Info tratte da
I Boscimani, come popolo, sono considerati un "fossile vivente", cioè
un popolo che in nulla o quasi ha modificato la propria vita dai tempi
preistorici. Roberto Bosi, scrittore ed etnologo, ha condotto
un'approfondita ricerca su questa gente orgogliosa, amante della
libertà, che usa ancora armi e strumenti antichi per sopravvivere
nell'arido deserto del Kalahari, nell'Africa meridionale, dove la ricerca
del cibo e dell'acqua richiede un'abilità sorprendente e una grande
fatica.
Non è mai stato facile raggiungere i Boscimani nel loro territorio; né
ai tempi delle prime avventure dell'uomo bianco, quando erano
molto numerosi, né oggi, quando ormai si sono fatti scarsissimi e
vivono una vita di estremo isolamento in uno dei territori più
inospitali dell'Africa.
Quello che rimane del popolo ricco di tradizioni, di miti, di favole è
ormai sparso nei grandi spazi sabbiosi del Kalahari o nelle boscaglie
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di arbusti spinosi popolati di insidie.
Il nome Boscimano è la traduzione italiana dell'olandese Bosjeman,
"uomo dei boschi".
Il nome che invece i Boscimani danno a se stessi è San, plurale di
Sab o Saab. Il significato di questa parola non è affatto chiaro. La
spiegazione più semplice sembrerebbe "dispersi" o "perseguitati",
che confermerebbe il fatto che i Boscimani vennero allontanati dal
loro ambiente naturale; i popoli confinanti chiamano i Boscimani
con un altro nome: Abatoa, "Uomini dell'Arco", che spiega il timore
che i Boscimani incutevano ai nemici a causa del veleno micidiale in
cui immergevano le frecce, visto che i popoli che circondavano i
Boscimani preferivano combattere con lancia o mazza.
Furono individuati per la prima volta dagli Olandesi nel 1655: si
stavano ritirando sulle montagne dell'interno, dormivano sotto
paraventi di frasche, erano piccoli di statura, vivevano con quanto
riuscivano a cacciare con archi e frecce, che maneggiavano con
grande maestria, come riferiva un testimone olandese dell'epoca, dal
quale sappiamo anche che erano nomadi e si cibavano di qualsiasi
bestia morta di recente (abitudine che conservano anche oggi)
I Boscimani sono veri nomadi: non coltivano terra e come animali
domestici tengono solo cani; conoscono molto bene le abitudini
degli animali selvatici, che costituiscono il loro cibo, a cui
aggiungono radici, fave, frutti (è compito delle donne raccoglierli)
La capanna che viene costruita è provvisoria, ed è la donna che si
occupa di sistemare il campo e della preparazione dei cibi oltre che
di occuparsi delle armi di riserva.
Quando il cibo scarseggia, la donna è la prima a privarsene.
A nove-dieci anni i bambini accompagnano il padre a caccia, usando
frecce avvelenate (intinte in una miscela formata da una larva di un
insetto e veleno di ragni, scorpioni, serpenti e piante), mentre le
bambine seguono la madre che insegna loro la raccolta delle piante
commestibili.
Gli uomini, durante la caccia, si mimetizzano spargendosi sabbia sul
corpo o coprendosi di rametti e arbusti. Riescono a resistere per ore
immobili sotto il sole nell'attesa delle prede. Oltre alle frecce usano
anche lacci e trappole.
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I Boscimani non costruiscono case: cercano rifugio tra le spaccature
delle rocce o nelle caverne, nelle buche abbandonate dai formichieri
o nelle fosse dei letti asciutti o al massimo costruiscono ripari
semicircolari aperti sul davanti con rami piantati nel terreno e
ricoperti con foglie ed erbe.
Comunque, i Boscimani sono nomadi e riescono a riprodurre i suoni
di molti uccelli e mammiferi per attirarli durante la caccia. Si
camuffano da struzzo, travestendosi, per riuscire ad avvicinarsi ad
un branco.
Resistono per giorni alla sete, sfruttando il succo di alcune radici.
L'acqua si può trovare anche scavando in profondità e viene
risucchiata con una cannuccia che ha una piccola penna di struzzo
che funziona da filtro.
La provvista d'acqua viene conservata all'interno di uova di struzzo
vuote.
