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Italiani di Dalmazia 1914-1924

2007, Firenze, Le Lettere

BIBLIOTECA DI «NUOVA STORIA CONTEMPORANEA» Collana diretta da Francesco Perfetti 25 LUCIANO MONZALI ITALIANI DI DALMAZIA 1914-1924 Le Lettere In copertina: cartolina di propaganda irredentistica italiana. Opera realizzata sotto il patrocinio della Società Dalmata di Storia Patria, Venezia. Copyright © 2007 by Casa Editrice Le Lettere - Firenze ISBN 88 6087 042 9 www.lelettere.it INTRODUZIONE Oggetto di questo studio è la ricostruzione delle vicende politiche delle popolazioni italiane della Dalmazia fra lo scoppio della prima guerra mondiale e la firma degli accordi italo-iugoslavi del 1924. In quegli anni l’assetto politico della Dalmazia, così come quello di tutta l’Europa centro-orientale, conobbe un profondo sconvolgimento. La dissoluzione dell’Impero asburgico produsse un aggravamento delle lotte nazionali e politiche nei territori già appartenenti all’ex AustriaUngheria. In Dalmazia, così come in altre parti dell’ex Impero, il crollo del potere asburgico scatenò una lotta fra le varie nazionalità autoctone per affermare la propria egemonia. Nella costa dalmata le lotte nazionali furono particolarmente forti anche perché alimentate e strumentalizzate dalle mire espansionistiche dell’Italia e della Serbia (trasformatasi poi in Regno dei Serbi, Croati e Sloveni), potenze uscite vincitrici dalla guerra mondiale. A partire dal novembre 1918 si assistette così all’aperto esplodere della rivalità fra Italia e nuovo Regno iugoslavo per affermare la propria sovranità sulla costa dalmata, una competizione che si sarebbe temporaneamente conclusa solo con il trattato di Rapallo del novembre 1920. Il conflitto politico dalmata fu particolarmente complesso e contraddittorio perché, contemporaneamente alla lotta fra Italia e Stato iugoslavo, fra dalmati italiani e italofili e simpatizzanti iugoslavi, si delineò drammaticamente un altro grave scontro, quello fra le forze nazionali croate autonomiste o indipendentiste e lo Stato centralista ed autoritario incarnato dal governo serbo di Belgrado. L’accordo di Rapallo pose temporaneamente fine alla rivalità italo-iugoslava, mentre lo scontro croato-serbo non fece che aggravarsi nel corso degli anni Venti. La difficile e contrastata applicazione del patto del novembre 1920 mise in luce come ogni progetto di riconciliazione politica e nazionale fra italiani e slavi del sud si scontrasse con l’opposizione di forze politiche particolarmente aggressive ed organizzate e di importanti settori delle opinioni pubbliche. Gli anni Venti, quindi, furono contraddistinti da una radicalizzazione dell’antagonismo nazionale in Dalmazia, antagonismo alimentato e strumentalizzato da alcune forze politiche italiane (nazionalisti, VI INTRODUZIONE fascisti) e iugoslave (nazionalisti iugoslavi, serbi e croati). In questo contesto storico gli italiani di Dalmazia furono soprattutto “vittime” degli sviluppi politici che la società dalmata conobbe, sviluppi prodotti da decisioni, scelte ed atti compiuti ed imposti dagli Stati e da forze nazionali e politiche più vigorose, organizzate e forti. I comportamenti politici dei dalmati italiani e della loro leadership furono spesso solamente risposte a iniziative ed eventi provocati da altri. I capi dalmati italiani (Ziliotto, Krekich, Ghiglianovich, Pini, Tacconi) cercarono di adattarsi ai mutamenti politici prodotti dalla guerra, ispirando la propria condotta soprattutto al principio della difesa degli interessi delle loro comunità nazionali e locali. La ricostruzione degli eventi politici evidenzia che in Dalmazia la lotta nazionale italiana s’identificò anche con la battaglia per la difesa della “piccola patria”, la difesa delle specifiche tradizioni linguistiche e culturali delle comunità cittadine italiane di Zara, Sebenico e Spalato. Il liberalismo nazionale italiano dalmata preservò anche dopo il 1918 la propria matrice liberale: esso accettava il pluralismo religioso, culturale e nazionale ed era pronto alla collaborazione e al compromesso con le altre forze nazionali dalmate. Il rapporto degli italiani di Dalmazia con l’Italia liberale e fascista fu caratterizzato da una forte complessità e contradditorietà: l’alleanza con il governo di Roma fu una scelta ineludibile per la minoranza italiana, pena il venir meno della sua sopravvivenza; ma fu un’alleanza fra soggetti con identità, obiettivi ed ideologie politiche diverse. Se alcuni dalmati italiani aderirono con entusiasmo al fascismo, altri, soprattutto quelli legati alla tradizione del vecchio partito autonomista, cercarono di preservare una propria specificità ed autonomia, tentando di limitare le interferenze del partito fascista nella vita delle comunità italiane in Iugoslavia negli anni fra le due guerre: ma il crescente indebolimento della minoranza italiana, sottoposta alla pressione ostile del governo di Belgrado, che la considerava una quinta colonna dell’espansionismo dell’Italia, ed il contemporaneo rafforzarsi dell’autoritarismo dello Stato fascista resero gli spazi di autonomia sempre più ridotti e limitati. Questo volume, che continua un progetto di studio iniziato con il mio precedente libro Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra (Firenze, 2004), è debitore del sostegno e dell’aiuto di molte persone. Desidero, innanzitutto, ringraziare Franco Luxardo e Tullio Vallery, che mi hanno stimolato ed aiutato ad intraprendere e concludere questa ricerca, che viene edita sotto il patrocinio della Società Dalmata di Storia Patria di Venezia. Sono riconoscente a Elio INTRODUZIONE VII Ricciardi per le informazioni sulla storia degli italiani di Arbe e i tanti consigli, e a Giorgio Varisco per la collaborazione nella ricerca delle cartine. Sono poi grato al prof. Vanni Tacconi e alla Fondazione Tacconi di Venezia per l’interesse verso le mie ricerche dalmatiche e per le informazioni sulla storia della sua famiglia. Vorrei poi manifestare la mia gratitudine a Francesco Perfetti, che con grande attenzione e disponibilità, ha accettato di pubblicare questo mio volume nella collana di studi da lui diretta. La mia attività di studio ha potuto usufruire dei consigli e suggerimenti di Italo Garzia, Alessandro Duce e Pietro Pastorelli. Un grazie sincero, infine, agli amici che si sono assunti l’onere della lettura di questo testo, fornendomi utilissime critiche e consigli: Massimo Bucarelli, Francesco Caccamo, Federico Imperato, Anna Millo e Luca Riccardi. Modena 10 ottobre 2006 Luciano Monzali ELENCO DEI FONDI ARCHIVISTICI, DELLE RACCOLTE DOCUMENTARIE E DELLE ABBREVIAZIONI ACP: Archivio Conferenza della Pace, Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma. ACS: Archivio Centrale dello Stato, Roma. ADAP: Akten zur Deutschen Auswärtigen Politik 1918-1945, Frankfurt/ M.-Göttingen, 1950-1995. AM, archivio di base: Archivio storico della Marina Militare Italiana, archivio di base, Roma. AMAF: Archives diplomatiques du Ministère français des Affaires étrangères, Parigi. AP: Atti parlamentari, Camera dei deputati, Roma, 1861-. AP 1931-45: Fondo della Direzione degli Affari Politici 1931-1945, Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma. AP 1919-30: Fondo della Direzione degli Affari Politici 1919-30, Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma. ARC POL 1915-1918: Archivio politico 1915-1918, Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma. AS BOLOGNA: Archivio di Stato di Bologna. ASMAE: Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma. ASS: Archivio di Stato di Spalato/Drz#avni Arhiv Split, fondo Governo della Dalmazia/Talijanska Vlast u Dalmaciji 1941-1943, Split. ASSR: Archivio storico del Senato del Regno d’Italia, Roma. BDFA: British Documents on Foreign Affairs: Reports and Papers from the Foreign Office Confidential Print, Washington, 1983-. BL: Biblioteca comunale di Lucera, Foggia. X ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI BS: Biblioteca del Senato, Roma. CARTE ALDROVANDI MARESCOTTI: Carte di Luigi Aldrovandi Marescotti, Archivio di Stato di Bologna. CARTE A PRATO: Carte di Carlo Emanuele a Prato, Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, Milano. CARTE BONOMI: Carte di Ivanoe Bonomi, copia conservata all’Archivio Centrale dello Stato, Roma. CARTE BOSELLI: Carte di Paolo Boselli, Archivio Centrale dello Stato, Roma. CARTE GHIGLIANOVICH: Carte di Roberto Ghiglianovich, Biblioteca del Senato, Roma. CARTE GIOLITTI: Carte di Giovanni Giolitti, Archivio Centrale dello Stato, Roma. CARTE IMPERIALI: Carte di Guglielmo Imperiali di Francavilla, Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma. CARTE NITTI: Carte di Francesco Saverio Nitti, Archivio Centrale dello Stato, Roma. CARTE SALANDRA: Carte di Antonio Salandra, Biblioteca comunale di Lucera. CARTE SALATA: Carte di Francesco Salata, Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma. CARTE SFORZA: Carte di Carlo Sforza, Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma. CARTE SONNINO/DE MORSIER: Carte di Frank De Morsier, Archivio Centrale dello Stato, Roma. DA: Archivio Storico della Società Dante Alighieri, Roma. DDA: Dokumente zur Aussenpolitik der Bundesrepublik Österreich 19181938, München, 1993-. DBFP: Documents on British Foreign Policy 1919-1939, London, 1947-. DDF: Documents diplomatiques français, Paris-Bern, 1987-. ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI XI DDI: I Documenti diplomatici italiani, Roma, Libreria dello Stato-Istituto poligrafico dello Stato, 1952-. DDS: Documents diplomatiques suisses/Documenti diplomatici svizzeri/Diplomatische Dokumente der Schweiz 1848-1945, Berna, Benteli Verlag, 1979-. FRUS, The Paris Peace Conference, 1919: Papers on Foreign Relations of the United States. The Paris Peace Conference, Washington, 1861-. FV, ARC GEN FIU: Fondazione del Vittoriale, Archivio Generale Fiumano, Gardone (Brescia). FV, ARC GEN: Fondazione del Vittoriale, Archivio Generale, Gardone (Brescia). GAB 1923-43, AF: Carte del Gabinetto del Ministro e della Segreteria Generale dal 1923 al 1943, Ufficio Adriatico-Fiume, Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma. IB: Die Internationalen Beziehungen im Zeitalter des Imperialismus, Berlin, 1934-1942. INSMLI: Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, Milano. LN: Un Livre Noir. Diplomatie d’avant-guerre et de guerre d’après les documents des archives russes (1910-1917), Paris, Librairie du Travail, s. d. LV: Documenti Diplomatici presentati al Parlamento italiano dal ministro degli Esteri Sforza. Negoziati diretti fra il governo italiano e il governo serbocroato-sloveno per la pace adriatica, Roma, 1921. MANTOUX: PAUL MANTOUX, Les Délibérations du Conseil des Quatre (24 mars - 28 juin 1919), Paris, 1955. MIN INT, d.g. pubblica sicurezza: Fondo Ministero dell’Interno, direzione generale pubblica sicurezza, Archivio Centrale dello Stato, Roma. OA: Le Occupazioni adriatiche, Roma, 1932. PA, Barrère: Papiers d’agents, Camille Barrère, Archives diplomatiques du Ministère français des Affaires étrangères, Parigi. PDH: Papers and Documents relating to the Foreign Relations of Hungary, Budapest, 1939-1945. XII ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI PNF-DN: Fondo del Partito Nazionale Fascista, Direttorio Nazionale, Archivio Centrale dello Stato, Roma. RECUIL: Conférence de la Paix 1919-1920. Recuil des Actes de la Conférence, Paris. Sebenico, arc. ord.: Archivio del Vice-consolato italiano di Sebenico, archivio ordinario, Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma. SHS: Serbi, Croati e Sloveni. Spalato: Archivio del Consolato italiano di Spalato, Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma. UNP: Fondo dell’Ufficio per le Nuove Provincie, Archivio Centrale dello Stato, Roma. WP: The Papers of Woodrow Wilson, Princeton, 1966-1994. Zapisnici: Zapisnici sa sednica delegacije Kraljevine SHS na Mirovnoj Konferenciji u Parizu 1919-1920, Beograd, 1960. b.: busta. c.: cartella. d.: documento. n.: numero p.: pagina pp.: pagine rap.: rapporto sc.: scatola s.d.: senza data s.n.: senza numero ss.: seguenti tel.: telegramma vol.: volume I GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE. GLI ITALIANI DI DALMAZIA E LA POLITICA ESTERA ITALIANA DALL’INTERVENTO ALLA FIRMA DEL TRATTATO DI VERSAILLES 1.1. Gli italiani di Dalmazia e l’irredentismo politico durante la guerra Negli anni precedenti allo scoppio della prima guerra mondiale l’aggravarsi delle lotte nazionali in seno all’Impero asburgico aveva reso le condizioni di vita degli italiani di Dalmazia sempre più precarie1. Dopo decenni di rivalità, i principali partiti dalmati croati e serbi – infervorati dal sogno di un grande Stato iugoslavo che, dopo le guerre balcaniche e i successi militari della Serbia, sembrava non essere più una semplice chimera – si erano uniti in una coalizione che aveva conquistato il controllo politico e amministrativo della provincia. In nome di un ideale d’unione serbo-croata, i nazionalisti iugoslavi si erano lanciati con vigore e accanimento in un’azione politica mirante a conquistare l’ultima roccaforte italiana della Dalmazia, il Comune di Zara/Zadar; contemporaneamente i gruppi nazionalisti più estremisti predicavano l’esigenza di una ripresa della slavizzazione integrale della vita sociale delle città dalmate, con l’obiettivo di fare progressiva1 Per un’analisi delle vicende politiche della minoranza italiana nella Dalmazia asburgica negli anni precedenti allo scoppio della prima guerra mondiale rimandiamo a: LUCIANO MONZALI, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra, Firenze, 2004; JOSIP VRANDECI# C!, Dalmatinski autonomistic#ki pokret u XIX stoljec!u, Zagreb, 2002; ANGELO DE BENVENUTI, Storia di Zara dal 1797 al 1918, Milano-Roma, 1944; ATTILIO TAMARO, La Vénétie Julienne et la Dalmatie. Histoire de la Nation italienne sur ses frontières orientales, Roma, 1918-1919, III, p. 435 e ss. ; ANTONINO D’ALIA, La Dalmazia nella storia e nella politica, nella guerra e nella pace, Roma, 1924; ALESSANDRO DUDAN, La Dalmazia di oggi, in AUTORI VARI, La Dalmazia. Sua italianità, suo valore per la libertà d’Italia nell’Adriatico, Genova, 1915, p. 65 e ss.; EGIDIO IVETIC!, La patria del Tommaseo. La Dalmazia tra il 1815 e il 1860, in FRANCESCO BRUNI (a cura di), Niccolò Tommaseo: Popolo e Nazioni. Italiani, Corsi, Greci, Illirici, Roma-Padova, 2004, p. 595 e ss. 2 LUCIANO MONZALI mente sparire ogni forma di presenza pubblica e organizzata d’italianità linguistica e culturale. Nonostante decenni di egemonia politica, i nazionalismi pancroato e panserbo non erano ancora riusciti a cancellare i caratteri multietnici e plurinazionali della società dalmata. Alla vigilia della prima guerra mondiale tutte le città della Dalmazia erano ancora centri italo-slavi, dove convivevano, fortemente mescolati, croati, italiani e serbi. L’influenza dell’elemento italiano – costituito quasi esclusivamente da abitanti delle città, appartenenti sia ai ceti popolari che a quelli aristocratici e borghesi – era più forte sul piano culturale e linguistico che su quello politico. La lingua italiana – o per precisione il dialetto veneto-dalmata2 – restava alquanto diffusa nei centri urbani ed era quotidianamente parlata anche da dalmati croati e serbi3. La sua sopravvivenza era dovuta alla presenza di consistenti nuclei italiani nei centri urbani e al fatto che il dialetto veneto-dalmata era la lingua “cittadina” per eccellenza, parlata dagli abitanti delle città per tradizione e per affermare la propria identità municipale in contrapposizione alle popolazioni delle campagne4. In una società dove il concetto di coscienza nazionale era soprattutto un dogma ideologico o una scelta di partito più che una ben definita e rigida identità di matrice etnica, la lingua italiana continuava a dominare la vita di Zara, Spalato/Split e Sebenico/?ibenik. La specificità culturale dalmata e la mescolanza etnica spiegavano le divisioni esistenti fra lo stesso elemento italiano sul piano politico: molti italiani per lingua, cultura e origini (Gajo/Gaetano Bulat5, Lorenzo Monti6, Edoardo Tacconi7, Vito Morpurgo8) furono fondatori e capi dei partiti nazionalisti slavofili, 2 Al riguardo: LUIGI MIOTTO, Vocabolario del dialetto veneto-dalmata, Trieste, 1983. Interessante la testimonianza del nazionalista iugoslavo Smodlaka sulla forte diffusione della lingua italiana a Spalato alla fine dell’Ottocento: JOSIP SMODLAKA, Zapisi dra Josipa Smodlaka, Zagreb, 1972. 4 Sulla funzione del dialetto veneto-dalmata come lingua identitaria della popolazione cittadina di Spalato: ANATOLIJ KUDRJAVCEV, Vjec#ni Split, Split, 1985. Riguardo al contrasto fra cittadini e borghigiani nella società spalatina di quegli anni: BOGDAN RADICA, Vjec#ni Split, Split-Zagreb, 2002, p. 125 e ss. 5 IVO PERIC!, Politic#ki portreti iz pros#losti iz Dalmacije, Split, 1990, p. 157 e ss. 6 MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., p. 57. 7 VANNI TACCONI (a cura di), Antonio e Ildebrando Tacconi. Due paladini della civiltà latino-veneto-italica in Dalmazia, Venezia, 1997, p. XXIII; LUCIANO MONZALI, Dalmati o Italiani? Appunti su Antonio Bajamonti e il liberalismo autonomista a Spalato nell’Ottocento, «Clio», 2002, n. 3, p. 451. 8 DUSK # O KECK # EMET, Vid Morpurgo e Narodni Preporod u Splitu, Split, 1963; ID., Židovi u povijesti Splita, Split, 1971, p. 159 e ss.; MARIANTONIETTA LANZILOTTI, I Morpurgo di Spalato, in Palestina 1927 nelle fotografie di Luciano Morpurgo, Roma, 2001, p. 59 e ss. 3 GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 3 nelle loro varie tendenze ideologiche (pancroatismo, iugoslavismo, ecc.). Convinti che il miglior futuro per la Dalmazia stesse nella sempre maggiore unione con i popoli del retroterra balcanico, questi italiani slavofili avevano partecipato all’enunciazione di nuove ideologie politiche nazionaliste, in prevalenza di tendenza iugoslava. Nazionalisti iugoslavi come Monti, Morpurgo, Bulat sostennero la necessità di una rigenerazione della nazione dalmatica e la fusione delle varie stirpi dalmatiche in un’unica comunità nazionale dominata dall’elemento maggioritario, quello iugoslavo: per questi italiani slavofili, serbi e croati erano un’unica nazione all’interno della quale la minoranza italiana dalmata si doveva fondere e cancellare in nome del bene comune; l’italiano doveva progressivamente ridursi a lingua dialettale locale, esclusa dalla vita politica e culturale ufficiale, al fine di non fomentare tendenze centrifughe nella nascente nazione iugoslava9. Le ideologie nazionaliste slavofile furono accettate da alcuni dalmati italiani, ma rifiutate da molti altri, fieri della propria tradizionale identità dalmatica e ostili all’idea di un’unione con la Croazia e le altre terre croate e serbe. L’opposizione ai nazionalismi pancroato e iugoslavo si organizzò nel partito autonomo-costituzionale, formazione politica liberale e regionalista che raccolse consensi in tutte le fasce della società dalmata e fu forza egemone in Dalmazia fino agli anni Ottanta dell’Ottocento. Progressivamente il liberalismo autonomista sviluppò al suo interno una corrente nazionale italiana, che, contro le tendenze assimilatrici e intolleranti dei movimenti slavofili, auspicava che i dalmati ponessero al centro delle proprie lotte politiche la difesa della lingua e della cultura italiana. L’ideologia nazionale liberale italiana in 9 Sulle ideologie nazionaliste croate, serbe e iugoslave in Dalmazia fra Ottocento e Novecento: RADE PETROVIC!, Nacionalno pitanje u Dalmacji u XIX stoljec!u. (Narodna stranka i nacionalno pitanje 1860-1880), Sarajevo, 1968; IVO BANAC, The National Question in Yugoslavia. Origins, History, Politics, Ithaca-London, 1988; DRAGOVAN ?EPIC!, Politic#ke koncepcije Frana Supila, in FRANO SUPILO, Politic#ki Spisi. Šlanci, govori, pisma, memorandumi, Zagreb, 1970, pp. 7-95; IVO PETRINOVIC!, Politic#ka misao Frana Supila, Split, 1988; IVO PERIC,! Ante Trumbic! na dalmatiskom politickom popris#tu, Split, 1984; ANTE TRUMBIC!, Izabrani Spisi, Split, 1986; ID., Suton Austro-Ugarske i Rijec#ka rezolucija, Zagreb, 1936; ARNOLD SUPPAN, Die Kroaten, in ADAM WANDRUSZKA, PETER URBANITSCH (a cura di), Die Habsburgermonarchie 1848-1918, Wien, 1980, vol. III, tomo 2, p. 626 e ss.; GÜNTHER SCHÖDL, Kroatische Nationalpolitik und ‘Jugoslavenstvo’. Studien zu nationaler Integration und regionaler Politik in Kroatien-Dalmatien am Beginn des 20. Jahrhunderts, München, 1990; BENIAMINO SALVI, Il movimento nazionale e politico degli sloveni e dei croati. Dall’Illuminismo alla creazione dello Stato jugoslavo (1918), Trieste, 1971; MARJAN DIKLIC!, Pravas#tvo u Dalmaciji do kraja prvoga svjetskog Rata, Zadar, 1998. 4 LUCIANO MONZALI Dalmazia ebbe il suo più importante teorico in Antonio Bajamonti10, capo carismatico dell’autonomismo spalatino, e con il trascorrere degli anni e il crescere delle discriminazioni anti-italiane conquistò sempre più simpatizzanti. Sull’esempio del partito liberale-nazionale triestino il liberalismo autonomista dalmata assunse progressivamente un carattere sempre più nazionale italiano: era un nazionalismo che sorgeva come risposta ai movimenti nazionalisti slavofili, difensivo e liberale, che mirava soprattutto alla tutela dei diritti linguistici e culturali della minoranza italiana in Dalmazia. Alla fine dell’Ottocento, pur rimanendo in sostanza un’alleanza fra regionalisti dalmati e liberali italiani, il partito, che ormai si definiva «autonomo-italiano», era dominato da politici di chiara fede nazionale italiana: Luigi Ziliotto11, Roberto Ghiglianovich12, Ercolano Salvi13, Luigi Pini14 e Natale Krekich15. 10 A proposito della figura di Antonio Bajamonti: MONZALI, Dalmati o Italiani? Appunti su Antonio Bajamonti e il liberalismo autonomista a Spalato nell’Ottocento, cit.; GRGA NOVAK, Povijest Splita, Split, 1957-1965, terzo volume; DUS#KO KEC#KEMET, “Associazione dalmatica” i pad Ante Bajamontja, in AUTORI VARI, Hrvatski Narodni Preporod u Splitu. U povodu stogodis#njice ponarodjenja splitske opc!ine 1882. Presudne pobjede narodnjaka nad autonomas#ima u Dalmaciji, Split, 1984, p. 75 e ss.; ID., La Fontana di Spalato, «Atti e Memorie della società dalmata di storia patria», Roma, vol. XIX, 1996, pp. 199-263; ID., Hrvatski Narodni Preporod u Splitu. Zbivanja i Likovi, Split, 1999; OSCAR RANDI, Antonio Bajamonti, «Archivio storico per la Dalmazia», 1928, f. 24, p. 263 e ss.; ID., Antonio Bajamonti, il “mirabile” podestà di Spalato, Zara, 1932; CORRADO CAMIZZI, Il dibattito sull’annessione della Dalmazia alla Croazia, «La Rivista dalmatica», 1973, nn. 2 e 3, pp. 125 e ss., p. 225 e ss. 11 Circa l’importante personalità di Luigi Ziliotto: NATALE KREKICH, L’opera amministrativa e politica di Luigi Ziliotto, «La Rivista Dalmatica», 1932, nn. 1-2, p. 43 e ss.; ILDEBRANDO TACCONI, Luigi Ziliotto patriota e irredentista, in ID., Per la Dalmazia con amore e con angoscia. Tutti gli scritti editi ed inediti di Ildebrando Tacconi, Udine, 1994, p. 283 e ss.; GIANCARLO SOPPELSA, Luigi Ziliotto, in FRANCESCO SEMI, VANNI TACCONI, Istria e Dalmazia. Uomini e tempi, Udine, s.d., II, p. 479 e ss.; GIUSEPPE ZILIOTTO, Luigi Ziliotto e i suoi tempi, «La Rivista Dalmatica», 1964, nn. 3 e 4, pp. 3-25, pp. 19-45, 1965, n. 1, pp. 740; OSCAR RANDI, L’attività di Luigi Ziliotto alla Conferenza di Parigi, «La Rivista Dalmatica», 1932, estratto. 12 Sulla figura di Roberto Ghiglianovich: LUCIANO MONZALI, Un contributo alla storia degli italiani di Dalmazia. Le carte Ghiglianovich, «La Rivista Dalmatica», 1997, n. 3, p. 192 e ss.; ID., La Dalmazia e la questione jugoslava negli scritti di Roberto Ghiglianovich durante la prima guerra mondiale, «Clio», 1998, n. 3, p. 429 e ss.; OSCAR RANDI, Il senatore Roberto Ghiglianovich. Profilo aneddotico, «La Rivista Dalmatica», 1930, pp. 3-27; ID., Il Sen. Roberto Ghiglianovich. Mezzo secolo di storia dalmata, «La Rivista Dalmatica», 1963, 1965, 1966, 1967, 1968, 1979, 1981, 1982, 1983, 1984, 1986, 1991. 13 ILDEBRANDO TACCONI, Ercolano Salvi a Spalato, in ID., Per la Dalmazia, cit., p. 274 e ss.; ID., A dieci anni dalla morte di Ercolano Salvi, in ID., Per la Dalmazia, cit., p. 272 e ss.; OSCAR RANDI, Dalla guerra a Rapallo, «La Rivista Dalmatica», 1931, n. 3, pp. 18-26; NATALE KREKICH, L’opera di Ercolano Salvi nella Dieta di Dalmazia, ivi, pp. 27-48. 14 MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., p. 172 e ss. 15 ILDEBRANDO TACCONI, Natale Krekich, in Istria e Dalmazia, cit., II, p. 475 e ss.; GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 5 Dalla fine dell’Ottocento forza minoritaria di fronte ai partiti croati e serbi, il partito autonomo-italiano perseguì una strategia politica complessa ed ambigua. Gli autonomisti italiani, innanzitutto, si batterono per la difesa dei diritti nazionali linguistici e culturali dei dalmati italiani. Al fine di raccogliere fondi e finanziamenti per aprire scuole private italiane e svolgere attività politica in competizione con partiti assai più forti, i dalmati italiani intrecciarono stretti rapporti con il governo di Roma negli anni Novanta. L’Italia finanziò il partito autonomo-italiano attraverso la società Dante Alighieri, strumento informale per intervenire nella vita politica delle regioni austriache abitate da popolazioni italiane16. All’inizio del Novecento il partito autonomo-italiano perseguiva sostanzialmente una politica di difesa culturale e nazionale, mirando soprattutto a difendere i diritti dell’italianità autoctona, astenendosi dal sostenere apertamente progetti separatisti ritenuti irrealistici. Non a caso gli italiani di Dalmazia cercarono di sfruttare la paura asburgica dell’espansionismo serbo: coltivarono stretti rapporti con le autorità politiche austro-ungariche offrendosi come alleati nella lotta contro l’inquieto nazionalismo iugoslavo dalmata, dominato da forti correnti serbofile17. Grazie a questo oscillare fra Roma e Vienna i liberali italiani dalmati conservarono il controllo del Comune di Zara e si garantirono un atteggiamento delle autorità asburgiche assai più conciliante e amichevole nei loro riguardi di quello che il governo austriaco riservò ai partiti italiani di Trieste e dell’Istria. Contemporaneamente gli autonomi italiani cercarono di raggiungere un compromesso politico e nazionale con i partiti croati e serbi dominanti nella provincia, al fine di garantire alla minoranza italiana alcuni diritti linguistici e culturali. Ma questi tentativi ebbero scarso successo, scontrandosi con le resistenze e la contrarietà di molti militanti dei partiti nazionalisti croati e serbi, ostili al rafforzamento dell’italianità dalmatica per non favorire gruppi ostili ai diritti nazionali pancroati o iugoslavi18. Alla vigilia della prima guerra mondiale importanti nuclei italiani MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., p. 174. 16 BEATRICE PISA, Nazione e politica nella società “Dante Alighieri”, Roma, 1995; ID., Ernesto Nathan e la “politica nazionale”, «Rassegna storica del Risorgimento», 1997, n. 1, p. 17 e ss.; MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., p. 165 e ss.; ALESSANDRO LEVI, Ricordi della vita e dei tempi di Ernesto Nathan, Firenze, 1945. 17 MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., p. 178 e ss. 18 MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., p. 216 e ss.; TEREZA GANZA-ARAS, Politika “Novog Kursa” dalmatinskih pravas#a oko Supila i Trumbic!a, Split, 1992. 6 LUCIANO MONZALI erano presenti in tutti i principali centri cittadini della Dalmazia. Un’analisi dell’approssimativa consistenza della presenza italiana in Dalmazia è possibile grazie alla lettura del censimento austro-ungarico del 191019. I limiti e i difetti dei censimenti austro-ungarici sono ben noti: poiché la raccolta dei dati del censimento era un importante momento di lotta politica in uno Stato dominato da forti rivalità nazionali, essa veniva compiuta dalle varie autorità statali e comunali periferiche in modo spesso fazioso e strumentale, favorendo una nazionalità a scapito di altre: in Dalmazia, provincia dominata dai partiti croati e serbi, le autorità comunali e provinciali si adoperavano in tutti i modi per favorire una sottovalutazione numerica dell’elemento italiano. In ogni caso, nonostante la sua parziale attendibilità, il censimento del 1910 ci aiuta a delineare un quadro della presenza italiana in Dalmazia prima della guerra mondiale. Il nucleo italiano più consistente era concentrato nel capitanato (Bezirk) di Zara, dove, secondo i dati ufficiali, vi erano 11.768 italiani di fronte a 70.838 serbi e croati: gli italiani erano la nazionalità maggioritaria nel centro urbano di Zara, mentre il contado era massicciamente croato e serbo. L’altra zona ad alta concentrazione italiana era la città di Spalato, nel cui capitanato venivano dichiarati presenti 2.357 italiani (concentrati nel capoluogo) insieme a 95.869 croati e serbi. Consistenti comunità italiane vi erano poi nelle isole dalmate: 444 italiani a Curzola/Korc#ula, 265 a Brazza/Brac#, 586 a Lesina/Hvar, 149 ad Arbe/Rab, presenti nei principali centri urbani (Curzola, Arbe, San Pietro/Supetar, Neresi/ Nerez#is#c!a, Lesina e Cittavecchia/Starigrad). Altri nuclei italiani non privi d’importanza esistevano nei capitanati di Sebenico (968), Ragusa/ Dubrovnik (526) e Cattaro/Kotor (538), sempre concentrati nelle città20. Importanti comunità italiane erano presenti a Veglia/Krk, Cherso/ Cres e Lussino/Los#inj, geograficamente isole dalmate, ma sul piano amministrativo appartenenti all’Istria asburgica. In queste isole, assai 19 Al riguardo: DIEGO DE CASTRO, Cenno storico sul rapporto etnico tra italiani e slavi nella Dalmazia, in Studi in memoria della prof. Paola Maria Arcari, Milano, 1978, p. 261 e ss., in particolare p. 290; GIOTTO DAINELLI, La Dalmazia. Cenni geografici e statistici, Novara, 1918, p. 46 e ss.; GUERRINO PERSELLI, I censimenti della popolazione dell’Istria, con Fiume e Trieste, e di alcune città della Dalmazia tra il 1850 e il 1936, Trieste-Rovigno, 1993, p. 451 e ss.; OLINTO MILETA MATTIUZ, Popolazioni dell’Istria, Fiume, Zara e Dalmazia (1850-2002). Ipotesi di quantificazione demografica, Trieste, 2006. Una presentazione grafica dei dati del censimento austriaco del 1910 nella cartina acclusa al volume Die Habsburgermonarchie 1848-1918, cit., vol. III, tomo 2. 20 PERSELLI, op. cit., p. 451 e ss. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 7 vicine all’Istria e all’Italia, la consistenza dell’elemento italiano si era mantenuta molto forte e compatta, soprattutto nei principali centri urbani a netta maggioranza italiana, anche grazie al fatto che l’appartenenza amministrativa all’Istria, dominata dal partito liberale italiano, aveva garantito un certo favore da parte delle autorità provinciali e locali. Nel capitanato di Lussino e Cherso il censimento del 1910 segnalava la presenza di 9.883 italiani e di 9.998 croati, mentre in quello di Veglia vi erano 19.553 croati e 1.543 italiani, questi ultimi in grande maggioranza concentrati nella cittadina di Veglia21. Fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in queste isole si era sviluppato un forte movimento nazionalista pancroato, guidato spesso dal clero cattolico e che raccoglieva consensi nelle campagne, dove tendeva a prevalere la popolazione di lingua croata22. In una situazione di sempre più aspre lotte nazionali, negli anni precedenti allo scoppio della prima guerra mondiale il governo austriaco era parso a molti dalmati italiani un benigno protettore contro le tendenze assimilatrici dei nazionalismi iugoslavi. In Dalmazia, l’Austria, spaventata dal sorgere di un nazionalismo croato iugoslavo e filoserbo nei ceti intellettuali e borghesi, non perseguiva più una politica anti-italiana e vedeva con favore la sopravvivenza di un partito italiano23. Ciò spiega la presenza di tendenze filo-asburgiche nel partito autonomo-italiano e, scoppiata la guerra austro-serba nel luglio 1914, il favore di molti dalmati italiani all’ipotesi di un’alleanza bellica italoasburgica contro la Serbia che, alcuni speravano, avrebbe portato al rafforzamento dell’elemento italiano in Dalmazia24. Fra il 1914 e il 1915 il deteriorarsi dei rapporti fra Roma e Vienna, a causa dell’impossibilità di raggiungere un accordo soddisfacente sull’eventualità della neutralità italiana, e la conseguente evoluzione anti-asburgica della politica estera dell’Italia, facilitarono il prevalere della tendenza irredentistica anti-austriaca in seno ai dalmati italiani. Informati sulle 21 GAETANO SALVEMINI, CARLO MARANELLI, La questione dell’Adriatico, in GAETANO SALVEMINI, Dalla guerra mondiale alla dittatura (1916-1925), Milano, 1964, p. 295. 22 Sulle vicende storiche delle comunità italiane di queste isole: LUCA RICCARDI, Francesco Salata tra storia, politica e diplomazia, Udine, 2001; ANNA MARIA FIORENTIN, Veglia la “splendidissima civitas curictarum”, Pisa, 2004. 23 SCHÖDL, Kroatische Nationalpolitik und “Jugoslavenstvo”, cit.; TEREZA GANZA ARAS, Dalmacija u Austro-ugarskoj i unutras#njoj politici poc#etkom XX stoljeca, «Radovi Instituta Jugoslavenske Akademije znanosti i umjetnosti u Zadru», 1981, nn. 27-28, pp. 309-342. 24 MONZALI, Un contributo alla storia degli italiani di Dalmazia, cit., p. 202 e ss.; ID., Italiani di Dalmazia, cit., p. 311 e ss. 8 LUCIANO MONZALI intenzioni del governo di Roma di puntare al conflitto militare contro Vienna al fine di conquistare la Venezia Giulia e parte della Dalmazia, nel 1915 i capi del partito autonomo-italiano decisero d’inviare in Italia Roberto Ghiglianovich, deputato nella Dieta provinciale dalmata, a rappresentare gli interessi e le tesi della minoranza. Per non scoprire anticipatamente le proprie intenzioni e per cautelarsi contro l’eventualità di una sconfitta dell’Italia, gli altri principali capi del partito autonomo-italiano, in primis Luigi Ziliotto, podestà di Zara, rimasero in Austria-Ungheria, pronti a svolgere una politica di formale ed ambiguo lealismo verso lo Stato asburgico. Iniziata la guerra italo-austriaca Ziliotto e l’amministrazione comunale autonomista-italiana di Zara dichiararono la loro fedeltà alla dinastia asburgica. Ziliotto rimase in carica per vari mesi, grazie anche alla benevolenza del governatore della Dalmazia Attems. Il sotterfugio dei capi italiani, però, fu ben presto smascherato. Informato dell’attività irredentistica svolta da Ghiglianovich in Italia e raccolta una documentazione compromettente sui passati rapporti fra l’Italia e i capi autonomo-italiani, il governo di Vienna destituì Ziliotto e sciolse l’amministrazione del Comune di Zara nel maggio 1916. Alcuni capi ed esponenti del partito autonomo-italiano furono vittime di misure di rigore da parte delle autorità statali asburgiche: furono inviati al confino lontani dalla Dalmazia Krekich, Ziliotto, Ljubo/Amato Talpo, Gaetano Feoli, Leonardo Pezzoli e Giuseppe Savo; furono rinchiusi in campi d’internamento Ercolano Salvi e Giovanni de Serragli25. Sempre in quei mesi, fra il 1915 e il 1916, analoghe misure repressive furono prese contro gli esponenti politici filoserbi e iugoslavi, accusati di simpatia per la Serbia, ad esempio, Ivan Krstelj, ex podestà di Sebenico, Matteo/Mate Drinkovic!, Lujo Vojnovic!, Josip Smodlaka26. Lo scoppio della guerra contro l’Italia e lo scioglimento dell’amministrazione comunale italiana di Zara facilitarono il risorgere di disegni unionistici fra la Dalmazia, la Bosnia e la Croazia in chiave pancroata. L’opinione pubblica croata favorevole agli Asburgo o a un’entità statuale croata separata dalla Serbia domandava la creazione di una grande Croazia al25 D’ALIA, op. cit., pp. 144-147; DE BENVENUTI, op. cit., p. 163. Sulla situazione politica interna all’Impero asburgico nel corso della prima guerra mondiale: ARTHUR J. MAY, The Passing of the Hapsburg Monarchy 1914-1918, Philadelphia, 1966, due volumi. 26 Al riguardo: AM, archivio di base, c. 1414, Ferruzzi all’Ufficio del capo di stato maggiore della Marina, senza data ma 1919; Lupis-Vukic! a Seton-Watson, 5 agosto 1914, in R. W. Seton-Watson and the Yugoslavs. Correspondence 1906-1941, London-Zagreb, 1976, I, d. 107. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 9 l’interno dell’Austria-Ungheria. Pure esponenti militari asburgici come il generale Stefan Sarkotic!, governatore della Bosnia, e gli amministratori della Serbia e del Montenegro occupati chiedevano al governo di Vienna l’istituzione di una grande Croazia, comprendente la Croazia, la Dalmazia e la Bosnia, ritenuta possibile soluzione per contrastatare le tendenze secessioniste e filoserbe27. Ma ogni progetto di unificazione croata e di riorganizzazione dell’Impero asburgico si scontrò con l’irriducibile opposizione ungherese, non disposta ad accettare la creazione di un’entità statale croata che distruggesse il sistema istituzionale dualista fondato sull’egemonia austro-tedesca e magiara28. Nei mesi precedenti allo scoppio del conflitto italo-asburgico alcune decine di dalmati di sentimenti italiani, animati dal sogno dell’unione alla Nazione madre, fuggirono in Italia. Molti di questi (Lorenzo Gilardi, Ferruccio Ferruzzi, Antonio Difnico, Antonio de Nakich, Gustavo Poduje, Edmondo de Hoeberth, Nicolò Luxardo) si sarebbero arruolati nell’esercito italiano o avrebbero collaborato all’attività politica e militare dello Stato italiano29. Fra gli esuli dalmati italiani fuggiti nella Penisola durante la prima guerra mondiale bisogna ricordare, per la loro rilevanza nelle vicende politiche successive, Roberto Ghiglianovich, l’avvocato zaratino Ludovico Milcovich, esponente della tendenza liberaldemocratica del partito autonomo-italiano, i giornalisti nazionalisti Silvio Delich e Alessandro Dudan, il poeta e scrittore Antonio Cippico. Altra figura interessante è quella del giovane avvocato zaratino Antonio Bucevich che, volontario in guerra, grazie alla sua conoscenza delle lingue fu inviato dalla Marina in Svizzera a collaborare con il servizio informazioni italiano per spiare l’azione degli emissari asburgici e iugoslavi nel paese alpino30. Nella mitologia dell’irredentismo italiano dalmata particolare rilevanza avrebbe assunto la figura di Francesco Rismondo, giovane spalatino, che, caduto nelle mani dell’esercito asburgico, fu fucilato31. La scelta irredentista dei vertici del partito autonomo-italiano dalmata, a nostro avviso, fu provocata dall’evoluzione dei rapporti italo27 MAY, op. cit., II, p. 708 e ss. MAY, op. cit., II, p. 711. 29 Un elenco dei volontari dalmati arruolatisi nell’esercito italiano in D’ALIA, op. cit., p. 170 e ss.; Sulle vicende di uno di questi volontari, Nicolò Luxardo: NICOLÒ LUXARDO DE FRANCHI, I Luxardo del Maraschino, Gorizia, 2004, p. 91 e ss. 30 OSCAR RANDI, Antonio Bucevich, irredentista, volontario di guerra, diplomatico, «La Rivista Dalmatica», 1931, n. 4, pp. 3-12. 31 D’ALIA, op. cit., p. 176. 28 10 LUCIANO MONZALI austriaci e dalle decisioni del governo di Roma. È interessante notare che la documentazione diplomatica edita mostra che la minoranza italiana non fu in grado d’influire sul processo decisionale in seno al governo di Roma32. I progetti territoriali italiani, che confluirono poi in gran parte nel patto di Londra, furono elaborati dal governo in modo autonomo33. L’inserimento nel patto di Londra della rivendicazione della Dalmazia settentrionale (Zara, Sebenico e i loro retroterra fino alle Alpi Dinariche) e della gran parte delle isole dalmate rispose a due esigenze della politica estera dell’Italia: fu certamente motivata dall’esigenza di una tutela dei diritti nazionali della minoranza italiana, ma l’elemento fondamentale fu la convinzione del governo di Roma che per assicurare la sicurezza strategica e l’egemonia militare dell’Italia nel Mar Adriatico fosse indispensabile controllare parte della costa e delle isole della Dalmazia. La prevalenza dell’impostazione strategico-militare nel patto di Londra fu confermata dalla mancata rivendicazione di Fiume/Rijeka e delle isole di Arbe e Veglia e dalla rinuncia a chiedere il possesso di Spalato, dove era concentrato il secondo maggior nucleo italiano dopo Zara, di fronte alle resistenze russe nel corso del negoziato diplomatico34. Altro aspetto da sottolineare era il carattere volutamente massimalistico delle rivendicazioni dal32 Documenti diplomatici italiani (d’ora innanzi DDI), Roma, 1952 e ss., serie V, volumi 1, 2, 3; SIDNEY SONNINO, Carteggio 1914-1916, Roma-Bari, 1974; ID., Carteggio 19161922, Roma-Bari, 1975. 33 Sulla genesi del patto di Londra: MARIO TOSCANO, Il patto di Londra. Storia diplomatica dell’intervento italiano (1914-1915), Bologna, 1934; ID., La Serbia e l’intervento in guerra dell’Italia, Milano, 1939; ID., Rivelazioni e nuovi documenti sul negoziato di Londra per l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale, «Nuova Antologia», agosto 1965, pp. 433-457, settembre 1965, pp. 15-37, ottobre 1965, pp. 150-157, novembre 1965, pp. 295312; ID., Il negoziato di Londra del 1915, «Nuova Antologia», novembre 1967, pp. 295-326; ID., L’Intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale. Le carte Imperiali e la preparazione del negoziato, «Nuova Antologia», 1968, pp. 303-323, 461-473; ID., Imperiali e il negoziato per il patto di Londra, «Storia e Politica», f. 2, 1968, pp. 177-205; ID., Il libro verde del 1915, «Clio», n. 2, pp. 157-229; H. JAMES BURGWYN, The Legend of the Mutilated Victory. Italy, the Great War and the Paris Conference 1915-1919, Westport, 1993, p. 16 e ss.; MICHAEL BORO PETROVICH, The Italo-Yugoslav Boundary Question 1914-1915, in AUTORI VARI, Russian Diplomacy and Eastern Europe 1914-1917, New York, 1963, p. 178 e ss.; W.W. GOTTLIEB, Studies in Secret Diplomacy during the First World War, London, 1957, pp. 135-401; PIETRO PASTORELLI, Dalla prima alla seconda guerra mondiale. Momenti e problemi della politica estera italiana 1914-1943, Milano, 1997, p. 15 e ss.; WILLIAM A. RENZI, In the Shadow of the Sword: Italy’s Neutrality and Entrance into the Great War 1914-1915, New York, 1987; LEO VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, Milano, 1985, p. 85 e ss. 34 Sul contrasto italo-russo sulla Dalmazia molto materiale documentario in: IB, II, 7, tomi 1 e 2; LN, 3, p. 77 e ss.; L’Intervento dell’Italia nei documenti segreti dell’Intesa, Roma, 1923; DDI, V, 3; SIDNEY SONNINO, Diario 1914-1916, Bari, 1972, p. 118 e ss. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 11 matiche contenute nel patto di Londra. Obiettivo primario di Sonnino e Salandra era stato assicurarsi il riconoscimento alleato di un ampio programma di conquiste. Si era consapevoli che la futura pace avrebbe potuto prevedere condizioni politiche diverse e meno favorevoli: ma, per il governo italiano, era importante garantirsi in sede di Conferenza della pace una posizione negoziale forte, sostenuta da accordi internazionali che tutelassero al massimo l’Italia, proprio nell’eventualità di dovere aprire un negoziato fondato su rinunce, compensazioni o scambi territoriali35. Sin dal 1914 la questione adriatica assunse anche il carattere di dibattito politico interno italiano, dominato da aspre polemiche di stampa. L’impostazione del governo di Roma di fronte alla questione dalmatica raccolse vasti consensi non solo fra i nazionalisti36 ma anche nell’opinione pubblica liberale e democratica interventista italiana. A favore dell’annessione di parte della Dalmazia si mobilitarono numerose associazioni, fra le quali vanno ricordate la Dante Alighieri, punto di coagulo delle varie anime del liberalismo italiano37, la Massoneria, al cui interno aveva grande influenza il liberale Ernesto Nathan, da molti anni grande amico dei dalmati38, e la Pro Dalmazia Italiana, fondata nel febbraio 1915 e presieduta dal radicale Colonna di Cesarò, con la partecipazione di Tomaso Sillani, Enrico Corradini, Virginio Gayda, Luigi Federzoni e Giovanni Amendola39. La posizione della Dante Alighieri sulle future rivendicazioni italiane fu espressa chiaramente da una lettera del suo presidente, Boselli, a Sidney Sonnino il 14 aprile 1916. In tale missiva Boselli mostrò di non ritenere pienamente soddisfacente l’assetto adriatico previsto dal patto di Londra: infatti volle esprimere al ministro degli Esteri i voti di molti irredenti italiani affinché «quando sia giunta l’ora delle decisioni, venga evitato, ad essi il dolore e all’Italia il danno, di concessioni di città, quali ad esempio Fiume e Spalato, e d’isole come Veglia, che in mani stra35 MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., p. 275 e ss. A proposito delle posizioni politiche del nazionalismo prima e durante la guerra: ADRIANO ROCCUCCI, Roma capitale del nazionalismo (1908-1923), Roma, 2001; FRANCESCO PERFETTI, Il nazionalismo italiano dalle origini alla fusione col fascismo, Bologna, 1977; ID., Il movimento nazionalista in Italia (1903-1914), Roma, 1984; FRANCO GAETA, Il nazionalismo italiano, Roma-Bari, 1981. 37 PISA, Nazione e politica nella Società “Dante Alighieri”, cit. 38 LEVI, op. cit.; PISA, Ernesto Nathan, cit. 39 Al riguardo: ASMAE, ARC POL 1915-1918, b. 70, Ministero degli Interni a Ministero degli Esteri, 8 marzo 1915; ROCCUCCI, Roma capitale del nazionalismo, cit., p. 318; GIORGIO PITACCO, La passione adriatica nei ricordi di un irredento, Bologna, 1928, p. 51 e ss. 36 12 LUCIANO MONZALI niere, prima o poi, diverrebbero fatalmente potente arme d’offesa contro di noi»40. Il patto di Londra appariva a molti liberali, come ad esempio i capi della Dante Alighieri e lo stesso Nathan, un compromesso territoriale non pienamente soddisfacente e da migliorarsi se le vicende della guerra avessero reso ciò possibile41. In seno all’opinione pubblica italiana, tuttavia, si manifestarono anche visioni alternative della questione adriatica e posizioni critiche verso alcuni aspetti della politica del governo Salandra-Sonnino e rispetto alle tesi espansionistiche di molti esponenti liberali e nazionalisti. Politici ed intellettuali come Leonida Bissolati, Giuseppe Prezzolini, Gaetano Salvemini, Pietro Silva e Luigi Albertini, condividevano gli obiettivi finali della politica estera del governo di Roma ma ritenevano sbagliato il modo concepito per raggiungerli. L’egemonia italiana nell’Adriatico era ritenuta indispensabile anche dai cosiddetti “interventisti democratici”; ma per conquistarla essi pensavano che non fosse necessario il controllo della Dalmazia continentale42. La netta maggioranza croata e serba fra gli abitanti della Dalmazia sconsigliava l’annessione di vaste porzioni della terraferma dalmata. Ragioni di opportunità politica, poi, rendevano utile la ricerca di un’intesa amichevole con i serbi e i croati. Gaetano Salvemini fu uno dei sostenitori più decisi e brillanti della necessità di non annettere la Dalmazia continentale all’Italia43. La netta preponderanza nazionale croata e serba in tale regione rischiava di trasformarla in una colonia slava dell’Italia. Lo scrittore pugliese riconosceva come giusta l’esigenza di un confine non etnico e vantaggioso strate- 40 DA, f. 1916, B 13, Boselli a Sonnino, 14 aprile 1916. PISA, Ernesto Nathan e la “politica nazionale”, cit. 42 Per un’analisi del cosiddetto “interventismo democratico” rimandiamo a: VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit.; OTTAVIO BARIÉ, Luigi Albertini, Torino, 1972, p. 323 e ss.; LUCIANO MONZALI, Introduzione, in LUIGI ALBERTINI, I giorni di un liberale. Diari 19071923, Bologna, 1999, p. 155 e ss.; LUCA MICHELETTA, Pietro Silva storico delle relazioni internazionali, «Clio», 1994, n. 3, p. 497 e ss.; ANGELO TAMBORRA, L’idea di nazionalità e la guerra 1914-1918, in Atti del XLI Congresso di storia del Risorgimento italiano, Trento, 913 ottobre 1963, Roma, 1965, estratto; ROBERTO VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo. L’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma, Bologna, Il Mulino, 1991, I, p. 179 e ss. 43 A proposito delle posizioni di Salvemini sulla questione adriatica: SALVEMINI, MARANELLI, La questione dell’Adriatico, Firenze, 1918, riedito in SALVEMINI, Dalla guerra mondiale alla dittatura (1916-1925), cit.; ELIO APIH, Gaetano Salvemini e il problema adriatico, in AUTORI VARI, L’imperialismo italiano e la Jugoslavia, Urbino, 1981, pp. 85-127. Molto interessanti sono i carteggi di Salvemini: GAETANO SALVEMINI, Carteggio 1914-1920, Bari, 1984, in particolare Salvemini a Ojetti, 6 aprile 1916, d. 257; ivi, Salvemini a Silva, 4 ottobre 1916, d. 286; ivi, Salvemini a Silva, 21 agosto 1917, d. 326. 41 GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 13 gicamente per l’Italia in Venezia Giulia e nel Mare Adriatico: ma a tal fine era sufficiente assicurarsi il controllo delle Alpi Giulie, di Pola e di alcune isole dalmate. Le minoranze nazionali italiane sarebbero state tutelate attraverso garanzie internazionali e una forte autonomia per Fiume e Zara in seno allo Stato iugoslavo. Secondo Giuseppe Prezzolini, autore di uno dei principali scritti dei critici della politica dalmatica di Sonnino, base di un accordo territoriale con gli iugoslavi doveva essere l’annessione all’Italia della Venezia Giulia, della città di Zara e di qualche isola dalmata e la concessione del resto della Dalmazia al futuro Stato iugoslavo44. La tutela della minoranza italiana nella Dalmazia iugoslava poteva essere garantita attraverso specifici accordi di tutela. Per Pietro Silva, allievo e seguace di Gaetano Salvemini, era interesse italiano favorire la creazione di una Iugoslavia unitaria in funzione anti-asburgica e anti-germanica. A tal fine bisognava riscoprire la lezione politica di Mazzini, fare dell’Italia la potenza protettrice delle nazioni dell’Europa centrale e raggiungere un compromesso territoriale con gli iugoslavi: Silva riteneva che l’Italia dovesse accontentarsi della Venezia Giulia e di alcune isole dalmate e chiedere la costituzione di Fiume e Zara come città libere, lasciando il resto della Dalmazia al futuro Stato iugoslavo45. Il maggiore rappresentante politico dell’interventismo “democratico” fu il socialista liberale e riformista Leonida Bissolati, ministro nei governi Boselli e Orlando. Per il politico lombardo, l’Italia doveva intervenire nel conflitto mondiale per completare la propria unità nazionale e farsi protettrice dei diritti nazionali dei popoli balcanici: Ma per condurre efficacemente la sua nuova politica balcanica occorre altresì che l’Italia appaia agli occhi dei popoli balcanici rivendicatrice sincera e disinteressata del principio di nazionalità. Ora, questo non può essere, sicché essa accampa la pretesa di occupare in ipotesi la costa dalmata continentale popolata in enorme maggioranza di slavi46. L’annessione della Dalmazia, poi, avrebbe rischiato di creare un irredentismo slavo in seno ai territori italiani, indebolendo l’Italia come 44 GIUSEPPE PREZZOLINI, La Dalmazia, Firenze, 1915, p. 65. PIETRO SILVA, I problemi fatali agli Asburgo. Il problema czecoslovacco. Il problema jugoslavo, Milano, 1918, pp. 62-64. 46 LEONIDA BISSOLATI, L’Italia e gli Stati balcanici, «Il Secolo», 14 novembre 1914, edito in LEONIDA BISSOLATI, La politica estera dell’Italia dal 1897 al 1920, Milano, 1923, pp. 332-335. 45 14 LUCIANO MONZALI i vari irredentismi nazionali avevano indebolito l’Impero asburgico47. Il governo italiano mostrò di non gradire le critiche alla sua politica adriatica che giunsero da alcuni settori della sinistra interventista e cercò di difendere la legittimità del proprio programma territoriale dalmatico sostenendo l’azione pubblicistica di molti esponenti del nazionalismo italiano e dell’irredentismo adriatico48. Giacomo De Martino, segretario generale della Consulta, riteneva importante che si svolgesse in Italia e all’estero un’intensa azione di propaganda a favore delle rivendicazioni adriatiche e a tal fine sollecitò la collaborazione di molti esuli italiani provenienti dall’Austria. Bisognava dimostrare e difendere i diritti italiani sulla Dalmazia e nessuno meglio dei dalmati stessi poteva fare ciò. Molti esuli giuliani, fiumani e dalmati s’impegnarono in una febbrile attività pubblicistica e propagandistica a difesa dei diritti degli italiani adriatici e del programma di rivendicazioni dell’Italia, sostenuti dal governo di Roma e dalla Dante Alighieri49. Fra il 1915 e il 1918 Roberto Ghiglianovich fu considerato dal governo il massimo rappresentante politico degli italiani dalmati50. Nell’autunno 1915 fu nominato tenente di complemento e usato dal Ministero della Marina come consulente sulla questione dalmatica, risiedendo per la maggior parte del tempo a Roma51. S’impegnò in una difficile ed intensa attività pubblicistica e politica al fine di sensibilizzare il governo e l’opinione pubblica sugli interessi degli italiani di Dalmazia. La società Dante Alighieri, della quale era stato fiduciario per la regione dalmata dalla fine dell’Ottocento, lo incaricò di organizzare l’attività di propaganda a favore dell’annessione italiana della Dalmazia. In questa azione di propaganda dalmatica Ghiglianovich fu affiancato e sostenuto da alcuni esuli dalmati e giuliani: Silvio Delich, giornalista zaratino de «L’Idea Nazionale», Giorgio de Nakich, Enrico 47 Ibidem. Sul pensiero politico di Bissolati circa la questione adriatica: IVANOE BONOMI, Leonida Bissolati e il movimento socialista in Italia, Roma, 1945, p. 143 e ss.; RAFFAELE COLAPIETRA, Leonida Bissolati, Milano, 1958. 48 Sul problema della propaganda italiana nel corso della prima guerra mondiale: LUCIANO TOSI, La propaganda italiana all’estero nella prima guerra mondiale. Rivendicazioni territoriali e politica delle nazionalità, Udine, 1977. 49 Al riguardo: LUCIANO MONZALI, Tra irredentismo e fascismo. Attilio Tamaro storico e politico, «Clio», 1997, n. 2, p. 284 e ss.; RENATO MONTELEONE, La politica dei fuoriusciti irredenti nella guerra mondiale, Udine, 1972; RICCARDI, Francesco Salata, cit. 50 Sui contatti fra Ghiglianovich e Ministero degli Esteri: ACS, Carte Sonnino/De Morsier, b. 1, Ghiglianovich a De Morsier, 28 novembre 1915 e 1° febbraio 1916. 51 A proposito della collaborazione fra la Marina e Ghiglianovich: AM, archivio di base, c. 3138, Thaon di Revel a Orlando, marzo 1919. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 15 Pezzoli, Roberto Ferruzzi, Antonio e Giovanni Difnico. Un ruolo importante nell’azione di propaganda dalmatica in Italia meridionale lo svolse il prof. Angelo Bertolini, originario di Zara ma residente da molti anni a Bari. Fra questi propagandisti irredentisti, comunque, meritano di essere ricordati in particolare modo Alessandro Dudan, Antonio Cippico e Attilio Tamaro. Alessandro Dudan52, originario di Spalato, dopo essersi laureato all’Università di Vienna all’inizio del secolo, era stato il corrispondente della «Tribuna» di Roma da Vienna per vari anni. Bilingue italo-croato e poliglotta, negli anni precedenti al 1914, pur lontano dalla Dalmazia ed estraneo alle lotte nazionali in patria, Dudan si era dedicato ad un’intensa attività pubblicistica rivolta al pubblico italiano incentrata soprattutto sulla descrizione della vita politica dell’Impero asburgico. Scoppiata la guerra, si era rifugiato in Italia e, ben introdotto negli ambienti giornalistici romani di tendenza nazionalistica e affiliato alla Massoneria di Palazzo Giustiniani, era entrato in contatto con Giacomo De Martino e la Dante Alighieri che lo coinvolsero in varie iniziative di propaganda in Italia e all’estero53. Dotato di una vasta cultura storico-politica e artistica, Dudan divenne ben presto uno dei principali pubblicisti italiani su argomenti dalmatici54. Antonio Cippico55, invece, era nativo di Zara, appartenente ad un’antica famiglia nobiliare originaria di Traù e imparentato per via materna ai Salghetti Drioli, imprenditori e proprietari terrieri zaratini. Come consuetudine per i dalmati più abbienti, aveva compiuto i suoi studi universitari a Vienna dove aveva vissuto per alcuni anni, per 52 Su Alessandro Dudan: CARLO CETTEO CIPRIANI, I libri di Alessandro Dudan nella Fondazione Cini di Venezia (con una biografia di A. Dudan), Roma, 2004, pp. 7-22; ILDEBRANDO TACCONI, Alessandro Dudan, in Istria e Dalmazia, cit., II, pp. 525-529; ALBERTINA VITTORIA, Alessandro Dudan, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, 1992, XLI, pp. 766-770; ANTONIO TACCONI, In memoria di Alessandro Dudan, «La Rivista Dalmatica», 1958, n. 4, pp. 25-27; MANLIO CACE, Alessandro Dudan e la lotta per la università italiana a Trieste, ivi, pp. 31-34. 53 Sull’attività politica di Dudan nel corso della guerra: ACS, Carte Sonnino/De Morsier, b. 1, Dudan a De Morsier, 7 gennaio 1916. 54 Ricordiamo solo fra i suoi scritti: ALESSANDRO DUDAN, La Monarchia degli Asburgo. Origini, grandezza e decadenza. Con documenti inediti, Roma, 1915, due volumi; ID., Dalmazia e Italia, Milano, 1915; ID., La Dalmazia è terra d’Italia, Roma, 1919; ID., La Dalmazia nell’arte italiana. Venti secoli di civiltà, Trieste, 1999 (prima edizione 1922), due volumi. 55 SERGIO CELLA, Antonio Cippico, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, 1981, XXV, pp. 732-735; FRANCESCO SEMI, Antonio Cippico, in Istria e Dalmazia, cit., II, pp. 517518. Antonio Cippico era cugino di Ivo Cippico/?ipiko, famoso romanziere dalmata serbofilo: SLOBODAN PROSPEROV NOVAK, Povijest hrvatske knjiz#evnosti, Split, 2004, II, pp. 143-144. 16 LUCIANO MONZALI poi trasferirsi a Londra come insegnante di lingua e letteratura italiana in un’università locale. Letterato e poeta, per molti anni estraneo ad ogni forma d’impegno politico, Cippico si lanciò nella lotta irredentista solo nel 1914. Presente in Italia al momento dello scoppio della guerra austro-serba, Cippico decise di farsi pubblico difensore della causa dei dalmati italiani: fra la fine del 1914 e l’inizio del 1915 il sonniniano «Il Giornale d’Italia» pubblicò alcuni suoi articoli a favore della rivendicazione italiana della Dalmazia56, scritti su probabile ispirazione dei vertici del governo e della Dante Alighieri57. Successivamente ritornò a Londra dove il governo italiano ritenne utile la sua opera per contrastare l’azione di propaganda filoserba e iugoslava portata avanti da Robert Seton-Watson e Wickham Steed58; ma il carattere estremista delle posizioni di Cippico e la sua «violenta esagerata austrofobia» fecero sorgere voci e sospetti che il letterato dalmata fosse un agente austriaco e facesse il doppio gioco, sospetti che però non trovarono conferma certa59. Dudan e Cippico, pur privi di qualsiasi ruolo politico nel partito autonomo-italiano e lontani dalla Dalmazia per molti anni, della quale spesso mostrarono di avere una visione astratta e datata, si costruirono un ruolo di aggressivi difensori della causa dalmatica grazie alla loro azione propagandistica nel corso della guerra e alla loro vicinanza con gli ambienti politici e giornalistici romani, il che li rese in Italia assai più noti e influenti di tanti oscuri politici dalmati italiani sempre vissuti in patria. Molto attivo nella propaganda italiana pro Dalmazia fu anche il giornalista triestino Attilio Tamaro. Esponente della corrente nazionalista del partito liberale-nazionale giuliano, Tamaro si era interessato alle vicende dalmatiche già negli anni precedenti allo scoppio della guerra, pubblicando varie corrispondenze su «Il Piccolo» di Trieste60. Recatosi in Italia, si dedicò ad un’intensa attività pubblicistica a difesa delle rivendicazioni italia56 MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., pp. 282-283. DA, f. 1914, B 17, Zaccagnini a Sanminiatelli, 3 ottobre 1914. 58 A proposito dell’attività di Cippico durante la guerra: ACS, Carte Sonnino/De Morsier, b. 1, Ghiglianovich a De Martino, 28 dicembre 1915, con allegato un memoriale di Cippico sull’attività del comitato iugoslavo di Londra. 59 DDI, V, 4, Imperiali a Sonnino, 1° luglio 1915, d. 323. Si vedano anche gli attacchi di Robert Seton-Watson contro Cippico: Seton-Watson a Fisher, 9 ottobre 1916, in R. W. Seton Watson and the Yugoslavs, cit., I, d. 182. 60 Sulla figura di Attilio Tamaro: GIULIO CERVANI, Momenti di storia e problemi di storiografia giuliana, Udine, 1993, pp. 107-144; MONZALI, Tra irredentismo e fascismo. Attilio Tamaro storico e politico, cit., pp. 267-301; ANTONIO JUSTUS VERDUS, Il difensore della Dalmazia, «La Porta Orientale», 1954, nn. 9-10, pp. 422-432. 57 GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 17 ne sulla Dalmazia e la Venezia Giulia, sfruttando il suo talento di storico e polemista. Nel 1915, su incarico della Dante Alighieri e di Giacomo De Martino, preparò un volume intitolato Italiani e Slavi nell’Adriatico e si recò, poi, insieme a Dudan, a Parigi per propagandare le tesi italiane negli ambienti politici e giornalistici francesi61. Nell’agosto 1916 Donato Sanminiatelli gli commissionò la preparazione di un grande studio storico-politico sull’italianità giuliana e dalmatica, la cosiddetta «Bibbia adriatica»62, che avrebbe dovuto legittimare sul piano storico le rivendicazioni dell’Italia nell’Adriatico orientale e che fu poi pubblicata fra il 1918 e il 191963. Ghiglianovich, Cippico, Dudan e Tamaro agirono in stretta simbiosi con le direttive del Ministero degli Affari Esteri. Ghiglianovich e la maggior parte degli esuli dalmati, però, propugnarono un programma territoriale che oltrepassava quanto previsto dal patto di Londra, in quanto essi rivendicavano il dominio italiano su tutta la Dalmazia centro-settentrionale, inclusa Spalato. In realtà era lo stesso governo a stimolare campagne di propaganda adriatica in chiave massimalistica. Numerosi esponenti del governo italiano ritenevano la propaganda massimalistica utile al fine di dimostrare all’opinione pubblica internazionale la forza del sentimento espansionista adriatico in Italia; questa propaganda, poi, serviva per rafforzare la posizione negoziale del governo di Roma in future trattative di pace64. In una lettera del 1916 Ghiglianovich scrisse a Scodnik, uno dei capi della Dante Alighieri, che Attilio Tamaro aveva chiesto al ministro Scialoja su quali limiti territoriali della Dalmazia dovesse insistere la propaganda italiana: la risposta del capo di gabinetto di Scialoja, Galante, fu che, secondo il ministro, «la propaganda andava fatta per tutto, senza limiti, compresa dunque Cattaro. Si comprende che se anche i trattati accennano ad un limite, nelle sfere competenti nulla si vuol pregiudicato e si desidera la propaganda per tutto»65. Pur scrittori con diverse ideologie politiche – Ghiglianovich era un liberale nazionale, mentre Dudan e Cippico predicavano un naziona- 61 Al riguardo: DDI, V, 7, d. 672; ATTILIO TAMARO, Ricordi e Appunti di una missione infelice, «La Rivista Dalmatica», 1956, n. 1, pp. 19-31, n. 2, pp. 3-18. 62 DA, f. 1917, A 77, Attilio Tamaro a Società Dante Alighieri, 21 novembre 1917. 63 TAMARO, La Vénétie Julienne et la Dalmatie. Histoire de la Nation italienne sur ses frontières orientales, cit. 64 MONZALI, Un contributo alla storia degli italiani di Dalmazia, cit., pp. 204-205. 65 DA, f. 1916, B 13, Ghiglianovich a Scodnik, s.d. (ma 1916). 18 LUCIANO MONZALI lismo italiano estremista, semplicista e rigido, assai vicino alle posizioni del gruppo di Federzoni e simile per molti aspetti al nazionalismo pancroato dei pravas#i – i pubblicisti irredentisti dalmati espressero alcune posizioni e temi ricorrenti. Per Ghiglianovich, Cippico e Dudan la Dalmazia doveva essere annessa all’Italia per ragioni nazionali e strategiche. La Dalmazia possedeva una tradizione latina e italiana autoctona che era sopravvissuta per secoli. La prevalenza croata e serba era ritenuta artificiale in quanto conseguenza di ultradecennali politiche di snazionalizzazione attuate dai partiti nazionalisti croati e serbi con l’indifferenza o il compiacimento dello Stato asburgico. Sul piano militare, secondo gli irredentisti dalmati, il controllo della Dalmazia avrebbe garantito all’Italia la completa egemonia nel Mar Adriatico, dandole una totale sicurezza strategica rispetto ad eventuali nemici ad Oriente. L’Italia liberale doveva riconquistare quei territori che erano appartenuti o gravitati intorno alla Repubblica di Venezia, trasformando l’Adriatico in un lago italiano. Sull’ampiezza delle future annessioni territoriali vi era una varietà di posizioni in seno all’irredentismo dalmata: convinto che tutta la Dalmazia asburgica fosse italiana, Dudan insisteva sulla necessità che l’Italia annettesse tutta la costa dalmata da Arbe a Cattaro66. Nel corso della guerra Ghiglianovich, invece, sostenne prevalentemente la tesi della futura conquista italiana della Dalmazia solo fino alla Narenta, con la rinuncia a Ragusa e alle Bocche di Cattaro67. Durante la guerra gli irredentisti dalmati furono scettici sulla possibile futura esistenza di uno Stato iugoslavo unitario e indipendente. Per Dudan e Ghiglianovich, una nazione iugoslava non esisteva, poiché sloveni, croati e serbi avevano identità specifiche e ben differenziate: croati e sloveni erano cattolici e occidentalizzati, avevano a lungo subìto l’influenza tedesca e asburgica e, in grande maggioranza, parteggiavano per la sopravvivenza dell’Impero asburgico; i serbi, invece, erano un popolo cristiano ortodosso, orientale e balcanico, ferocemente ostile agli Asburgo68. Il progetto della creazione di uno Stato iugoslavo era considerato un’i- 66 Ad esempio: Dudan a De Morsier, 7 gennaio 1916, cit. Si veda anche l’intervento di Dudan riprodotto in «L’Idea Nazionale», 25 novembre 1918, Il gruppo nazionalista romano per l’italianità della Dalmazia. 67 BS, Carte Ghiglianovich, b. B, Ghiglianovich a Albertini, 26 gennaio 1918. 68 BS, Carte Ghiglianovich, b. B, ROBERTO GHIGLIANOVICH, I “Jugoslavi” e la “Jugoslavia”, 16 giugno 1917; MONZALI, Un contributo alla storia degli italiani di Dalmazia, cit., p. 206. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 19 niziativa strumentale e propagandistica di alcuni politici serbi e croati, i quali, in fondo, perseguivano obiettivi contrastanti: i croati desideravano la creazione di uno Stato croato all’interno dell’Impero asburgico o parte di una confederazione iugoslava da loro dominata; i serbi, invece, volevano la grande Serbia69. Proprio nell’analisi del mondo dalmata slavo si evidenziavano differenze di toni e di analisi fra la corrente liberale-nazionale dell’irredentismo dalmata, rappresentata da Ghiglianovich, e il nazionalismo estremista, espresso da Dudan e Cippico. Nei testi di Ghiglianovich non vi erano i toni slavofobi diffusi nella pubblicistica d’ispirazione nazionalista di Dudan e che saranno in seguito spesso ripresi dalla propaganda “dalmatica” dell’Italia fascista: nei suoi scritti, ad esempio, era assente il tema tipicamente nazionalista della presunta “invasione” slava che avrebbe snaturato la civiltà italiana della Dalmazia nel corso dei secoli. Per il politico zaratino, la presenza slava in Dalmazia era un dato di fatto, né negativo né positivo, una caratteristica di base della società dalmata. Era contro l’Austria che Ghiglianovich dirigeva i suoi strali, accusandola di avere provocato e strumentalizzato la questione nazionale in Dalmazia, per indebolire l’influenza italiana in quella regione dopo il 1866 suscitando rivalità tra le diverse componenti nazionali dalmate, gli italiani contro i croati, questi ultimi contro i serbi. Non era quindi casuale che il politico zaratino fosse estraneo ai progetti di snazionalizzazione delle popolazioni slave annesse all’Italia, concepiti da scrittori nazionalisti come Attilio Tamaro70. Il deputato di Zara credeva, forse un po’ illusoriamente, che la sovranità italiana sulla Dalmazia avrebbe potuto creare una pacifica coesistenza tra le componenti nazionali dalmate, sulla base di ogni più ampia libertà per italiani, croati e serbi nell’esercizio dei propri diritti culturali e nazionali; un giusto e liberale trattamento delle popolazioni dalmate slave era, a suo avviso, il modo migliore per evitare il sorgere di irredentismi iugoslavi nella futura Dalmazia italiana71. In quanto rappresentante della componente liberale-autonomista, la cultura predominante in seno agli italiani di Dalmazia in quegli anni, vale la pena di approfondire l’analisi di alcune tesi enunciate da 69 MONZALI, Un contributo alla storia degli italiani di Dalmazia, cit., p. 206. MONZALI, Tra irredentismo e fascismo, cit.; ROCCUCCI, Roma capitale del nazionalismo, cit., p. 302. 71 Al riguardo: BS, Carte Ghiglianovich, busta B, ROBERTO GHIGLIANOVICH, Memoriale, s.d. (ma 1918). 70 20 LUCIANO MONZALI Roberto Ghiglianovich nel corso della prima guerra mondiale72. Il deputato zaratino si rese conto rapidamente che, data la tradizionale simpatia dell’opinione pubblica italiana verso il principio di nazionalità, non era possibile, da parte sua e dei dalmati italiani, eludere la presentazione di una propria analisi della questione nazionale in Dalmazia. I dalmati italiani dovevano legittimare, sulla base del principio di nazionalità, le proprie rivendicazioni politiche, per guadagnare consenso nell’opinione pubblica italiana ed internazionale. Tale compito sarebbe stato certamente facile se, fin dall’intervento dell’Italia in guerra, l’irredentismo dalmata italiano avesse chiesto, seguendo l’esempio degli italiani fiumani, la futura annessione alla madrepatria della sola Zara, unica città dalmata abitata da una netta maggioranza italiana. La richiesta del possesso italiano di tutta la Dalmazia centrosettentrionale, sostenuta dalla gran parte dei dalmati italiani irredentisti, contrastava con quel principio di nazionalità tanto caro alla maggioranza dell’opinione pubblica italiana, poiché, come ammetteva lo stesso Ghiglianovich, la popolazione dalmata era in prevalenza slava. Vi erano varie ragioni che spiegavano la richiesta, difesa con determinazione da Ghiglianovich, dell’annessione all’Italia di gran parte della Dalmazia, con la rinuncia a considerare soluzioni più limitate, quali, ad esempio, l’annessione italiana della sola città di Zara e del suo contado. Innanzitutto il fatto che il governo avesse concluso il patto di Londra, il quale prometteva all’Italia un assetto territoriale che le garantiva una parte importante della Dalmazia, non consigliava atteggiamenti rinunciatari e autolesionisti da parte degli stessi irredentisti dalmati; essi, comunque, peccarono di ingenuità, male interpretando le motivazioni che spiegavano la rivendicazione della Dalmazia da parte dell’Italia e ponendo un’eccessiva fiducia nella determinazione del governo di Roma di perseguire a tutti i costi il programma territoriale previsto dal patto di Londra. La presenza di forti comunità italiane in tutte le principali località della Dalmazia, seppure minoritarie rispetto all’elemento croato e serbo, e le caratteristiche della vita economica di Zara – capoluogo di un ampio capitanato distrettuale e capitale amministrativa di tutta la Dalmazia, nonché città abitata da italiani che avevano spesso cospicui interessi economici e numerose proprietà nel retroterra e nelle isole circostanti – rendevano im- 72 Riprendiamo e sviluppiamo qui le considerazioni svolte in MONZALI, La Dalmazia e la questione jugoslava negli scritti di Roberto Ghiglianovich, cit., p. 429 e ss. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 21 proponibili o assai difficili posizioni minimaliste sul piano territoriale. Altro elemento importante che spiegava la riluttanza di Ghiglianovich e di molti liberali autonomisti italiani a rinunciare al disegno dell’unione di tutta la Dalmazia ex veneziana all’Italia era l’influenza ideologica della tradizione autonomista e regionalista dalmata. Dalla lettura dei suoi scritti politici, possiamo constatare che Ghiglianovich credeva nell’esistenza di una specifica identità dalmata, ancora viva in Dalmazia accanto alle nuove ideologie nazionali croata, serba e italiana. Per il politico zaratino, la società dalmata possedeva uno stile di vita, una cultura, un’organizzazione sociale specificamente latine e mediterranee che la distinguevano profondamente dal resto dei Balcani e del mondo slavo del sud. I dalmati slavi erano completamente diversi dai croati e dai serbi dell’interno. Le immigrazioni slave hanno trovato in Dalmazia un ambiente autoctono latino. Generazioni su generazioni di slavi si latinizzarono ed italianizzarono facilmente ed anche quelle che rimasero più o meno refrattarie a questa evoluzione non poterono rimanere estranee all’ingranaggio della vita dalmatica, che conferì loro una particolare marca diversa da qualsiasi altra nazione slava, anche dalla più affine, la croata e la serba73. La forte presenza slava, secondo Ghiglianovich, non significava che la popolazione dalmata fosse serba o croata, poiché in Dalmazia la vita, le abitudini, la mentalità avevano un’impronta adriatica e latina. A parere del politico zaratino, «anche l’elemento slavo della Dalmazia, ben dissimile nella sua psicologia e dai croati e dai serbi, è cresciuto, si è sviluppato alla luce della civiltà latina ed italiana»74. Ghiglianovich concepiva la realtà storica e culturale della Dalmazia come un’entità unitaria, estranea al mondo balcanico, la quale trovava la propria peculiarità nell’incontro e fusione tra italiani e slavi. La società dalmata era un paese mediterraneo, da millenni caratterizzato da una cultura latina e poi italiana, una società più progredita, a suo parere, rispetto a quelle di Serbia, Albania, e Croazia-Slavonia. Ghiglianovich era convinto che i dalmati, italiani e slavi, fossero più affini alla cultura italiana che a quella croata e serba, e che quindi fosse legittima la richiesta dell’unione della Dalmazia ex-veneziana all’Italia. L’idea di una specificità culturale e nazionale dalmata, tema classico del vec73 ACS, 74 Carte Sonnino/De Morsier, busta 1, Ghiglianovich a Salvemini, 28 luglio 1917. GHIGLIANOVICH, I “Jugoslavi” e la “Jugoslavia”, cit. 22 LUCIANO MONZALI chio autonomismo75, aveva effetti paradossali nel discorso politico di Ghiglianovich: se, da una parte, l’idea di una identità regionale unitaria dalmata evitava la radicalizzazione in senso slavofobo delle sue posizioni politiche, dall’altra, rendeva un po’ irrealistica la sua analisi della società dalmata e lo spingeva a sposare tesi, quali l’italianità culturale dei dalmati croati, difficilmente comprensibili in Italia e all’estero. Inoltre, nelle sue analisi dei dalmati slavi Ghiglianovich sottovalutava la forza del sentimento nazionale pancroato e panserbo esistente tra le popolazioni dalmate, in particolare fra i ceti contadini: forza che era sempre più aumentata negli ultimi decenni e che nasceva da una visione del futuro della Dalmazia opposta a quella dei dalmati italiani, poiché tutta incentrata non sul rapporto con l’Italia e l’Europa occidentale, ma sulla speranza di uno sviluppo economico e sociale della regione attraverso una più stretta relazione con il retroterra balcanico e danubiano. Ma quanti erano gli italiani e gli slavi in Dalmazia? Secondo Ghiglianovich, vi erano in Dalmazia approssimativamente 100.000 italiani, 100.000 slavi di religione ortodossa e 400.000 slavi di religione cattolica. Dal punto di vista della composizione sociale, l’elemento italiano in Dalmazia, soprattutto concentrato nei centri urbani e nelle isole, comprendeva, a parere di Ghiglianovich, una parte importante dell’elemento operaio, nonché molti proprietari terrieri, industriali, commercianti, artigiani e impiegati76. La cifra di centomila italiani dalmati era giustificata sulla base della constatazione che andavano ritenuti italiani anche quei dalmati «di origine, di lingua e di costume italiani», che per ragioni di opportunità economica e di carriera, militavano nei partiti croati, votavano per candidati croati alle elezioni e dichiaravano, compilando i propri dati anagrafici, che il croato era la loro lingua d’uso. A parere di Ghiglianovich, il carattere clientelare del sistema politico-amministrativo esistente in Dalmazia, spingeva chiunque volesse essere assunto dalle amministrazioni pubbliche e farvi carriera a dichiararsi croato, anche se italiano di lingua e cultura, e a schierarsi a favore dei partiti croati, dominanti a livello locale77. Insomma, molti dalmati italiani, assai spesso bilingui, erano spinti da ragioni di convenienza eco- 75 Sull’ideologia politica autonomista dalmata: MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit.; VRANDEC#IC!, op. cit. 76 ROBERTO GHIGLIANOVICH, Gli Italiani della Dalmazia, 25 agosto 1917, ACS, Carte Sonnino/De Morsier, busta 1. 77 Ghiglianovich a Salvemini, 28 luglio 1917, cit. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 23 nomica e sociale all’assimilazione nella maggioranza croata. Nonostante la convivenza quotidiana tra italiani e slavi in Dalmazia fosse giudicata dallo stesso Ghiglianovich abbastanza pacifica e priva delle durezze e delle violenze conosciute in tante parti dei Balcani, egli riteneva che la politica di assimilazione forzata imposta dai partiti croati fosse talmente intensa da provocare sul lungo periodo la scomparsa dell’elemento italiano. Il politico dalmata si dichiarò molto spaventato dalla prospettiva dell’annessione della Dalmazia alla Serbia o ad uno Stato iugoslavo indipendente che unisse Serbia, Croazia e Montenegro. L’arrivo della Serbia in Dalmazia avrebbe comportato, a suo avviso, una balcanizzazione della regione, poiché i serbi «sono violenti, intransigenti, [...] brutali, sopraffattori delle nazionalità diverse che abitano il paese, intolleranti di tutte le religioni che non siano la loro, poiché la religione greco-orientale (l’ortodossa) è per essi la base della loro nazione, si identifica colla nazionalità»78. Il dominio iugoslavo sulla Dalmazia, secondo Ghiglianovich, avrebbe significato l’eliminazione dell’elemento italiano dalmata. Seguendo il modello di governo sperimentato in Macedonia e in Kosovo dopo la guerre balcaniche, i nuovi governanti serbi non avrebbero rispettato alcun accordo per la protezione delle minoranze. Il metodo di amministrazione dei serbi nei territori dove viveva un popolo differente consisteva nell’annientamento della razza diversa: È la eliminazione degli italiani e dell’elemento slavo e non serbo della Dalmazia che si proporrebbero, sovrapponendo agli stessi il loro materiale umano non evoluto, balcanico, orientale, psicologicamente violento, importando, imponendo metodi, abitudini, credenze assolutamente estranee alla regione79. Sulla base delle vicende storiche successive, il pessimismo delle previsioni del Ghiglianovich circa il futuro degli italiani di Dalmazia in uno Stato iugoslavo si dimostrò piuttosto fondato. Più debole, invece, e non poco viziata da una concezione liberale-oligarchica, fu l’analisi della popolazione dalmata slava che Ghiglianovich presentò al governo e all’opinione pubblica italiana. I cinquecentomila slavi dalmati erano, a parere del politico zaratino, suddivisi in due grandi classi sociali: da una parte, la borghesia – va sottolineato che per borghe78 79 Ibidem. Ibidem. 24 LUCIANO MONZALI se Ghiglianovich intendeva l’abitante del centro urbano, il non contadino –, stimabile intorno alle centomila unità, al 90% croata e cattolica, in gran parte fedelissima agli Asburgo; dall’altra, la numerosa classe rurale, in possesso di scarsa coscienza nazionale, poiché i contadini slavi «sanno di non essere italiani», ma si sentono «niente altro che dei contadini dalmati», fedeli all’autorità costituita e al clero. Per Ghiglianovich, la classe contadina era un elemento passivo nella lotta politica dalmata, dominata dallo scontro tra gruppi cittadini e borghesi di diverso orientamento (filo-iugoslavo, pancroato, panserbo e italiano). Il politico italiano accettava e legittimava questa esclusione, sulla base di una concezione della società di matrice liberale e oligarchica, secondo la quale era diritto-dovere esclusivo dell’elemento aristocratico-borghese, composto dai possidenti, dai contribuenti, dagli uomini di cultura, partecipare alla vita politica e dirigere la comunità. Figlio del sistema politico della Dalmazia asburgica, dove la vita politica era riservata a minoranze, guidate da notabili locali d’orientamento croato, serbo o italiano, si comprende perché il politico zaratino sperasse che l’elemento italiano potesse riconquistare un ruolo dominante nella società dalmata: distrutta la presenza austriaca, con l’annessione all’Italia e il sostegno del governo di Roma il partito italiano avrebbe potuto nuovamente affermare la propria egemonia nelle società cittadine della Dalmazia e ridimensionare l’influenza delle élites croate e iugoslave. Ghiglianovich – come, d’altronde, i suoi avversari iugoslavi Trumbic!, Tartaglia, Smodlaka, anche essi notabili cittadini espressione delle strutture elitarie della vita politica dalmata prima della guerra mondiale80 – sottovalutava il futuro ruolo politico attivo che, a causa degli sconvolgimenti sociali ed economici provocati dalla guerra e dalla modernizzazione della regione, le popolazioni rurali avrebbero svolto in Dalmazia81. 80 Al riguardo le riflessioni di SCHÖDL, Kroatische Nationalpolitik und “Jugoslavenstvo”, cit. 81 Sull’importanza della mobilitazione politica della popolazione contadina in Croazia e in Dalmazia nel corso della guerra e del dopoguerra: MARK BIONDICH, Stjepan Radic!, the Croat Paesant Party, and the Politics of Mass Mobilization, 1904-1928, Toronto, 2000, p. 120 e ss. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 25 1.2. La Dalmazia e la questione iugoslava nella politica europea durante la prima guerra mondiale Appena l’Italia entrò in guerra nel 1915, la questione dalmatica divenne ben presto oggetto di un’aspra contesa propagandistica e diplomatica fra, da una parte, l’Italia, dall’altra, il governo di Belgrado, il comitato iugoslavo in esilio e i simpatizzanti francesi e britannici per la causa iugoslava82. Come l’Italia, pure la Serbia coltivava mire espansionistiche sulla Dalmazia asburgica, nella quale era presente una forte minoranza serba, concentrata nel retroterra di Zara e Sebenico e nelle Bocche di Cattaro. Fin dal settembre 1914 il governo serbo aveva comunicato alle potenze dell’Intesa i propri scopi di guerra, che prevedevano, in caso di vittoria, l’annessione della Bosnia-Erzegovina, della Dalmazia, del Banato, della Bac#ka e di parte della Venezia Giulia83. Nikola Pas#ic!84, capo del governo serbo, considerava particolarmente importante la futura conquista della Dalmazia e, temendo possibili rivendicazioni italiane su quella regione, diede istruzioni al suo rappresentante a San Pietroburgo, Spalajkovic!, di chiedere alla Russia di opporsi ad eventuali mire dell’Italia: Attirate l’attenzione del governo imperiale – scriveva il capo del governo serbo nel settembre 1914 – sul fatto che dall’Italia giungono notizie secondo le quali questa si dispone ad invadere la Dalmazia e ad annettersela […]. Se questa questione viene discussa, voi potete dichiarare al governo presso il quale siete accreditato che la Serbia si opporrà ad una avanzata dell’Italia, ch’essa combatterà l’Italia e che di fronte ad una tale procedura dell’Italia, essa si dichiarerà per l’Austria piuttosto che consentire a sottomettersi alla potenza italiana. La Dalmazia desidera essere ricongiunta alla Serbia, tale è il suo ideale, tale è la soluzione che esigono i suoi interessi nazionali e tale è infine il voto costante di tutto il popolo serbo-croato85. Il destino politico della Dalmazia era anche al centro delle preoc82 La migliore ricostruzione delle vicende relative alla questione adriatica nelle lotte diplomatiche europee durante la prima guerra mondiale è quella compiuta da DRAGOVAN ?EPIC!, Sudbinske Dileme Rad¤anja Jugoslavije. Italija, Saveznici i jugoslavensko pitanje 1914-1918, Pola-Fiume, 1989, tre volumi (la prima edizione fu pubblicata nel 1970). 83 VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., pp. 135-136; TOSCANO, La Serbia, cit., p. 7 e ss. 84 Sulla figura di Nikola Pas#ic!: ALEX N. DRAGNICH, Serbia, Nikola Pasic and Yugoslavia, New Brunswick, 1974; OSCAR RANDI, Nicola P. Pasic, Roma, 1927. 85 Pas#ic! a Spalajkovic!, 28 settembre 1914, edito in TOSCANO, La Serbia, cit., p. 7. 26 LUCIANO MONZALI cupazioni del gruppo di esuli croati, dalmati, serbi e sloveni che, fuggiti dall’Austria-Ungheria allo scoppio della guerra europea, sotto la guida di Ante Trumbic! e Frano Supilo diedero vita al Comitato iugoslavo in esilio nel novembre 1914, con sede prima a Parigi poi a Londra86. Fin dall’autunno 1914 Supilo fu particolarmente attivo nel manifestare alle diplomazie dell’Intesa i desideri dei dalmati croati di costituire uno Stato iugoslavo indipendente e di impedire la conquista italiana della Dalmazia. Per Supilo i confini fra l’Italia e il futuro Stato iugoslavo indipendente avrebbero dovuto essere tracciati sulla base del principio di nazionalità: la futura Iugoslavia, quindi, avrebbe dovuto comprendere tutti i territori in cui fossero presenti popolazioni serbe, croate e slovene, il che avrebbe significato l’annessione della Dalmazia e di tutta la Venezia Giulia al nascente Stato iugoslavo, mentre Trieste doveva divenire città libera87. Nel corso del mese di aprile 1915 gli esuli dalmati iugoslavi furono informati confidenzialmente da alcuni amici e simpatizzanti britannici (Wickham Steed, Robert Seton-Watson) dei negoziati in corso fra l’Intesa e l’Italia e della natura delle rivendicazioni italiane nell’Adriatico orientale. La loro reazione fu furiosa: Tutto ciò – scrisse Trumbic! all’amico e protettore Seton-Watson il 7 aprile 1915 – ha destato in tutti noi un profondo senso di dolore, di indignazione e di irritazione. La soluzione, che vagheggia l’Italia, sarebbe la più infelice e la più iniqua dell’importantissimo problema adriatico. I postulati dell’Italia sono un attentato contro l’esistenza di tutto il nostro popolo, il quale dovrebbe divenire oggetto di un mercanteggio internazionale. L’Italia, formatasi non colle proprie armi ma in grazia al principio di nazionalità, vuole toglierci anche la Dalmazia, cuore della nostra razza […]88. Nel maggio 1915, per reagire politicamente al patto di Londra, il 86 Riguardo al pensiero di Supilo sulla questione adriatica è utile la raccolta di scritti: SUPILO, Politic#ki Spisi. Šlanci, govori, pisma, memorandumi, cit. Si leggano anche: DRAGOVAN ?EPIC!, Supilo diplomat, Zagreb, 1961; ID., Sudbinske Dileme, cit., I, p. 74 e ss.; ID., Supilo i Talijani, «Dubrovnik», 1970, pp. 76-88; IVO PETRINOVIC!, Ante Trumbic!, Split, 1991, p. 85 e ss.; ID., Politicka misao Frana Supila, cit., p. 151 e ss.; GALE STOKES, The Role of the Yugoslav Committee in the Formation of Yugoslavia, in DIMITRIJE DJORDJEVIC (a cura di), The Creation of Yugoslavia 1914-1918, Santa Barbara-Oxford, 1980, pp. 51-72; SALVI, Il movimento nazionale, cit., 197 e ss. 87 TOSCANO, La Serbia, cit., p. 10 e ss.; VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., p. 146 e ss. 88 Trumbic! a Seton-Watson, 7 aprile 1915, in R. W. Seton-Watson and the Yugoslavs, cit., I, d. 127. