PIRANDELLO A BRIGLIA SCIOLTA
INTRODUZIONE DI ELIO PROVIDENTI
Con Antonio Alessio la nostra amicizia risale a tanti anni fa. Ci incontrammo la
prima volta in un convegno ad Agrigento, nel 1980, e da allora i nostri rapporti non si
sono più interrotti. Antonio dirigeva la sezione italiana del dipartimento di lingue
moderne della McMaster's University di Hamilton (Ontario, Canada) e attraverso
l'istituto di cultura italiana di Toronto mi fece pervenire un invito per la presentazione
del primo volume dell'epistolario giovanile pirandelliano che avevo iniziato a
pubblicare. Fu l'occasione per un mio primo viaggio oltreoceano, da cui scaturì una
serie di altri inviti negli Stati Uniti che mi portarono ad Albany e a Saratoga Sprigs
dove fui ospite dello Skidmore College e di Giuseppe Faustini, che insegnava e
tuttora insegna in quell'istituto. Prima di rientrare in Italia ebbi anche l'invito a
svolgere una conferenza alla Columbia University di New York e potei così visitare la
città simbolo della civiltà nordamericana.
Alessio cominciò sin dagli anni giovanili con l’amore per il teatro e con una
vocazione d’attore esibendosi presso il teatro S. Francesco di Alessandria (la sua
città) e con le rappresentazioni natalizie della maschera di Gelindo legate alle antiche
tradizioni popolari alessandrine e del Monferrato, coltivate allora per le comuni
origini alessandrine anche da Umbero Eco, compagno e sodale di quelle esperienze
culturali e teatrali del nostro Alessio.
La sua fedeltà al teatro, espressa anche con traduzioni in italiano dei classici
del teatro elisabettiano (Ben Jonson), lo portarono a intendere l’esperienza teatrale
non soltanto attraverso lo studio e la lettura ma anche nella sua fattuale messa in
scena. È stato il suo metodo di lavoro ultraventennale con la creazione della
compagnia del McMaster Italian Club poi divenuta Le maschere italiane, per la
rappresentazione soprattutto di testi del teatro italiano in varie città e università
dell’Ontario, in particolare Pirandello di cui interpretò magistralmente il Ciampa del
Berretto a sonagli e Martino Lori del Tutto per bene.
Pirandello, appunto, un amore coltivato da Alessio con un approfondimento
continuo dei testi da interpretare, ma anche con studi originali su aspetti non noti
dello scrittore, come la pittura, passione estemporanea dei momenti di riposo, o
sull’inedita corrispondenza con Umberto Fracchia, direttore della prima «Fiera
letteraria» (1925-1928), dove pubblicò a puntate l'Uno, nessuno e centomila prima
dell'edizione in volume. Non si contano i tanti saggi e interventi sparsi da Alessio in
atti accademici e riviste, o l’impegno dedicato all’organizzazione di convegni e
incontri: quello di Ottawa L’enigma Pirandello (1986) e Le fonti di Pirandello
(Toronto 1994).
Da ultimo, nel 2017, nel 150° anniversario della nascita, ha voluto dedicare una
originale interpretazione dell’Uno, nessuno e centomila registrata su DVD
destinandola agli amici più cari, anche per non rendere unica la lettura che ebbe a
farne a Roma nel 2010 nella dimora di via Bosio, sede dell’Istituto di studi
pirandelliani e sul teatro contemporaneo, ospite di Franca Angelini, che allora ne era
a capo. In questa immersione nel grande testo, ora fruibile anche su You Tube, non si
sa se ammirare più la nascosta complessità o l’attenta soluzione scenica. La scena è
ridotta all'essenziale: uno specchio con una classica, importante cornice, un leggio
con le carte che il protagonista sembra sfogli ogni tanto, o legga, o lasci lì, preso dal
discorso che conduce. Dal punto di visto della resa filmica, assai difficile per la
staticità della scena, la intelaiatura dei piani, il succedersi delle sequenze,
l’accompagnamento musicale con brani di Ravel, Saint Saëns, Grieg, Bach, R.