La divinità adorata dai Boscimani è Kaggen, l'Essere Supremo, che
dimora nel Cielo.
Invisibile, padrone di tutte le cose, creatore degli animali, signore
della pioggia, amministra la vita e la morte.
Da esso gli stregoni traggono il potere e da esso deriva la folgore.
La sua conoscenza di ogni cosa gli deriva dalla relazione con gli
uccelli che gli riferiscono tutto ciò che avviene sulla Terra.
Kaggen assume la forma di una mantide, secondo i Boscimani
dell'Africa nord-ovest e il profilo della mantide compare nelle
maschere indossate dagli uomini danzanti delle antichissime pitture
rupestri.
Una leggenda boscimana racconta che il vento era, un tempo, una
persona, ma poi divenne un essere pennuto e volò, andando ad
abitare presso una grotta sulle montagne.
Ogni tanto esce, vola, ritorna a casa per dormire.
E così all'infinito. Così è ed è stato il Boscimano.
Nota di Lunaria: per approfondimenti, vedi il fondamentale
"Religioni Africane" di Erst Dammann
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APPROFONDIMENTO SUL DIO MANTIDE
Info tratte da
(libro che ho fatto una gran fatica a restituire alla biblioteca :P me lo
sarei tenuta volentieri, da tanto era bello e pieno zeppo di roba
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interessante!)
Le forme più arcaiche dell'ordinamento sociale e religioso africano
sono quelle sopravvissute tra i boscimani, un gruppo di cacciatori
dell'Africa meridionale.
Tra il XVII e XIX secolo le colonizzazioni olandese-boera e
britannica hanno portato alla distruzione e alla scomparsa della
maggior parte delle tribù dei boscimani. Oggi pertanto disponiamo
soltanto di descrizioni frammentarie sulla cultura dei boscimani
raccolte da viaggiatori, missionari e altri studiosi (Lichtenstein,
Fritsch, Passarge, Bleek, Stow e altri). In epoca recente i residui
dell'antico folklore, della mitologia e delle credenze boscimani sono
stati studiati da Viktor Ellenberger, il figlio di un missionario che è
nato e vissuto a lungo in mezzo alla popolazione autoctona
dell'Africa meridionale.
Le tribù dei boscimani si dividevano in famiglie gentilizie
autonome, che in origine erano probabilmente matrilineari e
totemiche. Tracce di totemismo sono riconoscibili nel fatto che le
famiglie sono contraddistinte da nomi di animali, oltre che nelle
raffigurazioni rupestri di personaggi per metà umani e per metà
animaleschi, e nei miti su animali che in passato erano simili
all'uomo o su animali trasformati in esseri umani.
I boscimani credevano in una vita d'oltretomba e avevano una
grande paura dei morti. Le tribù boscimane seguivano particolari
riti per la sepoltura (inumazione) dei defunti, ma ignoravano il culto
degli antenati che era presente tra le popolazioni africane più
evolute.
L'aspetto più caratteristico presente nella religione dei boscimani, in
quanto popolazione cacciatrice, era il culto venatorio. Essi
rivolgevano a vari fenomeni della natura (Sole, Luna, Stelle) e ad
esseri soprannaturali preghiere mediante le quali invocavano il
successo nella caccia. Ecco un esempio di tali preghiere:
"Luna, tu che stai in alto, aiutami domani a uccidere una gazzella.
Concedimi di mangiare carne di gazzella. Aiutami a colpire con
questa freccia una gazzella, con questa freccia. Fammi saziare di
carne di gazzella. Aiutami a riempire lo stomaco questa notte.
Aiutami a riempire il ventre. Luna! tu che stai in alto! Io frugo nella
terra, per trovare le formiche, dammi da mangiare..."
Le medesime preghiere venivano rivolte anche alla mantide
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religiosa, che era chiamata Ngo oppure Tsg'aang (Ts'agn, Tsg'aagen)
vale a dire "signore".
"Signore, forse tu non mi ami? Signore, conduci davanti a me un
maschio di gnu. Mi piace quando ho lo stomaco sazio. Anche al mio
figlio maggiore, alla mia figlia maggiore, piace essere sazi. Signore,
mandami un maschio di gnu!"