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 27 Comitato iugoslavo di Londra delineò con precisione il suo programma di rivendicazioni territoriali preparando un memoriale che consegnò ai governi britannico, russo e francese. I popoli jugoslavi – proclamava il Comitato – che la storia conosce sotto il nome di serbi, croati e sloveni, sono una sola e stessa nazione che riunisce tutte le condizioni per divenire uno Stato nazionale indipendente. Essa ha tutti i diritti storici ed etnici sul territorio ov’essa vive in masse compatte. Il territorio nazionale dei serbi, croati e sloveni comprende: a) la Serbia ed il Montenegro; b) la Bosnia Erzegovina; c) la Dalmazia col suo arcipelago; d) la Croazia e la Slovenia con Rijeka (Fiume) e la Medjumaria; e) la contrada della Drava dell’Ungheria meridionale e l’antica Voivodina serba (Backa e Banato); f) l’Istria colle sue isole e Trieste; g) la Carniola e Gorizia; h) la Carinzia meridionale, la Stiria meridionale colla regione limitrofa del sud-ovest ungherese89. Per il Comitato iugoslavo era cruciale che la Dalmazia appartenesse al futuro Stato iugoslavo: La Serbia ed il Montenegro attuali colla Bosnia Erzegovina non possono svilupparsi normalmente senza il possesso della Dalmazia e la costa dalmata resterà inutile per il commercio e la navigazione senza la stretta unione col suo retroterra. La sicurezza dalmata sarebbe compromessa senza il possesso dell’arcipelago. L’Austria-Ungheria ha occupata ed annessa la BosniaErzegovina fra l’altro perch’essa possedeva la Dalmazia. La Dalmazia ed il suo arcipelago non possono appartenere che al padrone della BosniaErzegovina. D’altronde la Dalmazia costituiva nel Medio Evo una parte integrante degli Stati jugoslavi, sia serbi, sia croati, che si erano formati nel corso della storia. Quando essa fu incorporata all’Austria, ebbe essa stessa la medesima tendenza ad unirsi agli altri Paesi jugoslavi90. In caso l’Italia avesse cercato di conquistare la costa dalmata, ciò avrebbe creato un’irriducibile inimicizia fra italiani e iugoslavi. 89 Il testo del memoriale è riprodotto in traduzione italiana in TOSCANO, La Serbia, cit., pp. 59-69. 90 Ibidem. 28 LUCIANO MONZALI Se l’Italia domanda la costa settentrionale ed orientale dell’Adriatico vale a dire dalla frontiera attuale fino a Fiume, oltre alla Dalmazia settentrionale e centrale e le isole del Quarnero, è necessario allora ch’essa sappia che mai la nostra nazione consentirà a che degli organi vitali siano strappati dal suo organismo 91. Considerato il carattere massimalistico dei programmi politici della Serbia e del Comitato iugoslavo di Londra92, poco propensi ad idee di compromesso territoriale, lo scontro diplomatico e propagandistico con l’Italia fu inevitabile. Non a caso, l’intervento italiano in guerra e il diffondersi di voci sul contenuto del patto di Londra provocarono ben presto un forte deterioramento dei rapporti dell’Italia con la Serbia e gli ambienti politici iugoslavi in esilio. Nell’agosto 1915 Ljuba Jovanovic!, ministro dell’Interno della Serbia, dichiarò apertamente al rappresentante italiano presso il governo serbo, Squitti: […] L’Italia d’ora innanzi non potrà più essere considerata come amica della Serbia, perché ha preso di fronte a questa il posto dell’Austria. I nostri interessi, ha soggiunto, sono divergenti e perciò né cooperazione militare né alcun altro atto di solidarietà è più possibile fra noi93. Squitti constatò a questo riguardo che i serbi rimproveravano all’Italia «di volerli sacrificare in Dalmazia, di negare loro l’unione nazionale con la Croazia e la Slavonia, nonché escluderli dall’Albania»94. In realtà Sonnino non era ostile all’espansione territoriale della Serbia. Nel corso dei negoziati che si svolsero in seno all’Intesa nell’estate 1915 sul futuro politico dei Balcani, il ministro degli Esteri italiano si dimostrò pronto a riconoscere il diritto della Serbia a conquistare la Bosnia-Erzegovina e la Dalmazia centro-meridionale in caso di concessioni territoriali serbe in Macedonia a favore della Bulgaria95. Ma ciò che irritava i serbi e gli iugoslavi era il rifiuto di 91 Ibidem. 92 VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., p. 175 e ss.; TOSCANO, La Serbia, cit., p. 59 e ss. 93 DDI, V, 4, Squitti a Sonnino, 18 agosto 1915, d. 617. 94 DDI, V, 4, Squitti a Sonnino, 26 agosto 1915, d. 667. 95 DDI, V, 4, Sonnino a Imperiali, Tittoni e Carlotti, 8 agosto 1915, d. 551. Sull’atteggiamento di Sonnino verso la questione iugoslava durante la prima guerra mondiale sono fondamentali il suo diario e i suoi carteggi: SIDNEY SONNINO, Diario 1914-1916, cit.; ID., Diario 1916-1922, Bari, 1972; ID., Carteggio 1914-1916, cit.; ID., Carteggio 1916-1922, cit. Si ve- GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 29 Sonnino di prendere impegni formali sulla futura unione della Croazia alla Serbia, evento a cui il capo della diplomazia italiana era ostile al fine di non togliere ogni futuro sbocco al mare all’Ungheria96. Più in generale Sonnino era contrario al progetto della creazione di un grande Stato iugoslavo, ritenuto una potenziale minaccia militare per l’Italia. Piuttosto auspicava l’esistenza di più Stati iugoslavi: una Serbia ingrandita, il Montenegro, la Croazia, indipendente o federata all’Ungheria; in più bisognava garantire l’esistenza di uno Stato albanese, sotto la protezione dell’Italia97. Di fatto a partire dall’estate del 1915 esplose una forte conflittualità politica fra Italia e Serbia. Il governo serbo, sfruttando la condotta ambigua e poco onorevole del Montenegro di fronte all’esercito asburgico, scatenò una campagna politica a favore dell’unione serbomontenegrina, che trovò forti consensi pure in parte della classe dirigente montenegrina98. La diplomazia italiana cercò di contrastare questa campagna panserba, sostenuta dai governi russo e francese99; il governo di Roma, però, era pessimista sul futuro del Montenegro indipendente ed era pronto a considerare la possibilità di chiedere il controllo delle Bocche di Cattaro in caso di unione serbo-montenegrina100. Pure per un critico della politica di Sonnino come Tommaso Tittoni, ambasciatore a Parigi, il controllo di Cattaro e del monte Lovcen era cruciale per la sicurezza dell’Italia: a parere di Tittoni, «con Valona, Cattaro, Pola e le Isole, potremmo veramente dirci padroni dell’Adriatico e non preoccuparci di un maggiore o minore aumento territoriale della Serbia»101. Altro tema di scontro italo-serbo era naturalmente la questione alda anche: TOSCANO, La Serbia, cit.; LUCA RICCARDI, Alleati non amici. Le relazioni politiche tra l’Italia e l’Intesa durante la prima guerra mondiale, Brescia, 1992; VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo, cit., I, p. 175 e ss.; ?EPIC!, Sudbinske Dileme, cit.; LUIGI ALBERTINI, Venti anni di vita politica, Bologna, 1952-53, II, vol. 2 e 3; JAMES H. BURGWYN, Sonnino e la diplomazia italiana del tempo di guerra nei Balcani nel 1915, «Storia contemporanea», 1985, n. 1, pp. 133-137; TAMBORRA, L’idea di nazionalità e la guerra 1914-1918, cit. 96 DDI, V, 4, Sonnino a Imperiali, Tittoni e Carlotti, 1° agosto 1915, d. 510; DDF, 1915, 2, Barrère a Delcassé, 8 luglio 1915, d. 225. 97 Una chiara enunciazione delle idee di Sonnino sull’assetto adriatico in DDI, V, 7, Sonnino a Macchi di Cellere, 16 aprile 1917, d. 739 (edito anche in SONNINO, Carteggio 19161922, cit., d. 129). 98 DDI, V, 7, Romano Avezzana a Sonnino, 14 gennaio 1917, d. 86. Sui rapporti serbomontenegrini in quegli anni: ?EPIC!, Sudbinske Dileme, cit., II, p. 74 e ss. 99 DDI, V, 7, Romano Avezzana a Sonnino, 18 gennaio 1917, d. 122. 100 DDI, V, 6, Carlotti a Sonnino, 12 settembre 1916, d. 420, e nota 1 a p. 276. 101 DDI, V, 6, Tittoni a Sonnino, 19 agosto 1916, d. 294. 30 LUCIANO MONZALI banese. Il capo del governo serbo, Pas#ic!, riteneva cruciale la conquista dell’Albania settentrionale, a suo avviso, legittimata dall’incapacità degli albanesi ad autogovernarsi. Bisogna riconoscere – dichiarò Pas#ic! al ministro italiano presso il governo serbo a Corfù, Sforza – che l’Albania quale si creò a Londra non è vitale; gli albanesi non son mai stati una nazione vivente a sé. Han bisogno di regimi autonomi, o di regimi speciali per loro, ma sotto la guida di altri Stati102. I serbi erano ostili ad eventuali mire italiane su parti dell’Albania103. Nel 1917 la decisione dell’Italia di sostenere a fini propagandistici la creazione di uno Stato albanese indipendente sotto la protezione italiana, con l’obiettivo di creare una resistenza a livello locale contro le mire espansionistiche asburgiche, elleniche e serbe104, irritò profondamente il governo serbo105. Le rivendicazioni territoriali del governo serbo e dei nazionalisti del Comitato iugoslavo trovarono la simpatia e il consenso di alcuni intellettuali britannici e francesi, che s’impegnarono in un’intensa propaganda a loro favore106. Per nazionalisti liberal-progressisti come Robert Seton-Watson107 e Henry Wickham Steed108 la creazione di uno Stato iugoslavo unitario corrispondeva all’esigenza morale di diffondere il principio di nazionalità in Europa e all’interesse della Gran Bretagna di evitare che la guerra avantaggiasse eccessivamente gli in102 DDI, V, 7, Sforza a Sonnino, 30 gennaio 1917, d. 185. DDF, 1915, 2, Boppe a Delcassé, 16 giugno 1915, d. 120. 104 Al riguardo: LUCA RICCARDI, Il proclama di Argirocastro: Italia e Intesa in Albania nel 1917, «Clio», 1992, n. 3, pp. 459-470; PIETRO PASTORELLI, L’Albania nella politica estera italiana 1914-1920, Napoli, 1970; DDI, V, 7, d. 508; ivi, 8, dd. 69, 174; SONNINO, Diario 1914-1916, cit., p. 162 e ss. 105 DDI, V, 8, dd. 279, 300. 106 Al riguardo: KENNETH J. CALDER, Britain and the Origins of the New Europe 19141918, Cambridge, 1976; FRANÇOIS FEJTÖ, Requiem per un impero defunto. La dissoluzione del mondo austro-germanico, Milano, 1990, p. 315 e ss.; DOMENICO CACCAMO, La «New Europe» (1916-1920) e la propaganda di guerra inglese, in FRANCESCO PERFETTI, (a cura di), D’Annunzio e la guerra, Milano, 1996, p. 105 e ss. 107 Circa le idee di Robert Seton-Watson sulla questione adriatica, che riflettevano le tesi dei suoi amici dalmati croati iugoslavofili, si veda: R.W. Seton-Watson al Foreign Office, 1° ottobre 1914, in R. W. Seton Watson and the Yugoslavs, cit., I, d. 109. Più in generale: HUGH e CHRISTOPHER SETON-WATSON, The Making of a New Europe. R. W. Seton-Watson and the Last Years of Austria-Hungary, London, 1981. 108 Sulla controversa figura di Steed ricordiamo le sue memorie: HENRY WICKHAM STEED, Trent’anni di storia europea 1892-1922, Milano, 1962; PETER SCHUSTER, Henry Wickham Steed und die Habsburgermonarchie, Wien, 1970. 103 GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 31 teressi di qualche grande potenza109. La volontà dell’Italia d’espandersi nell’Adriatico orientale creava irritazione in Francia e Gran Bretagna, Stati desiderosi di evitare che la guerra fosse l’occasione per un eccessivo rafforzamento dell’Italia nel Mediterraneo e nei Balcani: da qui la simpatia di alcuni politici e diplomatici britannici e francesi verso le tesi dei nazionalisti slavi del sud a favore della creazione di uno Stato iugoslavo unitario, eventuale utile contrappeso all’Italia110. A parere di Steed, l’Italia avrebbe dovuto riconoscere la forza del movimento unitario degli slavi del sud e cercare di raggiungere con il comitato iugoslavo di Londra e il governo serbo un’immediata intesa politico-territoriale che portasse al superamento del patto del 26 aprile 1915. Per il giornalista britannico, un giusto compromesso territoriale sarebbe stato il riconoscimento dei diritti italiani su Trieste e su parte dell’Istria occidentale in cambio della concessione al futuro Stato iugoslavo del dominio sull’Istria orientale, sulla Valle dell’Isonzo, su Fiume e sulla Dalmazia111. In realtà, contrariamente alle speranze di Steed e SetonWatson, per molto tempo i governi di Londra e Parigi assunsero un atteggiamento ambiguo e strumentale verso i movimenti di liberazione nazionale dell’Austria-Ungheria: usarono gli esuli iugoslavi, così come gli altri gruppi nazionalisti cechi, slovacchi e polacchi, come una pedina utile sul piano propagandistico e politico, pronti, però, ad abbandonarli al loro destino in caso di raggiungimento di una pace di compromesso con gli Asburgo112. È quello che temporaneamente accadde nel corso del 1917, quando l’abdicazione dello Zar e la crisi dello sforzo militare russo indebolirono l’Intesa113, rendendo conveniente sul piano diplomatico il tentativo di staccare l’Austria-Ungheria dal109 CALDER, Britain and the Origins of the New Europe 1914-1918, cit., p. 8 e ss. 110 CALDER, Britain and the Origins of the New Europe 1924-1918, cit.; V. H. ROTHWELL, British War Aims and Peace Diplomacy 1914-1918, Oxford, 1971, p. 75 e ss.; JACQUES BARIETY, La France et la naissance du Royaume des Serbes, Croates et Slovènes, 1914-1919, «Relations Internationales», n. 103, 2000, pp. 307-327; MIRO KOVAC#, La France, la création du royaume “ yougoslave “ et la question croate, 1914-1929, Bern, 2001; FEJTÖ, Requiem per un impero defunto. La dissoluzione del mondo austro-germanico, cit. 111 SONNINO, Carteggio 1916-1922, cit., Steed a Sonnino, 29 gennaio 1918, d. 262. 112 CALDER, Britain and the Origins of the New Europe 1924-1918, cit.; VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., p. 250; BARIETY, La France et la naissance du Royaume des Serbes, Croates et Slovènes, cit. 113 Sull’atteggiamento italiano verso le due rivoluzioni russe: GIORGIO PETRACCHI, La Russia rivoluzionaria nella politica italiana. Le relazioni italo-sovietiche 1917-25, Bari-Roma, 1982; ID., Da San Pietroburgo a Mosca. La diplomazia italiana in Russia 1861-1941, Roma, 1993; RICCARDI, Alleati non amici, cit., p. 436 e ss.; DANIELE VENERUSO, La Grande Guerra e l’unità nazionale. Il ministero Boselli, Torino, 1996, p. 223 e ss. 32 LUCIANO MONZALI la Germania attraverso promesse di moderate condizioni di pace, magari a spese dell’Italia ed abbandonando ogni disegno di dissoluzione dell’Impero asburgico114. L’indebolimento della Russia, tradizionale potenza alleata della Serbia, il sorgere di disegni di pace separata con l’Impero asburgico in importanti circoli politici francesi e britannici, preoccuparono fortemente serbi e nazionalisti iugoslavi115. Sforza constatò a tale riguardo che la rivoluzione russa aveva fortemente indebolito «l’autorità morale di Pachitch [Pas#ic!] il quale nei serbi era specialmente l’uomo della Russia e dello Czar»116. Privo del sostegno russo, il governo serbo divenne sempre più dipendente da francesi e britannici e ritenne opportuna una messa in sordina del tradizionale programma d’espansione panserbo a vantaggio di una più convinta connotazione della propria azione politica in senso iugoslavo. Con il delinearsi di progetti di pace separata con l’Austria-Ungheria, che avrebbero preservato la monarchia asburgica, in seno alle diplomazie francese e britannica, la posizione politica del Comitato iugoslavo di Londra divenne sempre più precaria, convincendo Trumbic! dell’opportunità di una stretta collaborazione con il governo serbo. Risultato di questo riavvicinamento fu l’accordo di Corfù del 20 luglio 1917 117. Il patto di Corfù sancì l’accettazione formale da parte serba della futura creazione di uno Stato iugoslavo con pari dignità e rango fra le nazionalità slave del sud. Di fatto, però, il carattere vago e propagandistico dell’accordo e il rinvio dell’organizzazione interna del nuovo Stato ad una futura assemblea costituente che avrebbe deciso a semplice maggioranza, significarono la rinuncia da parte dei nazionalisti croati guidati da Trumbic! a cautelarsi contro possibili mire egemoni114 Sui negoziati segreti con l’Austria-Ungheria per una pace separata: VICTOR S. MAMATEY, The United States and East Central Europe 1914-1918. A Study in Wilsonian Diplomacy and Propaganda, Princeton, 1957, p. 45 e ss.; ZBYNE#K A. ZEMAN, A Diplomatic History of the First World War, Weidenfeld-London, 1971, p. 128 e ss.; MAY, op. cit., II, p. 519 e ss.; ROTHWELL, British War Aims, cit., p. 80 e ss.; CALDER, Britain and the Origins of the New Europe 1924-1918, cit., p. 108 e ss.; DRAGAN R. ?IVOJINOVIC!, The United States and the Vatican Policies 1914-1918, Boulder, 1978, p. 75 e ss.; LEO VALIANI, Nuovi documenti sui tentativi di pace nel 1917, «Rivista storica italiana», 1963, p. 539 e ss.; ID., La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., p. 297 e ss.; FRIEDRICH ENGEL-JANOSI, Österreich und der Vatikan 1846-1918, Graz, 1958, II; ID., Benedetto XV e l’Austria, in GIUSEPPE ROSSINI (a cura di), Benedetto XV, i cattolici e la prima guerra mondiale, Roma, 1963, p. 343 e ss. 115 DDI, V, 7, d. 587. 116 DDI, V, 7, Sforza a Sonnino, 5 maggio 1917, d. 892. 117 Il testo dell’accordo di Corfù è riprodotto in ATTILIO TAMARO, Raccolta di documenti della questione adriatica, «Politica», 1920, vol. IV, ff. 11-12, pp. 204-342, d. 5. Si veda anche: ?EPIC!, Sudbinske Dileme, cit., II, p. 131 e ss.; ALBERTINI, Venti anni, cit., II, 2. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 33 che dei serbi, elemento maggioritario nel prossimo Stato iugoslavo118. Il riavvicinamento fra Pas#ic! e i nazionalisti iugoslavi guidati da Trumbic!, non a caso, suscitò dubbi in alcuni politici croati. Supilo, ad esempio, diffidente verso la classe dirigente serba, si proclamò ostile verso l’azione del Comitato iugoslavo di Londra, accusato di sacrificare i diritti croati ad una piena autonomia pur di creare un’unione statuale iugoslava, e si dimise119. L’evoluzione in senso filoasburgico della politica francese e britannica e il crescente indebolimento della Russia nel 1917 sembrarono favorire anche un possibile riavvicinamento fra alcuni esponenti del nazionalismo iugoslavo e l’Italia120. Nel maggio 1917 Supilo entrò in contatto con ambienti vicini all’ambasciata italiana a Londra, perorando la necessità di un accordo completo e leale fra Italia e esuli iugoslavi. Il politico dalmata si dichiarò preoccupato dallo sfacelo russo e dal crescente favore verso il mantenimento dell’Impero asburgico in Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti: ciò avrebbe potuto comportare un danno per il programma di liberazione e unificazione dei popoli iugoslavi, che correva il rischio di essere tradito dalle grandi potenze al momento della pace. L’Italia e i nazionalisti iugoslavi avevano un interesse comune a collaborare in funzione anti-austriaca e a tal fine si doveva raggiungere un pieno accordo italo-iugoslavo. Accordo – a parere di Supilo – si dovrebbe fare sulla base del riconoscimento pubblico da parte degli jugo-slavi delle regioni dell’Italia sull’Adriatico come sono state fissate dai trattati preliminari all’entrata dell’Italia in campagna; in ricambio il Governo italiano e opinione pubblica della penisola dovrebbero appoggiare con tutte le loro influenze il programma di liberazione, unificazione e federazione delle genti jugo-slave ottenendone il distacco assoluto dall’Austria121. Sempre nel maggio 1917 altre aperture degli iugoslavi giunsero alla Consulta tramite re Nicola del Montenegro, che comunicò a Sonnino che alcuni dirigenti del Comitato iugoslavo di Londra, in cattivi rapporti con il governo serbo, sarebbero stati disposti ad un accordo con l’Italia, chiedendo però che questa fosse pronta a fornire loro sussi118 VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., p. 294 e ss. Sui dissidi fra Supilo e Trumbic!: R. W. Seton-Watson and the Yugoslavs, cit., I, dd. 170, 175; PETRINOVIC!, Politic#ka misao Frana Supila, cit., p. 187 e ss. 120 ?EPIC!, Sudbinske Dileme, cit., II, p. 163 e ss. 121 DDI, V, 8, Imperiali a Sonnino, 24 maggio 1917, d. 77. 119 34 LUCIANO MONZALI di122. Secondo Romano Avezzana, l’obiettivo da perseguire era quello di staccare i nazionalisti iugoslavi dal governo serbo e di tenere i contatti con loro tramite re Nicola. Sonnino si dimostrò pronto a considerare la possibilità di un avvicinamento agli esuli iugoslavi e, alla fine di giugno, incaricò Sforza123 di prendere contatto con quegli esponenti del comitato di Londra che si erano recati a Corfù124. Di fatto la conclusione dell’accordo di Corfù nel luglio e la morte di Supilo nel settembre 1917, capo della componente nazionalista iugoslava ostile a Pas#ic!, resero improponibile il disegno di una collaborazione italocroata in chiave antiserba. Sforza prese contatto con Trumbic!, giunto a Corfù per negoziare l’accordo con il governo serbo, e notò che il politico spalatino, vero capo del comitato di Londra dopo le dimissioni di Supilo, era deciso a rimanere fedele all’alleanza con i serbi. L’unione con la Serbia era la ragione di essere dell’ex podestà di Spalato, che credeva con ostinazione nel progetto di creazione di uno Stato iugoslavo unitario: [Trumbic!] si disse convinto dell’inevitabilità dell’unione jugo-slava e degli interessi dell’Europa di accettarla col prossimo trattato di pace. Schernì chi in Francia e a Londra gli muoveva obbiezioni basate sulle differenze storiche sociali fra croati, serbi, ecc. e si mostrò sicuro della facilità con cui in pratica si collegherebbero le varie autonomie125. Uomo politico intellettualmente sofisticato, ma anche fortemente dogmatico e ideologizzato, Trumbic! rimase con pervicacia fedele al suo progetto di unione nazionale croato-serba. Il suo essere un nazionalista iugoslavo dalmata lo pose inevitabilmente in contrasto con la politica di Sonnino e dell’Italia nell’Adriatico. Nel corso della guerra mondiale Trumbic! si dimostrò pronto a negoziati con il governo italiano ma, convinto quasi messianicamente dell’inevitabile trionfo dei diritti nazionali croati, serbi e sloveni, rifiutò con pervicacia ed ostinazione ogni compromesso territoriale che riconoscesse la sovranità italiana sulla Venezia Giulia e su parte della Dalmazia126. 122 DDI, V, 8, Romano Avezzana a Sonnino, 30 maggio 1917, d. 158. 123 Sulla permanenza di Sforza a Corfù, presso il governo serbo in esilio: CARLO SFORZA, Jugoslavia. Storia e ricordi, Milano-Roma, 1948, p. 112 e ss.; ID., Dalle pagine di diario. Il periodo prefascista, «Nuova Antologia», 1967, fasc. 2004, p. 447 e ss. 124 DDI, V, 8, Sonnino a Sforza, 23 giugno 1917, d. 435. 125 DDI, V, 8, Sforza a Sonnino, 10 luglio 1917, d. 609. 126 Si veda ad esempio: DDI, V, 11, Paulucci a Sonnino, 21 settembre 1918, d. 556. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 35 Scettico sulla flessibilità politica degli esuli nazionalisti iugoslavi e sulla compatibilità del loro programma politico con quello dell’Italia, il ministro italiano presso il governo serbo, Carlo Sforza, consigliò al governo di Roma di sfruttare l’evoluzione della situazione internazionale per puntare sul raggiungimento di un’intesa privilegiata con la Serbia. Secondo Sforza, era possibile trovare un compromesso territoriale italo-serbo, cercando di soddisfare parzialmente le mire dei serbi in Macedonia e nei Balcani in cambio del loro riconoscimento dei desiderata italiani nell’Adriatico settentrionale127. Pas#ic! aveva accettato l’accordo con gli iugoslavi a malincuore ed era pronto a fare sacrifici territoriali pur di ottenere un accordo politico concreto con l’Italia; giustamente il diplomatico italiano riteneva il politico serbo un pragmatico desideroso soprattutto di realizzare la grande Serbia: Pas#ic![,] che non si decise che a malincuore a convocare a Corfù gli jugoslavi[,] è piuttosto per le transazioni empiriche e, se ne avesse la scelta, per soluzioni assai meno grandiose, ma serbe128. Nonostante la sua diffidenza verso i serbi, Sonnino decise di raccogliere il consiglio di Sforza e accettò d’incontrare Pas#ic! in visita a Roma il 10 settembre 1917. Ma l’incontro non ebbe esito positivo. Sonnino dichiarò che era sommo interesse reciproco raggiungere un accordo territoriale italo-serbo sull’assetto dell’Adriatico, ma si dimostrò irritato dal carattere massimalistico della dichiarazione di Corfù, che rivendicava per il futuro Stato iugoslavo il possesso di tutti i territori abitati da popolazioni serbe, croate e slovene, incluse tutta la Dalmazia e l’Istria. Stando ai termini del manifesto jugoslavo, – dichiarò Sonnino al presidente del Consiglio serbo – l’Italia non avrebbe, di fronte alle assicurazioni vaticane sulle concessioni ottenibili anche oggi dall’Austria-Ungheria mediante accordi, alcun scopo proprio da raggiungere col proseguire ulteriormente la guerra. Ciò tende a dare forza e credito ai pacifisti, mentre disanima i partigiani della guerra fino alla vittoria. Il solo fine di beneficare gli Jugoslavi con manifesto maggiore pericolo proprio, non poter bastare ad incuorare un paese all’affrontare volonterosamente un terzo inverno di guerra. Non vedevo come tutto ciò potesse giovare alla giusta e ragionevole causa 127 128 DDI, V, 6, Sforza a Sonnino, 24 ottobre 1916, d. 606 con allegato. DDI, V, 8, Sforza a Sonnino, 16 agosto 1916, d. 869. 36 LUCIANO MONZALI della Serbia, cioè alla ricostituzione del Regno e al suo rinvigorimento compreso l’acquisto di un adeguato sbocco sul mare129. A parere di Pas#ic!, il manifesto-accordo di Corfù aveva avuto una finalità eminentemente propagandistica, «per difendersi contro le lusinghe dell’Austria verso le popolazioni slave con l’offerta di concessione di autonomie». Un accordo fra italiani e serbi era possibile sulle seguenti basi: Col possesso di Trieste e Pola e della metà dell’Istria, di qualche isola, e di Valona l’Italia – a parere del politico serbo – avrebbe assicurato il predominio militare nell’Adriatico, rinforzato pure dalla stretta amicizia e intesa col nuovo Stato creatosi sull’altra sponda130. Pas#ic! era pronto a rinunciare ad alcuni territori nell’Adriatico settentrionale, ma il suo desiderio di un completo controllo della Dalmazia e di spartire l’Albania era in chiaro contrasto con i disegni politici di Sonnino. Il ministro degli Esteri dichiarò inaccettabili le proposte serbe. L’Italia non poteva accettare la soppressione del Montenegro, che avrebbe riaperto la questione di Cattaro e del monte Lovcen, né ogni limitazione ad un completo controllo dell’Istria: le popolazioni slave che sarebbero rimaste comprese nei territori occupati dall’Italia avrebbero goduto di eque garanzie riguardo al rispetto di ogni loro diritto di scuola, di lingua e di godimento di libertà civili e politiche. A parere di Sonnino, un accordo italo-serbo era possibile solo prendendo come base quanto previsto dal patto di Londra, il cui contenuto era ormai noto ai serbi, «salvo magari discuterne poi qualche minore particolare»131. Il dialogo italo-serbo, in realtà, era bloccato dalla non disponibilità delle due parti a fare concessioni politiche e territoriali sostanziali nel corso della guerra, quando l’esito delle operazioni belliche era molto incerto ed ogni sviluppo era ancora possibile. La disfatta militare italiana di Caporetto e il successivo ritiro della Russia dal conflitto, a causa della rivoluzione bolscevica, resero anco- 129 Un resoconto del colloquio in DDI, V, 9, Sonnino a Salvago Raggi, Carlotti, Sforza e Borghese, 10 settembre 1917, d. 31. A tale proposito si veda anche SONNINO, Diario 19161922, cit., p. 190 e ss.; ?EPIC!, Sudbinske Dileme, cit., II, pp. 169-171. 130 Sonnino a Salvago Raggi, Carlotti, Sforza e Borghese, 10 settembre 1917, cit. 131 Ibidem. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 37 ra più dura e spietata la lotta fra Italia e Impero asburgico132. In un tale contesto l’utilità di una collaborazione in chiave anti-asburgica fra italiani, serbi e iugoslavi era ancora più evidente. Sforza continuò ad insistere presso il capo della Consulta affinché si cercasse un’intesa con i serbi. Il 25 dicembre 1917 il diplomatico italiano constatò che Pas#ic! non aveva la forza politica sufficiente per raggiungere un accordo territoriale italo-serbo di compromesso, soddisfacente per gli interessi dell’Italia e quindi passibile di critiche da parte dei nazionalisti serbi e iugoslavi; un’opzione praticabile era piuttosto un accordo generico, con una formula vaga, che «anche se solo constatante l’intenzione di intendersi avrebbe buon effetto, mentre per la sua indeterminatezza stessa potrebbe più facilmente essere accettata da noi e dal Governo serbo»133. Sotto stimolo anche dei principali diplomatici italiani, favorevoli ad un’intesa italo-serba o italo-iugoslava per ragioni di propaganda134, Sonnino accettò l’idea di Sforza e preparò un progetto di formula da inserire in un futuro accordo. Il progetto di accordo prevedeva l’affermazione italiana e serba di volere creare una forte e cordiale collaborazione reciproca e l’enunciazione dei princìpi che animavano la loro lotta contro l’Impero asburgico: Italia e Serbia combattevano «per il trionfo della libertà dei popoli e della giustizia internazionale. Né l’uno né l’altro Stato ispirano la loro azione a concetti imperialistici. Riconoscono entrambi il carattere misto delle popolazioni della riva orientale dell’Adriatico ove si trovano territori abitati da slavi e centri italiani di alto valore economico e storico. Il desiderabile accordo fra i due Paesi non può quindi ispirarsi che a concetti concilianti ed alla necessità di sacrifici e concessioni reciproche»135. Di fatto però il progetto di accordo italo-serbo non ebbe traduzione concreta. Il discorso di Lloyd George del 5 gennaio 1918 e i quattordici punti di Wilson convinsero Sonnino dell’inutilità di ogni intesa separata italo-serba in un momento in cui Gran Bretagna e Stati Uniti sembravano mettere in discussione le clausole territoriali previste dal patto di Londra. Alla fine del 1917 la diplomazia sovietica aveva messo in grave imbarazzo i governi dell’Intesa e gli Stati Uniti, entrati nel conflitto mondiale a fianco dell’Intesa nell’aprile 1917, con la sconfessione dei trattati con- 132 Al riguardo: RICCARDI, Alleati non amici, cit., p. 543 e ss. DDI, V, 9, Sforza a Sonnino, 25 dicembre 1917, d. 802. 134 SONNINO, Carteggio 1916-1922, cit., Macchi di Cellere a Sonnino, 11 dicembre 1917, d. 241; ivi, Bonin Longare a Sonnino, 24 dicembre 1917, d. 243. 135 DDI, V, 9, Sonnino a Sforza, 28 dicembre 1917, d. 819. 133 38 LUCIANO MONZALI clusi dalla Russia imperiale e la divulgazione del loro contenuto, e con l’invocazione di una pace immediata senza conquiste e sulla base dei princìpi di autodeterminazione dei popoli. Gran Bretagna e Stati Uniti ritennero di dover reagire a questa offensiva politica spiegando pubblicamente i propri obiettivi di guerra136. Il 5 gennaio 1918 il primo ministro Lloyd George espresse il punto di vista britannico sulla futura pace in un discorso al Congresso delle Trade Unions. Egli dichiarò che la dissoluzione dell’Austria-Ungheria non era fra gli obiettivi di guerra del suo governo, che chiedeva piuttosto autonomia su basi democratiche per i popoli asburgici. Lloyd George, poi, considerò essere fra le richieste vitali da soddisfare la semplice unione degli cittadini austriaci di “razza” e “lingua” italiane all’Italia137. L’8 gennaio 1918 pure il presidente statunitense Woodrow Wilson espresse il suo punto di vista, in larga parte coincidente con quello di Lloyd George, e definì in 14 punti le future condizioni di pace: in particolare prevedeva la sopravvivenza dell’Austria-Ungheria, purché concedesse maggiore autonomia ai suoi vari popoli, e affermava il diritto dell’Italia a ridefinire i suoi confini purché lungo le linee di nazionalità chiaramente riconoscibili138. Le tesi di Lloyd George e Wilson sembravano sconfessare la legittimità della rivendicazione italiana sulla Dalmazia, motivata da ragioni prevalentemente strategiche e non difendibile sulla base del principio di nazionalità, poiché gli italiani dalmati erano una minoranza rispetto alla popolazione croata e serba. Il discorso di Lloyd George e il messaggio di Wilson irritarono fortemente il governo di Roma139. L’8 gennaio Sonnino si lamentò con Rodd, ambasciatore britannico a Roma, che Lloyd George, in un discorso pubblico e senza preventiva consultazione con Roma, avesse 136 Al riguardo: ARNO MAYER, Political Origins of the New Diplomacy 1917-1918, New York, 1970 (prima ed. 1959), p. 245 e ss.; ZEMAN, A Diplomatic History of the First World War, cit., p. 246 e ss. 137 MAYER, Political Origins of the New Diplomacy, cit., p. 313 e ss.; CALDER, Britain and the Origins of the New Europe, cit., p. 125 e ss.; MAY, op. cit., II, pp. 573-74; ZEMAN, A Diplomatic History of the First World War, cit., p. 262 e ss. 138 DDI, V, 10, dd. 60 e 71. Per un’interpretazione dei quattordici punti nella politica estera di Wilson: MAMATEY, The United States and East Central Europe, cit.; ARTHUR A LINK, Wilson the Diplomatist. A Look at His Major Foreign Policies, Baltimore, 1957, p. 3 e ss.; MAYER, Political Origins of the New Diplomacy, cit.; LAWRENCE E. GELFAND, The Inquiry. American Preparations for Peace, 1917-1919, New Haven-London, 1963, p. 134 e ss.; JEANBAPTISTE DUROSELLE, De Wilson à Roosevelt. Politique extérieure des États Unis 1913-1945, Paris, 1960 (edizione italiana Bologna 1963), pp. 94-95. 139 RICCARDI, Alleati non amici, cit., p. 599. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 39 buttato a mare «tutti i nostri fini di guerra (come convenuti con gli alleati nella convenzione di Londra o posteriormente) con la sola eccezione dei puri territori abitati da popolazione di razza e di lingua italiana». Con ciò fa in certo modo riserva anche sull’Istria, nonché sulla Dalmazia, ecc. Della difesa dell’Adriatico e garanzie della nostra sicurezza. Accenna a convenzioni particolari, ma dichiarandole rivedibili e riducibili. […] In sostanza mantiene intatte le aspirazioni anglo-francesi e reseca soltanto sul programma nostro, che era convenuto e che è programma di vita di sicurezza e di equilibrio. Se la guerra andasse male, tutti gli alleati dovrebbero ridurre le loro aspirazioni; ma non noi soli, che siamo entrati in guerra volontariamente con condizioni chiaramente stabilite e convenute140. Pure il messaggio di Wilson contraddiceva i fini di guerra dell’Italia e di ciò il ministro si lamentò con l’ambasciatore italiano a Washington, Macchi di Cellere. Secondo Sonnino, affermare che la sistemazione delle frontiere dell’Italia avrebbe dovuto effettuarsi dopo la fine della guerra secondo linee di nazionalità chiaramente riconoscibili era erroneo e fuorviante. Non v’è dubbio che nelle regioni confinanti col Regno d’Italia siano chiaramente riconoscibili le linee di nazionalità. Ma non deve essere trascurato il fatto che in altre regioni la popolazione è di carattere misto d’italiani con slavi e con tedeschi e che pertanto una delimitazione equa non potrebbe aver luogo se non sulla base di mutue concessioni e di reciproci sacrifici. Il presidente Wilson sembra far consistere le rivendicazioni italiane unicamente nell’aspetto etnico mentre ve ne sono altre il cui fondamento giuridico è egualmente incontestabile. Anzitutto vi è la questione adriatica che per l’Italia significa legittima sicurezza di esistenza141. Le rivendicazioni italiane nell’Adriatico e nel Mediterraneo, a parere del ministro degli Esteri, erano dovute a irrinunciabili bisogni di sicurezza, difesa e indipendenza dello Stato italiano e corrispondevano ai valori di libertà, giustizia e democrazia che ispiravano la diplomazia statunitense142. 140 DDI, V, 10, Sonnino a Imperiali, 9 gennaio 1918, d. 61; SONNINO, Diario 1916-1922, cit., p. 250. 141 DDI, V, 10, Sonnino a Macchi di Cellere, Imperiali e Bonin Longare, 10 gennaio 1918, d. 69. 142 Ibidem. Si veda anche: DDI, V, 10, Sonnino a Macchi di Cellere, Imperiali e Bonin 40 LUCIANO MONZALI I discorsi di Lloyd George e Wilson, con il sostanziale preannuncio della volontà alleata di sottoporre il patto di Londra ad una revisione riducendo l’ampiezza delle rivendicazioni italiane, inflissero un colpo durissimo alle direttive diplomatiche di Sonnino, che aveva puntato tutto sulla creazione di un’alleanza sincera e duratura con l’Intesa per giustificare l’intervento italiano in guerra e il rifiuto di un accordo di compromesso con l’Impero asburgico, sostenuto dagli ambienti vaticani e da Nitti143. All’inizio del 1918 era ormai chiaro che il calcolo del ministro degli Esteri si era rivelato errato e troppo ottimistico: gli anglo-francesi e gli statunitensi sfruttavano l’indebolimento della posizione militare e politica dell’Italia in Europa dopo Caporetto e l’armistizio russo per cercare di sottoporre a revisione unilaterale gli accordi conclusi con l’alleato italiano. Sonnino, profondamente amareggiato dal comportamento alleato, si dimostrò incapace di proporre una efficace risposta politica e diplomatica alle iniziative degli anglo-francesi e degli statunitensi. A partire dal 1918 la strategia diplomatica del ministro degli Esteri fu puramente difensiva: si limitò a sperare in una rapida fine vittoriosa della guerra cercando di preservare sul piano giuridico e diplomatico il valore degli accordi internazionali conclusi dall’Italia con le potenze dell’Intesa144. Sul piano della questione adriatica ciò si tradusse in un abbandono di ogni iniziativa per un accordo politico separato italo-serbo o italo-iugoslavo da parte della Consulta. A parere di Sonnino, un accordo con gli iugoslavi sarebbe stato utile come risposta propagandistica alle accuse di imperialismo e di antidemocraticismo rivolte alla politica estera italiana. Ma, a suo avviso, serbi e iugoslavi non erano affidabili e credibili come interlocutori. È però evidente che qualunque trattativa iniziata sopra basi indeterminate servirebbe agli agitatori jugoslavi alcuni dei quali sono certamente in mala fede, per legare il Governo italiano a importanti rinuncie nella questione adriatica, senza legare i jugoslavi medesimi, i quali, al momento opportuno, Longare, 23 gennaio 1918, d. 129; MAMATEY, The United States and East Central Europe, cit., p. 197 e ss.; LILIANA SAIU, Stati Uniti e Italia nella Grande Guerra 1914-1918, Firenze, 2003, p. 168 e ss. Sulle relazioni italo-statunitensi in quei mesi si vedano anche: DANIELA ROSSINI, L’America riscopre l’Italia, Roma, 1992; AMY A. BERNARDY, VITTORIO FALORSI, La questione adriatica vista d’oltre Atlantico (1917-1919). Ricordi e documenti, Bologna, 1923. 143 ALBERTO MONTICONE, Nitti e la grande guerra (1914-1918), Milano, 1961, p. 100 e ss.; ANTONIO SCOTTÀ (a cura di), La conciliazione ufficiosa. Diario del barone Carlo Monti “incaricato d’affari” del governo italiano presso la Santa Sede (1914-1922), Città del Vaticano, 1997, II, p. 155 e ss. 144 TAMBORRA, L’idea di nazionalità e la guerra 1914-1918, cit. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 41 eleverebbero ulteriori ed esagerate pretese conformemente ai loro postulati generali145. Altro rischio per l’Italia in ogni accordo separato con gli iugoslavi o i serbi era quello di mettere in discussione il patto di Londra, indebolendone il valore giuridico e politico. Qualunque intesa coi jugoslavi sulla base di riduzione del nostro programma iniziale di guerra, sarebbe necessariamente invocata dagli alleati come un «fatto compiuto» dal quale risulti una diminuzione degli obblighi da essi formalmente contratti verso l’Italia. Ma è evidente che se a tale estremità fossimo costretti dalle circostanze, cioè di liberare gli alleati da una parte dei loro obblighi verso l’Italia, ciò non deve avvenire altro che in seguito a negoziati nostri con gli alleati, dai quali potremmo pretendere ed ottenere vantaggi in cambio del notevole vantaggio ad essi offerto (per esempio, garanzia più o meno formale degli Stati Uniti). Pertanto una presente nostra intesa coi jugoslavi su base di nostre rinuncie comprometterebbe gravemente il negoziato per la revisione degli accordi con gli alleati, quando, eventualmente, a tale revisione si decidesse di addivenire146. L’unica forma d’intesa possibile con gli iugoslavi e i serbi poteva consistere nell’unilaterale accettazione integrale dei postulati di guerra dell’Italia da parte del governo serbo o del Comitato iugoslavo di Londra. Era questa un’ipotesi irrealizzabile e, non a caso, questo telegramma del 31 gennaio 1918 segnò la definitiva assunzione di una strategia puramente difensiva da parte di Sonnino nella questione adriatica. Da quel momento il capo della Consulta rinunciò definitivamente ad ogni progetto di accordo con il governo serbo, auspicato da Sforza, e cercò, senza successo, di ostacolare il negoziato ufficioso con il Comitato iugoslavo di Londra condotto, con il beneplacito di Orlando, da Torre, Emanuel e dal gruppo legato a Luigi Albertini. Come abbiamo notato, il crollo del regime zarista in Russia nel marzo e la progressiva crisi della partecipazione russa alla guerra – con il colpo di Stato bolscevico del novembre e la successiva pace separata sancita a Brest Litowsk nel marzo 1918 – furono un colpo durissimo per l’Italia147. Il ritiro della Russia dalla guerra provocò il ve145 DDI, V, 10, Sonnino a Imperiali, Bonin, Macchi di Cellere e Sforza, 31 gennaio 1918, d. 169. 146 147 Ibidem. PETRACCHI, La Russia rivoluzionaria, cit., p. 49 e ss. 42 LUCIANO MONZALI nire meno di quel secondo fronte che aveva consentito l’alleggerimento dello sforzo bellico italiano con la sottrazione di molte forze asburgiche dalle Alpi. La scomparsa della Russia come elemento politico internazionale, poi, provocò un indebolimento diplomatico dell’Italia, che da sempre vedeva con favore l’esistenza di un forte Stato russo in quanto garanzia di equilibrio in Europa. Questi mutamenti misero in crisi la strategia diplomatica di Sonnino, che non aveva previsto il crollo dell’impero russo e che quindi vedeva svanire la possibilità di quell’equilibrio tra le potenze, condizione indispensabile per fare valere il peso politico dell’Italia. L’aggravarsi delle difficoltà militari italiane nel corso del 1917, che dovevano culminare nella sconfitta di Caporetto, faceva prevedere crescenti problemi per l’Italia sul piano del completo soddisfacimento delle proprie rivendicazioni territoriali. Gli sviluppi sfavorevoli della guerra e l’incapacità di Sonnino di rispondere in maniera flessibile alle nuove sfide con cui l’Italia si trovò a confrontarsi alla fine del 1917, portarono ad una progressiva perdita del controllo della politica estera italiana da parte del ministro degli Esteri. Nominato presidente del Consiglio nell’ottobre 1917, Vittorio Emanuele Orlando cominciò a prendere autonome iniziative in campo internazionale e a delineare un approccio alternativo a quello di Sonnino proprio nella questione adriatica148. Timoroso sui possibili esiti della guerra, Orlando ruppe con la politica di Sonnino di rifiuto intransigente di ogni progetto di pace separata ed autorizzò Nitti a prendere contatto con la Santa Sede per sondare la disponibilità asburgica ad una pace con l’Italia149. Contemporaneamente, maggiormente attento alle esigenze della propaganda e dell’opinione pubblica, il presidente del Consiglio accettò di assecondare le iniziative di “diplomazia informale” escogitate dal gruppo di politici e giornalisti che si raccoglieva intorno al senatore Luigi Albertini, direttore del «Corriere della Sera»150. A parere di Luigi Albertini, l’Italia non poteva limitar- 148 Sulla figura di Orlando e la sua azione come presidente del Consiglio dopo Caporetto: VITTORIO EMANUELE ORLANDO, Memorie 1915-1919, Milano, 1960, p. 71 e ss.; OLINDO MALAGODI, Conversazioni della guerra 1914-1919, Milano-Napoli, 1960, II, p. 251 e ss. 149 MONTICONE, Nitti e la grande guerra, cit., p. 255 e ss. Sull’atteggiamento vaticano verso il governo di Roma nel 1918: SCOTTÀ (a cura di), La conciliazione ufficiosa, cit., II, p. 237 e ss. 150 Sul ruolo di Luigi Albertini nella genesi della politica delle nazionalità: ALBERTINI, Venti anni di vita politica, cit., II, 3, p. 233 e ss.; ID., Epistolario 1911-1926, Milano, 1968, vol. II; BARIÉ, Luigi Albertini, cit., p. 340 e ss.; VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., p. 332 e ss.; TAMBORRA, L’idea di nazionalità, cit.; VIVARELLI, Storia delle origini GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 43 si a perseguire esclusivamente i suoi obiettivi territoriali, ma doveva giustificare la propria partecipazione alla guerra sulla base di princìpi e idee più generali, mirando a creare un nuovo ordine internazionale fondato sul principio di nazionalità: di fronte alla crescente minaccia austro-ungarica bisognava reagire facendo proprio «il programma delle nazionalità», invocando «l’applicazione doverosa del principio nazionale a favore dei Romeni, degli Ucraini, dei Polacchi, degli Czeco-Slovacchi, dei Jugoslavi e degli Italiani sottoposti al giogo degli Asburgo», mirando alla dissoluzione dell’Impero asburgico151. Secondo Albertini, senza un’intesa politica e territoriale con gli iugoslavi, che mostrasse la disponibilità dell’Italia a trovare una ragionevole applicazione delle proprie rivendicazioni in parte almeno sulla base del principio di nazionalità, la pretesa italiana di guidare il movimento delle nazionalità oppresse non sarebbe stata credibile. Era interesse dell’Italia la formazione di uno Stato iugoslavo unitario, che sarebbe stato una minaccia ben minore dell’Impero asburgico. Più che un vero accordo territoriale con la futura Iugoslavia l’obiettivo primario che perseguiva il direttore del «Corriere della Sera» era il successo di propaganda che una politica di amicizia con gli slavi del sud poteva garantire. Insomma, così come i governi britannico e francese, Albertini desiderava strumentalizzare la politica delle nazionalità a vantaggio dei fini di guerra dell’Italia, per facilitare al massimo la vittoria militare contro l’Austria-Ungheria e aumentare il peso internazionale del nostro Paese. L’azione di Albertini ebbe una netta accelerazione dopo il tracollo militare di Caporetto alla fine di ottobre. Di fronte alla crisi militare sul fronte italiano, allo svilupparsi di negoziati segreti fra francesi, britannici, americani ed emissari asburgici, e al crescere della disponibilità dei governi di Washington e Londra ad una pace moderata con l’Austria-Ungheria152, era urgente per l’Italia reagire sul piano politico. Gli sviluppi politici della fine del 1917 e dell’inizio del 1918 facevano temere pure ai nazionalisti iugoslavi il possibile abbandono da parte dell’Intesa del sostegno ai loro progetti indipendentistici153: diventava utile un riavvicinamento con l’Italia in del fascismo, cit., I, p. 196 e ss.; MONZALI, Introduzione, in ALBERTINI, I giorni di un liberale, cit., p. 157 e ss. 151 ALBERTINI, Venti anni di vita politica, cit., II, 3, pp. 233-34. 152 Un’ottima analisi degli eventi diplomatici di quei mesi in: MAMATEY, The United States and East Central Europe, cit., p. 153 e ss. 153 Ivi, p. 209 e ss. 44 LUCIANO MONZALI nome della lotta contro il nemico comune, l’Impero asburgico. Con il sostegno di Albertini e la mediazione di Steed e Seton-Watson, alla fine di dicembre vennero iniziati contatti a Londra tra esponenti politici italiani (il generale Mola, Guglielmo Emanuel) e rappresentanti del Comitato iugoslavo (Trumbic!, Gazzari), che proseguirono nei primi mesi del 1918 e portarono ad un progetto d’intesa (l’accordo TorreTrumbic! del 7 marzo 1918), generica enunciazione dei princìpi che avrebbero dovuto regolare la soluzione delle controversie italo-iugoslave154. Va sottolineato che Albertini e i suoi collaboratori non chiedevano la revisione o l’abolizione del patto di Londra, poiché, notò il direttore del «Corriere», «sia esso patto perfetto o imperfetto, non rappresenta meno la carta delle nostre rivendicazioni approvate dagli Alleati»155, ovvero era un utile strumento negoziale di fronte agli anglo-francesi. Se il senatore chiedeva l’applicazione del principio di nazionalità nell’Europa danubiana, non ne domandava una rigida attuazione riguardo a tutti i confini italiani, ma solo in Dalmazia; egli era a favore dell’annessione italiana dell’Alto Adige, dell’Alto Isonzo, dell’Istria orientale, di Zara e di una serie di isole dalmate importanti strategicamente. Il presidente del Consiglio Orlando assecondò e appoggiò le iniziative del gruppo di Albertini, accettando d’incontrare Trumbic! a Londra e facendo in modo che il direttore del «Corriere» potesse organizzare in Italia un convegno pubblico che avrebbe radunato numerosi rappresentanti politici dei popoli oppressi dell’AustriaUngheria e proclamato il sostegno italiano alle loro lotte di emancipazione nazionale156. L’iniziativa ebbe successo e tra l’8 e il 10 aprile 1918 si tenne a Roma il Congresso dei popoli oppressi, al quale parteciparono numerose personalità italiane e iugoslave e molti esuli anti-asburgici, che adottò varie risoluzioni le quali sancivano la necessità di continuare la guerra contro l’Austria-Ungheria al fine di liberare le nazionalità dominate dal potere asburgico. Nonostante i tentativi di Salvemini e Silva, non venne raggiunto alcun preciso accordo politico e territoriale con gli iugoslavi, non disposti a riconoscere for- 154 VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., p. 332 e ss.; ?EPIC!, Sudbinske Dileme, cit., II, p. 281 e ss. 155 [LUIGI ALBERTINI], Parole e Ragioni, «Corriere della Sera», 23 agosto 1918. 156 VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., p. 348; ?EPIC!, Sudbinske Dileme, cit., II, p. 299 e ss.; DDI, V, 10, dd. 249, 258, 267. Un punto di vista nazionalista sulla politica delle nazionalità perseguita da Albertini e Salvemini: ATTILIO TAMARO, Il patto di Roma, «Politica», 1922, f. 39, pp. 306-321; ivi, 1923, ff. 40-41, pp. 94-121. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 45 malmente il dominio italiano sull’Istria e Trieste in cambio della rinuncia dell’Italia alla Dalmazia157. Lo stesso Salvemini constatò personalmente in un lungo colloquio con Trumbic! la profonda diversità di vedute esistenti fra gli interventisti democratici italiani e i nazionalisti iugoslavi. Secondo Trumbich – rilevò Salvemini – sarebbe giusto che tutto l’Adriatico Orientale, da Duino ad Antivari appartenesse alla Slavia. Tutta l’Istria, e il Goriziano cominciando dalle porte di Gorizia, forse anche Trieste e Gorizia, sono terre slave, in cui vivono italiani, i quali nel suo pensiero probabilmente non sono che slavi italianizzati e rinnegati. Però riconosce la necessità di certi sacrifizi: e questo termine, in un procedurista come lui, significa che quel che gli alleati assegnerebbero all’Italia, sarebbe carne viva della Jugoslavia. Che questo sia il suo pensiero mi pare evidente158. Anche se non si raggiunse un accordo politico-territoriale italo-iugoslavo, il Congresso di Roma fu un grande successo propagandistico. Vittorio Emanuele Orlando mostrò pubblicamente il suo sostegno alla collaborazione italo-iugoslava ricevendo l’intera delegazione iugoslava dopo la chiusura del Congresso. L’atteggiamento di Sonnino, invece, fu di freddo distacco. L’ostilità del ministro degli Esteri verso la collaborazione con gli esuli iugoslavi e circa l’idea di fare della dissoluzione dell’Austria-Ungheria uno dei principali fini di guerra dell’Intesa, radicalizzò il contrasto fra Sonnino e gli ambienti politici e giornalistici vicini ad Albertini e a Bissolati, che esplose ripetutamente nei mesi successivi159. Di fatto, però, la politica delle nazionalità e il Congresso di Roma furono un importante momento di svolta politica, in quanto costituirono il primo deciso segnale dell’irrigidimento dell’atteggiamento dell’Intesa e degli Stati Uniti verso l’Impero asburgico – provocato soprattutto dalla ripresa dell’offensiva militare tedesca sul fronte francese con il sostegno di truppe asburgiche e dall’inetta diplomazia di Carlo II e di Czernin, incapaci di dare concretez- 157 APIH, Gaetano Salvemini e il problema adriatico, cit., p. 104 e ss.; VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., p. 363. 158 [GAETANO SALVEMINI], Impressioni sintetiche sui colloqui avuti col Dottor Trumbich, allegato a Miller a Seton-Watson, 14 aprile 1918, in R.W. Seton-Watson and the Yugoslavs, cit., I, d. 216. 159 Una sintesi di questa polemica in LUIGI ALBERTINI, Venti anni, cit., parte seconda, III, p. 358 ss. Si veda pure GIOVANNI AMENDOLA, La crisi dello Stato liberale, a cura di Elio D’Auria, Roma, Newton Compton, 1974. 46 LUCIANO MONZALI za ai negoziati segreti con gli occidentali – con il rafforzarsi del sostegno verso il programma della dissoluzione dell’Austria-Ungheria. Le iniziative propagandistiche di Lloyd George e di Wilson, l’indebolimento della posizione di Sonnino e il delinearsi della politica delle nazionalità crearono grande preoccupazione negli esuli dalmati italiani. Il 12 gennaio 1918 ventidue esuli dalmati, capitanati da Ghiglianovich, inviarono un memoriale a Sonnino, nel quale lodarono il governo italiano per avere previsto nel patto di Londra la futura annessione di parte della Dalmazia all’Italia160. I recenti discorsi e messaggi di Wilson e Lloyd George, però, avevano aumentato la loro preoccupazione. Da queste manifestazioni non solo risulta che l’Inghilterra e gli Stati Uniti non tendono allo smembramento dell’Austria-Ungheria o ad una considerevole diminuzione del suo territorio, ma che anche riguardo ai limiti delle rivendicazioni italiane possa essere subentrato nei Governi inglese ed americano un criterio restrittivo che intaccherebbe gli accordi presi161. I dalmati invitarono Sonnino a non rinunciare al programma previsto dal patto di Londra; anzi bisognava cercare di annettere all’Italia anche Spalato, mentre Ragusa sarebbe potuta tornare ad essere una libera repubblica indipendente. L’unione della Dalmazia alla Serbia o ad una grande Iugoslavia era un’ipotesi che spaventava i dalmati italiani. La Dalmazia […] anche nelle sue parti di lingua prevalentemente slave, nulla ha di comune coi paesi slavi nel cui nesso alcune correnti vorrebbero inglobarla. La bimillenaria civiltà latina autoctona italiana, elevandole, ha fatto anche di queste parti qualcosa di speciale e caratteristico. Unire queste parti di Dalmazia ad uno Stato serbo o jugoslavo od abbandonarle all’Austria, significherebbe l’eliminazione a breve scadenza di ogni traccia di italica civiltà nelle parti stesse, la distruzione del rigoglioso elemento italiano che le abita, le dà vita civile, impulso e progresso. […] Sarebbe una tremenda illusione di supporre che, pur vincolati da trattati internazionali, la Serbia od il nuovo Stato jugoslavo o l’Austria rispetterebbero nelle parti della Dalmazia, che venissero loro assegnate, […] le tradizioni, la civiltà e la lingua d’Italia. Nazioni di coltura inferiore, gelose e diffidenti ed istintivamente sopraffat- 160 BS, Carte Ghiglianovich, b. B, Ghiglianovich e Dudan a Sonnino, 12 gennaio 1918, minuta. 161 Ibidem. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 47 trici di popolazioni di diversa nazionalità loro soggette, continuerebbero, con minore ipocrisia dell’Austria, ma con uguale violenza, i metodi austriaci della più brutale snazionalizzazione. I trattati sarebbero per i nuovi dominatori meno ancora di pezzi di carta162. In quei mesi gli esuli dalmati intensificarono la loro attività di propaganda e di contatti politici per spingere il governo di Roma a mantenere inalterato il programma di conquista in Dalmazia e a considerare con maggiore attenzione il problema di Spalato163. La posizione degli esuli dalmati, però, confliggeva con la nuova politica delle nazionalità propugnata da Bissolati, Albertini e Salvemini, mirante al raggiungimento dell’accordo con serbi e iugoslavi su un futuro assetto adriatico più compatibile con il principio di nazionalità, con la rinuncia alla Dalmazia continentale (eccetto Zara) in cambio del riconoscimento iugoslavo del dominio italiano su tutta la Venezia Giulia inclusa nella linea Monte Nevoso-Monte Maggiore. In una lettera a Salandra Ghiglianovich spiegò la sua posizione di fronte alla politica delle nazionalità propugnata da Luigi Albertini. Noi siamo d’accordo col «Corriere» che la completa rivendicazione da parte dell’Italia delle sue terre irredente presuppone un colpo mortale all’Austria; siamo pienamente d’accordo che occorre persuadere i nostri alleati della necessità di infierire all’Austria questo colpo non solo per raggiungere le nostre aspirazioni ma anche per eliminare uno Stato che, sopravvivendo all’attuale conflitto, sarebbe sempre la base perché la Germania possa perseverare nei suoi scopi imperialisti mondiali; siamo d’accordo che l’Italia deve cercare di avere in questa azione anche la collaborazione degli altri popoli dell’Austria, nettamente antiaustriaci, e quindi anche degli Jugoslavi – se tali realmente essi sono; ma riteniamo che sarebbe un delittuoso errore regalare agli Jugoslavi, per avere la loro collaborazione (?), anche quel poco di Dalmazia che all’Italia venne garantita col patto di Londra164. Secondo Ghiglianovich, la rinuncia alla Dalmazia non avrebbe sod162 Ibidem. Al riguardo: BS, Carte Ghiglianovich, b. B, telegramma di Ghiglianovich, Dudan, Difnico ed altri esuli a Orlando e Sonnino, s.d. (ma febbraio 1918); ASMAE, ARC POL 19151918, b. 70, Colonna di Cesarò, Scodnik, Ghiglianovich ed altri firmatari a Orlando, 14 gennaio 1918; «Il manifesto dei Dalmati», in «Bollettino del Comitato centrale di propaganda per l’Adriatico italiano», 30 aprile 1918, nn. 16-18, p. 10. 164 BS, Carte Ghiglianovich, b. B, Ghiglianovich ad anonimo (ma Antonio Salandra), 2 febbraio 1918, (lettera in parte edita in RANDI, Il Sen. Roberto Ghiglianovich, cit., 1967, n. 3, p. 37). 163 48 LUCIANO MONZALI disfatto le rivendicazioni iugoslave, ma le avrebbe alimentate. Gli iugoslavi aspiravano anche al controllo dell’Istria, di Trieste, di Gorizia e dei territori slavi della provincia di Udine, tutte terre dove vi era un elemento slavo. Una loro rinunzia a queste terre, se oggi fatta in corrispettivo della ulteriore parte di Dalmazia, cui agognano, non sarebbe quindi certamente sincera, né li potrebbe vincolare per l’avvenire. […] Ed appunto perché gli Jugoslavi non rinunzieranno mai alle loro aspirazioni sulla Venezia Giulia e, più forti che saranno, queste loro pretese si intensificheranno – ed il possesso della Dalmazia li farebbe fortissimi – è inevitabile, poiché fatale, il futuro conflitto italo-jugoslavo nell’Adriatico165. Per cercare di reagire alla loro crescente marginalizzazione politica, gli esuli dalmati, insieme a quelli trentini, giuliani e fiumani, pensarono di fondare un’organizzazione politica degli irredenti, «L’Associazione Politica fra gli Italiani Irredenti», che si costituì il 7 aprile 1918. Ma tale associazione non riuscì a rappresentare unitariamente il mondo politico degli esuli italiani provenienti dall’Austria-Ungheria. Il problema dell’atteggiamento da assumere verso la politica di dialogo con gli iugoslavi sostenuta da Bissolati e Albertini creò divisioni e dissensi in seno all’irredentismo giuliano e trentino e pure fra gli esuli della Dalmazia. Ludovico Milcovich, che era stato per anni un esponente di rilievo del partito autonomo-italiano a Zara, contestò la linea di Ghiglianovich, ostile alla politica delle nazionalità e intransigente nella difesa del patto di Londra, e preferì aderire ad un’associazione d’orientamento liberale-progressista, la «Democrazia Sociale Irredenta», sorta nel gennaio 1918166. Milcovich e i dalmati italiani in seno alla «Democrazia Sociale Irredenta» appoggiarono la politica di compromesso con gli iugoslavi sulla base dell’idea di applicare il principio di nazionalità come criterio per la definizione dei nuovi confini nelle terre adriatiche: da qui l’idea di difendere il diritto dell’unica città dalmata a maggioranza italiana, Zara, di essere unita all’Italia, mentre il resto della Dalmazia sarebbe passato allo Stato iugoslavo167. 165 Ibidem. Sui dissidi interni al mondo degli esuli fra 1917 e 1918: MONTELEONE, op. cit.; RICCARDI, Francesco Salata, cit., p. 153 e ss. 167 Sulle posizioni di Milcovich si veda un suo discorso riprodotto in RANDI, Il Sen. Roberto Ghiglianovich, cit., 1967, n. 3, pp. 48-50. 166 GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 49 La stessa «Democrazia Sociale Irredenta» inserì fra i suoi obiettivi il diritto di Zara ad essere annessa all’Italia e l’esigenza di garanzie «di esistenza e di sviluppo nazionale» per i gruppi nazionali italiani di Dalmazia che sarebbero stati inclusi nel futuro Stato iugoslavo168. Questa spaccatura nell’irredentismo dalmata – con Milcovich rappresentante di una minoranza in contrapposizione a Ghiglianovich e Dudan, che esprimevano le posizioni maggioritarie in seno agli esuli – si manifestò anche in occasione del Congresso delle Nazionalità organizzato a Roma nell’aprile 1918. Milcovich e la «Democrazia Sociale» accettarono il contenuto del patto Torre-Trumbic! e aderirono al programma del Congresso, mentre Ghiglianovich ed il suo gruppo contestarono la politica di accordo con gli iugoslavi. In una lettera ad Orlando del 28 aprile, Ghiglianovich criticò le posizioni della «corrente jugoslavofila» in Italia. La jugoslavofilia che c’è ora in Italia fa dimenticare completamente il programma strategico-militare italiano nell’Adriatico. La soluzione di questo problema, per cui l’Italia è scesa anche in guerra, lo si finisce col mettere da parte: quasi che il patto Torre-Trumbic di rinunzie, perlomeno spirituali, dell’Italia ad ogni parte della Dalmazia vincolasse la futura Jugoslavia ad una eterna alleanza con l’Italia e a non riflettere mai più all’Istria, a Trieste, al Friuli orientale!169. Il politico dalmata invitò il presidente del Consiglio a bloccare queste tendenze autolesioniste e a non rinunciare al programma dell’applicazione del patto di Londra, solo mezzo per una giusta soluzione della questione adriatica170. Negli ultimi mesi della guerra, quindi, gli esuli dalmati italiani si trovarono in una posizione di parziale isolamento a causa della loro opposizione alla politica delle nazionalità e alla collaborazione con il Comitato iugoslavo di Londra. Scelta quasi obbligata per loro fu il sostegno alle posizioni di Sonnino, incentrate sulla difesa del valore del patto di Londra e della rivendicazione della Dalmazia. 168 MONTELEONE, op. cit., p. 116. BS, Carte Ghiglianovich, b. B, Ghiglianovich a Orlando, 28 aprile 1918 (lettera in parte edita in RANDI, Il Sen. Roberto Ghiglianovich, cit., 1967, n. 4, pp. 71-72). 170 Ibidem. 169 50 LUCIANO MONZALI 1.3. Un difficile dopoguerra. L’occupazione italiana della Dalmazia settentrionale Gli eventi militari della primavera e dell’estate 1918 si rivelarono decisivi per i destini dell’Impero asburgico. Il fallimento dell’offensiva sul fronte italiano nel giugno, la terribile carestia che affamava le popolazioni dell’Impero, il divampare dei nazionalismi secessionisti, indebolirono fatalmente l’Austria-Ungheria171. Il ritiro della Bulgaria dalla guerra alla fine di settembre aggravò la situazione militare dello Stato austro-ungarico. Il potere centrale divenne sempre più vacuo e debole. Di fronte alla crisi, il 16 ottobre, desideroso di accattivarsi la benevolenza degli Stati Uniti e di riuscire a negoziare un armistizio favorevole, l’imperatore Carlo annunciò con un proclama che la parte austriaca dell’Impero sarebbe stata riorganizzata in una comunità federale di Stati nazionali. Ma era ormai troppo tardi per riformare lo Stato e frenare il processo di disintegrazione; il proclama imperiale, anzi, accelerò le spinte secessionistiche. Nel corso di ottobre nelle varie regioni dell’Impero si costituirono autorità politiche indipendentiste. A Zagabria si formò un Consiglio Nazionale iugoslavo che, il 29 ottobre 1918, proclamò il distacco della Croazia dal Regno d’Ungheria ed assunse il governo di tutti i territori abitati da slavi del sud già appartenenti all’Impero asburgico (Croazia-Slavonia, BosniaErzegovina, Dalmazia e Istria), in attesa dell’unione con la Serbia172. Nelle settimane successive si ebbero negoziati fra il Consiglio Nazionale di Zagabria, il governo di Belgrado e il Comitato iugoslavo di Londra, che portarono alla proclamazione del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (SHS), guidato dalla dinastia Karadjordjevic! e con un’amministrazione centralizzata, il 1° dicembre173. 171 MAY, op. cit., II, p. 716 e ss.; ?EPIC!, Sudbinske Dileme, cit., III, p. 7 e ss.; EDMUND GLAISE HORSTENAU, Il crollo di un Impero, Milano, 1935, p. 196 e ss.; BIONDICH, op. cit., p. 132 e ss. 172 MAY, op. cit., II, p. 779 e ss.; ?EPIC!, Sudbinske Dileme, cit., III, p. 109 e ss.; HORSTENAU, op. cit., p. 318 e ss. 173 Sugli eventi politici nei territori iugoslavi dell’Austria-Ungheria nel 1918 e sulla costituzione e i primi mesi di vita del Regno SHS: BOGDAN KRIZMAN, Hrvatska u prvom svjetskom ratu. Hrvatsko-srpski politic#ki odnosi, Zagreb, 1989; IVO J. LEDERER, La Jugoslavia dalla conferenza della pace al trattato di Rapallo 1919-1920, Milano, 1966, pp. 57-67; JOZE# PIRJEVEC, Il giorno di San Vito. Jugoslavia 1918-1992. Storia di una tragedia, Torino, 1993, p. 15 e ss.; ALEKSANDAR JAKIR, Dalmatien zwischen den Weltkriegen. Agrarische und urbane Lebenswelt und das Scheitern der jugoslawischen Integration, München, 1999, p. 86 e ss.; JOHN R. LAMPE, Yugoslavia as History. Twice there was a Country, Cambridge, 2000, p. 101 GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 51 A partire dall’ottobre 1918 il Consiglio Nazionale di Zagabria rivendicò il controllo e la sovranità sulla Dalmazia: creò un governo regionale provvisorio per la Dalmazia con sede a Spalato, il quale il 30 ottobre assunse la gestione degli affari della provincia. Nelle città dalmate si costituirono comitati iugoslavi dipendenti da Spalato e da Zagabria174. Dopo il proclama di Carlo d’Asburgo, a Spalato, a Sebenico e a Zara il governo austriaco lasciò le città, le fortificazioni e gli armamenti in mano ai comitati iugoslavi locali. Solo a Zara si creò un’autorità politica alternativa: il 31 ottobre Ziliotto, da alcuni mesi liberato dall’internamento, proclamò insieme ad altri ex consiglieri comunali italiani l’assunzione dei poteri in città da parte del neocostituito Fascio Nazionale Italiano, rivendicando l’autorità che era stata propria del destituito podestà e del disciolto Consiglio comunale di Zara, fino al 1916 controllato dal partito autonomo-italiano175. Di fatto, però, fino all’arrivo delle truppe italiane a Zara il 4 novembre, il potere di amministrazione nella città venne gestito dai rappresentanti locali del governo dalmata iugoslavo, Jerko Machiedo e Stefano Metlic#ic!. Pure nelle altre città dalmate, dalle ceneri del vecchio partito autonomo-italiano vennero fondati vari Fasci Nazionali Italiani, che inevitabilmente entrarono in contrasto con i comitati nazionali iugoslavi, che avevano assunto il potere di governo in tutta la Dalmazia. Il 3 novembre Ziliotto promulgò a nome del Fascio Nazionale Italiano di Zara un proclama che apertamente affermava la volontà dei dalmati italiani di essere uniti all’Italia: Italiani della Dalmazia! Il nemico più grande della nostra patria, quello che le impedì per secoli di assurgere a dignità di nazione, e anche più tardi inceppò il suo naturale svolgimento, ritenendo fra i suoi artigli parti integranti di essa, è crollato. L’ora dell’integrazione d’Italia, l’ora della grandezza d’Italia è suonata176. Abilmente Ziliotto inserì nel proclama anche un appello alla fra- e ss.; STEVAN K. PAVLOWITCH, Yugoslavia, New York, 1971, p. 53 e ss.; HRVOJE MATKOVIC!, Povijest Jugoslavije 1918-1991, Zagreb, 1998; DUS#AN BILANDZ#IC, Hrvatska Moderna Povjiest, Zagreb, 1999, p. 60 e ss.; ATTILIO TAMARO, Origini e Crisi della Jugoslavia, in ID., La lotta delle razze nell’Europa danubiana, Bologna-Roma, 1923, pp. 157-256. 174 Al riguardo: «Novo Doba», 29 ottobre 1918, Velike narodne manifestacije u Splitu. 175 D’ALIA, op. cit., p. 153 e ss.; DE BENVENUTI, Storia di Zara, cit., p. 172 e ss. 176 Una copia del proclama di Ziliotto del 3 novembre è conservata in ASMAE, Carte Salata, b. 226. Il proclama è stato edito in DE BENVENUTI, Storia di Zara, cit., pp. 174-175. 52 LUCIANO MONZALI tellanza italo-slava e un auspicio affinché si realizzassero pure i sogni iugoslavi di libertà e indipendenza. Per il cadere della tirannide, sorge a libertà accanto a noi un altro popolo che, soltanto per le perfide suggestioni del comune oppressore, per oltre mezzo secolo aveva potuto apparire il nostro reale nemico. Ma snebbiata ora dal sangue, che lo stesso tiranno fece scorrere a torrenti, la caligine della nostra mente, anche noi Italiani della Dalmazia facciamo voti che il popolo slavo assurto a libera nazione, cresca e prosperi e, in istretta unione con la nazione nostra, porti il suo valido contributo alla civiltà del mondo177. Di fronte all’offensiva italiana, lanciata il 24 ottobre, l’esercito asburgico, dopo un’iniziale resistenza, si disgregò: ormai consapevoli della fine dell’Impero, i soldati asburgici, stanchi, esausti ed affamati, cominciarono a defluire disordinatamente ai propri luoghi d’origine178. Il conflitto militare cessò ufficialmente con la firma dell’armistizio a Villa Giusti il 3 novembre e la sua entrata in vigore il 4179. Fin dall’ottobre il governo italiano aveva cominciato a progettare la possibile conquista della Dalmazia180, affidando alla Marina il compito di organizzare i preparativi a tale riguardo. Di fronte all’incertezza dell’esito delle operazioni militari, innanzitutto il governo di Roma puntò ad ottenere in Dalmazia il controllo di gran parte delle isole riservate all’Italia dal patto di Londra, rimandando una possibile occupazione della terraferma181. La situazione mutò radicalmente il 29 ottobre quando il governo di Vienna chiese al Comando Supremo italiano l’inizio di trattative per concludere un armistizio generale. Il 31 ottobre al Consiglio Supremo interalleato a Parigi, invocando l’applicazione dei princìpi stabiliti per il futuro armistizio con la Germania, Orlando e Sonnino riuscirono ad ottenere il consenso alleato all’occupazione italiana di tutti i territori racchiusi dentro la linea contem- 177 Ibidem. Sulla crisi e la disintegrazione dell’esercito asburgico sul fronte italiano: GLAISE HORSTENAU, op. cit., p. 344 e ss.; RONALD W. HANKS, Il tramonto di un’istituzione. L’armata austro-ungarica in Italia (1918), Milano, 1994, p. 237 e ss. 179 Testo dell’armistizio con l’Austria-Ungheria, firmato il 3 novembre 1918, in FRUS, The Paris Peace Conference, 1919, II, pp. 175-182. Sulla genesi dell’armistizio: MAY, op. cit., II, p. 798; MARIA GRAZIA MELCHIONNI, La vittoria mutilata. Problemi ed incertezze della politica estera italiana sul finire della Grande Guerra (ottobre 1918-gennaio 1919), Roma, 1981; LEDERER, op. cit., p. 55 e ss. 180 MELCHIONNI, La vittoria mutilata, cit., p. 26 e ss. 181 Ivi, p. 39 e ss. 178 GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 53 plata nel patto di Londra, pur senza ricevere il riconoscimento anglofranco-americano del diritto ad una loro annessione182. L’applicazione del patto di Londra sul piano armistiziale era comunque – come ha notato Maria Grazia Melchionni – un grosso successo diplomatico dell’Italia. Alla fine della guerra la diplomazia italiana non ottenne, dunque, il riconoscimento americano del trattato di Londra, né accordi prearmistiziali che pregiudicassero il regolamento della pace futura, ma semplicemente l’occupazione militare alleata di quasi tutti i territori contesi. Carente sotto il punto di vista di una completa garanzia del soddisfacimento degli scopi di guerra del Governo, il risultato diplomatico raggiunto il 31 ottobre appare, tuttavia congruo rispetto ad esso se si tiene conto che con lo strumento armistiziale l’Italia acquisiva il diritto d’insediarsi militarmente in zone delle quali secondo il patto di Londra sarebbe entrata in possesso solo dopo la conclusione del trattato di pace e che, ciò facendo, avrebbe imposto un’ipoteca di fatto sulle terre promesse da aggiungere a quella giuridica iscritta nel 1915183. Ottenuto il consenso degli alleati e firmato l’armistizio con l’Austria, all’inizio di novembre le truppe italiane procedettero all’occupazione dei territori riservati all’Italia dal patto di Londra e dalle clausole armistiziali. La Marina predispose l’invio di navi da guerra in Dalmazia destinate ad assicurare la presa di possesso dei territori in questione. A bordo di queste navi vi erano anche dalmati italiani arruolati nella Marina, aventi l’incarico di aiutare le truppe italiane nel contatto con le popolazioni locali. Nella prima fase delle occupazioni adriatiche la Marina si preoccupò di assumere il controllo della gran parte delle isole dalmate e dei principali centri urbani costieri, importanti strategicamente e comprendenti i maggiori nuclei italiani in Dalmazia. Il 4 novembre la Marina prese possesso delle isole di Lissa/Vis, Lagosta/Lastovo, Melada/Molat, Curzola. Lo stesso giorno Zara fu occupata dall’equipaggio della torpediniera 55 OS, comandata dal capitano di corvetta De Boccard. L’ufficiale italiano, accolto alla banchina da Luigi Ziliotto, dichiarò la presa di possesso di Zara in mezzo alle manifestazioni di esultanza e profonda commozione dei cittadini zaratini184. Il giorno successivo il Consiglio comunale fu rein182 DDI, V, 11, Conferenza interalleata, 29, 30, 31 ottobre 1918, dd. 776, 784, 791; MELCHIONNI, La vittoria mutilata, cit., p. 43 e ss. 183 MELCHIONNI, La vittoria mutilata, cit., p. 59. 184 ASMAE, ARC POL 1915-1918, b. 70, DE BOCCARD, Rapporto di Missione, 5 no- 54 LUCIANO MONZALI tegrato nei suoi poteri e il podestà Ziliotto diffuse un proclama che chiedeva l’annessione della città all’Italia. Per alcuni giorni la situazione rimase alquanto tesa. De Boccard aveva a sua disposizione esclusivamente 66 soldati ed aveva preso possesso del solo centro urbano, mentre nel contado zaratino continuava a sussistere l’amministrazione iugoslava. Il 4 novembre i rappresentanti del governo iugoslavo presentarono all’ufficiale una formale protesta contro l’occupazione italiana della città, dichiarando che «la città di Zadar è, di fatto e di diritto, una parte integrante dello Stato dei Serbi-Croati-Sloveni che si è già proclamato indipendente»185. Fra il 4 e il 6 il comitato iugoslavo locale cercò di contrastare l’occupazione italiana e l’azione di Ziliotto, ma il 7, con l’arrivo del cacciatorpediniere Audace e di nuove truppe, il controllo italiano della città si consolidò. La tensione nella città e nel distretto circostante, però, rimase forte. Il 7 novembre De Boccard scriveva al suo comando a Venezia: L’apparente tranquillità e cordialità dei rappresentanti del Governo jugoslavo maschera una ostilità che si fa sempre più manifesta. […] Al Governo provvisorio nazionale jugoslavo di Zara fa capo un’organizzazione che nelle campagne tende a formare una guardia nazionale armata che dovrebbe opporsi alla nostra occupazione. […] Ieri giungevano continue notizie di una rivolta che doveva essere fomentata dentro e fuori città, con lo scopo di rigettare a mare le nostre poche forze prima che potessero giungerne altre maggiori186. Secondo De Boccard, i capi iugoslavi zaratini, in realtà, avevano rinunciato all’idea della conquista della città con la forza, limitandosi ad agire nelle campagne vicine; ma ogni potenziale minaccia sarebbe vembre 1918, allegato a Capo di Stato maggiore della Marina alla Presidenza del Consiglio e al Ministero degli Esteri, 12 novembre 1918. Questo rapporto è stato pubblicato in OA, pp. 104-107. Si veda anche: DE BENVENUTI, Storia di Zara dal 1797 al 1918, cit., p. 175; SILVIO DELICH, Le grandi giornate di Zara redenta, «L’Idea Nazionale», 19 novembre 1918; TULLIO VALLERY (a cura di), Zara nel cinquantenario della redenzione 4 novembre 1918-1968, Venezia, 1968. 185 OA, pp. 107-108, Machiedo a De Boccard, 4 novembre 1918. Sulle reazioni iugoslave all’occupazione italiana: «Novo Doba», 7 novembre 1918, Prosvjed Nar. Vijec!a proti talijanskoj okupaciji; FRUS, The Paris Peace Conference, 1919, II, Dodge a Lansing, 12 novembre 1918, pp. 287-291; ivi, Stovall a Lansing, 13 novembre 1918, p. 291; TAMARO, Raccolta di documenti, cit., dd. 21, 22, 23; LEDERER, op. cit., p. 79 e ss.; BOGDAN KRIZMAN, Talijanska okupacija na Jadranu i misija A. Tresic!-Pavic#ica 1918 God., Zara, 1967, estratto. 186 OA, pp.111-113, De Boccard al comando in capo della piazza marittima di Venezia, 7 novembre 1918. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 55 svanita solo «quando vi fossero a Zara circa 500 soldati»187. Le occupazioni delle isole di Lissa, Lagosta, Melada e Curzola non provocarono difficoltà ed incidenti188. Le truppe italiane trovarono in queste isole neo-costituiti comitati nazionali iugoslavi, che avevano assunto il governo dalle decadute autorità asburgiche: questi comitati dichiararono la loro contrarietà all’occupazione italiana, ma non organizzarono alcuna forma di opposizione violenta. Le popolazioni isolane parvero alle truppe italiane tranquille ed abbastanza indifferenti, ma soggette all’influenza dei gruppi politici iugoslavi, più forti e con maggiore consenso politico rispetto ai Fasci Nazionali Italiani. Sul piano sociale le comunità isolane si mostravano evolute ed organizzate, anche se duramente provate dagli anni di guerra: il conflitto bellico e la crisi dello Stato asburgico avevano provocato scarsità di viveri, di generi di prima necessità e di medicinali189. Il 6 novembre alcune unità navali italiane, guidate dal capitano Monroy, sbarcarono a Sebenico. L’accoglienza della popolazione, in maggioranza croata, fu alquanto ostile. A capo di poche truppe e timoroso d’incidenti, Monroy preferì rimandare la proclamazione ufficiale della presa di possesso della città190. Rinforzi giunsero l’8 novembre con lo sbarco delle truppe guidate dal contrammiraglio Leopoldo Notarbartolo. Dopo negoziati con i capi del comitato iugoslavo di Sebenico, Smolc#ic!, Stoijc!, e con il presidente del governo di Dalmazia, Krstelj, Notarbartolo proclamò il 9 la presa di possesso e l’occupazione della Dalmazia fino al Capo Planka da parte dell’Italia a nome delle potenze dell’Intesa e degli Stati Uniti d’America191. Nel corso delle settimane successive la Marina italiana prese possesso di 187 Ibidem. Le direttive politiche che le forze di sbarco dovevano eseguire erano le seguenti: «L’occupazione delle isole riveste carattere politico e di affermazione atta a porre in rilievo i nostri diritti intorno all’assetto definitivo delle Curzolane. La S.V. curerà di stabilire rapporti cordiali ed amichevoli con le autorità civili e militari, astenendosi da ogni dichiarazione riguardante gli scopi dell’occupazione e la sorte delle isole, assicurando che anche essa sarà oggetto di accordi pacifici improntati a sensi di giustizia. Dovrà essere evitato assolutamente qualsiasi provvedimento ostile, sempre che non reso necessario da ragioni di sicurezza del nostro presidio o come ritorsione ad atti ostili. La S.V. potrà prendere tutti i provvedimenti che riterrà del caso per il benessere ed il soccorso della popolazione ed è autorizzato anche a distribuire viveri, medicinali, ecc.» (OA, pp. 121-122, Comando in capo dell’Armata navale a tenente di vascello Sportiello, 2 novembre 1918). 189 OA, pp. 131-134, Filippini al comando dell’esploratore Sparviero, 4 novembre 1918; ivi, pp. 139-140, Mongiardini al comando superiore navale dell’Albania, 9 novembre 1918. 190 OA, pp. 218-223, Monroy al comando in capo dell’armata navale, 9 novembre 1918. 191 OA, pp. 224-230, Notarbartolo al Ministero della Marina, 10 novembre 1918. 188 56 LUCIANO MONZALI altre isole della Dalmazia settentrionale e centrale: il 13 novembre venne occupata parte dell’isola di Lesina, ovvero i centri di Lesina e Cittavecchia; il 21 novembre le truppe italiane presero possesso di Pago/Pag192. L’opposizione all’occupazione italiana si manifestò più vivace nella città di Lesina, continuando anche nei mesi successivi. A tale riguardo il capitano di corvetta Francesco Filippini rilevò: Trovai i notabili completamente preparati a fare ogni specie di ostruzionismo nascosto e palese. Evidentemente lo stretto contatto telegrafico, i consigli, le informazioni e i risultati della esperienza dei comitati delle altre città e delle altre isole da noi successivamente occupate avevano dato loro modo e tempo di prepararsi, a cominciare dallo spiegamento pomposo di innumeri bandiere jugoslave e serbe su case, su lampioni, su picchi di monti. […] Fra i più violenti ed intransigenti trovai i preti, i quali pur non azzardando venire a diretta discussione con me, si aggiravano tra la folla e si scalmanavano in consigli evidentemente italofobi193. Molto più facili furono le occupazioni di isole come Cherso e Lussino, dove la metà della popolazione era italiana. La presenza d’importanti comunità italiane convinse la Marina a procedere anche all’occupazione di Veglia e di Arbe. Queste due isole non erano state rivendicate dall’Italia nel patto di Londra, verosimilmente per non soffocare il futuro sbocco al mare della Croazia o dell’Ungheria a Fiume. L’occupazione di queste isole non era stata prevista dalle clausole armistiziali. La volontà della Marina di occupare tutte le isole della Dalmazia settentrionale e le invocazioni d’aiuto da parte dei capi degli italiani locali convinsero il governo di Roma a consentire l’intervento. Ricevuto un telegramma del podestà italiano della città di Veglia, Petris, Orlando, d’accordo con Diaz, autorizzò l’occupazione dell’isola per «motivi di ordine pubblico», ordinata dall’ammiraglio Cagni il 15 novembre194. Fin dai primi giorni si definirono quelle che sarebbero state le caratteristiche della situazione politica a Veglia negli anni dell’occupazione italiana. La cittadina di Veglia era totalmente italiana, mentre gli altri paesi e le campagne dell’isola erano a netta maggioranza croata. La popolazione croata si dimostrò decisamente 192 Al riguardo: DE BENVENUTI, Storia di Zara, cit., p. 175; «Novo Doba», 5 novembre 1918, Okupacija nekih otoka i Zadra; ivi, 8 novembre 1918, Talijanska vojska u Dalmaciji. 193 OA, pp. 298-301, Filippini al comando dello Sparviero, 13 novembre 1918. 194 Il memoriale del Comune e del Fascio Nazionale Italiano di Veglia è edito in TAMARO, Raccolta di documenti, cit., d. 28; OA, p. 304 e ss. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 57 ostile all’occupazione ed era guidata dal clero cattolico locale, tutto anti-italiano, eccetto il parroco di Veglia, di sentimenti moderati195. Nei mesi successivi i sacerdoti cattolici furono l’anima dell’opposizione, svolgendo un’intensa propaganda a favore dell’appartenenza dell’isola di Veglia al Regno iugoslavo196. Per sedare l’opposizione del clero vegliota, le autorità militari italiane prima invocarono un intervento moderatore della Santa Sede, poi decisero di espellere da Veglia il vescovo della diocesi, monsignor Mahnic!, che fu costretto a rimanere ospite del Vaticano a Roma per molti mesi197. L’occupazione di Arbe198 seguì modalità simili a quelle di Veglia. A differenza di Veglia, Arbe era appartenuta amministrativamente alla Dalmazia asburgica, e ciò aveva contribuito al declino politico dell’elemento italiano, molto forte nel centro urbano di Arbe, mentre la campagna era compattamente croata199. Fin dall’inizio di novembre il comitato nazionale italiano di Arbe, guidato da Doimo Lauro Galzigna, Enrico Macaus, Spiridione Svircich e Giorgio Palcich, inviò messaggi a Ziliotto e al capo di Stato maggiore della Marina, Thaon di Revel, affermando l’italianità millenaria di Arbe e la necessità che l’isola fosse occupata200. Ricevuta notizia di possibili violenze anti-italiane l’ammiraglio Cagni procedette all’occupazione dell’isola il 26 novembre. Nel frattempo, il 14 novembre il governo italiano istituì la carica di comandante in capo militare marittimo nella Dalmazia e nelle Isole Dalmate e Curzolane. A ricoprire la carica di governatore della Dalmazia, su proposta del capo di stato maggiore della Marina Revel, fu nominato il vice ammiraglio Enrico Millo. Millo era nato a Chiavari nel 195 OA, pp. 306-307, rapporto del comandante Mercalli, s.d., ma 15 novembre 1918. 196 AM, archivio di base, c. 1411, Cusani Visconti al Ministero della Marina, 22 settembre 1919. 197 Riguardo alla personalità di Mahnic! e il suo ruolo nelle lotte nazionali a Veglia durante il dominio asburgico: PAOLO BLASINA, Chiesa e problema nazionale, il caso giuliano, 1870-1914, in ANGELO ARA, EBERHARD KOLB (a cura di), Regioni di frontiera nell’epoca dei nazionalismi Alsazia e Lorena/Trento e Trieste 1870-1914, Bologna, 1995, p. 145 e ss. Sulla vicenda dell’esilio romano di monsignor Mahnic!: ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1305, Monti a Sforza, 7 gennaio 1920; ibidem, Sforza a Monti, 10 gennaio 1920; ibidem, Sforza al Ministero della Marina, 21 gennaio 1920; SCOTTÀ, La conciliazione ufficiosa, cit., II, p. 460 e ss. 198 Su queste vicende i ricordi di LAURO GALZIGNA, Venticinque anni di lotta per l’italianità di Arbe, San Marino, 1930, estratto. 199 Su Arbe anche: ONOFRIO FATTORI, Arbe-San Marino. Cronistoria, San Marino, 1943; GIOVANNI BATTISTA CARDONA, L’isola di Arbe, «Le vie del mare e dell’aria», 1919, estratto. 200 Ad esempio: OA, pp. 317-318, Galzigna a Ziliotto, 1° novembre 1918. Si veda anche il proclama degli italiani di Arbe edito in TAMARO, Raccolta di documenti, cit., d. 27. 