Elements
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Elisabetta Mengaldo
Retorica e polemica
nel Capitale di Marx
Quodlibet
INDICE
© 2023 Quodlibet srl
Macerata, via Giuseppe
e Bartolomeo Mozzi, 23
www.quodlibet.it
Prima edizione
First edition
12.2023
ISBN 978-88-229-2188-8
Stampa
Printed and bound by
Legodigit srl, Lavis (Italy)
Volume pubblicato
con il contributo del
Dipartimento di Studi
Linguistici e Letterari
dell’Università degli
Studi di Padova
Prefazione
9
Capitolo primo. Critica e polemica in Marx
19
1. Prologo. La polemica nel Vormärz
e il giovane Marx
19
2. L’intreccio di polemica e critica
nel Capitale
30
3. Economisti volgari, sicofanti del
capitalismo e pedanti filistei: la
polemica personale nel Capitale
37
Capitolo secondo. Distorsione,
commento e personificazione:
il montaggio di citazioni del Capitale
55
1. Retorica della citazione. Citazioni
letterarie adattate o distorte
55
2. Mimica e smascheramento:
le citazioni polemiche
64
3. Citazione come polifonia di voci:
pathos della denuncia
e personificazione
5
71
Capitolo terzo. Narrazioni del
capitale tra polemica e parodia:
“teoria dell’astinenza”
e “accumulazione originaria”
91
1. Il Capitale come romanzo?
91
2. Il capitalista infelice
95
3. Accumulazione originaria:
idillio o epos?
105
Bibliografia
123
Indice dei nomi
133
Abstract
137
Notizia biografica
139
6
per Amalia
PREFAZIONE
La mia proprietà è la forma; essa
è la mia individualità spirituale.
Le style c’est l’homme.
OC I, 108; MEW 1, 6
Nel luglio 1865, quando la pubblicazione del Capitale
subisce un ennesimo ritardo, Marx ne rivela le svariate
ragioni a Engels adducendo, oltre a problemi di salute e
agli onnipresenti debiti, anche motivazioni intrinseche
al proprio modo di lavorare:
Ma non posso decidermi a licenziare qualche cosa
prima che il tutto mi stia dinanzi. Whatever shortcomings they may have, questo è il pregio dei miei
libri, che costituiscono un tutto artistico, cosa raggiungibile soltanto col mio sistema di non farli mai
stampare innanzi che io li abbia completi davanti. (OC
XLII, 142; MEW 31, 132)
Come tutte le dichiarazioni di poetica, anche questa va
presa con le dovute precauzioni. Essa mette però in luce
un aspetto della prosa di Marx che, seppur in stretto rapporto con la tendenza alla sistematicità del suo pensiero,
non si esaurisce certo in questa: l’unitarietà compositiva del Capitale. Essa si manifesta anzitutto in quella che
Marx nel Poscritto alla seconda edizione definiva la propria Darstellungsweise («modo di esporre»: C, 27; K, 27),
9
e cioè la struttura “architettonica” del testo, che muove
dalla forma elementare della compagine economica – la
merce – per poi ricostruire le complesse dinamiche del
capitalismo moderno. Nei termini della retorica classica
la si potrebbe identificare con la dispositio, mentre la Forschungsweise («modo di compiere l’indagine»), che «deve
appropriarsi il materiale nei particolari, deve analizzare
le sue differenti forme di sviluppo e deve rintracciarne l’interno concatenamento» (ibid.), corrisponderebbe
all’inventio come tecnica di “reperimento” e organizzazione del materiale ai fini della ricerca. L’impressione di
compiutezza o quanto meno di estrema precisione e robusta efficacia nell’articolazione del suo pensiero si conferma anche osservando attentamente la composizione
di singoli passaggi: le serrate narrazioni storiche, le mordaci argomentazioni critiche, il “palinsesto” di citazioni,
infine la coesione testuale ottenuta tramite rimandi interni o campi metaforici ripetuti a distanza – per esempio
quello dello spettro e del vampirismo o la contrapposizione tra metafore meccanicistiche e organicistiche.
