far ruotare i reparti, sono le 4 grandi basi aeree di Luzon,
Palawan, Cebu e Mindanao. La quinta base è il Fort Magsaysay, a Luzon, la
più grande base militare filippina e sede delle esercitazioni annuali Balikatan.
La minaccia del terrorismo jihadista
Manila ha un dossier interno sempre aperto, costituito dalla guerriglia
endemica a Mindanao, le insorgenze storiche dei Moros, la minoranza
musulmana presente in questa grande isola, da sempre alla ricerca di
autonomia rispetto a Manila. Nel corso del 2014, la creazione del c.d. stato
islamico (ISIS) rappresenta per i gruppi guerriglieri, molto spesso in forte
contrasto tra loro, il messaggio unificante, è un cruciale un punto di
riferimento, fungendo da collante per i gruppi di guerriglia islamisti quali: Abu
Sayyaf Group (ASG), il Gruppo Maute, Ansar Khalifa Philippine e
Bangsamoro Islamic Freedom Fighters. Molti di questi gruppi già erano legati
al network di al-Qaeda o della Jemaah Islamiyah ma come accaduto in altri
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paesi, hanno trovato una rinnovata sponda nel richiamo jihadista lanciato da
Abu Bakr al-Baghdadi.
L’ASG per esempio adotta il nome di Abu Sayyaf Group, su decisione del suo
leader Isnilon Hapilon proprio per sottolineare l’appartenenza al network ISIS.
Nel marzo 2017 questa letale ‘federazione’ dei diversi gruppi condurrà il
clamoroso assalto alla città di Marawi, occupando per molti mesi questa città
della provincia del Lanao del Sur, situata nel nord-est di Mindanao. La
riconquista di Marawi comporterà per le forze armate di filippine un lungo
assedio e rappresenta la più difficile operazione sul campo, mai affrontata
prima, dall’esercito filippino. Già nel 2016 vi era stata una sorta di anteprima,
dato che la collaborazione tra i vari gruppi di guerriglieri aveva causato
l’esplosione di bombe a Davao City e l’occupazione da parte di 300 jihadisti,
della città di riferimento del Gruppo Maute, Butig, località collocata anch’essa
nella provincia del Lanao del Sur. Per portare a termine la liberazione di
Marawi l’esercito filippino impiegherà airstrike e bombardamenti di artiglieria.
Laddove però il ruolo principale verrà svolto da fanteria e marines,
combattendo edificio per edificio, strada per strada, per strappare la città alle
formazioni jihadiste.
Le forze filippine apprendono nel corso dei combattimenti come fronteggiare
la situazione: un durissimo ‘learning on the job’ per snidare i cecchini,
prendere i bunker improvvisati, disattivare/evitare le centinaia di trappole
esplosive. Il battlefield urbano, notoriamente lo scenario peggiore per dei
reparti militari, si è rivelato micidiale per le forze armate filippine, le quali
hanno evidenziato una grande impreparazione per questo complesso campo
di battaglia, fattore che ha influito sulla durata dell’assedio. A Marawi i
jihadisti avevano fortificato le proprie posizioni, grazie ad una caratteristica
peculiare: molti degli abitanti hanno nel corso degli anni allestito dei bunker
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artigianali, i ‘Buho’, contenenti cibo, acqua e qualche arma per difesa dai
ricorrenti scontri tra gruppi di guerriglieri. Questi bunker sono stati quindi
prontamente riutilizzati dai miliziani, rendendo gran parte delle zone urbane
dei fortini molto complicati da ridurre al silenzio. Oltre a questa caratteristica
anche la posizione geografica di Marawi l’ha resa facilmente difendibile,
essendo circondata da tre lati da un lago e con il fiume Agus, superabile su
tre ponti presto divenuti dei formidabili bastioni per molte settimane. La
somma di queste caratteristiche unita ad una abitudine dei soldati al
combattimento contro i guerriglieri nella zone di giungla, li han fatti trovare
presto a malpartito nella micidiale e insidiosissima ‘giunga urbana’: un
battlefield fitto di trappole esplosive, bunker da cui proveniva il fuoco degli
AK-47 e dei lanciarazzi RPG. Gli edifici con nidi di cecchini e la
disseminazione di IED (improvised explosive device) renderanno l’avanzata
dei soldati lentissima e costosa in termini di perdite in uomini e mezzi blindati,
e come sempre dei civili presi nel mezzo degli scontri. Le IED le descrive
bene il reporter Nico Piro, nel suo recente libro sull’Afghanistan:” le IED sono
una famiglia di bombe che hanno poco o nulla in comune tra loro: alcune
sono realizzate imbottendo di esplosivo le pentole a pressione, altre usando
fustini del detersivo, alcune si attivano con un “piatto a pressione” (come le
mine antiuomo o anticarro), altre hanno l’innesco collegato a un telefonino.”
Come si è visto in questi anni, i video sulle IED sono stati diffusi in rete
dall’ISIS, dai talebani, da al-Qaeda.