58 LUCIANO MONZALI 1865201. Nel corso della sua carriera militare si era messo in luce come comandante di navi italiane in Somalia e, soprattutto, durante la guerra di Libia, quando, nel luglio 1912, a capo di cinque torpediniere, era penetrato per 28 chilometri dentro lo Stretto dei Dardanelli. I successi militari facilitarono le sue ambizioni politiche, che lo portarono ad essere nominato da Giolitti ministro della Marina nel luglio 1913, carica che occupò fino all’estate del 1914, e poi senatore. Millo era politicamente in buoni rapporti sia con il gruppo sonniniano-salandrino che con Giolitti e Nitti. Questo spiega la sua permanenza ai vertici militari della Marina anche nel corso della guerra. Millo, come il capo di stato maggiore della Marina, Paolo Thaon di Revel, autentico deus ex machina della Marina italiana in quegli anni202, era convinto dell’importanza della conquista della Dalmazia per la sicurezza strategica italiana e si battè strenuamente per l’annessione all’Italia della costa dalmata occupata. Millo giunse in Dalmazia il 14 novembre e ben presto decise di stabilire la sede del suo comando a Sebenico, che rimase tale fino alla primavera del 1919 quando fu trasferita a Zara. La temporanea scelta di Sebenico quale sede del governo dalmata confermava l’importanza di quel porto per i capi della Marina italiana e manifestava chiaramente la volontà di cercare di conservare il futuro controllo di tutta la Dalmazia rivendicata dall’Italia con il patto di Londra. Millo, innanzitutto, s’impegnò a organizzare le strutture di governo. Progressivamente esautorò i comitati nazionali iugoslavi da ogni funzione politica ed amministrativa, pur tollerandone l’esistenza. Il mantenimento formale delle istituzioni provinciali dalmate (la Dieta provinciale dalmata, la Corte d’Appello), rappresentative sia della Dalmazia occupata dall’Italia che di quella serbo-croata e spesso guidate da funzionari filo-iugoslavi, permise comunque all’opposizione iugoslava di conservare una rappresentanza anche istituzionale, in contrapposizione alle autorità italiane203. Nelle località occupate le autorità italiane cercarono di mobilitare politicamente l’elemento italiano autoctono: molti esponenti del vecchio partito autonomo-italiano, risorto nei Fasci Nazionali Italiani, vennero nominati commissari civili o assunti alle dipendenze delle istituzioni 201 A proposito della biografia di Millo: OSCAR DI GIAMBERARDINO, L’ammiraglio Millo dall’impresa dei Dardanelli alla passione dalmatica, Livorno, 1950. 202 Sulla figura di Thaon di Revel: GUIDO PO, Il grande ammiraglio Paolo Thaon di Revel, Torino, 1936. 203 Al riguardo: ASMAE, ACP, b. 20, Millo al Comando Supremo, 29 maggio 1919. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 59 del governatorato204. Le leve del potere politico e amministrativo, comunque, rimasero sempre nelle mani dell’elemento militare. Le autorità italiane, poi, cercarono di mantenere al proprio servizio i funzionari già alle dipendenze dell’amministrazione statale asburgica. L’incertezza, però, circa il futuro politico della Dalmazia occupata frenò questa azione di coinvolgimento del personale burocratico asburgico, poiché molti funzionari temevano rappresaglie al momento della cessione del territorio occupato al Regno SHS205. Un problema grave nei primi mesi di governo di Millo fu quello dell’estensione dell’occupazione. Per varie settimane l’occupazione italiana non raggiunse tutti i territori dalmati riservati all’Italia dalle clausole armistiziali. A causa delle poche truppe disponibili e probabilmente desiderando evitare gravi incidenti con le truppe serbe e le milizie iugoslave, la Marina italiana si limitò ad occupare le città di Zara e Sebenico e gran parte delle isole. Una vasta parte del retroterra della Dalmazia settentrionale rimase per tutto il mese di novembre terra di nessuno, di fatto amministrata dai comitati nazionali iugoslavi dipendenti da Zagabria. Secondo Millo, la scarsità di truppe italiane presenti in Dalmazia imbaldanziva i circoli iugoslavi e li incoraggiava ad opporsi alla futura annessione all’Italia. Misura necessaria era un largo spiegamento di forze italiane nel territorio occupato, innanzitutto nelle isole, nella costa e lungo le principali linee ferroviarie206. Giunti i primi rinforzi richiesti, Millo procedette all’estensione dell’occupazione. Il 3 dicembre fu occupata Vodizze/Vodice, il 5 Scardona/Skradin, importante località non lontana da Sebenico207. Nei giorni successivi truppe italiane presero ufficialmente possesso delle isole di Murter (9 dicembre) e di Ugliano/Ugljan (14 dicembre). Politicamente e militarmente delicata era la possibile occupazione del distretto di Knin, costituito dai tre comuni di Knin, Dernis/Drnis# e Promina. In questo distretto vi era una forte presenza non solo croata ma anche serba, mentre le poche famiglie italiane che vi vivevano, co- 204 AM, archivio di base, c. 1173, Ferruzzi all’Ufficio del capo di stato maggiore della Marina, 19 dicembre 1918. 205 AM, archivio di base, c. 1414, Perlini all’Ufficio del capo di stato maggiore della Marina, 9 gennaio 1919. 206 AM, archivio di base, c. 1178, Millo al capo di stato maggiore della Marina, 18 novembre 1918. 207 AM, archivio di base, c. 1178, MAZZARELLA e SARLO, rapporto sull’arrivo a Scardona del 3° battaglione 15° fanteria, del reparto arditi e di un reparto rr. Carabinieri, 6 dicembre 1918. 60 LUCIANO MONZALI stituite da funzionari dello Stato e proprietari terrieri, erano concentrate nelle città di Knin e Dernis. Le popolazioni locali avevano costituito delle guardie nazionali a fini di autodifesa e lo stesso esercito serbo aveva inviato alcune unità nella zona208. Fra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio, dopo aver intimato all’esercito serbo di ritirare le proprie unità dai territori riservati dall’armistizio al controllo italiano, Millo ordinò l’occupazione del distretto di Knin. Se l’occupazione di Dernis (29 dicembre) e di Bencovaz/Benkovac (31 dicembre), centri a maggioranza cattolica e croata, procedette senza incidenti209, l’avanzata delle truppe italiane verso Knin si scontrò contro la resistenza armata di forze irregolari e regolari serbe210. La resistenza fu sopraffatta con la forza e il 1° gennaio 1919 Knin fu occupata. La reazione delle truppe serbe fu sconfessata dagli alti comandi militari SHS e l’incidente non ebbe pericolose conseguenze politiche211. In quelle settimane Millo consolidò ulteriormente la presenza militare italiana in Dalmazia, assicurandosi il completo controllo delle isole di Curzola (occupazione di Blatta/Blato 16 dicembre) e Lesina (presa di possesso dei paesi di Gelsa/Jelsa e Verbosca/Vrboska il 4 gennaio), nonché occupando stabilmente Obrovazzo/Obrovac (4 gennaio), Kievo/Kijevo (10 gennaio) e le isole di Pasman/Pas#man (31 gennaio), di Eso/Iz# (12 febbraio) e di Selve/Silba (20 febbraio)212. Per ragioni strategiche, ovvero al fine di fissare le linee di difesa della Dalmazia italiana su posizioni geografiche favorevoli, il governo di Roma preferì rinunciare al controllo totale delle valli della Butisnica e della Zermagna, poste sulla frontiera orientale e settentrionale del governatorato, che rimasero occupate dalle truppe serbe per una profondità di 24 e 12 chilometri213. Per vari mesi, comunque, Millo cercò di spingere il governo di Roma ad espan- 208 Per un’analisi politica e nazionale del distretto di Knin: Ferruzzi all’Ufficio del capo di stato maggiore della Marina, 19 dicembre 1918, cit. Si veda anche: AM, archivio di base, c. 1178, Millo al Comando supremo dell’Esercito e all’Ufficio del capo di stato maggiore della Marina, 14 dicembre 1918. 209 AM, archivio di base, c. 1173, Millo a Ufficio del capo di stato maggiore della Marina, 29 dicembre 1918; OA, p. 335. 210 AM, archivio di base, c. 1178, Millo a Ufficio del capo di stato maggiore della Marina, 30 e 31 dicembre 1918. Sull’occupazione italiana della regione di Knin: DUSA # N PLENCA # , Kninska Ratna Vremena 1850-1946. Knin, Drnis#, Bukovice, Ravni Kotari, Zagreb, 1986, p. 74 e ss. 211 AM, archivio di base, c. 1765, Millo al Comando supremo dell’Esercito e all’Ufficio del capo di stato maggiore della Marina, 2 gennaio 1919. 212 OA, p. 337 e ss. 213 AM, archivio di base, c. 1765, Millo al Gabinetto della Presidenza del Consiglio, 25 gennaio 1920. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 61 dere l’occupazione italiana anche oltre le linee armistiziali. Era suo convincimento che il futuro confine della Dalmazia italiana dovesse essere portato «al Sud, alla Narenta, od almeno se ciò non sarà possibile, al corso del Cetina, comprendendo così nel nostro territorio Spalato e Traù, nonché le isole prospicienti di Brazza, Solta, Zirona Grande, Zirona Piccola e Bua»214. L’argomento più forte – affermava Millo – che il maggiore erede dell’Austria, anzi l’Austria stessa rediviva sotto la maschera slava, adduca, non ha valore. Tutto ciò che è storia, cultura, intraprendenza, la maggior parte delle aziende, è italiano, e se il sangue e la lingua italiana non appaiono subito predominanti quando si visitano superficialmente queste terre, si è perché sono stati per lunghi anni conculcati, specie dal ’66 in poi dall’Austria215. Sul piano del rapporto con le popolazioni della Dalmazia occupata, le autorità d’occupazione cercarono di conquistare il consenso dei dalmati slavi, elemento maggioritario, puntando su iniziative che favorissero un deciso miglioramento delle condizioni di vita della gente locale. Molta importanza venne data all’istituzione di servizi sanitari efficienti, disponibili per tutta la popolazione. Poiché in certe zone della Dalmazia la carenza di generi alimentari durante la guerra aveva prodotto fame, si procedette alla distribuzione di viveri alle persone meno abbienti, distribuzione che venne istituzionalizzata216. Millo, poi, puntò molto su una politica di stimolo dell’economia locale. La Dalmazia era stata duramente colpita dal crollo dell’Impero asburgico: la fine dell’Austria aveva privato i contadini e i pescatori dalmati dei principali mercati per i loro prodotti. Il governatorato, innanzitutto, cercò di sostenere gli agricoltori, con l’acquisto statale di prodotti locali, la chiusura del mercato dalmata alle esportazioni d’olio e di vino provenienti dall’Italia e l’intensificazione dei commerci con la Penisola217. A fini prettamente politici rispose pure il favorevole cam- 214 AM, archivio di base, c. 1178, Millo al Comando Supremo dell’Esercito, 20 dicembre 1918. 215 Ibidem. 216 Ad esempio: AM, archivio di base, c. 1177, GIOVANNI SQUILLANTE, Relazione sul comune di Comisa, isola di Lissa, 23 dicembre 1918; ivi, c. 1577, STALLO, Relazione circa l’azione svolta da questo comando durante l’occupazione italiana dell’isola di Lissa, 5 marzo 1921. 217 AM, archivio di base, c. 1765, Millo all’Ufficio dello stato maggiore della Marina, 15 gennaio 1919; Millo al Comando supremo dell’Esercito e all’Ufficio del capo di stato maggiore della Marina, 2 gennaio 1919, cit. 62 LUCIANO MONZALI bio della corona austriaca rispetto alla lira italiana praticato in Dalmazia. Desiderando facilitare la ripresa economica locale, si decise di mantenere valida la corona austriaca in tutto il governatorato attraverso la stampigliatura (ovvero dando un proprio contrassegno alle corone austro-ungariche)218 e applicando un tasso di cambio fra la corona e la lira non troppo sfavorevole per i possessori dalmati della valuta dell’ex Impero asburgico. Riguardo alle libertà civili, Millo cercò di conciliare il rispetto delle libertà fondamentali con l’esigenza di consolidare l’occupazione italiana, contestata da varie forze politiche croate e serbe e da larga parte del clero, ma mancò spesso di sensibilità politica e di fronte ad aperte contestazioni della sua autorità usò la mano pesante. Le autorità italiane lasciarono alle forze politiche serbe e croate una certa libertà associativa, consentendo l’esistenza d’istituzioni politiche e culturali iugoslave. Nel corso dell’occupazione italiana rimase attiva anche la stampa iugoslava – ad esempio giornali come il «Narodni List» di Zara –, anche se questa fu oggetto di una frequente azione di censura, in conformità e continuità con la precedente legislazione e prassi asburgica219. Questa parziale libertà politica fu naturalmente sfruttata dai gruppi filo-iugoslavi per manifestare la loro opposizione alla presenza italiana e il desiderio di essere uniti allo Stato iugoslavo. Da qui lo svolgersi di dimostrazioni iugoslave, in particolare a Zara, Sebenico, Lesina e nell’isola di Veglia, contrastate politicamente dai Fasci Nazionali Italiani con manifestazioni di segno opposto220. In molte località, ad esempio a Zara, i sacerdoti cattolici e i preti ortodossi erano spesso alla guida dell’opposizione iugoslava221. Particolarmente convinta e accanita fu l’opposizione nell’isola di Veglia. Ad eccezione della cittadina di Veglia, italiana di sentimento e di origine, – rilevò un ufficiale italiano – tutto il resto dell’isola è in modo manife218 Sulla questione della stampigliatura delle corone austriache: OSCAR RANDI, La Jugoslavia, Roma, 1925, p. 249 e ss. 219 AM, archivio di base, c. 1414, Ufficio del capo di stato maggiore della Marina al primo aiutante di campo del Re, al presidente del Consiglio e al ministro della Marina, 11 febbraio 1919. 220 Sull’opposizione iugoslava: AM, archivio di base, c. 1173, Picconelli al Comando militare marittimo di Zara, 3 dicembre 1918; ibidem, De Boccard a Millo, 4 dicembre 1918; ibidem, Ferruzzi all’Ufficio del capo di stato maggiore della Marina e al Governo della Dalmazia e delle Isole Dalmate e Curzolane, 14 dicembre 1918. 221 AM, archivio di base, c. 1414, Perlini all’Ufficio di stato maggiore della Marina, 12 e 15 marzo 1919. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 63 sto a noi ostile, ci considera come oppressori, e confida, anzi ha la certezza che la nostra occupazione sarà temporanea. Preti e maestri lavorano nell’ombra a nostro danno. […] A Castelmuschio venne arrestato il segretario comunale, sorpreso mentre tentava di asportare un tratto della nostra linea telefonica. Domenica scorsa a Dobrigno, quel comandante fece sciogliere una comitiva di giovani che cantavano in croato inneggiando all’avvento iugoslavo. Le donne, sobillate dai preti, sono le più accanite contro di noi. Arrivano al punto di rimproverare i poveri che accettano il rancio o l’elemosina dai nostri soldati […]222. L’esistenza di un’opposizione organizzata progressivamente innervosì Millo223. Per stroncare i contestatori iugoslavi il governatore decise di ricorrere alle espulsioni dalla Dalmazia italiana e agli internamenti, cioè all’arresto degli oppositori e al loro invio in Italia in residenza obbligatoria o in campo di prigionia, nelle Marche o in Sardegna. Nel marzo 1919 erano 80 i dalmati arrestati ed internati in Italia224. Così Millo spiegò e giustificò l’uso dell’internamento politico. L’internamento, ed ora che ho potuto allestire i locali, il confinamento degli jugoslavi e rinnegati che più si agitano per provocare disordini, dar luogo a violenze, infrazioni di bandi, ecc., e che sono sospetti di preparare atti di rivolta, bolscevismo, oppure che raccolgono adesioni per costituire bande armate o reclutare soldati per la Jugoslavia, è lo unico mezzo a mia disposizione per parare ai bisogni più impellenti del momento in queste terre travagliate da lotta feroce ed invelenita per gli alimenti che essa riceve dalla situazione politica europea. Molte volte mancano le prove per deferire al Tribunale militare, ma si ha la convinzione della verità delle accuse riunite da più lati mediante il servizio di informazioni: d’altra parte, un grande numero di processi politici nuocerebbe più degli internamenti perché darebbe luogo a severe sentenze ad arte aspramente commentate dagli alleati […]225. Di fatto, però, gli internamenti provocarono molte critiche sul pia222 AM, archivio di base, c. 1411, tenente colonnello Cornelio Dal Molin al Comando in capo Alto Adriatico, 22 settembre 1919. 223 AM, archivio di base, c. 1178, Millo al Comando supremo e al capo di stato maggiore della Marina, 2 dicembre 1918; ivi, c. 1173, Millo al Comando supremo e al capo di stato maggiore della Marina, 14 dicembre 1918. 224 AM, archivio di base, c. 3138, Sechi all’aiutante di campo del re, al presidente del consiglio e al ministro degli Esteri, 19 marzo 1919. Circa le proteste iugoslave contro gli internamenti: «Novo Doba», 9 aprile 1919, O deportiranju iz Dalmacije u Italiju. 225 AM, archivio di base, c. 1414, Millo al presidente del Consiglio, al Comando supremo, al capo di stato maggiore della Marina e al Ministero degli Esteri, giugno 1919. 64 LUCIANO MONZALI no internazionale, in particolare negli Stati Uniti, dove non si comprendeva come si potessero arrestare civili senza sottoporli a processo226. Per i nazionalisti iugoslavi gli internamenti erano una dimostrazione del carattere dispotico dell’occupazione italiana in Dalmazia. Anche alcuni capi dei dalmati italiani ne criticarono l’uso. Ercolano Salvi attaccò duramente Millo per avere fatto arrestare ed internare un giovane spalatino, Plavko Lovric!, confuso per omonimia con un sospetto di atti anti-italiani. Il Lovric! morì di malattia nel campo di prigionia: secondo Salvi era assurdo, dopo la fine della guerra, arrestare un privato e trattarlo come un prigioniero di guerra, privandolo di ogni mezzo di difesa legale personale227. Di fronte alle critiche internazionali, a partire dal giugno 1919 gli internamenti furono sempre più rari e le autorità italiane progressivamente consentirono il ritorno in patria di molti internati ed espulsi. L’atteggiamento delle popolazioni dalmate verso l’occupazione italiana fu vario. In molte isole e nelle zone di campagna a grande maggioranza cattolica e croata gli abitanti si adattarono passivamente all’occupazione e non organizzarono alcuna forma di opposizione. L’evoluzione interna del Regno SHS – con il crescente scontento di croati e musulmani verso lo strapotere serbo –, la cattiva situazione politica ed economica della Dalmazia iugoslava raffreddarono gli entusiasmi di molti dalmati slavi per la Serbia. Nel gennaio 1919, il comandante della piazza militare delle isole Curzolane, Piazza, constatava il crescere del consenso verso l’occupazione italiana. Si può ritenere la situazione nelle isole come sensibilmente vantaggiosa per noi con aumento notevole degli aderenti. È sintomatico come tutte le persone appartenenti a partiti dell’ordine e quelle più eminenti già austriache siano assai più favorevoli alla nostra occupazione stabile che non ad un’eventuale aggregazione al futuro Stato jugoslavo e che dato l’antagonismo secolare fra serbi e croati non pochi di questi ultimi non nascondano la loro simpatia verso l’Italia piuttosto che subire il dominio della Serbia228. 226 FRUS, The Paris Peace Conference, 1919, XII, Sherman Miles a Coolidge, 29 marzo 1919, pp. 492-496; DRAGAN R. ?IVOJINOVIC!, America, Italy and the Birth of Yugoslavia (1917-1919), Boulder, 1972, p. 259 e ss. 227 Sulla controversia Millo-Salvi: ASMAE, ACP, b. 20, Millo al Comando supremo, all’Ufficio del capo di stato maggiore della Marina e al Ministero degli Esteri, 31 maggio 1919, con vari allegati. 228 AM, archivio di base, c. 1414, Piazza a Millo, 10 gennaio 1919. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 65 Millo si sforzò di presentare l’occupazione italiana in un’ottica fortemente conservatrice, come la garanzia della difesa dell’ordine e della stabilità sociale e politica; contemporaneamente cercò di sfruttare la rivalità fra croati e serbi, presentando l’Italia come potenza cattolica e civile, che difendeva i dalmati slavi cattolici contro uno Stato balcanico ed arretrato quale la Serbia229. Secondo il governatore era una strategia che raccoglieva successi nelle campagne. In qualche località interna – comunicò Millo nel febbraio 1919 – si è verificato che mentre in una prima ricognizione delle nostre truppe venivano dalla popolazione rifiutati i viveri offerti gratis, in altre ricognizioni successive i viveri sono stati accettati con entusiasmo. Ciò sta a dimostrare che la massa della popolazione, semplice ed ignorante, non segue più le mene e le minacce dei mestatori jugoslavi, man mano che si sente rassicurata dalla presenza delle nostre truppe, e che comincia a capire che dalla nostra occupazione ne verrà un sensibile miglioramento economico e morale per tutti. Le simpatie per i serbi vanno sempre diminuendo, specialmente per motivi religiosi, essendo la più gran parte della popolazione slava apolitica. Anche a Spalato la cittadinanza e il contado mostrano ripugnanza verso i serbi per la diversità di carattere e di costumi ed anche per la povertà di questi ultimi e per il loro contegno brutale230. Diversa e più difficile era la situazione nei principali centri urbani, Zara e Sebenico, nella roccaforte serba di Knin ed in isole come Veglia e Lesina, dove la popolazione aveva una lunga tradizione di partecipazione politica ed era più colta ed istruita. Qui il movimento filo-iugoslavo trovò consenso fra la borghesia croata e i ceti intellettuali (i maestri, i funzionari provinciali e statali, i sacerdoti), nei quali la passione nazionale slavofila e pancroata prevaleva sui timori per l’unione in uno Stato con una forte impronta ortodossa. A Zara231 i capi del movimento iugoslavo erano Juraj Biankini, Uros Desnica, Jerko Machiedo, Giuseppe Cortellazzo, il presidente del Gabinetto di Lettura croato Giuseppe Toncic/Tonc#ic! e il prete ortodosso Milos Parenta; a Sebenico Vincenzo Smolc#ic!, Marco Stoijc! e Nikola Subotic!232. Con229 Ad esempio: ASMAE, ACP, b. 20, Millo al Comando supremo, all’Ufficio del capo di stato maggiore della Marina e al Ministero degli Esteri, 19 gennaio 1919. 230 ASMAE, ACP, b. 20, Millo all’Ufficio del capo di stato maggiore della Marina, 5 febbraio 1919. 231 Al riguardo anche DRAGAN ?IVOJINOVIC!, Politic#ko-ekonomske prilike u Zadru 1919 godine, «Zadarska Revija», 1969, n. 6, pp. 654-676. 232 ASMAE, ACP, b. 21, Ufficio del capo di stato maggiore della Marina al presidente 66 LUCIANO MONZALI tro i nazionalisti iugoslavi si mobilitarono i dalmati italiani e italofili (Millo definiva «italianizzanti» i dalmati italo-slavi regionalisti ed anticroati), che però presentavano divisioni al proprio interno. A Zara vi erano dissidi, spesso di natura socio-economica, fra i ceti popolari e i commercianti, e fra la vecchia classe dirigente liberale-autonomista e i giovani nazionalisti più intransigenti. Più in generale, parte dell’elemento italiano si asteneva dal mobilitarsi politicamente per timore di future rappresaglie iugoslave in caso di ritiro dell’Italia dalla Dalmazia. Vi furono anche alcuni italiani che si dimostrarono ostili al progetto di unione della Dalmazia all’Italia. Fu questo il caso di Girolamo Italo Boxich, uno dei capi politici degli italiani di Zara prima del 1914, che dopo la guerra contestò la strategia irredentistica di Ziliotto, sostenendo la convenienza che tutta la Dalmazia rimanesse unita sotto la sovranità iugoslava. Boxich, pericoloso politicamente per le autorità militari italiane, fu fatto arrestare da Millo e inviato in Italia233, e dopo il trattato di Rapallo assunse la cittadinanza iugoslava. L’incertezza sul destino politico della Dalmazia occupata indebolì le autorità italiane e spronò i comitati iugoslavi a continuare a sperare nella futura unione con il Regno SHS. A questo riguardo notò Millo nel giugno 1919. Il tatto degli ufficiali, la condotta dei soldati, molta indulgenza e clemenza da parte di questo governo, ci avevano fatto acquistare di poi lentamente una posizione favorevole sicché io pensavo che un plebiscito nell’estate 1919 ci avrebbe arriso, quando la campagna di alcuni uomini politici e giornali italiani, qui molto letti, ha rovinato in gran parte la nostra opera di fede e di costanza. In seguito le notizie del Congresso di Parigi hanno contribuito ad ostacolarci, sicché abbiamo, come ho scritto e telegrafato, perso ora molto terreno che bisogna riprendere. Gli jugoslavi si sono ringalluzziti, gli italiani depressi, i dubbii e già simpatizzanti per noi, per timore delle minacciate rappresaglie future jugoslave, hanno fatto macchina indietro e non osano più avvicinarci234. Di fatto, però, nonostante l’esistenza di un’opposizione organizzata, l’occupazione italiana non incontrò gravi difficoltà, paragonabili a quelle che l’Italia fascista avrebbe avuto in Dalmazia fra il 1941 del Consiglio e al ministro degli Esteri, 13 marzo 1919, con allegato. 233 ASMAE, ARC POL 1915-1918, b. 71, Millo al Comando supremo, 13 giugno 1919. 234 Millo al presidente del Consiglio, al Comando supremo, al capo di stato maggiore della Marina e al Ministero degli Esteri, giugno 1919, cit. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 67 e il 1943. Gli aderenti al movimento unionista iugoslavo, così come i sostenitori dell’annessione all’Italia, erano numerosi nei principali centri urbani, ma non riuscirono a mobilitare e coinvolgere le popolazioni delle campagne. Se i serbi, così come parte dei ceti cittadini croati filo iugoslavi, erano desiderosi di unirsi allo Stato iugoslavo, molti dalmati croati e cattolici furono spaventati dall’evoluzione interna del Regno SHS, dai primi mesi del 1919 caratterizzata dalla dura repressione governativa contro il movimento contadino croato dei fratelli Radic! e il partito socialista: in questa ottica l’occupazione italiana era vista da molti dalmati slavi e croati come un male minore. L’opposizione contro l’occupazione italiana, insomma, non si tramutò in un movimento di massa diffuso in tutto il paese né si radicalizzò al punto da ricorrere a forme organizzate di lotta armata: ciò fu dovuto in parte alle direttive moderatrici provenienti dal governo di Belgrado, il quale temeva che conflitti militari in Dalmazia potessero provocare una guerra contro l’Italia; ma soprattutto si spiega con il fatto che fra il 1918 e il 1921, diversamente che nel corso della seconda guerra mondiale, le autorità italiane non mirarono a sconvolgere e a mutare i valori e i caratteri della società dalmata e svolsero un’azione di governo più abile e pragmatica, desiderando raccogliere il consenso almeno passivo delle popolazioni sottomesse. 1.4. La città irredenta. Le lotte politiche e nazionali a Spalato nel 1918 e 1919 Conformemente a quanto previsto dall’armistizio fra l’Intesa, gli Stati Uniti e l’Austria, Traù, Spalato e il resto della costa dalmata furono escluse dalla zona d’occupazione italiana. Alla fine di ottobre in questa zona della Dalmazia il tracollo dello Stato asburgico portò alla temporanea assunzione del governo provinciale da parte di un comitato locale guidato da Smodlaka, Tartaglia e Gajo Bulat, che proclamò l’unione della Dalmazia allo Stato serbo-croato-sloveno235. I nazionalisti iugoslavi si dimostrarono molto ostili verso le forze militari italiane che occuparono la Dalmazia, anche perché vi era il timore che inva235 «Novo Doba», 30 ottobre 1918, Split za Jugoslaviju; SMODLAKA, Zapisi Dra Josipa Smodlaka, cit., p. 72 e ss. Per una ricostruzione, di taglio soprattutto socio-culturale, della storia della società spalatina in quegli anni: ANATOLIJ KUDRIJAVCEV, Ša je pusta Londra …, Split, 2002. Molte informazioni anche in JAKIR, op. cit. 68 LUCIANO MONZALI dessero pure Spalato. Nel frattempo i proclami di Ziliotto e la volontà dei dalmati italiani di lottare per l’unione con l’Italia provocarono un inevitabile duro scontro politico fra i partiti iugoslavi e i Fasci Nazionali Italiani236. La situazione divenne particolarmente difficile e tesa a Spalato. La presenza di una numerosa popolazione italiana ben organizzata politicamente nelle molte associazioni del vecchio partito autonomo-italiano, l’incertezza sulle future decisioni delle grandi potenze, la presenza di navi alleate nel porto cittadino alimentarono un clima di antagonismo nazionale fra italiani e iugoslavi che si sarebbe protratto per vari mesi. Ad aggravare la situazione, poi, concorse il giungere a Spalato di centinaia di profughi iugoslavi provenienti da Zara, Sebenico e dalle isole occupate, che rimasero nella città fino alla fine dell’occupazione italiana, divenendo il fulcro della continua mobilitazione anti-italiana che caratterizzò la vita politica spalatina in quegli anni. All’inizio di novembre, il partito autonomo-italiano spalatino, sciolto dall’Austria, si riorganizzò fondando il Fascio Nazionale Italiano di Spalato, guidato da Leonardo Pezzoli, Antonio Tacconi237, Edoardo Pervan e Stefano Selem. Sperando in una possibile occupazione italiana ed in una futura attribuzione della città all’Italia, il Fascio Nazionale si mobilitò per affermare l’italianità di Spalato e rendere pubblica la volontà degli italiani spalatini di essere uniti all’Italia. Il 9 novembre, all’arrivo di due cacciatorpediniere francesi a Spalato, vennero esposte bandiere italiane da molte case e alcuni italiani si recarono al porto per celebrare le truppe dell’Intesa; la reazione iugoslava fu molto dura. Sulle finestre delle case – riferirono i capi degli italiani spalatini – furono spiegate le bandiere dai colori nazionali. Alla guardia nazionale jugoslava ciò non andò a genio, sicché senz’altro irruppe nelle case, penetrò negli appartamenti sfondando con violenza le porte delle abitazioni delle famiglie che erano uscite fuori, danneggiando e asportando vari oggetti, minacciando gli italiani che trovarono in casa, puntando le rivoltelle contro il petto di alcune distinte signore. Altre percossero coi pugni, strapparono le bandiere […], le stracciarono le bruciarono sulla piazza principale. A dar animo ai dimostranti il comandante di una nave da guerra già austriaca e battente allora bandiera iugoslava, intimava col megafono alle abitazioni degli italiani site alla 236 «Novo Doba», 8 novembre 1918, Dva talijanska proglasa u Zadru. Sulla figura di Antonio Tacconi: ILDEBRANDO TACCONI, Per Antonio Tacconi, in ID., Per la Dalmazia, cit., pp. 767-760; ID., Ricordiamo il Sen. Antonio Tacconi, ivi, pp. 824-827. 237 GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 69 marina di togliere il tricolore italiano, che altrimenti avrebbero sparato238. Era il primo di tanti incidenti e violenze che avrebbero dominato la vita di Spalato per molti mesi. I capi italiani spalatini presentarono una protesta formale al comando delle navi francesi, denunciando che tali atti costituivano «una inaudita lesione del sentimento nazionale e della libertà dei cittadini italiani di questa Città, e di quei nobili principi [che] informano la gloriosa opera dell’Intesa, nonché un insulto alla bandiera della Nazione italiana, alla quale i sottoscritti sono superbi di appartenere»239. Per timore di possibili ripercussioni internazionali e nei rapporti con l’Intesa, le autorità municipali di Spalato furono costrette a presentare le proprie scuse formali per l’accaduto. In quei giorni Smodlaka e i capi iugoslavi cercarono di convincere i dirigenti del Fascio Nazionale Italiano a fare pubblica dichiarazione di fedeltà e accettazione dello Stato iugoslavo, ma ricevettero il rifiuto degli spalatini italiani, che chiaramente speravano nell’occupazione italiana della città. L’incertezza sul futuro della Dalmazia alimentò una crescente contrapposizione nazionale in seno alla società dalmata. I nazionalisti iugoslavi e il governo serbo protestarono contro l’occupazione italiana della Dalmazia settentrionale e chiesero che le truppe italiane fossero sostituite da una forza interalleata con la presenza americana, francese e britannica240. Iniziarono poi durissimi attacchi contro i capi dalmati italiani, accusati di essere traditori e austrofili241, e una campagna pubblicistica per dimostrare che la Dalmazia era una terra puramente slava. Tale era l’infatuazione per l’unione iugoslava che le truppe e i cetnici serbi furono accolti trionfalmente nelle città dalmate non 238 ASMAE, ACP, b. 20, FASCIO NAZIONALE ITALIANO DI SPALATO, Memoriale degli italiani di Spalato, febbraio 1919, allegato a Pezzoli, Tacconi e Pervan a Millo, 28 febbraio 1919. Per una ricostruzione iugoslava di questi incidenti: «Novo Doba», 11 novembre 1918, Nakon incidenta s talijanskom zastavom u Splitu. Echi dell’incidente anche in: FRUS, 1919, The Paris Peace Conference, II, Page a Lansing, 21 novembre 1918, p. 308; «L’Idea Nazionale», 19 novembre 1918, La situazione a Spalato. 239 AM, archivio di base, c. 1182, Gastone degli Alberti, Giovanni Bettiza, Leonardo Pezzoli, Silvio de Michieli Vitturi, Leonardo Guaina, Giovanni Gospodnetich, Alfredo Riboli, Riccardo Savo, Bruno Mayer, Ernesto Seveglievich, Andrea Rados, Carlo Marincovich, Antonio Tacconi, Edoardo Pervan, Giacomo Marcocchia, al comandante della Flottiglia francese nel porto di Spalato, 9 novembre 1918. 240 FRUS, 1919, The Paris Peace Conference, II, Stovall a Lansing, 13 novembre 1918, p. 291; ivi, House a Lansing, 18 novembre 1918, pp. 297-298. 241 «Novo Doba», 13 novembre 1918, PERO CINGRIJA, Talijanska okupacija. 70 LUCIANO MONZALI occupate dall’Italia242. Spalato divenne uno dei punti caldi dello scontro politico e diplomatico fra Italia e Stato iugoslavo, dove gli italiani locali erano in una posizione di debolezza e quindi più esposti alle provocazioni ed agli attacchi degli estremisti iugoslavi. Sotto la spinta delle notizie confuse e drammatiche che provenivano da Spalato, nel corso di novembre sorse il grave problema del futuro della Dalmazia centrale, restata esclusa dall’occupazione italiana. Già il 5 novembre Ziliotto inviò a tale proposito una lettera a Foscari, sottosegretario alle Colonie e fin da prima della guerra in stretto contatto con l’elite politica dalmata italiana, invitando il governo ad occupare tutta la Dalmazia centrale. Da Spalato, la cui esclusione dal patto di Londra, è stata un colpo tremendo per quei nostri fratelli della classica città di Diocleziano e di Bajamonti, la sorte dei quali le metto particolarmente a cuore, mi giungono notizie assai gravi. Colà ci sono tutti i sintomi dell’anarchia, del bolscevismo imminente, e sarebbe urgentemente necessaria almeno una occupazione provvisoria a tutela dell’ordine e della sicurezza degli abitanti di contro alla teppa, composta dei soldati, dei disertori armati, che ritornano e dominano i rispettivi paesi243. Avuta notizia della lettera di Ziliotto, i dalmati italiani residenti a Roma si riunirono d’urgenza nella sede dell’Associazione politica degli italiani irredenti e decisero d’inviare un telegramma a Orlando e Sonnino, col quale chiesero che il governo proteggesse l’italianità dalmatica occupando immediatamente con proprie truppe le città della Dalmazia244. Nelle settimane successive Ghiglianovich, gli esuli dalmati e numerosi politici italiani fecero pressioni pubbliche e riservate sul governo di Roma perché anche Spalato fosse occupata dall’Italia o da truppe italiane e americane congiuntamente245. I capi dell’Associazione Nazionalista, Federzoni e Forges Davanzati, in particolare, chiesero al governo che l’Italia imitasse il comportamento della 242 «Novo Doba», 20 e 22 novembre 1918. AM, archivio di base, c. 1182, Ziliotto a Foscari, 4 novembre 1918. La lettera fu in parte pubblicata in «L’Idea Nazionale», 13 novembre 1918, Sebenico e Spalato alla Madre Italia. 244 Sebenico e Spalato alla Madre Italia, 13 novembre 1918, cit. 245 FRUS, 1919, The Paris Peace Conference, II, Ghiglianovich a Page, 30 novembre 1918, allegato a Page al Dipartimento di Stato, 6 dicembre 1918, pp. 322-323; AS BOLOGNA, Carte Aldrovandi Marescotti, b. 506, Ghiglianovich a Aldrovandi Marescotti, 27 novembre 1918; DDI, VI, 1, Borsarelli a Sonnino, 1° dicembre 1918, dd. 419, 426. 243 GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 71 Francia: come i francesi, oltre all’Alsazia Lorena, avevano occupato tutta la Renania occidentale e tre teste di ponte sulla riva destra del Reno, così l’Italia doveva assumere il controllo di tutta la Dalmazia fino a Cattaro, per ragioni di sicurezza e di ordine e per proteggere le popolazioni dalmate italiane246. Pure Thaon di Revel e Millo si dichiararono convinti della necessità di occupare Spalato e cercarono di spingere il governo di Roma ad agire a tal fine. L’11 novembre Revel scrisse ad Orlando riferendogli notizie degli incidenti anti-italiani di Spalato del 9 e chiedendogli l’autorizzazione «di procedere rapidamente all’occupazione di Spalato e dintorni con truppe italiane-francesi-inglesi e degli Stati Uniti. Sarebbe in tal caso evidentemente vantaggioso per noi ottenere che il Comando fosse assunto da un ufficiale italiano»247. Inizialmente Orlando si dichiarò d’accordo con l’idea di Revel248, poi, timoroso del possibile scoppio di gravi incidenti fra italiani e serbi, preferì soprassedere e rinviare la questione al Comitato interalleato degli ammiragli per l’Adriatico249. Il 23 novembre Millo ricordò a Revel le persecuzioni di cui erano oggetto gli italiani di Spalato e consigliò l’invio almeno di una nave da guerra in quel porto a tutela dei connazionali250. Il governatore della Dalmazia considerava ciò anche un mezzo per tenere viva la rivendicazione italiana sulla regione di Spalato. Anche geograficamente, militarmente ed economicamente il confine della Dalmazia nostra dovrebbe essere (a sud e sud-est) il corso del Cetina, con diritto di proprietà completo sulle sue acque, e dalle sorgenti di tale fiume al punto più vicino della cresta delle Dinariche (Monte Dinara, m. 1831). La vallata del Cetina è fra le più fertili, e alla foce, ad Almissa, vi è già un impianto della S.U.F.I.D251. Tutta la storia di quelle terre è storia nostra, come è nostra la cultura, la classe dirigente ed intraprendente, tutto, meno la popolazione immigrata che per legge secolare, da barbara qual è, assimilerà la civiltà latina che incontra nella sua atavica discesa al mare da levante a po- 246 «L’Idea Nazionale», 25 novembre 1918, commento ad ordine del giorno votato dal gruppo nazionalista romano. 247 AM, archivio di base, c. 1182, Revel a Orlando, 11 novembre 1918. 248 AM, archivio di base, c. 1182, Orlando a Revel, 13 novembre 1918. 249 Sull’attività di questo comitato: ?IVOJINOVIC!, America, Italy and the Birth of Yugoslavia, cit., p. 240 e ss. 250 AM, archivio di base, c. 1173, Millo all’Ufficio del capo di stato maggiore della Marina, 23 novembre 1918, telegramma in gran parte edito in OA, p. 356. 251 La SUFID (Società anonima per l’utilizzazione delle forze idrauliche in Dalmazia) era una società nata nel 1902 e proprietà di capitalisti italiani e austriaci. 72 LUCIANO MONZALI nente, e rimarrà a sua volta assimilata dall’elemento nostro. Rimarrebbe alla Jugoslavia la Narenta, ecc. e la regione di Ragusa, Gravosa, ecc., che penso sufficiente a sbocchi importanti di un popolo, che si può dire nascente, e non ben costituito252. Nonostante le tesi di Millo, ispirate da una visione piena di pregiudizi e troppo rozza della società dalmata, il governo italiano scelse di seguire una politica prudente, evitando atti di forza unilaterali che avrebbero potuto creare incidenti con l’esercito serbo ed aumentare la tensione nei rapporti con gli alleati. Per varie settimane il governo preferì evitare l’invio di una nave italiana a Spalato253. Fu solo l’aggravarsi della situazione delle comunità italiane a Spalato e Traù a convincere il governo ad inviare una nave. Fra novembre e dicembre lo scontro nazionale nella città di Diocleziano s’intensificò. Il 18 novembre con un’ordinanza il governo provinciale della Dalmazia impose a tutti i funzionari degli uffici pubblici il giuramento di fedeltà allo Stato dei Serbi, Croati e Sloveni. Alcuni funzionari di nazionalità italiana rifiutarono di prestare il giuramento poiché lo status politico e giuridico della Dalmazia era ritenuto ancora provvisorio e «non si trovavano per coscienza obbligati a prestarlo fino alla decisione definitiva da parte della Conferenza della pace». Ai primi di dicembre il governo iugoslavo reagì privando questi funzionari di ogni ufficio ed emolumento254. Il provvedimento colpì duramente il Fascio Nazionale Italiano di Spalato, poiché la maggior parte dei suoi dirigenti era composta da funzionari statali che improvvisamente perdevano lavoro e reddito: ad esempio, gli insegnanti Giacomo Marcocchia e Alessandro Selem, i funzionari provinciali Alfredo Riboli, Andrea Rados, Carlo Marincovich, Silvio de Michieli Vitturi, il giudice Ernesto Illich. La tensione nella città crebbe progressivamente nelle settimane successive per poi culminare negli incidenti del 23 dicembre. La sede del Fascio Nazionale Italiano a Spalato, il Gabinetto di Lettura, storica istituzione autonomista-italiana, fu attaccata da alcune decine di estremisti nazionalisti iugoslavi e croati, armati di rivoltelle e guidati da Edoardo Bulat, futuro gerarca ustascia. Gli aggressori danneggiarono i locali e 252 OA, pp. 356-357, Millo a Revel, 3 dicembre 1918. archivio di base, c. 1173, Orlando a Revel, 11 dicembre 1918, in parte edito in OA, p. 357. 254 OA, pp. 358-359, Pervan, Pezzoli e Tacconi a Millo, 3 dicembre 1918. Un elenco degli impiegati di nazionalità italiana destituiti per non avere giurato fedeltà allo Stato iugoslavo è conservato in AM, archivio di base, c. 1173. 253 AM, GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 73 imposero la chiusura dell’associazione, minacciando violenze in caso del futuro protrarsi dell’attività del sodalizio. Sempre in quelle ore fu attaccata la Società Operaia, altra vecchia associazione autonomista, di tendenze socialiste ma a prevalenza italiana, con danni e minacce ai soci, e furono aggrediti numerosi italiani per le strade di Spalato. Ogni italiano che veniva incontrato per le vie e riconosciuto, veniva fermato e gli si ingiungeva di recarsi tosto a casa a scanso di maltrattamenti. Del pari gruppi di dimostranti eccedettero contro i negozi di italiani portanti scritte in lingua italiana. Così dinnanzi al negozio del sig. Giuseppe Valle, radunatosi un gruppo di eccedenti, gli imposero di allontanare la scritta italiana, ed in pari tempo lo chiusero dentro nel negozio. Anche i lastroni della ditta «D. Savo», portanti scritte in lingua italiana, vennero ridotti in pezzi255. Alcuni giorni dopo, il 6 gennaio 1919, scoppiarono altri incidenti anti-italiani nella vicina Traù. Diffusasi la falsa notizia di un’avanzata dell’esercito italiano verso la cittadina dalmata, gruppi di facinorosi attaccarono e danneggiarono vari negozi ed abitazioni appartenenti ad italiani di Traù256. Di fronte al proliferare degli incidenti contro dalmati di nazionalità italiana, alla fine di dicembre il governo di Roma autorizzò l’invio di una nave da guerra a Spalato, l’esploratore Riboty, con l’incarico di soggiornare permanentemente nel porto cittadino257. Millo ordinò al comandante della nave di giustificare la propria presenza a Spalato con l’esigenza di seguire direttamente l’opera di requisizione del naviglio austro-ungarico situato in quel porto. Oltre a ragioni di prestigio, cioè dimostrare lo status di grande potenza vincitrice con la presenza di una propria nave militare nel principale porto della Dalmazia iugoslava, l’invio dell’esploratore rispondeva a svariate esigenze politiche del governo di Roma: la protezione dell’elemento italiano locale, la raccolta di informazioni sulla situazione nella Dalmazia centrale ed un’attività di propaganda filo-italiana per mezzo di for- 255 ASMAE, ACP, CP., b. 20, Memoriale degli italiani di Spalato, febbraio 1919. Un cenno a questi incidenti in «Novo Doba», 24 dicembre 1918, Gradske Vijesti. 256 AM, archivio di base, c. 1444, Luigi Nutrizio a Millo, 7 gennaio 1919; ibidem, Millo al Comando supremo, allo Stato maggiore della Marina e al Ministero degli Esteri, 9 gennaio 1919. 257 Al riguardo: OA, pp. 362-364; DDI, VI, 1, d. 496, Revel a Sonnino, 8 dicembre 1918; ibidem, dd. 523, 678, 679. 74 LUCIANO MONZALI niture gratuite di viveri e di concessioni di sussidi258. L’arrivo della nave italiana a Spalato – a partire dal 12 gennaio 1919 sostituita nelle sue funzioni dall’incrociatore Puglia259 – irritò le autorità iugoslave e tranquilizzò gli spalatini italiani, che sperarono di potere contare su una maggiore protezione260. In effetti il governo iugoslavo, desideroso di evitare incidenti che potessero offrire un pretesto all’Italia per estendere verso sud la propria occupazione, aumentò la vigilanza a protezione della minoranza italiana. Ma la tensione nella città rimase alta. La presenza di centinaia di profughi dalla Dalmazia settentrionale, pieni di rabbia e rancore contro l’Italia e i dalmati italiani, forniva lo strumento ideale per organizzare agitazioni e manifestazioni, spesso violente. Fra dicembre e gennaio l’arrivo di una nave da guerra italiana a Spalato e l’avanzata delle truppe di Millo verso Knin e Obrovazzo, innervosirono le autorità civili e militari iugoslave. Come notò il console Roddolo, in servizio sulla Riboty: Le nostre truppe che occupano mano mano i confini dell’armistizio e perciò si avvicinano a Spalato fanno credere agli Jugoslavi prossima una nostra occupazione di quella terra, alla quale occupazione quasi certamente i reparti serbi si opporrebbero con le armi261. Se negli ambienti croati e iugoslavi spalatini crescevano i timori circa il futuro, in quelli italiani rimanevano vive le speranze di una futura occupazione dell’Italia. Speranze alimentate dal governatore militare Millo, convinto della necessità di una futura redenzione nazionale della città di Spalato. Ancora il 7 marzo 1919 Millo si proclamò sicuro che la maggioranza della popolazione di Spalato fosse a favore dell’annessione all’Italia. Lo stato di tranquillità creato dalla presenza delle navi alleate a Spalato aveva permesso «di constatare quanti siano effettivamente gli Italiani, quanti i partigiani dell’annessione all’Italia, e quanta strada ha fatto fra quegli abitanti la convinzione che 258 OA, pp. 364-366, Millo al comando del Riboty, 28 e 29 dicembre 1918. Sulle reazioni iugoslave alla presenza navale italiana a Spalato: «Novo Doba», 28 dicembre 1918, Gradske Vijesti. 259 Sull’attività del Puglia: GIULIO MENINI, Passione adriatica. Ricordi di Dalmazia 19181920, Bologna, 1925. 260 OA, pp. 369-372, Vettori a Millo, 30 dicembre 1918 e 1° gennaio 1919. 261 AM, archivio di base, c. 1444, brano di rapporto di Roddolo contenuto in Millo al Comando supremo, all’Ufficio del capo di stato maggiore della Marina e al Ministero degli Esteri, 6 gennaio 1919. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 75 solo coll’Italia essi potranno avere un Governo stabile e sicuro, e godere di quella libertà che solo i popoli civili possono assicurare. Io non esito ad assicurare che noi abbiamo oggi in Spalato e dintorni la maggioranza; e che solo in questi ultimi tempi vi è un poco da guardarsi dalla continua emigrazione che dalla Balcania, cioè dall’al di là delle Dinariche, avviene con elementi torbidi e pericolosi. […] La società operaia di Spalato che conta più di mille soci, di tinta socialista, è passata tutta a noi e pertanto, calcolando le famiglie, si arriva alle 8.000 teste alle quali bisogna aggiungere i Baiamontini, e gli italiani di classe elevata; tutto ciò di una popolazione che non arriva ai 20.000 abitanti in città. Aggiungo che solo il terrore delle rappresaglie, sempre minacciate dagli Jugoslavi con sistemi abissini, trattiene altri anche di razza croata, dal dichiararsi per noi; mentre la promessa dell’assegnazione delle terre ai contadini ha fatto volgere i proprietari all’Italia come l’unica nazione che può dare solide garanzie di sicurezza»262. Di fatto gli italiani di Spalato, da una parte, strumentalizzati da alcuni settori politici e militari italiani, dall’altra, visti da molti dalmati croati come istigatori delle mire espansionistiche dell’Italia263, finirono per essere le principali vittime delle tensioni nazionali in Dalmazia, oggetto di continue violenze ed aggressioni, senza avere concrete possibilità di autodifesa. Una nuova ondata di aggressioni contro gli italiani spalatini ebbe luogo in occasione della visita a Spalato della Commissione interalleata per l’Adriatico, composta da un ammiraglio francese (Ratyè), un britannico (Kiddle), uno statunitense (Niblack) ed un italiano (il contrammiraglio Ugo Rombo) il 24 febbraio 1919. Sparsasi la voce che il Fascio Nazionale Italiano volesse organizzare una dimostrazione per testimoniare alla Commissione la forza dell’elemento italiano in città, gruppi di nazionalisti iugoslavi circondarono il Gabinetto di Lettura per molte ore bloccandone l’accesso, insultando e facendo dimostrazioni ostili contro coloro che cercavano di entrare o uscire; le proteste si tramutarono poi in violente sassaiole contro il Gabinetto. Nel tardo pomeriggio i dimostranti si spostarono verso altre parti della città: Indi i dimostranti in fretta percorsero la città con le grida e i canti più scur- 262 DDI, VI, 2, d. 703, Millo a Delegazione italiana a Parigi, 7 marzo 1919. In una conversazione con ufficiali della Puglia lo stesso vescovo di Spalato, ?aric!/Ciaric, accusò gli italiani irredenti di essere la fonte e gli istigatori dei contrasti fra dalmati e Italia: ASMAE, ACP, b. 20, Menini a Millo, 21 gennaio 1919. 263 76 LUCIANO MONZALI rili di insulto e di minaccie agli italiani, al Re d’Italia ed alle persone più in vista del locale partito italiano, sotto le finestre di ciascuno dei quali si inscenava una dimostrazione ostile. Essi si diedero quindi ad una caccia sfrenata agli italiani che trovarono per via. […] I dimostranti si diedero pure ad aggredire i negozi degli italiani infrangendone le insegne e le vetrate264. Nel corso delle dimostrazioni anti-italiane avvenute il 24 e il 25, vennero aggrediti i dirigenti del Fascio Nazionale e alcuni ufficiali di Marina italiani. Nel tardo pomeriggio del 24, di ritorno da una visita al contrammiraglio Rombo a bordo della nave italiana Nino Bixio, Leonardo Pezzoli, Antonio Tacconi, Stefano Selem, Edoardo Pervan e Riccardo Savo, accompagnati dal comandante della Puglia, Menini, e da un altro ufficiale, cercarono di entrare nel Gabinetto di Lettura, ma vennero attaccati da gruppi di dimostranti ostili: I 5 signori del Fascio e i due ufficiali italiani si trovarono sbarrato l’accesso alla gradinata dai dimostranti che li rispingevano violentemente indietro e si avventavano loro addosso, colpendoli con pugni, bastoni e ombrelli e scagliando contro di loro anche dei sassi, due dei quali colpirono alla schiena il comandante della Puglia capitano di fregata Giulio Menini mentre il capo dello stato maggiore della nave ammiraglia capitano di fregata G. Alessioni riceveva pure un colpo alla testa che gli faceva cadere il berretto. Il tutto era accompagnato da grida di minaccia e di insulto, le più volgari ed oscene ad essi ed alla Nazione Italiana265. Se gli ufficiali riuscirono a rientrare nelle loro navi, i dirigenti del partito italiano, mentre cercavano di tornare alle loro abitazioni provenendo dal porto, vennero nuovamente aggrediti: In seguito ad energiche rimostranze il signor Dr. Pezzoli, il Dr. Tacconi ed il fratello di questo Ildebrando riuscirono ad indurre le guardie a lasciarli passare oltre il cordone; ma appena ciò fatto, questo venne rotto dai dimostranti che si scagliarono loro addosso, finché beffeggiati e percossi a stento riuscirono a ricoverarsi nell’andito della Dogana. Chiuso il portone i dimostranti fecero irruenza contro lo stesso, tentando più volte di sfondarlo e vi piantonarono davanti per oltre un’ora, costringendo i tre signori a rimaner- 264 AM, archivio di base, c. 1444, Ufficio del capo di stato maggiore della Marina al presidente del consiglio e al ministro della Marina, senza data ma febbraio 1919. Questo documento riproduce la ricostruzione degli incidenti del 24 febbraio fatta dai capi del Fascio Nazionale Italiano di Spalato. 265 Ibidem. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 77 sene rinchiusi nell’andito, continuamente minacciati e vilipesi, senza che nessun organo di sicurezza trovasse di intervenire onde proteggerli e liberarli266. Di fronte alla gravità degli incidenti e alle proteste italiane, il Comitato interalleato degli ammiragli emanò un proclama il 25 febbraio nel quale, constatata l’aggressione compiuta contro ufficiali appartenenti ad una delle Nazioni Alleate, venne affidato all’ammiraglio americano di stanza a Spalato l’incarico di vigilare sul mantenimento dell’ordine in città attraverso l’uso di pattuglie interalleate. Furono, poi, considerati atti contrari alle clausole dell’armistizio: Ogni insulto alle Bandiere Alleate; Ogni oltraggio con parole e con gesti verso gli ufficiali o marinai o soldati delle Nazioni Alleate; Ogni assembramento tumultuoso; Ogni manifestazione contraria agli Alleati; Ogni attentato contro la libertà individuale e contro le proprietà private; Ogni violazione di domicilio; Qualunque rifiuto di ottemperare agli ordini delle Pattuglie267. L’intervento delle potenze dell’Intesa e degli Stati Uniti migliorò le condizioni di vita degli italiani di Spalato per alcuni mesi. Il governo di Belgrado, ostile ad interferenze esterne nel suo territorio e desideroso d’impedire il sorgere di incidenti che avrebbero potuto provocare una completa occupazione interalleata o italiana della città, intensificò le misure di protezione all’elemento italiano per qualche mese. Ma la città di Bajamonti sarebbe tornata ben presto al centro dello scontro politico e nazionale fra italiani e iugoslavi. 266 Ibidem. Sugli incidenti del 24 febbraio si vedano anche: «Novo Doba», 25 febbraio 1919, Iskazi u Splitu; «L’Idea Nazionale», 4 marzo 1919, Spalato sotto il controllo degli Alleati. I gravi fatti che provocarono il provvedimento; MENINI, op. cit., p. 80 e ss.; ILDEBRANDO TACCONI, La grande esclusa: Spalato cinquanta anni fa, in ID., Per la Dalmazia, cit., pp. 917918. 267 ASMAE, ACP, b. 21, testo del proclama del Comitato interalleato degli ammiragli per l’applicazione delle clausole dell’Armistizio in Adriatico, 25 febbraio 1919. Si veda anche «Novo Doba», 26 febbraio 1919, Admiralsko priopc!enje; ibidem, Proglasi gradjanstvu. Sull’azione del Comitato interalleato a Spalato in quelle settimane: ?IVOJINOVIC!, America, Italy and the Birth of Yugoslavia, cit., p. 246 e ss. 78 LUCIANO MONZALI 1.5. Il dibattito politico italiano sulla Dalmazia La vittoria militare dell’Italia, la dissoluzione dell’Impero asburgico e l’occupazione italiana della Dalmazia settentrionale sembrarono confermare la bontà della linea politica perseguita da Ghiglianovich nel corso della guerra, il suo stretto allineamento con le direttive del Ministero degli Affari Esteri e la sua critica ad ogni affrettata rinuncia territoriale. Ma, paradossalmente, la vittoria bellica svelò apertamente le divisioni e le incertezze esistenti in seno alla classe dirigente italiana riguardo alla questione adriatica. Inebriati dal successo sull’avversario austriaco, molti politici e militari, nonché vasti settori dell’opinione pubblica, si convinsero che l’inaspettato crollo dell’Impero asburgico offrisse nuove occasioni d’espansione da sfruttare pienamente: da qui il favore di molti all’ampliamento del programma di conquiste territoriali previsto dal patto di Londra, puntando anche all’annessione di Fiume, Spalato e di gran parte dell’Albania. Il gruppo politico che teorizzò e operò con più convinzione per ampliare il programma territoriale italiano nell’Adriatico fu l’Associazione Nazionalista268. Il deputato veneziano Piero Foscari era stato l’esponente nazionalista che con maggiore coerenza ed attenzione si era interessato alla questione dalmatica fin dall’inizio del Novecento269. Alla fine del 1918 Foscari ribadì le sue vecchie tesi sulla necessità di conquistare tutta la Dalmazia settentrionale e centrale in nome di esigenze di tutela nazionale e di sicurezza strategica. È interessante notare che Foscari, innanzitutto, si considerava un patriota veneto: a suo avviso, gli italiani d’Istria e di Dalmazia erano veneti, e quindi l’espansionismo adriatico dell’Italia, erede di Venezia, si giustificava con l’esigenza di unire tutti i veneti in un unico Stato270. Altra specificità di Foscari – amico di Volpi e con lui animatore del consorzio d’imprenditori che aveva investito in Montenegro nel primo decennio del secolo – era la sua serbofilia. Sarà bene affermare – dichiarò Foscari alla serbofoba Idea Nazionale – 268 Per una dettagliata analisi dell’azione politica più generale dell’Associazione Nazionalista in quegli anni: ROCCUCCI, Roma capitale del nazionalismo, cit. 269 ARMANDO ODENIGO, Piero Foscari, Bologna, 1959; MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., p. 256. 270 «L’Idea Nazionale», 20-21 settembre 1918, Le affermazioni adriatiche di Venezia. “Patria di Veneti tutto l’Adriatico”. (Nostro colloquio con l’on. Foscari). GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 79 che io non soffro di alcuna fobia, e come me i veneti. Tengo anzi a ricordare il mio antico serbismo271. Egli riteneva che l’annessione italiana della Dalmazia centro-settentrionale fosse perfettamente conciliabile con la realizzazione di larga parte delle rivendicazioni nazionali serbe e auspicava una futura riconciliazione con le nazioni iugoslave, in primis con serbi e montenegrini. Sotto lo stimolo di Foscari, Federzoni272 e Forges Davanzati273, il nazionalismo italiano si fece sostenitore di una revisione in senso espansionista del patto di Londra. Nel novembre 1918 Federzoni dichiarò che le conquiste italiane previste dal patto di Londra erano state il frutto di un negoziato con la Russia e che quindi costituivano «un programma minimo». Ma ora dal 1915 la situazione è mutata. La Russia è scomparsa; l’Italia ha dovuto caricarsi sulle spalle un peso infinitamente maggiore di quello che aveva previsto: e ha vinto magnificamente la guerra, decidendo l’esito del conflitto mondiale. Il confine imposto all’Italia nel patto di Londra è assolutamente inaccettabile; l’Italia non deve avere altro confine che le Dinariche274. In quei mesi in seno al partito nazionalista e fra gli irredentisti dalmati a esso vicini (Dudan, Cippico, Ruggeri) furono presenti due tendenze. La prima, massimalistica, per esempio rappresentata da Alessandro Dudan, chiedeva che l’Italia realizzasse l’annessione integrale della Dalmazia «da Arbe a Cattaro»275. La seconda, più moderata, rappresentata dai principali capi del movimento, Forges Davanzati, Federzoni, Foscari, sosteneva un programma territoriale imperniato sull’annessione italiana dell’ex Dalmazia veneziana fino al fiume Narenta e di Fiume. Il 24 novembre 1918 lo stesso Federzoni dichiarò a tal proposito, criticando le tesi di Dudan, che «i nazionalisti debbo271 Ibidem. Sulla figura di Federzoni si legga: LUIGI FEDERZONI, Italia di ieri per la storia di domani, Milano, 1967; BENEDETTO COCCIA, UMBERTO GENTILONI SILVERI (a cura di), Federzoni e la storia della destra italiana nella prima metà del Novecento, Bologna, 2001. 273 A proposito della biografia di Forges Davanzati: FRATER, Roberto Forges Davanzati. Lineamenti di vita, Milano-Roma, 1939. 274 «L’Idea Nazionale», 1° dicembre 1918, Il gruppo nazionalista romano contro le sopprafazioni austroslave. 275 «L’Idea Nazionale», 25 novembre 1918, Il gruppo nazionalista romano per l’italianità della Dalmazia. 272 80 LUCIANO MONZALI no tener massimo conto delle opportunità politiche del momento e che essi per i primi debbono evitare di provocare delle delusioni nel popolo italiano, formulando programmi di dubbia realizzazione»276. Le tesi dei nazionalisti erano condivise da molti esponenti del liberalismo italiano, in primis dai capi della Dante Alighieri, Boselli, Rava, Nathan, Sanminiatelli, Scodnik. Il 1° dicembre 1918 la Dante Alighieri organizzò un grande convegno a Roma mirante a sostenere la rivendicazione italiana di Fiume e di Spalato277. Il convegno votò un ordine del giorno che chiedeva un ampliamento delle conquiste previste dal patto di Londra. I rappresentanti della Società Nazionale Dante Alighieri […] reclamano che la Vittoria sia consacrata da un patto storicamente onesto e umanamente equo che, rivendicando all’Italia tutte le sue terre della Regione Tridentina fino al Brennero, della Venezia Giulia, della Dalmazia tutta con Fiume, italiane di storia, di tradizioni, di linguaggio e di sentimento, consacri il compimento dell’unità nazionale278. Fra il novembre 1918 e i primi mesi del 1919, si sviluppò una grande campagna di propaganda a favore dell’annessione della Dalmazia all’Italia, campagna organizzata dai comitati “Pro Dalmazia”, da numerosi politici (Boselli, Colonna di Cesarò, Foscari, Federzoni) e dagli stessi dalmati italiani279. In tutto il Paese, a Roma, Ancona, Milano, Venezia e Catania si tennero numerose manifestazioni a favore della Dalmazia italiana, e in particolare per l’occupazione italiana di Spalato e Traù280. Uno dei massimi protagonisti di questa mobilitazione politica fu Gabriele D’Annunzio281. Il coraggio dimostrato dal poeta abruz276 Ibidem. «L’Idea Nazionale», 2 dicembre 1918, Per le rivendicazioni adriatiche dell’Italia. Il grande convegno al Quirino. 278 Ibidem. 279 FRUS, The Paris Peace Conference, 1919, I, Page a House, 15 novembre 1918, con tre allegati, pp. 447-460. 280 «L’Idea Nazionale», 17 dicembre 1918, ARMANDO HODNIG, Ancona riconsacra italiano tutto l’Adriatico; ivi, 31 dicembre 1918, Roma proclama il diritto dell’Italia su tutta la Dalmazia. 281 Sull’atteggiamento di D’Annunzio verso la questione dalmatica: CARLO GHISALBERTI, Da Campoformio a Osimo. La frontiera orientale tra storia e storiografia, Napoli, 2001, p. 146 e ss.; ARRIGO SOLMI, Gabriele D’Annunzio e la genesi dell’impresa adriatica, Milano, 1945; RENZO DE FELICE, D’Annunzio politico 1918-1938, Roma-Bari, 1978; TULLIO VALLERY, GUIDO CALBIANI, Zara e la Dalmazia nel pensiero e nell’azione di Gabriele D’Annunzio, Venezia, 1970. 277 GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 81 zese con le sue spedizioni aeree nel corso del conflitto lo aveva trasformato in una figura popolarissima e in un eroe di guerra. Per D’Annunzio obiettivo cruciale della guerra era la conquista dell’egemonia italiana nell’Adriatico, sul modello dell’antica Roma e della Repubblica di Venezia: a tal fine l’Italia doveva assicurarsi il dominio di tutta la Dalmazia. Principale enunciazione della sua fede dalmatica fu la lettera che D’Annunzio dedicò a Ercolano Salvi e Giovanni Lubin, capi degli italiani di Spalato e Traù, nel gennaio 1919282. Il poeta inveì contro i nemici interni ed esterni che pensavano d’impedire l’annessione italiana della Dalmazia. A suo avviso, nessuna rinuncia territoriale era ipotizzabile: «Abbiamo combattuto per la più grande Italia. Vogliamo l’Italia più grande. Dico che abbiamo lo spazio mistico per la sua apparizione ideale. L’attendiamo alfine quale noi l’annunziammo»283. D’Annunzio denunciò le violenze che i dalmati italiani stavano subendo e si dichiarò pronto a sostenere le loro lotte contro i croati. Ma io, per me, come tutto offersi, e se tutto non mi fu preso me ne rammarico e quasi me ne vergogno, io sono oggi pronto a sacrificare ogni amore ogni amicizia ogni convenienza alla vostra causa che è la mia fin da quando, giovinetto, fui abbagliato per la prima volta dalla faccia di Traù a me consanguinea come la diletta delle mie sorelle lasciata nella casa chiara di mia. […] Dalmati fedeli, se l’ingiustizia si compia – e il nostro Dio ne disperda l’ombra imminente – voi caricherete le vostre barche coi rottami delle pietre gloriose, e vi imbarcherete con essi; e uscirete anche voi nel mare del vostro amore disperato; e vi lascerete andare a picco, voi e le reliquie, per ritrovare nel profondo i nostri morti, non più servi ribaditi ma uomini liberi tra uomini liberi. Seguitando la mia vocazione, io sarò con voi: forse non io solo284. Dalla lettura degli scritti dalmatici di D’Annunzio, tutti fondati sulla drammatica contrapposizione fra la civiltà latino-veneziana dei dalmati italiani e la «barbarie» croata, appare chiaro che il poeta aveva una conoscenza superficiale e stereotipata della società dalmata, nella quale, contrariamente a quanto lui affermava, prevaleva la mescolanza etnica e dove era difficile separare semplicisticamente e nettamente i dalmati croati dagli italiani. Questa immagine letteraria ed 282 GABRIELE D’ANNUNZIO, Lettera ai dalmati, in ID., Scritti politici di Gabriele D’Annunzio, Milano, 1980, pp. 157-164. 283 Ivi, p. 160. 284 Ivi, pp. 164-165. 82 LUCIANO MONZALI ideologica dei dalmati, in fondo utile strumento per legittimare i progetti imperialistici italiani, spiega il fatto che D’Annunzio perorasse l’annessione all’Italia di tutta la Dalmazia asburgica, da Zara fino a Cattaro, senza tenere conto della diversità delle situazioni locali, che consigliavano allo stesso Ghiglianovich di limitare il programma territoriale dei dalmati italiani alla semplice richiesta di annessione della costa fra Zara e Spalato. Ma la retorica nazionale dannunziana, incentrata su un’idea linguistica e culturale di nazionalità, pur nei suoi stereotipi e nei suoi fraintendimenti, entusiasmava molti dalmati italiani che la sentivano molto affine ai propri ideali nazionali ispirati non dalla tutela di un’inesistente purezza etnica e razziale, quanto dalla difesa e dalla lotta per la sopravvivenza di un patrimonio linguistico e culturale autoctono. Di fronte al crescere dell’entusiasmo e del consenso di larga parte dell’opinione pubblica italiana a favore della causa fiumana e di quella dalmatica, uno dei principali leader della sinistra interventista, Benito Mussolini, assunse posizioni sempre più espansioniste285. Desideroso di crearsi un ruolo di primo piano come capo dello schieramento interventista e combattentista, Mussolini enunciò tesi simili a quelle dei nazionalisti. Se nel maggio 1918 il politico romagnolo ancora parlava della necessità di creare una grande collaborazione politica ed economica con i serbi e dell’Adriatico come mare italo-slavo, limitando le mire espansionistiche dell’Italia in Dalmazia alla sola Zara286, dopo l’armistizio con l’Austria cominciò a domandare l’annessione di gran parte della costa dalmatica: a parere del giornalista romagnolo, l’esistenza di 80.000 italiani in Dalmazia rendeva impossibile l’abbandono di quella regione agli iugoslavi287. Comunque l’applicazione del patto di Londra non era più sufficiente: occorreva anche l’annessione di Spalato all’Italia288. Fra il 1918 e il 1919 vi fu una forte mobilitazione di dalmati ita- 285 Sull’atteggiamento di Mussolini verso la questione adriatica fra il 1918 e il 1919: ENNIO DI NOLFO, Mussolini e la politica estera italiana (1919-1933), Padova, 1960, p. 11 e ss.; RENZO DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino, 1965; VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo, cit., I, p. 259 e ss. 286 BENITO MUSSOLINI, Mezzi e fini dell’intesa italo-jugoslava, «Il Popolo d’Italia», 24 maggio 1918, edito in Opera omnia di Benito Mussolini, Firenze, 1964, vol. XI, p. 90 e ss. 287 BENITO MUSSOLINI, Noi reprobi, «Il Popolo d’Italia», 8 gennaio 1919, edito in Opera omnia di Benito Mussolini, cit., vol. XII, p. 118 e ss. 288 BENITO MUSSOLINI, [Pro Fiume e Dalmazia], «Il Popolo d’Italia» 15 gennaio 1919, edito in Opera omnia di Benito Mussolini, cit., vol. XII, pp. 144-145. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 83 liani per la campagna pro Dalmazia, molti dei quali si recarono in Italia per partecipare personalmente alle manifestazioni e testimoniare concretamente l’esistenza dell’italianità dalmatica. Vennero in Italia molti giovani e, cosa che mostrava quanto la cultura delle città dalmate fosse stata influenzata dal modello sociale e culturale mitteleuropeo, molte ragazze e donne, più libere e attive politicamente rispetto alle italiane della Penisola. Sul piano politico uno dei capi italiani più attivi fu ovviamente Roberto Ghiglianovich. Nei suoi discorsi il deputato zaratino continuò ad insistere sulla necessità dell’annessione della Dalmazia ex veneziana all’Italia, sottolineando la volontà italiana di non opprimere i dalmati slavi. La cessione pur di una minima parte di quella che fu la Dalmazia di Venezia al nuovo Stato balcanico non può quindi trovare assentimento nella Nazione. La Dalmazia di Venezia deve essere congiunta all’Italia, che, lungi dal massacrare o comunque sopprimere l’elemento slavo del paese, darà allo stesso, e sul serio, tutte le libertà nazionali289. Pure i rappresentanti degli italiani di Traù e Spalato s’impegnarono massicciamente nella propaganda pro Dalmazia. Vennero in Italia per propagandare l’italianità di Traù Umberto Nani, Luigi Nutrizio, Giovanni Lubin, Giovanni Fanfogna; a difesa dell’italianità di Spalato si mobilitarono gli spalatini Stefano Selem, Ernesto Illich, Carlo Pezzoli, Giuseppe Savo, Luca Poduje, Lorenzo Gilardi, Giovanni Bettiza, Giacomo Marcocchia, Maria Gilardi. Ma l’oratore principe degli italiani della Dalmazia centrale occupata dagli iugoslavi fu il capo del partito autonomo-italiano spalatino, Ercolano Salvi. Fra il 1918 e il 1919 Salvi girò senza sosta l’Italia impegnandosi in comizi ed incontri. Per il politico spalatino, Spalato era la città più classicamente romano-veneta dell’Adriatico orientale, dove solo gli intrighi dell’Austria avevano fatto perdere agli italiani il controllo della rappresentanza comunale. Il patto di Londra aveva compiuto un crimine dividendo la Dalmazia in due e rinunciando alla rivendicazione di Spalato. La Dalmazia era qualcosa d’indivisibile e non poteva essere smembrata fra Italia e Iugoslavia. Bisogna infatti non conoscere affatto né la struttura geografica della Dalmazia, né il suo organismo dirò così fisico politico, consolidato da seco289 Per le rivendicazioni adriatiche dell’Italia, cit. 84 LUCIANO MONZALI li, né la sua naturale legge di gravitazione interna per immaginare di poter possedere Zara, Sebenico e le isole, senza aver Spalato. Una consimile soluzione, lungi dal risolvere il problema dalmatico, rispettivamente il problema adriatico, lo complicherebbe irreparabilmente. L’Italia è entrata in guerra per assicurarsi una giusta supremazia sull’Adriatico. Per ottenerla effettivamente, deve avere la Dalmazia. Ma avere la Dalmazia senza Spalato, è come avere una pianta senza radici, od un corpo senza il torace. È un assurdo, una inverosomiglianza inconcepibile, una materiale impossibilità290. Le argomentazioni politiche di Salvi e degli altri italiani spalatini suscitarono dubbi in alcuni esponenti dalmati. Roberto Ghiglianovich in una lettera al cugino Domenico Barbieri constatò la pericolosità della propaganda di Salvi. Gli argomenti di Salvi – a parte i sentimentali – non mi piacciono. E glielo scrissi subito. Il dire: «La Dalmazia si piglia tutta o non si piglia» è pericolosissimo. Si svaluta soverchiamente il Patto di Londra. Si indispettisce Sonnino. Si offre un’arma potente agli avversari che sostengono la stessa cosa e nel peso della bilancia hanno argomenti ben maggiori dei nostri per pigliarla tutta. Il valorizzare troppo – come fa egli – la ricchezza di Spalato e del suo circondario, il parlare di Spalato come punto di congiungimento tra l’Italia e i Balcani, per l’Italia è un’arma a doppio taglio e finisce col tagliarci le gambe se si riflette che non esiste affatto – e tutti lo sanno – la separazione netta, insormontabile – che Salvi asserisce – tra Spalato e il retroterra balcanico. Quando Bajamonti accennava a Belgrado, non pensava a una Spalato annessa all’Italia. Per chi capisce le cose, la dimostrazione di Salvi si ritorce contro di noi291. L’impegno di Salvi, Ghiglianovich, Ziliotto e di tanti dalmati italiani nella campagna a favore dell’annessione della Dalmazia e di Spalato all’Italia suscitò irritazione e rabbia nei capi del nazionalismo iugoslavo dalmata. Il principale giornale croato-iugoslavo in Dalmazia, il «Novo Doba», vicino a Trumbic!, scatenò una campagna di stampa contro i capi italiani, accusandoli di essere rinnegati slavi, ex austriacanti e fanatici292. Fra la fine del 1918 e i primi mesi del 1919 sul «Novo Doba» particolarmente numerose furono le difese e le spiega290 ERCOLANO SALVI, Per Spalato, Roma, 1919, p. 3. BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 23 gennaio 1919. 292 «Novo Doba», 19 dicembre 1918, Agitacija za Split u Italiji; ivi, 4 gennaio 1919, De la Tripolitaine européenne; ivi, 10 gennaio 1919, L’italianità della Dalmazia; ivi, 22 gennaio 1919, Austriacanti; ivi, 9 aprile 1919, Austro-talijani. 291 GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 85 zioni del carattere slavo di Spalato293. Per il vecchio capo nazionalista iugoslavo Pero ?ingrija, Ercolano Salvi era un fanatico, ex confidente della polizia austriaca. Spalato, invece, era una città slava, anche se ?ingrija aveva difficoltà a spiegare l’uso della popolazione spalatina di parlare il dialetto veneto-dalmata. Spalato – scrisse ?ingrija – colla sua popolazione, composta in buona parte da villici lavoratori dei campi che parlano la nostra lingua (hrvatski), è una città slava. L’italiano è parlato in famiglie del ceto cittadino per antica abitudine ereditata dal veneto dominio, di cui grande parte appartiene al nostro partito294. In Italia, contro la campagna pro Dalmazia si mobilitarono alcuni scrittori e politici, che ritenevano un rischio per l’Italia l’annessione di una provincia abitata da molti allogeni slavi e sostenevano l’utilità di un compromesso territoriale con lo Stato iugoslavo. Consapevoli dell’esistenza di tendenze anti-italiane nei governi alleati, dopo la guerra Bissolati, Albertini, Salvemini riproposero l’esigenza di compiere volontariamente alcune rinunce territoriali in Dalmazia per facilitare la futura pace adriatica ed il riconoscimento alleato del controllo italiano di tutta la Venezia Giulia295. Ma anche in seno al cosiddetto “interventismo democratico” vi era diversità d’opinioni sull’ampiezza delle rinunce da compiere in Dalmazia. Albertini riteneva che l’Italia dovesse annettere la gran parte delle isole dalmate e la città di Zara, rinunciando al resto della Dalmazia296. Salvemini, invece, considerava necessario il dominio italiano solo su poche isole e consigliava la rinuncia a tutta la Dalmazia continentale: la città di Zara poteva ricevere una costituzione autonoma e per la minoranza italiana nel nuovo Stato iugoslavo vi sarebbero state varie garanzie a propria protezione, simili a quelle che l’Italia avrebbe riservato alle sue minoranze croate e slovene297. Pretendere l’annessione di tutta o gran parte della Dalmazia, a parere di Salvemini, avrebbe significato rendere impossibile l’accordo 293 «Novo Doba», 7 gennaio 1919, 30 aprile 1919. «Novo Doba», 30 e 31 gennaio 1919, PERO ? INGRIJA, Un nuovo prepotente. 295 BARIÉ, Luigi Albertini, cit., p. 364 e ss. 296 ALBERTINI, Epistolario, cit., III, Albertini a D’Annunzio, 8 novembre 1918, d. 915; ivi, III, Albertini a Emanuel, 14 novembre 1918, d. 921; MONZALI, Albertini, la guerra mondiale e la crisi del dopoguerra, in ALBERTINI, I giorni di un liberale, cit., p. 162 e ss. 297 SALVEMINI, MARANELLI, La questione dell’Adriatico, in SALVEMINI, Dalla guerra mondiale alla dittatura, cit., pp. 436-444. 294 86 LUCIANO MONZALI con gli iugoslavi e avrebbe portato l’Italia a perseguire una politica imperialista, contraria al proprio interesse di presentarsi come potenza amica e protettrice delle nazioni balcaniche e orientali298. Le rinunce in Dalmazia avrebbero reso possibile ottenere l’annessione di Fiume, dimenticata dal patto di Londra, e la sicurezza strategica nei confini giuliani299. Su posizioni simili a quelle di Salvemini si schierò pure Bissolati. Il politico lombardo sostenne l’esigenza di rinunciare alla Dalmazia continentale per avere in cambio l’annessione di Fiume, città in maggioranza italiana. Le comunità italiane dalmate avrebbero potuto proteggere i propri diritti culturali e linguistici «sia mercè la costituzione di autonomie là dove esistono forti gruppi italiani come a Zara; sia mercè intese fra i due Stati, intese la cui garanzia per l’Italia riposerebbe essenzialmente sul fatto che dentro i confini nostri, anche esclusa la Dalmazia, sarebbero chiamati a vivere jugoslavi in assai maggior numero che italiani nei confini della Jugoslavia»300. Le richieste di annessione di Fiume e di Spalato erano condivise da larga parte dei vertici delle forze armate e del governo italiano. In particolare, nei primi giorni dopo l’armistizio il presidente del Consiglio Orlando si mostrò animato dalla volontà di ampliare al massimo le occupazioni territoriali italiane, puntando soprattutto ad assicurare all’Italia il controllo di Fiume301. Per alcune settimane il ministro degli Esteri Sonnino, più cauto e consapevole delle difficoltà nei rapporti con gli alleati, cercò di contrastare queste idee sostenendo la necessità di non andare oltre quanto previsto dal patto di Londra. L’applicazione del patto di Londra avrebbe garantito l’annessione della Dalmazia, che stava a cuore di Sonnino molto più di Fiume, in quanto il controllo di parte della costa dalmatica assicurava l’egemonia militare dell’Italia nell’Adriatico. Ma ormai la guida della politica estera italiana non era nelle mani di Sonnino ma in quelle del presidente del Consiglio, e pure il ministro toscano dovette accettare l’imposta- 298 GAETANO SALVEMINI, “Austria delenda” o “Austria servanda, «L’Unità», 7 settembre 1918, edito in ID., Dalla guerra mondiale alla dittatura, cit., p. 217 e ss. 299 GAETANO SALVEMINI, Ognuno al suo posto, «L’Unità», 2 gennaio 1919, edito in ID., Dalla guerra mondiale alla dittatura, cit., p. 475 e ss. Tesi simili a quelle di Salvemini sosteneva pure il giovane Piero Gobetti: PIERO GOBETTI, La questione jugoslava, riprodotto in ID., Scritti politici, Torino, 1969, pp. 6-11. 300 LEONIDA BISSOLATI, La Lega delle Nazioni e la politica italiana, in ID., La politica estera italiana, cit., p. 410. 301 Al riguardo: SONNINO, Carteggio 1916-1922, cit., Sonnino a Orlando, 14 novembre 1918, d. 370 e nota; MELCHIONNI, La vittoria mutilata, cit., p. 99 e ss. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 87 zione di Orlando che riteneva fondamentale l’annessione di Fiume. Vi era un’innegabile confusione in seno al governo italiano sulle direttive da adottare nella questione adriatica. Il 10 dicembre Barrère, ambasciatore francese a Roma, riferì al suo governo che Sonnino gli aveva dichiarato confidenzialmente di essere contrario a rivendicare Fiume, ritenendo che bisognasse rispettare la lettera del patto di Londra. Orlando, invece, considerava cruciale il controllo del porto del Quarnero e propendeva per un possibile scambio di territori, con la rinuncia ad alcuni territori dalmati in cambio di Fiume302. A favore di una politica di rivendicazioni territoriali in Dalmazia, in parziale sintonia con le direttive di Sonnino, si battevano sia il governatore della Dalmazia, Millo, sia gli alti vertici della Marina italiana. I capi della Marina ritenevano il controllo di tutta la Dalmazia fino alla Narenta fondamentale per assicurarsi l’egemonia navale nell’Adriatico. Per Thaon di Revel, capo di Stato maggiore della Marina, la Dalmazia era assai più importante di Fiume. Per chiarire il pensiero della Marina italiana Thaon inviò a Sonnino un promemoria, nel quale veniva riaffermata l’impossibilità di compiere rinunce territoriali in Dalmazia e la necessità di mantenere il confine sulle Alpi Dinariche. Si può dunque dire che Fiume rappresenta la ricchezza, la Dalmazia la sicurezza. Fiume rappresenta la possibilità di arredare sontuosamente una casa senza porte, la Dalmazia significa munire di porte inviolabili una casa arredata sia pur più modestamente. Tra queste due soluzioni non può esservi dubbio circa la scelta: tener fermo per la Dalmazia, e quando tutto venisse a mancare, immolare Fiume ma salvare la Dalmazia303. Fra dicembre e gennaio il dissidio in seno al governo italiano sulle direttive da seguire alla Conferenza della pace esplose apertamente. Il 15 e 16 dicembre, in sede di Consiglio dei ministri, Bissolati e Nitti sostennero l’opportunità di allinearsi maggiormente alle posizioni degli alleati e di smentire l’esistenza di presunte mire imperialistiche: un passo in questa direzione doveva essere la rinuncia alla Dalmazia (eccetto eventualmente Zara da costituirsi come città autonoma) per avere Fiume città libera o annessa all’Italia304. La maggior parte dei 302 AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol. 77, Barrère a Pichon, 10 dicembre 1918. 303 SONNINO, Carteggio 1916-1922, cit., Relatività dell’importanza di alcuni possessi, al- legato a Thaon di Revel a Sonnino, 16 dicembre 1918, d. 388. 304 SONNINO, Diario 1916-1922, cit., pp. 318-320; PIETRO PASTORELLI, Le carte Colosimo, «Storia e Politica», 1976, n. 2, pp. 370-377; MELCHIONNI, La vittoria mutilata, cit., p. 195 e 88 LUCIANO MONZALI ministri si oppose a questa impostazione, ritenendo pericolosa ogni rinuncia preventiva prima dell’inizio dei negoziati di pace, senza avere ottenuto compensi o garanzie. Prevalse la tesi di Orlando, fautore di un programma territoriale fondato sull’applicazione del patto di Londra e sulla rivendicazione di Fiume. Per reazione all’impostazione politica dell’esecutivo Orlando, Bissolati e Nitti si dimisero dal governo all’inizio di gennaio305. Bissolati manifestò pubblicamente il suo dissenso e il 4 gennaio 1919 in un colloquio con Wilson, in visita in Italia, denunciò la politica adriatica del governo italiano come avente finalità imperialistiche ed aggressive306. Dopo aver esposto le proprie tesi circa il “giusto” confine orientale italiano (Fiume città libera, Gorizia e l’Istria occidentale all’Italia, tutta la Dalmazia agli iugoslavi), Bissolati, stimolato da Wilson che gli ricordava che Sonnino sosteneva che le isole e la costa della Dalmazia erano una vitale necessità militare con scopi difensivi per l’Italia, sbugiardò le tesi del capo della Consulta. Per il politico lombardo, il valore militare della Dalmazia non era per scopi difensivi ma offensivi: «Dalmatia is really a bridge-head, from which an army could strike to the north or south, as occasion demanded»307. Il verbale dell’incontro con Wilson fu sottoposto a Bissolati il 6 gennaio e fu da lui approvato, con l’ulteriore dichiarazione che «[...] he believed that Italy should abandon the Tirol and the Dodekanese as well as Dalmatia, as otherwise two national sentiments would be irrevocably offended»308. Il comportamento di Bissolati, le dure polemiche giornalistiche, le feroci lotte personalistiche indicavano che la classe dirigente italiana si apprestava ad affrontare la Conferenza della pace fortemente divisa sulla strategia politica da seguire e poco com- ss. Sui dissidi di Nitti con Orlando e Sonnino: MONTICONE, Nitti e la grande guerra, cit., p. 299 e ss. 305 Al riguardo: BONOMI, Leonida Bissolati, cit., p. 211 e ss.; ALBERTINI, Epistolario, cit., III, Amendola a Albertini, 1° gennaio 1919, p. 1141 e ss.; ivi, III, Albertini a Amendola, 10 gennaio 1919, p. 1147 e ss.; GAETANO SALVEMINI, Ognuno al suo posto, in ID., Dalla guerra mondiale alla dittatura, cit., p. 475 e ss.; COLAPIETRA, op. cit., p. 267 e ss.; FRUS, The Paris Peace Conference, 1919, I, Page alla Delegazione americana per i negoziati di pace, 28 e 30 dicembre 1918, pp. 470-472. 306 WP, 53, LAWRENCE GRANT WHITE, Digest of the President’s Conference with on. Bissolati, allegato a Page a Wilson, 7 gennaio 1919, pp. 641-644. Si veda anche: ARNO MAYER, Politics and Diplomacy of Peacemaking. Containment and Counterrevolution at Versailles 1918-1919, New York, 1967, pp. 212-213. 307 GRANT WHITE, Digest of the President’s Conference with on. Bissolati, cit. 308 Ibidem. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 89 patta al proprio interno309. Che la spaccatura fra oppositori e sostenitori dell’annessione italiana della Dalmazia continentale si fosse ormai sempre più aggravata fu testimoniato dalle violente dimostrazioni compiute da alcuni nazionalisti e irredentisti dalmati contro Bissolati e i «rinunciatari» in occasione della manifestazione da lui organizzata alla Scala di Milano nel gennaio 1919310. A queste proteste contro Bissolati parteciparono pure Salvi e Lubin311. 1.6. La questione dalmatica alla Conferenza della pace di Parigi (gennaio-giugno 1919) Nel corso della Conferenza della pace di Parigi, ad una classe dirigente italiana profondamente divisa sull’ampiezza del programma territoriale da perseguire nell’Adriatico orientale, si contrappose un fronte alleato unanime nell’intenzione di contrastare l’espansione italiana in Venezia Giulia e Dalmazia. I rapporti fra l’Italia e le potenze dell’Intesa non erano mai stati facili nel corso della guerra312. Il ritardo italiano nella dichiarazione di guerra contro Turchia ottomana e Germania e l’impostazione esclusivamente anti-asburgica data dal governo di Roma al suo intervento bellico avevano suscitato diffidenze ed ostilità in molti circoli politici francesi e britannici. Da parte italiana, l’esclusione dai negoziati interalleati sul futuro dell’Impero ot309 Tra le tante fonti esistenti riguardo alle lotte politiche italiane fra il 1918 e il 1919, ricordiamo: MALAGODI, op. cit., II; SILVIO CRESPI, Alla difesa d’Italia in guerra e a Versailles (Diario 1917-1919), Milano, 1937, pp. 223-240; GIAMBATTISTA GIFUNI (a cura di), Il diario di Salandra, Milano, 1969, pp. 205-214; RAFFAELE COLAPIETRA, Documenti dell’Archivio Colosimo in Catanzaro, «Storia e Politica», 1981, fasc. 3, pp. 600-616; FERDINANDO MARTINI, Diario 1914-1918, Milano, 1966, p. 897 e ss.; ALBERTINI, Epistolario, cit., III. 310 DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit., p. 485 e ss. 311 FV, ARC. GEN., fasc. Alessandro Dudan, Dudan a D’Annunzio, 9 gennaio 1919. 