capitolo i
ASCIANO
Francesco Brogi - angela rosati
La pieve di
SANT’IPPOLITO
Notizie storiche e architettoniche
Baptisterium a sancta mater ecclesia in Sessiano, questa è la prima menzione dell’antica pieve di S. Ippolito di Asciano che compare in un documento del 714, redatto nel
contesto della celeberrima disputa tra le cattedre di Siena e Arezzo per la giurisdizione su alcune strutture religiose di confine. Sempre per questa ragione, l’anno successivo viene organizzato un esame di testimoni dal notaio di re Liutprando, Gunteram,
e nell’occasione facciamo la conoscenza del presbiter Onnius di S. Ippolito, invitato a
deporre la sua versione dei fatti.
Dai documenti sopra citati appare interessante anche l’aspetto toponomastico, riconoscendo nella forma “Sessiano” la radice dell’attuale denominazione di Asciano;
come ipotizza il Pieri, “Sessiano” sarebbe la versione volgarizzata di un prediale latino, e attesterebbe pertanto nel luogo dove in seguito sorse la chiesa, un’antica proprietà di un dominus (Sessius) di età romana. Notizie archeologiche apportano conferme a
riguardo, grazie ad alcuni rinvenimenti relativi ad un non meglio specificabile insediamento di età imperiale e tardo antica, presente ai livelli inferiori dell’attuale edificio sacro e sorto in relazione con la vecchia direttrice viaria che collegava Siena alla
Val di Chiana (oggi in parte confrontabile con la Via Lauretana Antica). E’ possibile
altresì ipotizzare, a questo punto, che la chiesa, già importante, come abbiamo visto,
agli esordi dell’VIII secolo, fosse stata edificata molto tempo prima dell’attestazione
longobarda, forse addirittura in età tardo antica (nel IV o V secolo ?), cioè durante le
prime fasi del cristianesimo. Similmente ad altri contesti di studio, lo stretto rapporto
spaziale riscontrato a S. Ippolito tra edificio ecclesiastico e
strutture preesistenti, sembra
mettere ben in evidenza come
l’evangelizzazione delle campagne traesse vantaggio anche
dallo sfruttamento della rete insediativa e viaria che articolava
i paesaggi antropici dell’antichità.
Pure la planimetria originale, a impianto basilicale di tre
navate, si ispira a modelli caratteristici del primo cristianesimo
anche se poi perpetuati nei successivi secoli altomedievali; di
questa struttura restano ancora
cinque arcate – tre esterne, due
inglobate nell’adiacente abitazione – nonché paramenti murari contraddistinti da una tecnica costruttiva irregolare (opus
incertum) e dall’impiego di materiali di recupero (in particolare
di laterizi), provenienti plausibilmente dalla precedente struttura di età antica (Figg. 1, 2).
Fig. 1. Paramento murario e arcate dell’impianto originale
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Fig. 2. Ipotesi ricostruttiva dell’impianto originale della chiesa.
Tra lo scadere del X secolo (998) e i primi decenni del seguente, S. Ippolito perde
la dignità di pieve in favore della chiesa di S. Agata (Fig. 3), localizzata all’interno
dell’attuale abitato di Asciano che fu un importante centro incastellato nel medioevo
nonché fulcro politico ed economico dell’area circostante. È quindi con il venire meno
del suo originale status preminente, che l’edificio di S. Ippolito viene plausibilmente
ridimensionato a pianta rettangolare come lo vediamo oggi, attraverso la dismissione
delle navate laterali, forse nell’occasione dello stesso cantiere che previde la realizzazione di una nuova facciata con stilemi propri del romanico maturo (XII-XIII secolo).
Non sappiamo con certezza, però, se già doveva presentarsi così nel 1178, quando
la chiesa venne ricordata insieme ad altre del piviere di S. Agata dalla bolla di Papa
Alessandro III, o se i lavori furono promossi in seguito (XIII secolo) come può sembrare dalle caratteristiche dei paramenti della facciata. Pare invece che l’abside centrale,
non più esistente, fosse stata mantenuta almeno sino allo scadere del XVII secolo,
come osserviamo in un disegno conservato nel fondo dei “Quattro Conservatori”
dell’Archivio di Stato di Siena, mentre è possibile riferire agli inizi del XVI secolo un
restauro della copertura a doppio spiovente, grazie alla data “1507“ ben leggibile in
una capriata lignea. (Fig. 4)
Più volte ricordata come semplice ecclesia, negli elenchi delle decime papali del
XIII e XIV secolo, nel Quattrocento la struttura di S. Ippolito fu accorpata allo stesso
beneficio ecclesiastico della nuova cappella intitolata alla Natività di Maria, costruita
all’interno della pieve di S. Agata. Le successive “visite”, redatte nel corso dei secoli
XVI e XVII, oltre a confermare questo rapporto con la cappella, ricordano anche i
diritti di patronato su S. Ippolito che dal 1583 al 1680, risultano continuativamente
suddivisi in tre quote, detenute dalla comunità di Asciano, dalla famiglia senese dei
Talani e dalla famiglia locale degli Egidi. Con la visita apostolica del 1583, poi, la chiesa viene documentata per la prima volta con la duplice intitolazione ai Santi Ippolito
e Cassiano.