Strauss creano una suggestione che non s’interrompe per tutti i novanta minuti della
visione. L’interpretazione, un ininterrotto discorso interiore, approda a quel che
gradatamente diventa la molteplice identità dell’uomo, la scarnificazione dei rapporti
umani, l’abbandono di tutte le illusioni, in una riflessione che conduce a una graduale
moltiplicazione dell’individualità, a seconda del punto di vista e dei modi di
rivolgersi agli altri. Vitangelo Moscarda, il protagonista dell’Uno, nessuno e
centomila, entrando nel salotto dove l'attende la moglie Dida con un amico in visita,
di nome Quantorzo, si rende conto a un tratto che un Eccoci qua! da lui pronunciato
corrisponde a una molteplicità di presenze, diverse da quelle tangibili: e così le
elenca. 1. Dida, com’era per sé; 2. Dida, com’era per me; 3. Dida, com’era per
Quantorzo; 4. Quantorzo, com’era per sé; 5. Quantorzo, com’era per Dida; 6.
Quantorzo, com’era per me; 7. Il caro Gengé di Dida [soprannome datogli dalla
moglie]; 8. Il caro Vitangelo di Quantorzo […]. S’apparecchiava in quel salotto –
soggiunge l’io narrante – fra quegli otto che si credevano tre, una bella
conversazione.
* * *
Diverso è quest'ultimo Pirandello a briglia sciolta un lavoro nuovo e originale
che già nel titolo produce un effetto sorpresa: a briglia sciolta... perché? È che
Alessio ha vissuto con l'opera letteraria e teatrale di questo autore una ineguagliabile
esperienza di oltre settant'anni. Se l'è tenuto in sé analizzandone i più segreti recessi e
facendone affiorare in un'interpretazione sempre rinnovata le più recondite verità.
Gli aspetti meno esplorati e all'apparenza secondari, attirano l'attenzione di
Alessio, che dedica un particolare settore delle sue ricerche alla critica d'arte,
soprattutto alla pittura e alla scultura, esercitata da Pirandello negli anni d'esordio. La
presenza nella novellistica e nel teatro di pittori, scultori, amatori d'arte ecc., è
particolarmente notata da Alessio, da Diana e la Tuda a Effetti d'un sogno interrotto,
da Guardando una stampa a Ciascuno a suo modo, da Trovarsi fino ai Giganti della
montagna, con riferimenti originali alla pittura di Brueghel e soprattutto di Bosch.
Un capitolo è dedicato a un altro argomento poco frequentato, la poesia,
anch'essa un'attività interrotta nel 1912, dopo la pubblicazione del Fuori di chiave,
ma riaffiorante poi sotterraneamente negli ultimi anni, con un ritorno soprattutto alle
Elegie renane, rivedute e qua e là ripubblicate. Il percorso seguito è dal Mal
giocondo alla Pasqua di Gea per arrivare a Zampogna e infine, attraverso un
approccio a Scamandro arrivare al Fuori di chiave. Vengono toccati così tutti i temi,
dall'inconsapevole umorismo e dal pessimismo giovanile del Mal giocondo e della
Pasqua di Gea, che preludono anche a certi temi del teatro, alle poesie agresti di
Zampogna, «un piccolo miracolo per freschezza d'ispirazione e unità poetica, in cui il
rapporto tra Pirandello e la natura si fa personale, esclusivo, di segreta intimità»,
come dice Alessio. Scamandro offre ad Alessio l'opportunità di allargare il discorso e
di attingere non soltanto ai classici greci, ma soprattutto al Boccaccio, con
riferimento all'ottava novella della decima giornata del Decameron, quella di Tito e
Gisippo. In Fuori di chiave, infine, è il titolo stesso a suggerire la chiave musicale,
con dissonanze tra gli strumenti i più discordanti tra loro, come il violino e il
contabbasso. Domina la disillusione della vita, i sogni che si infrangono contro la
dura realtà. Fuori di chiave è certamente l'opera poetica più costruita e più matura, in
cui riecheggia in forma umoristica la pessimistica concezione della vita di Pirandello.
Molto interessante l'accostamento che Alessio fa tra D'Annunzio e Pirandello.
