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Asciano. La Pieve di Sant'Ippolito

2023

In questo breve contributo vengono trattate le vicende storiche, architettoniche e artistiche dell'antica pieve ascianese dedicata a S. Ippolito, Un edificio religioso attestato sin dall'epoca longobarda (inizi dell'VIII sec. d.C.), in piena disputa religiosa tra le cattedre di Siena e di Arezzo.

capitolo i ASCIANO Francesco Brogi - angela rosati La pieve di SANT’IPPOLITO Notizie storiche e architettoniche Baptisterium a sancta mater ecclesia in Sessiano, questa è la prima menzione dell’antica pieve di S. Ippolito di Asciano che compare in un documento del 714, redatto nel contesto della celeberrima disputa tra le cattedre di Siena e Arezzo per la giurisdizione su alcune strutture religiose di confine. Sempre per questa ragione, l’anno successivo viene organizzato un esame di testimoni dal notaio di re Liutprando, Gunteram, e nell’occasione facciamo la conoscenza del presbiter Onnius di S. Ippolito, invitato a deporre la sua versione dei fatti. Dai documenti sopra citati appare interessante anche l’aspetto toponomastico, riconoscendo nella forma “Sessiano” la radice dell’attuale denominazione di Asciano; come ipotizza il Pieri, “Sessiano” sarebbe la versione volgarizzata di un prediale latino, e attesterebbe pertanto nel luogo dove in seguito sorse la chiesa, un’antica proprietà di un dominus (Sessius) di età romana. Notizie archeologiche apportano conferme a riguardo, grazie ad alcuni rinvenimenti relativi ad un non meglio specificabile insediamento di età imperiale e tardo antica, presente ai livelli inferiori dell’attuale edificio sacro e sorto in relazione con la vecchia direttrice viaria che collegava Siena alla Val di Chiana (oggi in parte confrontabile con la Via Lauretana Antica). E’ possibile altresì ipotizzare, a questo punto, che la chiesa, già importante, come abbiamo visto, agli esordi dell’VIII secolo, fosse stata edificata molto tempo prima dell’attestazione longobarda, forse addirittura in età tardo antica (nel IV o V secolo ?), cioè durante le prime fasi del cristianesimo. Similmente ad altri contesti di studio, lo stretto rapporto spaziale riscontrato a S. Ippolito tra edificio ecclesiastico e strutture preesistenti, sembra mettere ben in evidenza come l’evangelizzazione delle campagne traesse vantaggio anche dallo sfruttamento della rete insediativa e viaria che articolava i paesaggi antropici dell’antichità. Pure la planimetria originale, a impianto basilicale di tre navate, si ispira a modelli caratteristici del primo cristianesimo anche se poi perpetuati nei successivi secoli altomedievali; di questa struttura restano ancora cinque arcate – tre esterne, due inglobate nell’adiacente abitazione – nonché paramenti murari contraddistinti da una tecnica costruttiva irregolare (opus incertum) e dall’impiego di materiali di recupero (in particolare di laterizi), provenienti plausibilmente dalla precedente struttura di età antica (Figg. 1, 2). Fig. 1. Paramento murario e arcate dell’impianto originale 2 Fig. 2. Ipotesi ricostruttiva dell’impianto originale della chiesa. Tra lo scadere del X secolo (998) e i primi decenni del seguente, S. Ippolito perde la dignità di pieve in favore della chiesa di S. Agata (Fig. 3), localizzata all’interno dell’attuale abitato di Asciano che fu un importante centro incastellato nel medioevo nonché fulcro politico ed economico dell’area circostante. È quindi con il venire meno del suo originale status preminente, che l’edificio di S. Ippolito viene plausibilmente ridimensionato a pianta rettangolare come lo vediamo oggi, attraverso la dismissione delle navate laterali, forse nell’occasione dello stesso cantiere che previde la realizzazione di una nuova facciata con stilemi propri del romanico maturo (XII-XIII secolo). Non sappiamo con certezza, però, se già doveva presentarsi così nel 1178, quando la chiesa venne ricordata insieme ad altre del piviere di S. Agata dalla bolla di Papa Alessandro III, o se i lavori furono promossi in seguito (XIII secolo) come può sembrare dalle caratteristiche dei paramenti della facciata. Pare invece che l’abside centrale, non più esistente, fosse stata mantenuta almeno sino allo scadere del XVII secolo, come osserviamo in un disegno conservato nel fondo dei “Quattro Conservatori” dell’Archivio di Stato di Siena, mentre è possibile riferire agli inizi del XVI secolo un restauro della copertura a doppio spiovente, grazie alla data “1507“ ben leggibile in una capriata lignea. (Fig. 4) Più volte ricordata come semplice ecclesia, negli