L’attenzione maniacale di Marx alla forma – rivelata per
esempio dall’unico manoscritto superstite del Manifesto, denso di correzioni soprattutto stilistiche – e la «padronanza della prosa didattica e polemica» manifestata a
più riprese bastano ad assicurargli «un posto nella storia
della letteratura tedesca, oltre che nella storia delle idee
e dell’azione politica» (Prawer 1976, trad. it. 2021, 151). Nel
suo studio su capitalismo e romanzo, che dedica una sezione anche al Capitale, letto alla stregua di un “romanzo
vittoriano”, Anna Kornbluh parla di «excessive literary
features» (Kornbluh 2014, 118) del testo marxiano, evidenti per esempio nelle molte figure di accumulazione,
1. L’unico ad avere dedicato uno studio esplicitamente stilistico a Marx,
con risultati peraltro parziali, è Ludovico Silva (Silva 1971, trad. it. 1973).
Sulle qualità letterarie della prosa di Marx cfr. anche Dussel 1993, trad.
it. 2018, 194 sgg., nonché Brugnolo 2001, 178-239, incentrato soprattutto sulla dimensione “epica” dei testi marxiani. Numerosi sono invece gli
studi su alcune metafore marxiane o che prendono spunto da queste:
oltre al celebre Spettri di Derrida (Derrida 1993, trad. it. 1994), cfr. il già citato Dussel sulle metafore teologiche, nonché Carver 1998, 7-23. Io stessa ho analizzato alcuni campi metaforici del Capitale (Mengaldo 2016).
Negli ultimi anni sono poi apparsi alcuni volumi collettanei incentrati su
aspetti letterari o retorici dei testi marxiani: Gandesha, Hartle 2017 e, focalizzato esclusivamente sul Capitale, Bies, Mengaldo 2020.
2. Althusser 1965, trad. it. 2006; Jameson 2011.
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tali da innescare quel che Roland Barthes chiamava effet
du réel. A fronte di simili osservazioni puntuali, ma tuttavia concordi nel riconoscere le qualità letterarie della prosa marxiana, stupisce la sostanziale mancanza di dettagliate indagini di tipo testuale e retorico-argomentativo in
particolar modo nel Capitale; ad apertura di pagina salta
all’occhio la raffinata e insieme energica complessità della prosa marxiana, nella quale si intersecano molteplici
registri e modalità discorsive che meritano un’analisi più
scrupolosa di quanto non sia stato fatto finora1. Questo libro rappresenta il tentativo di colmare in parte alcune di
queste lacune, ma senza pretese di esaustività: la brevità
non sistematica della forma-saggio consente di illuminare alcuni aspetti, ma impone di lasciarne in ombra altri.
Il mio intento si differenzia anzitutto dalle moltissime e
diversificate interpretazioni storico-filosofiche dell’opera marxiana, alcune delle quali (soprattutto quella di Althusser e altri in Lire le Capital nonché quella più recente
di Jameson2) costituiscono pure un riferimento costante.
Esso si discosta inoltre da studi di tipo tematico e di storia della ricezione, volti a indagare l’impiego creativo dei
testi letterari nell’opera di Marx e l’indubbia importanza
della letteratura per l’impianto teorico-concettuale della
sua teoria3. Non vuol essere infine un contributo a una
teoria marxista della letteratura, uno dei cui pionieri è
stato naturalmente Lukács e nel cui ambito la ricerca –
soprattutto di matrice anglofona – è ormai molto vasta4.
La linea metodologica che seguo è di tipo retorico-argomentativo ed è imperniata su una concezione – già aristotelica – di retorica come affine alla dialettica e dunque
secondo un’accezione non esclusivamente persuasiva. È
vicina alle posizioni della “nuova retorica” e della teoria
dell’argomentazione di Chaïm Perelman e della sua scuola, dalla quale si differenzia tuttavia per l’interesse anche
spiccatamente estetico e letterario di cui si alimenta. Si
discosta invece in buona parte dalla tendenza post-strutturalista e specificamente decostruzionista (soprattutto
nella variante americana influenzata da Paul de Man) a
leggere i testi marxiani – come quelli nietzscheani, mutatis mutandis – come dominati da un’intrinseca retoricità,
perlopiù attraverso la griglia di una sola figura retorica
trasformata in categoria epistemologica con cui si pretende di spiegare il funzionamento di tutto il testo. Pionieristico e suggestivo è stato l’approccio “metastorico”
di Hayden White il quale, una volta assunto il presupposto della letterarietà del discorso storico, interpreta i testi
marxiani come dominati dalla condizione “tragica” della
separazione e dell’alienazione, il che si esplicherebbe a
livello tropologico nella struttura essenzialmente metonimica dei suoi testi5.
