APPUNTI
di una storia minima ma non minore
Febbraio 2021
SI RICOMINCIA
Dal 2003 non abbiamo più pubblicato i nostri Appunti dedicati
alle ricerche storiche e di scienze naturali.
Ricordiamo che il Centro Culturale invia ai Soci i Rendiconti
che sono lo specchio della situazione relativa all’attività e al
bilancio. C’è poi U Bricchettu, con poesie e racconti, che sta
avendo sempre più successo ed è arrivato al numero 29.
Ovviamente è faticoso comporre questi bollettini, soprattutto
se i testi sono scritti a mano. Inoltre anni fa dovevamo
stamparli, fascicolarli, pinzettarli, spedirli o portarli ai Soci:
oggi i personal computer consentono di avere gli articoli in
forma digitale e l’invio è tramite email.
Ecco perché dopo quasi 20 anni ritorniamo a valorizzare Isola
e la Valle Scrivia con relazioni di diverso tipo inserendole
negli Appunti.
Vi sollecitiamo a collaborare anche con la recensione di libri o
film che vi sembrano interessanti o semplicemente con la
descrizione di gite o visite in luoghi con emergenze
architettoniche o storiche.
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Villa Regina a Noceto di Isola del Cantone
Mafalda Ciriale1
Oggi in questa giornata piovosa, illuminata solo dalla graditissima visita di
Evelina, mi muovo in questa casa dei primi del ‘900 e se chiudo gli occhi
posso ritornare in quel tempo per vedere e capire.
Una bellissima casa piena di colori. Una casa che come si direbbe oggi
aveva tutte le regole del Feng Schui2. Piena di luce e di vita. Certo in quel
tempo Paolina era stata molto coraggiosa e dopo anni di teatro e vita
mondana si era ritirata qui e aveva deciso di costruire il tutto, compreso
anche il ponte di accesso.
Certo non era stato facile per la gente del posto accettare una donna così
libera, con abiti sfarzosi e che addirittura aveva cantato in America.
Era stata molto criticata e ancora oggi qualche anziano ne parla con facili
allusioni.
Ma proprio da alcune donne anziane ho saputo tutta la sua storia fatta
anche dalla sua bontà: infatti metteva sul muretto pane e marmellata ed
essendo istruita aiutava i bambini a fare i compiti.
E proprio da uno di questi, presente quando dopo la sua morte i nuovi
proprietari hanno distrutto, bruciandoli, i suoi meravigliosi abiti, le
locandine degli spettacoli e le foto, è riuscito a recuperare un bellissimo
ritratto fotografico, dove lei appare nella sua bellezza e dal quale ho fatto
fare un dipinto per onorarla e riportarla qui nella sua casa, quella che lei ha
fatto costruire: la dimora di Paolina Fracchia, che poi è diventata Villa
Regina della famiglia Bafico.
Oggi è il nostro B&B ma chi entra sente ancora quella magica atmosfera dei
suoi tempi ed è anche la gioia dei tanti bimbi che l'hanno abitata, tra cui
anche quelli delle colonie estive del Comune, che sono venuti per rivederla
e salire ancora sull'altalena.
Quando passi guardala la sua bellezza ha sfidato il tempo, e se vuoi vieni a
trovarmi e sappi che tutto vibra e vive.
Il B&B si occupa anche di tecniche energetiche e Mafalda Ciriale è un’insegnante di
estetica, nella sua discendenza è la quarta generazione di guaritrice (vermi, herpes, ecc.),
tradizione passata dalla nonna e praticata gratuitamente.
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Il Feng Shui è un'antica arte geomantica taoista della Cina, ausiliaria dell'architettura,
affine alla geomanzia occidentale. A differenza di questa prende però in considerazione
anche aspetti della psiche e dell'astrologia.
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Paolina Fracchia
Noceto nel 1942: in primo piano Villa Regina (Archivio del Centro Culturale)
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QUELLA DELLA NOCCIOLA E DI ALTRI FRUTTI
È UNA STORIA INIZIATA 7.000 ANNI FA
Renzo Piccinini3
Lo studio degli alimenti è un modo per riflettere su cose comuni. Merita un approfondimento
l’importanza dell’utilizzo della nocciola, alla luce (è un pretesto non trascurabile) dei recenti
ritrovamenti archeologici nel nostro territorio.
Approfondimento botanico: il nocciolo o nocciuolo è una pianta dicotiledone e fa parte della
famiglia delle Cupulifere (corylus avellana); ha la forma di arbusto o di alberetto non più alto di 5
mt. Con chioma espansa, irregolare; foglie picciolate, grandi sparse, ovato-rotonde, ruvide,
doppiamente seghettate. I fiori staminiferi sono in amenti lunghi, cilindrici, penduli; i pistilliferi
sono riuniti da 2 a 4 in brevissime cime (si trovano sulla stessa pianta, pianta monoica e si
schiudono in inverno prima che compaiono le foglie). Il frutto è ravvolto da una cupola fogliacea
campanulata, slargata superiormente, verdastra4.