elenchi delle decime papali del XIII e XIV secolo, nel Quattrocento la struttura di S. Ippolito fu accorpata allo stesso beneficio ecclesiastico della nuova cappella intitolata alla Natività di Maria, costruita all’interno della pieve di S. Agata. Le successive “visite”, redatte nel corso dei secoli XVI e XVII, oltre a confermare questo rapporto con la cappella, ricordano anche i diritti di patronato su S. Ippolito che dal 1583 al 1680, risultano continuativamente suddivisi in tre quote, detenute dalla comunità di Asciano, dalla famiglia senese dei Talani e dalla famiglia locale degli Egidi. Con la visita apostolica del 1583, poi, la chiesa viene documentata per la prima volta con la duplice intitolazione ai Santi Ippolito e Cassiano. Altra informazione degna di nota ma senza immediato riscontro nelle “visite” appena citate, è fornita da Giorgio Vasari che ricorda nelle sue “Vite” come già verso 3 la seconda metà del Cinquecento l’edificio religioso in questione fosse compreso nella “villa de’ Dogarelli”, ovvero in una possessione di una delle più importanti famiglie ascianesi; anche se alcuni dubbi permangono, la proprietà appare comunque confermata alla fine del XVII secolo dal menzionato disegno dei Quattro Conservatori, dove leggiamo testualmente “S. Ipolito Dogarelli” in corrispondenza della rappresentazione della chiesa. (Fig. 5) Controversa e, al momento, priva di raffronti documentari, è la notizia riportata a metà del SetFig. 3. Fonte battesimale, oggi conservato in S. Agata, tecento dal Pecci nella tradizionalmente attribuito alla pieve di S. Ippolito sua fondamentale opera sullo “Stato senese”, riguardo alla presenza dei frati gesuati “dimorati” a S. Ippolito; l’unica cosa più probabile per l’epoca è la persistenza della chiesa tra i beni dei Dogarelli, visto che la proprietà della famiglia sarà ancora ribadita nel XIX secolo da ulteriori “visite” e dal catasto “leopoldino”. L’esistenza di una “casa colonica” che viene registrata a nome di ArFig. 4. Particolare della data “1507” leggibile su una capriata del tetto cangelo Dogarelli proprio da quest’ultima fonte, rimarca la trasformazione avvenuta nella proprietà, da residenza o “villa”, come era ricordata in passato, a struttura agricola; di conseguenza ci rende anche consapevoli della condizione di evidente marginalità della chiesa che era rimasta inglobata in un contesto oramai completamente ruralizzato. Fino al 1875, anno dell’acquisizione dell’edificio da parte di Mario Bargagli, l’antica pieve di S. Ippolito aveva versato in una condizione di degrado e abbandono, 4 ed era stata addirittura adibita a rimessa agricola (“capanna”); in questo stato fu descritta in una “visita” del 1869, quando era proprietario Fabio Dogarelli, e per tale motivo chiusa al culto. Fu grazie ai restauri promossi da Mario Bargagli, quindi, se la chiesa di S. Ippolito venne officiata nuovamente il 20 marzo 1887, come testimonia una memoria coeva redatta da Don Paolo Bo- Fig. 5. Dettaglio del disegno conservato nel fondo “Quattro nichi, oggi conservata nell’archivio Conservatori” (1680-1700) che raffigura l’edificio di S. Ippolito parrocchiale di S. Agata. Gli ultimi e recentissimi interventi al fabbricato che risalgono agli anni 2013-2015, si devono alla sensibilità e alla disponibilità della famiglia Panichi, attuale proprietaria. Francesco Brogi Arte L’affresco situato sulla parete di fondo della chiesa, su una nicchia centinata, presenta una Sacra Conversazione composta dalla Madonna in Trono col Bambino e i Santi Pietro, Paolo, Ippolito e Cassiano (Fig. 6). Ai lati dell’immagine centrale, il dipinto continua con finte nicchie nelle quali si trovano, a sinistra, le figure di San Domenico e Sant’Agostino, a destra, Sant’Antonio da Padova e altro Santo, coperto fino a poco tempo fa sotto un finto tendaggio dipinto, ma riscoperto durante l’ultimo restauro (2015). I residui visibili del Santo potrebbero appartenere al San Bartolomeo (come del resto si può vedere anche nella vicina chiesa francescana di San Lorenzo ad Asciano). Fig.6. Veduta generale dell’affresco all’interno della chiesa 5 La composizione seppur nella sua sobrietà senza particolare sfoggio decorativo, eccetto i motivi che ricordano la “raffaellesca” che abbelliscono il bordo di tutta la composizione sia laterale, incorniciando le finte nicchie dei santi, sia l’intradosso della parte centrale che comprende tutta la scena, appare tuttavia molto elegante e armoniosa nel suo insieme. Colpiscono indubbiamente la raffinatezza della figura della Madonna con il volto leggermente inclinato verso il bambino, anch’egli