La critica ha rilevato a più riprese quanto sia robusta l’impalcatura retorica di testi eminentemente polemici come
il Manifesto e il 18 Brumaio6: si pensi solo – per rimanere sui procedimenti più evidenti – alle violente antitesi
del primo o alla metafora teatrale usata a scopo critico (la
«farsa» di Luigi Bonaparte) nel secondo. L’ipotesi alla base
di questo lavoro è che anche nel Capitale7, che vuol essere anzitutto un libro critico-teorico e scientifico, sia possibile scorgere una filigrana polemica: in essa il «campo
dell’argomentazione è quello del verosimile, del probabile, nella misura in cui quest’ultimo sfugge alle certezze
del calcolo» (Perelman, Olbrechts-Tyteca 1958, trad. it.
1966, 3) e dunque alle strette maglie della dimostrazione
logica. L’intreccio tra il discorso scientifico e le strategie
retoriche del Capitale sembra mettere in atto l’imperativo espresso dalla seconda delle Tesi su Feuerbach: «Nella
prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero» (OC V, 3;
MEW 3, 5). Come messo in luce da Althusser e da Jameson, l’esposizione (Darstellung) teorica e genealogica del-
3. Dopo i vecchi saggi di Peter Demetz (Demetz 1959) e di Hans Mayer
(Mayer 1968), lo studio più completo in proposito è il voluminoso Karl Marx
e la letteratura mondiale di Siegbert S. Prawer (Prawer 1976, trad. it. 2021).
4. Cfr. soprattutto Jameson 1971, trad. it. 1975; Eagleton 1976; Williams
1977, trad. it. 1979; più di recente Hartley 2017.
5. Cfr. White 1973. Fedeli a questa linea “tropologica”, seppure con esiti
diversificati, sono anche gli studi di Terrell Carver (Carver 1998) e Thomas Keenan (Keenan 1993): in particolare, quest’ultimo verte sul rapporto
tra la struttura epistemologica della metafora e il concetto di astrazione
nella teoria marxiana del valore.
6. Sulla retorica del Manifesto cfr., tra i molti, Burke 1962, 204-209, e di recente Dogà 2021. Sulla retorica del Brumaio si veda soprattutto Carver 2017.
7. La mia indagine si concentra sul primo libro, pubblicato da Marx nel
1867, lasciando completamente da parte (fatti salvi alcuni puntuali accenni) il secondo e il terzo libro, pubblicati postumi con parecchi rimaneggiamenti da Engels, rispettivamente nel 1885 e nel 1894.
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le diverse categorie epistemologiche in quanto “astrazioni determinate” – la forma-valore della merce, il concetto
di lavoro e di scambio spiegati nella prima parte – si intreccia indissolubilmente con le riflessioni storiche (per
esempio la storia dell’accumulazione capitalistica nel penultimo capitolo) e con le incisive osservazioni politiche.
Queste ultime sono poi nutrite e giustificate dall’attività
pubblicistica e militante di Marx negli anni Cinquanta
e Sessanta, ben testimoniata dal lungo excursus del capitolo ottavo sulla lotta della classe operaia inglese per
la riduzione della giornata lavorativa. Così, alla sovrapposizione dei tempi storici – passato e presente, mentre
il futuro nel Capitale è meno presente che per esempio
nel Manifesto – corrisponde a mio avviso una mescolanza di registri retorici: quello critico è riservato per lo più
all’analisi del passato, sia esso il passato storico o l’analisi
degli scritti degli economisti classici, mentre quello sarcastico-polemico entra in gioco nelle riflessioni sul presente, tese al confronto con le posizioni degli economisti
contemporanei (gli economisti “volgari”) o alla denuncia
delle politiche della classe dominante e allo smascheramento delle loro legittimazioni discorsive.