La pianta, forse di origine asiatica, da gran tempo è introdotta in Europa. In Italia è molto diffusa
allo stato spontaneo nel sottobosco ed è, per varie ragioni riguardanti il frutto, sempre più coltivata
professionalmente: corilicoltura. La nocciola, rientra nella categoria della frutta secca o frutta a
guscio dal sapore gradevole ed alto valore nutritivo, ha interessanti caratteristiche per un consumo
versatile.
L’archeologa Marica Venturino Gambari, intervenuta nel ciclo di incontri, Archeologia e paesaggio
in Valle Scrivia, organizzati ad Arquata Scrivia con la Soprintendenza Archeologica, ha rilevato che
la storia della nocciola, nel nostro territorio risale a circa 7.000 anni fa. Nel Basso Pieve di Novi
infatti, nell’area interessata dai lavori per il Terzo Valico dei Giovi, sono stati rinvenuti resti
carbonizzati della pianta del nocciolo e dei suoi frutti risalenti al Neolitico antico5.
Sotto la chiesa della Pieve già nel 1994 a seguito dei lavori per la costruzione di un metanodotto e
successivamente nella verifica preventiva imposta dalla legge prima dell’inizio dei lavori per il Terzo Valico
– nell’interesse archeologico - sono stati rinvenuti reperti della coltura [di nocciole] dei vasi a bocca
quadrata di straordinario interesse. La recente nuova tornata di scavi ha permesso di individuare l’antico
piano di campagna, di strutture a fossa con riempimenti ricchi di materiale archeologico (ceramiche e
strumenti in pietra scheggiata e levigata e resti paleobotanici, frutti e semi, carbonizzati) tra i più antichi
della regione6.
Daniele Arobba del Museo Archeologico del Finale, ha analizzato questi reperti e, nella conferenza
organizzata nella Sala Convegni di Libarna7, intervento sul tema: “Appunti di Archeobotanica.
Raccolta e consumo di nocciole nel Norditalia durante l’antichità”, ne ha reso noto gli esiti. Egli ha
Presidente dal 2005 del Centro Studi “In Novitate” di Novi Ligure, associazione fondata nel 1983 per la valorizzazione
e la tutela del patrimonio storico, culturale, artistico del Novese, editrice del periodico semestrale “In Novitate”. A
seguito dell’aggregazione con la Società Storica del Novese, dal 2015 titolato “Novinostra – In Novitate”.
4 Fabrizio Cortesi, Botanica e storia della botanica, Fitogeografia, Enciclopedia Treccani, Istituto dell’Enciclopedia
Italiana fondato da Giovanni Treccani, Roma, 1951, Vol. XXIV [1934] pp. 875-6.
5 Maurizio Iappini, La dieta del Neolitico? A base di nocciole di Novi. Scavi archeologici dimostrano il loro ruolo
centrale, è trascritta su La Stampa del 20 marzo 2018, la cronaca dell’intervento di Marica Venturino Gambari.
6 Ibidem.
7 Daniele Arobba, tra i relatori alla Conferenza “La nocciola dall’archeologia al Bacio di Libarna”, sabato 22 settembre
2018, Sala Conferenze di Libarna, evento inserito nell’ambito delle Giornate Europee per il Patrimonio.
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5
spiegato che l’esame dei citati microresti vegetali sono da collocare, come già detto, nel Neolitico8,
quando a seguito di trasformazioni del clima e dell’ambiente fisico, il terreno boschivo subì una
riduzione ed aumentarono i prati. In questa situazione, avvalorata da approfonditi studi pollinici,
Daniele Arobba ha collocato la diffusione del nocciolo e di altre varietà di frutta selvatica nel nostro
territorio. Lo studio di siti neolitici nel Basso Piemonte, di paleosuoli e strutture a fossa,
confermano l’esistenza di una civiltà neolitica. Una civiltà cui la levigazione della pietra costituisce
una dote essenziale.
Nel suo intervento ad Arquata, l'archeologa Venturino ha ricordato
«… Quanto rinvenuto, e la presenza soprattutto di numerose schegge di scarto della lavorazione di
ciottoli di pietra verde, reperibili nell’alveo del Lemme, e della Scrivia, ci fanno ipotizzare un’area di
lavorazione per la lavorazione di lame di ascia levigate9…»
Comunemente dai paleoetnologi si riconosce come caratteri distintivi del Neolitico oltre all’uso
delle pietre dure levigate anche la fabbricazione di vasi di terracotta, il culto dei morti, l’uso di
abitazioni fisse, la prima industria tessile e le prime forme di allevamento del bestiame, oltre
all’esercizio della caccia e della pesca, giammai caduto in disuso, la coltivazione dei campi […].
I materiali per lo studio di questa civiltà sono forniti dai depositi archeologici di:
«1. fondi di capanne; 2. stazioni all’aperto o officine; 3. grotte naturali e artificiali; 4. palafitte o
stazioni lacustri; 5. monumenti megalitici, oltre che dalle sepolture10».
