Salvatore Puggioni conduce i propri studi presso il Dipartimento di Studi Linguistici e
Letterari dell’Università di Padova. Ha curato l’edizione delle Epistole in versi e dei Sermoni di Ippolito Pindemonte (Padova, Il Poligrafo, 2010). Al suo attivo ha inoltre diversi
saggi e contributi sulla fortuna moderna della Saffo ovidiana: recente la pubblicazione
del volume Saffo nella tradizione poetica italiana dal Sei all’Ottocento (Roma, «L’Erma»
di Bretschneider, 2014).
ISBN 978 88 6787 371 5
€ 28,00
L’ALTRA MUSA
Storia (e storie) di Saffo
tra Sette e Ottocento
a cura di
Francesca Favaro
Salvatore Puggioni
prefazione di
Lorenzo Braccesi
a cura di F. Favaro e S. Puggioni
Francesca Favaro collabora con il Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari dell’Università di Padova. Ha pubblicato, oltre a numerosi saggi, le monografie Alessandro Verri e l’antichità dissotterrata (Ravenna, Longo, 1998); Le rose còlte in Elicona. Studi sul
classicismo di Vincenzo Monti (Ravenna, Longo, 2004); Canti e Cantori bucolici. Esempi
di poesia a soggetto pastorale fra Seicento e Ottocento (Cosenza, Pellegrini, 2007). Del
2012 è il volume Costanza Monti, Perugia, ali&no editrice. Nel 2013 è uscita l’edizione
commentata, a sua cura, della Feroniade di Vincenzo Monti, pubblicata per conto della
Padova University Press.
L’ALTRA MUSA
L’epiteto di ‘decima Musa’, com’è noto, venne conferito a Saffo dagli antichi stessi,
a tal punto preda dell’incanto soffuso nei suoi versi da ricondurli a un’origine
divina, olimpia.
La decima Musa ebbe tuttavia un differente destino, rispetto alle sue nove
‘sorelle’: divenne infatti fonte di ispirazioni innumerevoli non solo in virtù della
facoltà poetica, ma anche grazie alla sua persona (o meglio, personaggio), che fu
ri-creato – spesso in chiave leggendaria – dagli autori che a lei si volsero.
Seguire nel tempo le orme di una Musa è impresa sempre ardua; particolarmente
ardua, nel caso in cui la Musa risorga di continuo, non esclusivamente come
spirito e afflato di bellezza, ma, si è detto, anche e soprattutto in qualità di
personaggio.
I testi riuniti nel presente volume, che risalgono tutti ai decenni fra Settecento
e Ottocento, offrono una testimonianza (senza pretese di esaustività, ma
rappresentativa della coeva scena letteraria italiana) delle continue rinascite
del personaggio-Saffo. Lo studio e la cura di tali opere costituiscono un
attraversamento di generi letterari molteplici e compositi: dalle traduzioni ai
liberi rifacimenti delle liriche attribuite a Saffo sino alle biografie, dal teatro
tragico al ballo mitologico (con varie ibridazioni e contaminazioni) è la storia di
un’intera stagione di cultura a dispiegarsi, sul filo di un unico motivo conduttore,
sotto gli occhi di chi legge, specialista o appassionato che sia, a conferma della
vitalità inesauribile di Saffo quale sorgente non solo di racconto, ma anche di
nuove idee sulla poesia, di nuovi modi di fare poesia.
Titolo capitolo
3
Indice
Prefazione
Lorenzo Braccesi
5
Criteri generali di edizione
9
TRADuZIONI, pARAFRASI, RIelABORAZIONI e BIOGRAFIe
a cura di Francesca Favaro
11
Traduzioni, parafrasi, rielaborazioni delle più note e diffuse
liriche di Saffo
31
Biografie
93
FRANCeSCO SAveRIO De’ ROGATI, Vita di Saffo Lesbia
94
GIuSeppe MIlANI, Vita di Saffo
107
BONAveNTuRA vIANI, Vita di Saffo
117
LIBRETTI E TRAGEDIE
123
CARlO INNOCeNZO FRuGONI, Le feste d’Imeneo. Atto di Saffo
a cura di Salvatore Puggioni
125
4
L’aLtra musa
GIOvANNI pINDeMONTe, Il salto di Leucade
a cura di Francesca Favaro
157
GAeTANO GIOIA, Saffo. Ballo mitologico
a cura di Salvatore Puggioni
261
luIGI SCevOlA, Saffo. Tragedia
a cura di Salvatore Puggioni
295
STANISlAO MARChISIO, Saffo. Tragedia
a cura di Francesca Favaro
367
Bibliografia
445
Ringraziamenti
453
Prefazione
5
Prefazione
Per intendere i maggiori, e quindi per arrivare alle pagine che non hanno
tramonto di Leopardi o di Baudelaire o di Pascoli, è necessario conoscere i
‘minori’. Questo, credo, il fine di questo libro che ci propone un viaggio di
respiro antologico sulla fortuna di Saffo tra Sette e Ottocento; sia per quanto
riguarda sue traduzioni o imitazioni o biografie, sia per quanto concerne,
con un pretestuoso romanzo biografico, l’argomento di libretti e di drammi
teatrali. Si tratta di scritture oggi non solo ignote, ma anche difficilmente
rintracciabili, e della cui scrupolosa raccolta, criticamente illustrata, va dato
merito agli autori.