Altra informazione degna di nota ma senza immediato riscontro nelle “visite” appena citate, è fornita da Giorgio Vasari che ricorda nelle sue “Vite” come già verso
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la seconda metà del Cinquecento l’edificio religioso in questione fosse
compreso nella “villa de’
Dogarelli”, ovvero in una
possessione di una delle
più importanti famiglie
ascianesi; anche se alcuni dubbi permangono, la
proprietà appare comunque confermata alla fine
del XVII secolo dal menzionato disegno dei Quattro Conservatori, dove
leggiamo
testualmente
“S. Ipolito Dogarelli” in
corrispondenza della rappresentazione della chiesa. (Fig. 5)
Controversa e, al momento, priva di raffronti
documentari, è la notizia
riportata a metà del SetFig. 3. Fonte battesimale, oggi conservato in S. Agata,
tecento dal Pecci nella
tradizionalmente attribuito alla pieve di S. Ippolito
sua fondamentale opera
sullo “Stato senese”, riguardo alla presenza dei
frati gesuati “dimorati”
a S. Ippolito; l’unica cosa
più probabile per l’epoca è la persistenza della
chiesa tra i beni dei Dogarelli, visto che la proprietà della famiglia sarà
ancora ribadita nel XIX
secolo da ulteriori “visite” e dal catasto “leopoldino”. L’esistenza di una
“casa colonica” che viene
registrata a nome di ArFig. 4. Particolare della data “1507” leggibile su una capriata del tetto
cangelo Dogarelli proprio
da quest’ultima fonte, rimarca la trasformazione avvenuta nella proprietà, da residenza o “villa”, come era
ricordata in passato, a struttura agricola; di conseguenza ci rende anche consapevoli
della condizione di evidente marginalità della chiesa che era rimasta inglobata in un
contesto oramai completamente ruralizzato.
Fino al 1875, anno dell’acquisizione dell’edificio da parte di Mario Bargagli, l’antica pieve di S. Ippolito aveva versato in una condizione di degrado e abbandono,
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ed era stata addirittura adibita a rimessa agricola (“capanna”); in questo stato fu descritta in una “visita”
del 1869, quando era proprietario
Fabio Dogarelli, e per tale motivo
chiusa al culto. Fu grazie ai restauri
promossi da Mario Bargagli, quindi, se la chiesa di S. Ippolito venne
officiata nuovamente il 20 marzo
1887, come testimonia una memoria coeva redatta da Don Paolo Bo- Fig. 5. Dettaglio del disegno conservato nel fondo “Quattro
nichi, oggi conservata nell’archivio Conservatori” (1680-1700) che raffigura l’edificio di S. Ippolito
parrocchiale di S. Agata. Gli ultimi e
recentissimi interventi al fabbricato che risalgono agli anni 2013-2015, si devono alla
sensibilità e alla disponibilità della famiglia Panichi, attuale proprietaria.
Francesco Brogi
Arte
L’affresco situato sulla parete di fondo della chiesa, su una nicchia centinata, presenta una Sacra Conversazione composta dalla Madonna in Trono col Bambino e i Santi
Pietro, Paolo, Ippolito e Cassiano (Fig. 6). Ai lati dell’immagine centrale, il dipinto continua con finte nicchie nelle quali si trovano, a sinistra, le figure di San Domenico e
Sant’Agostino, a destra, Sant’Antonio da Padova e altro Santo, coperto fino a poco tempo
fa sotto un finto tendaggio dipinto, ma riscoperto durante l’ultimo restauro (2015). I
residui visibili del Santo potrebbero appartenere al San Bartolomeo (come del resto si
può vedere anche nella vicina chiesa francescana di San Lorenzo ad Asciano).