Certo,«se l’ulisside pescarese – dice Alessio – è ognora pronto a salpare verso mondi
ignoti e sconfinati, Pirandello è cosciente della rotondita della terra; da qualunque
parte inizi il viaggio non si può che arrivare al punto di partenza». E così Alessio
prosegue: «Per D’Annunzio “navigare necesse est, vivere non est necesse”, per
Pirandello e esattamente il contrario. D’Annunzio porta il teatro nella vita, Pirandello
porta la vita nel teatro. Se D’Annunzio celebra la gioia del vivere, Pirandello ne
sottolinea la pena. L’umorismo pirandelliano non può essere che alieno a chi per
natura è indotto ad esasperare sino all’inverosimile i propri sentimenti». Ma Alessio
sa trovare anche le affinità tra i due grandi autori del Novecento, quando esamina e
mette a confronto La Gioconda con Diana e la Tuda e con Trovarsi. I protagonisti di
questi drammi hanno specifiche somiglianze: il giovane scultore Lucio Settala de La
Gioconda è l'omologo del Sirio Dossi di Diana e la Tuda, come Lorenzo Gaddi, il
vecchio scultore, lo è di Nono Giuncano, mentre Silvia, la moglie del Settala, è
l'equivalente della Tuda. E mentre i due giovani artisti intendono sacrificare tutto
sull'altare dell'arte, disposti a portare il loro idealismo alle estreme conseguenze, i due
vecchi scultori hanno avuto un ripensamento, e Giuncano ha distrutto tutte le sue
opere:“solo la vita ha valore, perché in continuo moto ed eternamente mutabile”. A
proposito del vecchio scultore Lorenzo Gaddi, nella Gioconda c'è una battuta che
Alessio sottolinea: “Che fuoco d’intelligenza e di bonta in quel vecchio! La sua opera
e una continua esaltazione della vita: e il continuo sforzo di comunicare una scintilla,
tanto alle sue statue quanto alle creature che egli incontra nel suo cammino”. Dice
Alessio: «È su questa specifica battuta che Pirandello costruisce il personaggio
dell'attrice Donata in Trovarsi», e ci spiega come Donata impersona l'Arte, mentre Elj
Nielsen è lo spirito avventuroso che le propone di abbandonare tutto e gettarsi nella
Vita. Il contrasto si risolverà alla fine quando Donata, entrata come per miracolo
nell'anima del personaggio, ne farà rivivere sul palcoscenico l'esperienza umana,
riuscendo così a saldare Arte e Vita.
Antonio Alessio ha a lungo riflettuto sulla religiosità di Pirandello e ne ha
individuato l'origine nell'animo infantile dello scrittore, come ben indicato da
Gaspare Giudice nella sua biografia, che ne ha caratterizzato i primi anni come quelli
di una religiosità vissuta con esuberanza devastatrice; la sua fede è quella della santità
e del miracolo: quando si scontrerà con la realta della menzogna e dell’ipocrisia, la
sua fede crollerà, e come un angelo caduto in lui è un demoniaco bisogno di
riconquista della santità perduta. Il Pirandello maturo pronuncerà così il suo Credo
(in Fuori di chiave): “Tengo a vantarmi solo d’una cosa,/cioè: d’aver per tempo
appreso che si sente/ pure una gioja, ancora a molti ascosa,/nel non chieder perchè
/di niente/ né a Dio nostro signore, ne alla sposa/ di Dio, madre Natura, ne alla gente
/[...] Se Dio mi vuol far credere ch’Egli è/ dovunque /e che/ veglia su tutti, e dunque/
pure su di me / […]dovrò dagli per questo dispiacere?/ gli crederò:/ il mondo, bene o
male ha camminato,/ almeno un po'. Deluso dagli uomini, non rimane a Pirandello
che aggrapparsi alla Natura, l’unica ragione e religione di vita che gli sia rimasta,
Natura creata da Dio e a sua volta creatrice, dunque figlia e madre nello stesso tempo,
per questo viene onorata da Dio con il primordiale omaggio di sposa. Ed è qui – per
Antonio Alessio – che rinasce la religiosità di Pirandello, nella natura teneramante
amata, diventata sorella, compagna fedele e veritiera, creatura vivente. È tutto da
leggere questo capitolo dal titolo L'orizzonte di Pirandello, la parte più sentita, il
cuore centrale di quest'opera di Alessio, che ci conduce a conoscere quel sentimento
tenerissimo che univa Pirandello alla natura, sia essa luna (Ciàula scopre la luna),
monti, campagne, alberi, fino al singolo filo d'erba (Canta l'Epistola).