312 Per un’analisi approfondita delle relazioni fra l’Intesa e l’Italia nel corso della prima guerra mondiale: RICCARDI, Alleati non amici, cit. Si vedano anche: MARIO TOSCANO, Gli accordi di San Giovanni di Moriana. Storia diplomatica dell’intervento italiano (1916-1917), Milano, 1936; AUTORI VARI, La France et l’Italie pendant la première guerre mondiale, Grenoble, 1976, in particolare i saggi di Jean Baptiste Duroselle e di Georges Dethan, pp. 492511, 512-520; PASTORELLI, Dalla prima alla seconda guerra mondiale, cit.; RODOLFO MOSCA, La politica estera italiana dall’intervento alla vittoria, in ID., Le relazioni internazionali nell’età contemporanea. Saggi di storia diplomatica (1915-1975), Firenze, 1975, p. 19 e ss.; GIORGIO PETRACCHI, Diplomazia di guerra e rivoluzione. Italia e Russia dall’ottobre 1916 al maggio 1917, Bologna, 1974. Utili anche: JAMES RENNELL RODD, Social and Diplomatic Memories 1902-1919, London, 1925, p. 262 e ss.; ALEXANDRE RIBOT, Journal de Alexandre Ribot et correspondances inedites 1914-1922, Paris, 1936. 90 LUCIANO MONZALI tomano nel 1916313 e i vari tentativi anglo-francesi di spingere l’Austria-Ungheria alla pace separata, magari sacrificando alcune rivendicazioni territoriali italiane, erano state giudicate in modo molto negativo. Con l’avvicinarsi della fine della guerra i rapporti fra Italia e gli anglo-francesi si aggravarono. Il ritardo italiano nello scatenare un’offensiva terrestre contro l’Austria irritò moltissimo il governo di Parigi, che desiderava distrarre parte delle forze germaniche dal proprio fronte314. Terminata la guerra, la Francia cominciò a criticare duramente l’operato italiano nell’Adriatico orientale. Pichon si lamentò con Barrère della presunta violazione italiana delle norme armistiziali. I militari italiani rifiutavano la presenza di un contingente serbo a Fiume e, in generale, ostacolavano l’azione serba tentando di allargare la zona da loro controllata: a parere del ministro degli Esteri francese, tutto ciò non era compatibile con il rispetto dei princìpi di libertà e giustizia che il governo di Parigi voleva perseguire verso le popolazioni iugoslave315. Fra il dicembre 1918 e i primi mesi del 1919 crebbe nel governo francese l’ostilità verso la politica estera italiana316. Nei Balcani la diplomazia italiana era accusata di perseguire una politica anti-francese, mirante ad affermare l’egemonia dell’Italia nella regione e a sostenere le rivendicazioni di ungheresi, bulgari e romeni contro gli iugoslavi317. Nel Mediterraneo e in Etiopia il governo di Roma era considerato un pericoloso concorrente, desideroso di contrastare ed indebolire le posizioni francesi318. Anche il governo di Londra era 313 HARRY N. HOWARD, The Partition of Turkey. A Diplomatic History 1913-1923, New York, 1966 (prima edizione 1931), p. 181 e ss. 314 AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol. 77, Barrère a Pichon, 1° agosto e 26 settembre 1918. 315 AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol. 77, Pichon agli ambasciatori a Londra, Washington e Roma, 2 dicembre 1918; ibidem, Pichon a Barrère, 5 dicembre 1918. 316 Per un’analisi dell’atteggiamento della Francia verso la questione adriatica e la politica dell’Italia in quei mesi: FRANÇOIS GRUMEL-JACQUIGNON, La Yougoslavie dans la stratégie française de l’Entre-deux-Guerres (1918-1935). Au origines du mythe serbe en France, Bern, 1999; KOVAC#, La France, la création du royaume “ yougoslave “ et la question croate, cit., p. 207 e ss. 317 AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol. 77, Charles-Roux a Pichon, 15 dicembre 1918. 318 AMAF, Guerre 1914-1918, Questions générales africaines, vol. 1506, Barrère a Pichon, 8 maggio 1917; AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol. 77, Charles-Roux a Pichon, 15 dicembre 1918; AMAF, A-Paix 1914-1920, vol. 294, Direzione generale politica e commerciale, Données générales sur la politique italienne, 1° gennaio 1919. Sulle relazioni italo-francesi dopo la prima guerra mondiale: JEAN BAPTISTE DUROSELLE, Clemenceau, Paris, 1988, p. 780 e ss.; FRANÇOIS CHARLES-ROUX, Souvenirs diplomatiques. Une grande ambassade à Rome 1919-1925, Paris, 1961; JULES LAROCHE, Au Quai d’Orsay avec Briand et Poincaré 1913-1926, Paris, 1957, p. 57 e ss.; JOEL BLATT, France and the Franco-Italian GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 91 ostile alle direttive adriatiche e mediterranee della politica estera dell’Italia. Lloyd George, Balfour e i vertici britannici ritenevano nociva e pericolosa per i propri interessi un’eccessiva espansione territoriale italiana nell’Adriatico orientale, in Anatolia e in Africa, e negli anni successivi s’impegnarono per ridimensionare ed ostacolare le pretese e gli obiettivi dell’Italia319. Alla Conferenza della pace di Parigi, quindi, francesi e britannici decisero di ridiscutere e di rinegoziare quanto previsto dal patto di Londra, ritenendo che le condizioni internazionali fossero talmente mutate con la fine della guerra da rendere il trattato superato. In un’ottica di contenimento anti-italiano era utile per Francia e Gran Bretagna sostenere le pretese territoriali della Grecia e del nuovo Stato iugoslavo, potenziali contrappesi ad un’eccessiva influenza italiana. Queste esigenze derivanti dalla politica di potenza francese e britannica venivano occultate dalle diplomazie dei due paesi ricorrendo spesso ad un’invocazione strumentale del principio di nazionalità, di cui si domandava l’applicazione nel caso delle rivendicazioni italiane, applicazione, invece, dimenticata in altre parti d’Europa e del Vicino Oriente320. L’ostilità britannica e francese fu percepita dalla classe dirigente italiana321. Lo stesso Entente 1918-1923, «Storia delle Relazioni Internazionali», 1990, n. 2, p. 173 e ss.; ANNESOPHIE NARDELLI, La France et l’Italie à la Conférence de la Paix, «Revue d’histoire diplomatique», 2004, n. 1, p. 3 e ss. 319 Sull’atteggiamento britannico verso l’Italia e l’Europa meridionale e balcanica fra la fine del 1918 e il 1919: DAVID LLOYD GEORGE, The Truth about the Peace Treaties, London, 1938, II, p. 315 e ss.; ROTHWELL, British War Aims, cit., p. 111 e ss. ; HAROLD NICOLSON, Peacemaking 1919, London, 1945, p. 129 e ss.; MICHAEL L. DOCKRILL, J. DOUGLAS GOOLD, Britain and the Peace Conferences 1919-1923, London, 1981, p. 105 e ss., p. 186 e ss.; SETH P. TILLMAN, Anglo-American Relations at the Paris Peace Conference of 1919, Princeton, 1961, p. 315 e ss.; PAUL C. HELMREICH, From Paris to Sèvres. The Partition of the Ottoman Empire at the Peace Conference of 1919-1920, Columbus, 1974; ERIK GOLDSTEIN, Winning the Peace. British Diplomatic Strategy, Peace Planning and the Paris Peace Conference, 1916-1920, Oxford, 1991. 320 A questo riguardo illuminante è lo studio della genesi delle decisioni concernenti i confini degli Stati dell’Europa centro-orientale in seno alla Conferenza di Parigi: FRANCESCO CACCAMO, L’Italia e la “nuova Europa”. Il confronto sull’Europa orientale alla conferenza di pace di Parigi (1919-1920), Milano, 2000; SHERMAN DAVID SPECTOR, Rumania at the Paris Peace Conference. A Study of the Diplomacy of Ioan I. C. Bratianu, New York, 1962; FRANCIS DEÁK, Hungary at the Paris Peace Conference. The Diplomatic History of the Treaty of Trianon, New York, 1942; D. PERMAN, The Shaping of the Czechoslovak State. Diplomatic History of the Boundaries of Czechoslovakia 1914-1920, Leiden, 1962. 321 A questo proposito Guglielmo Emanuel, giornalista del «Corriere della Sera», scrisse a Luigi Albertini nel dicembre 1918: «Da parte di Clemenceau e di Berthelot persiste invece una ostilità che sarebbe pericoloso di ignorare. […] Mi viene riferito, da qualcuno che l’ha raccolto dalla bocca stessa di Berthelot, in un momento di sincerità, che l’azione di que- 92 LUCIANO MONZALI Sonnino era pienamente consapevole delle difficoltà a cui l’Italia doveva fare fronte alla Conferenza della pace. Il 5 gennaio 1919 il ministro degli Esteri dichiarò amaramente a Salandra: Gli alleati non hanno più bisogno di noi: quindi poco ci calcolano. L’Inghilterra tenderebbe ad essere benevola, ma finisce poi per assecondare, quando si conclude, la malevolenza della Francia. Questa si conduce sempre male verso di noi, per gelosia, per montatura che la induce a rivolere il predominio in Europa, per la speranza di farsi una clientela di piccoli Stati sorti o ingranditisi con lo sfasciamento degli Imperi. Inghilterra e Francia non rinnegano i patti di Londra; ma la Francia sopra tutto cerca di aiutare i Jugoslavi a svalutarci presso l’America; e in Inghilterra questa tendenza è assecondata da Steed, dal «Times»322. Ad indebolire la posizione diplomatica dell’Italia alla Conferenza della pace contribuì anche il cattivo stato delle relazioni italo-americane323. Fin dall’inizio del 1918 Wilson aveva manifestato il suo dissenso verso il programma territoriale italiano. Da parte degli Stati Uniti, privi di ambizioni territoriali in Europa e nel Mediterraneo, vi era soprattutto un’obiezione ideologica al programma italiano d’espansione: la ricerca di confini strategici era ritenuta un’ambizione ingiustificata per una grande potenza in un nuovo sistema internazionale nel quale l’esistenza di una Lega delle Nazioni con il compito del mantenimento della pace avrebbe scongiurato ogni pericolo d’aggressione contro l’Italia324. Nel governo americano, poi, vi era una forte simpatia verso i movimenti nazionali balcanici e dell’Europa censto si ispira al concetto che la Francia non deve più ripetere l’errore di facilitare lo sviluppo di potenza degli Stati confinanti: per cui la necessità di osteggiare (per un concetto egoistico) l’accrescimento dell’Italia e quella di favorire ogni dissenso con i nuovi Stati che sorgono, dato che ciò costituirà un elemento di debolezza futura per noi» (ALBERTINI, Epistolario, cit., III, Emanuel a Albertini, 7 dicembre 1918, d. 935). 322 ANTONIO SALANDRA, I retroscena di Versailles, Milano, 1971, p. 26. 323 Sull’atteggiamento degli Stati Uniti verso la politica estera italiana nel 1918-1919: RENÉ ALBRECHT-CARRIÉ, Italy at The Paris Peace Conference, Hamden, 1966 (prima edizione 1938), p. 35 e ss.; SAIU, op. cit.; ?IVOJINOVIC!, America, Italy and the Birth of Yugoslavia (1917-1919), cit.; MAYER, Politics and Diplomacy of Peacemaking, cit.; ID., Political Origins of the New Diplomacy, cit., p. 329 e ss.; DANIELA ROSSINI, Il mito americano nell’Italia della Grande Guerra, Roma-Bari, 2000, p. 157 e ss.; IUSTUS, V. Macchi di Cellere all’ambasciata di Washington. Memorie e testimonianze, Firenze, 1920. Per un’analisi dell’influenza americana sull’opinione pubblica italiana: LOUIS JOHN NIGRO JR., The New Diplomacy in Italy. American Propaganda and U. S. – Italian Relations, 1917-1919, New York, 1999. 324 ITALO GARZIA, L’Italia e le origini della Società delle Nazioni, Roma, 1995, p. 38 e ss. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 93 trale, superficialmente ritenuti benigni portatori dei valori di autodeterminazione nazionale e di libertà, mentre lo Stato italiano era considerato parte del vecchio sistema politico europeo, fondato sull’imperialismo e la politica di potenza. Fin dalla fine della guerra la diplomazia statunitense manifestò apertamente la sua opposizione alle rivendicazioni dell’Italia nell’Adriatico325; in successivi colloqui con Orlando e Sonnino a Roma e a Parigi il presidente Wilson chiarì ulteriormente le sue posizioni326. A parere del presidente americano l’Italia usciva dalla guerra enormemente rafforzata. Il patto di Londra aveva previsto un determinato assetto territoriale ritenendo probabile la sopravvivenza dell’Impero asburgico: ma tale Impero si era dissolto e quindi erano radicalmente mutate le condizioni che avevano portato alla conclusione dell’accordo. La creazione della Società delle Nazioni avrebbe garantito il mantenimento della pace e il rispetto del diritto internazionale. Da qui l’opportunità di un confine italo-iugoslavo fondato principalmente sul principio di nazionalità, con la richiesta americana della rinuncia italiana alla Dalmazia e all’Istria orientale; Fiume e Zara, centri a maggioranza italiana circondati da hinterland compattamente croati e serbi, potevano divenire città e porti liberi327. Le richieste e le tesi di Wilson crearono preoccupazione e sconcerto nel governo italiano. La Conferenza della pace di Parigi iniziava con molte incognite per l’Italia. In seno al governo italiano vi erano dissensi sul miglior modo di raggiungere gli obiettivi territoriali auspicati. Desideroso di evitare forti contrapposizioni con gli alleati e convinto di avere grandi capacità di persuasione, Orlando puntò a creare un suo rapporto personale con Wilson, sostenendolo nella creazione della Società delle Nazioni al fine di convincere il presidente americano a moderare le sue posizioni nella questione adriatica328. Con tale obiettivo Orlando decise di partecipare personalmente ai lavori della Commissione incaricata di preparare la stesura dello statuto del- 325 MELCHIONNI, La vittoria mutilata, cit., p. 142 e ss.; ALBERTINI, Epistolario, cit., III, Emanuel a Albertini, 21 dicembre e 22 dicembre 1918, dd. 950, 951; ALBRECHT CARRIÉ, op. cit., p. 35 e ss.; WP, 53, Derby a Balfour, 22 dicembre 1918, pp. 470-472; ivi, IMPERIAL WAR CABINET, Memorandum, 30 dicembre 1918, pp. 558-569. 326 WP, 53, From the Diary of Colonel House, 21 dicembre 1918, p. 466; ivi, Edward Price Bell a Lawrence Lanier Winslow, 31 dicembre 1918, con allegato, pp. 574-576. 327 WP, 54, Wilson a Orlando, 13 gennaio 1919, pp. 50-51; MELCHIONNI, La vittoria mutilata, cit., p. 242 e ss.; ALBRECHT CARRIÉ, op. cit. 328 MALAGODI, op. cit., II, p. 495 e ss.; GARZIA, L’Italia e le origini della Società delle Nazioni, cit., p. 69 e ss. 94 LUCIANO MONZALI la futura Società delle Nazioni, unico capo di governo, insieme a Wilson, a fare ciò329. Pure nelle discussioni del Consiglio Supremo dedicate alla questione delle colonie tedesche, il presidente del Consiglio italiano appoggiò con forza le tesi americane circa l’opportunità di istituire i mandati, cercando di presentare l’Italia come potenza «wilsoniana» e non imperialista330. Il presidente del Consiglio sperava di convincere Wilson ad accettare un compromesso territoriale nell’Adriatico: l’Italia avrebbe rinunciato a parte della Dalmazia in cambio della piena sovranità su Fiume. Pure Sonnino era disposto a fare alcune concessioni territoriali nel retroterra dalmata al fine di ottenere Fiume; ma il ministro degli Esteri dava molta importanza alla questione dalmatica e non voleva una pace adriatica troppo rinunciataria: egli condivideva pienamente le posizioni della Marina italiana e riteneva cruciale il futuro controllo di Zara e Sebenico, di gran parte delle isole dalmate e di Valona per garantire la sicurezza strategica e l’egemonia dell’Italia nell’Adriatico. In ogni caso Sonnino era convinto che la migliore strategia negoziale fosse di mostrare la massima rigidità e intransigenza agli inizi delle trattative con gli alleati e di non avere troppa fretta nel fare rinunce unilaterali. La consapevolezza dell’ostilità alleata verso il programma territoriale dell’Italia provocò un compattamento nella delegazione italiana nei primi mesi della Conferenza di pace. Si trovò temporaneamente un’intesa su un programma territoriale comune nell’Adriatico: il confine naturale sul displuvio alpino in Venezia Giulia e un parziale ridimensionamento delle richieste in Dalmazia in cambio di Fiume italiana e di un mandato sull’Albania. La delegazione italiana cercò di rompere il proprio isolamento diplomatico puntando a migliorare i rapporti con la Francia. Constatando le difficoltà che la Francia aveva nell’ottenere il desiderato confine renano a causa dell’opposizione anglo-americana, nei mesi di febbraio e marzo i delegati italiani fecero capire al governo di Parigi di essere pronti a difendere le tesi francesi sulla Renania in cambio di un deciso appoggio transalpino nella questione adriatica331. Il 24 febbraio 1919 329 GARZIA, L’Italia e le origini della Società delle Nazioni, cit., p. 69 e ss. Circa la convinzione di Vittorio Emanuele Orlando sull’esistenza di un rapporto di grande stima e simpatia reciproca tra lui e Wilson: ORLANDO, Memorie, cit., p. 467 e ss. 330 FRUS, The Paris Peace Conference 1919, III, pp. 765-768, intervento di Orlando al Consiglio dei Dieci, 28 gennaio 1919. 331 A questo riguardo si vedano le annotazioni di Barrère su un suo colloquio con Sonnino, verosimilmente nell’autunno 1919, durante il quale il politico toscano ricordò di avere proposto a Clemenceau la propria disponibilità a sostenere le rivendicazioni renane della Francia: GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 95 Barzilai, su incarico di Orlando, incontrò Barrère proponendogli una stretta alleanza italo-francese. L’Italia era disposta a sostenere le rivendicazioni francesi sul Reno e in Asia Minore. In cambio l’Italia doveva avere Fiume. A questo riguardo Barzilai dichiarò che la delegazione italiana era pronta a concessioni in Dalmazia: […] Nous savons très bien que pour avoir Fiume, nous en devons payer le prix. Nous sommes prêts à donner 4 croates contre un italien à renoncer à la plus grande partie de la Dalmatie en échange de cette ville332. Barrère, molto favorevole alle proposte italiane333 e desideroso che la Francia conquistasse il controllo della Renania, si recò a Parigi ai primi di marzo per conferire con Clemenceau. Egli notò un forte risentimento anti-italiano nel presidente del consiglio francese; costui si dichiarò disposto a dare Fiume all’Italia in cambio della rinuncia italiana a tutta la Dalmazia e a Susak, oltre a garanzie internazionali per l’uso del porto fiumano334. L’ambasciatore francese consigliò alla delegazione italiana di trovare un accordo al proprio interno e di presentare un progetto di compromesso sulla questione335. Probabilmente su stimolo di Barrère, all’inizio di marzo la delegazione tentò di dare ulteriore concretezza a questa proposta di collaborazione italo-francese. Sonnino chiese a Clemenceau di cercare un compromesso nella questione adriatica sulla base di una reinterpretazione delle clausole del patto di Londra, grazie alla quale in cambio di Fiume italiana l’Italia avrebbe rinunciato a parte del retroterra dalmata promessole nel 1915 (la regione di Knin)336. Da parte francese, però, si pretese la completa rinuncia italiana alla Dalmazia e, di fronte all’indisponibilità di Orlando e Sonnino a tale concessione, il negoziato bilaterale fallì337. Di fatto Clemenceau si dimostrò piuttosto freddo verso le aperture italiane. Come ha ben spiegato Jean Baptiste Duroselle, l’atteggiamento di Clemenceau verso l’Italia fu condizionato dal problema AMAF, Papiers d’agents, Barrère, vol. 6, CAMILLE BARRÈRE, Note, 24 ottobre 1919. Si vedano anche le dichiarazioni di Orlando e Barzilai a Malagodi: MALAGODI, op. cit., II, p. 518 e ss. 332 AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol. 88, Barrère a Pichon, 24 e 25 febbraio 1919. 333 AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol. 88, Barrère a Pichon, 26 febbraio 1919. 334 AMAF, PA, Barrère, vol. 6, CAMILLE BARRÈRE, Note 30 avril-15 mai 1919, s.d. 335 Ibidem. 336 SONNINO, Carteggio 1916-1922, cit., Sonnino a Clemenceau, 8 marzo 1919, d. 437, con allegato. 337 MALAGODI, op. cit., II, p. 566 e ss. 96 LUCIANO MONZALI fondamentale del confine franco-tedesco e della pace con la Germania. Mentre Foch, Barrère, Paul Cambon338 e Poincaré339 erano pronti ad un duro conflitto politico con le Potenze anglosassoni pur di ottenere una pace con la Germania che garantisse il definitivo distacco delle regioni renane dallo Stato tedesco, e in questa ottica vedevano con interesse un forte riavvicinamento tra Francia e Italia in sede della Conferenza della pace al fine di un appoggio reciproco nella realizzazione integrale delle proprie rivendicazioni territoriali, Clemenceau riteneva fondamentale per il futuro della Francia il mantenimento di una salda alleanza con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti e priva di grande valore un’intesa privilegiata con l’Italia. Il presidente del Consiglio francese accettò una soluzione di compromesso sulla questione delle frontiere del Reno (creazione del territorio autonomo della Sarre, temporanea occupazione francese della Renania con tre diverse scadenze e la possibilità di prolungarla o di rioccupare una zona già evacuata in caso di mancato rispetto germanico nell’esecuzione del trattato di pace) proprio al fine di garantire al governo di Parigi l’esistenza di una forte alleanza anglo-franco-americana, fondata sulla Società delle Nazioni e sui trattati di garanzia, che assicurasse la sicurezza della Francia e la sua egemonia nell’Europa continentale340. Logica conseguenza di questa scelta strategica di Clemenceau fu il suo sostanziale disinteresse ad accogliere le aperture italiane, ed il privilegiare sempre l’amicizia con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti a quella italo-francese. Falliti i tentativi italiani di trovare un’intesa privilegiata con la Francia, il governo di Roma si rassegnò progressivamente allo scontro diplomatico con gli alleati e gli iugoslavi in seno al Consiglio Supremo. Per presentare le proprie posizioni sulla questione adriatica la delegazione italiana preparò il cosiddetto memoriale Barzilai, compilato da Francesco Salata341 nel febbraio-marzo 1919342. Nel me- 338 Al riguardo: PAUL CAMBON, Correspondance 1870-1924, Paris, 1946, p. 294 e ss. Sul contrasto fra Clemenceau e Poincaré: BLATT, France And The Franco-Italian Entente, cit., p. 173 e ss.; RAYMOND POINCARÉ, Au service de la France. Neuf années de souvenirs. Vol. XI. À la recherche de la Paix, Paris, 1974. 340 DUROSELLE, Clemenceau, cit., pp. 720-773. Sulla questione della Renania alla Conferenza della pace: WALTER A. MC DOUGALL, France’s Rhineland Diplomacy 1914-1924. The Last Bid for a Balance of Power in Europe, Princeton, 1978, p. 33 e ss.; HENRY BLUMENTHAL, Illusion and Reality in Franco-American Diplomacy 1914-1945, Baton Rouge, 1986, p. 70 e ss. 341 Sulla genesi del memoriale Barzilai: RICCARDI, Francesco Salata, cit., p. 193 e ss. 342 DDI, VI, 2, d. 787, Les revendications de l’Italie sur les Alpes et dans l’Adriatique. 339 GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 97 moriale il governo italiano difese il significato e il contenuto del patto di Londra, mettendo in rilievo il carattere di compromesso delle clausole dedicate alla Dalmazia. L’Italia aveva rinunciato a chiedere Spalato e si era limitata a rivendicare il possesso di solo una parte della Dalmazia e con il 44% della sua popolazione. Occorreva rilevare, a parere del governo italiano, l’origine multietnica di molti dei circa 280.000 dalmati che sarebbero divenuti cittadini italiani applicando il patto di Londra: circa un terzo della popolazione dalmata era di presunte origini illirico-romane, cioè morlacca. Vi era poi un forte e numeroso elemento italiano: secondo il governo di Roma, vivevano in Dalmazia almeno 50.000 italiani, la cui esistenza era stata taciuta dai passati censimenti austriaci. Fra gli slavi dalmati molti parlavano italiano. A parere della delegazione italiana, quindi, la rivendicazione di parte della Dalmazia aveva una sua giustificazione nazionale. Vi erano poi ragioni strategiche che obbligavano l’Italia a essere presente in Dalmazia. Data la natura della costa occidentale dell’Adriatico, priva di difese naturali e aperta a possibili attacchi provenienti da Oriente, il possesso nemico della Dalmazia settentrionale rendeva l’Italia indifesa. L’Italia doveva quindi controllare una parte della Dalmazia per garantire la propria sicurezza nel Mare Adriatico343. In questo memoriale il governo italiano si limitava a domandare l’annessione di «une part convenable des côtes et des îles de la Dalmatie», senza specificare i limiti precisi dei territori richiesti: era chiaro che si era pronti a compiere rinunce rispetto a quanto previsto dal patto di Londra pur di avere Fiume, territorio che nel memoriale Barzilai veniva rivendicato con molto vigore e con ampiezza di argomentazioni. Lo sforzo dell’Italia di trovare un compromesso fallì anche a causa dell’irrigidimento delle posizioni iugoslave. I verbali della delegazione iugoslava alla Conferenza della pace344 confermano il fatto che l’intransigenza del governo di Belgrado in parte era dovuta all’esigenza di consolidare uno Stato già travagliato da forti contrasti nazionali e di tenere unita una classe dirigente alquanto divisa345. L’intransigenza era anche favorita dai segnali di sostegno che francesi, britannici e sta- 343 Ibidem. Zapisnici sa sednica delegacije Kraljevine SHS na Mirovnoj Konferenciji u Parizu 1919-1920, (d’ora innanzi Zapisnici), Beograd, 1960. 345 Sulla situazione interna al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni: BANAC, The National Question in Yugoslavia, cit., p. 226 e ss.; BIONDICH, op. cit., p. 149 e ss. 344 98 LUCIANO MONZALI tunitensi inviavano agli iugoslavi346: sentendo di avere l’appoggio di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, la diplomazia iugoslava sostenne posizioni massimalistiche, chiaramente manifestate dai memoranda presentati sulla questione adriatica alla Conferenza della pace nel febbraio 1919. Il Regno SHS rivendicò il possesso di tutta la Dalmazia, del Quarnero, della Venezia Giulia e del Friuli orientale. Riguardo alla Dalmazia, il governo iugoslavo presentò un memoriale347 in cui veniva ribadita la legittimità dell’appartenenza di tale regione, abitata in gran maggioranza da croati e serbi, al Regno SHS. In questo documento venivano ripetute alcune argomentazioni classiche del pensiero politico nazionalista croato-iugoslavo: dalla presunta costante esistenza di un’entità giuridica e politico-nazionale autonoma ed unitaria croata fin dall’Alto Medioevo, alla visione del dominio veneziano in Dalmazia come causa della decadenza economica e culturale e della parziale italianizzazione della regione dalmatica. Particolarmente rivelatrice era l’analisi della comunità italiana in Dalmazia. Il governo iugoslavo non negava che vi fosse una minoranza italiana in Dalmazia, ma affermava che essa non era autoctona, in quanto composta da immigrati provenienti dall’Italia e da slavi italianizzati. Gli immigrati sono i discendenti dei funzionari veneziani restati in Dalmazia nel XVII e XVIII secolo, o funzionari austriaci originari del Regno Lombardo-Veneto che si sono stabiliti nel paese durante la prima metà del XIX secolo, o infine piccoli commercianti, artigiani, marinai o pescatori venuti recentemente dall’Italia e che hanno formato delle nuove colonie italiane simili a quelle di Marsiglia, della Tunisia, dell’Argentina. Il resto era composto da slavi italianizzati nelle scuole o di aderenti al partito politico italiano che, ancora recentemente, deteneva il potere. Tuttavia tutti questi dalmati di lingua italiana hanno sempre dichiarato di non essere italiani ma slavi di civiltà italiana348. Erano argomentazioni che confermavano chiaramente la tradizio346 Ad esempio: Zapisnici, seduta del 2 febbraio 1919, pp. 41-43; LEDERER, op. cit., p. 167 e ss. 347 Zapisnici, p. 329 e ss., Memoar podnet Konferenciji Mira u Parizu, u vezi s revandikacijama Kraljevine Srba, Hrvata i Slovenaca. Alcuni estratti pubblicati in FEDERICO CURATO, La conferenza della pace 1919-1920, Milano, 1942, II, p. 98 e ss. Si veda anche: Documenti sulla questione adriatica. La Conferenza della pace (12 gennaio 1919 - 4 marzo 1920), Roma, s.d., p. 71 e ss. 348 Memoar, cit., p. 363; Memoriale jugoslavo sulla Dalmazia, in CURATO, La conferenza della pace 1919-1920, cit., II, p. 139. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 99 nale ostilità di molti nazionalisti croati e serbi verso l’esistenza della minoranza italiana in Dalmazia e la loro riluttanza a riconoscerle l’autoctonia e adeguati diritti politici e culturali. La crescente opposizione degli Stati Uniti al programma adriatico dell’Italia, l’ostilità dei franco-britannici e le divisioni in seno alla classe dirigente italiana spaventarono e inquietarono i dalmati italiani. Roberto Ghiglianovich fu presente a Parigi per vari mesi come rappresentante degli italiani di Dalmazia e seguì attentamente le complesse trattative sulla questione adriatica. Fin dal gennaio il politico dalmata si dimostrò alquanto pessimista sul futuro esito delle trattative. Egli considerava Orlando un politico debole, che temeva l’opinione pubblica e desiderava, prima di tutto, assicurare Fiume all’Italia: in questa ottica, per Ghiglianovich, il presidente del Consiglio mirava al baratto fra parte della Dalmazia e la città del Quarnero349. Già in gennaio, a parere di Ghiglianovich, ogni speranza per Spalato era priva di fondamento, mentre forse Zara e Sebenico avrebbero potuto essere salvate; ma pure il futuro di Zara sembrava al politico dalmata alquanto oscuro e incerto. Zara sola, senza un adeguato hinterland, senza niente altro che qualche scoglio all’intorno, isolata ben peggio della Sardegna dalla Penisola, colla pressione degli slavi, come potrebbe resistere economicamente e politicamente? […] Riuscirebbe Zara, di fronte al prevalente numero delle classi rurali del territorio e delle isole, avere un deputato italiano al Parlamento? Zara, non finirebbe coll’essere cosa inutile, forse anche un peso per l’Italia?350. Il deputato zaratino, poi, si dimostrò alquanto critico verso la delegazione italiana: Sonnino e Salvago Raggi vanno benissimo. Fermi, decisi, incrollabili. Salandra, per quanto sottoscrittore del Trattato di Londra, nel mentre è fermo sulla rivendicazione della intera Venezia Giulia, è sulla linea di una parziale rinunziabilità riguardo alla Dalmazia. Barzilai è stato sempre contrario alla Dalmazia; finse di essere favorevole quando appartenne al ministero Salandra; poi aderì al Patto di Roma, e già i giornali parigini glielo osservano! Poi assunse un contegno di diffidenza verso gli jugoslavi; poi parlò di Zara sola; poi ... poi ...: chi sa cosa ora pensa e vuole Barzilai? È un uomo ambi- 349 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 15 gennaio 1919 (in parte edita in RANDI, Il Sen. Roberto Ghiglianovich, cit., 1979, nn. 2-3, pp. 97-98). 350 Ibidem. 100 LUCIANO MONZALI zioso, senza ferme linee di convinzione, capace di tutti gli adattamenti351. Esperto conoscitore dei problemi politici ed amministrativi della Dalmazia, Ghiglianovich preparò numerosi memoriali sulla questione dalmatica per la delegazione italiana a Parigi. All’inizio del 1919 egli propose una serie di possibili soluzioni confinarie in Dalmazia. A parere del politico dalmata, la migliore ipotesi sarebbe stata l’annessione all’Italia di tutta la Dalmazia centro-settentrionale, che, partendo dalle due ultime insenature di mare (Novegradi/Novigrad e Carin/Karin) della terraferma settentrionale, inglobasse Zara, Bencovaz, Chistagne/ Kistanje, Sebenico, Dernis, Spalato, per raggiungere il limite meridionale a sud di Almissa/Omis# e del fiume Cetina, presso la cascata della Gubavizza: in cambio di Spalato si potevano lasciare allo Stato iugoslavo la Dalmazia meridionale, con Ragusa e Cattaro, e i centri prevalentemente slavi di Knin e Obrovazzo, riservati all’Italia dal patto di Londra352. Ghiglianovich definiva «linea della disperazione» un tracciato che riservasse all’Italia solo le città di Zara, Sebenico e Spalato, senza un adeguato retroterra353. In caso di annessione della sola Zara, Ghiglianovich ricordò l’importanza di garantire l’esistenza economica della città evitando che i possidenti zaratini si ritrovassero con le loro proprietà terriere in un altro Stato: da qui l’esigenza di mantenere sotto la sovranità italiana, salvo piccole correzioni, l’intero capitanato distrettuale di Zara «fra il mare di Carin e il lago di Vrana»354. In un promemoria dedicato alla questione di Spalato, Ghiglianovich sottolineò il carattere italiano della popolazione spalatina e ne descrisse la composizione nazionale in un modo piuttosto semplicistico facendo coincidere le divisioni sociali fra ceti cittadini e contadini con quelle nazionali: La compagine nazionale di Spalato – prescindendo dalla slavizzazione della vita pubblica nelle scuole e negli uffici, e dalle defezioni opportunistiche 351 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 18 gennaio 1919 (in parte edita in RANDI, Il Sen. Roberto Ghiglianovich, cit., 1979, nn. 2-3, pp. 98-100). 352 ASMAE, Carte Salata, b. 226, Ghiglianovich, Progetto A “Linea massima”, minuta, allegato a Ghiglianovich a Salata, 7 febbraio 1919. Al riguardo RICCARDI, op. cit., pp. 19899. 353 ASMAE, Carte Salata, b. 226, Ghiglianovich, Progetto C “Linea della disperazione”, minuta, allegato a Ghiglianovich a Salata, 7 febbraio 1919. 354 ASMAE, Carte Salata, b. 226, Ghiglianovich, Progetto E “Zara”, minuta, allegato a Ghiglianovich a Salata, 7 febbraio 1919. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 101 – è ancora oggi tale, quale fu 50 anni fa. Spalato conta 15.000 abitanti, dei quali 5.000 solamente sono cittadini veri, distribuiti nell’interno del palazzo di Diocleziano e nelle «calli» adiacenti: la massa rimanente è formata dai quattro sobborghi, abitati da contadini urbanizzati, detti borghigiani, che di giorno lavorano i campi, di sera disturbano con cani e animali i passeggi dei cittadini e di notte cantano avvinazzati, con poca edificazione dell’elemento veramente civile. I cinquemila cittadini sono senza eccezione italiani o italianizzanti, i borghigiani parlano tanto il dialetto slavo spalatino, pieno d’italianismi e latinismi, che l’italiano, o per lo meno comprendono il linguaggio di Venezia. […] Non bisogna però pensare che tutti i borghi sono irremediabilmente fanatizzati al croatismo. Vivono ancora dei vecchi bajamontiani e delle famiglie intere che conservano il culto dell’autonomia dalmata. […] I caporioni politicanti di Spalato, Croati ieri, Jugoslavi oggi, una congrega affetta dal più smaccato nepotismo, sono in parte figli di contadini dei dintorni, in parte figli d’Italiani, amici e discepoli di Bajamonti, croatizzati barbaramente nelle scuole. […] Il regime austro-croato a Spalato usò per la coscienza nazionale dei cittadini gli stessi mezzi, ed ebbe purtroppo anche gli stessi effetti, che il dominio turco in Bosnia sulla coscienza religiosa355. Nel corso del 1919 le comunità italiane della Dalmazia inviarono alla delegazione alla Conferenza della Pace e al governo di Roma numerosi memoriali al fine di testimoniare la propria italianità e il desiderio di unione con la madrepatria. Interessante, ad esempio, è il memoriale che gli italiani di Knin, una delle roccaforti serbe della Dalmazia settentrionale, inviarono a Millo e al governo di Roma nel marzo 1919356. Gli italiani di Knin auspicavano l’annessione all’Italia e la giustificavano anche con il timore che vaste fasce della popolazione dalmata avevano del ritorno dell’esercito serbo-iugoslavo. Siamo del resto pienamente convinti, che l’Italia non abbandonerà questi paesi dopo averli redenti, giacché coll’allontanamento delle truppe italiane non solo l’elemento italiano del paese ma in generale i cattolici, che pur rappresentano la maggioranza del distretto, sarebbero esposti alle più crudeli vessazioni ed angherie da parte dei jugoslavi. […] I due mesi intercessi fra la caduta dell’Austria e l’occupazione italiana, quando qui spadroneggiavano i comitati jugoslavi e le guardie nazionali, sono una infausta recente me- 355 ASMAE, Carte Salata, b. 226, [ROBERTO GHIGLIANOVICH], Spalato, s.d. (ma gennaio, febbraio 1919), minuta. 356 ASMAE, Carte Salata, b. 198, Carlo de Draganich-Veranzio, Giuseppe Ferrari, Rodolfo Valenti, Francesco Madirazza e altri firmatari a Millo, marzo 1919, allegato a Millo a Ministero degli Esteri, 15 marzo 1919. 102 LUCIANO MONZALI moria per ogni ben pensante. Quel periodo del più truce terrore non può né deve ripetersi! Il paese è grato all’Italia per averlo liberato dalla barbarie e dalla ferocia; è grato perché gli ha ridato l’esistenza morale ed anche quella materiale357. A nome del Fascio Nazionale Italiano di Spalato Leonardo Pezzoli, Antonio Tacconi e Edoardo Pervan inviarono un memoriale, con centinaia di firme, alla Conferenza della Pace alla fine del febbraio 1919358. In questa memoria essi spiegarono la storia di Spalato e dell’italianità spalatina, sottolineando l’identità latina e italiana della città. Spalato, come tutte le città marinare della Dalmazia, nelle sue origini romane, nel suo sviluppo storico, in tutte le manifestazioni del suo pensiero, si affermò e si conservò costantemente, attraverso i tredici secoli della sua esistenza, sempre latina ed italiana, legata da indissolubili vincoli politici, etnici, economici e colturali, alle città sorelle dell’altra sponda. Il Fascio Nazionale ricostruì con dovizia di particolari gli eventi a Spalato dopo il crollo dell’Impero asburgico, descrivendo i numerosi soprusi messi in atto contro la popolazione italiana da parte dei nazionalisti iugoslavi e dell’esercito serbo. Quegli episodi, mentre sono indice evidente della persistenza di quell’odio sapientemente inoculato dall’Austria nei croati di Dalmazia verso tutto ciò che sapeva d’italiano, conferma l’immaturità loro a dirigere la sorte dei dalmati che hanno un passato storico, culturale ed etnico indissolubilmente legato a quello dell’Italia. Essi non sono che la continuazione del lungo martirio cui gli italiani della Dalmazia furono esposti dal governo austriaco, cui si prestava di buon grado l’elemento slavo, favorito perciò dal governo con tutti i privilegi economici e sociali. Tale situazione, […] non è tollerabile sia oggi continuata sotto un preteso regime jugoslavo, che avrebbe a trarre i profitti della nequizia e delle mali arti austriache per tanti anni dirette a falsare, a violentare ed a distruggere tutto quanto d’italiano secolarmente esisteva su queste sponde. Pur oggi, malgrado le passate e le nuove violenze, permane vivo e fecondo quello spirito che, riallacciandosi alla trascorsa gloriosa storia romana e veneta, attraverso i legami della lingua, delle consuetudini, dei costumi, dei commerci e delle necessità dell’industria, giustifica l’unico ar- 357 358 Ibidem. Memoriale degli italiani di Spalato, febbraio 1919, cit. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 103 dente voto che gli Italiani di Spalato innalzano: «Che Spalato col suo circondario sia unito al Regno d’Italia»359. Nel marzo 1919 pure il Fascio Nazionale Italiano di Ragusa, guidato da Giovanni Jelich e Giovanni Marotti, inviò alla delegazione italiana a Parigi un memoriale chiedendo l’annessione all’Italia o, perlomeno, un insieme di garanzie per i diritti della minoranza360. Gli italiani di Ragusa, prima della guerra una fiorente comunità di circa cinquecento persone, denunciarono i soprusi e i maltrattamenti a cui il nuovo governo serbo sottometteva la minoranza italiana nella Dalmazia meridionale: divieto di esporre insegne italiane dai negozi e di parlare italiano in pubblico, soppressione dell’insegnamento dell’italiano nelle scuole e delle prediche in italiano nelle chiese, minaccia di assalire le sedi sociali qualora gli italiani ricostituissero le proprie società soppresse dall’Austria nel periodo di guerra. Per i ragusei italiani la Dalmazia meridionale era da sempre qualcosa di diverso per stile di vita, costumi e civiltà dal retroterra balcanico e quindi l’unione all’Italia era un fatto naturale e giusto. In quei mesi anche le piccole minoranze italiane presenti nei centri urbani del retroterra dalmata non occupati dall’esercito italiano si mobilitarono a favore dell’unione con l’Italia. Da Imoschi/Imotski alcune famiglie italiane invocarono l’occupazione dell’Italia «perché il loro amore all’Italia non sia stato vano, perché l’Italia raccolga intero il frutto della sua vittoria, perché tutto il territorio che fu una volta veneto ritorni a Venezia, e per sempre»361. Lo scontro sulla questione adriatica si surriscaldò in aprile. In seno alla delegazione statunitense crebbe l’influenza degli elementi anti-italiani, molto forti in seno all’Inquiry, il gruppo di esperti che consigliava i diplomatici americani, e nell’entourage di Wilson. Stretti collaboratori del presidente come House e Mezes, favorevoli alla ricerca di un compromesso, vennero marginalizzati e persero influenza su Wilson. Per i giovani esperti dell’Inquiry l’Italia non poteva annettere i territori a maggioranza croata: doveva quindi rinunciare a tutta la Dalmazia362. 359 Ibidem. 360 ASMAE, Carte Salata, b. 198, Jelich e Marotti a Barzilai, 30 marzo 1919. ASMAE, Carte Salata, b. 198, Matteo e Maria Mirossevich, Ferdinando e Allina Tadich, Giannina e Antonio Giovannizio e altri firmatari a Millo, 20 marzo 1919, allegato a Millo a Ministero degli Esteri, 2 aprile 1919. 362 ALBRECHT CARRIÉ, op. cit., p. 114 e ss.; LEDERER, op. cit., p. 216 e ss.; MAYER, Politics and Diplomacy of Peacemaking, cit., pp. 673 e ss. 361 104 LUCIANO MONZALI Fiume, invece, centro italiano ma necessario alla Croazia come sbocco marittimo, doveva essere ceduta alla Iugoslavia o eretta a città libera363. Per il presidente americano la questione adriatica divenne l’occasione per affermare concretamente alcuni princìpi ideologici della sua diplomazia (autodeterminazione dei popoli, principio di nazionalità, sistema di sicurezza collettiva) e riconquistare un prestigio internazionale in parte smarrito nel corso dei negoziati sui confini tedeschi, che, ad esempio, avevano visto la concessione di territori abitati da numerose popolazioni germaniche alla Cecoslovacchia e alla Polonia. Dopo aver avuto le sue prime manifestazioni in seno al Consiglio Supremo all’inizio di aprile364, lo scontro fra Italia, Stati Uniti e franco-britannici sulla questione adriatica raggiunse il suo apice fra il 19 e il 24. Il 19 aprile in sede di Consiglio dei Quattro Orlando e Sonnino esposero le rivendicazioni italiane365. Il governo di Roma rivendicò tutta l’Istria e l’annessione dei territori «che sono al di qua di tutta la frontiera che la natura ha dato all’Italia», cioè il displuvio delle Alpi; Fiume fu chiesta in nome del principio dell’autodeterminazione dei popoli, essendo l’annessione domandata dagli stessi fiumani. Le ragioni per cui l’Italia rivendicava parte della Dalmazia erano sia strategiche che nazionali. Secondo Orlando il controllo della costa dalmata era indispensabile per la sicurezza dell’Italia. Non importa essere marinaio per sapere che la costa italiana è alla mercé di ogni attacco che venga dall’altra sponda. La situazione è tale che se si consentissero alla potenza che detiene l’altra riva dei semplici mezzi di polizia, ed anche se questi fossero ridotti al minimo, vi sarebbe sempre da parte loro possibilità di bombardare le città italiane e ritornare incolumi ai loro sicuri ancoraggi. […] La cosa è evidente di per sé. L’Italia non sarà mai sicura se non avrà una base difensiva nel mezzo dell’altra sponda366. Vi erano poi le ragioni della nazione e della storia che spingevano 363 WP, 56, Lunt e altri a Wilson, 4 aprile 1919, p. 607 e ss. 364 PAUL MANTOUX, Les Délibérations du Conseil des Quatre (24 mars-28 juin 1919) (d’o- ra innanzi MANTOUX), Paris, 1955, I, p. 125 e ss. 365 Al riguardo: LUIGI ALDROVANDI MARESCOTTI, Guerra diplomatica. Ricordi e frammenti di diario (1914-1919), Milano, 1936, pp. 221-239. Il resoconto di Aldrovandi Marescotti, capo gabinetto di Sonnino, non è altro che la parafrasi e traduzione del verbale ufficiale delle sedute del Consiglio dei Quattro, tenuto dall’inglese Hankey, con l’aggiunta di alcuni suoi ricordi e riflessioni. Altri resoconti di questa seduta del Consiglio dei quattro in WP, 57, p. 479 e ss. e in MANTOUX, I, p. 277 e ss. 366 ALDROVANDI MARESCOTTI, Guerra diplomatica, cit., p. 225. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 105 l’Italia a chiedere il controllo di parte della costa dalmata. Dalle origini della storia – notò Orlando – fino a Campoformio la Dalmazia è stata unita all’Italia; prima come parte dell’Impero romano, in seguito come parte di Venezia. E ciò deriva da un fatto naturale, perché le sue montagne la separano dal territorio ad oriente. Perciò tutta la cultura dalmata gravitò fatalmente verso l’Italia. La Dalmazia è stata italiana fino agli ultimissimi tempi. […] Anche oggi a Zara, a Traù, a Spalato vi è forse maggioranza italiana. Si tratta di italianità fiorente. Sarebbe possibile, dopo tutti i sacrifici della guerra, che l’Italia vedesse questa italianità destinata alla distruzione? Ciò che l’Italia domandò, in via transazionale, fu solo una piccola parte della Dalmazia, lasciando alla Serbia Cattaro, Spalato, Ragusa. Crediamo di essere molto moderati se domandiamo di attenerci a quella transazione367. Wilson ribadì la necessità di essere coerenti con i princìpi ispiratori di un nuovo ordine internazionale, fondato sulla cooperazione e il rispetto dei diritti delle piccole nazioni, al fine di porre le basi per una pace duratura. Gli Stati Uniti erano disposti a riconoscere le domande italiane per un confine strategico in Alto Adige e nella Venezia Giulia, ma non potevano accettare le richieste su Fiume e sulla Dalmazia. Le ragioni avanzate dalla delegazione italiana per rivendicare la Dalmazia erano incompatibili con i nuovi valori che dopo la guerra dovevano permeare le relazioni internazionali. Nel nuovo ordine dell’umanità noi dobbiamo unire i nostri sforzi per assicurare la integrità territoriale e la vita economica indipendente. Non posso immaginare una flotta jugoslava che sotto il regime della Lega delle Nazioni possa minacciare l’Italia. Non era, poi, accettabile dare all’Italia «un piede nei Balcani», poiché in quella regione dovevano cessare l’ingerenza e il controllo delle grandi potenze368. Il corso della discussione confermò che era soprattutto Sonnino il sostenitore più convinto e deciso della rivendicazione dalmatica. Il ministro degli Esteri notò che le promesse di garanzia internazionale avanzate da Wilson erano solo teoriche e che le richieste italiane si fondavano sull’esperienza storica: 367 368 Ivi, pp. 225-226. Ivi, pp. 226-230. 106 LUCIANO MONZALI Noi non abbiamo mai chiesto condizioni di vantaggio strategico per qualsiasi eventuale offensiva; ma unicamente condizioni indispensabili di difesa e di sicurezza. Non abbiamo aspirazioni aggressive verso nessuno, ma unicamente quella di por riparo al fatale destino riservato fin qui all’Italia, aperta a tutte le aggressioni altrui. L’Italia desiderava rimanere fuori dalla politica balcanica e, non a caso, «la Dalmazia, specialmente la parte settentrionale che chiediamo, è assolutamente fuori dai Balcani. Tutte le sue relazioni economiche e culturali gravitano verso la parte italiana dell’Adriatico»369. L’impasse nel negoziato sulla questione adriatica fu inevitabile soprattutto a causa della posizione anglo-francese. Lloyd George e Clemenceau riconobbero il valore formale del patto di Londra, ma desiderando la revisione delle sue clausole adriatiche e mediterranee, troppo favorevoli all’Italia, assunsero una posizione d’attesa che lasciava trapelare la loro solidarietà con le posizioni di Wilson370. Infatti le loro proposte di mediazione erano fondate su un deciso ridimensionamento del patto di Londra, con la rinuncia italiana alla terraferma dalmata, alla gran parte delle isole adriatiche e a Fiume: fra il 21 e il 23 aprile il primo ministro britannico preparò una proposta di compromesso che prevedeva Fiume città libera, alcune isole dalmate all’Italia, l’Istria orientale, la terraferma dalmata e il resto delle isole della Dalmazia allo Stato iugoslavo, Zara e Sebenico città libere sotto la protezione della Società delle Nazioni371; compromesso rifiutato sia dalla delegazione italiana che da Wilson. La tensione si aggravò sempre più. Wilson, convinto che il governo in carica non rappresentasse autenticamente la volontà popolare italiana, pubblicò un appello alla nazione italiana sulla stampa francese all’insaputa di Orlando e Sonnino. Come reazione la delegazione italiana decise l’abbandono dalla Conferenza della pace e il ritorno in Italia, al fine di ottenere un nuovo voto di fiducia del Parlamento. Il 24 aprile il Consiglio Supremo tenne un’altra riunione per cercare di scongiurare una clamorosa crisi sulla questione adriatica372. La delegazione italiana propose una soluzione di compromesso: in cambio della sovranità su Fiume, l’Italia 369 Ivi, pp. 230-231. MANTOUX, I, p. 292 e ss., p. 300 e ss. 371 MANTOUX, I, p. 307 e ss., 337 e ss.; LLOYD GEORGE, The Truth about, cit., II, p. 854 370 e ss. 372 MANTOUX, I, p. 355 e ss. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 107 avrebbe rinunciato a tutta la Dalmazia continentale eccetto Zara e Sebenico, che sarebbero state poste sotto mandato italiano con il controllo della Società delle Nazioni; il governo di Roma, poi, pretendeva l’annessione delle isole dalmate e dell’Istria come previsto dal patto di Londra373. Wilson ribadì la sua opposizione all’applicazione del patto di Londra, giudicato contrario ai princìpi ispiratori della politica estera degli Stati Uniti, e all’attribuzione di Fiume all’Italia. Non avendo raggiunto nessuna intesa, il 24 la delegazione italiana abbandonò Parigi e ritornò in patria. La partenza di tutti i cinque delegati e la prolungata assenza della delegazione italiana da Parigi furono due gravi errori, che si aggiungevano a quello di non avere accettato la proposta wilsoniana di fare di Fiume una città libera. L’assenza di delegati autorevoli provocò un rallentamento dei negoziati sulla questione adriatica proprio nel momento in cui, forse, sarebbe stato possibile raggiungere un compromesso. Il protrarsi dell’assenza esacerbò ulteriormente gli umori anti-italiani delle delegazioni alleate. La lettura dei verbali delle conversazioni fra Lloyd George, Clemenceau e Wilson, tenutesi tra il 25 aprile e il 7 maggio 1919374, indica in modo esplicito che, con il trascorrere dei giorni, l’ostilità ed il rancore dei capi di governo alleati verso gli italiani si accrebbero a dismisura. Lo stesso Lloyd George, sicuramente colui che tra i tre capi di Stato alleati maggiormente si era adoperato per il raggiungimento di un compromesso onorevole per l’Italia sul problema adriatico, e che ancora il 30 aprile si era mostrato desideroso di trovare una soluzione che tenesse conto delle richieste italiane su Fiume375, con il passare dei giorni assunse un atteggiamento sempre meno amichevole376. Un segnale del deterioramento dei rapporti fra italiani e alleati fu il fallimento del tentativo di Barrère di venire a Parigi per fare da mediatore fra Italia e franco-anglo-americani all’inizio di maggio. Tale iniziativa raccolse il consenso italiano377, ma si scontrò con il rifiuto di Clemenceau di trattare attraverso un tale intermediario, ritenuto negli ambienti politici francesi troppo filoitaliano378. Proprio a partire dai primi di maggio, la soluzione del problema adriatico, poi, divenne più difficile a 373 MANTOUX, I, p. 363. MANTOUX, I, p. 368 e ss. 375 MANTOUX, I, pp. 422-423. 376 MANTOUX, I, p. 450 e ss. 377 ASMAE, Carte Imperiali, b. 2, Sonnino a Imperiali, 3 maggio 1919, tel. nn. 1157 e 1158. 378 DUROSELLE, Clemenceau, cit., p. 780 e ss. 374 108 LUCIANO MONZALI causa dell’ampliarsi del contenzioso politico fra Italia e alleati anche ad altre aree geografiche. Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti sfruttarono abilmente l’assenza dell’Italia dalla Conferenza per colpire duramente gli interessi italiani in Asia minore e in Africa. Giunta notizia della presenza militare italiana sulle coste dell’Anatolia379, il 6 e 7 maggio, all’insaputa del governo di Roma, gli alleati diedero il loro consenso allo sbarco greco a Smirne380, territorio che gli accordi di San Giovanni di Moriana avevano concesso all’Italia381. Sempre ai primi di maggio, su pressione britannica, gli alleati decisero improvvisamente di accelerare la discussione sull’attribuzione delle colonie africane tedesche382. Il 6 maggio, il giorno prima del ritorno della delegazione italiana a Parigi, Lloyd George riuscì ad imporre una discussione conclusiva sui mandati383. Britannici, francesi e americani decisero la concreta spartizione delle colonie africane della Germania, attribuite sotto forma di mandati internazionali a Francia e Gran Bretagna, escludendo la partecipazione dell’Italia. Il giorno successivo tale decisione venne ufficialmente ratificata dal Consiglio Supremo e comunicata all’Italia, che si trovò esclusa da ogni mandato senza avere nessuna concreta contropartita al di là di generiche promesse di future discussioni per applicare l’articolo XIII del patto di Londra384. Queste iniziative anglo-franco-americane irritarono enormemente il governo italiano, tornato alla Conferenza della pace il 7 maggio, che si sentì ingannato e non rispettato nei propri legittimi interessi. In maggio il dissidio sulla questione adriatica si trasformò in una vera e propria «guerra diplomatica» fra Italia e potenze alleate e associate, che si scontrarono per realizzare i propri disegni politici non solo nel- 379 MANTOUX, I, pp. 422, 452. Una ricostruzione della reazione alleata alle iniziative italiane in Asia Minore e della genesi dello sbarco greco a Smirne in: MICHAEL LLEWELLYN SMITH, Ionian Vision. Greece in Asia Minor 1919-1922, New York, 1973, p. 71 e ss.; HELMREICH, op. cit., pp. 94-101; LAURENCE EVANS, United States Policy and the Partition of Turkey 1914-1924, Baltimore, 1965, p. 160 e ss. Si veda anche: MANTOUX, I, pp. 510-512. Sulla rivalità italo-ellenica nel 1919 anche: DIMITRI KITSIKIS, Propagande et pressions en politique internationale. La Grèce et ses revendications à la Confèrence de la Paix (1919-20), Paris, 1963, p. 52 e ss. 381 Sugli accordi di San Giovanni di Moriana: RICCARDI, Alleati non amici, cit.; TOSCANO, Gli accordi, cit. 382 MANTOUX, I, p. 486. 383 MANTOUX, I, p. 501 e ss. 384 ALDROVANDI MARESCOTTI, Guerra diplomatica, cit., pp. 299-306. Sul valore dell’articolo XIII del patto di Londra: LUCIANO MONZALI, La questione etiopica nella politica estera italiana (1896-1915), Parma, 1996, p. 400 e ss. 380 GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 109 l’Adriatico orientale, ma anche nei Balcani, nel Mediterraneo orientale e nel Corno d’Africa. Nel corso della primavera del 1919 numerosi politici dalmati italiani furono presenti a Parigi. Oltre a Ghiglianovich, si recarono a Parigi Ziliotto e Pini, invitati dal governo a rappresentare gli italiani di Zara e Sebenico alla Conferenza della pace, nonché Salvi e Lubin in rappresentanza degli italiani presenti in quella parte della Dalmazia che il patto di Londra abbandonava allo Stato iugoslavo. Salvi e Lubin fecero propaganda a favore dell’annessione della regione di Spalato all’Italia ma senza grandi risultati. Il 23 marzo, cercando di sfruttare politicamente i disordini anti-italiani avvenuti a Spalato nei mesi precedenti, Ghiglianovich, insieme a Pitacco e Antoni, incontrò Sonnino e fece pressioni a favore dell’unione della città dalmatica all’Italia. Sonnino – rilevò Ghiglianovich – mi rispose di essere a perfetta conoscenza dell’attuale situazione di Spalato, […] ma di non poter chiedere ufficialmente l’annessione di Spalato, poiché questa richiesta vorrebbe significare una implicita revisione della convenzione di Londra, che è l’unico documento diplomatico che egli ha in mano e che occorre non vulnerare neppur indirettamente. […] So, aggiunse Sonnino, che in Italia si fa anche un’intensa agitazione per Spalato; alla stessa non ci siamo opposti, né ci opponiamo, poiché questa agitazione, come anche le manifestazioni italiane di Spalato, valgono a comprovare di fronte all’Intesa e all’America il sagrifizio che l’Italia ha già fatto abbandonando Spalato385. A parere di Sonnino, la rivendicazione di Fiume, invece, era possibile, perché, anche se esclusa dal patto di Londra, riguardava una città a maggioranza italiana che aveva chiesto in modo plebiscitario di essere annessa all’Italia e «poiché la questione di Fiume entra nelle idee wilsoniane». Spalato, insomma, non era nel programma territoriale del governo di Roma e ciò creò malumore in seno ai dalmati italiani, con gli spalatini esasperati e furiosi, critici verso zaratini e sebenzani. Salvi – notò criticamente Ghiglianovich – come in Piazza dei Signori a Spalato o al Caffè Troccoli ha assunto qui, per l’esasperazione da cui è invaso, un tono altezzoso, derisorio, impertinente. Dà a voce alta degli imbecilli a Tizio, Caio, Sempronio; svillaneggia Ziliotto e Pini386. 385 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 24 marzo 1919 (lettera in parte edita in RANDI, Il Sen. Roberto Ghiglianovich, cit., 1979, n. 4, pp. 205-206). 386 Ibidem. 110 LUCIANO MONZALI Con il trascorrere dei giorni il pessimismo dei dalmati italiani sul loro futuro aumentò sempre più. Di fronte al crescere dell’opposizione americana e anglo-francese alle rivendicazioni italiane, Ghiglianovich temeva che l’Italia, pur di avere Fiume, avrebbe rinunciato a tutta la Dalmazia: «Caro Nade, – scriveva sconsolato Ghiglianovich a Krekich il 9 aprile – sarà un miracolo della Madonna se oltre a Lissa potremo salvare Zara e il suo distretto politico. Un vero miracolo, che la Madonna non ci darà!»387. Il viaggio di Orlando e Sonnino in Italia e il successivo ritorno a Parigi non migliorarono la situazione. A parere di Roberto Ghiglianovich, il gesto italiano non era stato valutato positivamente dagli alleati, sempre più irritati. In seno alla delegazione italiana cresceva il numero di coloro che erano disposti a grandi sacrifici in Dalmazia pur di avere Fiume; anche nella delegazione iugoslava aumentavano le pressioni a favore di tale soluzione: Secondo alcune informazioni private, gli jugoslavi, e cioè il gruppo dalmato serbo, sarebbero disposti ad abbandonare Fiume, pur di salvare la maggior parte dei territori dalmati del Patto di Londra388. A causa delle difficoltà nella questione adriatica aumentava la sfiducia e si rafforzavano le critiche dei dalmati italiani verso l’operato del governo Orlando-Sonnino. Il 5 maggio, in una lettera a D’Annunzio Ercolano Salvi criticò la volontà del governo di sacrificare la Dalmazia al fine di avere Fiume: [Il governo] per pagare Fiume, era disposto di abbandonare tutto il retroterra dalmata. Questo sagrificio si sarebbe potuto capire soltanto quando, in cambio, per riparare alla sciagurata imperfezione del Patto di Londra, si avesse voluto estendere la redenzione della costa almeno fino al Biokovo, così da includere Traù, Spalato, Almissa. Altrimenti, una rinunzia tanto sconsiderata, sarebbe esiziale per le condizioni di vita di Zara e Sebenico e per l’avvenire di tutte le altre città costiere389. Nazionalisti e giolittiani divennero sempre più ostili a Orlando e Sonnino. Ghiglianovich scrisse a questo proposito il 15 maggio: 387 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Krekich, 9 aprile 1919 (lettera in parte edita in RANDI, Il Sen. Roberto Ghiglianovich, cit., 1979, n. 4, pp. 209-211). 388 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 11 maggio 1919. 389 FV, ARC GEN, fasc. Ercolano Salvi, Salvi a D’Annunzio, 5 maggio 1919. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 111 Qui a Parigi, ci sono Giuriati e Sinigaglia, membri del Comitato d’azione […]. Sono pronti a tutto. Vogliono la crisi, ma sono spaventati dall’idea della successione. […] Il direttore dell’Idea Nazionale – Forges – che è qui, e lo stesso Coppola, pure a Parigi, sarebbero disposti, in disperazione di causa, di contribuire alla formazione di un ministero Luzzatti-Tittoni, col proposito di circuirli, di imporre loro una linea di resistenza ad oltranza, a mantenere la quale si sono manifestati incapaci Orlando e Sonnino. Se Tittoni e Luzzatti mancassero al compito, si dovrebbe arrivare ad un ministero extraparlamentare, pronto a tutto. E ciò significherebbe la rivoluzione390. Sotto il fuoco delle critiche interne e della pressione diplomatica alleata, fra la seconda metà di maggio e l’inizio di giugno il governo Orlando-Sonnino s’impegnò strenuamente per raggiungere un compromesso adriatico accettabile391. Il segretario generale della Consulta, Giacomo De Martino, consigliò un ripensamento della strategia diplomatica italiana alla Conferenza. In un appunto che inviò a Sonnino l’11 maggio, il diplomatico constatò l’urgenza di arrivare ad una soluzione della questione adriatica in tempi brevi: [...] La formula «trattato di Londra più Fiume» non è praticamente conseguibile. Pertanto la soluzione non potrà essere che di compromesso, cioè a base di nostre concessioni e rinunzie. Il problema si pone come appresso: queste concessioni e rinunzie debbono negoziarsi unicamente nel campo della questione Adriatica, ovvero anche nel campo delle questioni d’Asia Minore e d’Africa? Non esito a esprimermi per la seconda maniera, ma attenendosi al seguente modo di negoziato: Impostare subito nettamente tutti i nostri postulati. Trattare contemporaneamente ma separatamente le tre questioni Adriatico, Asia Minore e Africa. In corso di negoziato opporsi a qualsiasi abbinamento. Condurre i negoziati Asia Minore e Africa in modo da non concludere prima che giunga alla fase decisiva il negoziato Adriatico. Giunti a questo punto – se la previsione detta sopra fosse esatta – la soluzione del negoziato Adriatico risulterà impostata sulla base di notevoli ri390 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 13 maggio 1919 (lettera in parte edita, con data erronea del 15 maggio, in RANDI, Il Sen. Roberto Ghiglianovich, cit., 1979, n. 4, pp. 213-214). 391 Sui negoziati fra Italia e Alleati nei mesi di maggio e giugno: ALBRECHT-CARRIÉ, op. cit., p. 153 e ss.; LEDERER, op. cit., p. 140 e ss.; ALDROVANDI MARESCOTTI, op. cit., p. 354 e ss.; RICCARDI, Francesco Salata, cit., p. 221 e ss.; CRESPI, op. cit., p. 569 e ss.; MARTA PETRICIOLI, L’occupazione italiana del Caucaso: “un ingrato servizio” da rendere a Londra, Pavia, 1972, p. 48 e ss. 112 LUCIANO MONZALI nunzie e concessioni. Ed allora, e non prima, dovrebbero gli stessi plenipotenziari italiani fare l’abbinamento di quelle concessioni e rinunzie, già concretate in massima, con la soluzione delle questioni Asia Minore e Africa. [...] Questo modus procedendi potrebbe avere luogo alla sola condizione che sin da ora siano iniziati i negoziati Asia Minore e Africa in modo da condurli presso al termine pel momento richiesto.Tutto sta nel potere sfruttare il momento utile, l’attimo sfuggevole [...]. Il sistema che venne già adottato, secondo mi disse il Marchese Salvago Raggi, di trattare le tre questioni successivamente, cioè prima Adriatico, in secondo tempo Asia Minore e in terzo luogo Africa, non ha dato buoni frutti, in quanto ha permesso il verificarsi di fatti compiuti per parte dei nostri concorrenti (occupazioni in Asia Minore e conclusione circa i mandati in Africa)392. Dalla metà di maggio, al fine di avere maggiori contropartite a disposizione, la delegazione italiana s’impegnò in negoziati per la concessione dei compensi africani previsti dall’articolo XIII del patto di Londra393 ed in trattative per ottenere un mandato in Anatolia394. Contemporaneamente vennero ripresi i negoziati sulla questione adriatica, sempre al centro della politica estera italiana. In campo alleato furono soprattutto House e alcuni diplomatici francesi a cercare di favorire un compromesso. A metà di maggio, su mandato di House, consapevole del carattere sproporzionato ed insensato che la controversia italo-statunitense stava assumendo395, il funzionario statunitense Miller delineò un progetto di compromesso in collaborazione con l’ambasciatore italiano a Washington, Macchi di Cellere396. Il piano Miller prevedeva Fiume città indipendente e porto franco sotto la protezione della Società delle Nazioni, l’Istria all’Italia riservando agli iugoslavi la ferrovia Fiume-Vienna, Zara e Sebenico porti franchi sotto la sovranità italiana, tutta la costa dalmata neutralizzata e Valona ed un 392 INSMLI, Carte a Prato, b. 11, GIACOMO DE MARTINO, Appunto per S.E. Il Ministro, 11 maggio 1919. 393 FRANCESCO SALATA, Il nodo di Gibuti. Storia diplomatica su documenti inediti, Milano, 1939, pp. 291-296; GIOVANNI BUCCIANTI, L’egemonia sull’Etiopia (1918-1923). Lo scontro diplomatico fra Italia, Francia e Inghilterra, Milano, 1977, pp. 83-90. 394 ALDROVANDI MARESCOTTI, Guerra diplomatica, cit., pp. 337-338; MANTOUX, II, p. 110 e ss.; HELMREICH, op. cit. 395 Sull’atteggiamento di House verso la controversia italo-iugoslava: CHARLES SEYMOUR, a cura di, The Intimate Papers of Colonel House, London, 1928, IV, p. 448 e ss.; LEDERER, op. cit., p. 240 e ss.; CHARLES SEYMOUR, The Role of Colonel House in Wilson’s Diplomacy, in EDWARD H. BUEHRIG, Wilson’s Foreign Policy in Perspective, Bloomington, 1957, p. 11 e ss. 396 IUSTUS, op. cit., p. 191 e ss.; ALBRECHT CARRIÉ, op. cit., p. 153 e ss. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 113 eventuale mandato albanese all’Italia397. Il progetto Miller fu all’origine del cosiddetto piano Tardieu, con il quale il governo di Roma si dichiarò pronto a rinunciare al controllo della maggior parte della Dalmazia e alla richiesta dell’annessione immediata di Fiume: il piano prevedeva l’attribuzione all’Italia di tutta l’Istria, di Zara, Sebenico e delle isole di Cherso, Lissa, Lussino e Pelagosa; in cambio il governo italiano rinunciava al resto della Dalmazia e accettava la costituzione di uno Stato libero fiumano, sul futuro del quale si sarebbe tenuto un plebiscito fra 15 anni398. Mentre il governo italiano si dichiarò pronto ad accettare il piano Tardieu, gli iugoslavi lo rifiutarono: in particolare Trumbic!, esponente dell’ala più intransigente della delegazione, dichiarò inaccettabile l’eventualità della sovranità italiana su Zara e Sebenico399. Lloyd George e Clemenceau, stanchi della controversia adriatica, cercarono di convincere il presidente americano ad accettare il piano Tardieu, ma si scontrarono con le resistenze di Wilson. Ritenendolo troppo favorevole all’Italia e punitivo per gli iugoslavi, Wilson propose la modifica del piano Tardieu. Il presidente americano si dichiarò contrario alla sovranità italiana su Sebenico e Zara; alla proposta di Clemenceau di lasciare Zara al dominio italiano, Wilson ribadì di essere ostile a che l’Italia s’installasse sulla costa orientale dell’Adriatico: la maggioranza della popolazione di Zara era italiana, ma – dichiarò Wilson – sarebbe proponibile la cessione di Milwaukee, città statunitense con una forte presenza germanica, ai tedeschi?400 A parere del presidente americano Sebenico doveva essere iugoslava, mentre Zara poteva divenire città libera sotto la protezione della Società delle Nazioni; Wilson desiderava anche che fossero riservate all’Italia il minor numero possibile di isole dalmate401. Dopo lunghe consultazioni Wilson convinse gli anglo-francesi a definire in comune una proposta unitaria da presentare ad italiani e iugoslavi402. Il 7 giugno il presidente statunitense trasmise un memorandum anglo-franco-americano sulla questione adriatica ad Orlando. Secondo Wilson, Lloyd 397 IUSTUS, op. cit., p. 195. 398 MANTOUX, II, p. 237 e ss.; ALBRECHT CARRIÉ, op. cit., p. 184 e ss.; LEDERER, op. cit., p. 246 e ss. 399 WP, 60, A memorandum by Douglas Wilson Johnson, 4 giugno 1919, pp. 137-138; LEDERER, op. cit., pp. 247-248. 400 MANTOUX, II, p. 326. 401 MANTOUX, II, p. 322 e ss.; WP, 60, Hankey’s Notes of a Meeting of the Council of Four, 6 giugno 1919, pp. 206-213. 402 MANTOUX, II, p. 327. 114 LUCIANO MONZALI George e Clemenceau, bisognava prevedere la creazione di un vasto Stato libero fiumano, che avrebbe dovuto inglobare oltre a Fiume, l’Istria orientale e le isole di Cherso e di Veglia. In Dalmazia l’Italia avrebbe potuto ottenere il controllo delle isole di Lissa, Lagosta, Lunga/Dugi Otok e di alcuni isolotti di fronte a Zara. Sebenico sarebbe passata allo Stato iugoslavo, mentre Zara sarebbe stata costituita come libera città sotto la Lega delle Nazioni, con la sua rappresentanza sul piano internazionale affidata all’Italia403. La delegazione italiana rispose agli alleati con un memorandum datato 9 giugno. Il governo di Roma rifiutò le proposte wilsoniane ed alleate, ritenendole assai più svantaggiose di quanto previsto dal piano Tardieu: riguardo alla Dalmazia il memoriale di Wilson toglieva Sebenico e le isole vicine all’Italia; la stessa Zara si vedeva ridotta allo status di città libera, mentre il piano Tardieu ne sanzionava l’annessione all’Italia404. I dalmati italiani videro con crescente preoccupazione l’ulteriore cedimento della delegazione riguardo alla Dalmazia. L’ipotesi di Zara e Sebenico città libere fu giudicata negativamente da Ghiglianovich, che, in un colloquio con Orlando il 15 maggio, manifestò apertamente la sua opposizione: «Ieri Orlando mi chiese cosa pensassi della soluzione del problema dalmatico colla creazione di città libere in Dalmazia. […] Gli ho risposto che le città dalmate, compresa Zara, sarebbero finite, assai presto, per la penetrazione slava dal retroterra, ecc., città jugoslave con etichetta di città libere. Gli dissi che soltanto l’annessione dei territori dalmati avrebbe potuto salvare l’italianità ivi messa dall’Austria a dura prova»405. Pure l’idea di rivendicare solo i centri urbani di Zara e Sebenico riscuoteva scarsa simpatia nei dalmati, perché avrebbe impoverito le città separandole dal loro retroterra406. Ghiglianovich non aveva più fiducia nel governo Orlando-Sonnino, ma temeva che qualunque altro ministero sarebbe stato peggio. 403 Il testo del memorandum di Wilson è riprodotto in traduzione italiana in: ALATRI, Nitti, cit., pp. 36-37. Al riguardo: WP, 60, p. 206 e ss. Sull’opposizione italiana al progetto di accordo americano: ACS, Carte Orlando, b. 7, Colosimo a Orlando, 9 giugno 1919. 404 Il testo del memorandum italiano del 9 giugno è riprodotto in WP, 60, allegato a Orlando a Wilson, 9 giugno 1919, pp. 307-311. Si veda anche: PAOLO ALATRI, Nitti, D’Annunzio e la questione adriatica (1919-1920), Milano, 1959, pp. 37-38.; ALDROVANDI MARESCOTTI, Nuovi ricordi, cit., p. 53 e ss. 405 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 16 maggio 1919 (lettera in parte edita in RANDI, Il Sen. Roberto Ghiglianovich, cit., 1979, n. 4, pp. 214-215). 406 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 1° giugno 1919. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 115 Se la crisi avverrà […] essa non potrebbe risolversi che con elementi ancor meno dalmatofili degli attuali: Tittoni, Luzzatti, Nitti, Bissolati. Parlare di un ministero extraparlamentare non è il caso. Il Paese in gravissimo disagio economico, con scioperi aperti o latenti dovunque, non troverà in sé l’energia di agire e finirà coll’adattarsi a qualunque soluzione, pur di farla finita407. Le proteste iugoslave, la rigidità di Wilson di fronte alle richieste italiane e la caduta del governo Orlando il 19 giugno, sostituito da un nuovo esecutivo guidato da Nitti con Tittoni ministro degli Esteri, fecero fallire il lungo negoziato adriatico, che dovette ripartire da capo alcune settimane dopo, con alcuni nuovi protagonisti (Nitti e Tittoni) e l’assenza di Wilson, tornato definitivamente a Washington dopo la firma del trattato di Versailles. Come hanno osservato Mira e Salvatorelli, Orlando e Sonnino avevano cercato di raggiungere un compromesso territoriale alquanto simile a quello che sarebbe stato sancito dal patto di Rapallo: avevano tentato di ottenere il confine naturale sulle Alpi Giulie in Istria e nella valle dell’Isonzo e di preservare perlomeno l’italianità di Fiume attraverso la formula dello Stato libero; in cambio erano stati pronti a rinunce in Dalmazia408. Il fallimento nel negoziato adriatico fu dovuto alla maggiore forza diplomatica della posizione iugoslava nel corso del 1919. La grande influenza americana sulla politica europea in quei mesi e il sostegno degli Stati Uniti alle tesi serbo-croate-slovene rafforzarono enormemente le posizioni di Belgrado. La situazione interna iugoslava, seppur già grave, non si era ancora drammaticamente deteriorata come sarebbe successo nel 1920; da parte italiana, quindi, non fu possibile puntare sulla strategia di cercare un accordo preferenziale con i serbi, nel 1919 ancora desiderosi di mantenere un’unità d’intenti con i croati. Il governo Orlando-Sonnino cercò di trovare un compromesso territoriale adriatico rinunciando a parte dei territori promessi all’Italia dal patto di Londra. Ma l’intransigenza iugoslava, il rigido ed ideologizzato atteggiamento americano e la politica poco amichevole dei francesi e britannici resero impossibile un accordo diplomatico. 407 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 9 giugno 1919. Si veda anche ibidem, Ghiglianovich a Barbieri, 18 maggio 1919 (lettera in parte edita in RANDI, Il Sen. Roberto Ghiglianovich, cit., 1979, n. 4, pp. 215-216). 408 LUIGI SALVATORELLI, GIOVANNI MIRA, Storia d’Italia nel periodo fascista, Milano, 1974, I, p. 74. 116 LUCIANO MONZALI 1.7. Il problema della protezione degli italiani nella Dalmazia iugoslava e i trattati per la tutela delle minoranze in Europa centro-orientale I difficili negoziati sulla questione adriatica in seno alla Conferenza di Parigi e la crescente consapevolezza dell’improbabilità di una futura annessione di gran parte della Dalmazia all’Italia, spinsero il governo di Roma a riflettere sull’opportunità di ottenere nei trattati di pace alcune garanzie a tutela dei diritti nazionali e culturali della minoranza italiana dalmata. Per stimolo degli Stati Uniti, desiderosi di stabilire una serie di garanzie per le minoranze religiose e nazionali in Europa, in particolare per tutelare gli ebrei spesso vittime di persecuzioni e discriminazioni, e sotto la pressione di parte delle opinioni pubbliche europee e americana, impressionate dalle notizie di eccidi anti-ebraici avvenuti in Polonia nella primavera del 1919, il 1° maggio il Consiglio supremo della Conferenza della pace decise di creare una Commissione (la Commission des Nouveaux États et de la protection des droits des minorités) avente l’incarico di studiare il problema degli obblighi internazionali che il governo polacco e gli altri nuovi Stati creati dai trattati di pace avrebbero dovuto accettare, in particolare riguardo alla protezione delle minoranze «de race et de religion»409. La Commissione, composta originariamente dai soli rappresentanti britannico, francese e statunitense, iniziò i suoi lavori il 3 maggio. Dopo il ritorno della delegazione a Parigi ed avuta comunicazione dell’esistenza di questa nuova Commissione, l’Italia chiese di potere partecipare ai lavori di questo organo410. A partire dal 12 maggio un rappresentante italiano collaborò a pieno titolo all’attività della Commissione: per rappresentare l’Italia venne scelto Giacomo De Martino, che nei mesi suc409 MANTOUX, I, p. 440 e ss.; ASMAE, RECUIL, VII/B-1, Hankey al segretario generale della Conferenza della pace, 1° maggio 1919, annesso I a verbale della seduta della Commissione dei Nuovi Stati, 3 maggio 1919, pp. 5-6. Sull’origine dei trattati di garanzia delle minoranze: CAROLE FINK, The Minorities Question at the Paris Peace Conference: The Polish Minority Treaty, June 28, 1919, in MANFRED F. BOEMEKE, GERALD D. FELDMAN, ELISABETH GLASER, The Treaty of Versailles. A Reassessment after 75 Years, WashingtonCambridge, 1998, p. 249 e ss.; LUCA DEI SABELLI (LUCA PIETROMARCHI), Nazioni e minoranze etniche, Bologna, 1929, II; MARIO TOSCANO, Le minoranze di razza, di lingua, di religione nel diritto internazionale, Torino, 1931; CACCAMO, L’Italia e la “nuova Europa”, cit., p. 308 e ss. 410 ASMAE, RECUIL, VII/B-1, verbale della seduta della Commissione dei Nuovi Stati, 9 maggio 1919, p. 21. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 117 cessivi ebbe come stretti collaboratori i diplomatici Di Villanova, Stranieri, già console nell’Impero asburgico ed incaricato in seno alla delegazione italiana di seguire le questioni connesse alle minoranze nazionali dell’ex Austria-Ungheria, e il colonnello Castoldi, esperto di problemi albanesi. La Commissione studiò la possibilità d’imporre ai nuovi e vecchi Stati dell’Europa orientale (Iugoslavia, Romania, Polonia, Cecoslovacchia, Grecia) una serie di accordi sulla tutela delle minoranze da firmarsi con le potenze alleate, la cui conclusione sarebbe stata prevista dai trattati di pace con specifiche clausole di rinvio. La peculiarità di questi trattati sarebbe stata che gli Stati dell’Europa centrale ed orientale avrebbero assunto impegni internazionali a tutela delle minoranze nazionali e religiose che le grandi potenze non avrebbero dovuto rispettare411: da qui il carattere lesivo del prestigio nazionale che le diplomazie degli Stati dell’Europa centroorientale attribuirono a tali accordi. Nel corso del maggio la Commissione dei Nuovi Stati si concentrò sulla preparazione del trattato per la protezione delle minoranze viventi in Polonia, il cui progetto di testo fu consegnato dalle potenze alleate al governo di Varsavia il 21 dello stesso mese. Dopo essere ritornata a Parigi, la delegazione italiana dedicò molta attenzione al problema delle garanzie delle minoranze. Francesco Caccamo ha spiegato chiaramente le ragioni di questo interesse italiano: La protezione delle minoranze e la concessione di autonomie erano effettivamente considerate dalla diplomazia italiana come possibili soluzioni per realtà particolarmente complesse dal punto di vista nazionale come quelle dei paesi dell’Europa orientale. A ciò si aggiungevano considerazioni di natura più diretta, cioè la preoccupazione per la sorte dei nuclei italiani sulla costa orientale dell’Adriatico che presumibilmente sarebbero stati sottoposti al dominio della Iugoslavia412. In effetti, la sempre maggiore probabilità che gran parte della Dalmazia sarebbe passata sotto il dominio serbo-croato rese necessaria una riflessione sull’urgenza di ottenere particolari garanzie internazionali per quelle popolazioni italiane che avrebbero fatto parte del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Un’azione della delegazione a fa411 412 CACCAMO, L’Italia e la “nuova Europa”, cit., p. 309. CACCAMO, L’Italia e la “nuova Europa”, cit., p. 310. 118 LUCIANO MONZALI vore della minoranza italiana nella Dalmazia iugoslava era richiesta anche dal governatorato della Dalmazia e dagli stessi dalmati italiani. Il 18 maggio Millo segnalò alla delegazione a Parigi il rischio che gli italiani di Traù e Spalato, dominati dal Regno SHS, fossero vittime di persecuzioni e rappresaglie di ogni genere. Era necessario assicurare a questi italiani il diritto di optare per la cittadinanza italiana e alcune garanzie a questa connesse. Si dovrebbe sul trattato di pace assicurare loro il diritto di opzione, nonché la piena libertà di realizzazione e trasporto delle loro sostanze, e che non fosse tolto loro il diritto di continuare a possedere beni immobili nei paesi jugoslavi con garanzie […]. Del pari occorre garantire nel trattato di pace gli italiani che optassero per la cittadinanza italiana, il diritto di esercizio professionale dell’avvocatura, medicina, ingegneria, etc., nonché nei svariati rami di commercio ed industria […]413. Gli stessi dalmati italiani – in particolare quelli di Spalato, che cominciavano a rassegnarsi all’idea del passaggio di gran parte della Dalmazia allo Stato iugoslavo – sollecitarono un impegno del governo di Roma a favore di garanzie giuridiche internazionali per le minoranze. I capi del Fascio Nazionale Italiano di Spalato, Pezzoli, Tacconi e Pervan, inviarono a tale riguardo due memoriali al governo di Roma e alla delegazione a Parigi nel maggio 1919414. Pochi mesi di dominio iugoslavo erano bastati per far comprendere ai dalmati italiani che la fine dell’Impero asburgico aveva provocato un peggioramento delle proprie condizioni di vita. I capi spalatini prevedevano che la condizione della minoranza italiana, ormai priva anche della tutela giuridica che era stata a lungo garantita dalla legislazione asburgica, si sarebbe drasticamente aggravata con il dominio serbo. L’Austria infatti – constatavano i capi del Fascio Nazionale Italiano di Spalato – era per sua essenza uno Stato plurinazionale, basato teoricamente sul principio dell’equiparazione delle varie nazionalità, in guisa che la vita e 413 ASMAE, Carte Salata, b. 206, Millo a Comando supremo dell’esercito, 18 maggio 1919. 414 ASMAE, ACP, b. 20, Pezzoli, Tacconi, Pervan a Menini, 22 maggio 1919, allegato a Millo al ministro degli Esteri, 8 giugno 1919; ibidem, FASCIO NAZIONALE ITALIANO DI SPALATO, Promemoria sulle eventuali garanzie da istituirsi a favore degli italiani di Spalato in caso di assegnamento della città alla Jugoslavia, senza data, allegato a Millo a ministro degli Esteri, 8 giugno 1919. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 119 la lotta nazionale collimavano in sé cogli ordinamenti formanti la base stessa dello Stato. A tutela dei diritti nazionali di ogni singolo ceppo e di ogni cittadino era inoltre stabilita una serie di ordinamenti di legalità e di reclami ad appositi dicasteri. Tutte queste garanzie, teoricamente larghissime, non valsero però comunque ad infrenare l’opera di snazionalizzazione che da mezzo secolo andava qui compiendosi a danno dell’elemento italiano. Il nuovo Stato jugoslavo sarebbe invece uno Stato nazionalmente unitario, nel quale nuclei nazionali di altra stirpe verrebbero sentiti come stranieri, e quelli italiani poi, specie dopo l’aspra lotta sostenutasi in questi ultimi mesi pel destino di queste terre, come direttamente ostili all’integrità dello Stato, il quale dovrebbe quindi, quasi per l’istinto di conservazione proprio ad ogni organismo, tendere ad eliminarli. E supporre pure – ciò che è difficile concepire – che nel Trattato di pace si riuscisse a far comprendere a favore di tali nuclei garanzie così ampie come quelle previste già dalla costituzione e dalla legislazione austriaca, non è il caso di pensare che quelle cautele, che si resero illusorie sotto il regime austriaco, potrebbero nello Stato jugoslavo, non certo altrettanto sviluppato in linea di legalità, ma retto piuttosto con sistemi balcanici, da persone ispirate nei riguardi dell’elemento italiano dalla passione e dall’intransigenza, assumere nella realtà una qualche consistenza ed efficacia415. Da qui la previsione di un forte esodo dell’elemento italiano da Spalato e dalla Dalmazia iugoslava. Al fine di tutelare gli italiani di Dalmazia andava prevista la possibilità dell’opzione, dell’assunzione della cittadinanza italiana. Per coloro che avrebbero assunto la cittadinanza italiana bisognava garantire la facoltà di potere continuare a possedere nel circondario «sostanza mobile ed immobile con garanzia di fronte ad eventuali nuovi provvedimenti legislativi, come p. es. la progettata riforma agraria, […] come pure di poter al caso anche indisturbatamente realizzare tali loro sostanze ed asportare immuni da tasse fuori dal paese oggetti mobili o il ricavato della realizzazione di oggetti immobili». Per gli italiani che sarebbero rimasti in Dalmazia (commercianti, industriali e liberi professionisti), bisognava anche assicurare «il diritto di continuare l’esercizio della propria arte, mestiere e professione, in eguale misura come i cittadini indigeni, e senza andar soggetti ad eventuali restrizioni che fossero già fissate o venissero fissate in seguito dalle leggi del nuovo Stato di fronte a cittadini esteri, come pure il diritto di non poter venire in qualsiasi forma o sede sfrattati dal paese»416. Per Spalato, in particolare, andavano previ415 416 Pezzoli, Tacconi e Pervan a Menini, 22 maggio 1919, cit. Ibidem. 120 LUCIANO MONZALI ste garanzie affinché fossero tutelati i diritti linguistici e scolastici della popolazione italiana, nonché il diritto di associazione, riunione, e di libero esercizio professionale; gli italiani spalatini, poi, dovevano avere una rappresentanza nei corpi elettivi statali e locali417. Alla fine di maggio in seno alla delegazione italiana a Parigi si aprirono discussioni e vennero compiuti studi sul modo di ottenere alcune garanzie a favore delle comunità italiane nella Dalmazia iugoslava. In un appunto del 25 maggio, sulla base delle richieste dei dalmati italiani, la delegazione iniziò a riflettere sul problema dell’opzione, constatando le difficoltà di conciliare l’opzione con la libertà professionale degli optanti. Il diritto di optare, entro un certo termine, per la cittadinanza italiana è compreso nel progetto di trattato con l’Austria, il quale sancisce anche il principio del libero trasferimento dei beni, in caso di emigrazione dal territorio austriaco. Si procurerà di includere tali clausole anche nei trattati da stipularsi con gli altri Stati risultanti dalla dissoluzione dell’Impero austriaco. Quanto all’esercizio delle professioni, sopra tutto quella di avvocato, occorre tener presente che esso è così legato alla cittadinanza e alla residenza abituale che non sembra possibile di garantirlo agli optanti, che, profittando della facoltà di opzione, trasferiranno fuori dello Stato la loro residenza. Si è procurato di assicurare agli antichi sudditi austriaci il godimento di alcuni diritti (di proprietà letteraria, industriale, ecc.) nelle condizioni anteriori al loro cambiamento di cittadinanza; sembra difficile chiedere di più; essi saranno del resto equiparati per ogni riguardo agli altri cittadini italiani e godranno quindi dello stesso trattamento e degli stessi diritti di questi ultimi418. Francesco Salata fu incaricato di studiare i progetti di norme per la protezione delle minoranze in Europa centro-orientale preparati dalla Commissione dei Nuovi Stati fino a quel momento e di riflettere su eventuali proposte di modifiche che la delegazione avrebbe potuto avanzare a tutela degli italiani in Dalmazia. Riguardo al problema della cittadinanza, secondo Salata sarebbe stato importante tutelare il diritto degli eventuali optanti alla residenza nella Dalmazia iugoslava: 417 FASCIO NAZIONALE ITALIANO DI SPALATO, Promemoria sulle eventuali garanzie da istituirsi a favore degli italiani di Spalato in caso di assegnamento della città alla Jugoslavia, s.d., cit. 418 ASMAE, ACP, b. 113, RICCI BUSATTI e firma non decifrabile, Appunto, 25 maggio 1919. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 121 Riguardo all’opzione, certo converrebbe a noi evitare l’obbligo del trasferimento della residenza per quelli che avranno esercitato il diritto d’opzione. Ammesso che, come si ritiene, i gruppi italiani della Dalmazia rimasti esclusi dall’annessione all’Italia esercitino in massa il diritto di opzione a favore della nazionalità italiana, sarebbe opportuno nel loro interesse personale e per la nostra influenza, che potessero conservare la residenza nei luoghi di origine419. La clausola sulla tutela dell’uso della lingua preparata dalla Commissione (articolo 8) era, a parere di Salata, alquanto vaga e segnava «piuttosto un regresso che un miglioramento di fronte alle condizioni fatte in passato alle varie nazionalità dalla Costituzione austriaca». Sarebbe stato opportuno chiedere una modifica all’ultimo capoverso dell’articolo 8 che assicurasse alle minoranze l’uso della propria lingua «non solo “oralmente” ma anche in iscritto, non solo “davanti ai tribunali” ma anche nei rapporti con qualunque autorità governativa ed autonoma»420. Pure lacunosi e poco favorevoli alle minoranze erano i progetti degli articoli 8 e 9 riguardanti le scuole per gli allogeni. A parere di Salata, però, bisognava stare attenti a non pretendere per la minoranza italiana dalmata diritti che l’Italia non sarebbe stata disposta a concedere alle proprie popolazioni allogene. Altrettanto vaghe e meno favorevoli delle leggi vigenti in materia sotto il passato regime austriaco sono le norme sulle scuole per le minoranze a spese dello Stato. Ma per un miglioramento non conviene insistere da parte nostra: lasciando queste stesse disposizioni una certa libertà di azione a noi di fronte alle minoranze nazionali dei territori che annetteremo, e dove non si potrà pretendere da parte nostra un trattamento delle minoranze più favorevole di quello che sarà fatto negli Stati vicini in base a questo speciale Statuto. Così potrà essere invocata a nostro favore la disposizione secondo cui allo Stato è data facoltà di rendere obbligatorio – contrariamente a quanto era stabilito dalle leggi del passato regime – l’insegnamento della lingua ufficiale dello Stato anche nelle scuole delle minoranze d’altra lingua421. Nei giorni successivi la volontà di non assumere impegni internazionali a favore delle popolazioni allogene annesse spense progressi- 419 ASMAE, Carte Salata, b. 268, [FRANCESCO SALATA], Appunto, 26 maggio 1919 (vi è anche la minuta dell’appunto fatto da Salata). 420 Ibidem. 421 Ibidem. 122 LUCIANO MONZALI vamente l’interesse della delegazione italiana ad ottenere garanzie giuridiche a favore degli italiani di Spalato e Traù nel futuro trattato per la protezione delle minoranze da imporsi al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Il 31 maggio, nel corso della seduta della Commissione dei Nuovi Stati, il rappresentante francese Berthelot dichiarò che il governo di Belgrado aveva comunicato al presidente della Conferenza della pace di essere disposto ad accettare le clausole per la protezione delle minoranze, però chiedendo anche come sarebbero state garantite le minoranze iugoslave in altri paesi, «specialmente in Italia». De Martino rammentò a Berthelot che all’Italia, in quanto grande potenza, non era richiesta l’accettazione delle garanzie per le minoranze. Ho ricordato che secondo decisione precedente, la questione delle garanzie delle minoranze non concerne le Grandi Potenze come Italia, Francia, Inghilterra. Per quanto riguarda l’Italia, ho aggiunto, non è il caso di clausole speciali anche per la ragione che il regime liberale vigente in Italia costituisce la migliore garanzia per le minoranze. Ma noi ci opponiamo per ragioni di principio422. All’inizio di giugno il giurista D’Amelio preparò un progetto di clausola relativa al diritto di presentare reclami al Consiglio della Lega delle Nazioni da parte di ex sudditi asburgici che avessero acquistato la cittadinanza di uno Stato diverso da quello del territorio nel quale risiedevano. Il 10 giugno De Martino presentò il progetto di clausola alla Commissione dei Nuovi Stati, scontrandosi con le resistenze degli altri delegati, che ritenevano che compito della Commissione fosse la protezione delle minoranze allogene, mentre «le persone che si trattava di proteggere mediante la clausola proposta erano divenute straniere al paese in cui continuavano a risiedere»423. De Martino ribadì alla Commissione «il grande interesse politico dell’Italia a proteggere anche in questo campo speciale la nazionalità italiana di talune città adriatiche contro i gravi pericoli da cui saranno minacciate in avvenire», ma accettò di rimandare la questione alle future discussioni sul trattato per le garanzie delle minoranze in Iugoslavia424. Peraltro lo stesso Sonnino – che pur manifestò interesse ad una formulazione 422 ASMAE, ACP, b. 84, GIACOMO DE MARTINO, Appunto per S.E. il Ministro, 31 maggio 1919. 423 ASMAE, ACP, b. 113, De Martino a D’Amelio, 11 giugno 1919. 424 Ibidem. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE 123 del trattato per la garanzia delle minoranze in Polonia che tutelasse adeguatamente i diritti linguistici e scolastici delle popolazioni di nazionalità non polacca – invitò i membri della delegazione italiana alla prudenza e alla cautela in questo campo: a parere del ministro degli Esteri – riferì De Martino – «si può prevedere che, in occasione del regolamento della questione adriatica, gli Alleati e l’America esigeranno da noi una clausola di reciprocità a favore degli Slavi in territorio italiano. Pertanto il Barone Sonnino è d’avviso che occorra essere guardinghi nel proporre clausole che potrebbero in seguito creare imbarazzi a noi stessi»425. Il timore di dovere subire limitazioni alla propria sovranità circa il trattamento delle minoranze, quindi, convinse la delegazione dell’opportunità di abbandonare per il momento la questione delle garanzie giuridiche per gli italiani della Dalmazia iugoslava. Nel frattempo il 28 giugno, oltre al trattato di pace con la Germania e alla carta istitutiva della Società delle Nazioni, venne anche stipulato il trattato fra le principali potenze alleate e associate (Gli Stati Uniti d’America, la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia e il Giappone) e la Polonia per la protezione delle minoranze426. Era il primo trattato del genere, e dal punto di vista teorico costituiva un’importante innovazione nel campo della protezione internazionale delle minoranze religiose e nazionali in Europa. 425 426 Ibidem. FINK, The Minority Question, cit., p. 269 e ss. II TRA NITTI E D’ANNUNZIO. GLI ITALIANI DI DALMAZIA E LA LOTTA PER ZARA ITALIANA (LUGLIO 1919-MAGGIO 1920) 2.1. I dalmati italiani e il governo Nitti di fronte al progetto dello Stato libero dalmatico La formazione del governo Nitti-Tittoni1 portò ad un mutamento della politica italiana verso la questione dalmatica. L’indebolimento diplomatico e il crescente isolamento internazionale dell’Italia consigliarono al nuovo esecutivo di ridimensionare le rivendicazioni in Dalmazia al fine di assicurarsi Fiume e un buon confine in Venezia Giulia. Nitti dava molta importanza alla questione di Fiume2 perché riteneva che l’annessione italiana della città avrebbe garantito un successo di prestigio per il nuovo governo; giudicava, poi, cruciale chiudere il contenzioso territoriale con lo Stato iugoslavo per favorire la ripresa economica e la soluzione dei problemi interni. Sia Nitti che Tittoni erano stati in disaccordo con le direttive della politica estera di Sonnino. Nel 1914-15 Tittoni aveva criticato l’eventuale rivendicazione territoriale della Dalmazia perché foriera dell’ingresso di troppi allogeni nei confini nazionali3. Il politico romano dava molta importanza all’asset1 Al riguardo l’analisi di Rodd, ambasciatore britannico a Roma: BDFA, II, F, 4, Rodd a Curzon, 23 giugno 1919, d. 45. 2 MONTICONE, Nitti e la grande guerra, cit. Sulla personalità politica di Nitti: FRANCESCO BARBAGALLO, Francesco S. Nitti, Torino, 1984; FRANCESCO SAVERIO NITTI, Edizione nazionale delle opere di Francesco Saverio Nitti. Scritti politici. Volume V. Diario di prigionia, Meditazioni dell’esilio, Roma-Bari, 1967; ID., Edizione nazionale delle opere di Francesco Saverio Nitti. Scritti politici. Volume VI. Rivelazioni, Meditazioni e ricordi, Bari-Roma, 1963; ID., Edizione nazionale delle opere di Francesco Saverio Nitti. Volume XVI. Tomo II. Scritti politici. Articoli e discorsi inediti vari, documenti, Bari-Roma, 1980. 3 DDI, V, 3, d. 172, Tittoni a Sonnino, 23 marzo 1915; LUCIANO MONZALI, Tommaso Tittoni e la politica coloniale africana dell’Italia nel 1919, «Clio», 2003, n. 4, p. 565 e ss. Un’approfondita ricostruzione della formazione politica di Tittoni e della sua azione come 126 LUCIANO MONZALI to dell’Adriatico meridionale e riteneva fondamentale piuttosto il controllo italiano delle Bocche di Cattaro e dell’Albania. I politici dalmati percepirono immediatamente il nuovo atteggiamento del governo verso la questione dalmatica. Fra la fine di giugno e l’inizio di luglio Ghiglianovich, Lubin e Salvi incontrarono Nitti: «Io, Salvi e Lubin siamo stati ricevuti da Nitti – scrisse Ghiglianovich il 1° luglio – e abbiamo avuto un’accoglienza glaciale. Egli ci disse che la questione internazionale la aveva messa in mano della delegazione e precisamente di Tittoni; che le nostre erano le sue speranze; che, a Parigi, parlassimo con Tittoni; che oltre alla questione dalmata, c’era quella di Fiume; che senza avere Fiume l’Italia avrebbe creduto di aver perduto la guerra. Non una parola di fronte alle necessità strategiche inerenti alla Dalmazia. Non una parola di fronte all’italianità di Zara, che ho, ancora una volta, celebrata»4. Riguardo a Tittoni, il giudizio di Ghiglianovich fu ben presto negativo: se Sonnino e Orlando erano sostanzialmente arrivati ad accettare compromessi territoriali rinunciatari, «ho la sensazione – riferiva il politico zaratino all’amico Salata –, più che l’impressione, che Tittoni, pur di fare la pace, sia disposto a transazioni ancor più disastrose»5. Altro fattore d’indebolimento politico per i dalmati fu la nomina di un nuovo ministro della Marina, Sechi, il quale, dotato di «una sua propria personalità capace di mettersi in antitesi con Revel», non condivideva la visione della questione adriatica del capo di stato maggiore della Marina, tutta fondata sulla necessità strategica per l’Italia di acquisire il controllo della Dalmazia settentrionale: il nuovo ministro, invece, riteneva cruciale l’annessione di Fiume, ed era pronto a sacrificare Sebenico6. Le previsioni pessimistiche di Ghiglianovich si rivelarono fondate. All’inizio di luglio, pur riaffermando sul piano giuridico la validità del patto di Londra, il nuovo ministro degli Esteri italiano fece capire alla diplomazia americana di essere pronto a rinunciare alla terraferma dalmata e a gran parte delle isole del Quarnero ministro degli Affari Esteri fra il 1903 e il 1909 in FRANCESCO TOMMASINI, L’Italia alla vigilia della guerra. La politica estera di Tommaso Tittoni, Bologna, 1934-1941, cinque volumi. Si vedano anche: SERGIO ROMANO, Tommaso Tittoni, in Il Parlamento italiano, Milano, 1990, VIII, pp. 249-266; TOMMASO TITTONI, Questioni del giorno. Tunisia, Abissinia, Bessarabia, Libia, Jugoslavia, Albania, Milano, 1928. 4 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 1° luglio 1919. 5 ASMAE, Carte Salata, b. 193, Ghiglianovich a Salata, 7 luglio 1919. Al riguardo RICCARDI, Francesco Salata, cit., p. 228. 6 Ghiglianovich a Salata, 7 luglio 1919, cit. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 127 e della Dalmazia in cambio di Fiume e delle Bocche di Cattaro7, regione ritenuta da Tittoni importante per l’equilibrio strategico dell’Adriatico. Nelle settimane successive, invece, la diplomazia italiana cominciò a pensare alla creazione di uno Stato libero dalmata da porsi sotto la protezione della Società delle Nazioni. Tornato a Parigi, Ghiglianovich, insieme a Lubin, incontrò Tittoni il 16 luglio. I due politici dalmati ribadirono la loro richiesta di applicazione integrale del patto di Londra e parlarono negativamente dell’ipotesi di uno Stato autonomo dalmata. Abbiamo insistito nel dire che il costituire dei territori dalmati del Patto uno Stato autonomo, libero, equivarrebbe alla costituzione di uno Staterello jugoslavo con etichetta di Stato autonomo-libero. Che Sebenico era necessaria per la sicurezza dell’Adriatico e per il futuro. Che anche Zara costituita in città libera sarebbe destinata a jugoslavizzarsi ben presto per la penetrazione slava dall’hinterland8. Tittoni rispose che niente era stato ancora deciso e che avrebbe insistito per l’applicazione del patto di Londra. Ma questa si rivelò una risposta poco sincera. Già il 18 luglio Ghiglianovich fu informato da Francesco Coppola, confidente del ministro, e da Salata, che il vero programma adriatico di Tittoni consisteva nella richiesta del distretto di Assling/Jesenice in Venezia Giulia e nella costituzione dello Stato libero di Fiume, comprendente anche Veglia e parte dell’Istria orientale; in Dalmazia il ministro pensava all’annessione di Zara e del suo distretto politico, nonché di Cattaro e del monte Lovcen. In caso di opposizione alleata, il ministro era pronto a rinunciare all’annessione di Zara e a considerare la costituzione di uno Stato libero zaratino9. Il giudizio di Ghiglianovich su queste idee di Tittoni fu molto duro. Chiedere Cattaro metteva in discussione il valore del patto di Londra e irritava fortemente i serbi: a parere del politico dalmata, era «un’ingenuità bambinesca» e una cosa da «sciocchi»10. Spaventato dai pro7 LEDERER, op. cit., p. 270. L’archivio della delegazione italiana alla Conferenza della pace conserva una mappa della Dalmazia meridionale, intitolata Proposte per l’Hinterland italiano di Cattaro e s.d. (ma estate 1919), che prevedeva l’annessione italiana delle Bocche di Cattaro, Budua e del Monte Lovcen: ASMAE, ACP, b. 113. 8 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 17 luglio 1919. 9 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 18 luglio 1919. Si veda anche ASMAE, Carte Salata, b. 193, Ghiglianovich a Salata, 21 luglio 1919. 10 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, prima e seconda lettera del 18 luglio 1919. 128 LUCIANO MONZALI getti della delegazione italiana, Ghiglianovich pensò di abbandonare la Conferenza e di ritornare in Dalmazia; poi invitò Ziliotto a recarsi a Parigi11. In quei giorni il sindaco di Zara era in frenetico spostamento fra l’Italia e la Dalmazia, impegnato in continue consultazioni politiche. Il 15 luglio Ziliotto ribadì le posizioni dei dalmati italiani in un messaggio a Scialoja, nuovo delegato italiano a Parigi. Era necessario opporre la più forte resistenza contro le minacciate rinunce, salvando i dalmati italiani dall’oppressione straniera e balcanica e l’Italia da una traumatica umiliazione e perdita di prestigio12. Pure per il sindaco zaratino l’ipotesi dello Stato autonomo dalmatico era pericolosa; se non fosse stato possibile opporsi a tale ipotesi, bisognava almeno garantire il dominio italiano su Zara, «centro irradiazione italianità»13. Il diffondersi in Italia e in Dalmazia di voci circa la possibile creazione di uno Stato libero dalmata provocò inevitabilmente una spaccatura in seno ai dalmati italiani. Il 28 luglio i capi del Fascio Nazionale Italiano di Sebenico (Luigi Pini, Giovanni Miagostovich, Doimo Cace, Tullio Nicoletti), inviarono telegrammi a Ziliotto, Ghiglianovich e Tittoni, nei quali, in accordo con il Fascio Nazionale di Spalato, dichiararono di preferire la creazione dello Stato libero dalmatico, sotto la tutela della Società delle Nazioni ed inglobante la Dalmazia centro-settentrionale fino alla Narenta, all’annessione della sola Zara all’Italia14. I capi degli italiani di Sebenico e Spalato erano pronti ad accettare la creazione di uno Stato dalmatico autonomo e separato dall’Italia perché era un’ipotesi ritenuta migliore di un eventuale dominio diretto iugoslavo; vi era poi la speranza che la formazione di una Dalmazia indipendente ed autonoma avrebbe potuto creare vasti consensi anche in parte della popolazione dalmata slava, con una spiccata identità regionale e non favorevole al dominio serbo. Leonardo Pezzoli spiegò a Ghiglianovich la posizione degli italiani spalatini in questi termini: 11 BS, Carte Ghiglianovich, b. B, Roberto Ghiglianovich, Annotazioni per mio uso, senza data (ma luglio-agosto 1919); AM, archivio di base, c. 3138, telegramma di Sechi che trasmette messaggio di Barbieri a Ghiglianovich, 15 luglio 1919. 12 AM, archivio di base, c. 3138, telegramma di Sechi che invia messaggio di Ziliotto a Scialoja, 15 luglio 1919. 13 AM, archivio di base, c. 3138, telegramma di Sechi che trasmette una comunicazione di Ziliotto, Krekich e Millo a Ghiglianovich, 22 luglio 1919. 14 BS, Carte Ghiglianovich, b. B, Pini, Miagostovich, Cace, Nicoletti, Lobasso, Mazzoleni e Hein a Luigi Ziliotto, 28 luglio 1919; AM, archivio di base, c. 3138, Pini, Miagostovich, Cace, Nicoletti, Pojani, Hein, Mazzoleni e Lambasso a Tittoni, 28 luglio 1919. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 129 Certo che la soluzione [dello Stato libero] non è per noi l’ideale e che la Dalmazia autonoma sarebbe preponderantissimamente slava. Di fronte però alla prospettiva di vedere annegare tutta la Dalmazia nei flutti della Jugoslavia, col salvataggio sì e no della sola Zara, l’altra suaccennata avrebbe tanto nei riguardi dei nostri interessi, ed assai più ancora di quelli generali italiani, indubbi vantaggi. Anzitutto essa rappresenterebbe pure per l’Italia una via d’uscita dal presente ginepraio e le risparmierebbe l’onta di dover capitolare di fronte ad un piccolo popolo di civiltà inferiore e di abbandonare alla mercè di questo paesi ora occupati dalle sue truppe. Nei riguardi del presente lo Stato libero soggetto alla Lega delle Nazioni sarebbe sempre aperto ad una certa influenza italiana […]. Nei riguardi dell’avvenire lo Stato libero rappresenta poi sempre una porta aperta che, se fortuna arriderà all’Italia, potrebbe un giorno convertirsi anche in annessione o in altra forma a questa assai vicina; mentre, data l’incorporazione alla Jugoslavia, questa avrebbe carattere definitivo e non potrebbe venir corretta che da una nuova guerra di violenta conquista che dovrebbe tagliar nel vivo delle carni di un popolo unificato. Anche quelle garanzie per le minoranze, che sarebbero affatto illusorie in seno alla Jugoslavia, acquisterebbero ben altra importanza e concretezza nello Stato libero sotto il suaccennato controllo e con diretta maggiore o minore ingerenza italiana15. Ghiglianovich giudicò duramente il telegramma degli italiani di Sebenico, ritenendolo un atto unilaterale che rompeva la solidarietà fra i dalmati italiani: «Prevale in essi l’impulso del più basso egoismo personale alla possibilità di redimere almeno Zara. E in essi questo egoismo offusca la visione realistica di quello che sarebbe lo Stato libero dalmatico»16. Ziliotto, Ghiglianovich e Lubin inviarono a Pini una risposta in cui biasimarono l’invio di un telegramma in chiaro a Tittoni che sembrava sconfessare il loro operato e mostrava l’esistenza di forti divisioni fra i dalmati italiani. Essi ribadirono che il loro programma era la lotta per l’applicazione del patto di Londra; se ciò non fosse stato possibile si sarebbero battuti per l’annessione all’Italia di Zara e del suo capitanato distrettuale e per l’eventuale creazione di uno Stato autonomo nel resto della Dalmazia fino alla Narenta17. Di fatto nei mesi successivi si aprì una profonda spaccatura politica in seno al vecchio partito autonomo-italiano. Ghiglianovich, Ziliotto e gli zaratini erano contrari ad ogni ipotesi di Stato libero dalmata, che sarebbe sta- 15 BS, Carte Ghiglianovich, b. B, Pezzoli a Ghiglianovich, 28 luglio 1919. BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 29 luglio 1919. 17 AM, archivio di base, c. 3138, Ziliotto, Ghiglianovich e Lubin a Pini, 29 luglio 1919. 16 130 LUCIANO MONZALI to dominato da una maggioranza serbo-croata, preferendo in ogni caso l’annessione anche della sola Zara all’Italia; gli italiani di Sebenico, Traù, Spalato, Ragusa e delle isole, invece, sostennero con vigore l’ipotesi dello Stato libero dalmatico, con o senza il controllo della Società delle Nazioni. Il 30 luglio Ghiglianovich e Ziliotto incontrarono Tittoni, il quale, per una volta, fu con loro sincero: «Tittoni – riferì Ghiglianovich a Barbieri – ci ha detto questo: “Sebenico e le isole è inutile pensarci. Non ce li danno sotto nessuna forma. Mi batterò per la sovranità italiana su Zara, ma dispero di riuscire. Wilson ha prospettato la sua disposizione di fare una città autonoma. Io, [a] mia volta, prospetterò, se il principio della sovranità non mi riuscisse, una forma di mezzo e cioè: Zara città libera col perpetuo mandato dell’Italia, eventualmente sotto il protettorato italiano. Richiamarsi al Patto di Londra è improponibile, essendo stato deciso col concorso della precedente delegazione italiana che le conclusioni, per essere valide, dovevano essere unanimi […]. L’unanimità non la possiamo ottenere, causa il dissenso americano”»18. Tittoni proclamò d’essere favorevole all’annessione di Zara all’Italia, poiché ciò avrebbe avuto un’ottima ripercussione sull’opinione pubblica italiana; ma si dimostrò molto scettico circa le possibilità di successo a tale riguardo. Tittoni chiese a Ghiglianovich e Ziliotto di preparare per il giorno successivo due carte che segnassero, l’una, il territorio e le isole che avrebbero dovuto essere unite a Zara in caso di annessione all’Italia, l’altra, i limiti minimi dei confini di Zara sotto il mandato amministrativo o protettorato dell’Italia. Era questo un compito non semplice per i politici zaratini, poiché, riguardo alla seconda carta, Tittoni disse loro «di badare ad escludere da questa circoscrizione il maggior numero possibile di slavi onde non prevalgano nelle elezioni della Dieta o Consiglio direttivo che dovrebbe presiedere a questo Stato zaratino amministrato per virtù di mandato dall’Italia o sotto il suo protettorato»19. Ciò poneva in difficoltà Ghiglianovich e Ziliotto, perché l’elemento italiano era concentrato in stragrande maggioranza nel centro urbano di Zara e «se la circoscrizione si dovesse ridurre alle quattro mura della città, si scoprirebbe la debolezza nazionale della nostra tesi»20. D’altronde, bisognava anche 18 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 30 luglio 1919. Ibidem. 20 Ibidem. 19 TRA NITTI E D’ANNUNZIO 131 avere riguardo per le esigenze economiche di Zara. I possidenti di Zara Stato libero – notò Ghiglianovich – non possono andare a vendemmiare né a villeggiare in loro terreni […] in Jugoslavia. Il pesce Zara non lo può attendere da pescatori jugoslavi. Gli zaratini non possono andar a tumulare i loro morti in Jugoslavia!21. Altra difficoltà nel progettare i futuri confini di Zara derivava dalla constatazione che la guerra mondiale, il crollo dell’Impero asburgico, il sorgere del Regno iugoslavo avevano mutato la situazione politica dalmata. Ziliotto, da molti anni sindaco di Zara, non era più in grado di fare previsioni sugli esiti di elezioni all’interno di un eventuale Stato libero zaratino, né nei villaggi del contado né nella stessa Zara, poiché «la guerra ha trasformato tutto»22, sconvolgendo schieramenti e posizioni politiche di tutta la popolazione della regione. Rispondendo alla richiesta del ministro, Ghiglianovich, Ziliotto e Lubin inviarono a Tittoni una lettera-memoriale con due carte annesse il 31 luglio 191923. Nella lettera chiesero al governo di Roma di continuare a lottare per l’esecuzione del patto di Londra, il quale, se non risolveva del tutto in senso italiano il problema nazionale, politico e strategico-militare dell’Adriatico, lasciava «aperte le porte per la sua completa non lontana soluzione». Qualora ostacoli insormontabili impedissero tale soluzione, i politici dalmati ritenevano assolutamente necessario: a) che almeno la città di Zara con i suoi territori ed isole costituenti il «Capitanato distrettuale di Zara» e quindi anche l’isola di Arbe, vengano annesse all’Italia. b) Che la rimanenza dei territori ed isole della Dalmazia contemplati dal trattato di Londra come pure il territorio di Spalato e le isole prospicienti questa città, vengano costituiti in Stato libero sotto il controllo della «Lega delle Nazioni», quando non fosse possibile di ottenere l’affidamento del mandato amministrativo di questo Stato all’Italia. Richiesti da Tittoni di fornire dettagli sui confini di un eventuale Stato libero limitato alla sola città di Zara, pur dichiarandosi contrari a tale ipotesi, i deputati dalmati proposero due possibili linee. 21 Ibidem. BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 31 luglio 1919. 23 ASMAE, Carte Salata, b. 193, Ghiglianovich, Ziliotto e Lubin a Tittoni, 31 luglio 1919. 22 132 LUCIANO MONZALI L’indicazione dell’estensione territoriale dell’eventuale «Stato libero di Zara» è subordinata a quello dei seguenti due criterii che V. E. riterrà prevalenti in proposito, e cioè: al criterio oltre che nazionale, politico, strategico, militare; oppure al criterio strettamente nazionale. Nel primo caso (caso a) lo «Stato libero di Zara» dovrebbe essere costituito dai Comuni politici di Zara, Nona, Sale […]. Nel secondo caso (caso b) lo «Stato libero di Zara» non dovrebbe essere costituito che, tutto al più, dalla città di Zara e dal suo comune censuario, e dai comuni censuarii di Borgo Erizzo, Cerno, Murvizza, Boccagnazzo, Diclo, Cozino, Petarciane, legati territorialmente l’uno all’altro. Tutti questi comuni censuarii formano parte dell’attuale comune politico di Zara. A Scialoja fu consegnato, insieme alla lettera-memoriale, un appunto, esplicativo delle tesi dei politici dalmati24. Ziliotto, Ghiglianovich e Lubin ribadirono che Zara non poteva rinunciare al controllo di Borgo Erizzo/Arberesh, Cerno, Murvizza/Murvica, Boccagnazzo/Bokanjac, Diclo/Diklo, Cozino/Koz#ino, Petarciane: la città di Zara traeva l’acqua che alimentava la sua popolazione dall’acquedotto di Boccagnazzo; gli zaratini avevano le proprie proprietà terriere in tali comuni, tutti legati territorialmente alla città. Certo vi era un problema nazionale poiché se Zara aveva una netta maggioranza italiana, secondo l’ultimo censimento austriaco nei comuni di Borgo Erizzo, Cerno, Murvizza, Boccagnazzo, Diclo, Cozino, Petarciane vi erano 5192 abitanti, dei quali 4925 slavi (croati e serbi) e 191 italiani. Tuttavia gli abitanti di Borgo Erizzo non erano slavi ma albanesi giunti in Dalmazia nel XVIII secolo, che conservavano la loro lingua e le proprie abitudini nazionali e votavano il partito politico italiano o serbocroato a seconda della convenienza: potevano, quindi, essere favorevoli alle tesi italiane. Inoltre la maggioranza della popolazione dei comuni in questione, seppur slava, aveva in passato sempre votato per il partito italiano-autonomo. Da qui la legittimità della richiesta di mantenere Zara unita al suo contado, preferibilmente annessa all’Italia25. Il 4 agosto Tittoni presentò agli inglesi il suo primo piano per l’Adriatico26, mentre il 6 Scialoja consegnò il progetto di accordo 24 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Aggiunta – per S.E. Scialoja – alla lettera del 31-71919 rimessa da Ziliotto, Ghiglianovich, Lubin a S.E. Tittoni, s.d. 25 Ibidem. 26 RICCARDI, Francesco Salata, cit., p. 224 e ss.; DBFP, I, 4, d. 18; MICHELETTA, op. cit., I, p. 33 e ss. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 133 adriatico a tutti gli alleati. Riguardo alla Dalmazia, il governo di Roma dichiarò di essere pronto a compiere importanti rinunce rispetto al patto di Londra; tuttavia, «qualsiasi nostra arrendevolezza deve però arrestarsi dinanzi alle seguenti esigenze: a) impedire che lo Stato serbo-croato-sloveno si valga del possesso dei porti e delle isole dalmate per acquistare una superiorità strategica e tattica, che tale possesso può consentire anche con forze navali relativamente deboli; b) tutelare i dalmati di nazionalità italiana contro l’oppressione di elementi meno civili e a noi apertamente ostili; c) salvaguardare gli interessi italiani in Dalmazia ed i nostri commerci colla penisola balcanica»27. Il governo italiano, quindi, chiese l’annessione di Lissa e Lagosta per garantire la propria sicurezza strategica; in nome del principio di nazionalità, invece, domandò la sovranità italiana (o il protettorato) su Zara, sui borghi di San Giovanni, Borgo Erizzo e Cezaria e sull’isola di Ugliano28. La delegazione italiana, infine, chiese che le minoranze italiane negli altri centri della Dalmazia fossero tutelate «da alcune clausole da inserirsi nel Trattato fra le Grandi Potenze e lo Stato S.H.S.»29. In quelle settimane la posizione di Belgrado fu espressa da un memoriale comunicato alla delegazione britannica a Parigi il 19 agosto30. Il governo iugoslavo chiese che tutta la Dalmazia fosse annessa al Regno SHS, con il centro urbano di Zara che avrebbe goduto dei privilegi di una città libera con grande autonomia locale sotto la sovranità iugoslava, con garanzie internazionali a tutela della sua autonomia e della sua italianità. Nei successivi negoziati condotti da Tittoni con britannici e francesi fu evidente l’ostilità degli alleati all’ipotesi di Zara annessa all’Italia. A fine agosto Lloyd George parlò di fare di Zara una città libera sotto il mandato della Società delle Nazioni31. L’incertezza sull’esito dei negoziati diplomatici e il favore di Nitti e Millo all’idea di costituire un vasto Stato libero dalmatico, includente Zara, Sebenico, Traù e Spalato, rianimarono le speranze dei sebenzani e degli spalatini italiani. All’inizio di agosto, in loro rappresentan27 Il promemoria italiano del 6 agosto è edito in ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., p. 503 e ss., con la data errata del 29-31 agosto 1919. 28 Ibidem. 29 Ibidem. 30 DBFP, I, 4, allegato a d. 19. 31 LEDERER, op. cit., p. 276 e ss.; MICHELETTA, op. cit., I, p. 39 e ss.; ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., p. 147 e ss. 134 LUCIANO MONZALI za si recarono a Parigi Salvi, Pezzoli e Miagostovich32. Pochi giorni dopo giunsero Smerchinich, Dojmi, Bervaldi e Botteri, rappresentanti delle comunità italiane isolane. Il loro arrivo aggravò il dissidio in seno ai dalmati italiani. Si aprirono lunghe e dure discussioni sulla strategia politica da seguire. Salvi, Pezzoli, Miagostovich, Smerchinich e tutti i dalmati non zaratini (compreso Giovanni Lubin, originario di Traù ma residente a Zara, distanziatosi dalle posizioni di Ghiglianovich e Ziliotto) affermavano che la Dalmazia si poteva salvare solo nell’unione con l’Italia; se ciò per il momento non fosse stato possibile, il mezzo migliore per salvare gli italiani dalmati sarebbe stato la costituzione di uno Stato libero sotto l’egida della Società delle Nazioni, che doveva però includere anche Zara per rafforzare l’elemento italiano al suo interno. Ghiglianovich e Ziliotto contestarono tali tesi sostenendo che uno Stato libero dalmatico e la Dalmazia iugoslava erano la stessa cosa. L’esistenza di una maggioranza iugoslava in seno allo Stato libero avrebbe portato al suo controllo da parte dei partiti serbo-croati: l’esistenza dello Stato libero sarebbe stata solo una tappa, una fase intermedia, sulla via dell’assorbimento della Dalmazia da parte iugoslava. Più opportuno, invece, era lottare per l’annessione di almeno Zara all’Italia, il che avrebbe significato la salvezza dell’italianità zaratina e una base dell’Italia in Dalmazia, possibile punto di partenza per future altre aspirazioni33. Il dissenso in seno ai dalmati rimase forte per varie settimane. Nella sua corrispondenza Ghiglianovich usò termini molto duri contro i connazionali spalatini e sebenzani, accusandoli ripetutamente d’insipienza politica e di egoismo. In una lettera del 6 agosto a Salata il deputato dalmata così descrisse la situazione: La dichiarazione di Nitti a Salvi che la delegazione tendeva a sottrarre la Dalmazia alla Jugoslavia, costituendo della stessa uno «Stato libero» sotto il controllo [della Lega] delle nazioni (cosa questa seppur disastrosa campata in aria), accese gli animi di tutti i dalmati non zaratini. Ed ecco la ragione per cui accorsero a Parigi Salvi, Pezzoli, Smerchinich, Miagostovich – col motto: sia immersa anche Zara nella nuova provincia jugoslava, controllata dalla Lega, se dall’immersione di Zara deve dipendere l’esistenza del nuovo Stato! A nulla valsero […] le nostre calorose, talvolte violente insistenze. […] Essi non si ricredettero e nel colloquio con Tittoni neppur accennarono a Zara, 32 33 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 1° e 3 agosto 1919. BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 6 agosto 1919. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 135 alla necessità assoluta di salvare almeno Zara. Ci manca adunque il concorso dei non zaratini nell’azione nostra e cioè: insistere e ottenere dalla delegazione che concentri tutto il fuoco per Zara. Salvi, Pezzoli, Lubin hanno voluto andare soli, incontrollati, da Tittoni. E agiscono indipendentemente da noi!34. Le discussioni a Parigi continuarono aspre e snervanti per vari giorni, sostanzialmente rompendo l’unità politica fra i dalmati italiani35. Di fronte alla volontà degli spalatini e dei sebenzani di presentare un proprio memoriale alla delegazione italiana, Ziliotto e Ghiglianovich pensarono di prepararne uno alternativo. Prevalse il buon senso: sarebbe stato sconveniente mostrare apertamente alla delegazione il dissenso esistente in seno agli italiani di Dalmazia e si optò per la preparazione di un unico memoriale. Ma la genesi di questo si rivelò oltremodo difficile, con lunghe e dure discussioni circa ogni frase ed aggettivo, affinché né la richiesta dello Stato libero dalmatico, né quella di Zara annessa all’Italia, avessero la prevalenza l’una sull’altra. Dopo varie bozze provvisorie36, si raggiunse il consenso su un me34 ASMAE, Carte Salata, b. 193, Ghiglianovich a Salata, 6 agosto 1919. BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 11 agosto 1919. 36 Inizialmente si raggiunse un consenso provvisorio su un progetto di memoriale nel quale i dalmati italiani affermavano di non ritenere conciliabile col decoro della Nazione l’abbandono della zona dalmata occupata: «Tale abbandono, demoralizzando irreparabilmente il loro paese, annienterebbe tutta l’opera di difesa nazionale cui i Dalmati durarono da secoli, dandoli inumanamente, qualunque sieno per essere le larve delle concesse garanzie, in balia del nemico; affermano che con l’abbandono, anche parziale, del territorio e delle isole occupate – tra cui in linea strategica importantissimi il porto di Sebenico e le Curzolane –, l’Italia rinuncerebbe alla sicurezza e tranquillità del suo confine orientale ed a quella supremazia nell’Adriatico che è condizione del suo sviluppo e della sua forza economica e politica». In caso non fosse stato possibile applicare il patto di Londra, diveniva accettabile l’ipotesi di creazione di uno Stato libero dalmatico sotto la protezione della Società delle Nazioni, che avrebbe dovuto inglobare tutta la Dalmazia e le isole fino al fiume Narenta, lasciando però fuori Zara, in quanto destinata all’annessione all’Italia. Nel progetto di memoriale vi era enunciato il ripudio di «qualunque progetto di autonomia di una o più città di Dalmazia»: Zara e il suo capitanato distrettuale dovevano essere annessi all’Italia. Il progetto dello Stato libero dalmatico presentava, a parere dei capi della minoranza italiana, i seguenti vantaggi: «1) Uscita dalla difficile situazione attuale, con risparmio dell’onta suprema di dover cedere, ed indubbiamente per sempre, i territori occupati ed i loro abitanti, ad un piccolo Stato nemico, di civiltà inferiore come la Jugoslavia; 2) Porta aperta per uno sperabile migliore avvenire; 3) Possibilità di permanenza e di vita per l’elemento italiano, di fronte alla necessità di emigrazione; 4) Possibilità di garanzie nazionali e linguistiche per la minoranza italiana, che sarebbero invece affatto illusorie in Jugoslavia; 35 136 LUCIANO MONZALI moriale che si limitava a sostenere le posizioni classiche del partito italiano dalmata, la richiesta di applicazione del patto di Londra e la domanda di garanzie per la minoranza italiana nella Dalmazia iugoslava. Il memoriale definitivo, datato 14 agosto37 – che fu sottoscritto da Ghiglianovich, Ziliotto, Salvi, Pezzoli, Miagostovich, Smerchinich, Dojmi, Bervaldi e Botteri, ed inviato a Nitti e a Tittoni38 – dichiarava inammissibile la rinuncia alla Dalmazia occupata e affermava nella sua parte conclusiva: Supplichiamo il Governo e la Delegazione Italiana: di non desistere a nessun costo e per alcuna forza di circostanze dalla pretesa che tutto senza eccezione il territorio dalmata compreso nel Patto di Londra e già occupato militarmente dall’Italia le venga assegnato in dominio; di conseguire che la residua Dalmazia, ed in particolare Spalato col suo circondario, che è il maggior centro economico, commerciale ed industriale della provincia, illustre per la storia, il carattere ed il sentimento italico, quando non ne fosse possibile per ora la redenzione, venga compresa in una forma di tutela italiana o quanto meno internazionale che ne garantisca il carattere e la salvi dalla consegna a discrezione dei Jugoslavi; 5) Conservazione dell’integrità storica, etnica e geografica della provincia, di fronte a tagli artificiosi ed innaturali; 6) Probabilità di graduale alienazione dell’elemento slavo della Dalmazia dalla tendenza alla Jugoslavia, con riguardo ai tanti momenti di natura religiosa, economica ed agraria che lo distinguono ed allontanano dalla stessa; 7) Conservazione della civiltà occidentale in un paese che ha storia e tradizioni nobilissime, di fronte alla sua inevitabile balcanizzazione» (BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Memoriale A, allegato a Ghiglianovich a Barbieri, 15 agosto 1919). Tale documento mostrava che nei dalmati italiani continuavano a coesistere una tradizione autonomista e regionalista, che tendeva a considerare gli slavi di Dalmazia un’entità a sé stante e diversa dal resto dei popoli iugoslavi e balcanici, e un sentimento nazionale d’italianità. Queste diverse tradizioni culturali e politiche, però, ostacolavano la definizione di un’azione politica pragmatica e realista: la difficoltà di abbandonare il progetto dell’annessione di tutta la Dalmazia ex veneziana all’Italia, progetto politico inattuabile stante la resistenza dei partiti nazionalisti iugoslavi e la netta prevalenza etnico-nazionale serbo-croata nei territori in questione, e il sorgere del sogno di uno Stato dalmatico autonomo ne erano la riprova. Il carattere contradditorio e abbastanza sconclusionato del progetto di memoriale, che cercava di conciliare le tesi contrastanti di zaratini, spalatini e sebenzani, spinse i politici dalmati a non presentarlo alla delegazione italiana. 37 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Memoriale B, 14 agosto 1919, allegato a Ghiglianovich a Barbieri, 15 agosto 1919. Copia di questo memoriale è stata pubblicata in LUIGI FEDERZONI, L’ora della Dalmazia, Bologna, 1941, pp. 184-185; si veda anche qualche accenno in ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., pp. 140-141. 38 Al riguardo Ghiglianovich a Barbieri, 15 agosto 1919, cit. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 137 di ottenere in ogni modo che per quei dalmati italiani i quali andassero sciaguratamente a cadere sotto il dominio jugoslavo, il diritto di opzione alla cittadinanza italiana sia congiunto al diritto di stabile permanenza nel loro paese, nella certezza che ogni altra garanzia, data dagli Jugoslavi, sarebbe vana ed irrisoria39. Al fine di avere maggiore influenza sulle decisioni del governo, gli zaratini fecero pressioni su Millo perché sostenesse l’idea dell’annessione di Zara e del suo capitanato all’Italia40. Il 6 agosto, per non scontentare i capi zaratini, Millo scrisse al comandante Ruspoli, esperto della Marina in seno alla delegazione italiana a Parigi, affinché difendesse la tesi della necessità di annettere all’Italia Zara, il suo capitanato distrettuale e le isole circostanti, in particolare Arbe e Pago41. In realtà, in quelle settimane, Millo non era ostile all’ipotesi di uno Stato autonomo dalmatico, che considerava un modo per evitare la creazione di un assetto definitivo in Dalmazia troppo sfavorevole all’Italia: la costituzione di uno Stato autonomo, infatti, poteva rimandare il ritiro delle truppe italiane dalla Dalmazia occupata. Egli, poi, riteneva che il diffondersi di sentimenti anti-serbi fra i dalmati slavi avrebbe aumentato il consenso popolare locale all’ipotesi di uno Stato autonomo dalmatico. Io non vedo la prospettiva della autonomia – scrisse Millo a Ghiglianovich il 2 agosto 1919 – come senza speranza per l’avvenire e ciò per le notizie recenti sul modo di pensare dei Dalmati, non italianizzanti finora, della Dalmazia non occupata. Spalato, che ne è il centro ed il cervello, gira a noi ogni giorno sensibilmente42. Il 22 agosto Millo ribadì la sua convinzione che le spinte centrifughe in seno allo Stato iugoslavo si stessero rafforzando e che quindi l’idea dello Stato libero dalmatico conquistava crescente consenso popolare. Unione Dalmazia Serbia non incontra più favore alcuno nei territori dalmati non occupati donde giovani fuggono per evitare arruolamento. Non più di trecento intellettuali jugoslavi tengono in tutta la Dalmazia accesa l’av- 39 Memoriale B, 14 agosto 1919, cit. BS, Carte Ghiglianovich, b. C, Krekich a Ziliotto, 9 agosto 1919. 41 ACS, Carte Nitti, b. 37, Millo a Ruspoli, 6 agosto 1919. 42 BS, Carte Ghiglianovich, b. B, Millo a Ghiglianovich, 2 agosto 1919. 40 138 LUCIANO MONZALI versione all’Italia e per mio conto sono sempre del parere convenga oggi ritardare la soluzione perché l’avvenire promette più del presente43. Nel corso del mese di agosto le trattative sulla questione adriatica a Parigi non produssero risultati. Di fronte alle resistenze americane, su consiglio britannico Tittoni presentò un nuovo piano d’accordo. Pur di ottenere l’annessione di Fiume o la sua costituzione in città libera, l’Italia rinunciò alla richiesta del confine sulle Alpi Giulie e al territorio di Assling e accettò la linea Wilson. Riguardo alla Dalmazia, il ministro chiedeva l’annessione di Zara e delle isole di Ugliano, Lissa, Lagosta, Unie e Lussino; gli interessi economici dell’Italia in Dalmazia e i diritti delle minoranze italiane dalmate avrebbero dovuto essere garantiti44. Britannici e francesi si mostrarono freddi verso le proposte italiane. Il governo di Londra, in particolare, continuava ad essere ostile ad una presenza italiana in Dalmazia. Il 31 agosto Lloyd George si dichiarò contrario alla sovranità italiana su Zara e Ugliano e pretese che il governo di Roma si accontentasse di ottenerle in mandato dalla Società delle Nazioni. Sotto la spinta delle pressioni alleate il governo di Roma rinunciò all’idea dell’annessione di Zara ed accettò la proposta di creare una città libera sotto la tutela della Società delle Nazioni45. Le idee di francesi e britannici sulla futura sistemazione adriatica furono enunciate in un messaggio di Lloyd George e Clemenceau a Wilson datato 10 settembre, con il quale proposero al presidente americano una soluzione di compromesso fondata sulla linea Wilson in Istria e sulla creazione di uno Stato libero fiumano. Circa la Dalmazia e le isole, Lloyd George e Clemenceau prevedevano il loro passaggio allo Stato iugoslavo, ad eccezione di Lussino, Pelagosa/Palagruz#a e Lissa, riservate all’Italia, e di Zara e Ugliano, da costituirsi in Stato libero sotto la garanzia della Società delle Nazioni46. Ghiglianovich e i capi dalmati ebbero notizia di queste pressioni alleate e della crescente arrendevolezza del governo di Roma. Essi giudicavano l’ipotesi del mandato o della città libera a Zara come catastrofica, in quanto non avrebbe stabilizzato la situazione politica dalmata e avrebbe reso gli zaratini facili vittime delle pressioni economiche iugoslave. Disperavano della volontà del governo di Roma di 43 BS, Carte Ghiglianovich, b. B, Millo a Ghiglianovich, 22 agosto 1919. Il testo del promemoria italiano è edito in DBFP, I, 4, d. 20. 45 MICHELETTA, op. cit., I, p. 42 e ss. 46 DBFP, I, 4, dd. 20, 21; ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., p. 510. 44 TRA NITTI E D’ANNUNZIO 139 resistere alle pressioni alleate e americane: l’opinione pubblica, gli ambienti parlamentari italiani volevano farla finita con la questione adriatica47. 2.2. La rinuncia dell’Italia a tutelare gli italiani di Dalmazia nel trattato di protezione delle minoranze in Iugoslavia Anche dopo la firma del trattato di pace della Germania e del patto per la protezione delle minoranze in Polonia, i lavori della Commissione dei Nuovi Stati proseguirono. De Martino, con la stretta collaborazione di Stranieri, continuò a rappresentare l’Italia in seno alla Commissione. La nuova politica adriatica del governo Nitti-Tittoni, fondata sulla decisione di sacrificare la gran parte delle rivendicazioni territoriali in Dalmazia pur di avere l’annessione di Fiume o la sua indipendenza, spinse la delegazione a considerare con attenzione la possibilità della tutela internazionale della minoranza italiana in Dalmazia, in gran parte destinata ad essere sottomessa al dominio iugoslavo. Nitti, poi, sperava che gli eventuali sacrifici territoriali dell’Italia in Dalmazia potessero essere in parte compensati con la tutela e il potenziamento degli interessi economici italiani nell’Adriatico orientale. Nelle prime settimane di luglio, su stimolo del presidente del Consiglio, che lo aveva nominato capo dell’Ufficio centrale per le Nuove Province48, Francesco Salata ritornò a Parigi per collaborare con la delegazione alla Conferenza della pace e preparò alcuni memoriali dedicati alla questione della protezione della minoranza italiana nella futura Dalmazia iugoslava. Il 18 luglio Salata propose cinque richieste a tutela degli interessi economici italiani in Dalmazia che la delegazione avrebbe dovuto far approvare dalla Conferenza della pace come impegni internazionali del governo di Belgrado49. La prima richiesta stava molto a cuore agli italiani zaratini e concerneva il diritto di collegare il futuro territorio italiano in Dalmazia con le reti ferroviarie iugoslave. È assicurato all’Italia, rispetto al territorio della Dalmazia annesso allo 47 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 4 settembre 1919. RICCARDI, Francesco Salata, cit., p. 207 e ss. 49 ASMAE, ACP, b. 20, FRANCESCO SALATA, Clausole economiche per la Dalmazia, 18 luglio 1919. 48 140 LUCIANO MONZALI Stato dei Serbi, Croati e Sloveni il diritto di allacciamento con Knin e con Dernis (già provveduti di linee ferroviarie) delle linee ferroviarie che l’Italia intendesse di costruire nel proprio territorio dalmato e così pure il diritto di allacciamento di queste nuove linee anche con nuove linee ferroviarie che lo Stato dei Serbi, Croati e Sloveni costruisse nel territorio dalmato assegnato a questo Stato50. Il punto secondo del memoriale di Salata mirava a permettere lo sfruttamento da parte di cittadini italiani del bacino carbonifero di Monte Promina, dei giacimenti di bauxite e marna di Spalato, di Salona/Solin e di Almissa e degli impianti idroelettrici di Sebenico e di Spalato, mentre il terzo avrebbe garantito l’immutabilità del corso dei fiumi Cherca/Krka e Cetina51. Salata, poi, chiedeva che fossero tutelati l’esportazione e il transito verso l’Italia di ogni specie di merce e prodotto della Dalmazia assegnata al Regno SHS, così come ogni importazione proveniente dall’Italia; dovevano anche essere garantiti il diritto di pesca nelle acque territoriali dalmate e il cabotaggio nei porti a favore del naviglio italiano52. Ricevute le proposte di Salata, De Martino pensò di presentarle alla Commissione dei Nuovi Stati53, che in quelle settimane discuteva del trattato per la protezione delle minoranze nel Regno SHS. Augusto Stranieri discusse delle idee di Salata con d’Amelio e Moscheni, esperti della delegazione in campo giuridico ed economico che, però, sconsigliarono l’adozione di tali proposte54. Secondo d’Amelio e Moscheni, le richieste di collegamenti ferroviari e di mantenimento del corso di alcuni fiumi dalmati non potevano essere prese in considerazione fino a che non fosse risolta la questione territoriale, mentre non aveva possibilità di essere accettata dagli alleati la domanda di privilegi economici in Dalmazia quali prefigurati dal punto secondo della memoria di Salata. La libera circolazione delle merci fra la Dalmazia iugoslava e l’Italia era in sostanza e su un piano generale già sancita degli articoli 12 e 14 del progetto di accordo con la Iugoslavia. Le questioni della pesca e del diritto di cabotaggio, invece, erano in fase di trattazione nella Commis- 50 Ibidem. Ibidem. 52 Ibidem. 53 Minuta di De Martino su appunto di Salata, Clausole economiche per la Dalmazia, 18 luglio 1919, cit. 54 ASMAE, ACP, b. 20, AUGUSTO STRANIERI, Relazione al segretario generale comm. De Martino, 28 luglio 1919. 51 TRA NITTI E D’ANNUNZIO 141 sione delle clausole politiche europee. In sostanza gli esperti giuridici della delegazione non ritenevano opportuno cercare in quel momento specifiche garanzie a tutela degli interessi economici italiani in Dalmazia. Sempre in quei giorni, Stranieri, con la collaborazione di Salata, preparò una relazione sull’ipotesi di inserire clausole politiche a tutela dei dalmati italiani nel trattato per la protezione delle minoranze nello Stato iugoslavo55. Stranieri riferì che, dopo aver studiato il progetto di accordo preparato dalla Commissione dei Nuovi Stati, Salata consigliava di accontentarsi delle clausole generali già ideate. Per quanto grande possa essere il nostro patriottico desiderio di vedere assicurata la maggiore protezione possibile agli italiani stabiliti nei territori dalmati che rimarranno alla Jugoslavia, sarebbe, a suo avviso, un errore, se noi chiedessimo di più, poiché difficilmente potremmo evitare il pericolo di una richiesta di reciprocità da parte degli jugoslavi a favore delle minoranze slave nei territori redenti, ben più numerose e compatte che non le minoranze italiane nello Stato dei Serbi, Croati e Sloveni. È vero che nella Commissione dei Nuovi Stati, dove la questione fu già discussa, fu deciso che le clausole politiche relative alla tutela delle minoranze non erano applicabili alle Grandi Potenze Alleate ed Associate, ma, a prescindere che una tale decisione non è stata ancora convalidata dal Consiglio Supremo, tutto fa prevedere che nel regolamento finale della questione adriatica, non potremmo in niun caso sottrarci alla richiesta della reciprocità, qualora, oltre alle clausole generali (stabilite così per le minoranze in Jugoslavia come per quelle in Polonia, Czeco-Slovacchia, Grecia e Rumania) domandassimo speciali vantaggi e privilegi per le minoranze italiane di Dalmazia56. Salata, quindi, consigliava sostanzialmente di accettare il progetto di trattato preparato dai delegati della Commissione dei Nuovi Stati; uniche modifiche proponibili erano per gli articoli 3 e 7 del futuro trattato: nell’articolo terzo era opportuna la specificazione che la cittadinanza andava fondata sul «droit d’indigénat», al fine di evitare facili esclusioni dal diritto di cittadinanza per molti appartenenti alle minoranze; nel settimo bisognava sancire il libero uso della lingua della minoranza non solo nelle pratiche presso i tribunali ma anche in quelle da svolgersi davanti a qualsiasi autorità amministrativa57. De Martino 55 ASMAE, ACP, b. 84, AUGUSTO STRANIERI, Relazione al segretario generale comm. De Martino. Clausole politiche per la protezione delle minoranze italiane nella Jugo-slavia, 21 luglio 1919. 56 Ibidem. 57 Ibidem. 142 LUCIANO MONZALI e Tittoni decisero di presentare gli emendamenti proposti da Salata alla Commissione dei Nuovi Stati e fecero preparare un progetto a tale riguardo58. Nella seduta del 4 agosto i delegati italiani proposero alla Commissione le due ipotesi di modifica degli articoli 3 e 7. De Martino spiegò agli altri delegati le motivazioni delle richieste italiane: La prima delle due suddette modificazioni è richiesta perché non abbiano a verificarsi discrepanze fra le clausole concernenti la cittadinanza del Trattato con lo Stato Serbo-Croato-Sloveno e quelle analoghe inserite nel Trattato con l’Austria, dove (art. 37), agli effetti della cittadinanza per le persone appartenenti ai territori ex-austro-ungarici trasferiti all’Italia, non è adottato il criterio del domicilio civile, ma il criterio dell’indigenato o domicilio amministrativo. La seconda modificazione viene richiesta, sembrando equo di estendere, in favore delle minoranze, la facoltà di servirsi della propria lingua anche alle pratiche da svolgersi davanti le autorità amministrative, ben più frequenti delle pratiche giudiziarie, tanto più che un tal diritto era riconosciuto alle minoranze italiane in Dalmazia dalla legislazione della cessata Monarchia59. Se la modifica dell’articolo 3 venne accettata senza problemi, quella dell’articolo 7 suscitò critiche da parte delle altre delegazioni. In particolare i delegati britannici rilevarono che le clausole politiche generali circa la protezione delle minoranze dovevano essere sostanzialmente identiche per tutti i nuovi Stati e che quindi la modifica richiesta dall’Italia doveva estendersi a tutti i trattati sulle minoranze: ma ciò non era più possibile perché il trattato della Polonia era già stato firmato. La Commissione, secondo la delegazione britannica, avrebbe potuto accettare la proposta italiana, ma «limitatamente alle città italiane dell’Adriatico»; era poi opportuno che il governo di Roma presentasse spontaneamente una dichiarazione secondo la quale si sarebbe accordata «alle minoranze slave che saranno incorporate all’Italia la facoltà dell’uso della loro lingua sia davanti le autorità giudiziarie che davanti quelle amministrative»60: il che, secondo gli inglesi, avrebbe facilitato l’accettazione da parte degli iugoslavi della futura soluzione del- 58 ASMAE, ACP, b. 113, Modifications à apporter à la redaction du traité pour la protection des minorités dans le Royaume des Serbes, Croates e Slovenes, allegato a Stranieri a De Martino, 26 luglio 1919. 59 ASMAE, ACP, b. 113, [AUGUSTO STRANIERI], Commissione dei Nuovi Stati. Seduta del 4 agosto 1919. 60 Ibidem. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 143 la questione adriatica. Da parte italiana si ricordò che la Commissione aveva già deciso che le clausole per la protezione delle minoranze non si applicassero alle grandi potenze; circa il problema della dichiarazione sulle popolazioni slave annesse all’Italia si preferì rimandare ogni risposta61 e chiedere istruzioni a Tittoni. Ad avviso del ministro degli Esteri, era improponibile ogni ipotesi di obbligo internazionale a carico dell’Italia: al massimo si poteva considerare l’idea di compiere in sede di Commissione una spontanea dichiarazione verbale sulla volontà italiana di rispettare i diritti linguistici e culturali delle popolazioni allogene annesse62. Il 6 agosto Tittoni ritenne d’informare Nitti della questione. Inviò un telegramma in cui riferì della discussione in sede di Commissione dei Nuovi Stati e chiese al presidente del Consiglio. È opportuno oppure no inserire clausole speciali per le minoranze italiane in Dalmazia? In caso affermativo basta la formula dell’uso della lingua propria avanti le autorità giudiziarie ed amministrative oppure sono da richiedersi altre garanzie? Possiamo oppure no consentire a dichiarare in sede di Commissione con menzione a processo verbale la nostra spontanea intenzione di applicare garanzie analoghe agli slavi in Italia63? Proprio il 6 agosto, come abbiamo visto, la delegazione italiana presentò agli alleati un progetto di accordo territoriale adriatico. È interessante notare che fra le domande dell’Italia vi era la richiesta che le minoranze italiane nella Dalmazia iugoslava fossero tutelate «da alcune clausole da inserirsi nel Trattato fra le Grandi Potenze e lo Stato S.H.S.». In particolare la delegazione chiedeva che in tali clausole fossero comprese disposizioni che assicurassero: a) il rispetto dello Stato S.H.S. degli impegni assunti dai precedenti governi di fronte a società e sudditi italiani; b) l’equiparazione dei sudditi italiani, per l’esercizio di qualsiasi mestiere, professione, commercio o industria, ai sudditi della nazione più favorita; c) il pieno diritto da parte dei dalmati italiani di assumere, entro il termine di un anno, dalla firma del Trattato, la nazionalità italiana; d) la validità, nel territorio jugoslavo, di tutti i diplomi rilasciati dalle scuole superiori italiane64. 61 Ibidem. ASMAE, ACP, b. 84 [GIACOMO DE MARTINO], Istruzioni del ministro (presente sen. Scialoja), 5 agosto 1919. 63 ASMAE, ACP, b. 84, Tittoni a Nitti, 6 agosto 1919. 64 Promemoria del governo italiano, 6 agosto 1919, edito in ALATRI, Nitti, D’Annunzio, 62 144 LUCIANO MONZALI In quei giorni, quindi, la delegazione italiana sembrava determinata ad ottenere una protezione internazionale multilaterale per i diritti della minoranza italiana dalmata. Ma questa volontà ebbe breve durata. Il 7 agosto Nitti, dopo aver consultato Salata, rispose al telegramma di Tittoni dichiarando che era da deplorarsi il fatto che la delegazione italiana non avesse sollevato la questione della protezione della minoranza dalmata alcuni mesi prima quando si stavano preparando i trattati con la Polonia e la Cecoslovacchia. Poiché ciò non fu fatto allora forse era meglio non parlarne ora. Il consenso dato alla nostra domanda per quanto riguarda gli italiani di Dalmazia può essere inteso tendenziosamente a dimostrare che nulla Italia deve opporre alla tesi di una Dalmazia jugoslava poiché le giuste garanzie ci sono state già concesse65. A parere di Nitti, però, in caso la questione fosse nuovamente sollevata in sede di Commissione dei Nuovi Stati un rifiuto di fare qualsiasi dichiarazione sulle minoranze slave in Italia avrebbe prodotto una cattiva impressione. Dobbiamo dunque dichiarare in tal caso che se non possiamo né vogliamo ammettere che una dichiarazione scritta sia contenuta nel testo del trattato per quanto riguarda le garanzie da concedersi ai nuovi sudditi italiani di razza slava, noi siamo però ben lieti di dichiarare verbalmente che è [nostra] intenzione di riconoscere ai sudditi italiani di razza slava il diritto di fare uso di lingua slava dinanzi alle nostre autorità giuridiche ed amministrative66. Il 9 agosto De Martino parlò con Headlam-Morley, presidente della Commissione dei Nuovi Stati, e trovò un escamotage per evitare che l’Italia dovesse fare dichiarazioni o prendere impegni sulle popolazioni slave annesse, il che comportò la rinuncia ad ogni protezione internazionale per gli italiani dalmati in Iugoslavia. Nel corso della seduta della Commissione, Headlam-Morley dichiarò che era praticamente impossibile deliberare circa il trattamento delle minoranze italiane che sarebbero rimaste in Iugoslavia «prima di sapere quali saranno tali minoranze, cioè prima che siano fissate le frontiere dello Stato jugoslavo». Tutti i delegati, compresi gli italiani, si associarono alla tesi del cit., p. 507. 65 ASMAE, ACP, b. 84, Nitti a Tittoni, 7 agosto 1919. 66 Ibidem. Si veda anche ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., p. 117. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 145 presidente e la proposta italiana di modifica dell’articolo 7 fu ritirata. Scialoja e De Martino comunicarono a Nitti che in questo modo la questione della protezione degli italiani nella Dalmazia iugoslava era stata risolta nel modo desiderato, «salvo riprenderla in sede politica dell’assestamento territoriale adriatico»67. La ragione della rinuncia ad una protezione internazionale della minoranza italiana dalmata appare molto chiaramente dalla documentazione diplomatica: come ha notato Francesco Caccamo, in seno al governo di Roma prevalse la linea di non rivendicare particolari e specifiche concessioni per la minoranza italiana dalmata, «per non dare modo alla controparte di Belgrado di chiedere misure analoghe per le ben più numerose popolazioni slovene e croate che sarebbero state annesse all’Italia»68. Nel corso di agosto i lavori della Commissione dei Nuovi Stati procedettero speditamente e portarono alla preparazione dei testi per i trattati di garanzia delle minoranze allogene in Iugoslavia e Romania69. I trattati per la protezione delle minoranze etniche, nazionali e religiose viventi in Iugoslavia, Cecoslovacchia e Romania vennero firmati congiuntamente al trattato di pace austriaco a Saint Germain il 10 settembre 1919. Il trattato riguardante le minoranze in Iugoslavia riprendeva nei primi otto articoli le garanzie presenti in tutti gli altri accordi, in primis in quello con la Polonia. Lo Stato iugoslavo s’impegnava ad assicurare piena protezione della vita e della libertà a tutti i suoi abitanti, senza distinzione di nascita, di nazionalità, di lingua, di religione o di razza (articolo 2), nonché il diritto per i sudditi tedeschi, austriaci e ungheresi di scegliere liberamente se rimanere sudditi del Regno SHS o optare per un altro Stato (articoli 3, 4, 5). Importanti erano gli articoli 7 e 8. Con la clausola VII il governo di Belgrado s’impegnava a considerare tutti i sudditi iugoslavi eguali davanti alla legge e in possesso di pari diritti civili e politici, senza distinzione di razza, di religione o di lingua. Le differenze religiose non dovevano impedire l’accesso ai pubblici impieghi o alle varie professioni. Nes67 ASMAE, ACP, b. 84, Scialoja a Nitti, 9 agosto 1919 (la minuta del telegramma è di De Martino). 68 CACCAMO, L’Italia e la “Nuova Europa”, cit., p. 315. 69 Sul ruolo dell’Italia nell’elaborazione di questi trattati: ASMAE, ACP, b. 113, CASTOLDI, Commissione Nuovi Stati e protezione minoranze. Regno dei Serbi-Croati e Sloveni (territori già ottomani), 14 settembre 1919; CACCAMO, L’Italia e la “Nuova Europa”, cit., p. 313 e ss. Riguardo all’atteggiamento iugoslavo verso il trattato sulle minoranze: Zapisnici, p. 180 e ss.; LEDERER, op. cit., 277 e ss. 146 LUCIANO MONZALI suna restrizione doveva essere imposta al libero uso di qualsiasi lingua da parte di ogni suddito iugoslavo nella vita privata, nel commercio, nella religione o nelle pubbliche adunanze; si dovevano poi concedere facilitazioni ai sudditi di nazionalità minoritaria per l’uso della propria lingua davanti ai tribunali. L’articolo 8 sanciva il diritto dei sudditi iugoslavi appartenenti a minoranze etniche, di religione o di lingua, di fondare e gestire a proprie spese opere di beneficienza, di culto e di carattere sociale, scuole e altri istituti di educazione, con la possibilità di usarvi la propria lingua. L’articolo 9 prevedeva che nelle città e nei distretti dove viveva una notevole proporzione di sudditi serbo-croato-sloveni di lingua diversa dalla ufficiale fossero concesse agevolazioni per assicurare ai figli di questi l’istruzione nella loro lingua nelle scuole primarie; in queste città e distretti doveva essere assicurata alle minoranze un’equa partecipazione nel godimento dei fondi pubblici aventi finalità educative, religiose o di beneficienza. Le disposizioni di questo articolo, però, si sarebbero applicate solo ai territori trasferiti alla Serbia o allo Stato serbo-croato-sloveno dopo il 1° gennaio 1913, cioè non sarebbero state applicate in Kosovo e Macedonia70. Nel trattato riguardante le minoranze in Iugoslavia non furono incluse clausole specifiche a protezione degli italiani di Dalmazia. Il governo di Belgrado, contrario ad assumere impegni internazionali riguardo alle popolazioni allogene, rifiutò di firmare il trattato per alcune settimane e vi aderì, dopo dure pressioni alleate, solo il 5 dicembre 1919. Ciò era indicativo della scarsa volontà dello Stato iugoslavo di applicare seriamente e volontariamente il trattato. La stessa esclusione delle popolazioni bulgaro-macedoni e albanesi della Macedonia e del Kosovo dalla possibilità di godere dei diritti previsti dall’articolo 9 era un chiaro segnale dell’ostilità iugoslava e serba verso il principio del pluralismo nazionale e religioso. Non avevano torto gli italiani di Dalmazia ad attendersi dallo Stato iugoslavo una carente applicazione del trattato delle minoranze e uno scarso rispetto dei propri diritti linguistici e culturali71. A partire dall’estate del 1919 il governo di Roma rinunciò all’idea 70 Il testo del trattato per la protezione delle minoranze concluso fra le principali potenze alleate e associate e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni è pubblicato in AMEDEO GIANNINI, Trattati ed accordi per l’Europa danubiana e balcanica, Roma, 1936, p. 358 e ss. 71 Al riguardo: ASMAE, ACP, b. 84, Salata alla delegazione italiana per la pace, 31 ottobre 1919 (trasmette una comunicazione di Millo, s.d.). TRA NITTI E D’ANNUNZIO 147 di tutelare la popolazione italiana nella Dalmazia iugoslava attraverso i trattati per la protezione delle minoranze in Europa orientale. Piuttosto si optò per il metodo bilaterale, cioè si decise di inserire questo tema fra gli argomenti dei negoziati politico-territoriali in corso con Belgrado. Nel novembre 1919 la delegazione italiana propose che il governo iugoslavo assumesse impegni bilaterali verso l’Italia a tutela dei diritti economici, linguistici e culturali degli italiani di Dalmazia72. Lo Stato iugoslavo doveva impegnarsi a non imporre ai cittadini italiani alcuna limitazione ed esclusione discriminatoria riguardo all’esercizio dei loro mestieri, professioni, commerci e industrie. Gli italiani nati o presenti nei territori dell’ex Impero asburgico passati al Regno SHS avrebbero avuto la facoltà di acquisire la cittadinanza italiana entro un anno dall’entrata in vigore di questo accordo. Sia i cittadini italiani residenti in Iugoslavia che quelli iugoslavi di nazionalità italiana avrebbero avuto il diritto a creare, dirigere e controllare a loro spese istituzioni di beneficienza, religiose e sociali, scuole o altri istituti edicativi, con la libertà d’uso della loro lingua. I titoli universitari ottenuti in Italia da italiani del Regno SHS sarebbero stati riconosciuti validi73. Erano impegni che in parte riprendevano il contenuto di alcuni articoli dei trattati delle minoranze; l’obiettivo era di tutelare sia i dalmati italiani che sarebbero rimasti cittadini iugoslavi, sia coloro che avrebbero optato per la cittadinanza del Regno d’Italia. Ma dalla lettura di questi progetti si può notare come l’attenzione del governo di Roma fosse riservata in modo crescente soprattutto alla protezione dei diritti dei dalmati che avrebbero assunto la cittadinanza italiana, relegando in secondo piano gli italiani che avrebbero mantenuto la cittadinanza iugoslava: quasi che la mancata assunzione della cittadinanza del Regno sabaudo significasse una rinuncia alla propria identità nazionale da parte di alcuni dalmati italiani, perciò meno degni d’interesse e di tutela da parte dell’Italia. Era questo un grave errore di valutazione da parte del governo di Roma, che svalutava e non comprendeva le gravi motivazioni sociali ed economiche che potevano consigliare a molti italiani di Dalmazia la preferenza per la cittadinanza iugoslava: una cittadinanza che poteva servire per non esse- 72 Ad esempio il progetto di accordo italo-iugoslavo per la protezione delle minoranze dell’11 novembre 1919: DBFP, I, 4, allegato 3 a d. 121, Clauses économiques et concernant la Protection des Minorités entre l’Italie et le Royaume des Serbes-Croates-Slovenes, 11 novembre 1919. 73 Ibidem. 148 LUCIANO MONZALI re esclusi dalle istituzioni e dalle principali professioni (insegnanti, avvocati, notai, medici) della società dalmata ed essere costretti a divenire cittadini di seconda categoria, viventi in una sorta di ghetto giuridico. Di fatto progressivamente la politica del governo di Roma ostacolò i tentativi dei dalmati italiani di rimanere parte attiva ed integrata della società dalmata, spingendoli piuttosto ad assumere ad ogni costo la cittadinanza italiana. Nell’autunno 1919 le richieste dell’Italia di protezione della minoranza italiana in Dalmazia su un piano bilaterale si scontrarono non solo con l’opposizione iugoslava, ma anche con quella degli Stati Uniti: gli americani erano contrari a privilegi economici riservati ad un solo Stato e ritenevano che le clausole del trattato per le minoranze concluso dalla Iugoslavia fossero sufficienti per la protezione delle comunità italiane74. 2.3. Il movimento dannunziano e la questione dalmatica In un momento di grave crisi politica interna ed internazionale e di crescente indebolimento delle posizioni italiane nelle trattative adriatiche, ebbe luogo la spedizione di volontari guidata da Gabriele D’Annunzio, che il 12 settembre occupò Fiume. Non è nostro obiettivo ricostruire le origini e le vicende della spedizione dannunziana a Fiume75. Bisogna comunque sottolineare che le motivazioni di politi74 DBFP, I, 4, AMERICAN COMMISSION TO NEGOTIATE PEACE, Comment on the Italian Statement of the American Position, 17 novembre 1919, allegato 1 a d. 129. 75 Fra la vasta memorialistica e storiografia esistente sul movimento dannunziano e l’impresa di Fiume ricordiamo: DE FELICE, D’Annunzio politico 1918-1938, cit.; ID., Sindacalismo rivoluzionario e fiumanesimo nel carteggio De Ambris-D’Annunzio (1919-1922), Brescia, 1966; FRANCESCO PERFETTI, Fiumanesimo, sindacalismo e fascismo, Roma, 1988; LUIGI EMILIO LONGO, L’esercito italiano e la questione fiumana (1918-1921), Roma, 1996, due volumi; FERDINANDO GERRA, L’Impresa di Fiume. Nelle parole e nell’azione di Gabriele D’Annunzio, Milano, 1966; GIOVANNI GIURIATI, Con D’Annunzio e Millo in difesa dell’Adriatico, Firenze, 1954; SOLMI, Gabriele D’Annunzio e la genesi dell’impresa adriatica, cit.; PAOLO ALATRI, D’Annunzio, Torino, 1983; ID., Nitti, D’Annunzio, cit.; NINO VALERI, Dalla “Belle Époque” al fascismo. Momenti e personaggi, Bari-Roma, 1975, p. 53 e ss.; ID., D’Annunzio davanti al fascismo, Firenze, 1963; MICHAEL A. LEDEEN, D’Annunzio a Fiume, Bari-Roma, 1975; GIOVANNI HOST-VENTURI, L’impresa fiumana, Roma, 1976; VALLERY, CALBIANI, Zara e la Dalmazia nel pensiero e nell’azione di Gabriele D’Annunzio, cit.; PAOLO VENANZI, Gabriele D’Annunzio tra fiumanesimo e fascismo, Padova, 1979; FABIO ANDRIOLA, Luigi Rizzo, Roma, 2000, p. 138 e ss.; FERDINANDO CORDOVA, Arditi e legionari dannunziani, Venezia, 1969; ANTONELLA ERCOLANI, La fondazione del Fascio di Combattimento a Fiume tra Mussolini e D’Annunzio, Roma, 1996. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 149 ca estera furono cruciali nella sua genesi76. Il rischio che il ritiro di gran parte delle truppe italiane da Fiume e il passaggio ad un’occupazione interalleata pregiudicassero la futura annessione della città all’Italia furono le cause fondamentali che spinsero il poeta abruzzese ad accettare di guidare la spedizione77. Nelle intenzioni dei suoi organizzatori – Giuriati, Foscari, Sinigaglia, D’Annunzio – l’occupazione di Fiume doveva essere solo un primo passo nel più generale disegno di affermare i diritti italiani in tutto l’Adriatico, e, soprattutto, in Dalmazia. Da qui la volontà di reagire platealmente alle possibili intenzioni del governo Nitti-Tittoni di compiere importanti rinunce territoriali. Giuriati e Foscari, esponenti di punta del nazionalismo veneto, credevano ciecamente nel dovere dell’Italia di riconquistare quei territori già appartenuti alla Repubblica di Venezia78. Lo stesso D’Annunzio, come abbiamo visto, fin dagli anni della guerra, si era dimostrato un convinto sostenitore dell’esigenza che l’Italia conquistasse tutta la Dalmazia ed aveva criticato il programma «rinunciatario» previsto dal patto di Londra. È interessante rilevare che D’Annunzio inizialmente aveva pensato ad una spedizione di volontari per occupare non Fiume ma Spalato, città irredenta abitata da migliaia di italiani; fu poi l’evoluzione della situazione a Fiume a convincerlo a mutare obiettivo79. Come ha notato Giovanni Giuriati, nel pensiero di D’Annunzio «la occupazione di Fiume avrebbe dovuto consentire al Governo italiano di accantonare il problema fiumano, puntando decisamente sull’adempimento del patto di Londra», cioè all’annessione della Dalmazia compresa nelle linee armistiziali80. La forte connotazione patriottica, il volere perseguire un grande obiettivo di politica estera, l’affermazione dell’Adriatico quale mare italiano, spiegano le simpatie e i consensi che il movimento dannunziano raccolse in seno alle forze armate, ai partiti e a certi settori del governo italiano. Partico76 Nella storiografia italiana è diffusa l’opinione che la spedizione dannunziana rispondesse a finalità prevalentemente di politica interna, miranti al colpo di Stato e alla creazione di un governo autoritario. Ad esempio: ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit.; ROCCUCCI, Roma capitale del nazionalismo, cit., p. 380 e ss. 77 Al riguardo, ad esempio, la testimonianza di Carlo Rigoli: ACS, Carte Bonomi, b. 4, Relazione del maggiore Carlo Rigoli, s.d., ma estate 1920. 78 Sulla personalità politica di Giuriati: GIURIATI, Con D’Annunzio e Millo, cit.; ID., La parabola di Mussolini nei ricordi di un gerarca, Roma-Bari, 1981; ALESSANDRA STADERINI, Rivendicazioni territoriali e mobilitazione nazionale nei documenti del 1919 di Giovanni Giuriati e Oscar Sinigaglia, «Storia contemporanea», 1983, n. 1, p. 89 e ss. 79 SOLMI, Gabriele D’Annunzio e la genesi dell’impresa adriatica, cit., p. 161 e ss. 80 GIURIATI, Con D’Annunzio e Millo, cit., p. 67. 150 LUCIANO MONZALI larmente forte fu il richiamo di D’Annunzio sugli effettivi della Marina, convinti della necessità che l’Italia annettesse Fiume e la Dalmazia: nel settembre 1919 centinaia di marinai e ufficiali di Marina abbandonarono le proprie unità e disertarono per unirsi alle forze dannunziane81. La spedizione di D’Annunzio ebbe successo e poté durare per molti mesi grazie alla non opposizione dell’esercito e al sostegno materiale, economico e politico che essa ricevette in modo costante dal governo e dalle forze armate italiane presenti in Venezia Giulia e Dalmazia82. L’arrivo di D’Annunzio a Fiume provocò un immediato peggioramento dei rapporti fra Italia e Regno SHS. Il 18 settembre la delegazione serbo-croato-slovena presentò una nota di protesta al segretariato della Conferenza di Parigi, rilevando che l’agitazione creata dagli eventi fiumani minacciava l’ordine e la tranquillità in Dalmazia e in Istria. A tal fine il governo di Belgrado proclamò che le popolazioni serbo-croate di Fiume e Zara reclamavano la protezione della Conferenza della pace contro le azioni di D’Annunzio e dei suoi seguaci, fra i quali vi era pure, a parere iugoslavo, Millo83. La spedizione dannunziana a Fiume, poi, ebbe immediatamente contraccolpi in Dalmazia. Fra gli italiani dalmati, in particolare fra quelli della Dalmazia occupata dall’esercito iugoslavo, risorsero speranze di una futura unione con l’Italia. Sotto la suggestione degli eventi di Fiume un vero e proprio atto militare di stile dannunziano fu organizzato a Traù il 23 settembre. Nino Fanfogna, trentaduenne appartenente ad una delle più importanti famiglie italiane di Traù, convinse alcuni ufficiali italiani di stanza a Prapatnica, al confine fra il territorio dalmata occupato dall’Italia e la regione controllata dagli iugoslavi, ad organizzare una spedizione che occupasse la sua città nativa84. La notte del 23 settembre 81 Al riguardo vi è molto materiale nell’archivio dell’Ufficio storico della Marina militare. Ad esempio: AM, archivio di base, c. 1445, Contrammiraglio Frank al comandante in capo dell’Alto Adriatico Cusani Visconti, 24 settembre 1919; ibidem, Contrammiraglio Nunes, Relazione sui fatti di Fiume, s.d. 82 Sul continuo invio di rifornimenti (benzina, denaro, viveri, armi) dalla Dalmazia occupata a Fiume: FV, ARC GEN FIU, fasc. Enrico Millo, Millo a D’Annunzio, 13 dicembre 1919; ibidem, fasc. Umberto Bucci, Bucci all’Ufficio del capo di gabinetto del Comando di Fiume, 6 maggio 1920. 83 AM, archivio di base, c. 1445, Vesnich a Clemenceau, 18 settembre 1919. 84 Sulla spedizione di Traù vi è una relazione documentata edita dal governo italiano della Dalmazia nel 1920: AM, archivio di base, c. 1765, ATTILIO VIGEVANO (capo dell’Ufficio I.T.O. del governo della Dalmazia e delle Isole Dalmate e Curzolane), L’incursione italiana a Traù, Zara, 1920. Brani di questa relazione editi in LONGO, op. cit., II, p. 141 e ss. Si ve- TRA NITTI E D’ANNUNZIO 151 un centinaio di soldati italiani e il Fanfogna, con quattro autocarri, oltrepassarono i posti di frontiera iugoslavi e, di sorpresa e senza spargimento di sangue, occuparono Traù. Il reparto italiano assunse il comando della città nominando Fanfogna “dittatore”. La spedizione avrebbe potuto provocare lo scoppio di un conflitto militare fra Italia e Regno SHS, ma questa eventualità venne scongiurata dal pronto intervento degli ufficiali italiani della nave Puglia e dei militari americani di stanza a Spalato. Giunta a Spalato nella prima mattinata la notizia dell’occupazione di Traù, alle ore 10 del 23 settembre il capitano di corvetta Paolo Maroni, comandante in seconda della Puglia, e l’ufficiale americano Field partirono per Traù con il compito di persuadere i soldati sconfinati a rientrare nelle linee italiane. Convinti i comandi serbi a non lanciare per il momento nessun attacco, Maroni e Field giunsero a Traù ed iniziarono a negoziare con gli occupanti e Fanfogna il ritiro dalla città. Fanfogna – descritto nei documenti italiani come uomo «incosciente» e privo di ogni capacità politica – «enormemente preoccupato per quello che gli poteva capitare all’allontanarsi degli italiani, insistette perché le truppe italiane non partissero»85, ma poi si lasciò convincere. Nel frattempo a Traù arrivarono alcune navi americane. A quella vista la popolazione croata della città, ripreso animo, cominciò sulla riva e in piazza una violenta dimostrazione contro i nostri soldati, alcuni dei quali vennero anche aggrediti e disarmati. Però fucilate sparate qua e là ebbero per effetto di far presto dileguare la folla e di affrettare lo sbarco della compagnia americana di sbarco che era sul Cowell. Nel momento del trambusto il conte Nino Fanfogna si ritirò in casa, vi si rinchiuse e non si fece più vedere, e solo un vecchio, Achille de Michelis, si avvicinò al comandante Maroni, e, dichiarandosi il più anziano del «Fascio» italiano, dopo aver protestato contro l’incosciente leggerezza del conte Fanfogna, si mise a disposizione del Maroni per facilitargli il compito e per tutto quello che potesse occorrergli dagli italiani di Traù. Frattanto disordinatamente la compagnia italiana coi tenenti de Toni, Manfredi e Mantica evacuava Traù […] e fra le ore 14 e le ore 15 rientrava nelle linee86. dano anche: AM, archivio di base, c. 1421, Il tenente generale Montanari a Millo, 24 settembre 1919; ASMAE, Carte Sforza, b. 6, Millo a Comando supremo, Ufficio del capo di stato maggiore della Marina e Presidenza del Consiglio, 23 settembre 1919; VALLERY, CALBIANI, op. cit., p. 53. 85 VIGEVANO, L’incursione italiana a Traù, cit., p. 6. 86 Ibidem. 152 LUCIANO MONZALI La spedizione di Traù, organizzata e condotta «in maniera da sembrare opera […] di bambini giocanti alla guerra»87, ebbe pesanti ripercussioni sulle comunità italiane di Traù e Spalato. Il governo iugoslavo procedette all’arresto di numerosi esponenti italiani di Traù (Nino, Simeone e Umberto Fanfogna, Vincenzo Santic, Achille Demicheli/de Michelis, Giorgio de Rossignoli, Lorenzo Lubin, Giacomo Vozila/Vosilla, Antonio Strojan, Marino, Michele e Spiridione Marini, ecc.), anche se molti di questi non erano stati coinvolti nel fatto; altri italiani (i figli di Giovanni Lubin, Rados e Nicolò, Giuseppe Zizak, Ildegardo Calebotta, Giuseppe Maric, Antonio Dudan) furono costretti a fuggire nella Dalmazia italiana per evitare l’arresto. Per alcuni giorni, gruppi di teppisti, aizzati dalle autorità governative, si diedero ad atti vandalici contro le abitazioni e le proprietà d’italiani che vivevano a Traù e nella vicina regione dei Castelli/Kas#tela88. La conseguenza della spedizione, quindi, fu la distruzione politica del Fascio Nazionale Italiano di Traù e un deciso peggioramento delle condizioni di vita degli italiani locali. Anche nella vicina Spalato, dove negli ultimi mesi la situazione sembrava essersi rasserenata, la spedizione di Traù ebbe dure conseguenze, con la ripresa delle violenze e di atti teppistici contro gli italiani locali. A Spalato – riferì il Fascio Nazionale Italiano di Spalato – subito alla prima notizia che soldati italiani erano penetrati a Traù, una folla di dimostranti percorse le vie cittadine con grida di vituperio all’Italia e di morte agli Italiani. Venne invaso il Caffè del nostro connazionale sig. Giulio Nani alla marina, mandandosi in frantumi tutti i vetri, specchi ed ogni altro arredamento […]. Vennero gittati sassi contro il Gabinetto di Lettura, infrangendosi alcune vetrate. Vennero del pari rotti i lastroni del negozio del barbiere Cirillo Devich in Piazza dei Signori. Vennero aggredite e vilipese alcune persone ed in particolare signore e signorine. Vennero aggrediti, percossi ed indi arrestati i nostri connazionali Petricich, Ozretich e Rosandich. Venne pure aggredito il nostro consenziente Umberto Dalmas da sette soldati serbi. Durante la notte poi vennero prese a sassate le finestre del nostro connazionale Costantino Cuznanich infrangendosi parecchie vetrate89. 87 Ivi, p. 23. Ivi, p. 22; AM, archivio di base, c. 1421, Il Fascio Nazionale Italiano di Spalato a Menini, 24 settembre 1919, allegato a Menini a Millo, 24 settembre 1919; ASMAE, ACP, b. 21, TOMMASO GULLI, Riassunto delle pratiche fatte dal 19 ottobre in poi per sospensione procedimento penale militare contro gli arrestati di Traù, s.d. (ma novembre 1919), allegato a: Millo al ministro degli Affari Esteri, 24 novembre 1919. 89 Il Fascio Nazionale Italiano di Spalato a Menini, 24 settembre 1919, cit. 88 TRA NITTI E D’ANNUNZIO 153 Questi eventi piuttosto drammatici spiegano perché il movimento dannunziano fosse visto in modo contradditorio da molti dalmati italiani. Tutti apprezzavano lo spirito irredentista e la passione dalmatica di D’Annunzio e dei suoi seguaci, ma alcuni dalmati temevano gli effetti negativi che eventuali iniziative simili alla spedizione di Traù potevano avere sulle concrete condizioni di vita dell’elemento italiano. L’occupazione di Fiume, poi, poteva portare ad un peggioramento delle relazioni fra l’Italia e gli alleati, con gravi ripercussioni sui negoziati adriatici. Fra i capi liberali-nazionali zaratini, Ziliotto, Krekich e Ghiglianovich, e D’Annunzio e i suoi seguaci, vi erano profonde differenze culturali ed ideologiche: il carattere anti-borghese e populista del dannunzianesimo era abbastanza lontano dalla cultura liberale ed elitaria della tradizione politica dalmata. I liberali zaratini ritenevano che le sorti della minoranza italiana fossero ineluttabilmente legate alle direttive del governo di Roma: certe tendenze antigovernative e ribellistiche dei dannunziani inquietavano non poco Ziliotto e Ghiglianovich, che invece erano favorevoli alla collaborazione fra i volontari fiumani e lo Stato italiano. Questo brano di una lettera di Ghiglianovich del 14 settembre 1919 esprime bene la contradditorietà dell’atteggiamento dei liberali dalmati verso D’Annunzio. La gesta di D’Annunzio – secondo il politico zaratino – è di una bellezza patriottica ed estetica incomparabile. Essa varrà certamente a scuotere l’opinione pubblica italiana dal letargo in cui la gettò la politica dell’attuale ministero; ma praticamente non avrà nessun risultato. Detti atteggiamenti pongono il Ministero e la Delegazione in una gravissima situazione di imbarazzo di fronte agli alleati, ed anche nei riguardi interni. La partecipazione all’impresa di reparti dell’esercito mobilitato (volontari del Regno ce ne sono pochissimi) dimostra che nel meccanismo dell’esercito manca ormai qualche ruota funzionante. E ciò, statalmente parlando, è grave. […] Non mi pare che per il fatto del gesto dannunziano sia presumibile la capitolazione degli Alleati e molto meno di Wilson nella questione di Fiume90. Fra i gruppi più estremisti dei dalmati italiani, popolari fra i giovani, spesso critici verso il moderatismo e il conservatorismo della vecchia guardia liberale autonomista, invece, sorse un grande ed incondizionato entusiasmo per D’Annunzio. Pochi giorni dopo l’occupazione di Fiume, un gruppo di giovani dalmati, guidati da Enrico de 90 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 14 settembre 1919. 154 LUCIANO MONZALI Schönfeld e Giuseppe Donati, si recò nel capoluogo del Quarnero per chiedere al poeta abruzzese di organizzare una spedizione in Dalmazia91. La spedizione di D’Annunzio a Fiume nel settembre 1919, di fatto, fu il momento di nascita e di primo sviluppo di gruppi politici dannunziani e nazionalisti italiani in Dalmazia, critici e in contrapposizione con il vecchio establishment che aveva guidato il partito autonomo-italiano prima della guerra. All’interno di questi gruppi cominciarono a distinguersi Maurizio Mandel, Enrico de Schönfeld, Egidio Rovaro Brizzi, alcuni dei quali, poi, sarebbero divenuti i capi del nazionalismo e del fascismo zaratino. Sotto la pressione di una base politica in preda a tendenze massimalistiche, che sognava future spedizioni dannunziane per occupare Spalato o Traù, e di fronte alla drammatica prospettiva di un possibile ritiro da Zara delle truppe italiane in caso di accordo territoriale a Parigi, Ziliotto e Krekich decisero d’instaurare un rapporto di collaborazione con il movimento dannunziano al fine di cercare di usarlo a proprio vantaggio. Nella seconda metà di settembre Ziliotto stabilì che una delegazione dalmata si recasse a Fiume per parlare con D’Annunzio, chiarire le sue intenzioni e cercare di dare un indirizzo politicamente utile alle sue eventuali iniziative. Il calcolo politico che stava dietro questa iniziativa era così espresso da Ghiglianovich: Io considero inattuabile una spedizione in Dalmazia, pericolosa per l’Italia nei rapporti internazionali; ma se D’A[nnunzio] la vuole non possiamo noi impedirgliela: dobbiamo soltanto avvertirlo in forma abile della situazione che troverebbe. […] Se consento alla missione è soltanto perché sono sicuro che D’Annunzio, che ha già tanti grattacapi per Fiume, non farà nulla; e perché così i nostri non potranno rimproverarsi o rimproverarci di non aver parlato con D’A[nnunzio]. Se D’A[nnunzio] vorrà poi fare, la responsabilità diretta e principale sarà sua92. Su questa missione dalmata a Fiume esistono poche fonti disponibili. Sappiamo che fu composta da cinque persone, fra i quali probabilmente vi furono il giornalista zaratino de «L’Idea Nazionale», Silvio Delich, l’avvocato Miagostovich in rappresentanza degli italiani di Sebenico, e Pervan, uno dei capi del Fascio Nazionale Italiano di 91 ILDEBRANDO TACCONI, L’impresa dannunziana in Dalmazia, «La Rivista Dalmatica», 1938, n. 2, p. 38 (edito anche in ID., Per la Dalmazia, cit., p. 466 e ss.). 