Fig.6. Veduta generale dell’affresco all’interno della chiesa
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La composizione seppur nella sua sobrietà senza particolare sfoggio decorativo,
eccetto i motivi che ricordano la “raffaellesca” che abbelliscono il bordo di tutta la
composizione sia laterale, incorniciando le finte nicchie dei santi, sia l’intradosso della
parte centrale che comprende tutta la scena, appare tuttavia molto elegante e armoniosa nel suo insieme. Colpiscono indubbiamente la raffinatezza della figura della
Madonna con il volto leggermente inclinato verso il bambino, anch’egli dai tratti morbidi e carnosi. Le vesti delle figure non riportano ornamenti particolari; tuttavia, la
naturalezza dei panneggi e la scelta cromatica contribuiscono alla gradevolezza della
composizione, valorizzata dallo sfondo paesaggistico tenue e delicato, che sembra
ritrarre un ambiente collinare, tale da lasciar forse intravedere anche un lago.
Nella cornice in basso della scena centrale sono riportate le iscrizioni con i nomi
dei quattro santi ritratti ai lati della Madonna; tuttavia, occorre segnalare un errore, in
quanto sotto la figura del Sant’Ippolito è riportato il nome Cassiano e viceversa sotto
la figura del San Cassiano è riportato Sant’Ippolito. Lo stile dell’opera è indubbiamente
da ricondurre al pieno Rinascimento, di inizi Cinquecento.
Da tempo è stata assegnata dagli enti preposti un’attribuzione ottocentesca dell’affresco, che ritiene l’opera appartenente al pittore senese minore Giacomo Pacchiarotti; tuttavia, recenti studi dello storico dell’arte Divo Savelli hanno ricondotto l’opera
ad una diversa attribuzione, avvalorata tanto da riscontri storici, quanto da evidenze
pittoriche.
Di questo bellissimo affresco
eseguito a più mani, come appare chiaro, anche da una visione
diretta, è abbastanza evidente
l’attribuzione ad artisti umbri.
Di scuola umbra sarebbe infatti
la Madonna con Bambino, molto
probabilmente della bottega di
Pinturicchio, mentre le figure
di S. Cassiano e S. Pietro (Iato sinistro rispetto alla Vergine) appaiono, già nelle loro evidenze,
stilisticamente di fattura meno
elegante e più rude rispetto alla
realizzazione dei volti, delle
mani e dei piedi, delle altre due
figure di santi a destra della Vergine (da notare in particolare, la
sproporzione formale della chiave in mano a S. Pietro).
Ma ciò che colpisce a prima
vista è indubbiamente il volto
adolescente e raffinato del giovane Sant’Ippolito (la seconda figura a destra della Vergine) con
mantello e spada, l’unico che rivolge il volto e lo sguardo verso
l’osservatore (Fig. 7). Esperienza
Fig. 7. Particolare del volto di S. Ippolito
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vuole che di solito dietro questa tipologia di volti si celi l’autoritratto dell’autore.
Effettivamente dalla sovrapposizione dei tratti somatici tra questo viso e alcuni
autoritratti di un famoso pittore, si denota una somiglianza alquanto stupefacente
con Raffaello (in particolare l’autoritratto giovanile, Ashmolean Museum Oxford,
come appare visibile dalla forma degli occhi, il profilo del naso, la linea del mento o
il contorno del volto).
La presenza di Raffaello a Siena risulta storicamente documentata; Pinturicchio
infatti invitò Raffaello, seppur diciassettenne a collaborare agli affreschi della Libreria Piccolomini interna al Duomo di Siena. Il contratto per gli affreschi della Libreria
Piccolomini, commissionati dal cardinale Francesco Todeschini Piccolomini (poi Papa
Pio III nipote di Pio II), venne stipulato nel 1502. Pinturicchio e la sua bottega completarono gli affreschi intorno al 1507 (e forse non è un caso che sul trave della chiesa vi
sia impressa questa specifica data). E’ assai probabile pertanto che il gruppo di artisti
umbri, per recarsi a Siena, abbiano percorso la via Lauretana passando per Asciano.
Con il Giubileo di Mezzo Millennio a partire dall’anno 1500 anche nell’Italia centrale, in questo fiorente momento culturale gli artisti (Giuliano da Sangallo, Pinturicchio,
Perugino e Raffaello e altri) si spostavano in gran numero, operando lungo le vie di
pellegrinaggio, inviati dalla Chiesa di Roma, richiesti da santuari o confraternite. Ecco
pertanto che sulla base di indizi storici, confronti iconografici, analisi stilistiche, Divo
Savelli ha ipotizzato e dedotto che in merito all’affresco della Pieve di Sant’ Ippolito
ad Asciano si potesse trattare di “un affresco lauretano” di pregevole fattura eseguito
a più mani, da ricondurre alla scuola umbra di Pinturicchio e ad un giovane Raffaello.
Angela Rosati
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Pieve di Sant’Ippolito, interno a navata unica
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