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I Boscimani (ediz agg 2024)

Info tratte da I Boscimani, come popolo, sono considerati un "fossile vivente", cioè un popolo che in nulla o quasi ha modificato la propria vita dai tempi preistorici. Roberto Bosi, scrittore ed etnologo, ha condotto un'approfondita ricerca su questa gente orgogliosa, amante della libertà, che usa ancora armi e strumenti antichi per sopravvivere nell'arido deserto del Kalahari, nell'Africa meridionale, dove la ricerca del cibo e dell'acqua richiede un'abilità sorprendente e una grande fatica.

Info tratte da I Boscimani, come popolo, sono considerati un "fossile vivente", cioè un popolo che in nulla o quasi ha modificato la propria vita dai tempi preistorici. Roberto Bosi, scrittore ed etnologo, ha condotto un'approfondita ricerca su questa gente orgogliosa, amante della libertà, che usa ancora armi e strumenti antichi per sopravvivere nell'arido deserto del Kalahari, nell'Africa meridionale, dove la ricerca del cibo e dell'acqua richiede un'abilità sorprendente e una grande fatica. Non è mai stato facile raggiungere i Boscimani nel loro territorio; né ai tempi delle prime avventure dell'uomo bianco, quando erano molto numerosi, né oggi, quando ormai si sono fatti scarsissimi e vivono una vita di estremo isolamento in uno dei territori più inospitali dell'Africa. Quello che rimane del popolo ricco di tradizioni, di miti, di favole è ormai sparso nei grandi spazi sabbiosi del Kalahari o nelle boscaglie 1 di arbusti spinosi popolati di insidie. Il nome Boscimano è la traduzione italiana dell'olandese Bosjeman, "uomo dei boschi". Il nome che invece i Boscimani danno a se stessi è San, plurale di Sab o Saab. Il significato di questa parola non è affatto chiaro. La spiegazione più semplice sembrerebbe "dispersi" o "perseguitati", che confermerebbe il fatto che i Boscimani vennero allontanati dal loro ambiente naturale; i popoli confinanti chiamano i Boscimani con un altro nome: Abatoa, "Uomini dell'Arco", che spiega il timore che i Boscimani incutevano ai nemici a causa del veleno micidiale in cui immergevano le frecce, visto che i popoli che circondavano i Boscimani preferivano combattere con lancia o mazza. Furono individuati per la prima volta dagli Olandesi nel 1655: si stavano ritirando sulle montagne dell'interno, dormivano sotto paraventi di frasche, erano piccoli di statura, vivevano con quanto riuscivano a cacciare con archi e frecce, che maneggiavano con grande maestria, come riferiva un testimone olandese dell'epoca, dal quale sappiamo anche che erano nomadi e si cibavano di qualsiasi bestia morta di recente (abitudine che conservano anche oggi) I Boscimani sono veri nomadi: non coltivano terra e come animali domestici tengono solo cani; conoscono molto bene le abitudini degli animali selvatici, che costituiscono il loro cibo, a cui aggiungono radici, fave, frutti (è compito delle donne raccoglierli) La capanna che viene costruita è provvisoria, ed è la donna che si occupa di sistemare il campo e della preparazione dei cibi oltre che di occuparsi delle armi di riserva. Quando il cibo scarseggia, la donna è la prima a privarsene. A nove-dieci anni i bambini accompagnano il padre a caccia, usando frecce avvelenate (intinte in una miscela formata da una larva di un insetto e veleno di ragni, scorpioni, serpenti e piante), mentre le bambine seguono la madre che insegna loro la raccolta delle piante commestibili. Gli uomini, durante la caccia, si mimetizzano spargendosi sabbia sul corpo o coprendosi di rametti e arbusti. Riescono a resistere per ore immobili sotto il sole nell'attesa delle prede. Oltre alle frecce usano anche lacci e trappole. 