Nel Basso Pieve a 190 m s.l.m. tra il terriccio grasso e nerastro (del fondo di capanna?) i resti
archeobotanici, con cura raccolti, indubbiamente rappresentano materiale abbandonato
dall’uomo. L’analisi attentamente condotta dal prof. Arobba ha indicato che trattasi di microresti di
interesse alimentare. In prevalenza trattasi di nocciole e, in percentuale minore, cereali, orzo,
piccolo farro, vite selvatica e rovo; mentre l’analisi dei carboni lignei ha rilevato l’utilizzo
principalmente della quercia decidua e poi di pruni, rosacee maloideae e abete bianco.
Ciò sta a dimostrare che l’uomo primitivo, nell’approvvigionarsi il legname da ardere, evitava il
taglio delle piante fruttifere, in quanto rappresentavano fonte di sostentamento e potevano fornire
risorse alternative. Nella preistoria e protostoria le tecniche di conservazione degli alimenti erano:
la cottura, l'essiccazione, l’affumicatura e la tostatura. Il trattamento riferito ai resti novesi
potrebbe essere un primo esempio di tostatura. È un’interessante ipotesi di lavoro.’
I romani tenevano in grande considerazione il nocciolo, in quanto: colonizzava i terreni e cresceva
ai margini del bosco, locus orridus, ove evitavano d’addentrarsi; il legno della pianta molto elastico
era utilizzato per produrre archi; conoscevano le proprietà benefiche, nutritive e terapeutiche del
frutto che utilizzavano in diverse modalità; infine, simbolicamente, la nocciola per la sua ricchezza
nutritiva era donata come augurio di fertilità e protezione (guscio), mentre la verga con i rami
intrecciati che si trasformano in serpenti, sembra abbia ispirato il simbolo caduceo della farmacia
(legame tra mondo reale e soprannaturale).
Ma veniamo ai giorni nostri.
La nocciola, come in genere la frutta secca lipidica, rappresenta una fonte naturale di principi attivi
importanti per la salute del nostro organismo. Ma nel consumo bisogna evitarne gli eccessi, regola
peraltro sempre basilare11.
Nel suo intervento di cui alla nota 4, ha portato questi risultati: nocciole del Basso Pieve, datazione al radiocarbonio:
5053+89 a. C. = 7003 + 89 anni fa; n° frammenti: 3809 (pari a 123 frutti integri); frequenza: 33 frutti/10 kg di terreno;
diametro del frutto: 8 – 11 mm.
9 Maurizio Iappini, su La Stampa, op.cit.
10 Ugo Antonielli, Preistoria. Archeologia, Enciclopedia Treccani, op.cit. pp. 571-576.
11 Per evitare l’eccessivo apporto calorico, la quantità giornaliera di nocciole consigliata nella dieta alimentare è tra i
20 e 30 grammi, pari a circa due cucchiai di frutti sgusciati, dal blog: www.tuttogreen.it/nocciole-proprietà-ricette.
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L’analisi chimica quantitativa del frutto indica che contiene: 61.60% di grassi, 15,48% di proteine e
13,22% di carboidrati12, non contiene glutine, quindi è un alimento indicato anche per i celiaci.
L’analisi qualitativa della nocciola rileva le sostanze presenti:
• acidi grassi in abbondanza, in particolare quelli essenziali omega 6 e omega 3, che
abbassano i livelli di colesterolo cattivo (LDL) e alzano quelli di colesterolo buono (HDL), ma
anche omega 9;
• sali minerali, ricca la presenza di magnesio, che aiuta a regolare i livelli di calcio nel sangue
rinforzando i tessuti muscolari e di manganese, discrete la quantità di calcio, potassio e
ferro;
• fibre, utili le fibre alimentari che aiutano il transito intestinale;
• zuccheri, bassa concentrazione;
• vitamine: vitamina C ed E, ma anche del gruppo B (soprattutto B6) e D.
Molteplici sono le modalità di utilizzo della nocciola. In gastronomia non poche sono le ricette che
prevedono l’utilizzo delle nocciole, spaziano dai prelibati baci di dama” alla torta con nocciole
ottenuta utilizzando la farina di nocciole; dal classico gelato alla nocciola al cheescake, alla crema di
nocciola; dai taglierini alle nocciole con pancetta, al filetto di salmone in crosta di nocciole.
Nell’industria dolciaria, per il mondo della biscotteria, della pasticceria e della confetteria la
nocciola è un elemento primario. La ricchezza di grassi naturali insaturi è la base, con il cacao, di
deliziose creme al cioccolato, tostata bene si coniuga con il cioccolato fondente e il cioccolato al
latte, è utilizzata per la produzione di cioccolatini e gianduiotti, e in granella per la decorazione di
praline. Dalla spremitura di questi frutti oleosi si ottiene un pregiato olio utilizzato in cucina e in
cosmesi.