Tutti, tanto maggiori quanto ‘minori’, si muovono sulla scia della leggenda – ai moderni vulgata da Ovidio – dell’amore di Saffo per Faone e del
suicidio della poetessa dalla rupe di Leucade. Ma i ‘minori’ nelle loro riscritture, o addirittura nelle traduzioni, delle strofe di Saffo fanno violenza al suo
dettato poetico per adattarne alla leggenda i suoi scarni cenni autobiografici,
ieri ancora più avari di oggi. Valgano due esempi. Il frammento 168 B Voigt
recita, nella puntuale traduzione in prosa di Franco Ferrari: “È tramontata
la luna con le Pleiadi, la notte è al mezzo, il tempo trascorre, e io dormo
sola”. Versi che però sono così stravolti, in funzione della presunta passione
della poetessa per Faone, da Saverio Broglio d’Ajano: “trascorsa è l’ora / ed
ei, me misera! / non viene ancora. / […] / […] ei lasciami, / nel letto ahi!
sola!”; ovvero così alterati nel loro incipit da Francesco Zanotto: “Nel mar di
già le Pleiadi e la Luna / il raggio loro ascosero lucente; / scese dall’alto già
la notte bruna / in occidente”.
In entrambi i casi il pronome “ei” e la specificazione geografica “in occidente”, cioè presso Leucade, rimandano alla leggenda di Faone. Ben nota
anche al Leopardi dell’Ultimo canto di Saffo e al Foscolo dell’Amica risanata
che però rispettivamente così traducono il medesimo frammento: “Oscuro
6
L’aLtra musa
è il ciel: nell’onde / la luna già s’asconde, / e in seno al mar le Pleiadi / già
discendendo van. // È mezzanotte, e l’ora / passa frattanto, e sola / qui sulle
piume ancora / veglio ed attendo invan” ~ “Sparir le pleiadi, / sparì la luna,
/ è a mezzo il corso la notte bruna; / io sola intanto / mi giaccio in pianto”.
Si tratta, ovviamente, di riscritture e di rivisitazioni che, per quanto pure
esse filologicamente discutibili, non cedono all’arbitrio di divagazioni sul
sesso della persona rimpianta da una poetessa che si sente disperatamente
abbandonata. Anzi il “mi giaccio in pianto” del Foscolo rimanda alla sua
irraggiungibile traduzione dell’ultima strofe (superstite?) dell’ode per la fanciulla amata, ora frammento 31 Voigt: “E tutta molle d’un sudor di gelo, / e
smorta in viso come erba che langue, / tremo e fremo di brividi, ed anelo /
tacita, esangue”.
Gli echi contenutistici di questi ‘minori’, lirici o drammaturghi che essi
siano, sono destinati ad attraversare tutto l’Ottocento avendo definitivo
suggello in non pochi componimenti del Carducci che attraversano (senza
esclusioni) l’intero suo canzoniere, da Iuvenilia a Rime e ritmi. Anzi, in questo tardo libro poetico, possiamo constatare, a un tempo, e con note di piena
attualità, l’ultima resurrezione e l’estrema trasfigurazione della leggenda di
Saffo suicida nelle acque dello Ionio. Nel 1898 il vecchio poeta in Alle Valchirie, commemorando il recente lutto domestico abbattutosi sulla declinante dinastia degli Asburgo, scrive con riferimento all’assassinio di Elisabetta
imperatrice di Austria: “Sveglisi ne’ freschi anni la pura vindelica rosa / a
un dolce accordo di tinnïenti cetre. // Qual più soave mai, la musa di Heine
risuona: / chi dall’erma risponde Leucade, sospirando? // Tien la spirtale
riva un’alta serena quïete / come d’elisio sotto la grazïosa luna”. L’Elisabetta
carducciana chiude, tramontando l’Ottocento, la serie delle rielaborazioni
del mito di Saffo e rappresenta il salvifico anello di congiunzione tra passato
e presente. Ella approda, da morta, alle isole dello Ionio, e queste, per memoria di Achille (citato poco innanzi) e soprattutto per magica suggestione
di Saffo, assumendo la connotazione di Eliso, si trasfigurano nelle isole dei
Beati. La cui riva è “spirtale” perché popolata da spiriti eletti, cioè – come
nell’ode Presso l’urna di Percy Bysshe Shelley – dalle anime “delle belle” e
“degli eroi” immortalate dalla leggenda.
Gli echi stilistici investono, soprattutto per i componimenti in settenari,
la produzione poetica di più ampio consumo, contemporanea e successiva,
dove ne ritroviamo non fuggevoli risonanze non solo nella poesia profana,
ma perfino in quella di ispirazione religiosa. Non dico nel Manzoni, ma nella schiera dei suoi troppi imitatori. Ab uno disce omnia! Scrive Francesco
Prefazione
7
Saverio de’ Rogati: “Vieni, pietosa Venere, / che co’ soavi accenti / il cor da
tante angustie / già sollevasti allor. // Vieni, e per te sia libera / l’alma da’
suoi tormenti: / seconda, o Diva Idalia, / i voti del mio cor”. Orbene, se per
celiare sostituissimo a “Venere” e a “Diva Idalia” l’appellativo sacrale di
‘Vergine’ (Vieni, pietosa Vergine - seconda, o Diva Vergine), otterremmo un
qualcosa che assomiglia molto, e senza forzature metriche, a un’imitazione
contaminata tanto dalla chiusa del coro di Ermengarda nell’Adelchi quanto
da alcune strofe, tra le più significative, degli Inni sacri. Sarebbe un gioco
forse dissacrante, ma un gioco che non deve stupirci, ché tanti e tali sono i
corsi e i ricorsi della memoria letteraria; determinata proprio dalla scrittura
dei ‘minori’ giacché sono essi che influenzano il gusto e le cifre stilistiche
delle singole età.
Con questo spirito, a mio avviso, bisogna avvicinarsi a questo libro dalla
duplice valenza: sia quella di costituire una tappa (non transeunte) nello
studio della fortuna del mito di Saffo, sia quella di disseppellire dall’oblio
autori dimenticati della letteratura italiana.
lOReNZO BRACCeSI