Il fatto che la mantide sia oggetto di adorazione religiosa merita
particolarmente approfondimento: la questione non è del tutto
chiara. Da una parte, si tratta di un insetto realmente esistente,
benché gli si attribuiscano proprietà soprannaturali: i boscimani
credevano, ad esempio, che se Ngo rispondeva alla preghiera
facendo un movimento rotatorio con la testa, la caccia sarebbe stata
buona. Questo insetto, d'altra parte, veniva in qualche modo
collegato con uno spirito celeste invisibile che i boscimani
chiamavano con lo stesso nome, Ts'agn, Tsg'aang, e consideravano
creatore della terra e degli uomini. Questo Ts'agn compare molto
spesso nei miti boscimani; gli viene attribuita anche una funzione di
diavoletto burlone. è probabile che questa figura di essere celeste sia
complessa: si tratta nello stesso tempo di un eroe culturale, di un
demiurgo, e, a quanto pare, di un antico totem. I suoi aspetti
totemici sono rivelati, oltre che dal legame diretto con la mantide,
anche dai suoi rapporti mitologici con altri animali: la moglie di
Ts'agn è una marmotta, sua sorella un airone, la figlia adottiva un
porcospino e così via. Uno degli elementi costitutivi del personaggio
di Ts'agn, e forse addirittura il più importante, è comunque il fatto
che esso sia il patrono delle iniziazioni tribali, analogamente agli
esseri celesti affini dell'Australia, quali Atnatu, Daramulun, ecc.
Delle usanze iniziatiche dei boscimani sono sopravvissuti soltanto
deboli ricordi, ma il giovane boscimano Tsging, informatore di J.
Orpen, ha riferito che "Ts'agn ci diede i canti e ci ordinò di danzare
il mokoma" e questo ballo rituale era indubbiamente connesso con i
riti di iniziazione degli adolescenti. Lo stesso Tsging riferì a Orpen
che gli iniziati ne sanno di più su Ts'agn (era rimasto non iniziato,
perché la sua tribù si era estinta)
Lo studioso padre Schmidt si è sforzato di trasformare Ts'agn in un
unico dio creatore, e ha cercato di individuare tracce di monoteismo
primitivo o protomonoteismo (*), scartando però le testimonianze
contrarie.
I ricercatori hanno individuato tra i boscimani tracce di una fede
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sulla magia nera o nociva (di tipo affine a quella australiana), di
proibizioni alimentari dall'origine incerta, di una fede nei sogni e
nei presagi, di una superstiziosa paura della tempesta. (**)
(*) Nota di Lunaria: in Africa il concetto di "Dio" era diverso dal
concetto monoteista (o pagano). Gli africani preferivano rivolgersi
agli Antenati e agli Spiriti, perché il Dio creatore veniva considerato
troppo "distante", anzi, del tutto disinteressato alla sua creazione,
un vero e proprio dio assente, pigro, ozioso.
Curiosamente, anche nel cristianesimo in salsa africana
(sincretismo), gli africani si sentono più attratti non dal Dio Padre o
dal Dio Figlio ma dallo Spirito Santo (vedi i culti pentecostali e
carismatici africani in questo libro)
(**) C'è una storia a tinte horror che trovai in un libro sulla
Namibia. La riporto anche qui.
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"Mentre me ne stavo seduto sulla veranda del Cardboard Box Bar di
Windhoek, trangugiando una Windhoek Lager e osservando uno
dei migliori tramonti africani, mi capitò di rivedere un amico uomo dalla spiritualità molto marcata - che era appena ritornato da
Oshakati, nell'Owambo. Nessuno di voi aveva tanta voglia di
parlare e rimanemmo quindi seduti in silenzio a guardare gli ultimi
bagliori del tramonto che si spegnevano lentamente ad ovest.
Quando comparvero le prime stelle, presi il coraggio a quattro mani
e chiesi al mio amico la sua opinione in merito a un'esperienza che
avevo vissuto anni addietro. Era la prima volta che ne parlavo. Dopo
quella sera lo avrei fatto ancora, ma allora esitavo per timore di
essere scambiato per matto.
A quel tempo guidavo i safari e conducevo quindi una vita normale.