Nella produzione mondiale, la Turchia detiene il primo posto con il 71%, l’Italia è il secondo
produttore con l’11% pari a 131.281 tonnellate di nocciole, seguono la Georgia e l’Azerbaijan con il
4%, gli Stati Uniti con il 3% e la Spagna con il 2%, il restante della produzione mondiale è suddiviso
fra i nuovi mercati Cile, Sudafrica e Australia13. A livello mondiale merita d’essere evidenziato che
l’Italia è l’unico paese a vantare tre marchi europei di qualità: la Nocciola di Giffoni I.G.P., la
Nocciola Romana D.O.P. e la Nocciola Piemonte I.G.P. In fatto di corilicoltura la geografia italiana
vede quattro regioni particolarmente votate: La Campania, il Lazio, il Piemonte, la Sicilia. Il centro
Italia è al primo posto con 50.100 tonnellate, segue il sud con 49.189 tonnellate e il nord con
31.992 tonnellate14. In totale nel nostro Paese sono dedicati oltre 71.000 ettari di terreno alla
produzione della nocciola.
La pianta del nocciolo non è molto longevo, molti sono i cultivar italiani apprezzati in coricoltura in
tutto il mondo per la biodiversità. Ai D.O.P. e I.G.P. sopra indicati, si affiancano: la Tonda Gentile
delle Langhe e trilobata (Piemonte), la Tapparona e D’orto raggruppate come misto Chiavari, la
Tonda Gentile romana e il Nocchione (Lazio e Umbria), la Mortarella, la San Giovanni, la Tonda
Rossa, la Tonda Bianca, la Tonda Giffoni (Campania), la Tonda Calabrese (Calabria), la Minullara, la
Ghirara e altre raggruppate sotto il nome: le Nocciole dei Nebrodi (Sicilia), né mancano
approfonditi studi per creare nuove varietà.
L’elevato fabbisogno italiano di nocciole non copre la produzione interna. Il disavanzo tra domanda
ed offerta, induce le aziende del settore all’importazione. In questi ultimi anni il fabbisogno supera
le 30.000 tonnellate di nocciole sgusciate, pari a circa 290 milioni di euro.
È una buona ragione per guardare con interesse alla produzione di nocciole italiane, ma non solo.
Sono le stesse aziende a rendersi conto che, per vari motivi, non possono essere legate ad un solo
produttore, occorre diversificare. Con l'approvvigionamento ad una sola fonte, si correre il rischio
12
Enciclopedia Universale Curcio, Armando Curcio Editore, 1960, vol. V, p. 3809.
Dati: INC/ISTAT 2017/18 emersi nel Nocciola Day domenica 9 dicembre 2018, dal blog: www.nocciolaitaliana.it.
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Ibidem.
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di condividere i riflessi di una imprevista riduzione dell'offerta per vari motivi: prettamente agricoli
(calo della produzione) o politici, né sono da trascurare ragioni etiche (impiego, non conforme, di
mano d'opera per la raccolta), o l'utilizzo per curare le patalogie della pianta di prodotti fitosanitari
non consentiti dalla normativa europea.
Meglio quindi prendere in considerazione produttori controllabili, puntare su una nocciola di
qualità e, favorire una filiera sostenibile. In tale contesto la corilicoltura, per l’agricoltore e/o per
chi vuole investire nel settore, può rappresentare una buona opportunità, ovviamente previo
un'attenta valutazione.
270 sono i Comuni dell’Associazione Nazionale Città della Nocciola, dalla Sicilia alla Campania, dal
Lazio al Piemonte, dalla Lombardia alla Calabria, dalla Liguria alla Toscana, all’Umbria che ogni
anno nel Nocciola day organizzano eventi con protagonista la nocciola italiana, spaziando dai
convegni e mostre, ai menù dedicati nei ristoranti, bar, pasticcerie, stand gastronomici e laboratori.
Nel Novese, dove la nocciola come abbiamo visto ha una storia antica, in questo territorio
altrimenti definito: delle Dolci Terre, che vanta la presenza di industrie dolciarie di primo piano a
livello internazionale, nonché di bravi artigiani del settore, si nota un graduale e promettente
recupero del territorio collinare verso ordinati impianti di corilicoltura.
Ancora una considerazione sulla pianta: predilige la collina e la mezza montagna fino a 1.200
m.s.m. Grazie al suo apparato radicale fascicolato, contribuisce anche a compattare il territorio
evitandone il dissesto causato da elevate piogge e dilavamenti.
Novi Ligure: la Pieve
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UNA MEMORIA
Andrea Camposaragna
È l'estate del 1944, l’Italia del sud e stata liberata dalle forze alleate ma il nord è tenuto ancora
sotto controllo da tedeschi e fascisti con la Repubblica di Salò.
In una piccola località ligure vive Rosa Rolla, una donna di quarant'anni. Ha un bambino di tre che
si chiama Paolo ed è incinta, al settimo mese di gravidanza.
Rosa è sfollata in una località chiamata Vobbietta dove trova rifugio in un appartamento che
condivide con la famiglia. È fuggita da Isola del Cantone, il suo paese d'origine nell'entroterra
genovese che, con località limitrofe, può essere oggetto di bombardamenti da parte degli alleati
che mirano a bloccare i rifornimenti all'esercito invasore e a ritardarne la ritirata colpendo la linea
ferroviaria.