L’assedio di Marawi, questa Falluja delle Filippine, può essere ripercorso in
cinque fasi, come lo sintetizza il report del ASPI centro studi strategici
australiano (Australian Strategic Policy Institute). Tutto inizia con il tentato
raid delle forze di sicurezza filippine di catturare il ricercatissimo leader di
ASG Isnilon Hapilon. Nel giro di breve tempo la città è nelle mani dei jihadisti
che avevano pianificato, per tempo, la clamorosa azione, infiltrando per
settimane nella città centinaia di miliziani uomini, armi, munizioni e apparati
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walkie-talkie ed attendendo il momento opportuno per agire. Immediatamente
il presidente Duterte dichiara la legge marziale e affida alle forze armate il
compito di riprendere Marawi, un task molto difficile che richiederà tempo,
moltissimi morti e la distruzione di buona parte della città.
Nella seconda fase dell’assedio, in modo affrettato e superficiale unità di
polizia e militari tentano invano di ricacciare i miliziani, anche con appoggio di
blindati. Molti degli obsoleti M113 sono messi presto ko dai lanciarazzi e dalle
molotov, i cecchini colpiscono i soldati da ogni lato, creando delle micidiali
‘snipers alleys’ che impediscono ogni progresso. Nel contempo i gruppi ASG
e Maute posizionano molti dei loro uomini anche sulle principali strade di
accesso a Marawi per ostacolare l’arrivo dei soldati. La terza fase è la
battaglia per i tre ponti sul fiume Agus, fortemente difesi. Serviranno ben due
mesi per prendere questi ed entrare nel cuore di Marawi. Una volta ottenuti
questi obiettivi le forze armate filippine hanno avviato la quarta e ultima fase:
il massiccio spiegamento di due Joint Task Group formate una da fanteria e
l’altra dai marines. Intanto si applicano alcune delle lezioni apprese: i mezzi
blindati vengono protetti con lastre di ferro, tavole di legno per tentare di
ridurre l'impatto degli RPG e a loro volta i soldati, per evitare di restare
intrappolati negli M113, cambiano tattica muovendosi a piedi a fianco degli
IFV anche se così facendo si espongono ai cecchini. I pezzi di artiglieria da
105mm sono dispiegati nelle strade, a man mano che si avanzava, tirando ad
alzo zero in molti casi pur di snidare i jihadisti dagli edifici trasformati in
bunker. Ma soprattutto si cambia metodo radicalmente nella tattica impiegata
dalle due task forces per snidare i miliziani. Si adotta la tattica del “fare a
fettine (in inglese slicing)”. Lo SLICE-ing (acronimo di strategise, locate,
isolate, constrict and eliminate) che prevede cinque step conseguenziali:
pianificazione, localizzazione, isolamento, soffocamento, eliminazione del
target. Il report del ASPI dettaglia questa modalità tattica: viene pianificata la
suddivisione della città in tre settori, ognuno dei quali è preso in carico da
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unità di fanteria o marines con il supporto di mezzi blindati e artiglieria, si
passa poi all’individuazione ed isolamento dei nuclei di miliziani, con un
approccio lento e ogni volta ben pianificato; segue la fase ‘constrict’ il
soffocamento del target, con una prima avanzata dei reparti e nel contempo
sottoponendo i jihadisti a bombardamento, che prosegue di intensità fino a
farlo seguire dall’assalto finale, la ‘eliminate’, condotto dai soldati o marines
filippini. Questa operazione durerà ben cinque mesi. Infine l'assalto ai moli
del porto, rappresenta l’epilogo dell’assedio, diretto contro l’ultimo nucleo di
circa 50 jihadisti. Il bilancio finale dell’operazione riporterà 920 miliziani uccisi,
la perdita di 165 soldati e 47 civili; nel corso degli scontri vennero uccisi il
leader del IS-P (Islamic State Philippine, come era stato battezzato dalle
forze di sicurezza filippine) Hapilon e il suo vice Omar Maute, del gruppo
Maute. I militari filippini apprendono a loro spese come riuscire a
riconquistare Marawi, facendo anche ricorso anche al contributo di esperti di
tecniche di urban warfare di alcuni paesi alleati. E almeno rispetto ad altri
sanguinosi assedi, la gran parte dei 200mila abitanti era riuscita a lasciare
Marawi nel corso della primissima fase dei combattimenti.
Nelle valutazioni post-operazione tra le gravi carenze evidenziate emergerà
l’assenza di reparti specializzati nel combattimento urbano, l’assenza di
apparati e tecnologie che permettano di snidare gli avversari con meno rischi,
come l’impiego di robot anti-IED, di apparati jamming per disattivare le IED, di
armi speciali per fare brecce negli edifici e nei singoli appartamenti, oltre alla
totale assenza di droni per l’individuazione delle posizioni del nemico, droni
da combattimento e droni-suicidi (loitering munitions). Occorre anche
aggiungere che oltra alla dimensione cinetica, nel corso di questa lunga
operazione,
vi
è
stata
la
dimensione
della
guerra
di
comunicazione/propaganda. La dimensione della guerra informativa, nei
conflitti attuali ha un ruolo, come vediamo con la guerra in Ucraina, davvero
molto importante. La narrativa e la contro-narrativa nel corso di un conflitto
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sono 'armi' al pari di quelle letali e sono parte integrante del successo finale.