2 I Boscimani non costruiscono case: cercano rifugio tra le spaccature delle rocce o nelle caverne, nelle buche abbandonate dai formichieri o nelle fosse dei letti asciutti o al massimo costruiscono ripari semicircolari aperti sul davanti con rami piantati nel terreno e ricoperti con foglie ed erbe. Comunque, i Boscimani sono nomadi e riescono a riprodurre i suoni di molti uccelli e mammiferi per attirarli durante la caccia. Si camuffano da struzzo, travestendosi, per riuscire ad avvicinarsi ad un branco. Resistono per giorni alla sete, sfruttando il succo di alcune radici. L'acqua si può trovare anche scavando in profondità e viene risucchiata con una cannuccia che ha una piccola penna di struzzo che funziona da filtro. La provvista d'acqua viene conservata all'interno di uova di struzzo vuote. La divinità adorata dai Boscimani è Kaggen, l'Essere Supremo, che dimora nel Cielo. Invisibile, padrone di tutte le cose, creatore degli animali, signore della pioggia, amministra la vita e la morte. Da esso gli stregoni traggono il potere e da esso deriva la folgore. La sua conoscenza di ogni cosa gli deriva dalla relazione con gli uccelli che gli riferiscono tutto ciò che avviene sulla Terra. Kaggen assume la forma di una mantide, secondo i Boscimani dell'Africa nord-ovest e il profilo della mantide compare nelle maschere indossate dagli uomini danzanti delle antichissime pitture rupestri. Una leggenda boscimana racconta che il vento era, un tempo, una persona, ma poi divenne un essere pennuto e volò, andando ad abitare presso una grotta sulle montagne. Ogni tanto esce, vola, ritorna a casa per dormire. E così all'infinito. Così è ed è stato il Boscimano. Nota di Lunaria: per approfondimenti, vedi il fondamentale "Religioni Africane" di Erst Dammann 3 APPROFONDIMENTO SUL DIO MANTIDE Info tratte da (libro che ho fatto una gran fatica a restituire alla biblioteca :P me lo sarei tenuta volentieri, da tanto era bello e pieno zeppo di roba 4 interessante!) Le forme più arcaiche dell'ordinamento sociale e religioso africano sono quelle sopravvissute tra i boscimani, un gruppo di cacciatori dell'Africa meridionale. Tra il XVII e XIX secolo le colonizzazioni olandese-boera e britannica hanno portato alla distruzione e alla scomparsa della maggior parte delle tribù dei boscimani. Oggi pertanto disponiamo soltanto di descrizioni frammentarie sulla cultura dei boscimani raccolte da viaggiatori, missionari e altri studiosi (Lichtenstein, Fritsch, Passarge, Bleek, Stow e altri). In epoca recente i residui dell'antico folklore, della mitologia e delle credenze boscimani sono stati studiati da Viktor Ellenberger, il figlio di un missionario che è nato e vissuto a lungo in mezzo alla popolazione autoctona dell'Africa meridionale. Le tribù dei boscimani si dividevano in famiglie gentilizie autonome, che in origine erano probabilmente matrilineari e totemiche. Tracce di totemismo sono riconoscibili nel fatto che le famiglie sono contraddistinte da nomi di animali, oltre che nelle raffigurazioni rupestri di personaggi per metà umani e per metà animaleschi, e nei miti su animali che in passato erano simili all'uomo o su animali trasformati in esseri umani. I boscimani credevano in una vita d'oltretomba e avevano una grande paura dei morti. Le tribù boscimane seguivano particolari riti per la sepoltura (inumazione) dei defunti, ma ignoravano il culto degli antenati che era presente tra le popolazioni africane più evolute. L'aspetto più caratteristico presente nella religione dei boscimani, in quanto popolazione cacciatrice, era il culto venatorio. Essi rivolgevano a vari fenomeni della natura (Sole, Luna, Stelle) e ad esseri soprannaturali preghiere mediante le quali invocavano il successo nella caccia. Ecco un esempio di tali preghiere: "Luna, tu che stai in alto, aiutami domani a uccidere una gazzella. Concedimi di mangiare carne di gazzella. Aiutami a colpire con questa freccia una gazzella, con questa freccia. Fammi saziare di carne di gazzella. Aiutami a riempire lo stomaco questa notte. Aiutami a riempire il ventre. Luna! tu che stai in alto! Io frugo nella terra, per trovare le formiche, dammi da mangiare..." Le medesime preghiere venivano rivolte anche alla mantide 5 religiosa, che era chiamata Ngo oppure Tsg'aang (Ts'agn, Tsg'aagen) vale a dire "signore". "Signore, forse tu non mi ami? Signore, conduci davanti a me un maschio di gnu. Mi piace quando ho lo stomaco sazio. Anche al mio figlio maggiore, alla mia figlia maggiore, piace essere sazi. Signore, mandami un maschio di gnu!" Il fatto che la mantide sia oggetto di adorazione religiosa merita particolarmente approfondimento: la questione non è del tutto chiara. Da una parte, si tratta di un insetto realmente esistente, benché gli si attribuiscano proprietà soprannaturali: i boscimani credevano, ad esempio, che se Ngo rispondeva alla preghiera facendo un movimento rotatorio con la testa, la caccia sarebbe stata buona. Questo insetto, d'altra parte, veniva in qualche modo collegato con uno spirito celeste invisibile che i boscimani chiamavano con lo stesso nome, Ts'agn, Tsg'aang, e consideravano creatore della terra e degli uomini. Questo Ts'agn compare molto spesso nei miti boscimani; gli viene attribuita anche una funzione di diavoletto burlone. è probabile che questa figura di essere celeste sia complessa: si tratta nello stesso tempo di un eroe culturale, di un demiurgo, e, a quanto pare, di un antico totem. I suoi aspetti totemici sono rivelati, oltre che dal legame diretto con la mantide, anche dai suoi rapporti mitologici con altri animali: la moglie di Ts'agn è una marmotta, sua sorella un airone, la figlia adottiva un porcospino e così via. Uno degli elementi costitutivi del personaggio di Ts'agn, e forse addirittura il più importante, è comunque il fatto che esso sia il patrono delle iniziazioni tribali, analogamente agli esseri celesti affini dell'Australia, quali Atnatu, Daramulun, ecc. Delle usanze iniziatiche dei boscimani sono sopravvissuti soltanto deboli ricordi, ma il giovane boscimano Tsging, informatore di J. Orpen, ha riferito che "Ts'agn ci diede i canti e ci ordinò di danzare il mokoma" e questo ballo rituale era indubbiamente connesso con i riti di iniziazione degli adolescenti. Lo stesso Tsging riferì a Orpen che gli iniziati ne sanno di più su Ts'agn (era rimasto non iniziato, perché la sua tribù si era estinta) Lo studioso padre Schmidt si è sforzato di trasformare Ts'agn in un unico dio creatore, e ha cercato di individuare tracce di monoteismo primitivo o protomonoteismo (*), scartando però le testimonianze contrarie. I ricercatori hanno individuato tra i boscimani tracce di una fede 6 sulla magia nera o nociva (di tipo affine a quella australiana), di proibizioni alimentari dall'origine incerta, di una fede nei sogni e nei presagi, di una superstiziosa paura della tempesta. (**) (*) Nota di Lunaria: in Africa il concetto di "Dio" era diverso dal concetto monoteista (o pagano). Gli africani preferivano rivolgersi agli Antenati e agli Spiriti, perché il Dio creatore veniva considerato troppo "distante", anzi, del tutto disinteressato alla sua creazione, un vero e proprio dio assente, pigro, ozioso. Curiosamente, anche nel cristianesimo in salsa africana (sincretismo), gli africani si sentono più attratti non dal Dio Padre o dal Dio Figlio ma dallo Spirito Santo (vedi i culti pentecostali e carismatici africani in questo libro) (**) C'è una storia a tinte horror che trovai in un libro sulla Namibia. La riporto anche qui. 7 "Mentre me ne stavo seduto sulla veranda del Cardboard Box Bar di Windhoek, trangugiando una Windhoek Lager e osservando uno dei migliori tramonti africani, mi capitò di rivedere un amico uomo dalla spiritualità molto marcata - che era appena ritornato da Oshakati, nell'Owambo. Nessuno di voi aveva tanta voglia di parlare e rimanemmo quindi seduti in silenzio a guardare gli ultimi bagliori del tramonto che si spegnevano lentamente ad ovest. Quando comparvero le prime stelle, presi il coraggio a quattro mani e chiesi al mio amico la sua opinione in merito a un'esperienza che avevo vissuto anni addietro. Era la prima volta che ne parlavo. Dopo quella sera lo avrei fatto ancora, ma allora esitavo per timore di essere scambiato per matto. A quel tempo guidavo i safari e conducevo quindi