Un giorno viene ucciso un soldato tedesco mentre fa il bagno nel Iago artificiale nelle
vicinanze di Vobbietta: come rappresaglia i tedeschi decidono il rastrellamento degli abitanti
della zona e quindi la loro fucilazione. È il periodo dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema avvenuto
pochi giorni prima, crimine nazista che segna uno dei passi piu tristi della storia: in un pomeriggio
sono morte per fucilazione centinaia di persone, centotrenta di loro erano bambini sotto i dieci
anni.
In preda al terrore, gli sfollati di Vobbietta cercano di sfuggire con ogni mezzo al loro destino,
nascondendosi come e dove possono.
Oggi, a distanza di molti decenni, Paolo ricorda ancora di essere stato chiuso nel bagno con altre
persone, quasi senza respirare. Sua madre che gli tiene una mano sulla bocca perchè non faccia
rumore piangendo. Ricorda anche di aver visto, attraverso una fessura nella porta, due soldati in
soggiorno con i loro elmetti. E poi ricorda le prime persone rastrellate; sono già lì, radunate
nell’atrio del caseggiato di fronte. Arriva qualcuno che Ii sollecita ad uscire subito dal nascondiglio
perchè i tedeschi hanno impartito l'ordine di incendiare le case; allora tutti si uniscono in fretta al
gruppo già formato nell'atrio per non morire carbonizzati.
A quel punto viene ordinata l'esecuzione.
Le persone vengono fatte uscire dal portone e schierate di fronte all'arma già posizionata.
C’è un momento preciso in cui il piccolo Paolo sente distintamente il rumore dello scatto secco
della mitragliatrice posizionata. Clic clac. Oggi che è quasi vecchio, se chiude gli occhi, quel rumore
lo sente ancora. Clic clac.
È proprio dopo quello scatto secco che Rosa, lasciando Paolo nelle mani dei compagni, decide di
uscire allo scoperto e, rivolgendosi al Podestà, implora pietà almeno per il figlio che porta in
grembo. A quel gesto disperato segue un silenzio irreale, la sospensione improvvisa di ogni suono
per un tempo indefinito.
Paolo non ricorda molto di quel che succede dopo quel silenzio.
Quel che è certo è che nessuna fucilazione avviene e nessuna casa brucia.
II feroce amore con cui Rosa difende la sua creatura e così potente da salvare la vita di tutti.
Rosa è morta vent’anni fa. Era mia nonna. Paolo, il testimone bambino, è mio zio. Lui è il custode
di questa storia e lui me l'ha raccontata. II bambino che Rosa portava nel grembo è Alessandro,
mio padre.
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Le notizie sullo stesso episodio ricavate da interviste e appunti custoditi
dal Centro Culturale
Occorre premettere che la necessità di armi spingeva i partigiani a scendere a valle per
procurarsene. Un’occasione si presentò il 20 agosto del 1944, forse dopo appostamenti nei giorni
precedenti o per un’informazione di fiancheggiatori ma l’operazione rischiò di fallire. Chi ci rimise
fu una giovane Camicia Nera, Nerino Ghidoni, nato a Bigarello in Provincia di Mantova nel 1924,
facente parte del Battaglione Giovanile della G.N.R. “Lombardia”, Compagnia “Mantova”, agli ordini
del Comando tedesco di Savignone e incaricato dei servizi di guardia a quel Comando stesso e a
strade, ponti, ferrovie.
Il Centro Culturale ha raccolto negli anni numerosi ricordi di quella giornata di paura e qui ve ne
forniamo alcuni che vanno ad aggiungersi a quelli di Paolo Camposaragna sopra riportati.
G.B. (Giorgio) Repetto – Classe 1930 – Intervistato nella sede del Centro, in dialetto, il 7 marzo
1977 – CD 5 e 16.
«Io ero un ragazzino - con gli amici ero sempre a mezzo. I tedeschi che erano accampati lungo la
strada di Vobbietta avevano dei cavalli bellissimi che tiravano i cannoni. Facevano delle esercitazioni
“spaventose”. Li punivano per niente facendoli marciare con i zaini pieni di sabbia. Anche in casa
mia c’erano soldati tedeschi addetti al centralino telefonico. Prima c’era la mensa sottufficiali del
Genio Minatori.
Quando i partigiani hanno ammazzato quella brigata nera al lago di Savio io ero lì a fare il bagno con
Gigi Degl’Innocenti, Tonino Semino, Nanni Busallino, Ettore Repetto, Odone Neri, forse Cicci Marelli.