Nel primo capitolo opero anzitutto una distinzione tra il
concetto di critica e quello di polemica per spiegare quale
posto ricoprono nelle dinamiche argomentative del Capitale. Rispetto alla polemica del giovane Marx militante,
incentrata su rigide opposizioni antitetiche, quella del
tardo Marx si fonda su procedimenti retorici più complessi e diversificati, tra cui le figure del rovesciamento
paradossale. All’interno del registro polemico in quanto
modalità discorsiva genuinamente agonale, Marx impiega inoltre spesso argomenti ad hominem tradizionalmen-
te denigrati dal dibattito filosofico. Un’evidente spia del
passaggio dal discorso teorico-critico a quello più spiccatamente polemico è di natura paratestuale: sono le note a
piè di pagina a ospitare spesso questo repentino cambio
di registro e il passaggio da sobrie argomentazioni teorico-epistemologiche a mordaci invettive personali.
Il secondo capitolo affronta l’universo delle citazioni nel
Capitale, che nella loro stratificata complessità non sono
mai state indagate dalla critica: le citazioni da opere letterarie (specialmente da Sofocle, Dante, Shakespeare e
Goethe) sono quelle esteticamente più vistose, ma Marx
cita soprattutto da testi di teoria economica, da atti parlamentari oppure da resoconti di ispettori di fabbrica, che
non manca di commentare in modo condiscendente oppure decisamente polemico. Una delle tecniche più frequenti per organizzare tale mosaico di citazioni consiste
nel trasformarle in declamazioni per mezzo della figura
della prosopopea (di hobbesiana memoria), e di farle entrare in scena come in un tribunale o su una tribuna politica. Attraverso tale polifonia di voci Marx manovra i vari
“personaggi” come personificazioni di categorie sociali,
aggiungendo la propria voce di commentatore a incarnare il pathos della denuncia o la critica demistificante.
Il terzo e ultimo capitolo esamina alcuni procedimenti
narrativi marxiani. Il Capitale nel suo complesso potrebbe essere letto come grandioso romanzo del capitalismo
che vede protagonisti la classe operaia e il capitale. Ma al
di là di questa possibile e suggestiva interpretazione, la
prosa del Capitale assume spesso un respiro narrativo:
si tratta per lo più di resoconti su questioni di attualità
oppure di veri e propri excursus storici nei quali Marx
corregge criticamente il discorso dominante; si incon-
14
15
trano inoltre molte micro-narrazioni volte a spiegare lo
sviluppo dialettico di un determinato fenomeno attraverso la finzione narrativa e mettendo in scena – in modo
complementare agli episodi di impianto “teatrale” – personaggi fittizi che rappresentano determinate istanze sociali. In questo capitolo si analizzano due inserti narrativi
cercando di illustrarne la funzione testuale e argomentativa: nel primo caso Marx fa uso della finzione narrativa
(l’episodio del “capitalista infelice” in un passaggio del
cap. 22) a scopo parodistico, al fine di dileggiare la cosiddetta “teoria dell’astinenza”; nel secondo (cap. 24), impiega invece a scopo polemico la terminologia dei generi
letterari per contrapporre l’“idillica” ma falsa narrazione
degli economisti liberali all’“epica” eppure autentica storia dell’accumulazione originaria narrata da lui stesso.
di consigli, lettura critica e spunti di approfondimento –
di varie persone cui vorrei esprimere la mia gratitudine:
Luca Basso, Stefano Brugnolo, Gabriele Fichera, Luca Illetterati, Pier Vincenzo Mengaldo, Marco Rispoli, e infine
Leone Zellini, che ha avuto la pazienza di leggere attentamente – talora più volte – ogni singola pagina, dandomi
preziosi suggerimenti anche stilistici che hanno migliorato di molto il risultato. La responsabilità di ogni errore
e inesattezza rimane naturalmente mia e soltanto mia.