dai tratti morbidi e carnosi. Le vesti delle figure non riportano ornamenti particolari; tuttavia, la naturalezza dei panneggi e la scelta cromatica contribuiscono alla gradevolezza della composizione, valorizzata dallo sfondo paesaggistico tenue e delicato, che sembra ritrarre un ambiente collinare, tale da lasciar forse intravedere anche un lago. Nella cornice in basso della scena centrale sono riportate le iscrizioni con i nomi dei quattro santi ritratti ai lati della Madonna; tuttavia, occorre segnalare un errore, in quanto sotto la figura del Sant’Ippolito è riportato il nome Cassiano e viceversa sotto la figura del San Cassiano è riportato Sant’Ippolito. Lo stile dell’opera è indubbiamente da ricondurre al pieno Rinascimento, di inizi Cinquecento. Da tempo è stata assegnata dagli enti preposti un’attribuzione ottocentesca dell’affresco, che ritiene l’opera appartenente al pittore senese minore Giacomo Pacchiarotti; tuttavia, recenti studi dello storico dell’arte Divo Savelli hanno ricondotto l’opera ad una diversa attribuzione, avvalorata tanto da riscontri storici, quanto da evidenze pittoriche. Di questo bellissimo affresco eseguito a più mani, come appare chiaro, anche da una visione diretta, è abbastanza evidente l’attribuzione ad artisti umbri. Di scuola umbra sarebbe infatti la Madonna con Bambino, molto probabilmente della bottega di Pinturicchio, mentre le figure di S. Cassiano e S. Pietro (Iato sinistro rispetto alla Vergine) appaiono, già nelle loro evidenze, stilisticamente di fattura meno elegante e più rude rispetto alla realizzazione dei volti, delle mani e dei piedi, delle altre due figure di santi a destra della Vergine (da notare in particolare, la sproporzione formale della chiave in mano a S. Pietro). Ma ciò che colpisce a prima vista è indubbiamente il volto adolescente e raffinato del giovane Sant’Ippolito (la seconda figura a destra della Vergine) con mantello e spada, l’unico che rivolge il volto e lo sguardo verso l’osservatore (Fig. 7). Esperienza Fig. 7. Particolare del volto di S. Ippolito 6 vuole che di solito dietro questa tipologia di volti si celi l’autoritratto dell’autore. Effettivamente dalla sovrapposizione dei tratti somatici tra questo viso e alcuni autoritratti di un famoso pittore, si denota una somiglianza alquanto stupefacente con Raffaello (in particolare l’autoritratto giovanile, Ashmolean Museum Oxford, come appare visibile dalla forma degli occhi, il profilo del naso, la linea del mento o il contorno del volto). La presenza di Raffaello a Siena risulta storicamente documentata; Pinturicchio infatti invitò Raffaello, seppur diciassettenne a collaborare agli affreschi della Libreria Piccolomini interna al Duomo di Siena. Il contratto per gli affreschi della Libreria Piccolomini, commissionati dal cardinale Francesco Todeschini Piccolomini (poi Papa Pio III nipote di Pio II), venne stipulato nel 1502. Pinturicchio e la sua bottega completarono gli affreschi intorno al 1507 (e forse non è un caso che sul trave della chiesa vi sia impressa questa specifica data). E’ assai probabile pertanto che il gruppo di artisti umbri, per recarsi a Siena, abbiano percorso la via Lauretana passando per Asciano. Con il Giubileo di Mezzo Millennio a partire dall’anno 1500 anche nell’Italia centrale, in questo fiorente momento culturale gli artisti (Giuliano da Sangallo, Pinturicchio, Perugino e Raffaello e altri) si spostavano in gran numero, operando lungo le vie di pellegrinaggio, inviati dalla Chiesa di Roma, richiesti da santuari o confraternite. Ecco pertanto che sulla base di indizi storici, confronti iconografici, analisi stilistiche, Divo Savelli ha ipotizzato e dedotto che in merito all’affresco della Pieve di Sant’ Ippolito ad Asciano si potesse trattare di “un affresco lauretano” di pregevole fattura eseguito a più mani, da ricondurre alla scuola umbra di Pinturicchio e ad un giovane Raffaello. Angela Rosati BiBliograFia e Fonti d’archivio Archivio di Stato di Siena, Catasto toscano, Comunità di Asciano, Sezione P. Archivio di Stato di Siena, Concistoro, 1653, 1439, novembre 12 Archivio di Stato di Siena, Della visita fatta e relazione stesa di tutto lo stato delle città di Siena dall’Auditore Bartolomeo Gherardini l’anno 1676, Manoscritti, MsD82. Archivio di Stato di Siena, Quattro Conservatori, 1949 s.n. B (2) Archivio Parrocchiale di Asciano, Memoria di Don Paolo Bonichi. Archivio Storico Diocesano di Arezzo, Visita pastorale del vescovo Agostino Albergotti (1805-1810) Brogi F. (a cura di), Ecclesiae. 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