Eravamo dalla diga, dove c’è il cancelletto. I tedeschi c’erano la domenica prima a fare il bagno, però
loro mettevano i fucili sulla passerella della diga e uno di guardia. Quella domenica c’erano i fascisti
che avevano le “M” sul colletto. Arriva un partigiano col pizzetto, braghe corte e mitra, forse
venivano giù dal ruscello15. Ci dice: “Dove sono le armi dei fascisti?”. Con lui c’erano altri due, forse
però erano 5 o 6. Nell’imbocco della ciuxe, del canale, faceva il bagno uno dei militi che spara sui
partigiani e forse ne ferisce uno. Questi rispondono e noi scappiamo in mutande verso Noceto
attraversando la diga. Dopo un po’ c’era un silenzio perfetto allora ritorniamo a vedere e c’era un
cadavere crivellato. Da veri incoscienti raccogliamo i bossoli delle cartucce. Non si vedeva nessuno.
Quel giorno era festa a Griffoglieto e per la strada verso Isola abbiamo trovato le due figlie della
Candida16 che arrivavano dalla festa. Con loro incontriamo i fascisti alle Cascine Bruciate, davanti a
Tuscia, venivano su’ a piedi sparando e gridando. Ci chiedono se eravamo stati al laghetto. Noi
rispondiamo che eravamo alla festa in Griffoglieto. Proseguono e noi torniamo a casa. Ettore ci
aveva preceduti in bicicletta».
Agostino Zuccarino (Tino) – Classe 1923 – Appunti da lui redatti.
«Precedentemente al fatto di sangue di Don Franco, una domenica decidemmo io con Ermanno
Allegri ed altri, di recarci al lago di Savio a fare il bagno, anche per toglierci dal paese a farci chiedere
i documenti, sennonché lì al lago vi era già un gruppo, 7-8, di brigate nere a fare il bagno; ad un
certo punto sentiamo dire: “Non reagite, dateci le armi e non vi sarà fatto niente”, era un
distaccamento di partigiani proveniente da Griffoglieto: uno sconsiderato di questi fascisti fece
appena cenno di avvicinarsi alle armi che successe il finimondo; raffiche di mitra, bombe a mano e
ci scappò il morto fra i fascisti, i partigiani prese le armi si dileguarono nei boschi. Io, senza por
tempo in mezzo, uscii dall’acqua e scappai, in mutandine, verso Vobbietta, mi feci dare un paio di
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Rià da Rue (Ruscello del Rovere).
Giulietta e Tina Repetto, figlie di Candida Argenta.
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scarpacce e un paio di pantaloni e andai a fermarmi alla Cappelletta di Sant’Anna a Marmassana,
ritornai a casa l’indomani, quel giorno i reparti fascisti fecero un’incursione a Vobbietta e poco
mancò di fare una rappresaglia contro gli abitanti, i quali erano ignari di quanto successo al lago di
Savio».
Vera Delprato – Classe 1922 – Appunti redatti dal figlio Sergio Pedemonte.
«Il giorno di San Bernardo ero a Griffoglieto, era appena finito il Vespro e arriva da Isola gente che
dice che hanno ammazzato una SS al lago. Veniamo giù svelti a Vobbietta e mia madre dice a Gianni
Aragone, fidanzato di mia sorella Elia, di scappare sui monti con Punni Tavella. Arrivano i tedeschi e
ci mettono tutti contro il muro lì dai fratelli Zuccarino17; c’era roba per la strada buttata giù dai
tedeschi che cercavano i partigiani. Ma arriva Pugni18 in bicicletta e ci salva».
Ermanno Allegri – Classe 1927 – Appunti redatti durante l’intervista nella sala del Consiglio
Comunale il 24 febbraio 2006.
Anche lui era al lago di Savio quando hanno ucciso la Brigata Nera. Nel gruppo dei partigiani, che
erano venuti giù da Casareggio, ha riconosciuto Juventus19 che poi ha visto a Isola alla liberazione e
forse Pinan Salvarezza.
«… Juventus ha chiesto a Moggi (figlio di un ferroviere che abitava sul Ruccun) dove erano le armi
dei fascisti. Ghidoni Nerino, il milite ucciso era vestito e faceva la guardia alle armi. Ha ferito al
labbro Juventus con un colpo di pistola. L’hanno ucciso i partigiani che erano sulla strada che
hanno tirato delle bombe a mano. Tito Marelli in mezzo al lago gridava: “Non sono fascista io!”».
Ermanno con Cisan20, Moggi e altri sono fuggiti a Griffoglieto passando da Vobbietta. I militi erano
ospitati nella villa di Gaetanin Denegri agli Orti (forse quella dove adesso abita Giacomo Taroldi).
All’indomani le B.N. lo hanno interrogato con Cisan dopo essere andati a prenderli in bulloneria
dove lavoravano. Ermanno, dopo una prima fuga verso Vobbietta (facevano il bagno dalla
spiaggetta del ritale che viene giù da Casareggio), era ritornato a prendere i vestiti e un partigiano
sulla strada, che gli sembrava Pinan Salvarezza gli ha detto: “Andate via, fra poco qui farà caldo”.
Dopo 5-6 giorni i fascisti lo interrogano di nuovo e sua madre va da Pugni affinché interceda».
Interrogatorio di Camillo Pugni dal faldone (CAS25), presso l’Archivio di Stato di Genova, con
l’incartamento del processo a Giovanni Caselli, capo delle B.N. a Isola.