92 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, s.d. (ma settembre 1919). TRA NITTI E D’ANNUNZIO 155 Spalato93. Fu verosimilmente lo stesso Delich a pubblicare, anonimo, un breve resoconto del colloquio dei rappresentanti dalmati con D’Annunzio e il messaggio del poeta rivolto ai dalmati italiani. Il poeta dichiarò di avere a cuore la sorte dei dalmati italiani. Grande era il suo rammarico per non avere avuto a disposizione, al momento dell’occupazione di Fiume, forze sufficienti per «propagare l’incendio in quel medesimo giorno fino a Spalato nostra, e più oltre ancora fino alle Bocche di Cattaro, fino a quell’antica Perasto che custodisce la speranza e il gonfalone. La passione di Dalmazia non travagliò mai così addentro il mio petto come durante la mia marcia verso Fiume»94. D’Annunzio invitò alla fiducia e alla speranza in un intervento liberatore. Fratelli di Dalmazia, non vi abbiamo dimenticati, non possiamo dimenticarvi. […] Confidate in me servitore primo e perdutissimo della causa vostra, o fratelli dalmati. Confidate nell’esercito fraterno della vittoria. Le sorti dell’Adriatico non possono essere decise se non dagli italiani. Ogni altra gente è intrusa, e noi non lasceremo che prevalga95. Da un accenno contenuto in una lettera di Ghiglianovich96 sappiamo che nel corso di ottobre i contatti fra i capi italiani di Zara e D’Annunzio continuarono: verosimilmente Ziliotto, preoccupato dall’eventualità di un improvviso ritiro dell’esercito italiano dalla Dalmazia e da Zara, ottenne la promessa di un intervento di volontari dannunziani nella capitale dalmata in caso di partenza dell’esercito regolare e di minaccia di consegna della città alla Iugoslavia97. Sempre in ottobre, al fine di dare un’organizzazione militare ai dalmati affluiti a Fiume, D’Annunzio fondò la legione dei volontari dalmati, anche denominata Legione dalmata, inserita all’interno delle forze militari dannunziane presenti nel capoluogo del Quarnero. La possibilità di una spedizione dannunziana in Dalmazia creò preoccupazione nel governo italiano. L’eventualità di una tale iniziativa si evinceva anche dal 93 Ibidem. «L’Idea Nazionale», 25 settembre 1919, D’Annunzio ai fratelli di Dalmazia. 95 Ibidem. Circa questo messaggio di D’Annunzio: VALLERY, CALBIANI, Zara e la Dalmazia, cit., pp. 50-51. 96 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, brano di una lettera di Ghiglianovich a Barbieri, senza data (ma fine ottobre 1919). 97 Si veda anche il messaggio che D’Annunzio inviò a Ziliotto il 16 ottobre 1919, edito in TACCONI, L’impresa dannunziana in Dalmazia, cit., p. 34. 94 156 LUCIANO MONZALI fatto che a partire dalla fine di settembre, in seguito al discorso di Tittoni alla Camera dei Deputati il 27 dello stesso mese e all’intensificarsi dei negoziati adriatici alla Conferenza di Parigi, si diffusero voci sempre più insistenti di un prossimo accordo territoriale italo-iugoslavo e di un futuro sgombero dalla Dalmazia: di fronte ad un tale evento i dannunziani minacciarono una spedizione che avrebbe occupato parte della Dalmazia per scongiurare l’arrivo delle truppe iugoslave. In effetti Nitti e Tittoni contavano fortemente sul raggiungimento di un accordo adriatico per ottenere un successo di prestigio entro la fine dell’anno. In caso di accordo territoriale bisognava essere pronti ad evacuare gran parte della Dalmazia: è quanto, il 16 ottobre, fiducioso in un prossimo accordo a Parigi, Nitti comunicò a Millo. Il presidente del Consiglio chiese a Millo di rassicurare gli ambienti dalmati che il governo avrebbe garantito la massima protezione agli italiani appartenenti ai territori che sarebbero stati evacuati: oltre alla tutela in campo nazionale, economico e professionale che le clausole del futuro trattato avrebbero assicurato ai nostri connazionali, «ogni facilitazione sarà dal Governo accordata a quelli che specie se compromessi politicamente vorranno trasferire proprio domicilio entro confini vecchi e nuovi Regno»98. Millo era ostile ad ogni ritiro affrettato dalla Dalmazia, ritenendo che, protraendo l’occupazione, la posizione italiana si sarebbe rafforzata politicamente a causa dell’aggravarsi del conflitto nazionale croato-serbo nello Stato iugoslavo. Le rivolte anti-governative scoppiate in Bosnia e nella Dalmazia centro-meridionale a partire dal maggio 1919 a causa del malgoverno serbo e del rifiuto di molti croati di prestare il servizio militare obbligatorio in Macedonia e in Kosovo99, erano indubbiamente segnali di forte malcontento in Iugoslavia. Molti dalmati croati e cattolici sia nella Dalmazia occupata che in quella iugoslava, a parere del governatore, cominciavano a preferire di essere parte di uno Stato libero dalmatico o annessi all’Italia piuttosto che finire sotto il dominio serbo100. L’ostilità ad ogni abbandono e ritiro affrettato dalla Dalmazia spiega98 AM, archivio di base, c. 1445, Nitti a Millo, 16 ottobre 1919, riprodotto in Millo a Nitti, 20 ottobre 1919: questo documento è stato pubblicato in DI GIAMBERARDINO, op. cit., pp. 134-137. 99 AM, archivio di base, c. 1765, Millo a Ufficio del capo di stato maggiore della Marina, 10 maggio 1919. 100 ASMAE, Carte Sforza, b. 6, Millo a Gabinetto del ministro della Marina, 15 settembre 1919; AM, archivio di base, c. 1765, Millo al Gabinetto del ministro della Marina, 28 dicembre 1919. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 157 va il sostegno economico e finanziario che Millo forniva a D’Annunzio a Fiume. A Nitti, che gli chiese di preparare il futuro ritiro italiano dalla Dalmazia destinata agli iugoslavi, il governatore rispose indicando numerose difficoltà che, a suo avviso, rischiavano di rendere assai ardua ogni affrettata evacuazione. Se nella parte interna del territorio dalmata lo sgombero avrebbe potuto essere realizzato in modo disciplinato, diverso era il caso sulla costa. Avvicinandosi alla costa, e più particolarmente a Sebenico, le probabilità di uno sgombero ordinato e calmo diminuiscono sensibilmente, perché la popolazione italiana di tale porto si attacca fino d’ora disperatamente ai nostri soldati e marinai per non essere abbandonati. Non parlo di Zara perché se, per disgraziati eventi, l’ordine di sgombero dovesse comprendere anche Zara prevedo sangue, atti di disperazione e distruzione, i quali atti non escludo, però, possano avvenire anche a Sebenico dove, so, si parla da tempo di far saltare, alla nostra partenza, per opera dei nostri connazionali stessi, i maggiori edifizii italiani perché non siano invasi o contaminati dagli Jugoslavi; o meglio dai Serbi qui odiati e chiamati «le capre»101. Vi era, poi, il rischio che, in caso di sgombero italiano, arrivassero gruppi di volontari fiumani in Dalmazia. A parte le complicazioni internazionali cui la spedizione di tale genere darebbe luogo, essa avrebbe certamente molto eco nell’animo delle nostre forze regolari di terra e di mare sgomberanti; sicché, in tale eventualità, le mie previsioni divengono cattive; e sento che allora la disciplina ed il dominio dei dipendenti ci sfuggirebbe con grave, incommensurabile danno della compagine già così provata dalle notizie di Fiume102. Di fronte a tali prospettive, a parere di Millo la cosa migliore da fare era «di soprassedere subito allo sgombero, rimandandolo ad altro tempo»103. Il dissenso di Millo, il cui parere rifletteva le opinioni di molti ufficiali della Marina italiana, con il governo di Roma era talmente lampante ed evidente da provocare in Nitti una forte irritazione. Il 24 ottobre il presidente del Consiglio inviò a Millo un telegramma nel quale lo accusò velatamente di ostacolare l’azione del governo e di su101 Millo a Nitti, 20 ottobre 1919, cit. Ibidem. 103 Ibidem. 102 158 LUCIANO MONZALI scitare complicazioni che rendevano difficile la difesa degli interessi nazionali. A questo telegramma il governatore rispose chiedendo di essere richiamato dalla Dalmazia, domanda che fu rifiutata dal governo104. Per cercare di superare lo scontro politico fra lui e il governo, alla fine di ottobre Millo inviò a Roma un suo stretto collaboratore, il capitano di vascello Umberto Bucci, suo capo di stato maggiore a Zara, al fine di conferire con il presidente del Consiglio. Il 30 ottobre Bucci telegrafò a Millo di aver parlato con Nitti e di aver convinto il governo della bontà delle tesi del governatorato circa l’esigenza di ritardare il ritiro dalla Dalmazia. Sgombero meno Zara sarà effettuato solo quando questione Fiume sarà completamente risolta105. Che il governo avesse concesso una certa libertà d’azione a Millo nei contatti con D’Annunzio, lasciandolo proseguire nella sua politica di collaborazione con i volontari fiumani, traspare chiaramente dal biglietto del ministro della Marina, Sechi, che Bucci portò al governatore della Dalmazia il 4 novembre. Il biglietto confermava confidenzialmente che «il R. Governo trova opportuna l’idea di inquadrare la gente (volontari o regolari) che eventualmente sbarcasse sulle coste dalmate nei limiti della nostra occupazione; e lascia a S.E. il Governatore di provvedere al riguardo come meglio giudicherà»106. Gli stretti rapporti fra il governatorato della Dalmazia e D’Annunzio furono dimostrati dalla visita che uno dei consiglieri politici del poeta abruzzese, il nazionalista veneto Giovanni Giuriati, compì a Zara a fine ottobre. Il 29 ottobre Giuriati giunse a Zara. Compito di Giuriati era appurare se fosse vero che il governo di Roma si apprestava ad abbandonare la Dalmazia occupata e conoscere quale sarebbe stato in tal caso l’atteggiamento di Millo, delle truppe e dei dalmati italiani107. Millo smentì la veridicità delle notizie su prossime operazioni di sgombero e ribadì che egli stava cercando di convincere il governo della necessità di rimanere in Dalmazia. Il governatore dichiarò di essere convinto che preservando i territori occupati alla fi- 104 La corrispondenza fra Millo e Nitti relativa a questo scontro è pubblicata in DI GIAMBERARDINO, op. cit., pp. 138-139. 105 AM, archivio di base, c. 1765, Bucci a Millo, 30 ottobre 1919. 106 Il testo del messaggio di Sechi è edito in DI GIAMBERARDINO, op. cit., p. 140. 107 GIURIATI, Con D’Annunzio e Millo, cit., pp. 69-70. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 159 ne l’Italia avrebbe prevalso sul Regno SHS, entità politica fragile e debole. Se non commetteremo debolezze, la Jugoslavia sarà costretta a cedere. La Jugoslavia è una costruzione politica sbagliata: è un castello di carte. Se noi sapremo soffiare, crollerà108. In caso di futuro sgombero della Dalmazia occupata Giuriati e Millo concordarono sull’opportunità di organizzare una spedizione di volontari dannunziani per occupare Sebenico ed impedire l’arrivo delle truppe serbe. Il governatore promise di avvertire segretamente i volontari dannunziani nell’eventualità che il governo decidesse il ritiro delle truppe in modo da consentire a D’Annunzio di organizzare la propria spedizione in tutta calma109. Nonostante le rassicurazioni di Millo, negli ambienti dannunziani continuarono a circolare voci circa un prossimo ritiro delle truppe italiane. Irritato dalle tergiversazioni del governo (in continuo contatto con i volontari fiumani ma non desideroso, come richiesto dai dannunziani, di sfidare apertamente gli alleati procedendo all’annessione di Fiume e della Dalmazia occupata)110, D’Annunzio decise che era necessario organizzare una spedizione in Dalmazia. Secondo il poeta, un’azione immediata «ormai si imponeva, senza di che la occupazione di Fiume, lungi dal costituire un incitamento per il Governo, sarebbe diventata per il Governo una comoda giustificazione della rinuncia alla Dalmazia. Bisognava perciò dimostrare che Fiume e la Dalmazia costituivano per noi i due aspetti di un unico problema»111. D’Annunzio stabilì di recarsi a Zara. Partito a bordo della nave Nullo alla mezzanotte del 13 novembre, il poeta e 800 suoi seguaci giunsero a Zara il 14, accolti dalle acclamazioni della popolazione zaratina112. L’andamento tranquillo ed ami- 108 GIURIATI, Con D’Annunzio e Millo, cit., p. 70. GIURIATI, Con D’Annunzio e Millo, cit., pp. 71-72. Il resoconto del colloquio con Giuriati che Millo, tacendo su certi argomenti discussi, inviò al Ministero della Marina è stato pubblicato in DI GIAMBERARDINO, op. cit., pp. 141-143. 110 Sui contatti fra alcuni esponenti del governo italiano e i collaboratori di D’Annunzio: FV, ARC GEN FIU, fasc. Giovanni Giuriati, Giuriati a D’Annunzio, 23 e 24 novembre 1919; ivi, fasc. Giovanni Host Venturi, Host Venturi a D’Annunzio, 15 giugno 1920; MASSIMO BUCARELLI, «Delenda Jugoslavia». D’Annunzio, Sforza e gli “intrighi balcanici” del ’19-20, «Nuova Storia Contemporanea», 2002, n. 6, pp. 19-34; FRANCESCO CACCAMO, Il sostegno italiano all’indipendentismo croato 1918-1920, «Nuova Storia Contemporanea», 2004, n. 6, pp. 23-56. 111 GIURIATI, Con D’Annunzio e Millo, cit., pp. 74-75. 112 Per una descrizione della spedizione di Zara: GIURIATI, Con D’Annunzio e Millo, cit., 109 160 LUCIANO MONZALI chevole dei colloqui fra Millo e D’Annunzio confermò la sostanziale concordia di obiettivi fra i due. In una comunicazione al ministro della Marina e al presidente del Consiglio, così il governatore riferì il contenuto delle sue conversazioni con il poeta: D’Annunzio mi disse che la situazione politica, mutatasi negli ultimi giorni, gli aveva imposto di venire in Dalmazia coi suoi volontari per affermare il diritto d’Italia su questa terra e mi chiedeva di sbarcare subito le sue truppe. Gli esposi la situazione in Dalmazia ed egli mi assicurò del mantenimento dell’ordine. Gli chiesi se le sue truppe erano disposte a mettersi alla completa mia dipendenza in Dalmazia ed egli mi rispose di sì alla condizione che io garantissi che non sarebbe in alcun modo avvenuto lo sgombero del territorio ed isole del trattato di Londra. Ho ben ponderato la mia risposta tenendo presente la situazione sotto i suoi aspetti e l’ho assicurato colla mia parola d’onore che la Dalmazia occupata non sarebbe stata sgomberata. Ho con ciò interpretato tutto il mio sentimento di soldato e marinaio d’Italia: se per mia disgrazia non lo avessi fatto, oggi la Dalmazia affidata al mio governo sarebbe in fiamme, mentre l’ordine vi regna completo113. Millo prese accordi con D’Annunzio per l’organizzazione delle truppe (una compagnia di arditi, una di bersaglieri, una di fanti) che il poeta intendeva lasciare a Zara ed ottenne la promessa che i legionari non avrebbero intrapreso azioni dimostrative contro Spalato. D’Annunzio e Millo arringarono insieme la folla riunitasi in piazza, e lo stato d’animo d’entusiasmo diffuso fra i militari e la popolazione convinsero definitivamente il governatore che il giuramento circa il futuro della Dalmazia era stato una «impellente necessità»114. La mattina del 15 novembre D’Annunzio partì per Fiume lasciando a Zara un reparto di legionari dannunziani quale segno della volontà di mantenere ad ogni costo il controllo della Dalmazia. Nelle settimane successive vennero create anche delle milizie volontarie dalmate di tendenza dannunziana115. Nitti reagì con grande irritazione alla notizia p. 75 e ss.; VALLERY, CALBIANI, op. cit., p. 56 e ss.; GERMANO PALCICH PAOLI, Lo sbarco di D’Annunzio a Zara (14 novembre 1919) in un rapporto “riservatissimo” dell’Amm. Millo, «La Rivista Dalmatica», 1982, n. 1, p. 7 e ss.; DI GIAMBERARDINO, op. cit., p. 144 e ss.; TACCONI, L’impresa dannunziana in Dalmazia, cit. 113 AM, archivio di base, c. 1445, Millo a presidenza del Consiglio, Gabinetto e Stato maggiore della Marina, Comando supremo, 15 novembre 1919. Questo documento è riprodotto in DI GIAMBERARDINO, op. cit., pp. 146-151. 114 Ibidem. 115 GIURIATI, Con D’Annunzio e Millo, cit., p. 81 e ss. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 161 della spedizione dannunziana a Zara, avvenuta alla vigilia delle elezioni politiche nazionali. Il presidente del Consigliò si lamentò con Millo per le dichiarazioni circa il futuro assetto politico della Dalmazia fatte senza alcuna autorizzazione. Nel corso dei negoziati a Parigi il governo era stato costretto a rinunciare al possesso della Dalmazia (eccetto Zara e alcune isole) per avere il sostegno di Francia e Gran Bretagna. Pertanto V. E. impegnandosi a non sgomberare la Dalmazia del patto di Londra ha preso un impegno che nessun Governo italiano sarà in grado di mantenere se non mettendosi in aperto contrasto cogli alleati. Sollevare in questo momento la questione della Dalmazia non può avere altre conseguenze che quelle di rendere poco amichevoli Francia ed Inghilterra nel momento in cui ci stanno appoggiando e dare nuovo motivo agli Stati Uniti per persistere nel rifiuto alle nostre domande per Fiume […]116. Ma, al di là della ramanzina, Nitti non prese alcun provvedimento contro Millo. Di fatto la strategia del dialogo e della collaborazione segreta con D’Annunzio e i suoi uomini perseguita dal governatore della Dalmazia era accettata dalle alte autorità militari e politiche dello Stato, da Badoglio a Tittoni e Sforza117, e Nitti non aveva la forza necessaria per contrastarla efficacemente poiché essa rispondeva ad alcune reali esigenze della politica italiana: conservare il controllo di Fiume e di parte della Dalmazia fino alla conclusione di un accordo territoriale soddisfacente ed evitare lo scoppio di una guerra civile fra dannunziani e forze leali al governo italiano. La spedizione dannunziana a Zara creò entusiasmo, agitazione e fibrillazione fra gli italiani di Dalmazia. Ercolano Salvi esaltò l’atto di D’Annunzio ritenendolo fondamentale per la redenzione della Dalmazia. Ella ha deluso i mercanti, – scrisse il politico spalatino a D’Annunzio il 16 novembre – […] ha reso vana la capitolazione che ci avrebbe sagrificato per sempre. Comandante, Ella ha salva la mia povera patria dal periglio esterno, e nell’attimo estremo118. 116 AM, archivio di base, c. 1445, Nitti a Millo, 15 novembre 1919, riprodotto in ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., pp. 314-315. 117 BUCARELLI, «Delenda Jugoslavia». D’Annunzio, Sforza e gli “intrighi balcanici” del ‘19-20, cit., pp. 19-34; CACCAMO, Il sostegno italiano all’indipendentismo croato 1918-1920, cit., pp. 23-56. 118 FV, ARC GEN FIU, fasc. Ercolano Salvi, Salvi a D’Annunzio, 16 novembre 1919. 162 LUCIANO MONZALI Fra la fine di novembre e l’inizio di dicembre i capi italiani di Sebenico, Pini, Miagostovich, Cace, temendo una prossima ritirata dell’esercito italiano da Sebenico in caso di accordo territoriale a Parigi, pensarono di chiedere l’intervento di D’Annunzio. Il 27 novembre 1919 Pini e Cace inviarono a nome degli italiani di Sebenico un appello al Comandante con l’invito a «venire assieme a’ suoi volontari nella città di Tommaseo»119. Proprio in quei giorni alcuni rappresentanti italiani di Sebenico, capitanati dall’avvocato Miagostovich, si recarono a Fiume: loro obiettivo era convincere D’Annunzio a compiere una nuova spedizione in Dalmazia, questa volta mirante all’occupazione permanente di Sebenico o di Spalato120. Il 29 novembre Miagostovich presentò un memoriale sulla questione. Secondo l’avvocato sebenzano, molte erano le ragioni politiche e militari che consigliavano una spedizione dei legionari fiumani a Sebenico: Politiche, per rinfrancare la fede dei deboli senza colpa, per togliere agli avversari ogni speranza di vittoria; per dare forma visibile a quel fatto compiuto che, pur compreso dagli intelligenti avversari, si mentisce al popolo semplice, in massima parte pur tanto desideroso di avvicinarsi a noi; per togliere così ai nemici l’arma più potente, quella delle minacciate rappresaglie nel giorno del temuto abbandono; ché, tale arme togliendo, può ben sperarsi di avere un quasi unanime consentimento della popolazione. […] Ragioni militari, perché verrebbe sanato un ambiente in parte corrotto, ridata forza agli uomini di fede rinfocolandone il già ardente entusiasmo e perché al fante semplice e buono si presenterebbero chiari la visione ed il significato del grande avvenimento, con malvagia oggi sottaciuto o, peggio ancora, mentito e svalutato121. Millo fu ostile e critico verso le iniziative di Miagostovich, in quanto consapevole dei rischi che una spedizione dannunziana provocasse un conflitto armato con l’esercito iugoslavo. Il 26 novembre il governatore scrisse a D’Annunzio per convincerlo a non prendere nessuna iniziativa: «Noi abbiamo buone speranze di riuscita se rimaniamo dove siamo. Oggi ci conviene assolutamente non accada nulla»122. Millo 119 FV, ARC GEN FIU, fasc. Italiani di Sebenico, Luigi Pini, Doimo Cace, Ester Lorenzini, Vince Lobasso a D’Annunzio, 27 novembre 1919. 120 FV, ARC GEN FIU, fasc. Giovanni Miagostovich, Miagostovich a D’Annunzio, 3 dicembre 1919; DI GIAMBERARDINO, op. cit., p. 233. 121 FV, ARC GEN FIU, fasc. Miagostovich, Miagostovich a D’Annunzio, 29 novembre 1919. 122 Millo a D’Annunzio, 26 novembre 1919, pubblicato in DI GIAMBERARDINO, op. cit., p. 233. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 163 sapeva che Miagostovich era venuto a Fiume per ottenere che le truppe dannunziane andassero a Sebenico, ma l’avvocato sebenzano, a parere del governatore, non si rendeva conto «della situazione generale e non pensa che a se stesso. Del mio pensiero sono anche i migliori Dalmati che sono a Roma»123. Il giorno successivo, in un’altra lettera, Millo rincarò la dose contro Miagostovich, «preso da desiderio di emergere e di fare a modo suo, contro il parere di chi, come me, vede la questione non sotto l’aspetto di Sebenico solo, ma di tutta la Dalmazia»124. Fare una spedizione a Sebenico era cosa alquanto pericolosa che Millo sconsigliava amichevolmente a D’Annunzio. A Sebenico sono sempre arcigni assai gli slavi, ma è caratteristica della città; perciò ti pregherei di non prendere impegni precisi per tale località nei riguardi di una tua visita125. Di fatto, D’Annunzio seguì i consigli di Millo e per vari mesi non organizzò più alcuna spedizione per la Dalmazia. La ragione per cui il governatore sconsigliò nuove spedizioni in Dalmazia era la consapevolezza dei rischi che l’arrivo di D’Annunzio comportava, ovvero un conflitto armato con parte delle popolazioni locali o con le forze armate serbe, il che avrebbe potuto provocare una vera e propria guerra. In effetti nell’autunno 1919, a causa delle spedizioni a Fiume, Traù e Zara, i rapporti italo-iugoslavi avevano raggiunto livelli di altissima tensione, che lasciavano presagire la possibilità di una guerra. Che tale eventualità non fosse remota lo testimonia il fatto che il Comando supremo italiano cominciò a preparare piani militari di difesa in caso di conflitto con il Regno SHS126. In una comunicazione del 2 ottobre il Comando supremo notò che l’azione di D’Annunzio a Fiume e l’incidente di Traù rendevano necessario pensare all’eventualità di un conflitto bellico contro lo Stato iugoslavo. Il governo italiano non aveva velleità offensive: «Ogni azione nostra è subordinata a palese, sicura, decisa offesa che contro le nostre truppe sia effettuata da reparti S.H.S.»127. In caso di guerra il fronte offensivo principale sarebbe sta123 Ibidem. Millo a D’Annunzio, 27 novembre 1919, pubblicato in DI GIAMBERARDINO, op. cit., pp. 233-234. 125 Ibidem. 126 Al riguardo: LONGO, op. cit., I, p. 382 e ss. 127 AM, archivio di base, c. 1415, Diaz al capo di stato maggiore della Marina, 2 ottobre 1919. 124 164 LUCIANO MONZALI to quello giuliano, con l’obiettivo di colpire i principali centri strategici e ferroviari in Croazia (Ogulin, Zagabria, Karlovac e Varaz#din). In Dalmazia, a causa della vastità del territorio occupato e dell’esiguità delle truppe colà presenti, bisognava tenere un contegno difensivo. Ove le forze nemiche siano sovverchianti le nostre truppe dovranno essere ripiegate in successive posizioni difensive sino a ridursi all’ultimo alla difesa di Sebenico e di Zara, costituendo teste d’imbarco che possano permettere il carico delle truppe sulle navi anche sotto il tiro del nemico128. Millo cominciò a preparare piani per la difesa della Dalmazia occupata, tutti impostati, in caso di attacco iugoslavo, sull’idea di un’eventuale ritirata verso le due teste d’imbarco di Zara e Sebenico. Da questi piani sappiamo che alla metà di ottobre l’esercito italiano aveva in Dalmazia 650 ufficiali e 16.000 soldati129. 2.4. Tommaso Tittoni, i dalmati italiani e i negoziati adriatici nell’autunno 1919 Sotto la pressione di un’opinione pubblica sempre più impaziente, alla ricerca di un successo diplomatico da poter usare sul piano interno in previsione delle elezioni parlamentari di metà novembre, nel corso dell’autunno il governo Nitti s’impegnò strenuamente per giungere alla chiusura del contenzioso adriatico. Tittoni puntò a trovare un’intesa diretta con gli Stati Uniti, cercando di sfruttare l’occupazione di Fiume da parte di D’Annunzio e i suoi seguaci, avvenuta il 12 settembre: l’idea era di chiedere la separazione di Fiume dal resto del futuro Stato autonomo, e di garantire alla città la contiguità territoriale con l’Italia130. Il 27 settembre Tittoni fece un lungo discorso alla Camera nel quale espose la situazione dei negoziati sulla questione adriatica e spiegò le intenzioni del governo al riguardo. Il ministro degli Esteri, innanzitutto, enunciò i princìpi che avevano ispirato l’azione dell’esecutivo. Qualunque compromesso per l’Adriatico doveva ave- 128 Ibidem. 129 AM, archivio di base, c. 1415, Specchio riassuntivo della forza presente in Dalmazia e dei materiali più importanti (dati approssimativi ed arrotondati), allegato a Millo a capo di stato maggiore della Marina, 11 ottobre 1919. 130 MICHELETTA, op. cit., I, p. 75 e ss.; LEDERER, op. cit., p. 292 e ss. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 165 re le seguenti basi fondamentali: «che nessuna terra o città in maggioranza italiana fosse assoggettata a dominio straniero; che dovunque esistessero minoranze italiane queste fossero efficacemente tutelate nella loro esistenza nazionale; che fossero garantiti i nostri interessi economici; che fosse validamente provveduto alla nostra sicurezza nelle frontiere di terraferma e nel mare Adriatico e non nel Quarnero soltanto, ma dal Quarnero al Canale d’Otranto»131. Tittoni spiegò che, sulla base di questi princìpi e tenendo conto delle posizioni degli alleati, il governo aveva presentato un progetto di accordo adriatico che prevedeva in Venezia Giulia la concessione al Regno SHS del distretto di Volosca e di parte di quelli di Castelnuovo, Postumia/Adelsberg e Idria. Circa Fiume vi erano due possibilità: o la sovranità italiana o la creazione di uno Stato indipendente fiumano sotto la garanzia della Società delle Nazioni e con la tutela della sua italianità. Riguardo all’assetto territoriale dalmata, Tittoni dichiarò ai deputati: La Dalmazia, tranne Zara e poche isole, avrebbe dovuto essere assegnata alla Jugo-Slavia con efficaci garanzie per la minoranza italiana e per gli interessi economici italiani. In ambo i casi tutto il Quarnero, e tutta la costa della Dalmazia fino a Cattaro incluso avrebbe dovuto essere neutralizzata con formole rigorose132. Il discorso, che era una chiara dichiarazione di rinuncia alla Dalmazia prevista dal patto di Londra, e in particolare a Sebenico, mise in agitazione gli ambienti dalmati. Il 28 settembre, con un clamoroso gesto d’opposizione, i più eminenti capi politici dalmati italiani (Ghiglianovich, Krekich, Lubin, Pini, Salvi, Smerchinich e Ziliotto) decisero di preparare un messaggio di protesta contro il discorso di Tittoni alla Camera, che fu divulgato e pubblicato dalla stampa. I dalmati italiani contestarono il contenuto del possibile compromesso territoriale adriatico anticipato da Tittoni al Parlamento, che sacrificava la Dalmazia eccetto Zara. A loro parere, l’abbandono della Dalmazia, salva pur Zara, era «una abdicazione sciagurata del diritto italiano» e comprometteva il presente e l’avvenire dell’Italia nell’Adriatico, costringendola a rinunciare alla supremazia in quel mare133. Nei giorni 131 Testo del discorso in TOMMASO TITTONI, VITTORIO SCIALOJA, L’Italia alla Conferenza della Pace. Discorsi e documenti, Roma, 1921, p. 9 e ss., citazione p. 19. 132 Ivi, p. 20. 133 Il testo del messaggio di Ghiglianovich, Krekich, Lubin, Pini, Salvi, Smerchinich e 166 LUCIANO MONZALI successivi il governo cercò di tranquillizzare e rassicurare i dalmati italiani. Riguardo a Zara, Tittoni ebbe un colloquio con Ghiglianovich a Roma il 12 ottobre 1919. Il ministro degli Esteri fu molto vago, dichiarando che la situazione internazionale imponeva un programma di rinunce in Dalmazia e che per Zara avrebbe cercato di ottenere la migliore soluzione possibile. Gli italiani di Dalmazia non dovevano avere paura dell’arrivo delle truppe iugoslave: «Si poteva essere sicuri – Tittoni dichiarò a Ghiglianovich – che l’abbandono delle nostre truppe e la consegna delle nostre terre al nuovo governo sarebbero seguite in modo da escludere ogni possibilità di violenze a danno nostro»134. Il politico dalmata uscì pessimista dall’incontro. Ho ritratto […] l’impressione di una fiacchezza di propositi anche per la soluzione del problema di Zara. E sono persuaso che, pur di conseguire dei miglioramenti nella formula «cuscinale» di Fiume, si sarebbe disposti di sagrificare anche Zara. […] È ormai inutile illudersi. Se non alla consegna anche di Zara alla Jugoslavia, dobbiamo prepararci, e Dio sa in che modo e forme!, alla sua costituzione in Stato libero o in città libera135. In una lettera del 21 ottobre 1919 inviata ad un alto ufficiale della Marina italiana136, Ghiglianovich rilevò che chiedere la semplice annessione della città era una formula superficiale e riduttiva, poiché impediva di domandare l’annessione dei territori del Capitanato distrettuale di Zara o quelli del suo distretto giudiziario, o perfino i territori del comune di Zara, più vasti del semplice centro urbano. Secondo il deputato zaratino, nei negoziati con gli alleati «si deve chiedere l’annessione di Zara e dei territori e isole costituenti il suo Capitanato distrettuale»137. In realtà, il progetto di accordo che il governo italiano presentò alla diplomazia americana il 15 ottobre confermava che a Roma si era ormai pronti a rinunciare all’annessione di Zara. Il progetto prevedeva la costituzione di uno Stato libero di Zara, sotto la protezione della Società delle Nazioni e con la rappresentanza diplomatica riservata all’Italia, e l’annessione italiana delle isole di Lagosta, Ziliotto, datato 28 settembre 1919, è pubblicato in «L’Idea Nazionale», La protesta dei deputati dalmati contro le rinuncie adriatiche, 29 settembre 1919. 134 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 12 ottobre 1919. 135 Ibidem. 136 AM, archivio di base, c. 3138, Ghiglianovich ad anonimo, 21 ottobre 1919. 137 Ibidem. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 167 Unie, Lissa, Pelagosa e Lussino138. L’atteggiamento di Ghiglianovich e Ziliotto di fronte ai progetti governativi rimase alquanto negativo e critico. In quelle settimane tale era il pessimismo che i politici zaratini cominciarono a considerare possibile l’eventualità di un passaggio di tutta la Dalmazia allo Stato iugoslavo. Con questa prospettiva i capi liberalnazionali ritennero opportuno provare a sviluppare contatti con alcuni esponenti dalmati iugoslavi. Fra la fine di ottobre e l’inizio di novembre Krekich incontrò Josip Smodlaka, già deputato alla Dieta provinciale dalmata nell’età asburgica e ritenuto uno dei nazionalisti croato-iugoslavi più disponibili a considerare un accordo con i dalmati italiani. L’incontro non produsse risultati, stante la lontananza delle reciproche posizioni, ma era indicativo della flessibilità politica dei liberali nazionali italiani e del loro pessimismo circa le future prospettive di annessione all’Italia in quei mesi 139. Altra iniziativa dei dalmati liberali nazionali fu d’ampliare i contatti politici in Italia. Tradizionalmente i dalmati italiani avevano avuto come riferimento politico nella Penisola lo schieramento liberale nelle sue varie tendenze (progressisti, massoni, conservatori, ecc.) e alcuni settori del nazionalismo. Constatando la crisi dei gruppi liberali e la crescita di nuove forze politiche come i socialisti e i popolari, Ghiglianovich decise di migliorare i rapporti con questi partiti, in particolare con il Partito Popolare Italiano. Nel corso di ottobre ebbe colloqui e contatti con il senatore Santucci, importante esponente popolare, al quale inviò un promemoria che presentava le rivendicazioni degli italiani di Zara. Ghiglianovich ribadì che era importante per l’Italia fare tutti gli sforzi per ottenere l’annessione di Zara e dei territori e delle isole costituenti il suo capitanato distrettuale. Il Capitanato Distrettuale di Zara, col suo centro di Zara, italianamente compatto, potrebbe quindi esercitare, se in possesso dell’Italia, un’alta influenza, non solo nazionale, ma economica e politica sul resto della Dalmazia, per ora sacrificata alla Jugoslavia. Questa parte di Dalmazia, oggi immolata, e terrorizzata da non più di 200 politicanti jugoslavi, soltanto coll’esempio di civiltà, di pacificazione nazionale della contigua parte di Dalmazia italiana, potrebbe assumere assai presto un atteggiamento politico separatista dalla Jugoslavia, che l’Italia potrebbe sfruttare e trasformare, con una politica 138 ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., pp. 256-257; DBFP, I, 4, d. 78. Alcuni accenni a questi contatti fra Krekich, Ziliotto e Smodlaka in: BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 1° novembre 1919. 139 168 LUCIANO MONZALI saggia ed abile, in un non lontano movimento annessionista verso l’Italia140. A parere del politico dalmata, né il mandato internazionale né la creazione della città libera a Zara erano progetti favorevoli all’Italia. La forma del mandato e ancor più quella della città libera, dovrebbero venir escluse, poiché il semplice mandato non conferirebbe all’Italia i diritti che le deriverebbero dalla sovranità e perché Zara, città libera, diverrebbe un centro di penetrazione slava che finirebbe ben presto coll’alterare il suo carattere nazionale italiano, che l’Italia, non avendo in tal caso nessun speciale diritto su Zara, non potrebbe arginare141. Nonostante le speranze italiane, la risposta americana alle proposte di Tittoni fu ancora una volta negativa. Il 27 ottobre il delegato alla conferenza di Parigi, Polk, comunicò a Tittoni la contrarietà di Wilson alle proposte italiane. Gli americani erano ostili ad un’eccessiva autonomia della città di Fiume in seno al futuro Stato libero e alla contiguità territoriale fra l’Italia e la città del Quarnero. Circa Zara il governo americano confermava la sua opposizione all’annessione italiana: era disponibile ad accettare la costituzione di una città libera sotto la protezione della Società delle Nazioni, senza rappresentanza diplomatica riservata all’Italia ma in stretti rapporti con lo Stato iugoslavo; le isole dalmate di Pelagosa, Lissa, Lussino e Unie sarebbero state annesse dal governo di Roma, con la concessione di autonomia locale per le popolazioni croate di Lissa142. La reazione italiana alla risposta americana fu di grande delusione e irritazione. Gli ambienti militari italiani, in particolare, ritenevano le proposte americane inaccettabili. In un appunto del 2 novembre il brigadiere generale Cavallero constatò che il confine proposto in Venezia Giulia era militarmente inaccettabile; inoltre le proposte americane avrebbero portato alla completa iugoslavizzazione della Dalmazia. Tutta la Dalmazia è data in piena sovranità alla Jugoslavia. La formola proposta per l’autonomia di Zara dimostra il proposito evidente di raggiungere al più presto la slavizzazione di questa città. A slavizzare gli altri centri 140 BS, Carte Ghiglianovich, b. B, Ghiglianovich a Santucci, 20 ottobre 1919. Ibidem. 142 ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., pp. 294-295; ASMAE, ACP, b. 113, Memorandum, 27 ottobre 1919, allegato a Polk a Tittoni, 27 ottobre 1919. 141 TRA NITTI E D’ANNUNZIO 169 italiani della costa dalmata penseranno in tal caso gli Jugoslavi, tenuto conto che non si fa cenno nemmeno delle garanzie da noi richieste per le minoranze, come pure si tace delle garanzie economiche143. Il governo italiano, pur di concludere il negoziato adriatico, era ormai rassegnato a chiedere la semplice costituzione della città libera di Zara. Il governo britannico, che cercò di mediare fra americani e italiani, consigliò di rinunciare alla rappresentanza diplomatica di Zara144. Vi era comunque il problema di definire con maggiore precisione i confini del futuro Stato libero, al fine di garantire la prevalenza dell’elemento italiano al suo interno. Nitti scrisse a Tittoni di essere ostile ad uno Stato libero di Zara troppo ampio, perché ciò avrebbe messo a rischio l’italianità della città145. Il ministro degli Esteri si dichiarò d’accordo su ciò e riferì che, per persuadere i dalmati della necessità di limitare l’estensione dell’eventuale Stato zaratino, aveva telegrafato a Ghiglianovich per incontrarlo146. La rinuncia del governo italiano a chiedere l’annessione di Zara provocò dure proteste fra i politici liberali zaratini147. In caso di creazione dello Stato libero Ziliotto e Krekich minacciarono di dimettersi da ogni carica politica ed amministrativa. Essi ritenevano che, in un contesto internazionale che sembrava favorire l’Italia e indebolire Wilson, era inaccettabile ogni ipotesi diversa dall’applicazione del patto di Londra148. Ziliotto e Krekich, quindi, rifiutarono di recarsi a Roma e di collaborare alla definizione di una linea confinaria per l’eventuale Stato libero di Zara. La minaccia di dimissioni fu dovuta anche al crescere delle contestazioni verso la leadership politica di Ziliotto, Krekich e Barbieri in seno al Fascio Nazionale Italiano di Zara, alimentate dalla componente estremista d’ispirazione dannunziana e nazionalista149. Sotto le pressioni dei suoi amici, il 12 novembre 1919 Ghiglianovich scrisse a Carlo Sforza, sottosegretario agli Esteri, di non essere più disponibile a fornire informazioni che potessero essere usate per perseguire una politica contraria alle aspirazioni degli italiani di Dalmazia. 143 ASMAE, ACP, b. 113, UGO CAVALLERO, Osservazioni alla risposta del Governo americano data 27 ottobre 1919. 144 MICHELETTA, op. cit., I, pp. 81-83. 145 ACS, Carte Nitti, b. 45, Nitti a Tittoni, 26 ottobre 1919. 146 ACS, Carte Nitti, b. 45, Tittoni a Nitti, 27 ottobre 1919. 147 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 9 novembre 1919. 148 BS, Carte Ghiglianovich, b. C, Ziliotto e Krekich a Ghiglianovich, 7 novembre 1919. 149 BS, Carte Ghiglianovich, b. A, Ghiglianovich a Barbieri, 9 novembre 1919. 170 LUCIANO MONZALI Io e i miei colleghi di deputazione, e per iscritto ed a voce, abbiamo sempre sostenuto, e innanzi alla precedente Delegazione e innanzi all’attuale, che, nei riguardi della Dalmazia, l’Italia dovesse tenacemente insistere per l’esecuzione del Trattato di Londra. E ritengo che anche oggi, oggi forse come mai, si potrebbe e dovrebbe far ciò, e che, ogni caso, convenga non affrettare diplomaticamente la soluzione del contestato problema adriatico ma mantenere l’attuale stato di fatto anziché subire transazioni disastrose quali sarebbero l’abbandono da parte dell’Italia di tutta la Dalmazia occupata e la costituzione di Zara in città libera. […] Così essendo, V.E. e S.E. il Ministro, che hanno così alto il senso delle responsabilità politiche, comprenderanno, senza dubbio, la assoluta mia impossibilità di entrare in qualsiasi discussione riferibile ad una costituzione di Zara in Città libera e di collaborare comunque, anche indirettamente, ad una soluzione non corrispondente a quello che è il nostro programma nazionale e politico e comprometterebbe irreparabilmente la questione adriatica in senso italiano, rovinerebbe definitivamente la causa dalmatica e non congiungerebbe Zara all’Italia150. Nonostante il rifiuto dei dalmati italiani, Nitti e Tittoni presentarono una nuova proposta di accordo adriatico l’11 novembre. Essa prevedeva la costituzione di uno Stato fiumano, al cui interno sarebbe esistita una città libera di Fiume, con piena indipendenza. Per ottenere il consenso americano a queste richieste, in Dalmazia il governo italiano si accontentava della costituzione della città libera di Zara, pienamente indipendente, con uno statuto speciale e con la possibilità di scegliere la propria rappresentanza diplomatica all’estero; si chiedeva, poi, l’annessione delle isole di Unie/Unije, Lussino, Lissa, Pelagosa e Lagosta, e la concessione di garanzie per gli interessi economici italiani esistenti in Dalmazia e di un’adeguata protezione per la minoranza italiana in Iugoslavia151. Proprio per proteggere la minoranza e gli interessi economici italiani in Dalmazia il governo di Roma presentò uno specifico progetto di accordo italo-iugoslavo l’11 novembre152. I tentativi di Tittoni di risolvere la questione adriatica furono fallimentari. Nonostante le ulteriori concessioni e rinunce dell’Italia, il governo di Wilson mantenne una posizione intransigente. Le ri150 ASMAE, Carte Sforza, b. 6, Ghiglianovich a Sforza, 12 novembre 1919. Una copia in BS, Carte Ghiglianovich, b. A. 151 ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., 305-306; DBFP, I, 4, allegati 1 e 2 al d. 121; ASMAE, ACP, b. 113, Memorandum, 11 novembre 1919, allegato a De Martino a Tittoni, 12 novembre 1919. 152 Clauses économiques et concernant la Protection des Minorités entre l’Italie et le Royaume des Serbes-Croates-Slovenes, 11 novembre 1919, cit. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 171 chieste italiane di completa indipendenza della città di Fiume e riguardo allo spostamento della frontiera in Istria ad est rispetto alla linea Wilson erano inaccettabili. Riguardo a Zara, Wilson chiese la sua assoluta indipendenza, limitata solo dall’essere la città in unione doganale con lo Stato iugoslavo; il presidente era anche ostile alla concessione dell’isola di Lagosta all’Italia. Il governo americano era contrario alla concessione di privilegi economici all’Italia in Dalmazia e riteneva che per la protezione degli italiani dalmati fosse sufficiente quanto proposto dal trattato sulle minoranze concluso con la Iugoslavia153. L’intransigente rifiuto americano di acconsentire alle proposte italiane su Fiume e sulla Dalmazia, e ad ogni forma di compromesso territoriale non pienamente accettabile per gli iugoslavi, fece fallire il tentativo di Tittoni di raggiungere un accordo territoriale adriatico. In non buone condizioni di salute, desiderando evitare un completo tracollo del suo prestigio personale, il politico romano decise di dimettersi dalla carica di ministro degli Esteri alla fine di novembre. 2.5. D’Annunzio, i dalmati italiani e il progetto della Lega delle città marine Anche dopo la spedizione a Zara D’Annunzio continuò ad interessarsi alla questione dalmatica. Dal novembre 1919, però, abbandonò lo strumento delle spedizioni militari e cercò di usare mezzi politici e diplomatici per raggiungere i propri obiettivi. Pure i gruppi nazionalisti romani lo sconsigliarono dall’intraprendere nuove iniziative militari in Dalmazia. Significativa a questo riguardo è la lettera che Alessandro Dudan scrisse a D’Annunzio il 23 dicembre 1919154. L’irredentista spalatino consigliò al comandante di non abbandonare Fiume per recarsi a Zara o in altri parti della Dalmazia. Una tale iniziativa avrebbe indebolito la posizione di Millo, aggravandone i rapporti con il governo di Roma con pericolose conseguenze. Considerato il momento presente – scrisse Dudan – della situazione in- 153 DBFP, I, 4, A. W. A LEEPER, Memorandum, 14 novembre 1919, allegato a d. 122; ibidem, AMERICAN COMMISSION TO NEGOTIATE PEACE, Comment on the Italian Statement of the American Position, 17 novembre 1919, allegato 1 a d. 129; ibidem, AMERICAN COMMISSION TO NEGOTIATE PEACE, Memorandum, 18 novembre 1919, allegato 2 a d. 129. 154 FV, ARC GEN FIU, fasc. Alessandro Dudan, Dudan a D’Annunzio, 23 dicembre 1919. 172 LUCIANO MONZALI ternazionale ed interna d’Italia, io non mi sentirei di consigliare oggi un colpo di mano su parti della Dalmazia ancora irredenta155. Unica iniziativa possibile poteva essere un’azione a Veglia e Arbe, non garantite dalla linea d’armistizio156. Consapevole della forte crisi interna che stava sconvolgendo lo Stato iugoslavo, con il divampare della lotta separatistica croata guidata dal partito contadino e dai pravas#i contro l’egemonia serba, D’Annunzio e i suoi seguaci puntarono a garantire il possesso italiano della Dalmazia favorendo la disintegrazione della Iugoslavia attraverso la ricerca di accordi con le forze anti-serbe ed anti-unitarie, quali i nazionalisti croati, albanesi e montenegrini. In parte d’intesa con alcuni esponenti del governo di Roma e con i capi del movimento nazionalista157, D’Annunzio e i suoi collaboratori fomentarono i molti movimenti secessionisti che erano alimentati dal malcontento di croati, sloveni, montenegrini, musulmani bosniaci e albanesi contro lo strapotere serbo158. Nel corso dell’autunno 1919 alcuni esponenti dannunziani (Pettorelli Lalatta/Finzi, Giuriati) svolsero negoziati segreti con i nazionalisti croati e sloveni al fine di raggiungere un’intesa fra l’Italia, rappresentata dai politici e militari vicini a D’Annunzio, e le nazionalità oppresse dai serbi. Questi negoziati proseguirono nei mesi successivi e portarono ad un progetto d’accordo: l’Italia avrebbe favorito l’indipendenza di sloveni, croati e montenegrini; in cambio il governo di Roma avrebbe annesso l’Istria e Fiume. La controversia dalmatica sarebbe stata risolta creando uno Stato dalmata indipendente, al cui interno sarebbe esistita una Lega delle città marine (quelle nelle quali era concentrata la maggioranza dei dalmati italiani, cioè Zara, Sebenico, Traù, Spalato, e Ragusa), dotata di larga autonomia e con tutele per l’elemento italiano; all’interno della Dalmazia indipendente l’Italia avrebbe avuto il diritto di disporre di basi navali. Questo pro- 155 Ibidem. Ibidem. 157 Sulle simpatie del movimento nazionalista verso il separatismo croato e montenegrino: «L’Idea Nazionale», 22 febbraio 1920, CORRADO ZOLI, Per una Repubblica croata. Intervista a Frank capo del partito del Diritto; ivi, 13 giugno 1920, ATTILIO TAMARO, Una tomba della libertà nei Balcani. L’Affare del Montenegro; CACCAMO, Il sostegno italiano all’indipendentismo croato 1918-1920, cit., pp. 23-56. 158 BUCARELLI, «Delenda Jugoslavia». D’Annunzio, Sforza e gli “intrighi balcanici” del ’19-20, cit., pp. 19-34; ID., La Jugoslavia nella politica estera di Mussolini (1924-1937), Roma, 2004, pp. 139-140; CACCAMO, Il sostegno italiano all’indipendentismo croato 19181920, cit., p. 23 e ss.; GIURIATI, Con D’Annunzio e Millo, cit., p. 137 e ss. 156 TRA NITTI E D’ANNUNZIO 173 getto di accordo con i separatisti croati e montenegrini entusiasmò D’Annunzio e Millo159, ma irritò molti dalmati italiani. Dalla scarsa documentazione disponibile sappiamo che negli ultimi mesi del 1919 e all’inizio del 1920 all’interno della vecchia classe dirigente liberale-nazionale risorse la spaccatura fra gli zaratini e gli altri dalmati italiani160. I capi del Fascio Nazionale di Sebenico, Miagostovich, Pini e Nicoletti, ormai consapevoli delle scarse possibilità per la loro città di essere annessa all’Italia, speravano che il movimento dannunziano potesse salvarli dal dominio iugoslavo. Senza molte altre alternative, insieme ai capi italiani spalatini diedero il loro consenso al progetto di una repubblica dalmatica che comprendesse al proprio interno la Lega delle città marine, con forte autonomia e grande tutela per l’elemento italiano161. Fra gli italiani di Zara che facevano riferimento a Ziliotto e Krekich, invece, questo progetto suscitò forte irritazione, perché minacciava di inserire la loro città in uno Stato a forte maggioranza serbo-croata e dal futuro alquanto incerto. Nei primi mesi del 1920 i liberali nazionali zaratini continuarono a chiedere l’applicazione del patto di Londra; se ciò non fosse stato possibile erano favorevoli all’annessione di Zara all’Italia. Uno dei pochi documenti disponibili sull’atteggiamento dei liberalnazionali zaratini e dalmati verso il progetto della Lega delle città marine è il promemoria che Ziliotto consegnò a Giovanni Giuriati il 23 febbraio 1920, al termine di una lunga assemblea fra i rappresentanti dei Fasci Nazionali Italiani tenutasi a Zara per discutere sul progetto dannunziano di creazione di uno Stato dalmata indipendente. Giuriati fu presente ai lavori dell’assemblea e giudicò la discussione al suo interno «lunga, appassionata, in alcuni episodi drammatica». Il testo che Ziliotto consegnò al collaboratore di D’Annunzio, espressione delle direttive politiche emerse dall’assemblea dei Fasci Nazionali era il seguente: Nell’assemblea dei rappresentanti dei Fasci Nazionali della Dalmazia, tenuta nei giorni 22 e 23 Febbraio a Zara, avendo il signor maggiore Giuriati esposto un progetto per la formazione di tutta la Dalmazia in Stato indipendente col consenso dei fattori croati e con la collaborazione degli Italiani della Dalmazia, da tutta la lunga ed animata discussione, seguita all’esposizio- 159 DI GIAMBERARDINO, op. cit., p. 233 e ss. Circa i dissensi in seno agli italiani di Dalmazia si vedano i numerosi accenni nella corrispondenza fra Millo e D’Annunzio: DI GIAMBERARDINO, op. cit., pp. 233, 257. 161 DI GIAMBERARDINO, op. cit., p. 239. 160 174 LUCIANO MONZALI ne del sig. maggiore, emerse ad evidenza l’opinione unanime dei presenti che la più desiderabile soluzione, date le circostanze, sarebbe l’annessione delle terre occupate. Aperta quindi la discussione sulla soluzione prospettata dal maggiore Giuriati, prevalse tra i rappresentanti dei Fasci Nazionali il seguente voto: premesso che il trattato di Londra resta sempre una base salda del nostro diritto, che non tocca certamente a noi di infirmare, se anche possano averne in parte e transitoriamente sminuito il valore esitanze e debolezze di uomini politici incompetenti e fiacchi; premesso che dopo cent’anni di austriaco dispotismo e snaturamento del carattere etnico della Dalmazia un equilibrio riparatore a favore degli Italiani potrebbe essere instaurato soltanto col diretto dominio d’Italia; premesso che soltanto un diretto dominio d’Italia sulle terre occupate – e non già semplici patti di garanzie destinate per lunga esperienza ad essere eluse e nullificate – può premunire l’Italia da future insidie e sorprese nell’Adriatico; premesso che il maggiore Giuriati ha tosto nell’esordio della sua esposizione riferito che quei fattori croati avevano riconosciuto la validità ed efficacia del patto di Londra e del plebiscito di Fiume e che soltanto nel progresso delle trattative si ebbe a prescindere da questo riconoscimento ed a sostituire la formula della Dalmazia indipendente; I Fasci Nazionali della Dalmazia dichiarano di aderire alla collaborazione richiesta dal comandante D’Annunzio per mezzo del maggiore Giuriati soltanto a patto che, prima di impegnare qualsiasi trattativa coi fattori croati, si richieda ed ottenga da loro come condizione imprescindibile ed assoluta il rinnovato esplicito riconoscimento della piena sovranità d’Italia su tutte le terre occupate della Dalmazia, nonché del diritto d’Italia di regolare in emanazione di tale sovranità la costituzione interna delle terre medesime. Tenuta ferma ed inderogabile tale condizione, i Fasci Nazionali aderiscono a trattare e a collaborare con tutti i loro mezzi per l’ordinamento dei paesi non compresi nella zona d’occupazione e per l’avviamento di buoni rapporti tra i vari elementi nazionali che li abitano162. Da questo ordine del giorno emergeva chiaramente che i capi zaratini avevano imposto all’assemblea il loro punto di vista critico verso i progetti dannunziani, mantenendo l’obiettivo primario dell’annessione all’Italia. Non a caso nelle sue memorie lo stesso Giuriati notò che «quest’ordine del giorno non poteva essere considerato come un preciso successo dell’azione da me iniziata»163. Le ragioni del dissenso di alcuni capi dalmati italiani verso le iniziative dei dannun- 162 163 GIURIATI, Con D’Annunzio e Millo, cit., pp. 155-156. Ibidem. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 175 ziani erano molteplici. Vi era diffidenza verso gli interlocutori croati di D’Annunzio, che erano esponenti dei partiti del diritto e contadino, tradizionalmente i più forti nemici dell’elemento dalmata italiano. Mancava poi fiducia nello stesso movimento dannunziano, il cui carattere sovversivo era estraneo alla cultura politica del liberalismo italiano dalmata; un movimento dannunziano, poi, che a Zara si era impiantato e sviluppato mettendo in discussione l’egemonia politica della vecchia classe dirigente d’estrazione autonomista. Di fatto l’interlocutore privilegiato dei liberalnazionali dalmati restava lo Stato italiano, con il quale anche nei momenti di maggiore dissenso politico non si erano mai interrotti i più stretti rapporti. Nei primi mesi del 1920 Ziliotto, Krekich e Ghiglianovich preservavano forti relazioni con il capo dell’Ufficio per le Nuove Provincie, Francesco Salata, con esponenti della diplomazia e della Marina, ed era su queste forze ed istituzioni che essi soprattutto puntavano per garantire la salvezza politica dell’italianità dalmatica. Nonostante il dissenso di molti dalmati italiani, in primis dei liberali zaratini, i dannunziani proseguirono nei loro negoziati con i separatisti croati e montenegrini. Alcuni ambienti governativi italiani, ad esempio il sottosegretario agli Esteri Sforza, erano favorevoli a queste iniziative dannunziane non perché volessero realmente la disintegrazione dello Stato iugoslavo, quanto per spaventare il governo di Belgrado e costringerlo ad accettare un compromesso territoriale favorevole all’Italia. Sotto la guida di Giuriati e di Giovanni Host-Venturi i dannunziani conclusero con alcuni esponenti nazionalisti croati, montenegrini e albanesi due accordi segreti il 5 luglio 1920. Il primo accordo aveva come obiettivo la disintegrazione dello Stato iugoslavo e prevedeva l’organizzazione di rivolte militari anti-serbe in Croazia, Kosovo e Montenegro; il governo dannunziano s’impegnava a rifornire di grandi quantitativi di armamenti i ribelli164. Il secondo accordo fu concluso esclusivamente fra i rappresentanti croati (Ivica Frank e Vladimir Sachs-Petrovic!) e il movimento dannunziano e trattava la definizione dei confini fra i futuri Stati croato e sloveno e l’Italia165. 164 Testo del trattato generale firmato il 5 luglio 1920 tra i rappresentanti del comandante D’Annunzio e i rappresentanti delle Nazionalità oppresse dalla Serbia, edito in GIURIATI, Con D’Annunzio e Millo, cit., pp. 221-222. 165 Testo del trattato particolare firmato a Venezia il 5 luglio 1920 tra i rappresentanti del comandante D’Annunzio e i rappresentanti della Croazia, edito in GIURIATI, Con D’Annunzio e Millo, cit., pp. 223-226. 176 LUCIANO MONZALI L’accordo prevedeva il riconoscimento croato dell’appartenenza di Fiume all’Italia, dell’esistenza di una frontiera giuliana quale quella prevista dal patto di Londra (con qualche piccola modifica) e dell’annessione italiana delle isole di Lussino, Cherso, Unie, Arbe, Pelagosa e Lissa. Era poi sancita la creazione di una repubblica dalmata, indipendente, neutrale e sotto la garanzia dell’Italia: questa repubblica avrebbe compreso i territori della ex Dalmazia asburgica, con l’esclusione delle Bocche di Cattaro, destinate a far parte del futuro Montenegro indipendente. All’interno della Dalmazia indipendente si sarebbe creata un’entità autonoma, la Lega delle città marine, composta dalle città di Zara, Sebenico, Spalato, Traù e Ragusa. L’articolo 10 del trattato regolava la futura creazione della Lega: Le città di Zara, Sebenico, Spalato, Traù e Ragusa, perpetuamente autonome, sia nel campo politico che in quello amministrativo. Esse costituiranno tra loro una Lega, retta da un consiglio di cinque membri, nominato uno per ogni città e presieduta da un sesto membro nominato dal Governo della Repubblica Dalmatica. I porti delle cinque città saranno sottoposti al regime di porto franco. Con un plebiscito la repubblica dalmata avrebbe deciso se rimanere amministrativamente e politicamente autonoma o unirsi alla Croazia indipendente, ma ciò non avrebbe potuto riguardare la Lega delle cinque città. L’articolo 11 dell’accordo prevedeva il diritto dello Stato italiano di occupare militarmente le isole e alcuni punti del territorio dalmatico, già appartenuti alla Dalmazia controllata dall’Italia sulla base del patto di Londra, ritenuti necessari a garantire la sua sicurezza strategica. L’accordo italo-croato era abbastanza sconclusionato: appariva abbastanza improbabile pensare di unire città dalmate prive di contiguità territoriale in una Lega; era poi chiaramente insostenibile un assetto politico in Dalmazia che separasse tutti i principali centri costieri dal loro retroterra e dalle isole circostanti. Ciò fa supporre che da parte dannunziana non si credesse seriamente alla futura creazione di una repubblica dalmatica e di una Lega delle città marine e si pensasse soprattutto ad alimentare la sovversione separatista anti-serba con accordi di natura propagandistica: una volta crollata la Iugoslavia, si sarebbe potuto ridiscutere l’assetto della Dalmazia in termini più favorevoli all’Italia. L’accordo per la disintegrazione della Iugoslavia conobbe un ulteriore sviluppo ed ampliamento con un’altra convenzione firmata il 19 ottobre 1920, con la quale aderivano ai TRA NITTI E D’ANNUNZIO 177 progetti anti-serbi anche rappresentanti politici slavo-macedoni e magiari della Voivodina. Ma questi accordi non ebbero nessuna realizzazione. Nessuna rivolta anti-iugoslava ed anti-serba scoppiò fra la fine del 1920 e il 1921. Se l’insoddisfazione contro lo Stato unitario e lo strapotere serbo era fortissima e diffusa fra croati, albanesi, montenegrini, ungheresi e macedoni, mancava a queste popolazioni la capacità politica ed organizzativa di contrastare la forza militare serba, spesso feroce e senza scrupoli umanitari. A partire dall’estate 1920, poi, il governo di Roma, con l’emergere di un nuovo orientamento della classe dirigente serba favorevole ad un compromesso territoriale con l’Italia su basi moderate, abbandonò ogni sostegno ai disegni separatisti coltivati dai dannunziani e dai nazionalisti croati. 2.6. La lotta per Zara italiana Le dimissioni di Tittoni dalla guida della Consulta e la nomina di Vittorio Scialoja a ministro degli Esteri166 non produssero modifiche alla linea politica seguita dal governo nella questione dalmatica. Personalmente Scialoja, liberale conservatore in buoni rapporti con gli ambienti nazionalisti, era favorevole ad una decisa difesa delle rivendicazioni italiane in Dalmazia. Ma a partire dal dicembre 1919 le direttive e la gestione della politica estera italiana subirono sempre più l’influenza del presidente del Consiglio. Uomo portato a vedere le relazioni internazionali in un’ottica prevalentemente economica, Nitti riteneva fondamentale la creazione di una forte collaborazione italo-britannica, mirante a favorire una rapida normalizzazione dei rapporti fra Stati vincitori e vinti e una stabilizzazione finanziaria del continente europeo167. Egli, poi, desiderava il rapido miglioramento dei rapporti 166 Riguardo alla figura di Scialoja: AMEDEO GIANNINI, Vittorio Scialoja, «Rivista di studi politici internazionali», 1954, pp. 688-699. 167 Sulla politica estera di Nitti dalla fine del 1919 al giugno 1920: MICHELETTA, op. cit., I, p. 99 e ss.; CACCAMO, L’Italia e la “Nuova Europa”, cit., p. 237 e ss.; ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit.; RODOLFO MOSCA, L’Austria e la politica estera italiana dal trattato di St. Germain all’avvento del fascismo al potere (1919-1922), in ID., Le relazioni internazionali nell’età contemporanea, cit., p. 94 e ss.; ENRICO SERRA, Nitti e la Russia, Bari, 1975; PETRACCHI, La Russia rivoluzionaria, cit., p. 126 e ss.; STEFAN MALFER, Wien und Rom nach dem Ersten Weltkrieg. Österreichisch-italienische Beziehungen 1919-1923, Wien, 1978; KARL-EGON LÖNNE, Problemi ed aspetti della politica italiana nei confronti della Germania del primo dopoguerra, in Diplomazia e storia delle relazioni internazionali. Studi in onore di Enrico Serra, Milano, 1991, p. 281 e ss.; DDA, 3, dd. 436, 437, 438 con allegato, 439; DDF 1920, I, dd. 49, 178 LUCIANO MONZALI con Austria, Germania e Ungheria168 e la creazione di normali relazioni economiche e politiche con la Russia sovietica. Consapevole dell’importanza di un successo nella questione adriatica per il suo futuro politico, Nitti cominciò a intervenire più direttamente nell’attività diplomatica ed orientò la sua azione alla ricerca della chiusura del contenzioso italo-iugoslavo nei tempi più rapidi possibili, anche a costo d’importanti rinunce territoriali. In tale direzione andavano pure le pressioni americane e anglo-francesi, che erano culminate nella presentazione di una nota tripartita al governo di Roma nel dicembre 1919, al quale veniva offerto il seguente progetto territoriale: applicazione della linea Wilson in Istria, creazione di uno Stato libero di Fiume; Zara sarebbe divenuta città autonoma sotto il controllo della Società delle Nazioni, mentre l’Italia avrebbe annesso Pelagosa, Lissa, Lussino, Valona e ricevuto un mandato sull’Albania169. Invitati nuovamente dal governo di Roma ad esprimere i propri desiderata in caso di creazione di uno Stato libero di Zara, alla fine di dicembre Ghiglianovich e Ziliotto inviarono due promemoria. Ormai rassegnati all’impostazione governativa, i politici zaratini delinearono una linea di confine che avrebbe lasciato allo Stato libero la sola città di Zara. Al fine di avere il controllo dell’ospedale, del cimitero, dei due acquedotti e in previsione di un possibile ampliamento del porto, era opportuno annettere allo Stato libero anche Boccagnazzo e Borgo Erizzo con piccole rettifiche di confine170. Venivano chieste poi alcune garanzie economiche: l’assicurazione del diritto di allacciare Zara alla ferrovia di Knin, il buon funzionamento di un’adeguata rete stradale nel retroterra zaratino, l’impegno iugoslavo a non ostacolare l’importazione a Zara «della materia prima del maraschino, vale a dire le marasche»; altra garanzia poteva essere l’imposizione alla Iugoslavia dell’obbligo «di non emettere disposizioni che ledano o ristringano il diritto di proprietà di cittadini nostri in quanto uguali disposizioni non vengano emanate per i cittadini di essa Jugoslavia»171. 113, 215. Interessanti i giudizi di Buchanan, successore di Rodd all’ambasciata britannica a Roma, sulla politica estera di Nitti: BDFA, II, F, 4, Buchanan a Curzon, 20 marzo 1920, d. 142. 168 Al riguardo: PDH, 1, dd. 155, 169, 173, 175, 177, 192, 193; ADAP, A, 3, Bergen al Ministero degli Esteri, 7 gennaio 1920, d. 5; ibidem, dd. 64, 74, 106. 169 LEDERER, op. cit., pp. 302-303. 170 ASMAE, Carte Salata, b. 206, [GHIGLIANOVICH e ZILIOTTO], Promemoria riguardo alla delimitazione territoriale di Zara, s.d. (ma consegnato a Salata il 30 dicembre 1919). 171 ASMAE, Carte Salata, b. 206, [GHIGLIANOVICH e ZILIOTTO], Promemoria riguardo le garanzie economiche, s.d. (ma consegnato a Salata il 30 dicembre 1919). TRA NITTI E D’ANNUNZIO 179 Le pressioni degli anglo-franco-americani e l’azione del presidente del Consiglio produssero fra il dicembre 1919 e il gennaio 1920 un’accelerazione dei negoziati con il raggiungimento di un’intesa provvisoria fra Italia e Alleati su una proposta di compromesso territoriale (il cosiddetto “Compromesso Nitti”) che venne presentata agli iugoslavi il 13 gennaio 1920: Fiume, Lussino, Pelagosa e Lissa venivano concesse all’Italia insieme a Valona e a un mandato albanese, mentre la Iugoslavia otteneva l’Istria orientale e Susak. Zara sarebbe divenuta un libero Stato sotto il controllo della Società delle Nazioni e con il diritto di scelta della propria rappresentanza diplomatica, mentre la minoranza italiana nella Dalmazia iugoslava avrebbe avuto la tutela internazionale di alcuni diritti economici e la possibilità di optare per la cittadinanza italiana senza lasciare la terra natia172. Nonostante garantisse migliori condizioni rispetto al patto di Londra e a tutti i progetti d’accordo discussi nel corso del 1919, il governo di Belgrado rifiutò la proposta di compromesso: fra le ragioni del rifiuto vi fu la volontà di ottenere la sovranità assoluta su Zara173. Dopo il fallimento dei negoziati a Parigi nel gennaio 1920, Nitti continuò a sperare di trovare un’intesa sulla questione adriatica. Recatosi alla Conferenza interalleata di Londra a metà febbraio, Nitti cercò di proseguire i contatti con gli iugoslavi per trovare una soluzione174. Egli desiderava a tutti i costi un successo di prestigio da usare presso l’opinione pubblica interna: cruciale per lui era ottenere l’annessione di Fiume. In cambio di ciò era pronto a molte concessioni: l’Istria orientale e il mandato sull’Albania. In Dalmazia il governo Nitti era disponibile a rinunciare a Lissa e ad accettare la proposta di Trumbic! di tenere un plebiscito sul futuro di Zara con l’alternativa fra l’indipendenza e l’annessione allo Stato iugoslavo. I colloqui che Nitti tenne con Trumbic! e Pas#ic! a Londra e a Parigi fra febbraio e marzo non raggiunsero risultati, anche per le crescenti divisioni in seno al governo iugoslavo. Se per Trumbic! e i dalmati croati le questioni di Fiume e Zara erano di vitale importanza, ai serbi interessava molto più il futuro dell’Albania settentrionale, sulla quale vi erano velleità annessionistiche175. In 172 LEDERER, op. cit., p. 304 e ss.; MICHELETTA, op. cit., I, p. 107 e ss.; ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., p. 372 e ss.; PASTORELLI, L’Albania nella politica estera italiana, cit., p. 208 e ss.; RICCARDI, Francesco Salata, cit., p. 247 e ss. 173 ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., p. 398 e ss.; LEDERER, op. cit., p. 309 e ss.; Zapisnici, p. 236 e ss.; DBFP, I, 13, dd. 59, 62, 64, 73, 92; DDF 1920, I, dd. 15, 37. 174 ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., p. 412 e ss. 175 LEDERER, op. cit., p. 325 e ss.; ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., p. 416 e ss. 180 LUCIANO MONZALI seno all’opinione pubblica italiana rimaneva presente uno schieramento politico favorevole alla richiesta di applicazione del patto di Londra. Erano in particolare i nazionalisti a insistere affinché l’Italia procedesse all’applicazione del patto di Londra e proclamasse l’annessione dei territori giuliani e dalmati occupati176. Nitti, però, continuò a sperare in un accordo fondato sulla sovranità italiana a Fiume in cambio di rinunce in Dalmazia. Il 13 e 14 aprile Scialoja incontrò due volte Trumbic! a Parigi, insistendo sulla necessità per l’Italia di ottenere Fiume. Ma il ministro degli Esteri iugoslavo rimase su posizioni d’intransigenza rifiutando di fare concessioni177. In occasione della Conferenza di San Remo nell’aprile 1920 Nitti sperò di riprendere i colloqui con gli iugoslavi. Salata fu incaricato di preparare un progetto d’accordo italo-iugoslavo. Questo progetto, datato 14 aprile178, prevedeva l’indipendenza di Zara e la cessione di tutto il resto della Dalmazia alla Iugoslavia. Erano confermate nel loro valore le clausole economiche e quelle a tutela dei diritti della minoranza italiana, già presentate nei precedenti negoziati. Iniziata la conferenza di San Remo, il progetto Salata fu rielaborato e sviluppato. Fu presentata agli alleati una nuova proposta italiana per il regolamento della questione adriatica. Le parti seconda, terza e quarta del progetto erano dedicate alla Dalmazia e alle isole. Veniva ribadita l’indipendenza di Zara sotto la garanzia della Società delle Nazioni: la città avrebbe designato lo Stato al quale affidare la propria rappresentanza diplomatica all’estero ed avrebbe fatto parte dell’unione doganale iugoslava. L’Italia avrebbe annesso le isole di Pelagosa, Lissa e Lussino, garantendo alla popolazione locale croata una completa autonomia. Agli italiani che vivevano nel resto della Dalmazia destinata allo Stato iugoslavo, il governo di Belgrado doveva riconoscere una serie di diritti: innanzitutto il diritto di optare per la cittadinanza italiana, conservando i propri beni, senza alcun obbligo di lasciare il territorio; dovevano poi essere ga- 176 «L’Idea Nazionale», 4 febbraio 1920, Per l’applicazione del Patto di Londra. Il grande comizio di iersera; ivi, 17 febbraio 1920, LEONARDO VITETTI, Verso l’applicazione del Patto di Londra?; LUIGI FEDERZONI, Il trattato di Rapallo, con un’appendice di documenti, Bologna, 1921, pp. 1-44; ROBERTO FORGES DAVANZATI, La restaurazione del patto di Londra e la difesa di Fiume, «La Vita Italiana», giugno 1920, riedito in FRATER, Roberto Forges Davanzati. Lineamenti di vita, cit., pp. 116-128. Si veda anche la critica alla politica adriatica di Nitti fatta dal nazionale-liberale Arrigo Solmi: ARRIGO SOLMI, L’Adriatico e il problema nazionale, Roma, 1920. 177 ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., p. 448 e ss.; LEDERER, op. cit., p. 330 e ss. 178 ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., pp. 522-524. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 181 rantiti i diritti acquisiti da cittadini italiani in campo industriale. A rappresentare gli italiani dalmati a San Remo fu il sindaco Ziliotto, che venne incaricato dal governo Nitti di preparare un progetto di accordo specifico per l’istituzione di Zara città libera e con eventuali garanzie per gli italiani nella Dalmazia iugoslava. Ziliotto presentò a Nitti un progetto d’accordo il 24 aprile179. La città libera di Zara avrebbe dovuto comprendere le frazioni comunali di Zara, Borgo Erizzo, Cerno, Boccagnazzo e parte della frazione di Diclo. La futura costituzione della città sarebbe stata fissata dal consiglio comunale di Zara in carica. L’Italia avrebbe negoziato i termini di una convenzione fra Zara indipendente e il Regno iugoslavo allo scopo: a) Di assicurare la congiunzione ferroviaria con le ferrovie del retroterra, attraverso lo Stato S.H.S. b) Di assicurarle il libero uso delle altre strade di comunicazione. c) Di assicurarle il diritto di pesca nel mare territoriale dello Stato S.H.S. d) Di garantire ai cittadini della città libera il libero esercizio del diritto di proprietà immobiliare nel territorio dello Stato S.H.S. ed in particolare che riguardo a tale proprietà non verranno mortificati i diritti acquisiti dai cittadini di Zara se non d’accordo con il suo governo. e) Di garantire il traffico di confine. f) Di garantire che lo Stato S.H.S. non possa rifiutare a richiesta della città libera di Zara di accoglierla nel suo nesso doganale. […]180. Alla fine, nonostante gli inviti italiani, Trumbic! decise di non recarsi a San Remo. L’inizio dei negoziati italo-iugoslavi fu rinviato di pochi giorni, per l’11 maggio a Pallanza181. In previsione della ripresa dei negoziati bilaterali a Pallanza, ai primi di maggio Ziliotto preparò un ulteriore memoriale su Zara ed un promemoria su possibili richieste concernenti gli italiani che sarebbero rimasti in Iugoslavia182. Nel memoriale su Zara Ziliotto identificò possibili assetti territoriali per la sua città. Il sindaco ribadì la necessità che la città conservasse un suo adeguato retroterra anche in caso di passaggio all’Italia: 179 ACS, Carte Nitti, b. 41, LUIGI ZILIOTTO, Zara città libera, 24 aprile 1920, minuta. Ibidem. 181 ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., p. 460 e ss. 182 ASMAE, Carte Salata, b. 206, LUIGI ZILIOTTO, Zara, primi di maggio 1920; ibidem, [LUIGI ZILIOTTO], Diritti degli Italiani che resteranno in Jugoslavia, senza data [ma primi di maggio 1920]. 180 182 LUCIANO MONZALI Qualora il governo si determinasse a commettere il grave errore d’abbandonare una parte qualunque del territorio dalmato compreso nel patto di Londra, anzi quello gravissimo di rinunziare a Sebenico e alle Isole, e si limitasse a voler salvare Zara, codesto salvare non può essere inteso che nel senso di conseguire la sovranità sulla città di Zara e su quel territorio che dà vita alla città e ne riceve. Veramente, siccome Zara, per la negligenza del governo austriaco e a titolo di punizione per la sua italianità, ebbe sviluppo soltanto come città burocratica, essa viene danneggiata per il distacco di qualunque parte della Dalmazia dal nesso amministrativo cui essa appartiene. In un senso più ristretto però il territorio di Zara, quello cioè che nei riguardi della vita economica, amministrativa e culturale è ad essa connesso in modo che una disgiunzione riesce dannosa e alla città e al territorio, è il circondario politico attuale (territorio del capitanato distrettuale) più il comune di Bencovaz183. In caso di concessioni inevitabili, si poteva rinunciare al controllo di Bencovaz, di Novegradi, di Selve e delle isole di Arbe e di Pago. Limite irrinunciabile era il mantenimento sotto la sovranità italiana del territorio dei comuni di Zara, di Nona e di Sale, abitato da una popolazione complessiva di 52.000 persone184. Sempre in quei giorni Ziliotto preparò un elenco di diritti per gli italiani della Dalmazia iugoslava il cui rispetto bisognava pretendere dal governo di Belgrado nel corso dei negoziati territoriali185. In previsione dei negoziati di Pallanza, il governo di Belgrado delineò istruzioni di massima per la sua delegazione186. Occorreva che la Iugoslavia ottenesse la linea Wilson in Venezia Giulia, nonché l’an183 ZILIOTTO, Zara, primi di maggio 1920, cit. Ibidem. 185 «1) Optare per la cittadinanza italiana con la facoltà di conservare la residenza in Iugoslavia. 2) Diritto elettorale attivo e passivo in tutte le amministrazioni pubbliche (consigli provinciali, comuni, camere di commercio). In ciò non è compreso il diritto elettorale politico. 3) Diritto di esercitare anche quelle professioni per le quali è richiesta la cittadinanza dello Stato. Diritto d’istituire scuole italiane di qualunque grado. Esenzione (in quanto si propongano d’istituire delle scuole) da tutte le imposte con le quali si sostengano le spese scolastiche. Facoltà d’inviare in italiano, in iscritto ed a voce, qualunque autorità pubblica tanto giudiziaria che amministrativa. Diritto di riunione e d’associazione come collettività etniche. 8) Diritto per coloro che trasferissero la loro residenza all’estero di portar seco la propria sostanza mobile ed il ricavato di quella immobile, esente da qualsiasi tassa, trattenuta od altra limitazione»: [LUIGI ZILIOTTO], Diritti degli Italiani che resteranno in Jugoslavia, s.d. (ma primi di maggio 1920), cit. 186 LEDERER, op. cit., p. 332-334. 184 TRA NITTI E D’ANNUNZIO 183 nessione del porto di Fiume, di Baros e Susak, lasciando la città del Quarnero neutralizzata e smilitarizzata. Il destino di Cherso e di Lissa si sarebbe deciso con un plebiscito, mentre tutto il resto della Dalmazia doveva essere annesso al Regno iugoslavo, con Zara iugoslava ma in possesso di «un’ampia autonomia interna, garantita internazionalmente»187. Bisognava ottenere il riconoscimento italiano dell’appartenenza del Montenegro al Regno SHS, mentre l’Albania doveva essere indipendente e smilitarizzata; però, in caso di mandato italiano sul territorio albanese o di conquiste greche e italiane nella regione, la Iugoslavia avrebbe avuto diritto ad annettere tutta l’Albania settentrionale188. L’11 maggio ebbero inizio le trattative a Pallanza, condotte per il governo di Belgrado da Trumbic! e Pas#ic!, per l’Italia da Scialoja189. Trumbic! presentò le tesi iugoslave stabilite dal governo di Belgrado, facendo capire di essere pronto a un compromesso su Fiume. Il ministro degli Esteri iugoslavo, poi, mostrò la sua riluttanza ad accettare l’idea di Zara italiana o indipendente. Zara vive della Dalmazia, – dichiarò Trumbic! – forma con essa un tutto, così fu sempre sotto la dominazione veneziana e sotto quella austriaca. Se Zara viene staccata dalla Dalmazia corre verso la rovina, il suo avvenire economico sarà compromesso, gli uffici amministrativi emigreranno190. Scialoja presentò le richieste italiane. Egli insistette per una frontiera giuliana sicura e per Fiume e Cherso italiane. Riguardo a Zara, il ministro italiano affermò che vi era la possibilità di un’intesa, in quanto fra la richiesta italiana di creare uno Stato di Zara indipendente e l’autonomia in seno al Regno SHS offerta dagli iugoslavi non vi era «un contrasto assoluto fra i due punti di vista»191. I negoziati italo-iugoslavi furono interrotti dalla crisi di governo in Italia, provocata dalla messa in minoranza del secondo ministero Nitti alla Camera proprio l’11 maggio192. In una tale situazione Nitti preferì sospendere le trattative, che sarebbero state riprese solo dal governo Giolitti alcuni mesi dopo193. 187 Ibidem. Ibidem. 189 LV, Scialoja e Nitti, 11 maggio 1920, dd. 1, 2, 3; LEDERER, op. cit., p. 534 e ss.; ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., p. 463 e ss. 190 LV, Scialoja a Nitti, 11 maggio 1920, d. 2. 191 Ibidem. 192 BDFA, II, F, 4, Buchanan a Curzon, 17 e 23 marzo 1920, dd. 155 e 157. 193 ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., p. 470 e ss. 188 184 LUCIANO MONZALI La crescente debolezza politica di Nitti ebbe un’ennesima conferma alla fine di maggio. Il terzo ministero Nitti si era appena insediato quando, il 24 maggio, in occasione dell’anniversario dell’entrata dell’Italia in guerra, ebbe luogo una sfilata studentesca nazionalista per le strade del centro di Roma. La polizia, temendo che la dimostrazione avesse intenzioni violente, represse con la forza gli studenti: la polizia sparò e vi furono alcuni morti fra gli agenti e i civili194. Preso dal panico e timoroso di possibili congiure dannunziane, il governo ordinò l’arresto di tutti i cittadini dalmati e fiumani, donne ed anziani inclusi, presenti a Roma. Tale decisione, sproporzionata e priva di senso, suscitò polemiche durissime195. In Dalmazia furono organizzati comizi di protesta contro Nitti196. 2.7. La situazione politica a Spalato e nella Dalmazia iugoslava fra il 1919 e il 1920 La presenza di navi alleate e americane e l’intervento del Comitato interalleato degli ammiragli avevano consentito un miglioramento delle condizioni di vita degli italiani a Spalato nella primavera del 1919. Su un piano politico più generale, però, la situazione nella Dalmazia iugoslava rimaneva tesa e difficile. Il malcontento croato verso il nuovo Stato iugoslavo si era ormai apertamente manifestato197. Il movimento contadino di Radic! era progressivamente divenuto il principale partito croato proprio per aver posto al centro della sua piattaforma politica la lotta per la costituzione di una Croazia indipendente198. Consapevole della pericolosità di Radic!, il governo di Belgrado lo aveva fatto arrestare nel marzo 1919199. Se il movimento dei contadini era la forza politica maggio194 ALATRI, Nitti, D’Annunzio, cit., p. 472. 195 «L’Idea Nazionale», 26 maggio 1920, Nitti, responsabile dell’eccidio, inscena un com- plotto e perseguita i patriotti adriatici. Si veda anche il resoconto della vicenda da parte dell’ambasciatore britannico a Roma, Buchanan: BDFA, II, F, 4, Buchanan a Curzon, 11 giugno 1920, d. 160. 196 «L’Idea Nazionale», 1° giugno 1920, La Dalmazia per il Re e per Millo. 197 BOSILJKA JANJATOVIC!, Politic#ki Teror u Krvatskoj 1918.-1935., Zagreb, 2002; BIONDICH, Stjepan Radic!, the Croat Paesant Party, and the Politics of Mass Mobilization, 1904-1928, cit.; PIRJEVEC, Il giorno di San Vito, cit. 198 Un’analisi approfondita del movimento contadino croato in BIONDICH, Stjepan Radic!, the Croat Paesant Party, and the Politics of Mass Mobilization, 1904-1928, cit. Si vedano anche: BANAC, The National Question, cit.; JANJATOVIC!, Politic#ki Teror u Krvatskoj, cit., p. 145 e ss. 198 BANAC, The National Question, cit., p. 328 e ss. 199 CACCAMO, L’Italia e la “Nuova Europa”, cit., p. 162. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 185 ritaria nelle campagne croate e dalmate, specialmente in Croazia e Slavonia, a Spalato, dopo la guerra, il partito socialista si era consolidato come principale gruppo d’opposizione al nuovo Stato. Il socialismo spalatino, di tendenza filo-bolscevica, aveva la sua base sociale fra gli agricoltori, i marinai e gli operai delle fabbriche di cemento, e, a causa della popolazione multietnica della città, era un partito italo-slavo, anche se fedele alle direttive del partito socialista croato di Zagabria: fra i suoi capi vi era un italiano, il sarto Giacomo Gabrich200. La forza del partito socialista a Spalato si evidenziò pubblicamente con il grande sciopero organizzato il 1° maggio 1919. Così il comandante Menini, a capo della nave Puglia di stanza a Spalato, descrisse la manifestazione: Questa mattina alle 8, sulla Riva Vecchia, si sono raccolte parecchie migliaia di lavoratori e di contadini organizzati. Capitanati dal capo socialista Domazet, hanno formato un lungo corteo, di circa 4.000 persone; il corteo ha sfilato per due volte in tutte le vie e le piazze della città, cantando l’Internazionale, e alternando i cori con grida di: «Viva il bolscevismo! Viva la Russia! Viva l’Internazionale operaia! Viva l’Austria!». Quest’ultimo, curiosissimo evviva, era emesso in segno di protesta verso il Governo locale, il quale, secondo i socialisti, si dimostra molto meno liberale di quello austriaco. […] Durante tutta la giornata, la chiusura degli opifici, dei pubblici ritrovi, dei negozi, è stata assoluta. Hanno scioperato persino i tipografi, i ferrovieri ed i gazisti201. Le proteste del 1° maggio crearono grande nervosismo nel governo serbo, che mobilitò l’esercito in stato di guerra e procedette all’arresto dei capi socialisti spalatini202. L’ascesa politica dei repubblicani contadini e dei socialisti era la dimostrazione che la guerra aveva sconvolto 200 Per alcune informazioni sul socialismo filocomunista in Dalmazia e le sue origini: DINKO FORETIC!, Radnic#ki pokret u Dalmaciji od 1870. do Kongresa Ujedinjenja 1919., Split, 1970, estratto; ID., Pregled socijalistic#ke s#tampe u Dalmaciji, Istri i Rijeci do 1919, Zadar, 1972, estratto; ID., Dokumenti o radnic#kom pokretu u Dalmaciji izmedu¤ 1900.-1913., Zagreb, 1959; ENNIO MASERATI, Attività anarchica in Dalmazia nel primo Novecento, «Clio», 1982, n. 1, pp. 108-121; JANJATOVIC!, Politic#ki Teror u Krvatskoj, cit., p. 179 e ss.; IVO BANAC, With Tito against Stalin: Cominformist Splits in Yugoslav Communism, Ithaca-London, 1988. 201 AM, archivio di base, c. 1444, Menini a Millo, 1° maggio 1919. Fra il 1919 e il 1920 il comandante della nave Puglia inviò quotidianamente una relazione al governatore della Dalmazia sulla situazione politica spalatina; questi rapporti sono una fonte interessante sulla storia di Spalato nel primo dopoguerra. Una raccolta quasi completa di queste relazioni è conservata in AM, archivio di base, c. 1420, 1421, 1422. 202 AM, archivio di base, c. 1444, Menini a Millo, 2 maggio 1919. Si veda anche JANJATOVIC!, Politic#ki Teror u Krvatskoj, cit., p. 181. 186 LUCIANO MONZALI gli equilibri politici della Dalmazia, mettendo in crisi il vecchio nazionalismo croato iugoslavo dalmata capeggiato da Trumbic!, Tartaglia203 e Smodlaka. I capi nazionalisti iugoslavi, appartenenti ai ceti borghesi ed aristocratici cittadini, che avevano dominato la provincia in epoca asburgica ed avevano sostenuto con convinzione l’alleanza con i serbi e poi la costituzione di uno Stato iugoslavo unitario, dopo la guerra persero rapidamente peso politico e divennero un elemento secondario della politica dalmata, o alleati minori dei contadini e dei pravas#i antiserbi o collaborazionisti del governo serbo di Belgrado204. Da parte degli italiani spalatini vi era la speranza che l’ascesa dei socialisti, gruppo politico d’ispirazione internazionalista, favorisse la loro causa. Anche Menini, che coltivò rapporti con alcuni esponenti socialisti locali205, vedeva con favore la crescita della forza socialista. Commentando la manifestazione del 1° maggio, scrisse: Notevolissimo il fatto che, in tutta la dimostrazione, non fu emesso un solo grido contro l’Italia, il che prova quanto è stato detto più volte circa la muta solidarietà dei socialisti con l’Italia. Il giorno in cui dovessimo occupare la città potremmo in modo assoluto contare su di essi, o perlomeno sulla loro neutralità in fatto di questioni nazionali. Se poi queste masse fossero da noi intelligentemente conquistate, dando loro lavoro e facendole guidare da qualcuno dei capi del socialismo riformista italiano, troveremmo in esse una grande forza per combattere il possibile irredentismo jugoslavo a Spalato206. In realtà l’ufficiale italiano interpretava in modo superficiale gli orientamenti del socialismo dalmata, caratterizzato da un’ideologia nazionale iugoslava e fortemente massimalista e filo-bolscevica. La composizione multietnica dei ceti popolari spalatini e l’esistenza di una tradizione socialista di matrice autonomista e italofila, quindi, non spingevano il socialismo filobolscevico locale ad assumere posizioni politiche favorevoli ai dalmati italiani e all’Italia. È interessante notare che il governo iugoslavo invocò presunte collusioni con l’Italia per giustificare la dura repressione anti-socialista, che portò nella primavera del 1920 a nuovi numerosi arresti di militanti e allo scioglimen203 Sulla figura di Ivo Tartaglia, sindaco di Spalato fra il 1918 e il 1928 si veda la biografia apologetica di NORKA MACHIEDO MLADINIC!, Životni put Ive Tartaglia, Split, 2001. 