Una volta mi trovai ad accompagnare un gruppo dalle dune del
Namib sferzate dalle tempeste di sabbia alla relativa calma di
Naukluft. Cinque ore più tardi avevamo terminato di piantare le
tende a Koedoesrus, all'ombra di antiche acacie e delle cime
frastagliate dei monti Naukluft. Dopo cena, i turisti che
accompagnavo si ritirarono nelle loro tende e io mi coricai accanto
alle ceneri ardenti dei falò, addormentandomi sotto un cielo nero
come l'inchiostro punteggiato di stelle. Alcune ore dopo, però, fui
svegliato dal rombo di un tuono e mi affrettai quindi a coprirmi con
la tela cerata per ripararmi dalla pioggia. Cercai di riaddormentarmi,
ma di lì a poco un lampo illuminò le vette circostanti e iniziai a
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sentire il picchiettio della pioggia sul mio riparo improvvisato. Ora
la mia unica preoccupazione era quella di mantenermi il più
asciutto possibile, impresa che si rivelò estremamente ardua in
quanto il temporale aumentava di intensità. Ben presto realizzai che
il mio era uno sforzo inutile: pioveva a catinelle e tutto quello che
potevo fare era cercare di ignorare l'umidità che filtrava nel mio
sacco a pelo e calcolare le possibilità che avevo di rimanere
schiacciato sotto un'acacia colpita da un fulmine. Improvvisamente
con la coda dell'occhio captai un movimento nei cespugli. Uno
sciacallo, pensai, che spera di trovare qualcosa da mangiare tendevo ad escludere che un uomo potesse andarsene in giro in una
notte come quella. Diedi una rapida occhiata alle tende per
assicurarmi che i miei clienti fossero tutti chiusi dentro, al sicuro e
all'asciutto, cercando di ignorare il tumulto che si scatenava al di
fuori dei loro ripari. Ma ecco di nuovo quel movimento. Guardai in
quella direzione e un lampo mi rivelò una figura che sembrava
quella di un bambino, vestita di stracci e con un grande bastone
nodoso in una mano. Mi chiesi se fosse il caso di chiamare aiuto, ma
c'era qualcosa che non quadrava. Mentre la figura si avvicinava i
lampi svelavano altri dettagli e, quando giunse a non più di 10 metri
da me, un lampo più luminoso degli altri mi mostrò che non si
trattava di un bambino bensì di un uomo vecchissimo, piegato in
due e paurosamente claudicante. Il viso era coperto di stracci e si
trascinava avanti col capo chino, appoggiandosi pesantemente al
bastone. A un certo punto alzò lentamente lo sguardo su di me,
seduto immobile sotto la pioggia, e mi colpì il fatto che la sua pelle
era blu. Poi vidi gli occhi di un penetrante blu elettrico che
scintillavano al buio e mi fissavano, carichi d'odio. Ebbi
l'impressione di trovarmi di fronte al male in persona e tremai,
terrorizzato, tenendo lo sguardo fisso su di lui finché non si girò
lentamente allontanandosi nella tempesta. Sparito che fu il vecchio,
il tempo cambiò e uno dei più violenti temporali che abbia mai visto
si allontanò così come era venuto. Per un bel po' rimasi
seduto, bagnato e sconvolto, poi ritornai in me e mi misi ad
attizzare il fuoco. Non riuscii più a riaddormentarmi e trascorsi il
resto della notte cercando di fare il possibile per asciugarmi.
La veranda ora era immersa nella quiete e nell'oscurità, smorzate
appena dalla fioca luce e dal sussurro delle voci provenienti dal bar.
"Be', cosa ne pensi?", chiesi. Mentre il mio amico rifletteva sul mio
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racconto, una donna herero, che era seduta al tavolo vicino e
intrecciava i capelli a un'amica, si avvicinò. Era molto nervosa e
continuava a guardarsi i piedi e mormorare la parola "Oshilulu".
"Oshilulu?", chiesi. "Sì", disse dopo un momento di esitazione.
"Oshilulu è uno spirito maligno conosciuto in tutta l'Africa
meridionale sotto diversi nomi: alcuni lo chiamano Tokoloshi", mi
disse, "ma è sempre blu", e io dovevo ritenermi molto fortunato che
nulla di orribile mi fosse successo in quella notte tempestosa.
Ancora oggi quando vedo una tempesta incombere sugli immensi
spazi di questo paese, mi chiedo quali malvagità stia escogitando
quell'essere, e se mai avrò la sfortuna di rivederlo."
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