«(...) Verso la fine di agosto 1944 venni informato che nei pressi del lago di Savio era stato
rinvenuto il cadavere di un allievo della G.N.R. del Battaglione “Lombardia”. Come Commissario
Prefettizio mi recai sul posto onde prendere visione di ciò che era accaduto e arrivato trovai pure
alcuni reparti della G.N.R. che si trovavano in quei pressi all’inseguimento dei presunti uccisori - Io
seguii detti reparti fino a Vobbietta e durante il tragitto come pure nel paese di Vobbietta si
verificarono delle sparatorie. Solo i reparti della G.N.R spararono in quanto con ciò volevano
intimorire gli abitanti del paese in quanto questi erano creduti presunti complici. In paese detti
militi entrarono in alcune case cercando di trovare qualche partigiano. Facendo ciò i militi
obbligarono i cittadini a raccogliersi sulla piazzetta ove si trovava il comandante di cui non ricordo
il nome in mia compagnia. Il comandante parlò ai cittadini invitandoli a fornire tutte le indicazioni
possibili allo scopo di agevolare la cattura dei predetti uccisori e dato che nessuno diede ciò che
chiedeva incominciò a inveire minacciando di attuare le misure di rappresaglia. Fu allora che io
intervenni allo scopo di far desistere il comandante dai suoi propositi e vi riuscii facendo rilasciare
Giuan, Pasqualin e Pippi.
Camillo Pugni, Commissario Prefettizio a Isola del Cantone.
19 Antonino Mazzoni, classe 1921.
20 Angelo Desirello.
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tra l’altro le tre persone che erano state fermate dai militi. Quando si fece ritorno a Isola del
Cantone e mi ricordo che venne con noi una persona che doveva servire per dare alcuni ragguagli
sul verbale che si doveva stilare. In merito non so altro però debbo aggiungere che quando io mi
congedai dal comandante della G.N.R. ebbi da questo la rassicurazione che quella persona sarebbe
stata rilasciata senz’altro (...)».
Camillo Pugni è al centro della foto mentre sta leggendo un discorso commemorativo
(Archivio del Centro Culturale - lascito Stefano Denegri)
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Due imprenditori della prima metà
del ‘900 a Isola del Cantone
Sergio Pedemonte
La prima guerra mondiale era finita da qualche anno e la riconversione dell’industria pesante diede
vita a innumerevoli iniziative di imprenditori che scelsero l’Oltregiogo sia per il costo minore delle
aree su cui costruire gli impianti, sia per la vicinanza della ferrovia dei Giovi e della sua Succursale.
Uno di questi fu Alessandrio Savio: secondo l’Ing. Giovanni (Nanni) Sangiacomo, cultore di storia
locale, egli era di Dronero e forse della famiglia di San Domenico Savio. Iniziò la sua attività a Isola
con i concimi fosfatici ricavati dalle scorie che macinava nei capannoni di località Orti (foto 1).
Brevettate da Sidney Gilchrist Thomas esse erano un sottoprodotto della lavorazione della ghisa per
la trasformazione della stessa in acciaio; contengono notevoli percentuali di anidride fosforica (20%)
e di calce (10%) ed è il concime più indicato per i terreni acidi. Durante la seconda guerra mondiale
queste strutture furono adibite a caserma dove erano ospitate la 7a e la 4a compagnia del III
battaglione del 1° reggimento genio minatori di stanza a Novi Ligure, comandate dal maggiore Mario
Dezzutti di Torino, alloggiato alla locanda "Picollo". La fureria ed il comando di battaglione erano
nella palazzina di Stefano Delorenzi sulla strada per la Fornace, oggi scomparsa a causa della nuova
autostrada. Alcuni soldati si fermarono a Isola: ricordiamo Dino Fabbri, Baingio Fara, Giacomo
Giannozzi, Mario Brambati il papà della Angela del complesso musicale "Ricchi e Poveri", Antonio
D'Addazio. Franco Antonini, anche lui geniere, ci disse: «Rimasi a Isola per 11 mesi e conobbi mia
moglie, mi ricordo anche il giorno, il 14 maggio 1941, in stazione: stava accompagnando i Tass, che
erano ebrei perseguitati e abitavano da G.B. Punta e poi da Rinaldo Zuccarino».
Alessandro Savio alla sua morte lasciò il suo ingente patrimonionalla Curia di Genova affinché fosse
dedicato a opere di bene. Morì celibe a Genova ma visse sempre a Isola nella villa che aveva fatto
costruire agli Orti, oggi proprietà della famiglia Barioglio.
Foto 1 – In primo piano i Capannoni di Savio dove l’industriale macinava le scorie per farne fertilizzanti.
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Successivamente egli costruì un complesso di due dighe e due centrali per la produzione di energia
elettrica che è ancora visibile e funzionante nei Comuni di Vobbia e Isola del Cantone (GE). Partendo
dalla parte più a monte si trova la prima e più piccola diga sottostante il Castello della Pietra (foto
2), danneggiata nell’alluvione del 23 ottobre 1999, oggi abbassata nel coronamento, che alimenta,
attraverso un canale, la centrale di Isolarotonda nei pressi di Vobbietta. L’edificio, posto sulla destra
del torrente Vobbia, si raggiunge percorrendo un ponte sospeso.