204 Al riguardo le analisi di BIONDICH, op. cit., p. 150 e ss. e di BANAC, The National Question in Yugoslavia, cit., p. 141 e ss. 205 AM, archivio di base, c. 1422, Menini a Millo, 26 marzo 1919. 206 Menini a Millo, 1° maggio 1919, cit. TRA NITTI E D’ANNUNZIO 187 to delle organizzazioni socialiste207. Di fatto la crisi di consensi dello Stato iugoslavo nella primavera e nell’estate 1919, motivata anche dalla dura recessione economica e dall’applicazione della leva obbligatoria che imponeva ai giovani dalmati di prestare servizio militare fuori dalla propria provincia, aumentò le simpatie di parte della popolazione della Dalmazia iugoslava verso l’Italia, considerato uno Stato più evoluto e liberale rispetto alla Serbia. Pure i rapporti fra gli italiani locali e il resto della popolazione migliorarono. Il 10 settembre 1919, due giorni prima della spedizione di D’Annunzio a Fiume, Menini descrisse la situazione a Spalato in termini ottimistici. La situazione nostra a Spalato continua a migliorare con grande rapidità. […] Gli italiani e croati, con una tranquillità che sorprende, attendono, senza troppo orgasmo, le decisioni del Congresso di Parigi qualunque esse siano. Intanto scompare ogni giorno di più la barriera che divideva gli italiani dai croati, tanto che ora i nostri cominciano a frequentare il famoso Caffè Troccoli, ed alla sera, nell’affollato passeggio lungo la marina, non si sente parlare che in italiano. […] I nostri connazionali, d’altra parte, vivono ora in un ambiente di perfetta tranquillità, non vengono molestati né offesi, ricevono liberamente i permessi di viaggio per recarsi quando vogliono nei territori occupati o magari in Italia. Il numero dei soci della «Società Operaia» è in continuo aumento e le iscrizioni alla «Cooperativa Italiana di Consumo» superano le più rosee aspettative208. La spedizione dannunziana a Fiume e il conseguente tentativo di occupare Traù rigettarono la regione di Spalato nell’agitazione e riacutizzarono le tensioni nazionali209. Abbandonando la prudenza seguita nei riguardi dell’elemento italiano fino a quel momento, il governo serbo usò lo spauracchio di una possibile spedizione dannunziana a Spalato per rinfocolare i sentimenti anti-italiani della popolazione, cercando soprattutto di strumentalizzare le comunità di profughi provenienti da Sebenico, Zara e dalle isole occupate. Come abbiamo già visto, le immediate conseguenze dell’occupazione di Traù furono una dura repressione anti-italiana e la ripresa degli atti teppistici contro la minoranza. Le violenze xenofobe e gli atti teppistici contro individui e istituzioni italiane proseguirono per tutto l’autunno e l’inverno. Il 5 207 Al riguardo: «L’Idea Nazionale», 10 luglio 1920, Patriotti italiani e socialisti di Spalato accomunati dagli jugoslavi nella feroce repressione. 208 AM, archivio di base, c. 1421, Menini a Millo, 10 settembre 1919. 209 AM, archivio di base, c. 1420, Menini a Millo, 21 settembre 1919. 188 LUCIANO MONZALI ottobre gruppi di teppisti aggredirono Giacomo Marcocchia, uno dei principali intellettuali italiani della città210. Sempre in quei giorni, per timore d’incidenti, fu chiuso il Caffè Nani, centro di raduno degli italiani spalatini, e vennero danneggiate le sedi di alcune istituzioni italiane211. A fine novembre furono colpiti a bastonate due capi del Fascio Nazionale Italiano, Leonardo Pezzoli e Ernesto Illich212. Il tutto veniva tollerato dalle autorità iugoslave: di fatto il governo di Belgrado, a parere di Menini, aveva esautorato le autorità provinciali e municipali guidate dai dalmati Krstelj e Tartaglia, e aveva instaurato a Spalato un governo militare diretto dal generale serbo Milic!213. Le continue violenze contro l’elemento italiano indussero il Fascio Nazionale Italiano spalatino e Ercolano Salvi a fare pressioni sul governo di Roma perché rafforzasse la propria presenza navale a Spalato. Ma il governo, timoroso di fare aumentare la tensione con Belgrado, già ostile alla permanenza della Puglia nel porto della città, preferì non accogliere le richieste degli italiani spalatini214. Culmine delle violenze anti-italiane a Spalato furono gli incidenti del 27 gennaio 1920 215. Nel pieno dell’agitazione provocata dai negoziati adriatici a Parigi e dall’invio dell’ultimatum alleato a Belgrado circa l’assetto dei confini, venne organizzata nella principale piazza di Spalato una manifestazione nazionalista iugoslava di protesta contro l’imperialismo italiano e la protervia delle grandi potenze. Alla fine della manifestazione in piazza, la folla, composta in gran parte da profughi, si riversò per la città lanciandosi in atti teppistici anti-italiani. Il Gabinetto di Lettura fu oggetto di una sassaiola, mentre le sedi della Società Operaia e del Consorzio di consumo italiano «Unione Cooperativa» furono invase dai dimostranti, armati di rivoltelle, e distrutte. In seguito le ire dei dimostranti si rivolsero, come ormai consuetudine, contro i negozi italiani. Oltre venti negozi vennero assaliti spezzandone ed asportandone le inse- 210 AM, archivio di base, c. 1420, Menini a Millo, 6 ottobre 1919. archivio di base, c. 1420, Menini a Millo, 8 ottobre 1919. 212 AM, archivio di base, c. 1420, Menini a Millo, 29 novembre 1919. 213 AM, archivio di base, c. 1421, Menini a Millo, 1° dicembre 1919. 214 AM, archivio di base, c. 1444, Sechi a Salvi, dicembre 1919; ibidem, Sechi a presidente del Consiglio, dicembre 1919; «L’Idea Nazionale», 7 febbraio 1920, Una nobile protesta dalmata. 215 Per una descrizione degli incidenti del 27 gennaio 1920: AM, archivio di base, c. 1536, Menini a Millo, 31 gennaio 1920; AM, archivio di base, c. 1444, Millo a Presidenza del Consiglio, Gabinetto del Ministero della Marina, Ufficio del capo di stato maggiore della Marina, Ministero della Guerra e Ministero degli Esteri, 30 gennaio 1920. 211 AM, TRA NITTI E D’ANNUNZIO 189 gne con scritte italiane, sfondandone le saracinesche, rompendone le vetrate e penetrandovi nell’interno commettendovi atti vandalici e di distruzione216. Millo riferì che gli incidenti erano stati premeditati e tollerati dal governo serbo, con distribuzioni di armi, bastoni e piccozze per potere procedere alla distruzione delle insegne italiane dei negozi: Da parte delle Autorità militari e politiche di Spalato nulla era stato predisposto per prevenire i disordini e nulla fu fatto per reprimerli, né durante lo svolgersi della dimostrazione vennero usate repressioni da chi doveva tutelare l’ordine pubblico, né vennero praticati arresti. Le Società italiane, che, ormai è noto, sono la meta di ogni dimostrazione di carattere politico, che sono site nel centro della città, vennero lasciate senza alcuna tutela, e la forza pubblica compariva nei pressi delle Società stesse e dei negozi attaccati soltanto dopo che gli eccessi di violenza erano stati consumati217. Gli incidenti del gennaio 1920 confermavano che le popolazioni italiane della Dalmazia iugoslava, in particolare quelle di Spalato dove vi era la comunità più numerosa ed organizzata, pagavano il prezzo più alto per l’esplodere della rivalità politica fra Italia e Stato iugoslavo: sostanzialmente indifese, erano le vittime predestinate dei periodici peggioramenti delle relazioni italo-iugoslave e delle manipolazioni politiche del governo di Belgrado, che amava periodicamente alimentare la xenofobia anti-italiana per cercare di conquistare il consenso di parte dell’opinione pubblica dalmata croata. La tensione nazionale continuò a Spalato anche nei mesi successivi, per poi riesplodere nel luglio 1920. L’11 luglio, a causa di alcuni incidenti che coinvolsero marinai e ufficiali italiani e dimostranti nazionalisti iugoslavi, il comandante Gulli, successore di Menini a capo della nave Puglia, si recò verso la banchina del porto. Scoppiata una bomba a petardo sulla banchina occupata dai dimostranti, i soldati serbi e un marinaio italiano spararono. La sparatoria all’impazzata uccise il motorista Aldo Rossi e ferì gravemente il sottocapo meccanico Pavone e lo stesso Gulli. Questi morì nella mattinata del 12 dopo aver subito un’operazione chirurgica218. In Italia, in reazione agli incidenti di Spalato, furono orga216 Millo a Presidenza del Consiglio, Gabinetto del Ministero della Marina, Ufficio del capo di stato maggiore della Marina, Ministero della Guerra e Ministero degli Esteri, 30 gennaio 1920, cit. 217 Ibidem. 218 Vi sono versioni contrastanti sugli incidenti di Spalato dell’11 luglio 1920. La ver- 190 LUCIANO MONZALI nizzate dal movimento fascista manifestazioni di protesta, che a Trieste provocarono gravi disordini. Prendendo ad esempio le azioni dei nazionalisti estremisti iugoslavi di Spalato e sfruttando lo scoppio di incidenti intorno all’Hotel Balkan, i fascisti triestini procedettero alla distruzione delle sedi di varie istituzioni culturali e politiche slovene, croate e serbe, di una filiale della Banca Adriatica e di alcune abitazioni private di cittadini iugoslavi presenti nella città giuliana219. Atti vandalici e distruzioni di scuole ed istituzioni culturali croate e serbe ebbero luogo in quei giorni anche a Pola, Zara e Fiume220. Gli eventi del luglio 1920 in Dalmazia e Venezia Giulia preannunciavano tempi difficili per le minoranze nazionali nell’Adriatico orientale, prime vittime della lotta di potenza fra gli Stati e del diffondersi d’ideologie nazionaliste estremiste ed intolleranti fra le popolazioni di quelle terre. L’esasperazione dei nazionalismi era favorita dalle conseguenze di una crudele guerra mondiale e dalla recessione economica che, con brevi pause, sarebbe durata tutto il periodo fra le due guerre mondiali; ma ad aggravare le lotte nazionali contribuì la volontà di alcune forze e istituzioni politiche e militari (il governo serbo, i nazionalisti iugoslavi estremisti, il fascismo italiano) di strumentalizzare e radicalizzare i sentimenti nazionali per trarne guadagni politici. sione italiana in: AM, archivio di base, c. 1444, relazione del capitano di corvetta Pierallini; ASMAE, AP 1919-30, Iugoslavia, b. 1305, Contarini a Legazione italiana a Belgrado, 17 luglio 1920. Una versione iugoslava degli eventi in «Novo Doba», 13 luglio 1920. Sul resoconto britannico degli incidenti di Spalato: BDFA, II, F, 4, Young a Curzon, 17 luglio 1920, dd. 183, 184. Sugli eventi del luglio 1920 a Spalato: MENINI, op. cit., p. 201 e ss.; GUIDO CALBIANI, Tommaso Gulli – Aldo Rossi Spalato 11 luglio 1920. Un cinquantennio, «La Rivista Dalmatica», 1970, estratto; CLAUDIO SILVESTRI, Documenti americani sui “Fatti di Spalato” del luglio 1920, «Il movimento di liberazione in Italia», 1969, n. 94, p. 62 e ss. Per la versione iugoslava: MILICA KACIN WOHINZ, L’incendio del Narodni dom a Trieste, in ID., Vivere al confine. Sloveni e Italiani negli anni 1918-1941, Gorizia, 2004, p. 81. 219 Sugli incidenti di Trieste nel luglio 1920: ASMAE, AP 1919-1930, Iugoslavia, b. 1305, Crispo Moncada al presidente del Consiglio, 14 luglio 1920; ibidem, Contarini alle Legazioni italiane di Praga e Belgrado, 20 luglio 1920; ibidem, Direzione della Banca Adriatica a Salata, 20 luglio 1920; ibidem, Comunità serbo-orientale di Trieste all’Ufficio centrale per le Nuove Provincie, 4 agosto 1920; CLAUDIO SILVESTRI, Storia del Fascio di Trieste dalle origini alla conquista del potere (1919-1922), in AUTORI VARI, Fascismo-Guerra-Resistenza. Lotte politiche e sociali nel Friuli-Venezia Giulia 1918-1945, Trieste, 1969, p. 43 e ss.; DENNISON I. RUSINOW, Italy’s Austrian Heritage 1919- 1946, Oxford, 1969, p. 101 e ss.; ELIO APIH, Italia, Fascismo e Antifascismo nella Venezia Giulia 1918-1943, Bari, 1966. 220 ASMAE, AP 1919-1930, Iugoslavia, b. 1305, Millo a Presidenza del Consiglio, 16 luglio 1920; ibidem, Crispo Moncada a Presidenza del Consiglio e Ufficio centrale per le Nuove Provincie, 16 luglio 1920. III IL TRATTATO DI RAPALLO E IL PRIMO ESODO ITALIANO DALLA DALMAZIA 3.1. Giolitti, Sforza e la genesi del trattato di Rapallo Il 15 giugno 1920 Giovanni Giolitti costituì un nuovo esecutivo, che sancì il suo ritorno ai vertici governativi dopo gli anni difficili della guerra mondiale, durante i quali l’essersi schierato contro l’intervento dell’Italia a fianco dell’Intesa gli era costato un sostanziale isolamento politico1. Terminata la guerra ed evidenziatasi la crisi diplomatica italiana alle trattative di Parigi, che aveva indebolito i suoi vecchi avversari Sonnino e Salandra, Giolitti era lentamente tornato a svolgere un ruolo politico attivo. In occasione delle elezioni parlamentari del novembre 1919, il politico piemontese si ricandidò e presentò il suo programma politico con un discorso pronunziato a Dronero il 12 ottobre2, nel quale, dopo aver difeso il suo operato negli anni 1914-15 ed attaccato il governo Orlando-Sonnino, enunciò le sue idee sulla questione adriatica. A parere di Giolitti, era stato un grave errore non rivendicare nel patto di Londra l’unione di Fiume all’Italia. Bisognava fare di tutto per garantire al Paese frontiere sicure: per lo statista piemontese, ciò significava assicurare all’Italia confini naturali sulle Alpi, che avrebbero consentito allo Stato italiano di perseguire una politica militare di esclusiva difesa3. Per Giolitti, insomma, obiettivi cruciali da raggiungere erano l’unione di Fiume all’Italia e il raggiungimento di un confine forte strategicamente in Venezia Giulia. Verosimilmente egli concepiva il confine strategico esistente fra 1 Sul nuovo governo Giolitti nel 1920: NINO VALERI, Giovanni Giolitti, Torino, 1971, p. 287 e ss.; CARLO VALLAURI, Il ritorno al potere di Giolitti nel 1920, «Storia e Politica», 1963, p. 78 e ss.; GABRIELLA FANELLO MARCUCCI, Luigi Sturzo. Vita e battaglie per la libertà del fondatore del Partito Popolare italiano, Milano, 2004, p. 65 e ss. 2 GIOVANNI GIOLITTI, Discorsi extraparlamentari, Torino, 1952, p. 294 e ss. 3 Ivi, pp. 304-305, 316-317. 192 LUCIANO MONZALI Italia e Francia, con il displuvio alpino quale frontiera prevalente, come modello da applicare in Venezia Giulia. La Dalmazia, invece, era un elemento secondario, da sacrificare per ottenere importanti concessioni nella regione giulia. Fin dal 1918 il politico piemontese si era dichiarato ostile all’annessione della Dalmazia: […] Io sono pure persuaso – dichiarò Giolitti al suo confidente Malagodi – che l’annessione della Dalmazia sarebbe un errore, e ci darebbe le peggiori preoccupazioni per l’avvenire. Sarebbe un errore di politica estera, nel senso che non si può pretendere di escludere dal mare un continente occupandone l’orlo della costa; e che si ripercoterebbe anche nella politica interna. Il popolo ha sostenuto i sacrifizi della guerra con la speranza che fosse l’ultima, o che almeno avesse l’effetto di disarmare il militarismo; e ci sarebbe quindi una violenta reazione popolare contro condizioni di pace che ci obbligassero a stare in armi ed a fare guardia alle nostre frontiere peggio di prima4. Il politico piemontese chiamò a guidare il Ministero degli Esteri un giovane diplomatico, Carlo Sforza, che aveva avuto occasione di conoscere ed apprezzare nei mesi precedenti mentre costui svolgeva l’incarico di sottosegretario alla Consulta. Giolitti nominò Sforza perché constatò che il diplomatico toscano condivideva la sua visione della questione adriatica; inoltre desiderava porre alla guida della politica estera italiana un uomo che era stato un convinto interventista ed era bene accetto alla Francia e alla Gran Bretagna. Molto abilmente Sforza aveva sfruttato l’incarico di sottosegretario per farsi conoscere negli ambienti politici romani e costruirsi una base di potere al Ministero, dove, grazie alle lunghe assenze dei ministri titolari, impegnati alla Conferenza della pace e nelle tante conferenze interalleate, aveva svolto un importante ruolo di guida dell’apparato diplomatico centrale5. Il diplomatico era entrato ben presto in stretti rapporti con 4 MALAGODI, Conversazioni della Guerra, cit., II, p. 457. Sulla biografia di Sforza: CARLO SFORZA, L’Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Roma, 1944; ID., Jugoslavia. Storia e ricordi, cit.; ID., Pensiero e azione di una politica estera italiana. Discorsi e scritti, Bari, 1924; ID., Dalle pagine del diario. Il periodo prefascista, «Nuova Antologia», 1967 fasc. 2004 p. 447 e ss., 1968 fasc. 2005 p. 47 e ss.; LIVIO ZENO, Carlo Sforza. Ritratto di un grande diplomatico, Firenze, 1999; MARIA GRAZIA MELCHIONNI, La politica estera di Carlo Sforza nel 1920-21, «Rivista di Studi politici internazionali», 1969, pp. 537-570; ID., La convenzione antiasburgica del 12 novembre 1920, «Storia e Politica», 1972, pp. 224-264, 374-417; MICHELETTA, op. cit., I, p. 191 e ss.; GIANCARLO GIORDANO, Carlo Sforza. I. La diplomazia 1896-1921, Milano, 1987; ID., Carlo Sforza. II. La politica 19225 IL TRATTATO DI RAPALLO 193 l’ambasciatore francese a Roma, Camille Barrère, per divenire il punto di riferimento politico di coloro che in seno al Ministero degli Affari Esteri erano critici verso la germanofilia e l’anglofilia di Nitti e propugnavano un deciso miglioramento dei rapporti con la Francia. Nel consolidamento della posizione di Sforza fu fondamentale la nomina di Salvatore Contarini a segretario generale del Ministero degli Esteri nel gennaio 19206. Erede della tradizione diplomatica italiana anti-asburgica, nei decenni passati incarnata da Giuseppe Tornielli e Giulio Prinetti, e politicamente un nazionalista liberaldemocratico, Sforza era favorevole alla creazione di Stati nazionali in Europa centrale e balcanica e nel Mediterraneo orientale7. Egli vedeva nel sostegno italiano a questi nuovi Stati nazionali lo strumento per l’affermazione dell’egemonia politica ed economica dell’Italia nell’Europa centrale ed orientale. Era questa un’idea che espresse con sincerità a Giolitti: «I Balcani debbono esser le nostre vere colonie, ma trattati da eguali»8. Sforza giudicava necessario un confine orientale coincidente con le frontiere naturali alpine e il controllo di alcune isole dalmate, e riteneva che su queste basi un compromesso adriatico fosse raggiungibile. Buon conoscitore delle terre ex-asburgiche e dei Balcani (era stato diplomati1952, Milano, 1992; BARBARA BRACCO, Carlo Sforza e la questione adriatica. Politica estera e opinione pubblica nell’ultimo governo Giolitti, Milano, 1998; ALESSANDRO BROGI, Il trattato di Rapallo del 1920 e la politica danubiano-balcanica di Carlo Sforza, «Storia delle Relazioni Internazionali», 1989, n. 1, p. 3 e ss.; PIETRO QUARONI, Il mondo di un ambasciatore, Milano, 1965, p. 315 e ss. 6 Barrère commentò la nomina di Contarini in termini entusiastici, notando che per la prima volta da 25 anni gli uffici della Consulta sarebbero stati diretti da un uomo che era un amico devoto della Francia e incline ad un’intesa stretta ed intima con Parigi piuttosto che con Londra (AMAF, Afrique 1918-1940, Questions générales, vol. 185, Barrère al ministro degli Esteri, 8 gennaio 1920). Per l’ambasciatore francese, Contarini desiderava un’intesa con il Regno SHS e il miglioramento dei rapporti con Romania e Grecia; la sua elezione a segretario generale era stata dovuta allo stretto rapporto con Sforza, sottosegretario agli Esteri: «Il s’entend parfaitement d’ailleurs avec le Comte Sforza dont les idées se confondent avec les siennes, dont il est l’intime ami et qui a puissament contribuer à le porter au premier poste de la Consulta» (ibidem). Riguardo al ruolo di Barrère in quegli anni: ENRICO SERRA, Camille Barrère e l’intesa italo-francese, Milano, 1950, p. 343 e ss. A proposito della vita e carriera di Salvatore Contarini: LEGATUS [ROBERTO CANTALUPO], Vita diplomatica di Salvatore Contarini (Italia tra Inghilterra e Russia), Roma, 1947; La formazione della diplomazia nazionale (1861-1915). Repertorio bio-bibliografico dei funzionari del Ministero degli Affari Esteri, Roma, 1987, pp. 207-208. 7 Sul favore di Sforza verso il movimento nazionalista turco kemalista: MICHELETTA, op. cit., I; FABIO L. GRASSI, L’Italia e la questione turca (1919-1923). Opinione pubblica e politica estera, Torino, 1996. 8 SFORZA, Dalle pagine di diario. Il periodo prefascista, cit. p. 59. 194 LUCIANO MONZALI co nell’Impero asburgico e presso il governo serbo in esilio a Corfù), egli era consapevole delle divisioni esistenti in seno al nuovo Stato iugoslavo, e soprattutto della contrapposizione fra croati e serbi. Desiderava sfruttare politicamente queste divisioni e proprio per questo era stato favorevole alle iniziative secessioniste anti-iugoslave dei dannunziani, al fine di intimidire il governo di Belgrado. Circondato da Stati ostili e indebolito da forti lotte nazionali interne, il governo iugoslavo aveva interesse a migliorare i rapporti con Roma. A parere di Sforza, un accordo territoriale sarebbe stato possibile sfruttando le divisioni interne agli iugoslavi, puntando, in particolare, a convincere i serbi ad accettare il confine giuliano previsto dal patto di Londra e Fiume indipendente in cambio della rinuncia italiana a rivendicare il retroterra di Zara (abitato da una forte minoranza serba), il protettorato sull’Albania e la ricostituzione di un Montenegro indipendente. Su un piano più generale, Sforza aveva ben percepito gli errori della politica estera di Nitti, troppo ideologica ed astratta nel suo favore verso la Germania e nel suo fervore revisionista, ed era convinto della necessità di porre come base dell’azione internazionale dell’Italia un rapporto privilegiato con la Francia, l’unica grande potenza militare ed economica nell’Europa continentale all’inizio degli anni Venti. Una volta assicurata l’amicizia francese, l’Italia non aveva più nulla da temere dallo Stato iugoslavo, e il Regno SHS da potenziale minaccia diveniva uno strumento per la penetrazione italiana nell’Europa danubiana e balcanica. Molto più realista e uomo di governo di Nitti, Giolitti condivideva le idee di Sforza. Seppur in fondo desideroso di contrastare l’egemonia francese in Europa favorendo la ripresa politica ed economica della Germania9, il politico piemontese era consapevole dell’indispensabilità di buoni rapporti con Parigi. Presentando il nuovo governo alla Camera, il presidente del Consiglio ribadì di volere mantenere i «rapporti più intimi e più cordiali coi Popoli che furono nostri alleati e nostri associati in guerra» e di desiderare relazioni amichevoli con tutte le altre nazioni10. Riguardo alla Iugoslavia, Giolitti espresse l’auspicio di creare un rapporto di amicizia «con quella Na9 Sui rapporti italo-tedeschi nei primi anni Venti: JOSEF MUHR, Die deutsch-italienischen Beziehungen in der Ära des Ersten Weltkrieges (1914-1922), Göttingen, 1977; MARKUS DREIST, Die deutsch-italienischen Beziehungen im Spannungsfeld der europäischen Politik 1918-1934, Frankfurt, 2000; LÖNNE, Problemi ed aspetti della politica italiana nei confronti della Germania, cit. 10 GIOVANNI GIOLITTI, Discorsi parlamentari di Giovanni Giolitti, Roma, 1956, IV, p. 1749, Camera dei deputati, tornata del 24 giugno 1920. IL TRATTATO DI RAPALLO 195 zione», pur inviando una non troppo velata minaccia, che mostrava come il presidente del Consiglio fosse consapevole della difficile posizione iugoslava. Credo che l’interesse della Jugoslavia alla pace sia per lo meno non inferiore all’interesse che ha l’Italia. Noi ci troviamo con questo vicino, il quale ha intorno a sé una quantità di popoli che non sono suoi amici, e non credo che esso abbia interesse, in nessun modo, e sotto qualunque forma, di mettersi in conflitto con l’Italia11. Giolitti non si espresse in modo dettagliato sulle sue intenzioni circa il negoziato adriatico, a parte il convinto annuncio della volontà di non inviare più truppe in Albania e di sostenere l’indipendenza albanese12. Giolitti e Sforza, innanzitutto, si posero l’obiettivo di migliorare i rapporti con Londra e Parigi13 (dopo la crisi politica di Wilson gli unici possibili sostenitori di Belgrado sul piano internazionale), al fine di ottenere il consenso dei vecchi alleati circa le proprie idee sulla questione adriatica e di isolare diplomaticamente gli iugoslavi. Appena formato il governo, Giolitti – visto da molti come il germanofilo per antonomasia – ricevette gli ambasciatori francese e britannico presentandosi come desideroso di perseguire una politica di amicizia e collaborazione con Parigi e Londra. A Barrère, per anni suo feroce avversario, il presidente del Consiglio dichiarò che bisognava ormai pensare al presente e al futuro, cercando «ce qui nous rapproche et non ce qui nous diviserait»14. L’ambasciatore francese lo complimentò per la scelta di Sforza al Ministero degli Esteri e il presidente del Consiglio, che aveva voluto il diplomatico come ministro anche perché consapevole delle simpatie francesi per tale nomina, sottolineò che il suo collaboratore avrebbe guidato la politica estera italiana con pienezza di poteri15. All’ambasciatore britannico Buchanan, Giolitti con11 Ivi, IV, p. 1755, Camera dei deputati, tornata del 9 luglio 1920. Ibidem. 13 Sui primi contatti di Sforza con il governo di Parigi: DDF 1920, II, d. 109, Millerand a Barrère, 14 giugno 1920. 14 AMAF, Afrique 1918-1940, Questions générales, vol. 185, Barrère al ministro degli Esteri, 17 giugno 1920. 15 Ibidem. Sul favore francese alla nomina di Sforza: CHARLES-ROUX, Une grande Ambassade, cit., p. 130; MICHELETTA, op. cit., I, p. 193; DDF 1920, II, d. 146. Barrère rimase molto favorevole all’azione di Sforza: AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol. 79, Barrère al ministro degli Esteri, 9 agosto 1920. 12 196 LUCIANO MONZALI fessò di essere stato ostile alla partecipazione italiana al conflitto mondiale, ma di essere ormai convinto della necessità di una stretta collaborazione ed amicizia con le potenze dell’Intesa16. Nei mesi successivi, consapevole del momento cruciale a cui era giunta la politica estera italiana, lo statista s’impegnò per superare definitivamente i vecchi rancori con gli anglo-francesi. Giolitti decise d’incontrarsi personalmente con Lloyd George a Lucerna il 22 e il 23 agosto17. Oltre che a chiarire le direttive generali della politica estera dei due Paesi, l’incontrò servì a Giolitti per chiedere il sostegno britannico alla chiusura della questione adriatica nei termini desiderati dall’Italia. Egli ribadì il bisogno di ottenere il confine italo-iugoslavo sulla cresta delle Alpi Giulie, sia per ragioni strategiche che per soddisfare l’opinione pubblica, insoddisfatta di quanto ottenuto dopo la guerra. La diplomazia britannica, come abbiamo visto, aveva ostacolato i tentativi italiani di avere il confine del Monte Nevoso nel corso della Conferenza della Pace, ma Lloyd George, desideroso di mostrare la propria benevolenza all’Italia, promise di fare pressioni su Belgrado per facilitare l’accordo. Il 12 e il 13 settembre Giolitti si recò a Aix-les-Bains per incontrare il presidente del Consiglio francese, Millerand18. Anche con i francesi il presidente del Consiglio insistette per ottenere il loro sostegno alla chiusura del contenzioso italo-iugoslavo in termini favorevoli all’Italia. Secondo Giolitti, la linea Wilson e quella Nitti erano inaccettabili ed insoddisfacenti: l’Italia doveva rivendicare il confine sul Monte Nevoso per ragioni strategiche. In Dalmazia era pronto a grandi concessioni, ma non poteva disinteressarsi della sorte degli italiani di Zara; irrinunciabili per l’Italia erano le isole di Cherso, Unio, Lussin e Pelagosa19. Millerand si dimostrò disposto a sostenere le tesi italiane. Ed in effetti nei giorni successivi il governo di Parigi fece sapere a Belgrado di essere favorevole ad una sollecita conclusione della questione adriatica e al miglioramento dei rapporti italoiugoslavi20. Nei primi mesi di vita del nuovo ministero, Giolitti, Sforza e Ivanoe Bonomi (ministro della Guerra e personalità che svolse un ruolo atti16 DBFP, I, vol. 12, Buchanan a Curzon, 17 giugno 1920, d. 173; BDFA, II, F, 4, Buchanan a Curzon, 18 giugno 1920, d. 165. 17 DBFP, I, 8, dd. 87, 88, 89; GIOLITTI, Memorie, cit., II, p. 572 e ss.; MICHELETTA, op. cit., I, p. 230 e ss. 18 GIOLITTI, Memorie, cit., II, p. 576 e ss.; DDF 1920, II, dd. 212, 454. 19 DDF 1920, II, d. 454; GIOLITTI, Memorie, cit., II, p. 576. 20 LEDERER, op. cit., pp. 342-343; DDF 1920, II, d. 467. IL TRATTATO DI RAPALLO 197 vo nella politica estera italiana del 1920-21) si concentrarono soprattutto sulla dimensione albanese della questione adriatica. Il 28 giugno Giolitti e Sforza decisero d’inviare Aliotti, già rappresentante italiano in Albania prima della guerra mondiale, per aprire un negoziato con i capi albanesi in rivolta contro il corpo di occupazione italiano a Valona21. I negoziati, nei quali ebbe una parte di rilievo Ahmed bey Zogolli, produssero un protocollo d’intesa, il cosiddetto trattato di Tirana22. Con questo accordo l’Italia riconobbe l’indipendenza albanese e s’impegnò a ritirare le sue truppe da Valona e dal resto dell’Albania; gli albanesi, a loro volta, riconobbero all’Italia il diritto di occupare militarmente l’isolotto di Saseno, posto di fronte a Valona. La nuova politica albanese del governo Giolitti rafforzò la posizione internazionale dell’Italia ed inquietò non poco gli iugoslavi. L’11 agosto il principe reggente Alessandro non nascose al ministro plenipotenziario francese, Fontenay, la sua irritazione contro gli italiani. Per Alessandro, Giolitti era un politico pericoloso ed imprevedibile, che stava organizzando un vasto movimento nazionalista albanese contro la Serbia ed aveva rinnegato le proposte confinarie che l’Italia aveva presentato alla conferenza di Pallanza. Il timore iugoslavo era che il governo di Roma, abbandonata l’Albania, procedesse unilateralmente all’annessione dei territori adriatici occupati23. Realizzato il ritiro italiano dall’Albania, consapevole della crescente preoccupazione di Belgrado circa una possibile alleanza fra l’Italia e il nazionalismo albanese, il governo di Roma intensificò i contatti con gli iugoslavi. A metà agosto, uno stretto collaboratore di Sforza, Carlo Emanuele a Prato, s’incontrò con Trumbic! a Parigi e comunicò al ministro degli Esteri iugoslavo la disponibilità dell’Italia a riprendere in futuro i negoziati bilaterali sulla questione adriatica24. 21 Sulla politica albanese del governo Giolitti: PASTORELLI, L’Albania nella politica estera italiana, cit., p. 364 e ss.; VALLAURI, Il ritorno al potere di Giolitti, cit., pp. 78-81; ACS, Carte Bonomi, b. 2, Badoglio a Bonomi, 6 luglio 1920. A proposito delle vicende politiche dell’Albania in quegli anni: ANTONELLO BIAGINI, Storia dell’Albania, Milano, 1998; JOSEPH SWIRE, Albania: The Rise of a Kingdom, London, 1929; BERND J. FISCHER, King Zog and the Struggle for Stability in Albania, Boulder, 1984. 22 Sui negoziati che portarono all’accordo di Tirana: ACS, Carte Bonomi, b. 4, Aliotti a Sforza, 12 e 17 luglio 1920; PASTORELLI, L’Albania nella politica estera italiana, cit., p. 395 e ss. 23 DDF 1920, II, d. 344. Circa i timori iugoslavi di un irrigidimento dell’atteggiamento italiano nella questione adriatica: BDFA, II, F, 4, Young a Curzon, 10 giugno 1920 e 23 luglio 1920, dd. 162 e 187. 24 Sforza a Giolitti, 16 agosto 1920, in Dalle carte di Giovanni Giolitti. Quarant’anni di politica italiana, Milano, 1962, III, d. 305. 198 LUCIANO MONZALI Alla fine di agosto Sforza indicò agli iugoslavi quali erano le nuove posizioni negoziali italiane. Egli diede istruzioni a Galanti, incaricato d’affari a Belgrado, di fare sapere a Trumbic! che l’Italia riteneva di avere compiuto grandi concessioni politiche favorevoli alla Iugoslavia ritirandosi da Valona ed accettando di non annettere Fiume; tutto ciò dava al governo di Roma il diritto e il dovere «di non sacrificare delle garanzie militari quali il confine alpino ci assicura; per tutto il resto Trumbic! ci troverà conciliantissimi»25. La volontà italiana di migliorare i rapporti con Belgrado fu confermata dalla conclusione dell’accordo Trumbic!-Bertolini il 7 settembre 1920, che chiuse l’annosa questione della destinazione del naviglio mercantile ex asburgico26. Constatata la disponibilità iugoslava a riprendere i negoziati27, Sforza decise d’inviare a Belgrado una missione ufficiosa per spiegare ulteriormente agli iugoslavi le intenzioni italiane. Che la diplomazia italiana puntasse su un’intesa privilegiata con i serbi fu chiaro dalla scelta dell’inviato: Giuseppe Volpi, già animatore di iniziative imprenditoriali in Montenegro e console onorario serbo a Venezia, era molto conosciuto negli ambienti politici ed economici di Belgrado ed era noto per i suoi sentimenti amichevoli per la Serbia28. Giolitti e Sforza inviarono Volpi a Belgrado per spiegare le intenzioni italiane nella questione adriatica e per ottenere che, in occasione delle future trattative bilaterali in Italia, insieme al dalmata croato Trumbic! venisse un altro plenipotenziario «possibilmente un serbo e più precisamente Pasic»29. Fra la fine di settembre e l’inizio di ottobre Volpi ebbe una serie di colloqui con Trumbic! e Vesnic!, manifestando la volontà italiana di ottenere la frontiera strategica sul Monte Nevoso e l’indipendenza di Fiume e di Zara; in cambio l’Italia era pronta a chiudere definitivamente la questione montenegrina e a rispettare l’indipendenza dell’Albania30. Volpi ebbe la sensazione che il governo di Belgrado, in particolare i politici serbi, fosse desideroso di chiudere il contenzioso adriatico, pur manifestando resistenze sulle rivendicazioni italiane in Dalmazia. 25ACS, Carte Giolitti, b. 3, Sforza alla Legazione italiana di Belgrado, 31 agosto 1920. LEDERER, op. cit., pp. 340-341. 27 A proposito delle idee di Trumbic! sul negoziato con l’Italia: DDF 1920, II, d. 419. 28 ROMANO, Giuseppe Volpi, cit., p. 12 e ss. 29 LUCA RICCARDI (a cura di), Le trattative italo-jugoslave per il trattato di Rapallo nel diario di Francesco Salata (20 settembre-5 novembre 1920), «Storia contemporanea», 1996, n. 1, p. 129-149, citazione p. 139. 30 LEDERER, op. cit., pp. 343-344. 26 IL TRATTATO DI RAPALLO 199 Governo iugoslavo – Volpi riferì a Salata – ha interesse vivo regolare quistioni controverse con Italia: lo vuole tentare prima delle elezioni per la Costituente indette per la fine di novembre. Conviene appoggiarsi su serbi che danno a quistione adriatica peso molto minore. […] Per Dalmazia sembrano iugoslavi disposti a clausole favore per italiani e specialmente economiche, ma senza alcuna annessione né continentale né insulare. Ammetterebbero per Zara posizione autonomia ma fanno quistioni della conservazione loro uffici ed istituti. Restano sorpresi della nostra insistenza su Cherso31. In quei mesi Ziliotto, Ghiglianovich e i dirigenti dalmati si trovarono in una difficile posizione politica. A Zara e a Sebenico era forte l’influenza dei dannunziani ostili a qualsiasi rinuncia territoriale in Dalmazia e ad un negoziato con Belgrado: per i liberali nazionali era difficile sfidare apertamente tale orientamento, perché rischiava di metterli contro una parte rilevante della popolazione italiana. I capi liberali percepivano la pericolosità delle posizioni dannunziane che, rifiutando ogni negoziato e compromesso territoriale, rischiavano di compromettere la possibilità di garantire almeno l’annessione di Zara all’Italia. Ghiglianovich e Ziliotto avevano partecipato in prima persona ai lunghi negoziati italo-iugoslavi che si erano svolti nel corso del 1919-20: consapevoli del rischio, corso con il governo Nitti, di vedere la città ceduta allo Stato iugoslavo, essi ritenevano giustamente l’eventuale annessione di Zara all’Italia come un successo che avrebbe almeno salvato la città e il nucleo più importante dell’italianità dalmatica. La difficile situazione politica a Zara spiega l’ambiguità del comportamento di Ziliotto e dei capi liberali nazionali fra l’ottobre e il dicembre 1920. Pubblicamente Ziliotto, Krekich, Ghiglianovich e lo stesso Salvi, assecondarono le posizioni intransigenti dei dannunziani e dei nazionalisti. Il 13 ottobre, il Consiglio comunale e la Camera di commercio di Zara, nonché i rappresentanti dei Fasci Nazionali Italiani della Dalmazia inviarono al Senato e alla Camera un proclama che enunciò la loro indignazione «per le notizie che in rapporto ad un imminente convegno italo-iugoslavo attribuiscono ai rappresentanti del Governo Italiano proposito rinunzie esiziali della Dalmazia e delle isole occupate dalle truppe amministrate da funzionari di Italia e nettamente assegnate all’Italia come condizione essenziale della sua entrata in guerra»32. I Fasci Nazionali e l’amministrazione comunale 31 RICCARDI, Le trattative italo-jugoslave, 32 ASMAE, Carte Sforza, b. 6, Colonna a cit., p. 141. Sforza, 16 ottobre 1920, allegato. 200 LUCIANO MONZALI di Zara dichiararono di accettare esclusivamente l’applicazione immediata del Patto di Londra33. Contemporaneamente a queste plateali manifestazioni pubbliche i capi liberali nazionali, in maniera riservata, collaborarono con l’esecutivo nei negoziati italo-iugoslavi con l’obiettivo di ottenere l’annessione di Zara all’Italia. In seno al governo Francesco Salata era il punto di riferimento per i dalmati italiani. Il politico di Cherso lavorò strettamente con Sforza nella preparazione dei negoziati adriatici e si batté, d’intesa con Ziliotto, per convincere il governo di Roma a chiedere l’annessione di Zara all’Italia34. Nel corso del mese di ottobre Salata s’incontrò più volte con Ziliotto, Ghiglianovich e Salvi a Roma per studiare le richieste dei dalmati e le eventuali clausole da inserire nel futuro accordo con Belgrado. Ziliotto e Ghiglianovich chiesero che il governo insistesse per l’annessione italiana dell’intero capitanato distrettuale zaratino e, almeno, di alcune isole vicine a Zara35. Dal diario di Salata, sappiamo che Sforza si convinse della necessità d’insistere per ottenere l’annessione di Zara e dell’opportunità di pensare al futuro dei dalmati italiani che, dentro e fuori i territori occupati, sarebbero rimasti sotto la sovranità iugoslava36. A tal fine il governo riprese a riflettere su possibili forme di tutela della minoranza italiana. Problema importante da risolvere era la garanzia per i dalmati italiani di avere sia il diritto dell’opzione per la cittadinanza italiana sia quello di non mutare residenza. Il governo di Roma, in ogni caso, desiderava ottenere garanzie per la minoranza italiana in Dalmazia senza concedere nulla sul piano internazionale a tutela delle popolazioni croate, slovene e serbe che avrebbero fatto parte del Regno d’Italia37. Alla fine di ottobre Ziliotto fece pervenire a Sforza due promemoria, il primo dedicato alla tutela dei diritti degli italiani che sarebbero rimasti nella Dalmazia iugoslava, il secondo che trattava l’assetto territoriale di Zara in caso di annessione all’Italia38. Per gli italiani che sarebbero restati nello Stato iugoslavo, Ziliotto chie- 33 34 Ibidem. RICCARDI, Le trattative italo-iugoslave, cit., p. 145; ID., Francesco Salata, cit., p. 256 e ss. 35 RICCARDI, Le trattative italo-iugoslave, cit., p. 147. RICCARDI, Le trattative italo-iugoslave, cit., p. 145. 37 ASMAE, Carte Sforza, b. 7, RICCI BUSATTI, Protezione delle minoranze, 9 ottobre 1920. 38 Questi due memoriali di Ziliotto, Diritti degl’italiani che resteranno in Jugoslavia, e Zara, sono riprodotti in: KREKICH, L’opera amministrativa e politica di Luigi Ziliotto, cit., pp. 134-136; LUIGI ZILIOTTO, In difesa di Zara, prima e dopo Rapallo, «La Rivista dalmatica», 1982, n. 4, pp. 270-274. 36 IL TRATTATO DI RAPALLO 201 se il diritto di optare per la cittadinanza italiana con la facoltà di conservare la residenza in Iugoslavia, la possibilità di esercitare anche quelle professioni per le quali era richiesta la cittadinanza dello Stato e diritti elettorali attivi e passivi. Importanti, poi, erano i diritti d’istituire scuole italiane di qualunque grado, di essere esentati da tutte le imposte con le quali si sarebbero sostenute le spese scolastiche e di potere usare la lingua italiana presso qualunque autorità dello Stato iugoslavo, sia giudiziaria che amministrativa. Lo Stato iugoslavo, infine, avrebbe dovuto rispettare il diritto di riunione e di associazione delle collettività italiane e consentire agli italiani che si sarebbero trasferiti all’estero «di portar seco la propria sostanza mobile ed il ricavato di quella immobile esente da qualsiasi tassa, trattenute od altra limitazione»39. Nel promemoria su Zara, in linea di principio Ziliotto dichiarò di non concordare con la rinuncia ai confini dalmati previsti dal patto di Londra. Accettò, però, di ipotizzare possibili confini per il territorio di Zara italiana. Secondo il politico dalmata, la rinuncia a qualunque parte del capitanato distrettuale di Zara (comprendente i comuni di Zara, Zaravecchia, Pago, Arbe, Nona, Novegradi, Sale, Selve) avrebbe arrecato seri danni alla città. In caso di necessità si poteva considerare l’abbandono di Zaravecchia, Pago, Arbe, Novegradi e Selve; ma un limite invalicabile doveva essere l’annessione italiana dei comuni di Zara, Nona e Sale, con una popolazione complessiva di 52.000 abitanti. Ziliotto concludeva la memoria ricordando l’importanza di raggiungere intese per l’allacciamento di Zara alla linea ferroviaria Spalato-Knin40. Nel corso del mese di ottobre la posizione diplomatica iugoslava in campo internazionale peggiorò drammaticamente. Il 10 ottobre si tenne un plebiscito a Klagenfurt per decidere sulla futura appartenenza della città. Una chiara maggioranza votò a favore dell’appartenenza all’Austria, ma tale decisione non fu accettata dagli sloveni e dallo Stato iugoslavo, che reagirono con la forza occupando militarmente la Carinzia meridionale. L’atto di forza iugoslavo irritò le grandi potenze alleate, che inviarono un ultimatum a Belgrado intimando il ritiro e il rispetto dell’esito del plebiscito: per evitare un conflitto armato il governo iugoslavo obbedì e si ritirò da Klagen39 LUIGI ZILIOTTO, Diritti degl’italiani che resteranno in Jugoslavia, edito in ZILIOTTO, In difesa di Zara prima e dopo Rapallo, cit., pp. 271-272. 40 LUIGI ZILIOTTO, Zara, edito in ZILIOTTO, In difesa di Zara prima e dopo Rapallo, cit., pp. 272-273. 202 LUCIANO MONZALI furt41. Quest’incidente sembrò confermare la tesi italiana circa il carattere massimalista ed estremista delle pretese territoriali iugoslave. Ormai isolato in Europa, proprio in quelle settimane il governo iugoslavo perse il sostegno politico di quello che era stato il suo principale alleato fra il 1918 e il 1920, gli Stati Uniti. Nell’autunno 1920 l’indebolimento di Wilson divenne sempre più chiaro con la crisi del partito democratico e il potenziamento delle forze isolazioniste, ostili alla Società delle Nazioni e ad un attivo intervento americano nella politica europea. Non a caso l’esito delle elezioni presidenziali americane fu disastroso per i democratici, il cui candidato fu duramente sconfitto dal repubblicano Harding all’inizio di novembre42. In tale contesto internazionale e con una situazione interna sempre più difficile, il governo di Belgrado fu inevitabilmente costretto a considerare la possibilità di rinunce territoriali a favore dell’Italia. Da parte italiana, ci si rese conto che era giunto il momento per chiudere definitivamente il contenzioso con il Regno SHS. In ottobre Giolitti e Sforza comunicarono a Belgrado la loro disponibilità ad un incontro bilaterale decisivo, e a tal fine fu deciso di organizzare la conferenza italoiugoslava nella località ligure di Santa Margherita, vicino Rapallo. Come plenipotenziari italiani furono scelti Giolitti, Sforza e Bonomi. Il ministro della Guerra, socialista riformista già vicino a Bissolati, si mostrò riluttante a partecipare personalmente ai negoziati, temendo che un mancato accordo o una soluzione insoddisfacente della questione adriatica potessero suscitare forti critiche da parte dell’opinione pubblica italiana; subordinò, quindi, la sua partecipazione all’accettazione di alcune condizioni da parte di Giolitti. Secondo Bonomi, il programma territoriale italiano doveva consistere nel confine sul Monte Nevoso, nell’indipendenza dello Stato di Fiume e nell’annessione di Cherso e Lussino, e di Lissa e Lagosta (o almeno di uno di questi due sistemi insulari). Riguardo alla Dalmazia, il ministro della Guerra chiedeva la cessione delle isole e della Dalmazia continentale a favore della Iugoslavia, «rivendicando però l’indipendenza di Zara e [il] diritto agli italiani di Dalmazia di optare per la cittadinanza italiana conservando il loro domicilio e i loro beni»43. Qualora un accordo 41 LEDERER, op. cit., p. 344. 42 Al riguardo: DUROSELLE, De Wilson à Roosevelt, cit., p. 131 e ss. ACS, Carte Bonomi, b. 4, [IVANOE BONOMI], Mie condizioni per accettare ufficio di plenipotenziario, s.d. (ma verosimilmente 27 ottobre 1920). Al riguardo: RICCARDI, Francesco Salata, cit., p. 263. 43 IL TRATTATO DI RAPALLO 203 con gli iugoslavi non fosse possibile, occorreva procedere all’annessione dei territori della Venezia Giulia compresi nel patto di Londra, di Cherso e del gruppo di Lussino, riconoscere l’indipendenza di Fiume e mantenere l’occupazione della Dalmazia già sotto controllo italiano, con l’obiettivo di discuterne il futuro in connessione con Fiume. Le condizioni di Bonomi furono accettate e il ministro partecipò in prima persona ai negoziati in Liguria. Il 30 ottobre in una riunione alla Consulta, alla quale parteciparono Sforza, Bonomi, il ministro della Marina Sechi, il capo di stato maggiore dell’esercito Badoglio e quello della Marina, Acton, furono definite le posizioni negoziali della delegazione italiana. Salata, presente alla riunione, le riassunse così nel suo diario: Monte Nevoso, linea di confine verso nordovest (Idria tenere), contiguità territoriale con Fiume esclusa Castua (schizzi preparerà Badoglio) regime porto e ferrovie; ferrovia event[ualmente] da costruire Gottschee Delnice; Dalmazia, Sebenico, isole, concludendo con Zara e Nin od una isola (Lissa o Lagosta)44. Riguardo alla Dalmazia, quindi, il governo italiano pensava di iniziare il negoziato proponendo una linea confinaria massima, comprendente Zara, Sebenico e molte isole dalmate; nel corso delle trattative si era pronti a fare concessioni per arrivare almeno ad ottenere l’annessione di Zara e Nin/Nona o di un’isola, Lagosta o Lissa. I negoziati italo-iugoslavi ebbero inizio l’8 novembre 192045. Trumbic!, Vesnic! e Kos#ta Stojanovic!, ministro delle Finanze, erano i plenipotenziari della delegazione serbo-croato-slovena e condussero le trattative per il governo di Belgrado. Nel primo giorno dei negoziati Sforza dichiarò agli iugoslavi che l’Italia desiderava sinceramente raggiungere un accordo, che avrebbe apportato vantaggi politici ed economici ad entrambe le parti. I punti fondamentali delle richieste italiane erano il confine giuliano sul Monte Nevoso, la contiguità territoriale con Fiume e l’annessione di Zara46. Bonomi, a sua volta, sot- 44 RICCARDI, Le trattative italo-iugoslave, cit., p. 148; ID., Francesco Salata, cit., p. 264. Sui negoziati di Rapallo: SFORZA, Jugoslavia. Storia e ricordi, cit., p. 154 e ss.; MELCHIONNI, La politica estera di Carlo Sforza nel 1920-21, cit., p. 536 e ss.; LEDERER, op. cit., p. 350 e ss.; RICCARDI, Francesco Salata, cit., p. 264 e ss.; MARIO DASSOVICH, I molti problemi dell’Italia al confine orientale. I. Dall’armistizio di Cormons alla decadenza del patto Mussolini-Pasic! (1866-1929), Udine, 1989, p. 197 e ss.; ATTILIO TAMARO, Venti anni di storia, Roma, 1971, p. 96 e ss. 46 Sforza a Giolitti, 8 novembre 1920, in Dalle carte di Giovanni Giolitti, cit., III, d. 316. 45 204 LUCIANO MONZALI tolineò il carattere puramente difensivo dei confini richiesti. Da parte iugoslava si propose un confine giuliano sulla base della linea Wilson e si sottolineò l’importanza dell’intesa fra i due Paesi come baluardo anti-asburgico e anti-bolscevico. Sforza fece capire alla controparte che in caso di fallimento del negoziato l’Italia sarebbe ricorsa ad atti unilaterali per risolvere la questione adriatica. Da parte nostra sono state fatte allusioni chiare per quanto discrete a situazione interna ed estera che rendevaci non solo doverosa ma anche possibile soluzione problema con atti nostri, in caso di insuccesso trattative. Fu evidente impressione fatta su Yugoslavi da questo nostro atteggiamento47. In serata, privatamente, Sforza ebbe un lungo colloquio con Trumbic!, al quale intimò maggiore realismo e non troppo velate minacce, sfruttando la crescente fragilità interna dello Stato iugoslavo. Gli mostrai – riferì il ministro degli Esteri a Giolitti – come la loro resistenza per il Nevoso comprometteva le trattative e con esse non solo il nostro programma di intima intesa politica futura, ma forse anche le sorti stesse della Jugoslavia che continuerebbe essere insidiata da Ungheria, da Montenegro, ecc. Invece il trattato con noi sarebbe la consacrazione finale della sua improvvisa creazione48. Da parte sua Giolitti, ancora lontano da Rapallo, chiese alla delegazione d’insistere sulla linea della frontiera sul Monte Nevoso «come condizione assoluta accordo»49. Il 9 novembre la delegazione italiana specificò ulteriormente le sue proposte territoriali. L’Italia chiedeva il Monte Nevoso e la contiguità territoriale con Fiume, ma era pronta a rinunciare a Longatico e Castua a favore della Iugoslavia. Fiume doveva essere indipendente e Zara italiana; alle minoranze italiane dalmate doveva essere garantita un’adeguata protezione. Fra le isole adriatiche il governo di Roma chiedeva l’annessione di Cherso, Lussino e Lagosta, nonché di Lissa se non fossero state offerte garanzie scritte contro il carattere offensivo del porto di Sebenico. Come concessioni al Regno serbo-croato-sloveno venivano promessi accordi commerciali e trattati politici aventi il fine di garantire la Iugoslavia contro la re- 47 Ibidem. Carte Giolitti, b. 3, Sforza a Giolitti, 9 novembre 1920. 49 ASMAE, Carte Salata, b. 206, Giolitti a Sforza, 9 novembre 1920. 48 ACS, IL TRATTATO DI RAPALLO 205 staurazione degli Asburgo50. La sera del 9 Trumbic! comunicò la risposta della delegazione iugoslava. Gli iugoslavi accettavano di lasciare all’Italia il Monte Nevoso, ma chiedevano gran parte dell’Istria orientale e rifiutavano la contiguità fra Fiume e il territorio italiano. Trumbic! si dichiarò disposto a riconoscere l’indipendenza di Fiume, purché Porto Baros fosse annesso alla Iugoslavia. La delegazione SHS, invece, era intransigente circa la Dalmazia: gli iugoslavi chiedevano tutta la Dalmazia continentale e tutte le isole eccetto Lussino51. Giolitti confermò il suo disinteresse verso la Dalmazia, telegrafando, la mattina del 10, alla delegazione la direttiva di essere flessibili su Zara. Parmi molto difficile insistere su annessione all’Italia di Zara che non ha continuità con nostro territorio. Basterebbe sua indipendenza o autonomia. Spero in conclusione accordo52. In effetti la questione dalmatica si rivelò uno dei grandi nodi da sciogliere nel corso del negoziato. Sforza preferì insistere sulla richiesta dell’annessione di Zara, ma la delegazione italiana incontrò gravi resistenze nella definizione del territorio zaratino e delle garanzie per i dalmati italiani in Iugoslavia. Francesco Salata fu incaricato da Sforza di trattare la questione dalmatica nel corso dei negoziati e fu protagonista di serrati colloqui con lo spalatino Trumbic!. Salata cercò di battersi per ottenere il riconoscimento delle richieste dei dalmati italiani, come definite dai suoi amici Ziliotto e Ghiglianovich. Riguardo a Zara, fece pressioni perché venissero annessi all’Italia non solo la città, ma anche tutto il comune di Zara e varie isole circostanti, come Ugliano, Selve, Premuda, Melada; circa la minoranza nella Dalmazia iugoslava, si sforzò perché fosse riconosciuto il diritto degli italiani di optare per la cittadinanza italiana senza l’obbligo di cambiare la residenza e di abbandonare il territorio iugoslavo53. Trumbic! insistette perché l’Italia annettesse solo la città di Zara, senza i vari centri che costituivano il suo comune, ma per Salata il controllo dell’intero territorio comunale era irrinunciabile. 50 ACS, Carte Giolitti, b. 3, Sforza a Giolitti, 9 novembre 1920, tel. n. 272/4. Ibidem. 52 ASMAE, Carte Sforza, b. 7, Giolitti a Sforza, 10 novembre 1920. 53 ASMAE, Carte Sforza, b. 7, Intercettazione microfonica n. 4 (salotto jugoslavo), 9 novembre 1920. 51 206 LUCIANO MONZALI Se Zara dovesse essere amputata da un territorio più o meno ristretto, essa non potrebbe vivere. Una città non può esistere senza acqua, senza cimitero [manca]. Noi non possiamo acconsentire alla cessione di Zara, occorre che Zara italiana resti tale, perché a Zara non è possibile abbassare la nostra bandiera una volta innalzata54. In seno alla delegazione iugoslava la richiesta italiana di Zara suscitò irritazione, particolarmente nei dalmati croati e nei serbi. Per Trumbic!, Zara era «una città di piccoli negozianti, macellai ed altra gente minuta, che hanno tradito la loro lingua e nazionalità essendo tutti di origine slava». Ma il politico dalmata era pronto ad accettare l’ipotesi di Zara italiana: innanzitutto, perché con il tempo la Iugoslavia unitaria avrebbe potuto riconquistarla, essendo, a suo avviso, l’Italia uno Stato in decadenza; poi perché era urgente stabilizzare lo Stato unitario iugoslavo ed evitare pericolose avventure militari55. Il 10 novembre la delegazione italiana presentò un progetto di trattato che venne discusso con gli iugoslavi nel pomeriggio. Gli iugoslavi si erano ormai rassegnati al confine sul Monte Nevoso, ma insistettero per ottenere Porto Baros e resistettero alle richieste italiane in Dalmazia. Trumbic! propose che l’Italia annettesse solo la città di Zara «dentro le mura», oppure che accettasse la formula della città libera. La Iugoslavia non poteva accettare che il governo di Roma entrasse «nel cuore vivo della Dalmazia». L’Italia ha sempre sostenuto – rilevò il ministro dalmata – l’italianità di Zara e l’italianità riguarda solamente la città, non il comune. Non è da credere che Zara abbia bisogno del comune per vivere. Per vivere ha bisogno dell’intera Dalmazia. Colla nuova sistemazione Zara è destinata a perdere l’importanza che aveva prima come capitale della Dalmazia56. Sforza e Bonomi sostennero che Zara aveva bisogno di un piccolo hinterland per sopravvivere. Vi erano anche ragioni di politica interna che spingevano la delegazione italiana ad insistere su Zara. La nostra richiesta – rilevò Sforza – esclude ogni idea politica, ogni intenzione di mettere il naso negli affari della Dalmazia. Con la soluzione pro54 ASMAE, Carte Sforza, b. 7, Intercettazione microfonica n. 5 (salotto jugoslavo), 10 novembre 1920. Al riguardo anche RICCARDI, Francesco Salata, cit., p. 266. 55 Intercettazione microfonica n. 5 (salotto jugoslavo), 10 novembre 1920, cit. 56 ASMAE, Carte Sforza, b. 7, Convegno di Rapallo. Seduta del 10 novembre 1920. IL TRATTATO DI RAPALLO 207 posta da noi siamo sicuri che sapremo affrontare la campagna della stampa italiana che attaccherà certamente la Delegazione per la sua rinuncia sulla Dalmazia57. Nel progetto di trattato, la delegazione italiana affrontò anche il tema della protezione degli italiani nella Dalmazia iugoslava. In uno specifico articolo (il quinto, che nella versione finale del trattato sarebbe diventato il settimo) veniva ricordato il valore delle disposizioni del trattato di Saint Germain, a cui il governo di Belgrado aveva aderito il 5 dicembre 1919, e in aggiunta ad esso si stabiliva «con particolare riguardo ai cittadini di nazionalità italiana e agli interessi italiani in Dalmazia» una serie di garanzie58. Le concessioni di carattere economico in possesso di società o cittadini italiani sarebbero state riconosciute dal Regno SHS. I dalmati italiani avrebbero avuto il diritto di «stabilire, dirigere o controllare a proprie spese istituzioni sociali, di beneficienza e di culto, scuole o altri stabilimenti di educazione». Inoltre avrebbero potuto optare per la cittadinanza italiana senza l’obbligo di trasferire il proprio domicilio fuori dal territorio del Regno SHS, ed avrebbero goduto del diritto al libero uso della propria lingua e della propria religione. In un protocollo annesso al progetto si ipotizzava di garantire ai cittadini italiani l’esenzione da restrizioni od esclusioni circa l’esercizio delle arti, professioni, commerci e industrie che non fossero applicabili egualmente a tutti gli stranieri, nonché la protezione da tasse, oneri e imposte diverse da quelle applicate ai sudditi iugoslavi; infine si prevedeva la tutela di società di cui i cittadini italiani fossero soci per almeno un terzo59. La delegazione italiana, quindi, pensava ancora di assicurare forme di protezione sia per i dalmati italiani di cittadinanza iugoslava sia per i futuri optanti a favore della cittadinanza italiana. L’11 novembre Giolitti giunse a Santa Margherita e i negoziati entrarono nella loro fase finale. La questione dalmata rimase al centro delle trattative. La delegazione iugoslava chiese che fosse riconsiderata la questione di Lagosta, isola abitata in grande prevalenza da dalmati croati, ma Giolitti fu intransigente. 57 Ibidem. ACS, Carte Bonomi, b. 4, Testo non definitivo, s.d.: è una bozza del progetto di accordo presentato da Sforza e Bonomi alla delegazione iugoslava il 10 novembre 1920. 59 Ibidem. 58 208 LUCIANO MONZALI In Italia – dichiarò il presidente del Consiglio – esiste un gran fanatismo per la Dalmazia e per il Patto di Londra. Il Governo si agita tra grandi difficoltà: rinuncia alla parte della Dalmazia assegnataci, ma deve salvare tuttavia qualche cosa da non creare uno stato di animo tale che possa costituire un ostacolo alla riappacificazione con il Regno S.C.S.60. La delegazione iugoslava rifiutò anche di concedere un retroterra alla città di Zara, in caso di sua annessione all’Italia. Nel pomeriggio dell’11 Salata ribadì a Trumbic! che l’Italia chiedeva la sovranità su tutto il comune di Zara, comprese le isole di Selve, Premuda e Melada. Il comune di Zara aveva una propria configurazione storica che andava preservata; inoltre era un’unità economica e fisica che, per essere autosufficiente, doveva essere mantenuta integra61. Trumbic! si dimostrò intransigente al riguardo. Solo il centro storico di Zara era italiano e poteva passare all’Italia; il retroterra e le isole erano croate e lo Stato iugoslavo non poteva rinunciarvi. Il ministro spalatino vedeva nell’insistenza italiana su Zara una potenziale minaccia per il Regno iugoslavo. Io penso che l’Italia faccia un gioco con noi e che in Dalmazia voglia crearsi una testa di ponte. Zara sia italiana ma non il territorio62. Trumbic! si dichiarò pure ostile alla richiesta di garanzie giuridiche specifiche per gli italiani della Dalmazia iugoslava e che questi potessero optare per la cittadinanza italiana: essi erano cittadini iugoslavi di nazionalità italiana e avrebbero goduto dei diritti previsti per tutte le altre minoranze in Iugoslavia63. Per la delegazione iugoslava la concessione di particolari diritti culturali, scolastici ed economici alla minoranza italiana in Dalmazia era un mezzo su cui puntava l’Italia per sviluppare la sua influenza nella regione e affermare la propria egemonia. Il fatto, poi, che il Regno SHS assumesse formalmente impegni unilaterali verso la minoranza italiana senza che l’Italia facesse altrettanto per le popolazioni slovene, croate e serbe presenti nel proprio territorio, era considerato qualcosa di umiliante, che riduceva lo 60 ASMAE, Carte Sforza, b. 7, Convegno di Rapallo. Seduta dell’11 novembre 1920. ASMAE, Carte Sforza, b. 7, Intercettazione microfonica n. 8 (salotto jugoslavo), 11 ottobre 1920 (ma novembre 1920). 62 Ibidem. 63 Ibidem. 61 IL TRATTATO DI RAPALLO 209 Stato SHS «ad una specie di colonia»64. La mattina del 12 novembre si ebbe la seduta finale dei negoziati. La questione di Zara venne finalmente risolta. Trumbic! affermò che la massima concessione a cui la delegazione iugoslava poteva arrivare era «dare all’Italia intorno a Zara un piccolo territorio perché possano funzionare servizi pubblici (cimitero e acquedotto) che interessano l’Italia, e cioè oltre la città e il comune censuario (frazione) di Zara, il comune censuario di Borgo Erizzo e di Boccagnazzo»65. Salata enunciò le nuove richieste italiane, ulteriormente ridotte rispetto al giorno prima. È assolutamente necessario per l’Italia possedere la rada di Diclo sopra Zara e Cerno che costituisce il deposito dell’acquedotto di Boccagnazzo. Si tratta di avere un piccolo retroterra al sud come l’abbiamo a nord. Inoltre chiede l’isola di Ugliano, pilastro della porta di Zara. L’Italia, nell’intento di giungere ad un accordo completo, ha ridotto al minimo le sue richieste66. Fu il delegato serbo, Vesnic!, a fare il primo passo per giungere al compromesso su Zara. Egli accettò di fare le concessioni riguardo alla terraferma, ma non sulle isole di fronte a Zara. Desideroso di chiudere il negoziato, Giolitti accettò le proposte del delegato serbo, e rinunciò alla richiesta dell’isola di Ugliano. La delegazione iugoslava, poi, sollevò obiezioni sull’articolo del progetto di trattato dedicato alla protezione della minoranza italiana in Dalmazia. Vesnic! osservò a tale riguardo: La delegazione jugoslava non può accettare l’articolo così redatto perché mette lo Stato S.C.S. in evidenti condizioni di inferiorità. Con l’impegno di un trattato l’Italia viene a creare delle scuole e altri instituti italiani nel territorio S.C.S. Ciò ricorda molto da vicino le capitolazioni. Si preoccupa altresì della costituzione di un precedente che domani può essere facilmente invocato da altri Stati che si trovano nelle stesse condizioni dell’Italia67. Il governo accettò di modificare il progetto di articolo, rendendolo meno dettagliato nella specificazione dei diritti culturali e politici 64 ASMAE, Carte Sforza, b. 7, Intercettazione microfonica n. 9 (salotto jugoslavo), 12 novembre 1920. 65ASMAE, Carte Sforza, b. 7, Convegno di Rapallo. Seduta del 12 novembre 1920. 66 Ibidem. 67 Ibidem. 210 LUCIANO MONZALI della minoranza italiana in Dalmazia68. Finalmente il 12 novembre 1920 i due governi italiano e iugoslavo firmarono il trattato che chiudeva il contenzioso confinario fra i due Paesi, e che sarebbe stato noto come accordo di Rapallo. L’Italia ottenne il controllo di tutta la Venezia Giulia fino al Monte Maggiore e al Nevoso69. Il problema di Fiume veniva temporaneamente risolto con la costituzione dello Stato libero fiumano: soluzione però transitoria perché i serbi avevano accettato di fare alcune concessioni territoriali solo in cambio della promessa di assumere il controllo e l’uso di Porto Baros, settore del porto di Fiume, promessa enunciata in uno scambio di lettere segrete fra Sforza e Trumbic!70. Gli articoli II e III definirono l’assetto territoriale in Dalmazia. Zara ed un piccolo territorio circostante (costituito dalla città e dal comune censuario di Zara, dalle frazioni di Borgo Erizzo, Cerno, Boccagnazzo e da parte del comune censuario di Diclo) avrebbero fatto parte del Regno d’Italia. Era prevista la futura conclusione di una convenzione per regolare le relazioni di Zara con quella parte del suo antico comune passata al Regno SHS e con la provincia della Dalmazia iugoslava, e per risolvere il problema del riparto dei beni provinciali, comunali e degli archivi. L’Italia otteneva anche il possesso delle isole di Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa, mentre tutto il resto della Dalmazia veniva riconosciuto parte del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. I confini dei rispettivi territori sarebbero stati tracciati sul terreno da Commissioni di delimitazione composte per metà da delegati del Regno d’Italia e per metà di delegati del Regno SHS. In caso di divergenze sarebbe stato sollecitato «l’arbitrato inappellabile» del presidente della Confederazione elvetica. L’articolo VII prevedeva alcune garanzie a protezione degli italiani della Dalmazia iugoslava. Il Regno SHS dichiarava di riconoscere a favore «dei cittadini italiani e degli interessi italiani in Dalmazia»: 1°) Le concessioni di carattere economico fatte dal Governo e da enti pubblici degli Stati ai quali è succeduto il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, a 68 Ibidem. Il testo degli accordi di Rapallo (convenzione antiasburgica e accordo confinario) è edito in AMEDEO GIANNINI, Documenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia, Roma, 1934, p. 36 e ss. 70 Al riguardo: RUSINOW, Italy’s Austrian Heritage, cit., p. 147; DANILO L. MASSAGRANDE, Italia e Fiume 1921-1924 dal “Natale di sangue” all’annessione, Milano, 1982, p. 177. 69 IL TRATTATO DI RAPALLO 211 società o cittadini italiani, o da questi possedute in virtù di titoli legali di cessione fino al 12 novembre 1920, sono pienamente rispettate, obbligandosi il Governo dei Serbi, Croati e Sloveni a mantenere tutti gli impegni assunti dai Governi anteriori. 2°) Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni conviene che gli Italiani pertinenti fino al 3 novembre 1918 al territorio della cessata Monarchia austroungarica il quale in virtù dei trattati di pace con l’Austria e con l’Ungheria e del presente trattato è riconosciuto come facente parte del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, avranno il diritto di optare per la cittadinanza italiana entro un anno dalla entrata in vigore del presente trattato, e li esenta dall’obbligo di trasferire il proprio domicilio fuori del territorio del Regno predetto. Essi conserveranno il libero uso della propria lingua ed il libero uso della propria religione, con tutte le facoltà inerenti a queste libertà. 3°) Le lauree o altri titoli universitari già conseguiti da cittadini del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni in università o in altri istituti di studi superiori del Regno d’Italia saranno riconosciuti dal Governo dei Serbi, Croati e Sloveni come validi nel suo territorio e conferiranno diritti professionali pari a quelli derivanti dalle lauree e dai titoli ottenuti presso le università e gli istituti di studi superiori del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Formerà oggetto di ulteriori accordi quanto riguarda la validità degli studi superiori che vengano compiuti da sudditi italiani nel Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, e da sudditi italiani nel Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, e da sudditi italiani nel Regno dei Serbi, Croati e Sloveni in Italia71. Con quest’articolo il governo italiano otteneva un’importante concessione dal governo di Belgrado: gli italiani di Dalmazia avrebbero avuto la possibilità di optare per la cittadinanza italiana, pur conservando il diritto alla residenza nello Stato iugoslavo, diritto alla residenza che i trattati per le minoranze conclusi nel settembre 1919 non prevedevano. In cambio di questa concessione, però, l’Italia rinunciò a chiedere una reale tutela per quei dalmati di nazionalità italiana che avrebbero scelto la cittadinanza iugoslava: non a caso l’articolo non faceva alcun richiamo al trattato di Saint Germain e agli accordi per le minoranze ad esso collegati. Di fatto l’Italia s’impegnò a proteggere i diritti linguistici e culturali solo di quei dalmati che avrebbero optato per la cittadinanza italiana, abbandonando al proprio destino gli italiani di Dalmazia che, per svariate ragioni, avrebbero scelto la cittadinanza iugoslava. L’articolo VII nella sua versione finale, poi, era 71 e ss. GIANNINI, Documenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia, cit., p. 36 212 LUCIANO MONZALI assai meno dettagliato del progetto iniziale nella definizione dei diritti dei cittadini italiani in Iugoslavia. Non a caso il contenuto poco preciso dei capoversi avrebbe creato controversie nell’applicazione della clausola. La conclusione del trattato di Rapallo rispondeva al disegno strategico di Sforza, condiviso da Giolitti, di creare una solida e forte collaborazione politica ed economica fra l’Italia e lo Stato iugoslavo, perno su cui costruire un ruolo importante per la politica estera italiana in Europa centro-orientale e nei Balcani72. Al fine di rendere più intimi i rapporti italo-iugoslavi, l’articolo VI del trattato prevedeva la convocazione di una conferenza di tecnici entro due mesi dall’entrata in vigore dell’accordo, al fine di sottoporre ai due governi precise proposte «su tutti gli argomenti atti a stabilire i più cordiali rapporti economici e finanziari fra i due Paesi». Con l’articolo VIII, invece, i due governi s’impegnarono a stipulare quanto prima una convenzione avente il fine d’intensificare lo sviluppo delle relazioni culturali fra Italia e Regno SHS73. Vi era la speranza nel governo italiano che la chiusura della controversia territoriale – che per Sforza e Giolitti era definitiva – avrebbe consentito un’intensificazione delle relazioni economiche e culturali fra italiani e iugoslavi, nonché una pacificazione degli animi, che avrebbero permesso un reciproco progresso civile ed un miglioramento delle condizioni di vita delle rispettive minoranze nazionali. Che la collaborazione italo-iugoslava fosse concepita dal governo di Roma come il fondamento di una politica verso l’Europa centrale orientata al riconoscimento dei nuovi Stati nazionali e ad impedire il risorgere dell’Impero asburgico, fu testimoniato dalla firma a Rapallo, contemporaneamente al trattato sulle frontiere, della convenzione anti-asburgica. Con questa convenzione Italia e Regno SHS s’impegnarono reciprocamente a vegliare sullo stretto rispetto dei trattati di pace firmati a Saint Germain e al Trianon e a prendere «di comune accordo tutte quelle misure politiche atte a prevenire la restaurazione della Casa di Absburgo sul trono di Austria e di Ungheria»74. 72 Al riguardo: SFORZA, L’Italia dal 1914 al 1944, cit., pp. 115-117; ID., Jugoslavia, cit., p. 170 e ss. 73 Sul tema delle relazioni culturali italo-iugoslave fra le due guerre mondiali: STEFANO SANTORO, L’Italia e l’Europa Orientale. Diplomazia culturale e propaganda 1918-1943, Milano, 2005. 74 Il testo della convenzione anti-asburgica è riprodotto in SFORZA, Jugoslavia, cit., pp. 176-177. Sulla genesi e il significato della convenzione anti-asburgica rimane fondamentale MELCHIONNI, La convenzione antiasburgica del 12 novembre 1920, cit. IL TRATTATO DI RAPALLO 213 I due governi si promisero reciprocamente appoggio diplomatico e collaborazione nella sorveglianza di ogni attività che potesse minacciare la reciproca sicurezza. La Iugoslavia, poi, informò l’Italia dell’esistenza di un trattato d’alleanza difensiva anti-asburgica ceco-iugoslavo concluso nell’agosto 1920, primo nucleo della Piccola Intesa. La convenzione anti-asburgica sancì il tentativo italiano di creare una collaborazione politica con la Piccola Intesa75, alleanza sorta fra Iugoslavia, Cecoslovacchia e Romania nell’estate 1920 per contrastare il revisionismo magiaro e l’eventuale restaurazione degli Asburgo in un territorio dell’ex-Austria-Ungheria76. Il trattato di Rapallo e la convenzione anti-asburgica erano gli strumenti concepiti dal governo Giolitti per costituire un raggruppamento di Stati in Europa centroorientale, guidato dall’Italia, che avrebbero consentito al governo di Roma di divenire una grande potenza regionale, impegnata nello sforzo della pacificazione e della ricostruzione europea attraverso un’opera di mediazione fra Nazioni vincitrici e Stati sconfitti. Non a caso nei mesi successivi Sforza svolse un’azione mirante all’adesione della Cecoslovacchia alla convenzione anti-asburgica, che sostanzialmente si ottenne con l’intesa italo-cecoslovacca dell’8 febbraio 192177, e allo sviluppo della cooperazione economica fra gli Stati dell’Europa centrale, con la convocazione di una conferenza degli Stati successori dell’Austria-Ungheria a Roma nell’aprile 192178. Altro elemento della politica di Sforza fu il miglioramento dei rapporti con la Polonia, ritenuta Paese cruciale per gli assetti dell’Europa centro-orientale79. 75 Si veda al riguardo l’interpretazione francese e iugoslava del significato di tale convenzione anti-asburgica: DDF 1920, III, dd. 384, 433. 76 Sulle origini della Piccola Intesa: MARIO TOSCANO, Le origini della Piccola Intesa secondo i documenti diplomatici ungheresi, in ID., Pagine di storia diplomatica contemporanea, Torino, 1963, p. 1 e ss.; PIOTR WANDYCZ, France and Her Eastern Allies 1919-1925. French-Czechoslovak-Polish Relations from the Paris Peace Conference to Locarno, Minneapolis, 1962, p. 186 e ss.; MAGDA ÁDÁM, Richtung Selbstvernichtung. Die Kleine Entente 1920-1938, Budapest, 1988; NICOLAE IORDACHE, La Petite Entente et l’Europe, Genève, 1977. 77 Al riguardo anche: DDF 1921, I, d. 83. 78 Sulla politica di Sforza verso i paesi dell’Europa centro-orientale fra il 1920 e il 1921: SFORZA, Jugoslavia, cit., p. 178 e ss.; MELCHIONNI, La convenzione antiasburgica del 12 novembre 1920, cit.; CACCAMO, L’Italia e la “Nuova Europa”, cit., p. 295 e ss.; FRANCESCO TOMMASINI, La risurrezione della Polonia, Milano, 1925, p. 156 e ss.; DDF 1921, I, dd. 77, 100, 290, 300. 79 Sui rapporti italo-polacchi: TOMMASINI, La risurrezione della Polonia, cit., p. 172 e ss.; Documenti per la storia delle relazioni italo-polacche (1918-1940), Roma, 1998, Skirmunt a Ministero degli Esteri, 24 luglio 1920, 24 settembre 1920 e 10 febbraio 1921, dd. 56, 59, 64. 214 LUCIANO MONZALI Il governo italiano considerò la conclusione del trattato di Rapallo un grande successo. La soddisfazione per il trattato di Rapallo fu ben espressa da un telegramma di Sforza al re Vittorio Emanuele III, nel quale, preannunciandogli l’11 novembre il contenuto del trattato che sarebbe stato firmato il giorno successivo, il ministro dichiarava: «Oso dire a Vostra Maestà che non speravamo migliore successo. Sono fiero che il coronamento completo dell’unità si sia compiuto sotto il Suo Regno»80. Anche in campo internazionale, l’accordo di Rapallo fu ritenuto un’importante vittoria diplomatica per l’Italia. La diplomazia britannica, che aveva con continuità sostenuto le rivendicazioni iugoslave, rimase sorpresa dall’ampiezza dei guadagni territoriali italiani81. Anche la Santa Sede fu colpita dal successo politico e territoriale dell’Italia. Parlando del trattato di Rapallo con il barone Monti, Benedetto XV riconobbe «che si sono ottenuti risultati di gran lunga superiori a quelli che si prevedevano, sia pei confini della Venezia Giulia che sono quelli che si desideravano; le cose potevano andar meglio per la Dalmazia, ma le difficoltà da superare erano enormi»82. L’accordo di Rapallo era stato conveniente anche per il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. In cambio di alcune rinunce il governo di Belgrado chiudeva un pericoloso contenzioso territoriale, che aveva non poco contribuito ad alimentare l’instabilità interna dello Stato, e favoriva il processo di consolidamento interno, sottraendo alle forze secessioniste anti-serbe ed anti-unitarie il loro principale alleato internazionale83. Giustamente Francesco Caccamo ha rilevato l’importanza per il governo di Belgrado del riconoscimento diplomatico italiano del Regno SHS: Non si trattava di un semplice dettaglio di natura giuridica, ma di una decisione di grande rilievo politico, perché per suo tramite l’Italia accettava dopo un confronto di due anni il nuovo Stato venutosi a costituire al suo confine orientale e, implicitamente, si impegnava ad abbandonare il sostegno ai movimenti separatisti anti-iugoslavi […]84. 80 ASMAE, Carte Sforza, b. 7, Sforza a Vittorio Emanuele III, 11 novembre 1920. MICHELETTA, op. cit., I, p. 250 e ss. Sull’atteggiamento britannico verso la conclusione dei negoziati sulla questione adriatica nel novembre 1920: ASMAE, Carte Imperiali, b. 3, Imperiali a Sforza, 1°, 3 e 5 novembre 1920. 82 SCOTTÀ, La conciliazione ufficiosa, cit., II, p. 566. 83 Sul desiderio serbo di concludere il trattato di Rapallo come mezzo per soffocare il separatismo croato: BDFA, II, F, 4, Young a Curzon, 3 dicembre 1920, d. 244. 84 CACCAMO, op. cit., p. 303. 81 IL TRATTATO DI RAPALLO 215 Non a caso dopo Rapallo, il governo italiano abbandonò il proprio sostegno all’indipendentismo montenegrino e al separatismo croato. Con la contemporanea firma della convenzione anti-asburgica, poi, il governo iugoslavo otteneva un’ulteriore garanzia alla propria integrità territoriale, ovvero l’appoggio dell’Italia contro ogni tentativo di restaurazione degli Asburgo, ancora popolari in vasti settori della popolazione slovena, croata e dalmata. Fra le nazionalità iugoslave chi otteneva i maggiori vantaggi erano i serbi. L’Italia accettava l’assorbimento del Montenegro nel Regno SHS e rinunciava al controllo di gran parte della Dalmazia: in questo modo tutta la nazione serba restava unita in seno allo Stato iugoslavo. Gli stessi interessi serbi in Albania settentrionale sembravano essere tutelati dalla politica di amicizia con l’Italia. La questione albanese non fu affrontata nell’accordo di Rapallo, ma Sforza fece capire di volere seguire una politica di collaborazione con Belgrado in tale regione e di essere pronto a tenere conto degli interessi serbi. Per croati e sloveni, invece, il trattato di Rapallo segnò una grande sconfitta, con il passaggio di territori abitati da molti connazionali al dominio dell’Italia. Gran parte dell’opinione pubblica slovena e croata denunciò l’ingiustizia dei confini creati a Rapallo e auspicò una futura revisione territoriale85. Un giornale croato, il «Novi List», commentò l’accordo con queste parole: Siamo stati sconfitti e mai da che esiste il mondo è stato firmato un accordo più vile, più vergognoso e più brutale di questo. Abbiamo perduto i polmoni, e le braccia, le gambe e la testa e siamo rimasti invalidi, cadaveri senza anima e senza cuore. […] I delegati della conferenza di Rapallo comunicano che la questione è risolta, mentre il popolo jugoslavo dall’Isonzo al Vardar, quel popolo che ha dato un milione di vittime alla guerra, comunica che non è ancora risolta. No, non è risolta, non può e non deve esserlo. Ci hanno uccisi nella nostra propria patria. Però sappia l’Italia sappiano l’Europa e tutto il mondo che anche i morti si vendicano, e che la vendetta dei morti è terribile86. Il trattato di Rapallo raccolse vasti consensi in Italia, che si manifestarono chiaramente nel corso della sua ratifica parlamentare87. Alle 85 Sulla reazione slovena al trattato di Rapallo: MILICA KACIN WOHINZ, JOZ#E PIRJEVEC, Storia degli sloveni in Italia 1866-1998, Venezia, 1998, p. 35 e ss. 86 «Novi List», 13 novembre 1920, edito in Il trattato di Rapallo nei commenti della stampa, Roma, 1921, p. 45. 87 Al riguardo: AMEDEO GIANNINI, (a cura di), Il trattato di Rapallo al Parlamento italiano, Roma, s. d. (ma 1921). 216 LUCIANO MONZALI Camere Sforza presentò il trattato di Rapallo come una grande vittoria dell’Italia: l’accordo poneva il confine orientale sulle Alpi Giulie, assicurando a Trieste un vasto retroterra e unendo tutta l’Istria all’Italia; annetteva, poi, Zara all’Italia ottenendo per i nuclei italiani del resto della Dalmazia «privilegi, quali nessuno dei recenti trattati europei era giunto a riconoscere per una minoranza etnica»88. L’indipendenza per Fiume era garanzia di tutela della sua italianità e della sua prosperità. Negli auspici di Sforza, l’accordo con il Regno SHS sanciva l’inizio di una nuova epoca di collaborazione italo-iugoslava, che avrebbe rafforzato l’influenza internazionale dell’Italia e facilitato la convivenza fra le popolazioni italiane e iugoslave. Nella nuova atmosfera che ne sorgerà, scompariranno poco a poco dai due lati le amarezze ed i rancori che la lunga tempesta ha lasciato. Quello che doveva essere un astioso rivale, essendo convertito in un cordiale collaboratore economico e politico, l’Italia veglierà pel bene proprio e dello Stato vicino a che non si ricostituiscano gli innaturali conglomerati dinastici, che lasciarono sì amaro ricordo a Roma come a Belgrado. Niente più dividendo i due paesi, non è soverchia illusione lo sperare un prossimo avvenire in cui italiani e jugoslavi trovino nell’amicizia comune una forza preziosa e pel campo politico e pel morale89. Il governo di Roma sperava che la chiusura del contenzioso territoriale e il consolidamento dei rapporti politici bilaterali avrebbero consentito il miglioramento delle condizioni di vita delle minoranze italiane in Dalmazia. Il suo ruolo nella genesi del trattato di Rapallo e la difesa appassionata di questo attirarono su Sforza le inimicizie e l’odio di molti nazionalisti, nonostante il diplomatico toscano fosse, in fondo, ideologicamente un nazionalista realista e liberale. Forges Davanzati commentò i discorsi di Sforza con parole di fuoco, definendolo «gendarme e apologeta della Jugoslavia»90 e completamente «in mano di Albertini, Borgese, Borsa e simili gente»91. Gaetano Salvemini, deputato dal 1919, elogiò l’operato del gover- 88 Il discorso di Sforza è riprodotto in CARLO SFORZA, Un anno di politica estera. Discorsi, Roma, 1921, pp. 56-62, citazione p. 57. 89 Ivi, pp. 60-61. 90 FV, ARC GEN FIU, fasc. Roberto Forges Davanzati, Forges Davanzati a D’Annunzio, 17 dicembre 1920. 91 FV, ARC GEN FIU, fasc. Roberto Forges Davanzati, Forges Davanzati a Zoli, 17 dicembre 1920. IL TRATTATO DI RAPALLO 217 no Giolitti. Il trattato di Rapallo creava un assetto territoriale liberamente discusso e accettato fra le parti in causa. Rinunciando alla Dalmazia si creava la possibilità di una duratura alleanza italo-slava: «Il trattato di Rapallo, insomma, prepara una collaborazione economica e politica, la quale potrà fare dell’Italia l’amica e la mediatrice fra gli Stati tutti della regione danubiana e balcanica»92. Pure nei settori liberali-nazionali dell’irredentismo giuliano e triestino vi fu grande entusiasmo per il trattato di Rapallo. Il 13 novembre, da Trieste, Camillo Ara, capo del vecchio partito liberale-nazionale italiano a Trieste, comunicò a Salata tutta la sua soddisfazione. Ciò che si è conseguito era ed è per me, proprio in coscienza, non solamente quello che si doveva ottenere, ma anche il massimo a cui si poteva e doveva aspirare, dato che per ora non era né è possibile l’annessione di Fiume. Conoscevi il mio pensiero: i confini, l’Istria integrale, Fiume e Zara. Io sono felice, profondamente soddisfatto. È definitivamente chiuso, col successo più pieno, il ciclo di ciò che è stato l’ideale, la fede, l’azione della nostra vita. Qui l’opinione pubblica è esultante: la città sente profondamente, con gioia intima e profonda, l’importanza di quanto si è ottenuto ed anche il significato morale del successo per il Paese: e non si è affatto disposti a seguire quei quattro (non più di quattro) matti che possono dissentire93. Fra i pochi critici dell’accordo italo-iugoslavo vi furono i dannunziani, alcuni gruppi del nazionalismo e del fascismo e qualche esponente della Marina94. In sede di discussione parlamentare Federzoni cercò di svalutare il significato del trattato, pur non potendo astenersi dal rilevare che esso rappresentava un grande miglioramento rispetto alle precedenti ipotesi di compromesso adriatico, perché garantiva all’Italia «l’incontrastato possesso della sua frontiera orientale terrestre» e l’indipendenza di Fiume95. Federzoni criticò la rinuncia alla Dalmazia, a suo avviso, «regalata» alla Iugoslavia. La rinuncia alla Dalmazia danneggiava la minoranza italiana, che era stata illusa sulla futura annessione alla madrepatria, e indeboliva la posizione strategica dello Stato italiano nell’Adriatico. Zara era rimasta all’Italia, ma 92 SALVEMINI, Dalla guerra mondiale alla dittatura, cit., p. 650. ASMAE, Carte Salata, b. 269, Ara a Salata, 13 novembre 1920. Sul rapporto SalataAra: RICCARDI, Francesco Salata, cit., p. 152 e ss., 270. 94 BDFA, II, F, 4, Buchanan a Curzon, 13 novembre 1920, d. 234. 95 LUIGI FEDERZONI, L’ora della Dalmazia, Bologna, 1941, p. 117 e ss. Sulle posizioni dei nazionalisti verso il trattato di Rapallo: ROCCUCCI, Roma capitale del nazionalismo, cit., p. 450 e ss. 93 218 LUCIANO MONZALI veniva privata di ogni retroterra; i nuclei italiani dalmati erano stati lasciati sotto una dominazione straniera ostile, che le vaghe garanzie previste dal patto di Rapallo non avrebbero potuto proteggere96. In realtà, in seno allo stesso nazionalismo e al movimento fascista non pochi erano i favorevoli all’accordo di Rapallo, il quale garantiva all’Italia territori che all’epoca del governo Nitti sembravano irrimediabilmente persi. Maffeo Pantaleoni, ad esempio, uno dei principali intellettuali nazionalisti, consigliò a D’Annunzio di accettare il trattato e di non opporsi alla sua applicazione in quanto «è trattato che, se non soddisfa in tutto tutti, è accolto con gioia dal paese»97. I nazionalisti, in fondo, contestavano il trattato di Rapallo in maniera strumentale, per cercare di acquisire visibilità sul piano interno al fine di creare con l’opposizione a Rapallo la piattaforma con cui aumentare il proprio peso politico. Da una parte, essi si lanciarono in una campagna d’opposizione sapendo benissimo di non avere possibilità d’impedire l’approvazione parlamentare dell’accordo, puntando, piuttosto, a raccogliere simpatie e consensi in certi settori dell’opinione pubblica italiana98. Dall’altra, Federzoni, Forges Davanzati e Rocco alimentarono e sostennero l’opposizione dannunziana a Rapallo evitando, però, di giungere allo scontro totale con il governo, tentando piuttosto di fare di D’Annunzio un grande leader nazionale e uno strumento capace di trasformare il nazionalismo in movimento di massa con vasti consensi nell’opinione pubblica99: tentativo alla fine fallito per le resistenze del poeta a farsi guidare dai nazionalisti100. Lo scontro con il governo 96 FEDERZONI, L’ora della Dalmazia, cit., p. 128 e ss. DE FELICE, D’Annunzio politico, cit., pp. 90-91. 