La mia passione per Marx è antica, ma l’interesse per il
Capitale in particolare risale a un gruppo di lettura incentrato su questo testo, che ho portato avanti nel 2013-2014
insieme ad altre colleghe e altri colleghi (Eva Blome, Peter C. Pohl, Cathrin Scheuring, Claus-Michael Schlesinger, Heide Volkening) dell’Università di Greifswald, dove
allora lavoravo. Da quelle accese discussioni, alle quali
ripenso spesso con affetto e gratitudine, sono derivati
spunti stimolanti che mi hanno accompagnata negli anni
successivi, durante i quali ho cominciato a occuparmi del
Capitale. Vorrei ringraziare l’editore Quodlibet e il comitato scientifico della collana «Elements» per la disponibilità ad accogliere il libro e per la pazienza nel sopportare
i miei reiterati ritardi; ringrazio inoltre Chiara Cecchetti
per il prezioso supporto in fase redazionale. Per la stesura
di questo saggio è stato fondamentale l’aiuto – in forma
Nota al testo. Le citazioni dai testi di Marx sono in italiano e tratte dai volumi delle Opere (Editori Riuniti, [poi]
La città del sole, Roma 1972-2019). Di ogni passo in traduzione fornisco sempre anche l’indicazione bibliografica del brano corrispondente nell’edizione originale (i
Marx-Engels-Werke, abbr. MEW); in alcuni casi, tuttavia,
ho ritenuto opportuno optare per altre edizioni (si veda
in merito la bibliografia). Per il Capitale, il testo più citato, mi sono basata sul volume 23 dei MEW che fa riferimento alla quarta edizione del Capitale, curata da Engels
nel 1890. Le citazioni tradotte sono tratte dall’edizione
italiana a cura di Delio Cantimori (Rinascita, Roma 1951,
in seguito Editori Riuniti, Roma 1980), anch’essa basata
sull’edizione del 1890, e alla quale ho apportato alcune
modifiche quando necessario. Un intervento sistematico, e di cui dunque rendo conto qui, riguarda l’eliminazione dei molti corsivi presenti nell’edizione Cantimori,
che sostituiscono gli spaziati usati da Marx nella prima
edizione dell’opera (1867), secondo una consuetudine
tipografica frequente nell’Ottocento. È stato Marx stesso
a eliminarli a partire dalla seconda edizione (1872-1873),
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ed Engels vi si è attenuto nell’edizione del 1890. Nella
prefazione all’edizione italiana Cantimori dichiara di
aver seguito il testo della quarta edizione, ma di aver integrato in questa i corsivi della prima edizione del 1867.
In questo volume ci si è discostati dalla lezione di Cantimori e si è seguita la volontà ultima dell’autore.
CAPITOLO PRIMO
CRITICA E POLEMICA IN MARX
1. Prologo. La polemica nel Vormärz e il giovane Marx
Nel 1840, il giovane Friedrich Engels pubblica, celandosi dietro lo pseudonimo di Friedrich Oswald, un articolo
dal titolo Moderne Polemik in cui discute con passione dei
dibattiti in seno al circolo letterario dello Junges Deutschland. Di questo facevano parte Karl Gutzkow, Theodor
Mundt e Gustav Kühne, ma anche Heinrich Heine era vicino al movimento. Tutti questi autori erano accomunati,
pur nell’eterogeneità di livello espressivo e letterario, da
un forte impeto polemico nei confronti del potere politico-culturale dell’epoca della Restaurazione. Il testo di
Engels si apre con una metafora bellica, molto comune
nella retorica – sia scritta che orale – della polemica, ma
che Engels applica subito allo stile engagé di questi moderni scrittori:
La giovane letteratura possiede un’arma grazie alla
quale essa è diventata invincibile e raduna sotto le sue
bandiere tutti i giovani talenti. Intendo dire lo stile
moderno, che nella sua vivacità concreta, nell’acutezza dell’espressione, nella varietà delle sue sfumature
offre ad ogni giovane scrittore un letto nel quale il fiume o ruscello del suo genio scorra via comodamente,
senza troppo diluire la sua originalità – se esiste – con
elementi estranei, con acido carbonico heiniano o con
calce viva gutzkowiana. […] In simili circostanze pos-
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