una vita normale. Una volta mi trovai ad accompagnare un gruppo dalle dune del Namib sferzate dalle tempeste di sabbia alla relativa calma di Naukluft. Cinque ore più tardi avevamo terminato di piantare le tende a Koedoesrus, all'ombra di antiche acacie e delle cime frastagliate dei monti Naukluft. Dopo cena, i turisti che accompagnavo si ritirarono nelle loro tende e io mi coricai accanto alle ceneri ardenti dei falò, addormentandomi sotto un cielo nero come l'inchiostro punteggiato di stelle. Alcune ore dopo, però, fui svegliato dal rombo di un tuono e mi affrettai quindi a coprirmi con la tela cerata per ripararmi dalla pioggia. Cercai di riaddormentarmi, ma di lì a poco un lampo illuminò le vette circostanti e iniziai a 8 sentire il picchiettio della pioggia sul mio riparo improvvisato. Ora la mia unica preoccupazione era quella di mantenermi il più asciutto possibile, impresa che si rivelò estremamente ardua in quanto il temporale aumentava di intensità. Ben presto realizzai che il mio era uno sforzo inutile: pioveva a catinelle e tutto quello che potevo fare era cercare di ignorare l'umidità che filtrava nel mio sacco a pelo e calcolare le possibilità che avevo di rimanere schiacciato sotto un'acacia colpita da un fulmine. Improvvisamente con la coda dell'occhio captai un movimento nei cespugli. Uno sciacallo, pensai, che spera di trovare qualcosa da mangiare tendevo ad escludere che un uomo potesse andarsene in giro in una notte come quella. Diedi una rapida occhiata alle tende per assicurarmi che i miei clienti fossero tutti chiusi dentro, al sicuro e all'asciutto, cercando di ignorare il tumulto che si scatenava al di fuori dei loro ripari. Ma ecco di nuovo quel movimento. Guardai in quella direzione e un lampo mi rivelò una figura che sembrava quella di un bambino, vestita di stracci e con un grande bastone nodoso in una mano. Mi chiesi se fosse il caso di chiamare aiuto, ma c'era qualcosa che non quadrava. Mentre la figura si avvicinava i lampi svelavano altri dettagli e, quando giunse a non più di 10 metri da me, un lampo più luminoso degli altri mi mostrò che non si trattava di un bambino bensì di un uomo vecchissimo, piegato in due e paurosamente claudicante. Il viso era coperto di stracci e si trascinava avanti col capo chino, appoggiandosi pesantemente al bastone. A un certo punto alzò lentamente lo sguardo su di me, seduto immobile sotto la pioggia, e mi colpì il fatto che la sua pelle era blu. Poi vidi gli occhi di un penetrante blu elettrico che scintillavano al buio e mi fissavano, carichi d'odio. Ebbi l'impressione di trovarmi di fronte al male in persona e tremai, terrorizzato, tenendo lo sguardo fisso su di lui finché non si girò lentamente allontanandosi nella tempesta. Sparito che fu il vecchio, il tempo cambiò e uno dei più violenti temporali che abbia mai visto si allontanò così come era venuto. Per un bel po' rimasi seduto, bagnato e sconvolto, poi ritornai in me e mi misi ad attizzare il fuoco. Non riuscii più a riaddormentarmi e trascorsi il resto della notte cercando di fare il possibile per asciugarmi. La veranda ora era immersa nella quiete e nell'oscurità, smorzate appena dalla fioca luce e dal sussurro delle voci provenienti dal bar. "Be', cosa ne pensi?", chiesi. Mentre il mio amico rifletteva sul mio 9 racconto, una donna herero, che era seduta al tavolo vicino e intrecciava i capelli a un'amica, si avvicinò. Era molto nervosa e continuava a guardarsi i piedi e mormorare la parola "Oshilulu". "Oshilulu?", chiesi. "Sì", disse dopo un momento di esitazione. "Oshilulu è uno spirito maligno conosciuto in tutta l'Africa meridionale sotto diversi nomi: alcuni lo chiamano Tokoloshi", mi disse, "ma è sempre blu", e io dovevo ritenermi molto fortunato che nulla di orribile mi fosse successo in quella notte tempestosa. Ancora oggi quando vedo una tempesta incombere sugli immensi spazi di questo paese, mi chiedo quali malvagità stia escogitando quell'essere, e se mai avrò la sfortuna di rivederlo." 10