Durante i lunghi combattimenti a Marawi la martellante propaganda dello
stato islamico ha costretto i vertici militari filippini ad attuare azioni di
contrasto, si è entrati nell’ottica delle narrative contrapposte che giocano la
decisiva loro parte. Dopo una fase di prevalenza dei flussi comunicativi dei
jihadisti, le forze di sicurezza filippine hanno risposto con una serie di azioni
di contro-propaganda cercando di saturare il cyberspace di messaggi ed
utilizzando comunque anche mezzi classici come la radio, le comunicazioni
via altoparlanti, la diffusione di volantini. L’indubbio successo dell’assedio di
Marawi ha inferto un colpo durissimo al jihadismo nelle Filippine. Ad oggi la
situazione nei confronti dei gruppi jihadisti vede la fuga e dispersione dei
leader rimasti e dei militanti sottoposti ai costanti raids dei militari di Manila.
Nel corso di questa caccia senza sosta sono state individuate e distrutte
molte delle loro basi operative. Per esempio nel febbraio 2021 sono state
smantellate le basi del gruppo BIFF (Bangsamoro Islamic Freedom Fighters),
di Abu Sayyaf e del Gruppo Maute. Nelle scorse settimane, nella zona
montuosa di Cotabato, a Mindanao, è stato catturato un reclutatore di Ansar
al-Khilafah Philippines (AKP) e in precedenza, nella stessa area erano stati
uccisi cinque militanti di AKP. Ad inizio maggio due vice-comandanti di
Gruppo Maute sono invece sfuggiti a un grosso raid condotto da esercito e
marina nella provincia del Lanao del Sur. E' quindi evidente che i vari gruppi
jihadisti hanno subito e stanno subendo pesanti perdite in finanziamenti,
uomini e zone di territorio controllato. Inoltre dal 2020 è sempre più evidente
un grosso sbandamento in atto, con centinaia di miliziani che si sono arresi
alle forze di sicurezza.
Tokio e Manila
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Una relazione molto importante per Manila è quella con il Giappone. Le
intese tra i due paesi si sono rafforzate in tempi recenti. Tokio guarda ai
propri interessi nazionali e di sicurezza e sta evidenziando una posizione
forte sul dossier Taiwan e sulla vecchia disputa con Pechino sulle isole
Senkaku/Diayou. Nel corso della visita dell'allora premier Shinzo Abe, nel
2017 a Davao, con il presidente Duterte si sono ribadite delle linee di intesa
comuni, discutendo di cooperazione in ambito anti-terrorismo, marittima e di
sviluppo di infrastrutture; è stata una visita infrequente per un premier
giapponese nell'arcipelago filippino, tenutasi nella casa di Duterte, in una
situazione fuori dagli schemi classici del protocollo diplomatico. Il neo-eletto
premier Fumio Kishida, poco dopo il suo insediamento, si è mostrato presto
molto attivo con i vari leader dell'area del Pacifico. In un primo colloquio con
Duterte hanno convenuto di fare nuovi sforzi per la costruzione di un "free
and open Indo-Pacific" e quindi contrastare la crescente assertività di
Pechino nella regione. Kishida ha ribadito la posizione di Tokio contraria a
qualsiasi tentativo di mutare lo status-quo nelle acque del Mar Cinese
orientale e meridionale ed il presidente filippino, da par suo, ha detto di
considerare il Giappone uno strettissimo amico, “come fosse un fratello”. E'
del tutto evidente l’interesse strategico del Giappone sia nel proteggere
Taiwan che le Filippine poichè significa automaticamente difendere i propri
interessi e sbarrare l’accesso all’espansione dell’influenza cinese. E’ indubbio
e non da adesso, che nella regione dell’Indo-Pacifico la poderosa flotta
giapponese, che si è anche dotata di portaerei, pur chiamandole con un
diverso termine, è una pedina strategica basilare assieme alla Settima Flotta
americana e con la Terza Flotta di rincalzo nelle basi navali californiane. Da
ultimo occorre dare uno sguardo sulla politica interna filippina, sguardo sulle
prossime elezioni presidenziali, secondo i sondaggi, ad oggi, è in vantaggio il
figlio del ex-dittatore Marcos, Marcos junior viene dato come il più quotato per
la vittoria. Per la maggior parte degli osservatori la politica accomodante di
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Duterte sulle dispute nel Mar Cinese Meridionale con Pechino potrebbe
continuare con Ferdinand “Bongbong” Marcos junior, anche lui di
orientamento amichevole verso la Cina. Vale ricordare che nel corso del
mandato di Duterte si ebbe l'incidente più grave con Pechino. Nei pressi del
Recto Bank/Reed Bank, all’interno della Zona Economica Esclusiva delle
Filippine, un’imbarcazione della milizia marittima cinese speronò un
peschereccio filippino, senza poi intervenire in soccorso dell'equipaggio
filippino, solamente poi recuperato in seguito da una imbarcazione
vietnamita. Per una ironica coincidenza il fatto avvenne il 9 giugno 2019, data
in cui ricorre la giornata dell'amicizia Filippine-Cina.
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