Foto 2 – La piccola diga al Castello della Pietra
Foto 3 – Il ponte canale sul Vobbia che congiunge due gallerie in cui passa l’acqua per la centrale di Isolarotonda
a Vobbietta: i lavori di costruzione iniziarono nel 1917.
Erminio Fortieri ricorda ancora la tragedia che si svolse durante la costruzione della galleria che si
immette sul ponte che attraversa il Vobbia: «Mio nonno ha lavorato al Sempione poi alla galleria
ferroviaria tra Ronco e Arquata, quando hanno sospeso i lavori per la guerra è andato con Savio a
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fare le piccole gallerie del Castello della Pietra. Una mattina hanno caricato la volata, allora
usavano una polvere bagnata con olio, una mina non è partita così lui e un altro sono entrati a
vedere: ci sono rimasti sul colpo».
La seconda diga, a valle di Vobbietta fu inaugurata nel 1931. Il camminamento è a metri 317,60 sul
livello del mare mentre lo scarico di fondo è a 306,62. Quindi lo sbarramento è alto 11 metri. Il
canale su cui sono i due osservatori nella foto 4, prendeva l’acqua da una briglia provvisoria poco
prima di Vobbietta i cui resti si possono osservare ancora oggi.
La centrale ad essa collegata è posta a Isola del Cantone sullo Scrivia. L’energia elettrica prodotta
non fu solo di ausilio della popolazione ma anche delle manifatture locali che prima e a cavallo
della seconda guerra mondiale operarono nella zona (bullonerie, proiettifici, concerie).
Foto 4 - La diga di Vobbietta (Lago di Savio) in costruzione.
Fig. 5 – Il lago di Savio a Vobbietta negli anni ‘40
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Foto 6 – La centrale elettrica di Isola sul bordo dello Scrivia
Le turbine di Savio non furono le uniche: nella tabella 1 elenchiamo quelle utilizzate nel nostro
Comune e notiamo che due erano di Giuseppe Rivara (1860-1933), proprietario della conceria in
località Prodonno e Sindaco di Isola dal 1901 al 1907. Esse sfruttavano le sorgenti della Costa da
Ciua, poco sotto al Bricco Grosso (Ronco dell’Obbio), e avevano una condotta in ghisa di
alimentazione della turbina idraulica che azionava i “bottali” della conceria21 mentre alimentavano
un acquedotto privato. Fece poi costruire una seconda conceria più moderna a Genova (San
Gottardo) e quella di Prodonno venne chiusa dal figlio Natale nel 1958. I Rivara erano discendenti
di don G.B. Rivara, parroco di San Michele Arcangelo di Isola tra 1603 e 1618, originario di Né in
Val Graveglia.
TABELLA 1 - Le turbine utilizzate a Isola22
Proprietario e località
Alessandro Savio - Isola
Giuseppe Rivara - Isola
Giuseppe Rivara - Isola
Alessandro Savio - Isola
Alessandro Savio Isolarotonda
Alessandro Savio Isolarotonda
21
22
Tipo
Caduta
turbina
(m)
1007 Francis
35
Pelton
200
Diagonale
12,5
1710 Francis
35
N°
Portata Potenza Velocità
(l/sec) (CV)
(g/min)
425
149
600
6
11
1000
120
15
245
425
149
600
Anno
1904
1906
1910
1911
2181
Francis
68,5
700
500
750
1917
2258
Francis
68,5
700
500
750
1918
Da appunti privati di Vittorio Rivara, nipote di Giuseppe, che ringrazio.
I dati sono dell’ing. Giovanni (Nanni) Sangiacomo che ringrazio.
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Foto 7 –Il ponte sullo Scrivia e la conceria in località Prodonno, a destra sullo sfondo (1921).
Per le esigenze della conceria venne costruito un ponte sullo Scrivia, oggi comunale ed ancora
utilizzato: ha le travi in calcestruzzo armato tipo Hennebique realizzate dalla società Ing. G.A.
Porcheddu su progetto dell’ing. Giuseppe Visconti di Torino. Costò 99.000 lire. Françoise
Hennebique è riconosciuto come l’inventore del calcestruzzo armato: il suo brevetto fu introdotto
con successo nel 1894, a Torino, dall’ingegner Giovanni Antonio Porcheddu il quale lo migliorò, in
particolare nell'utilizzo dei pieghi nelle barre di armatura. L'Impresa Porcheddu divenne la
licenziataria esclusiva per l'Italia del sistema, che fu ampiamente applicato con crescente successo
in svariate opere pubbliche e private come lo stabilimento Lingotto a Torino, la prima fabbrica
Olivetti a Ivrea o i silos granari del porto di Genova23.
23
Anche per queste notizie devo ringraziare l’ing. Paolo Rivara, nipote di Giuseppe.
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