98 Al riguardo interessanti le lettere che Forges inviò a D’Annunzio e Zoli: Forges Davanzati a D’Annunzio, 17 dicembre 1920, cit.; Forges Davanzati a Zoli, 17 dicembre 1920, cit. 99 Significativa è una lettera che Enrico Corradini, l’ideologo per eccellenza del nazionalismo italiano, scrisse a D’Annunzio il 20 dicembre 1920, al momento del possibile scontro fra dannunziani e esercito italiano: «Io penso ora, come quando ti vidi l’ultima volta, che il trattato di Rapallo e la condotta dell’Italia politica in proposito siano orribili; ma che siano una manifestazione del male e non il male. Questo è […] [a] Roma, nello Stato che continuamente brulica di nemici interni e abdicherà fino alla sua distruzione. La tua meta è quindi sempre la stessa ed è là. E perciò io sono uno di quegli italiani, non timorati e non pedagoghi di disciplina nazionale, i quali ti chiedono, non di tradire il tuo giuramento ai Dalmati, ma di duplicarlo all’Italia, e di considerare che il tuo sacrifizio può essere ai futuri italiani sublime incitamento, ma che oggi l’Italia a te chiede piuttosto la tua, la Sua vittoria. Dopo la quale, da Roma, tu potrai redimere la Dalmazia e dare alla Patria i confini della sicurezza più alta»: (FV, ARC POL FIU, fasc. Enrico Corradini, Corradini a D’Annunzio, 20 dicembre [senza anno, ma 1920]). 100 Sui tentativi di alcuni esponenti nazionalisti di creare una stretta collaborazione politica con D’Annunzio nei primi mesi del 1921: FV. ARC GEN, fasc. Roberto Forges 97 IL TRATTATO DI RAPALLO 219 sull’applicazione di Rapallo in Dalmazia puntava a trasformare l’opposizione all’accordo italo-iugoslavo in un movimento politico che operasse all’interno dell’Italia: le finalità di politica interna, in fondo, erano prioritarie rispetto alla questione dell’orientamento internazionale dell’Italia. Altro oppositore del trattato di Rapallo fu l’ammiraglio e senatore Thaon di Revel, il quale, in sede di ratifica parlamentare dell’accordo, fece un duro intervento di critica. A parere di Thaon di Revel, l’assetto adriatico creato dal patto di Rapallo indeboliva la posizione strategica dell’Italia. Mercè l’annessione dell’Istria, di Cherso e di Lussino noi avremo il completo dominio del golfo di Venezia con influenza decrescente verso il sud. Nel medio Adriatico la nostra sicurezza sarà scarsa e nell’Adriatico inferiore saremo in condizioni peggiori che non durante l’ultima guerra101. A parere dell’ammiraglio, la Grecia dominava ormai il canale di Otranto e il possesso di Cattaro rafforzava le posizioni della Iugoslavia poiché le Bocche non erano più attaccabili dal monte Lovcen: tutto ciò rendeva l’Italia debole strategicamente nell’Adriatico102. In quelle settimane il capo del fascismo, Benito Mussolini, seguì una linea politica autonoma dai nazionalisti sulla questione adriatica. Egli manifestò il suo consenso all’accordo concluso da Sforza, pur moderando tale sostegno con alcune critiche alle rinunce in Dalmazia103. In un articolo pubblicato sul «Popolo d’Italia» il 13 novembre104, Mussolini definì gli accordi di Rapallo «buoni […] per il confine orientale e per Fiume», limitandosi a criticare in maniera molto moderata e blanda le rinunce in Dalmazia. Egli contestò il dogmatismo e lo scarso realismo dei nazionalisti, ossessionati dalla questione adriatica. Per il capo del fascismo, quello che una generazione non era stata capace di fare sarebbe stato compiuto da quella successiva: la generazione della guerra aveva dato alla patria i confini del Brennero e Davanzati, Forges Davanzati, Forges Davanzati a D’Annunzio, 24 e 26 gennaio, 16 aprile 1921. 101 L’intervento di Thaon di Revel al Senato il 15 dicembre 1920 è riprodotto in GIANNINI, (a cura di), Il trattato di Rapallo al Parlamento italiano, cit., pp. 212-216, citazione p. 212. 102 Ibidem. 103 DI NOLFO, Mussolini e la politica estera italiana, cit.; DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit.; ID., D’Annunzio politico, cit., p. 159. 104 BENITO MUSSOLINI, Ciò che rimane e ciò che verrà, «Il Popolo d’Italia», 13 novembre 1920, edito in ID., Opera omnia, cit., vol. 16, pp. 5-8. 220 LUCIANO MONZALI del Nevoso, Zara e aveva salvato Fiume; quella che sarebbe venuta dopo avrebbe fatto il resto. Senza la guerra la Dalmazia sarebbe stata per sempre persa e slavizzata; nel 1920 e dopo il trattato di Rapallo la situazione era ben diversa: Coll’Italia allo Judrio, la Dalmazia era in pericolo di vita; coll’Italia a Zara, gli italiani da Sebenico a Cattaro vedono spuntare l’alba di giorni migliori. Non è ancora l’ideale, ma nessuno può contestare che un passo prodigioso – a malgrado di tante avverse circostanze, alcune superiori alla volontà degli uomini – è stato compiuto105. Il trattato di Rapallo ricevette il consenso della grande maggioranza dei parlamentari italiani. Il 28 novembre la Camera dei deputati votò a favore del disegno di legge di ratifica con 253 voti favorevoli e 14 contrari106. L’accordo fu approvato anche al Senato con una grande maggioranza di voti, 262 favorevoli contro 22 contrari. Fra dicembre e gennaio i due governi si scambiarono i rispettivi rappresentanti diplomatici. Sforza nominò ministro plenipotenziario a Belgrado Gaetano Manzoni, per molti anni direttore degli Affari Politici del Ministero degli Esteri, mentre il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni scelse come proprio rappresentante il diplomatico serbo Vojislav Antonijevic!/Antonievich107. Lo scambio delle ratifiche del trattato fra i due governi ebbe luogo il 2 febbraio 1921, stesso giorno della pubblicazione del decreto reale di nomina dei membri italiani delle commissioni previste per l’esecuzione di alcuni articoli del trattato di Rapallo. 3.2. Una vittoria amara. Gli italiani di Dalmazia di fronte al trattato di Rapallo Nei mesi precedenti alla conclusione del trattato di Rapallo, una crescente agitazione s’impadronì della popolazione di Zara e della Dalmazia occupata dall’esercito italiano. Il circolare di voci sulla ri- 105 Ibidem. 106 GIULIO BENEDETTI, La pace di Fiume. Dalla Conferenza di Parigi al trattato di Roma, Bologna, 1929, p. 79. 107 ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1306, Manzoni a Sforza, 3 gennaio 1921; ASMAE, GAB 1923-43, AF b. 23, Sforza a Manzoni, 21 gennaio 1921; ibidem, Manzoni a Sforza, 7 febbraio 1921. IL TRATTATO DI RAPALLO 221 presa dei negoziati italo-iugoslavi e sulla volontà del governo Giolitti di chiudere la questione adriatica puntando soprattutto a garantirsi un sicuro confine sulle Alpi Giulie creò preoccupazione per il futuro. Sotto la pressione di agitazioni di piazza guidate dai capi zaratini del movimento dannunziano e nazionalista – Michelangelo Zimolo, Maurizio Mandel, Enrico Schönfeld ed altri –, a metà ottobre, come abbiamo visto, il Consiglio comunale di Zara, la locale Camera di Commercio, i rappresentanti dei Fasci Nazionali Italiani di Dalmazia e i deputati provinciali italiani votarono un appello alla Presidenza del Consiglio protestando contro ogni ipotesi di rinuncia territoriale e chiedendo l’applicazione del patto di Londra108. In quelle settimane ebbero luogo a Zara continue manifestazioni di protesta contro ogni possibile rinuncia territoriale in Dalmazia109. Per tenere sotto controllo la piazza e lo scontento di parte della popolazione, le autorità comunali zaratine, dominate dai liberali, assecondavano e partecipavano a queste manifestazioni di protesta, pur stando attente a mantenere stretti rapporti con il governo di Roma e collaborando alla preparazione di un accordo territoriale, quello stesso contro cui le piazze dalmate italiane inveivano. La protesta anti-rinunciataria in Dalmazia era sostenuta ed in parte alimentata dal partito nazionalista italiano. Forges Davanzati e Federzoni si recarono a Zara nell’agosto 1920 per manifestare il loro sostegno all’applicazione del patto di Londra110, e nelle settimane successive «L’Idea Nazionale» scatenò una dura campagna di stampa contro Sforza e contro ogni proposito di accordo con gli iugoslavi sulla base della rinuncia alla Dalmazia. Il 10 ottobre Attilio Tamaro, articolista principe del nazionalismo italiano sulla questione adriatica, tuonò contro il tentativo di Sforza di concludere un’intesa bilaterale con Belgrado111. Lasciare la Dalmazia e le Bocche di Cattaro ai serbi e non difendere l’indipendenza del Montenegro significava rinunciare alla sicurezza dell’Italia nell’Adriatico. In ogni caso, i tentativi di Sforza, a parere del giornalista triestino, erano votati al fallimento. 108 «L’Idea Nazionale», 16 ottobre 1920, La Dalmazia deliberata alla suprema difesa. «L’Idea Nazionale», 19 ottobre 1920, Il giuramento degli zaratini. Un grandioso comizio; ivi, 31 ottobre 1920, I cittadini di Zara bruciano i giornali rinunciatari. 110 «L’Idea Nazionale», 24 agosto 1920, L’on. Federzoni e Forges-Davanzati accolti entusiasticamente a Zara. 111 «L’Idea Nazionale», 10 ottobre 1920, ATTILIO TAMARO, L’Albania, il Montenegro e i negoziati con gli jugoslavi. 109 222 LUCIANO MONZALI Le trattative falliranno sullo scoglio dell’intransigenza jugoslava. Ma se l’on. Sforza abbandonasse anche quegli ultimi miseri pudori che ebbe l’on. Nitti, allora non risolverebbe ancora nulla. Due grandi italiani, D’Annunzio e Millo, proteggerebbero l’Italia contro gli inetti che vogliono lasciarla aperta agli stranieri. E tutta la miglior parte del Paese sarebbe con essi112. Contrariamente alle previsioni di Tamaro, l’azione di Sforza ebbe pieno successo e il contenzioso territoriale italo-iugoslavo venne chiuso con il trattato di Rapallo. L’accordo produsse grande delusione in larga parte della popolazione italiana e italofila della Dalmazia. La minoranza italiana dalmata si sentì tradita dal governo di Roma: dopo anni di promesse di annessione alla madrepatria, che avevano alimentato speranze e aperte scelte di campo, gli italiani dalmati si vedevano costretti a scegliere fra l’emigrazione a Zara o la permanenza in uno Stato iugoslavo a loro ostile, assai più arretrato sul piano politico-sociale e per giunta molto meno rispettoso delle minoranze che l’Impero asburgico. Pure in parte della popolazione croata della Dalmazia l’eventualità di un passaggio sotto la sovranità di una Iugoslavia egemonizzata dai serbi non sollevava grandi entusiasmi. Il 16 novembre Millo scriveva a tale riguardo: «Gli italiani e gli jugoslavi sono in alcuni punti tutti malcontenti. Nei paesi dei dintorni di Zara non compresi nella annessione tutti [i] contadini sono malcontenti e così pure altre località sia continentali che insulari perché Serbi non sono più desiderati da tempo»113. Nei giorni successivi alla conclusione del trattato si tennero in Dalmazia numerose manifestazioni di protesta114. A Sebenico, in un comizio al Teatro Mazzoleni, il capo del Fascio Nazionale Italiano, Luigi Pini, denunciò l’azione diplomatica dell’Italia a Rapallo che condannava «i più fedeli suoi figli a perpetua schiavitù»115. Ben rappresentativo della delusione degli italiani dalmati fu l’ordine del giorno approvato dai capi politici della popolazione italiana e italofila di Lesina il 19 novembre 1920. Il giorno 19 novembre 1920, riunitisi i membri del Fascio Nazionale, i membri del Comune ed i capi delle Società cittadine «Giovanni Francesco 112 Ibidem. archivio di base, c. 1497, Millo a Ministero della Marina, 16 novembre 1920. 114 «L’Idea Nazionale», 13 novembre 1920, I dalmati protestano contro il nuovo servaggio; ivi, 17 novembre 1920, La religione italiana di Sebenico. 115 «L’Idea Nazionale», 18 novembre 1920, Il grido di dolore di Sebenico. 113 AM, IL TRATTATO DI RAPALLO 223 Biondi», «Musica Cittadina Farense», «Lega Nazionale», «Teatro Nobile», «Società Igienica», «Nuova Dalmazia», «Biblioteca Popolare Italiana», a seduta solenne votarono il seguente ordine del giorno: i sottoscritti protestano altamente con animo esacerbato contro la rinuncia che il Governo del Regno ha fatto della Dalmazia intera che per oltre 50 anni sostenne col nemico secolare le più aspre lotte per il diritto e il decoro d’Italia; rilevano che con il trattato iniquo per la Dalmazia il Governo del Regno ha mancato al più grande dovere verso i suoi connazionali, abbandonandoli nelle mani del perfido nemico; ripudiano le garanzie soltanto atte a irridere il loro destino fatale, dopo secoli di inesprimibili sofferenze che potranno dare soltanto quiete alle anime dei responsabili non così attenuare l’immenso dolore degli italiani d’essere ormai stranieri nella propria terra, presso le tombe dei loro morti; riprovano l’abbandono – mai sognato – delle tre isole dalmate Lesina, Lissa e Curzola, italiane per geografia, geologia, orografia, lingua, storia, arte e anima, appellate dagli ultimi parlamentari italiani che le visitarono «la vera Italia»; esprimono il voto ardente del loro cuore abbrunato dal lutto della terribile immeritata minaccia dell’abbassamento del tricolore della grande magnifica nazione; voto saggio e giusto, perché gli uomini d’Italia stornino la consumazione del delitto contro il quale i morti di Lissa e gli avi nostri gridano disperati dai loro sepolcri che verrebbero oltraggiati116. A Zara le reazioni al trattato di Rapallo furono più contrastate. Certamente, rispetto ai programmi territoriali ipotizzati nel corso della guerra, che sognavano l’annessione italiana di tutta la Dalmazia centro-settentrionale, l’unione della sola Zara all’Italia era una forte sconfitta politica. Delusione e costernazione si sparsero nella cittadinanza alla notizia del contenuto del trattato di Rapallo. Ma i vecchi capi liberali autonomisti, Ziliotto e Krekich, e i loro seguaci, si rendevano anche conto che il trattato di Rapallo garantiva un evento che ancora pochi mesi prima, durante il dicastero Nitti, sembrava impossibile, l’annessione di Zara all’Italia. Rispetto al progettato «compromesso Nitti» del gennaio 1920, il trattato di Rapallo anche in Dalmazia era un successo per l’Italia e i dalmati italiani. Emblematica testimonianza dell’atteggiamento di parziale soddisfazione della vecchia guardia del partito italiano-autonomo per il trattato di Rapallo, fu quanto scris116 ASMAE, Carte Salata, b. 201, Antonio Groscetta, Simeone Lucich, Florio Covacich, Nicolò Marchi di Simeone, Francesco Boglich-Perasti, Luca Maricich, Prof. Luigi Machiedo, Dr. Francesco Addobbati, Felice Baylon senior, Simeone Marchi, Gioacchino Boglich-Perasti, Antonio Brazzanovich, Antonio Marchi di Andrea, ordine del giorno, 19 novembre 1920. 224 LUCIANO MONZALI se Vitaliano Brunelli, principale storico dalmata italiano, a Francesco Salata. Non mi lamento del Trattato di Rapallo rispetto a Zara; se esso fu così, penso che ragionevolmente non poteva essere altrimenti. Le persone, che l’hanno combinato, sono italiani, certo avranno ottenuto le condizioni migliori per la patria nostra, né scientemente avranno prescelto il peggio per il meglio. Anzi, c’è addirittura del meglio, confrontato col progetto qui studiato in un nostro Consiglio ristretto, nel quale, per paura degli slavi, escludevamo Borgo Erizzo, Cerno e Boccagnazzo, cioè i cimiteri e gli acquedotti! Ma questo gli estremisti – bel neologismo! – non lo sanno; che se lo sapessero, apriti cielo! Dissento quindi da loro, un’accolta di giovinastri […]117. A Zara, comunque, si manifestò ben presto un’opposizione organizzata al trattato di Rapallo, composta dai simpatizzanti dannunziani e dai gruppi nazionalisti presenti nella città. A questi davano man forte parte dei profughi italiani provenienti dal resto della Dalmazia e quei gruppi armati di volontari dalmati e di legionari fiumani, attivi in città fin dallo sbarco di D’Annunzio nel novembre 1919. Gli oppositori del trattato di Rapallo mobilitarono la piazza a Zara e Sebenico per spingere la popolazione dalmata ad opporsi con la forza all’applicazione dell’accordo. Per alcune settimane Zara cadde in uno stato di sostanziale anarchia. Nella città cominciarono a confluire molti italiani provenienti dal retroterra e dalle isole dalmate. La città rimase in balia della piazza, con continue manifestazioni di protesta e scioperi, che provocarono incidenti118. Per cercare di creare un punto di contatto fra contestatori e autorità legali venne costituito un Comitato di salute pubblica a cui parteciparono sia alcuni capi dannunziani (Calebich, Schönfeld) che Krekich e Ziliotto. Le autorità civili e militari non sapevano come confrontarsi con la mobilitazione di parte della popolazione, infuriata contro il governo ed aizzata dai capi dannunziani e nazionalisti ad organizzare un’opposizione all’applicazione di Rapallo, sperando in un eventuale arrivo di D’Annunzio in Dalmazia. Già il 16 novembre Alessandro Dudan scrisse a D’Annunzio comunicandogli la volontà dei dalmati e dei nazionalisti di agire e di resistere all’applicazione del trattato di Rapallo, sperando che Millo e il Comandante si ponessero a capo di tale movimento d’opposizione119. A rafforzare il 117 ASMAE, Carte Salata, b. 201, Brunelli a Salata, 17 dicembre 1920. UNP, b. 72, Alberti ad anonimo, 8 dicembre 1920. 119 FV, ARC GEN FIU, fasc. Alessandro Dudan, Dudan a D’Annunzio, 16 novembre 1920. 118 ACS, IL TRATTATO DI RAPALLO 225 movimento dei contestatori contribuì pure l’arrivo di alcuni militanti dannunziani e nazionalisti dalla Penisola, ad esempio, Attilio Tamaro, inviato dell’«Idea Nazionale» a Zara, che in quelle settimane fu uno degli animatori delle agitazioni anti-governative in Dalmazia. Tamaro sperava che D’Annunzio si ponesse a capo dell’opposizione a Rapallo guidando una spedizione che occupasse Sebenico. Il 29 novembre scrisse al poeta per invitarlo all’azione, affermando che i dalmati erano pronti alla resistenza. I sebenzani, ingannati da false notizie del comandante Bucci, avevano preparato un ordine del giorno con cui indirettamente scioglievano Millo dal vincolo del suo giuramento. Ho fatto rientrare l’ordine del giorno nelle tasche dei proponenti, che erano dei pessimisti. Fuori di questi pochi […] gli italiani di Sebenico attendono l’atto liberatore con una passione commovente e invocano Lei con un fervore religioso. Essi, come Ella sa, non sono più di duemila, ma per la possente energia nazionale che li anima possono formare una larga e sicura compagine di resistenza, anche armata120. A parere di Tamaro, l’eventuale arrivo di una spedizione dannunziana in Dalmazia avrebbe potuto contare anche sul sostegno di parte della popolazione croata locale. Le condizioni degli slavi, eccettuate poche centinaia, è di gente che aspetta una soluzione per decidere il suo atteggiamento. Il popolo minuto cattolico, anche nelle campagne circostanti, secondo testimonianze concordi, odia l’ortodosso; vede quindi con gran dolore avvicinarsi l’occupazione serba. Se Ella, Comandante, giungendo a Sebenico portasse con sé uno di quei croati coi quali tratta la Reggenza per la lotta contro Belgrado e lo facesse parlare in croato al popolo minuto della città e dei dintorni, caratterizzando la lotta per la redenzione della Dalmazia come una lotta dei dalmati contro l’ortodossia e contro lo iugoslavismo, è opinione generale di quanti ho interrogati che il successo sarebbe assicurato. Se l’alleanza che ha la Reggenza coi croati autonomisti e cattolici fosse comunicata da uno slavo agli slavi di qui, già inclini a preferire il nostro dominio a quello serbo, produrrebbe un’impressione enorme su queste masse primitive. Qualcuno crede che così si potrebbe ottenere un numero non trascurabile di volontari slavi121. In quei giorni Tamaro inviò a D’Annunzio un piano d’azione che 120 121 FV, ARC GEN FIU, fasc. Attilio Tamaro, Tamaro a D’Annunzio, 29 novembre 1920. Ibidem. 226 LUCIANO MONZALI era stato congegnato da alcuni esponenti dalmati intransigenti e dai capi dannunziani e nazionalisti presenti in Dalmazia, al fine d’impedire l’applicazione del trattato di Rapallo esautorando le autorità legali italiane122. L’obiettivo fondamentale del piano era: I Dalmati con le proprie forze si ribellano al Patto di Rapallo; assumono il potere nei centri che dovrebbero essere abbandonati, ne organizzano la difesa anzitutto con legionari dalmati, armati quanto meglio possibile soltanto in linea sussidiaria con legionari dannunziani. Le truppe regolari e la marina non hanno ufficialmente altro compito che – dato il deciso atteggiamento dei Dalmati, armati e pronti a tutto – restare ed anzi concentrarsi sulla linea d’armistizio e mantenere la pulizia del mare per evitare carneficine e mantenere l’ordine123. A capo dell’azione insurrezionale si sarebbe posto un fantomatico «Consiglio Nazionale dei Dalmati», con un comitato esecutivo come elemento guida; il comando supremo delle forze militari sarebbe spettato a Gabriele D’Annunzio124. Per qualche settimana, fra novembre e dicembre, l’eventualità di un arrivo di D’Annunzio a Sebenico o a Zara sembrò plausibile. Come abbiamo visto, la difesa dell’italianità della Dalmazia era un punto centrale del programma del movimento dannunziano e vi erano stati ripetuti impegni del poeta combattente ad accorrere in caso di bisogno o di richiesta d’aiuto da parte dei dalmati italiani. Non fu quindi un caso se, all’indomani di Rapallo, il 13 novembre, le truppe dannunziane occuparono le isole di Veglia e Arbe, peraltro senza incontrare resistenza da parte dei soldati dell’esercito regolare125. Alcuni stretti collaboratori di D’Annunzio, come Giovanni Giuriati, Corrado Zoli, Guido Keller, ritenevano che il movimento dannunziano dovesse proseguire la sua azione spostandosi in Dalmazia, occupando i territori abitati da popolazioni italiane. Il pilota aviatore Keller si fece propugnatore di una possibile spedizione a Spalato, con il chiaro intento di provocare un conflitto militare con lo Stato iugoslavo, che potesse contribuire all’attuazione dei progetti insurrezionali croati, albanesi e mon- 122 FV, ARC GEN FIU, fasc. Attilio Tamaro, Piano d’azione dei dalmati, s.d. (ma verosimilmente novembre 1920), intestato genericamente ai Fasci Nazionali Dalmati, però senza alcun firmatario. 123 Ibidem. 124 Ibidem. 125 GERRA, op. cit., p. 539 e ss. IL TRATTATO DI RAPALLO 227 tenegrini126. Giuriati, invece, progettò il piano di occupare l’isola di Curzola e di trasferirvi il grosso delle forze legionarie, al fine di sabotare l’abbandono italiano della Dalmazia centro-settentrionale127. Ma tutti questi progetti rimasero privi di attuazione. Fondamentale per il passato successo delle iniziative dannunziane era stato il sostegno delle forze armate italiane, in primis di quelle presenti in Venezia Giulia e Dalmazia, che avevano fornito cibo e munizioni ai legionari dannunziani ed avevano tollerato o favorito le azioni di D’Annunzio. Elemento cruciale, quindi, per la riuscita di un’eventuale spedizione o insurrezione dannunziana in Dalmazia sarebbe stato nuovamente l’atteggiamento di Millo, da sempre sostenitore dell’applicazione integrale del patto di Londra in Dalmazia, e delle truppe italiane presenti nei territori dalmati occupati. In realtà, dopo Rapallo il sostegno dell’esercito verso D’Annunzio calò drasticamente. Se fra alcuni gruppi di ufficiali e soldati rimaneva simpatia per gli obiettivi dannunziani, nella gran parte dell’esercito, in particolare fra i vertici militari – soddisfatti dei risultati ottenuti dal governo Giolitti-Sforza, che aveva garantito all’Italia il formidabile confine orientale sulle Alpi Giulie –, prevaleva il desiderio della tranquillità e della pace dopo un lungo e travagliato dopoguerra adriatico. Consapevole dei rischi connessi all’atteggiamento di Millo, il 14 novembre Giolitti telegrafò al governatore della Dalmazia chiedendogli di adoperarsi per l’esecuzione del trattato di Rapallo: «Lo Stato Maggiore dell’Esercito dichiara che il confine raggiunto dà all’Italia piena sicurezza. Ho la convinzione che D’Annunzio per consiglio dei più autorevoli suoi amici non turberà la concordia del nostro paese che è necessaria per il nostro prestigio nel mondo e per l’urgente opera di ricostruzione morale ed economica»128. Millo decise di obbedire al governo. Avuta notizia dell’occupazione dannunziana di Veglia e di Arbe e dell’esistenza di progetti di spedizioni in Dalmazia, il 13 novembre il governatore telegrafò a D’Annunzio chiedendogli di non fare nulla «per non peggiorare le sorti di queste popolazioni già così duramente provate»129. D’Annunzio rispose al governatore proponendogli un incontro chiarificatore, ma comunicandogli anche la sua intenzione di agire in Dalmazia. 126 GERRA, op. cit., p. 567 e ss. GIURIATI, Con D’Annunzio e Millo, cit., p. 170. 128 AM, archivio di base, c. 1497, Giolitti a Millo, 14 novembre 1920. 129 Millo a D’Annunzio, 13 novembre 1920, edito in DI GIAMBERARDINO, op. cit., p. 301. 127 228 LUCIANO MONZALI Io ho il cuore in angoscia, ma è sempre un saldissimo cuore. Se nel nostro amore per la Dalmazia e nel nostro giuramento alla Dalmazia, fosse per insinuarsi un’ombra, nessun dolore eguaglierebbe il mio dolore. Ma io so che la tua fede è incrollabile, e che il basso vento dell’opinione non la tocca. […] Non ho ben compreso il tuo telegramma di stamani. Il tenente Borgia mi portava l’ansia di Zara e di Sebenico. E i Dalmati qui singhiozzavano. Mi sembra che io dovessi, con un atto coraggioso, rassicurare i nostri fratelli martoriati. Sebenico mi chiama da gran tempo. È venuta l’ora di rispondere. Io non farò nulla che non sia nel tuo consentimento. Bisogna tuttavia che tu rifletta non potere io mancare alla mia promessa molto più antica della tua. «Non fare nulla per la Dalmazia», come tu mi esprimi con qualche mio stupore, m’è impossibile. Mancherei all’onore. Te medesimo mancheresti all’onore130. Millo accettò l’incontro, che si tenne allo scoglio Dolfin, fra le isole di Arbe e di Pago, il 15 novembre. Da Zara il colonnello Vigevano, responsabile dell’ufficio informazioni del governatorato, comunicò al Ministero della Guerra che circolavano con insistenza voci di una prossima spedizione dannunziana a Spalato e di diserzioni di truppe italiane a favore di D’Annunzio nel Quarnero: ciò aveva eccitato ulteriormente le truppe e la popolazione in Dalmazia131. Riguardo all’atteggiamento di Millo, nonostante i dubbi sulla saldezza delle sue convinzioni, Vigevano rassicurò il governo di Roma: «Millo mi ha esplicitamente questa notte dichiarato che obbedirà governo e resisterà pressioni D’Annunzio. Lo accompagneranno onorevole Siciliani e comandante Bucci che lo sosterranno nelle tesi della legalità e dimostreranno assurdità impresa Sebenico Spalato»132. Dubbioso sull’atteggiamento di Millo, appena saputa la notizia del progetto d’incontro fra l’ammiraglio e D’Annunzio, Giolitti chiese a Vittorio Emanuele III di telegrafare al governatore della Dalmazia per ricordargli i suoi doveri di fedeltà alla Corona. Il re telegrafò a Millo chiedendogli obbedienza. Ella è soldato e sa che un soldato è legato da giuramento e cioè da quello che Ella prestò quale militare. Ogni suo impegno posteriore è nullo se lo dovesse far mancare ai suoi impegni di soldato. So che posso contare sul giu130 D’Annunzio a Millo, 13 novembre 1920, edito in DI GIAMBERARDINO, op. cit., pp. 302-303. 131 ASMAE, Carte Sforza, b. 6, Vigevano a Ministero della Guerra e al capo gabinetto del ministro degli Esteri, 14 novembre 1920. 132 AM, archivio di base, c. 1497, Vigevano a Ministero della Guerra e al capo gabinetto del ministro della Marina, 14 novembre 1920. IL TRATTATO DI RAPALLO 229 ramento e voglio anche pregarla di far comprendere a tutti i doveri verso l’Italia133. Il 15 novembre Millo incontrò il poeta abruzzese al largo di Arbe, accompagnato dal comandante Bucci e dall’on. Siciliani. Il colloquio durò due ore e Millo comunicò a D’Annunzio la sua volontà di non opporsi all’applicazione del trattato di Rapallo e di obbedire al governo. Il colonnello Vigevano così riassunse il contenuto del colloquio Millo-D’Annunzio: Millo ha tenuto fede a quanto avevami ieri notte dichiarato. È riuscito indurre D’Annunzio soprassedere spedizione Sebenico dichiaratone danno inutilità. D’Annunzio ha affermato però avere a sua volta necessità di essere liberato parola impegnativa data dalmati e di essere in Fiume in tale triste situazione economica da essere spinto atti estremi134. Appena tornato a Zara Millo trovò il messaggio del re e decise di rispondere inviando prima un telegramma a Vittorio Emanuele e a Giolitti, poi una lettera riservata al sovrano. Nel telegramma Millo ribadì la sua fedeltà al re e dichiarò di avere consigliato a D’Annunzio di non prendere iniziative in Dalmazia; per tranquillizzare i dannunziani, però, a suo avviso, bisognava soddisfare alcune loro richieste, specie quelle di natura economica135. Nella lettera il governatore delineò una più completa analisi della situazione in Dalmazia. Millo giustificò il suo incontro con D’Annunzio con la necessità di chiarirgli la situazione dalmata, a lui falsamente rappresentata da alcuni dalmati estremisti. Millo si dichiarò preoccupato per la situazione di Sebenico e Spalato: […] Gli italiani di Sebenico sono addirittura terrorizzati, perché conoscono i futuri dominatori. Lo stato degli italiani di Sebenico è impressionantissimo. Se nel territorio occupato avvenisse ora qualcosa agli slavi, gli italiani di Spalato sarebbero per rappresaglia massacrati, e le nostre unità navali colà, se non bombardate dai forti, potrebbero fare ben poco136. 133 Vittorio Emanuele III a Millo, senza data (ma 14 novembre 1920), edito in DI GIAMBERARDINO, op. cit., pp. 194-195. 134 AM, archivio di base, c. 1497, Vigevano a Presidenza del Consiglio, Ministero della Guerra e Ministero della Marina, 16 novembre 1920; DI GIAMBERARDINO, op. cit., p. 190 e ss.; GERRA, op. cit., p. 570 e ss. 135 Millo a Vittorio Emanuele III e a Giolitti, senza data (ma probabilmente 15 novembre 1920), edito in DI GIAMBERARDINO, op. cit., pp. 195-196. 136 Millo a Vittorio Emanuele III, 20 novembre 1920, edito in DI GIAMBERARDINO, op. cit., pp. 196-198. 230 LUCIANO MONZALI Un’azione dannunziana in quelle località, quindi, poteva avere gravi e pericolose conseguenze. Per ovviare a questo pericolo occorreva spingere l’elemento dalmata moderato a convincere i dannunziani a non intraprendere nessuna azione di forza. L’elemento dirigente dalmata, meno poche eccezioni, è per non opporre resistenza all’occupazione serba, per non provocare reazioni violente da parte dei nuovi occupatori. La parte accesa invece si agita, fa capo a Fiume, e non a d’Annunzio solo, e può provocare cose molto serie. Vedo la situazione sotto colori molto scuri, perché anche dopo finito Fiume, per d’Annunzio e i suoi la questione di Dalmazia sussisterà ancora. Penso che una dichiarazione dei maggiori Dalmati, che non desiderano resistenza senza probabilità grandi di successo, potrebbe facilitare una soluzione, se ci si dovrà venire. Forse potrebbe ottenersi, e sto esaminando come137. Pure il colonnello Vigevano si dichiarò convinto della necessità di fare opera persuasiva sui dirigenti dalmati perché sciogliessero D’Annunzio dalle promesse d’intervento in precedenza fatte138. In effetti, per facilitare una svolta moderata di D’Annunzio, appena tornato a Zara Millo inviò il suo capo di Stato maggiore, Bucci, a Sebenico, al fine di ottenere una dichiarazione dei capi italiani della città, Pini e Miagostovich, che liberasse il poeta dall’impegno che aveva in precedenza preso di difendere l’italianità di Sebenico139. Pini e Miagostovich prepararono tale dichiarazione, ma il deteriorarsi della situazione politica in Dalmazia e l’opposizione di vari consiglieri di D’Annunzio e di alcuni esponenti nazionalisti, ostili a rinunciare alla spedizione in Dalmazia, ne impedirono la divulgazione140. A Zara la scelta legalista di Millo e dei suoi collaboratori fece infuriare gli elementi estremisti. Il 16 novembre Vigevano riferì che parte della popolazione di Sebenico e Zara aveva insultato pubblicamente l’on. Siciliani e alcuni funzionari del Governo ritenuti «colpevoli di fare opera contraria venuta D’Annunzio»141. Nei giorni successivi la situazione si aggravò. Il 17 novembre alcuni volontari dalmati dirot137 Ibidem. 138 Vigevano a Presidenza del Consiglio, Ministero della Guerra e Ministero della Marina, 16 novembre 1920, cit. 139 DI GIAMBERARDINO, op. cit., p. 193. 140 ASMAE, Carte Salata, b. 269, Millo a Ministero della Guerra, 12 dicembre 1920; Tamaro a D’Annunzio, 29 novembre 1920, cit. 141 Vigevano a Presidenza del Consiglio, Ministero della Guerra e Ministero della Marina, 16 novembre 1920, cit. IL TRATTATO DI RAPALLO 231 tarono il piroscafo Istriano, partito da Zara per le isole della Dalmazia centrale con a bordo i rappresentanti degli italiani delle isole Curzolane, e obbligarono l’equipaggio a fare rotta per Fiume, al fine d’invocare l’intervento di D’Annunzio in Dalmazia142. La sera del 18 Millo fece arrestare alcuni degli autori del dirottamento e li inviò nel carcere militare di Ancona. Ma tale azione esasperò ancora di più gli oppositori dalmati di Millo e lo stesso D’Annunzio, che sembrò sconfessare la sua precedente disponibilità a venire incontro ai desideri governativi in Dalmazia inviando al governatore una lettera personale il 19 novembre. Il poeta comunicò all’ammiraglio che i dalmati giunti a Fiume si erano dichiarati pronti a tutto al motto «Italia o morte». Il mio posto con i Dalmati sembra dunque confermato. Le notizie che tu mi dai contraddicono a questo. L’azione esercitata da ogni parte su te ha lo scopo di isolarmi. È forte chi è solo. Intanto è necessario resistere, senza oscillazioni, fino al giorno delle sorti elettorali S.H.S. Qui la mia gente è con me. Non ho nulla da temere. In ogni caso, c’è chi può sciogliermi di tutto: la buona morte143. Era evidente che D’Annunzio e i suoi seguaci continuavano a sperare in una crisi interna iugoslava, prodotta da una vittoria delle forze anti-serbe alle elezioni in Iugoslavia o da una rivolta anti-governativa, come mezzo per impedire l’applicazione del patto di Rapallo. Nei mesi di ottobre e novembre il governo dannunziano di Fiume aveva continuato a coltivare rapporti con gruppi nazionalisti albanesi, croati, montenegrini e macedoni secessionisti, puntando ad organizzare una grande rivolta contro il governo di Belgrado in occasione delle elezioni generali. Fu in particolare Giovanni Host Venturi a condurre questa politica anti-iugoslava. I dannunziani ebbero finanziamenti per realizzare tali disegni dall’industriale lombardo Borletti, che si offrì di fare da mediatore per ottenere altri soldi dal governo di Roma144. Host Venturi, Odenigo e Zoli progettarono con i secessionisti macedoni, albanesi, montenegrini e croati una grande rivoluzione in Iugoslavia con inizio il 21 novembre 1920145. Il forte successo elettorale del partito 142 AM, archivio di base, c. 1497, Millo a Ministero della Marina, 17 novembre 1920. 143 D’Annunzio a Millo, 19 novembre 1920, edito in DI GIAMBERARDINO, op. cit., pp. 304- 305. 144 FV, ARC GEN FIU, fasc. Giovanni Host Venturi, Host Venturi a D’Annunzio, 21 ottobre 1920. 145 FV, ARC GEN FIU, fasc. Giovanni Host Venturi, Host Venturi a D’Annunzio, s.d. 232 LUCIANO MONZALI repubblicano contadino croato e le agitazioni antigovernative sviluppatesi in Croazia fra la fine di novembre e dicembre alimentarono a Fiume speranze in una grande sollevazione antiserba ed anti-iugoslava146, che impedisse ogni tentativo di applicazione del trattato di Rapallo. Ma i progetti insurrezionali contro la Iugoslavia si rivelarono velleitari e utopistici; niente di quanto organizzato e sperato avvenne: il potere iugoslavo si dimostrò solido e forte. Il persistere di tali velleità destabilizzava la situazione in Dalmazia, dove parte della popolazione era ormai ostile a Millo, accusato di tradimento e di politica repressiva. Il 19 novembre Vigevano segnalò il peggioramento della situazione a Zara. Molte fonti davano per sicura una spedizione dannunziana a Zara, Sebenico e Curzola. Corrado Zoli, collaboratore di D’Annunzio, aveva minacciato Millo di pubblicare il carteggio del governatore con il poeta, con le sue numerose passate dichiarazioni di sostegno al movimento dannunziano. L’arrivo di numerosi giornalisti (Tamaro, Vettori, Cipolla) in città aveva aumentato la tensione politica147. Le agitazioni a Zara, in effetti, erano alimentate dalle campagne di stampa di alcuni giornali italiani come «L’Idea Nazionale»148. Questa strumentalizzazione politica della situazione dalmata da parte di alcuni partiti italiani rendeva difficile per i moderati avere il sopravvento sugli elementi estremisti. Che la possibilità di una dichiarazione pacificatrice da parte dei principali patrioti dalmati, capace di dissuadere D’Annunzio dal compiere atti di forza, fosse ormai politicamente improponibile fu chiaro con la pubblicazione di un appello firmato dalla maggior parte dei capi dei dalmati italiani su «L’Idea Nazionale» il 23 novembre149. L’appello denunciò il trattato di Rapallo come un «tradimento degli italiani ed anche degli slavi italofili di Dalmazia» che venivano consegnati ad una potenza barbara, e mi- (ma fine novembre, inizio dicembre 1920); ivi, fasc. Corrado Zoli, Zoli a D’Annunzio, 22 novembre e 9 dicembre 1920. 146 FV, ARC GEN FIU, fasc. Corrado Zoli, Zoli a D’Annunzio, 11 novembre e 11 dicembre 1920. 147 ASMAE, Carte Sforza, b. 6, Vigevano al Ministero della Guerra e al Ministero degli Affari Esteri, 19 novembre 1920. 148 «L’Idea Nazionale», 19 novembre 1920, ANTONIO CIPPICO, Dalmazia nostra; ivi, 21 novembre 1920, ANTONIO CIPPICO, Lettera ai dalmati; ibidem, ATTILIO TAMARO, La situazione in Dalmazia. 149 «L’Idea Nazionale», 23 novembre 1920, Appello dei Dalmati: l’appello, che sembra compilato dalla penna di Alessandro Dudan, fu firmato da Luigi Pini, Luigi Ziliotto, Giovanni Lubin, Alessandro Dudan, Lauro Galzigna, Gian Antonio Botteri, Giacomo Vinzi, Lorenzo Dojmi di Delupis, Francesco de Marassovich, Michele Borovich, Pietro Uroda, ecc. IL TRATTATO DI RAPALLO 233 nacciava una dura opposizione ad ogni tentativo di applicazione: Italiani, orbene, tale misfatto noi lo impediremo. Le nostre città, baciate ormai dalla redenzione italiana, non lasceranno partire le truppe redentrici, non permetteranno la nuova invasione barbarica. Ogni sacrificio sarà compiuto. Nulla ci spaventa150. Con il passare dei giorni, però, la realizzazione di una spedizione dannunziana in Dalmazia divenne sempre più improbabile. Lo stesso D’Annunzio si limitò ad appelli pubblici alla resistenza, ma quando si trattò di passare alla concreta organizzazione della spedizione si dimostrò restio ad impegnarsi: il fallimento del tentativo di Giuriati di organizzare l’occupazione dannunziana di Curzola alla fine di novembre, causato dal disinteresse del poeta abruzzese, ne fu la chiara riprova151. Ma la mobilitazione politica dei gruppi dannunziani e nazionalisti a Zara continuò, alimentando una febbrile agitazione nella popolazione locale. Non è cosa semplice spiegare ed interpretare l’atteggiamento degli esponenti del liberalismo nazionale zaratino e dalmata di fronte agli eventi di quelle settimane. Dalla documentazione disponibile appare evidente una forte incertezza sul da farsi ed una netta spaccatura all’interno della classe dirigente italiana dalmata: da una parte, coloro (Dudan, Cippico, Schönfeld) che sostenevano l’esigenza di impedire anche con la forza l’applicazione del patto di Rapallo, dall’altra, quelli (Ziliotto, Krekich, Pini) che, temendo, in caso di conflitto armato italo-iugoslavo in Dalmazia, violente ripercussioni sulle collettività italiane, svolsero una politica filo-governativa e si rassegnarono ad accettare l’applicazione dell’accordo. La documentazione conferma in particolare una forte ambiguità ed oscillazione nelle posizioni della vecchia guardia liberale-autonoma, Ziliotto, Ghiglianovich, Krekich. Nel corso del 1919 e 1920 Ghiglianovich e Ziliotto avevano seguito una politica sostanzialmente governativa, collaborando con tutti i governi italiani ed anche ai negoziati per il trattato di Rapallo, che aveva sancito anche per loro un’indiscussa vittoria: l’annessione di Zara all’Italia. Per premiare i loro sacrifici e sforzi, nonché la loro collaborazione con lo Stato, dopo la firma del trattato di Rapallo il governo decise di nominare senatori del Regno i vecchi capi del partito au150 151 Ibidem. GIURIATI, op. cit., p. 170 e ss. 234 LUCIANO MONZALI tonomo italiano, Luigi Ziliotto152, Roberto Ghiglianovich153 e Ercolano Salvi154. Dopo Rapallo, però, Ziliotto, Krekich e i loro più stretti seguaci, forse delusi per le eccessive rinunce nel circondario zaratino (la mancata annessione all’Italia delle isole di fronte a Zara) decise da Sforza e Giolitti e spaventati dalle agitazioni di piazza contro l’accordo, assecondarono per alcuni giorni le dimostrazioni di protesta contro il contenuto del patto e la sua applicazione. L’11 novembre 1920 Ziliotto scrisse a D’Annunzio una lettera con la quale invocò l’intervento del poeta a difesa dei dalmati italiani. Comandante, Negli ultimi giorni, per la gravità eccezionale dei momenti, ho costituito e adunato intorno a me un comitato d’azione col compito di disciplinare tutte le forze vive e fattive del paese: uomini a Voi devoti sino all’estremo e ognora prontissimi al Vostro cenno. Le notizie di oggi sulla soluzione data dal governo alla questione adriatica – soluzione deludente con ignominia il diritto dei Dalmati – ha suscitato un senso diffuso di amarezza e di sdegno. E per questo, eletti dal comitato d’azione, vengono a Voi, Comandante, con animo di fedeli e di speranti, delegati di Zara e di ogni parte della Dalmazia venduta: da Sebenico e dalle Isole Curzolane. Vengono per essere da Voi ammaestrati e fortificati nello spirito che vince, in nome e per la dignità d’Italia. La Vostra parola di amore e di volontà, mentre sarà legge per me, che sempre ho tenuto fisso e reverente lo sguardo a Voi come a nostro salvatore magnanimo, sarà legge per tutti. E riuscirà pur balsamo alla cocente piaga aperta così sul corpo della nostra pianta miseranda. Con Voi e per l’Italia, tutti, e sempre, o Comandante155. 152 ASSR, Segreteria, fascicoli personali dei senatori, b. 60, fascicolo Luigi Ziliotto, decreto di nomina di Luigi Ziliotto a senatore, 15 novembre 1920. 153 ASSR, Segreteria, fascicoli personali dei senatori, b. 27, fascicolo Roberto Ghiglianovich, decreto di nomina di Roberto Ghiglianovich a senatore, 15 novembre 1920. 154 ASMAE, Carte Salata, b. 269, Salata a Ziliotto, 16 novembre 1920. Il 17 novembre, però, Salvi morì per problemi cardiaci e di fatto la sua nomina a senatore non ebbe alcuna concretizzazione. La stampa nazionalista strumentalizzò la morte di Salvi, dovuta a problemi di salute sorti già all’epoca della prima guerra mondiale, attribuendola falsamente al presunto dolore per la mancata annessione della Dalmazia del patto di Londra all’Italia: «L’Idea Nazionale», 18 novembre 1920, La morte di Ercolano Salvi. Il dolore per la sua tradita Dalmazia lo ha ucciso. 155 FV, ARC GEN FIU, fasc. Luigi Ziliotto, Ziliotto a D’Annunzio, 11 novembre 1920. Nei giorni successivi, come abbiamo visto, si svilupparono vari contatti fra Zara e Fiume, finalizzati a preparare un possibile sbarco dannunziano in Dalmazia. Ziliotto e la vecchia guardia liberale-nazionale assecondarono tali progetti per un po’ di tempo. Lo conferma questa lettera che Ziliotto inviò a D’Annunzio il 27 novembre: «Comandante, Alle altre notizie aggiungiamo le seguenti importantissime apprese all’ultima ora, dalle IL TRATTATO DI RAPALLO 235 Con il trascorrere dei giorni Ziliotto, Krekich, Pini e molti capi liberali zaratini e sebenzani si resero conto dei gravi rischi che un’eventuale opposizione armata al patto di Rapallo avrebbe comportato. La radicalizzazione violenta del conflitto nazionale in Dalmazia rischiava di lasciare le popolazioni italiane nel Regno SHS alla mercé di vendette e rappresaglie dei nazionalisti iugoslavi e dell’esercito serbo, portando alla distruzione delle collettività italiane. Una reazione violenta dei dalmati italiani al trattato di Rapallo avrebbe potuto provocare la distruzione dell’italianità dalmatica. L’applicazione pacifica dell’accordo e un miglioramento delle relazioni fra Italia e Iugoslavia, invece, avrebbero consentito la sopravvivenza delle collettività italiane in tutta la Dalmazia e una loro successiva lenta riorganizzazione e ripresa culturale e nazionale. L’emergere di questa consapevolezza circa l’inevitabilità del trattato di Rapallo e l’esigenza di non perdere il sostegno del governo di Roma – alleato sempre più indispensabile per la minoranza italiana in Dalmazia – spiegano la cautela e l’ambiguità dell’atteggiamento di Krekich e Ziliotto verso i progetti dei dannunziani e dei nazionalisti italiani a partire dalla fine di novembre. La moderazione, conseguenza di una crescente rassegnazione, dei liberali dalmati italiani emerge in questa testimonianza del capitano Bucci, capo di Stato maggiore di Millo: quali potrà rilevare l’enorme gravità della situazione: i presidi militari di Kievo, Knin, Dernis sono stati ridotti e contano pochissimi uomini. Il Capitano Ritelli di Kievo – magnifico soldato – si mostra preoccupatissimo disponendo di soli 65 uomini. Le popolazioni implorano il nostro aiuto disperatamente. Nelle acque di Sebenico incrociano la R. N. Regina Elena e due cacciatorpediniere. A Bencovaz si fanno i preparativi per la panificazione per un forte contingente di truppe che ivi dovrebbe transitare, diretto a Zara. Per lo stesso motivo fu fatta – dalle autorità militari – una forte ordinazione di carne da macello. A Zara con il piroscafo Fram è giunta questa sera da Lissa una compagnia di soldati completamente equipaggiati. Domattina partiranno con il postale diretto ad Ancona, parecchi ufficiali e soldati avviati in licenza! Le reclute che dovevano giungere in questi giorni da i depositi sono state trattenute nella Penisola, quantunque ufficiali dei reggimenti dislocati in Dalmazia fossero stati inviati a prenderle. Gli ufficiali e soldati che attualmente si trovano in licenza, hanno avuto ordine di non rientrare. Dobbiamo inoltre informarLa che in questi ultimi giorni, elementi stranieri, appartenenti a bande di comitagi serbi, eludendo la vigilanza delle nostre truppe, sono penetrati armati nella nostra zona. Si hanno anche notizie di contrabbandi di armi a mezzo di velieri. Persino a Zara si trovano individui appartenenti alla Legija smrti (Legione della morte) con il mandato di creare incidenti. Risulta che i presidi jugoslavi sono stati ovunque rafforzati oltre la linea d’armistizio. Il morale delle nostre truppe è altissimo, potete esserne sicuro. Soltanto Voi potrete soffocare il tradimento e salvare la Dalmazia. Con Voi per la vita e per la morte» (FV, ARC GEN FIU, fasc. Luigi Ziliotto, Ziliotto a D’Annunzio, 27 novembre 1920). 236 LUCIANO MONZALI Verso i primi di dicembre 1920 a Zara fu tenuto un comizio, di Italiani Dalmati. […] In questo comizio fu votato un ordine del giorno violentissimo, che fu presentato da Ziliotto ed altri; ma Ziliotto disse all’Ammiraglio, me presente, che l’ordine del giorno era stato votato sotto la pressione popolare, mentre essi, i presentatori, non lo condividevano, perché convinti che nulla si poteva fare per la causa dalmata156. Che Ziliotto e i liberali zaratini volessero a tutti i costi scongiurare l’esplosione della violenza in Dalmazia e fossero pronti anche ad accettare l’applicazione del trattato di Rapallo fu ben presto chiaro ai nazionalisti più intransigenti. Il 1° dicembre, in una lettera a Ghiglianovich, Attilio Tamaro criticò duramente l’operato dei liberali zaratini, accusandoli di volersi dissociare da D’Annunzio nella lotta contro il trattato di Rapallo; grave, secondo il nazionalista triestino, era il comportamento di Ziliotto, che ondeggiava e tentennava sul da farsi, dividendo i dalmati157. Nelle sue corrispondenze da Zara Tamaro descrisse più volte Krekich, Ziliotto e i liberali come troppo pronti ai compromessi e «pacifisti», mentre esaltò la passione patriottica di fascisti e nazionalisti come Zimolo, Mandel e Calebich158. Se fra novembre e dicembre la situazione a Zara divenne sempre più tesa e difficile, a Sebenico la comunità italiana cadde ben presto in uno stato di depressione cupa e disperata. In un rapporto dell’11 dicembre Millo analizzò l’atteggiamento delle varie componenti nazionali della città verso il prossimo ritiro dell’esercito italiano. A Sebenico erano presenti, per il governatore, tre partiti, il croato, il serbo e l’italiano: Il primo ed il secondo rappresentati da una gran maggioranza di contadini ed operai di basso ceto e da una minoranza di elementi colti; il terzo, invece, quasi esclusivamente da elementi evoluti ed intellettuali159. Se negli ambienti serbi e nei gruppi croati filoiugoslavi vi era soddisfazione per il futuro passaggio sotto la sovranità dello Stato SHS, molti erano i timori della popolazione croata cittadina e contadina. 156 DI GIAMBERARDINO, op. cit., pp. 193-194. BS, Carte Ghiglianovich, b. B, Tamaro a Ghiglianovich, 1° dicembre 1920. 158 Ad esempio: «L’Idea Nazionale», 5 dicembre 1920, ATTILIO TAMARO, Zara rifiuta l’annessione all’Italia e proclama la sua unione alla Reggenza del Carnaro. 159 AM, archivio di base, c. 1497, Millo alla Presidenza del Consiglio, al Ministero della Marina e al Ministero della Guerra, 11 dicembre 1920. 157 IL TRATTATO DI RAPALLO 237 La classe agricola del Partito Croato, pur dimostrandosi apparentemente indifferente, non seppe celare la sua grande preoccupazione per l’avvento del futuro regime che essa prevede essenzialmente Serbo e come tale non spassionato, ma prepotente e capace di qualsiasi, anche ingiusto, sistema per assicurare il predominio alla razza ed alla religione serba. In un primo tempo ebbero perfino luogo alcune adunanze o, per meglio dire conventicole, specie di abitanti della campagna nelle quali fu manifestatamente espressa la simpatia per la permanenza degli italiani. Non molto diverse furono le impressioni del ceto colto Croato. Esso, infatti, sebbene con maggiore prudente riserbo, ebbe a manifestare, specie in discorsi privati, il convincimento che migliori sarebbero state le sorti della Dalmazia, qualora fosse stato applicato integralmente, od anche in parte, il Patto di Londra160. Divenuta sempre più improbabile una spedizione dannunziana a Sebenico, nel partito italiano l’abbattimento aveva ormai invaso tutti gli animi. Nessuno ha fiducia nella garanzia contemplata nella convenzione di Rapallo. Intimoriti dalle minacce dei serbo-croati dei quali temono ora le vendette per i dispetti e le angherie fatte contro questi ultimi durante la nostra occupazione, non hanno che un solo partito, quello di mettersi in salvo con le loro famiglie ed i loro beni realizzabili. Di questo stato di cose incolpano le personalità politiche [che erano] state più favorevoli alla causa dalmata, i propagandisti, tutti regnicoli, che si recarono in Dalmazia, affermando che i Dalmati italiani furono prima illusi con vane parole e poi traditi161. Il 2 dicembre a Zara l’imbarco per l’Italia di un primo contingente di soldati che doveva essere congedato fu l’occasione di incidenti. Una folla eccitata si radunò al porto per impedire la partenza dei soldati e ciò provocò duri incidenti fra popolani, carabinieri e ufficiali dell’esercito, accusati di tradire la causa dalmatica162. Come reazione agli incidenti il governo fece espellere da Zara il prof. Jacchia, esponente del fascismo triestino. Nei giorni seguenti si ebbero nella città dalmata continue manifestazioni di protesta contro Millo e venne proclamato uno sciopero di protesta contro le autorità militari italiane, accusate di tradimento. Il 4 dicembre il generale Taranto, capo delle trup- 160 Ibidem. Ibidem. 162 GERRA, op. cit., pp. 575-576; DI GIAMBERARDINO, op. cit., p. 201; TACCONI, L’impresa dannunziana in Dalmazia, cit., p. 56. 161 238 LUCIANO MONZALI pe dell’esercito presenti a Zara, inviò a Roma una relazione sulla situazione in Dalmazia163. Dopo il trattato di Rapallo si era venuta a creare una pericolosa agitazione politica a Zara, soprattutto a causa della crescente consapevolezza che il governo non avrebbe fatto causa comune con D’Annunzio ed, anzi, avrebbe impedito ogni spedizione dannunziana. Tutto ciò aveva fatto deteriorare la situazione nella città. Poiché l’intera popolazione italiana della Dalmazia non era contenta delle clausole del Trattato di Rapallo, e gli elementi italiani di altre città accusavano Zara di aver pensato alle sole sue sorti, sorgeva qui in Zara l’idea di dover fare qualche cosa che risultasse protesta contro il Trattato e solidarietà con gli altri dalmati. Al di sopra della necessità di fare qualche gesto di protesta restava in alcuni elementi, pochi in principio, ma assai eccitabili ed eccitati, la speranza che un gesto dannunziano avrebbe potuto salvare ancora la Dalmazia all’Italia. Ai pochi esaltati nessuno osava e nessuno osa sovrapporre la voce del buon senso e delle supreme necessità della Patria, anzi i più, per pavidità d’animo, per non essere tacciati di tradimento, si univano come si uniscono, ad essi in un’opera di eccitazione continua, che trovava e trova facili simpatie per il suo spirito nazionale. La presenza di elementi estranei quali il pubblicista Tamaro, il prof. Jacchia ed altri, hanno contribuito ad eccitare gli animi, sicché oggi la situazione è resa gravissima, e si dirige tutta contro questo governo164. Per resistere alle continue provocazioni e mantenere l’ordine, Taranto fece richiesta di rinforzi, 150 carabinieri e 150 guardie regie, oltre all’invio di una nave da guerra165. L’eco degli incidenti al porto di Zara giunse anche a Fiume provocando l’ira di D’Annunzio. Il 5 dicembre, in un comizio ai fiumani e ai suoi legionari, il poeta accusò Millo di essere un traditore e di usare la violenza contro la popolazione zaratina, e promise di combattere fino alla morte per Fiume, le isole e la Dalmazia166. Per incitare gli zaratini contro Millo, nei giorni successivi, nel corso di un avventuroso volo aereo, Guido Keller lanciò copie del testo del discorso del poeta su Zara167. L’agitazione politica continuò ad essere forte a Zara. Le autorità militari cercarono di mantenere l’ordine evitando arresti e l’uso della forza e facendo ope163 AM, archivio di base, c. 1497, Taranto a Presidenza del Consiglio, Ministero della Marina, Ministero della Guerra, 4 dicembre 1920. 164 Ibidem. 165 Ibidem. 166 D’ANNUNZIO, Scritti politici, cit., p. 245 e ss.; GERRA, op. cit., pp. 576-579. 167 GERRA, op. cit., pp. 576-579. IL TRATTATO DI RAPALLO 239 ra di persuasione sugli elementi moderati. Ma, l’8 dicembre, Taranto segnalò che il circolare di voci su una possibile spedizione dannunziana e le notizie che giungevano dagli altri centri della Dalmazia occupata acuivano la tensione. Il timore di rappresaglie croate e serbe contro gli italiani, alimentato dall’invio di lettere anonime, aveva suscitato panico, specie a Sebenico. Gli attacchi della stampa croata di Spalato avevano creato grande preoccupazione a Zara. La stampa slava di Spalato continua ad essere violenta contro gli italiani e discute largamente la ricerca di espedienti per ammazzare la vita economica e civile di Zara per distruggere ogni residuo di italianità. È largamente discussa la proposta di costruire la nuova capitale in prossimità di Zara, per attirare quel piccolo movimento che certamente, mancando oggi altro centro, rimarrà fra Zara ed il suo immediato retroterra […]. Tutto ciò non fa che indurre i dalmati nella convinzione di essere stati completamente abbandonati e concorre a rendere la situazione più difficile168. Sforza invitò a non drammatizzare la situazione e a non prendere seriamente quanto scriveva la stampa croata. Si tratta di voci di un momento di crisi. La minaccia stessa di creare una nuova capitale nei pressi del confine di Zara indica quanto [siano] ridicole e passeggere le minacce. Ciò infatti non accadrà mai; si tratta delle solite fantasie slave. La ripresa dei commerci farà presto sparire siffatta atmosfera169. Da Roma il ministro della Guerra, Bonomi, reiterò l’ordine al comando militare di Zara d’impedire anche con la forza ogni tentativo di sbarco in Dalmazia170. Nel corso di dicembre il contrasto fra gli estremisti dannunziani e i liberali moderati emerse con sempre maggiore evidenza. I dannunziani zaratini escogitarono lo stratagemma di tentare d’impedire l’applicazione del trattato di Rapallo attraverso la proclamazione dell’unione della città di Zara alla Reggenza del Carnaro171. Questa iniziativa fu contrastata sia dalle autorità di governo, che impedirono i contatti fra Fiume e Zara, che dai liberali zaratini, favorevoli all’annes- 168 AM, archivio di base, c. 1497, Taranto alla Presidenza del Consiglio, al Ministero della Marina e al Ministero della Guerra, 8 dicembre 1920. 169 AM, archivio di base, c. 1497, Sforza a Sechi, 11 dicembre 1920. 170 AM, archivio di base, c. 1497, Bonomi a Taranto, 8 dicembre 1920. 171 TAMARO, Zara rifiuta l’annessione all’Italia, cit. 240 LUCIANO MONZALI sione all’Italia. Al riguardo abbastanza chiaro fu il significato legalista e moderato del messaggio che, dopo il voto di approvazione del trattato di Rapallo da parte della Camera dei deputati, Ziliotto e Ghiglianovich inviarono da Roma al Comitato di salute pubblica di Zara il 6 dicembre 1920: «La Nazione, desiderosa di pace, accettò nella sua stragrande maggioranza il trattato di Rapallo. Il voto della Camera lo dimostra. Il Senato darà pure, per la stessa ragione, una votazione favorevole al trattato e non avrà che un piccolo numero di voti contrari. Abbiamo inteso gli uomini più autorevoli della politica sostenere che qualsiasi azione contraria all’esecuzione del trattato costituirebbe un vero delitto di leso patriottismo e che per ciò era necessario rassegnarsi per ora e non intralciare comunque l’esecuzione del trattato. I Dalmati – i Dalmati soli – non possono però e non devono rassegnarsi. […] I Dalmati devono però agire da soli e non coinvolgere comunque la Nazione in complicazioni internazionali. La Dalmazia deve esser difesa dai soli Dalmati con la disperazione del loro diritto. È necessario quindi che i Dalmati facciano uno sforzo supremo, inaudito, ma da soli, perché soltanto allora il loro sacrificio sarà fecondo […]»172. I liberali si opposero all’annessione di Zara alla Reggenza del Carnaro. L’8 dicembre Krekich, vicepresidente del Comitato di salute pubblica, scrisse una lettera a «L’Idea Nazionale» smentendo le corrispondenze di Tamaro che annunciavano l’unione di Zara alla Reggenza di Fiume: Il locale Comitato di Salute Pubblica non ha mai deciso […] di proporre alla città di Zara di rifiutare popolarmente l’annessione all’Italia e di proclamare la sua unione alla Reggenza Italiana del Carnaro173. Nei giorni successivi lo scontro politico a Zara si acuì ulteriormente. Il 10 dicembre Tamaro scrisse su «L’Idea Nazionale» che il governo stava sottoponendo gli avversari del trattato di Rapallo ad una dura repressione. Il generale Taranto, che aveva ormai assunto l’amministrazione della città, aveva impedito che alcuni esponenti nazionalisti zaratini si recassero a Fiume e aveva minacciato di licenziamento gli impiegati pubblici coinvolti in manifestazioni anti-gover172 LUIGI ZILIOTTO, ROBERTO GHIGLIANOVICH, Messaggio al Comitato di salute pubblica di Zara, in «La Rivista Dalmatica», 1932, nn. 1-2, p. 137. 173 «L’Idea Nazionale», 8 dicembre 1920, Il Comitato di Salute Pubblica di Zara. IL TRATTATO DI RAPALLO 241 native. Tamaro paragonò l’azione del governo italiano a quella dell’Impero asburgico. Qui si domanda se non siano ritornati i tempi della servitù. Si espelle un giovane triestino accusandolo di far propaganda italiana; si fanno pedinare dalla polizia altri giovani sospettati ridicolmente di accendere una popolazione che è accesa dalla sua antica e nuova passione. Si espelle da Zara il capitano Mandel, zaratino, valoroso combattente, perché autorevole e efficace membro del Fascio di combattimento. Peggio ancora: si chiamano al Governatorato tre cittadini di specchiatissimo patriottismo, il cavalier Schoenfeld, il prof. Filippi e il dott. Inchiostri, e si dichiara ad essi che sono considerati come ostaggi, direttamente responsabili di qualunque dimostrazione succedesse in città174. L’azione di Tamaro a Zara e il carattere anti-governativo delle sue corrispondenze spinsero le autorità militari a decretare l’espulsione del giornalista triestino dalla Dalmazia l’11 dicembre175. L’espulsione di Tamaro sembrò aggravare la tensione nella città. Il colonnello Vigevano – insieme a Taranto a capo del governo di Zara in quei giorni, mentre Millo, caduto in uno stato di grave prostrazione psicologica e fisica, svolgeva un ruolo sempre più marginale176 – riteneva fondamentale per ristabilire l’ordine in città l’allontanamento del battaglione dannunziano e degli elementi borghesi più estremisti, oltre allo scioglimento del battaglione Rismondo composto dai volontari dalmati; bisognava, poi, sostituire Millo e i suoi collaboratori, ormai malvisti dalla popolazione177. La mattina del 14 dicembre le autorità militari cercarono di procedere al disarmo del battaglione Rismondo, causa di continui disordini e manifestazioni antigovernative. Il tentativo di disarmo, però, provocò una reazione armata dei volontari e portò al leggero ferimento di cinque guardie regie178. La tensione si era talmente aggravata a Zara che Millo, depresso e malato, chiese al governo di essere sostituito. 174 «L’Idea Nazionale», 10 dicembre 1920, ATTILIO TAMARO, Il piccolo stato d’assedio a Zara. 175 Millo a Ministero della Guerra, 12 dicembre 1920, cit.; «L’Idea Nazionale», 14 dicembre 1920, Attilio Tamaro espulso dalla Dalmazia. 176 ASMAE, Carte Sforza, b. 6, Vigevano a Presidenza del Consiglio, 6 dicembre 1920. 177 ASMAE, Carte Salata, b. 269, Vigevano a Ministero della Guerra, 12 dicembre 1920. 178 AM, archivio di base, c. 1497, Millo a Presidenza del Consiglio, Ministero della Marina e Ministero della Guerra, 14 dicembre 1920; ibidem, tenente colonnello Brizio al Comando generale dell’Arma dei carabinieri, s.d. (ma data d’arrivo 21 dicembre 1920). 242 LUCIANO MONZALI Situazione si è qui molto inasprita – il governatore scrisse a Giolitti il 14 dicembre – e popolazione zaratina si accanisce specialmente contro di me e contro quanti mi coadiuvano nel mio Ufficio. Sono del parere che mia sostituzione oppure mio allontanamento dalla Dalmazia […] potrebbe giovare, nel momento attuale, a migliorare la situazione, ora gravissima179. Giolitti accettò la richiesta di Millo e scelse per successore il prefetto di Udine Bonfanti Linares, avente responsabilità, come commissario civile, solo degli affari politici e civili; il comando militare, invece, fu assunto dal generale Taranto180. Proprio in quei giorni ebbe luogo il dibattito al Senato italiano per la ratifica del trattato di Rapallo. Influenzato dallo stato di agitazione che viveva la popolazione di Zara e desideroso di non porsi in contrasto con i sentimenti di larga parte dei dalmati italiani, il 16 dicembre, Ziliotto, ormai senatore, decise di fare un discorso contrario alla ratifica del trattato di Rapallo. Il sindaco di Zara dichiarò che il trattato di Rapallo era stato un errore e non andava ratificato perché disconosceva l’italianità della Dalmazia. Dopo avere ribadito che la Dalmazia era qualcosa di diverso dai Balcani ed espresso solidarietà politica ai dalmati italiani abbandonati al dominio iugoslavo, Ziliotto esaltò l’operato di D’Annunzio e si dichiarò convinto che l’Italia non poteva concludere la pace contro la volontà del poeta abruzzese e del suo movimento181. Questo discorso al Senato attirò dure critiche a Ziliotto da parte di alcuni giornali, che, riprendendo la propaganda iugoslava del 1918, accusarono il sindaco di Zara di essere stato a lungo austriacante e di essersi solo tardivamente trasformato in difensore dell’espansionismo dannunziano. «Il Corriere della Sera» ricordò un discorso di Ziliotto alla Dieta Provinciale dalmata nel 1896 in cui il politico zaratino aveva negato che esistessero velleità irredentistiche degli italiani di Dalmazia182, mentre il «Lavoratore della Sera» riprodusse documenti austriaci che segnalavano molti atti di lealismo asburgico compiuti da Ziliotto fra il 1914 e il 1915183. Erano accuse 179 ASMAE, Carte Salata, b. 201, Millo a Giolitti, 14 dicembre 1920. Carte Salata, b. 201, Giolitti a Millo, 15 dicembre 1920. 181 AP, Senato del Regno, tornata del 16 dicembre 1920, discorso di Luigi Ziliotto, p. 2305 e ss.; ZILIOTTO, In difesa di Zara, prima e dopo Rapallo, cit., pp. 276-282. 182 Per un’interpretazione di quel discorso di Ziliotto: MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., pp. 176-177. 183 «Il Lavoratore della Sera», 20 dicembre 1920, Come fu irredentista Ziliotto; ibidem, Anche il “Corriere della Sera” dà dell’austriacante a Ziliotto. 180 ASMAE, IL TRATTATO DI RAPALLO 243 polemiche che non tenevano conto della complessità della situazione politica dalmata prima della guerra, e che pure non sembravano comprendere la difficile posizione dei vecchi capi del partito italiano a Zara dopo il trattato di Rapallo. Tuttavia, alla luce del successivo comportamento di Ziliotto, appare evidente che il carattere ed il tono del discorso compiuto dal politico zaratino al Senato si spiegavano con l’esigenza di difendersi dalle critiche di coloro che lo accusavano di essere in fondo favorevole al trattato di Rapallo perché garantiva l’annessione di Zara all’Italia. Dopo l’approvazione del trattato di Rapallo da parte del Senato, il 19 dicembre, su mandato dei principali esponenti del liberalismo dalmata, Ziliotto scrisse una lettera a D’Annunzio, dal contenuto completamente opposto rispetto a quanto dichiarato tre giorni prima al Senato. Con una scelta di parole molto abile ed attenta, Ziliotto consigliò a D’Annunzio di accettare il trattato di Rapallo e la sua applicazione. L’Italia non doveva essere travolta dalla tragedia dei dalmati, che dovevano sacrificarsi per l’interesse comune. Che mi dice dunque il cuore? Mi dice: Rientriamo nella legalità. Un’azione fuori legge mi pareva particolarmente indicata quando si trattava d’indurre il governo a fare meno spropositi che fosse possibile. Anche fuori di ciò pensavo opportuno di agire, supposta una certa probabilità di successo. Adesso – parlo soltanto del problema dalmatico – ogni speranza di successo mi sembra esclusa184. Anche se il governo avesse consentito lo sbarco di una spedizione di volontari in Dalmazia, le possibilità di successo erano nulle: mancavano le armi, le risorse finanziarie, gli uomini. Io credo poi che, come moltissimi sarebbero pronti a rischiare la vita in un’impresa in cui ci fosse speranza di successo, le file si assottiglierebbero assai per un’impresa a priori condannata a fallire. Penso inoltre a quelle povere famiglie che non hanno nessuna persona atta alle armi, e dovrebbero esulare per il fatto dell’azione, perché questa renderebbe impossibile a qualunque italiano per molti anni la vita in luoghi che restassero in mano agli Slavi. Penso che questo esodo forzato degl’Italiani darebbe il colpo mortale all’Italianità dell’altra sponda, la quale altrimenti, per quanto con difficoltà immense, è destinata a rinascere. Per questo, e tenuto conto del parere dei più 184 Ziliotto a D’Annunzio, 19 dicembre 1920, edita in ZILIOTTO, In difesa di Zara, prima e dopo Rapallo, cit., pp. 283-287. 244 LUCIANO MONZALI fervidi italiani di Dalmazia, e perché dalle parole di un numero infinito di persone, fra le quali dei più ferventi di fede, ho dedotto il convincimento che l’Italia ha bisogno d’un momento di pace, io penso che noi in Dalmazia si debba entrare nella legalità e avvisare, entro codesta cornice, ai mezzi di provvedere alla nostra causa. […] Io penso, Comandante, che in certi momenti occorre maggior coraggio a vivere che a morire. Nessuno domanda a Lei «il sacrificio dello spergiuro», perché non v’è persona al mondo che non conosca il Suo spirito eroico e non uno che creda ch’Ella non sia nello stesso sentimento di tutte le volte che promise di salvarci. Ma noi potremmo sacrificare la nostra vita, se fossimo sicuri di non fare inutili vittime; questa sicurezza non l’abbiamo, anzi abbiamo la sicurezza del contrario, e quindi dobbiamo chinarci185. La lettera di Ziliotto mostrava che l’elemento dalmata liberale e moderato, consapevole che non vi era alternativa ad una politica di collaborazione con il governo di Roma, era ormai deciso a riaffermare la propria egemonia politica rispetto ai gruppi intransigenti ed estremisti che potevano provocare danni irreparabili per l’italianità dalmatica. Dopo la votazione al Senato sul trattato di Rapallo, la situazione politica in Dalmazia si stabilizzò lentamente. Per alcuni giorni circolarono voci che a Fiume si stesse preparando una spedizione per Zara alla quale avrebbero preso parte circa duemila volontari triestini186. L’arrivo di Foscari, un difensore intransigente dell’annessione italiana della Dalmazia, nella città dalmata sembrò confermare la plausibilità di tali notizie. In effetti il 21 dicembre un gruppo di legionari dannunziani, appartenente in parte alla Legione dalmata, composto da una settantina di soldati e ufficiali, proveniente da Fiume, sbarcò a Castel Venier, località a circa 25 chilomentri da Zara187. Loro obiettivo era occupare Zara e impedire ogni ritiro italiano dalla Dalmazia occupata. Il commissario civile Bonfanti Linares, appena giunto a Zara, ordinò che alcune truppe regolari andassero incontro ai legionari per bloccarli ed eventualmente arrestarli. Gli ordini di Bonfanti, però, non furono eseguiti dai soldati, che fraternizzarono con i dannunziani e li fecero en- 185 Ibidem. AM, archivio di base, c. 1497, Millo a Presidenza del Consiglio, Ministero della Guerra e Ministero della Marina, 18 dicembre 1920. 187 TACCONI, L’impresa dannunziana in Dalmazia, cit., p. 57; ELIO RICCIARDI, I bersaglieri in Dalmazia e il battaglione bersaglieri “Zara”, Gorizia, 1999, p. 7; GUALTIERO SANTINI, Fiamme dannunziane. Fiume Veglia Arbe Zara, Ancona, s.d., p. 230 e ss.; FV, ARC GEN FIU, fasc. Fiume-Legione dalmata, La Legione dalmata in Fiume ed i fatti di Zara. 186 IL TRATTATO DI RAPALLO 245 trare a Zara. L’episodio era l’ennesima conferma dello stato di anarchia in cui era caduta Zara dopo il trattato di Rapallo. Comunque una più rigorosa applicazione del blocco per terra e per mare intorno a Fiume e alle isole occupate dai dannunziani, deciso dal generale Caviglia, per ordine del governo, rese definitivamente impossibile ogni ulteriore spedizione verso la Dalmazia188. Posteriormente Bonfanti descrisse la situazione a Zara in quei giorni in questi termini: Colloqui con l’on. Ziliotto, con l’on. Foscari e con altri, mi confermano nell’opinione che l’infatuazione della cittadinanza è artificialmente mantenuta dalla propaganda assidua di pochi spiriti esaltati e dal regime di violenza da tempo inaugurato, e per cui si è creata questa strana situazione: coesistono due Governi dei quali quello legale, più forte di numero, è in realtà dominato dall’altro che si impone con l’audacia, con gli attentati criminosi, con le violente sopraffazioni, con le minaccie di rappresaglie: e questi elementi irregolari costituiti dal battaglione di legionari fiumani (battaglione Carnaro) e dei volontari dalmati (battaglione Rismondo) sono acquartierati in due caserme vicine fra loro e intercomunicanti per vie sotterranee […]; e sono mantenuti (ricevono paghe e viveri) dai Comandi delle nostre truppe regolari189. La tensione fra le autorità civili e militari legali e i gruppi dannunziani, per settimane tenuta sotto relativo controllo grazie all’arrendevolezza e alla debolezza di Millo, esplose apertamente il 26 dicembre. Giunta la notizia che alcuni arditi si erano impadroniti del rimorchiatore Lilibeo e successivamente della nave Marsala, Bonfanti decise di procedere allo scioglimento forzato dei volontari dannunziani. La nave Marsala fu circondata da tre rimorchiatori armati e carichi di carabinieri, che convinsero gli arditi alla resa. Alcuni reparti di carabinieri e soldati regolari circondarono le caserme occupate dai volontari dalmati e dai legionari, i quali preferirono evitare scontri armati: 120 legionari fiumani e 160 volontari dalmati si arresero e vennero immediatamente disarmati e imbarcati su una nave per Ancona. Nonostante l’esito incruento del disarmo dei volontari dannunziani presenti nelle caserme, nella città fra il 26 e il 27 dicembre si ebbero vari incidenti e atti di violenza. Dopo le intimazioni, e fino all’imbrunire (e quindi fin dopo la resa) la 188 GERRA, op. cit., p. 610. 189 ACS, UNP, b. 72, Bonfanti dicembre 1920. al presidente del Consiglio e al ministro della Guerra, 28 246 LUCIANO MONZALI città rintronò di spari, di scoppi di bombe, di salve di fucileria: i volontari dalmati, non accasermati, rinchiusi e bloccati nelle proprie abitazioni, ignari dello svolgersi degli avvenimenti, hanno creduto di prendere parte alla presunta azione, lanciando bombe e sparando dalle finestre; gli agenti dell’ordine ribattevano imperturbati. Varie manifestazioni furono tentate nelle piazze e nelle vie adiacenti alle caserme; ma il fermo contegno della forza pubblica impedì che la popolazione venisse travolta nelle operazioni contro i legionari190. La resistenza cessò dappertutto appena il commissario civile fece «gridare» un bando per portare a conoscenza dei cittadini che legionari e volontari si erano arresi. L’operazione di scioglimento delle forze armate dannunziane a Zara provocò la morte di un soldato regolare (Francesco Palumbo), ucciso da una fucilata sparata da una caserma, e di una civile (la domestica croata Giovanna Miofrag), colpita da un’arma da fuoco mentre era affacciata ad una finestra, nonché sei feriti191. Il 27 dicembre finì così il tentativo dei volontari e dei legionari dannunziani d’impedire a Zara e nella Dalmazia italiana l’esecuzione del trattato di Rapallo. Peraltro, sempre in quei giorni, fra il 24 e il 31 dicembre, il governo legionario a Fiume si dissolse e D’Annunzio si ritirò in Italia. Terminava l’avventura del movimento legionario, anche se a Zara molti seguaci dannunziani, spesso animatori e fondatori sia dei gruppi nazionalisti e fascisti locali che del repubblicanesimo zaratino, sarebbero rimasti protagonisti delle lotte politiche nella Dalmazia italiana nei due anni successivi, ponendosi in alternativa alla vecchia classe dirigente liberale, guidata da Ziliotto. Sciolte le forze armate di volontari dalmati e di legionari dannunziani presenti a Zara, con il conseguente rimpatrio in Italia dei volontari non zaratini, soppressa la Reggenza del Carnaro a Fiume, il 5 gennaio si celebrò a Zara l’annessione della città all’Italia. Nella città si svolsero celebrazioni festose e piene d’entusiasmo. Bonfanti così descrisse quella giornata: Da ogni finestra sventola tricolore. Nella città animatissima regnano massimo entusiasmo ed ordine perfetto. Sindaco Senatore Ziliotto pubblicò no- 190 Ibidem. Ibidem. Alcuni giorni dopo gli scontri morì pure il volontario spalatino Riccardo Vucassovich, ferito a Zara il 26 dicembre 1920. 191 IL TRATTATO DI RAPALLO 247 bile patriottico manifesto e stamane Consiglio Comunale con altre rappresentanze istituti locali presentavansi forma solenne Commissariato Civile esprimere Rappresentante del Governo devozione tutta città dinanzi alla Patria finalmente riacquistata192. Con l’annessione all’Italia si chiudeva una travagliata fase della storia degli italiani di Zara e della Dalmazia e sembrava finalmente realizzarsi la pluridecennale aspirazione di molti di loro all’emancipazione nazionale e all’unione con la madrepatria. Iniziava, però, una nuova epoca che si sarebbe rivelata piena d’incognite e di pericoli. 3.3. Due Stati deboli e divisi. Le lotte politiche e nazionali nel Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e in Italia negli anni Venti Le relazioni diplomatiche fra Italia e Regno dei Serbi, Croati e Sloveni negli anni Venti non possono essere adeguatamente spiegate e comprese senza tenere conto del fatto che i rapporti fra i due Stati, e in particolare il problema dell’applicazione del trattato di Rapallo, non furono solo un mero aspetto della politica internazionale italiana e iugoslava, ma anche un importante problema di politica interna in seno a due società sconvolte da violente lotte intestine. All’inizio degli anni Venti Iugoslavia e Italia erano due Stati scossi da dure lotte politiche e sociali, nel primo provocate dal complesso processo di costituzione di una nuova entità statuale, nel secondo dalla difficoltà della transizione da un sistema politico liberale oligarchico ad uno con una più ampia partecipazione popolare. Come abbiamo visto, già dopo pochi mesi di esistenza, il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, sorto dall’alleanza fra la monarchia nazionale serba e alcuni gruppi politici croati e sloveni anti-asburgici e favorevoli alla creazione di uno Stato iugoslavo, cominciò a conoscere una crescente conflittualità interna. Nel corso del 1919 emerse chiaramente che i capi politici croati filoiugoslavi, Trumbic!, Smodlaka, Tres#ic! Pavic#ic!, espressione di un sistema politico come quello asburgico che favoriva le élites cittadine e aristocratico-borghesi, erano scarsamente rappresentativi della volontà delle grandi masse contadine e popolari della Croazia e della Dalmazia. La crisi economica e lo shock provocato dall’avvento dell’amministrazione serba nei territori ex- 192 ASMAE, Carte Sforza, b. 6, Bonfanti a Sforza, 5 gennaio 1921. 248 LUCIANO MONZALI asburgici, abituati a forme di governo più evolute ed avanzate, provocarono ben presto il sorgere in Croazia e in Bosnia di un’opposizione politica ostile al nuovo Stato ed all’egemonia serba in esso. Il partito dei contadini croato e il partito comunista iugoslavo furono le forze che maggiormente incarnarono questo sentimento d’opposizione antisistema. Il partito contadino repubblicano croato, guidato da Stjepan Radic!193, dopo la guerra divenne la principale forza politica della Croazia raccogliendo il consenso della grande maggioranza della popolazione, in particolare dei ceti contadini. Esso chiedeva la creazione di una Repubblica croata indipendente, che poteva eventualmente fare parte di una confederazione iugoslava. Il partito comunista iugoslavo, sorto nel 1920 e diffuso fortemente in Dalmazia e nei principali centri urbani, era un’organizzazione con forti divisioni al proprio interno, che spesso riflettevano una spaccatura fra coloro che erano vissuti in seno all’Austria-Ungheria e coloro che erano stati cittadini del vecchio Stato serbo. I comunisti erano favorevoli ad uno Stato iugoslavo, ma erano critici verso il governo militare e autoritario serbo194. Le elezioni per l’Assemblea costituente, tenutesi il 28 novembre 1920, mostrarono chiaramente la spaccatura esistente in seno allo Stato iugoslavo195. Se i radicali e il partito democratico, espressione dei serbi, raccolsero il consenso della gran parte dell’elettorato serbo conquistando 91 e 92 deputati, in Croazia i contadini repubblicani conquistarono la netta maggioranza dei voti eleggendo 50 deputati. In Macedonia, Montenegro e Dalmazia il partito comunista ottenne un ottimo risultato elettorale, conquistando 58 seggi196. Dalle elezioni risultava chiaramente una profonda spaccatura politica nel Paese, con le forze anti-sistema ed anti-serbe maggioritarie in tutti i territori non serbi. Il partito contadino repubblicano croato mostrò la sua ostilità allo Stato iugoslavo, decidendo di non partecipare ai lavori dell’Assemblea costituente e rifiutando di riconoscere la legittimità di 193 BIONDICH, op. cit.; BANAC, The National Question, cit. BANAC, The National Question, cit., p. 328 e ss. 195 Sulle lotte politiche in seno allo Stato iugoslavo nel corso degli anni Venti: JANJATOVIC!, Politic#ki Teror u Krvatskoj, cit.; ALEX N. DRAGNICH, The First Yugoslavia. Search for a Viable Political System, Stanford, 1983; BANAC, The National Question, cit.; PIRJEVEC, Il giorno di San Vito, cit., p. 35 e ss.; LAMPE, Yugoslavia as History, cit.; PAVLOWITCH, Yugoslavia, cit.; ID., The Improbable Survivor. Yugoslavia and its Problems, London, 1988; MATKOVIC!, Povijest Jugoslavije, cit.; JAKIR, op. cit.; BILANDZI# C, Hrvatska Moderna Povjiest, cit., p. 68 e ss. 196 BIONDICH, op. cit., p. 172; ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1304, Galanti al Ministero degli Esteri, 29 novembre 1920. 194 IL TRATTATO DI RAPALLO 249 questa. Per i deputati croati l’unione croato-serba decisa il 1° dicembre 1918 era un atto illegale e nullo: bisognava aprire un nuovo negoziato fra monarchia serba e deputati croati, su base paritaria, per ridiscutere radicalmente l’organizzazione dello Stato. Contemporaneamente, nel dicembre 1920, Radic! organizzò manifestazioni di massa a Zagabria, che ebbero enorme successo197. Galanti, rappresentante italiano a Belgrado, riferì che una persona di fiducia gli aveva dichiarato che le manifestazioni di Zagabria «sono state imponentissime pel grande numero di partecipanti e per ordine perfetto in cui si sono svolte. Mi ha confermato carattere di fanatismo religioso associato ad un vivissimo nazionalismo croato. Può dirsi che tutti i partiti croati simpatizzano per Radich, se non per l’idea repubblicana, per ottenere una larga autonomia croata. Si conferma ad ogni modo che movimento non è separatista in modo assoluto: Radich ha dichiarato anche al mio interlocutore di volere una Croazia autonoma nel quadro della Jugoslavia»198. Nonostante la forza delle opposizioni, Pas#ic! riuscì a costituire un governo, fondato sul sostegno parlamentare dei radicali, del partito democratico (guidato da Svetozar Pribicevic!), dei contadini serbi e del partito dei musulmani199. Alternando metodi repressivi con blandizie clientelari, il governo Pas#ic! riuscì a fare approvare la nuova Costituzione il 28 giugno 1921. Ma la Costituzione fu votata da una debole maggioranza (223 voti a favore, 35 contrari, 161 assenti dal momento del voto): al voto non parteciparono il partito dei contadini croati, i comunisti, i clericali sloveni, ritiratisi dai lavori della Costituente per protesta. Trumbic! rifiutò di seguire la politica dell’astensionismo dai lavori parlamentari, ma anche lui, il firmatario del patto di Corfù, votò contro la Costituzione200. Il documento costituzionale era espressione della cultura politica serba, fondato su un centralismo autoritario e antipluralista, votato contro la volontà della maggioranza dei partiti non serbi. Per il ministro plenipotenziario italiano Manzoni, la Costituzione era un grande successo di Pas#ic! e dei serbi: 197 ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1304, Galanti al Ministero degli Esteri, 8 dicembre 1920. 198 ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1304, Galanti al Ministero degli Esteri, 12 dicembre 1920. 199 ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1306, Manzoni a Sforza, 11 febbraio 1921. 200 ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1306, Manzoni al Ministero degli Esteri, 3 luglio 1921; PIRJEVEC, Il giorno di San Vito, cit., pp. 39-40; BIONDICH, op. cit., p. 178. 250 LUCIANO MONZALI La votazione del 28 giugno rappresenta: la vittoria del panserbismo sul pancroatismo: la vittoria del regime unitario su quello federale; la vittoria del regime monarchico su quello repubblicano: la vittoria dell’elemento ortodosso sull’elemento cattolico201. Di fatto a partire dall’estate del 1920 la repressione del governo contro le opposizioni si scatenò e la lotta politica divenne sempre più violenta. Per reazione alle violenze serbe, alcuni militanti comunisti uccisero l’ex ministro dell’Interno, Milorad Dras#kovic!, e organizzarono un attentato contro l’erede al trono e reggente Alessandro, che però fallì202. Il 2 agosto il governo votò una legge speciale per la difesa della pubblica sicurezza e dell’ordine, che decretò la soppressione del partito comunista iugoslavo e l’arresto dei suoi capi203. Pure in Croazia la repressione del governo fu molto dura e culminò in violenze e ripetuti arresti di oppositori politici e nello scioglimento del Consiglio comunale di Zagabria, accusato di essere ostile alle istituzioni monarchiche e statali204. Per contrastare il governo dominato dai serbi, i partiti croati si unirono in un fronte unitario, lo Hrvatski Blok, un’alleanza fra i contadini radiciani, l’Unione croata e il partito del diritto. Dominato dal partito contadino, lo Hrvatski Blok difendeva i diritti nazionali croati205. In questo contesto di conflittualità nazionale acuta e violenta, è evidente che i rapporti italo-iugoslavi e la questione dell’applicazione del trattato di Rapallo erano problemi anche di politica interna. Per i partiti croati il trattato di Rapallo era stato un tradimento dei diritti nazionali croati compiuto dal governo serbo a favore dell’Italia. Dopo la conclusione dell’accordo Radic! dichiarò di non ritenerlo valido e vincolante206. Da una parte, il governo di Belgrado ebbe oggettive difficoltà a perseguire una politica di amicizia con l’Italia: si trovò continuamente sottoposto a critiche da parte dei partiti croati e sloveni, che contestavano il trattato di Rapallo e accusavano i serbi di ecces201 Manzoni al Ministero degli Esteri, 3 luglio 1921, cit. 202 ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1306, Manzoni al Ministero degli Esteri, 30 giu- gno 1921. 203 ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1306, Manzoni al Ministero degli Esteri, 2 agosto 1921; JANJATOVIC!, Politic#ki Teror u Krvatskoj, cit., p. 186 e ss.; BANAC, National Question, cit., p. 332. 204 ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1306, Summonte al Ministero degli Esteri, 29 agosto 1921. 205 BIONDICH, op. cit., p. 180 e ss. 206 Galanti al Ministero degli Esteri, 12 dicembre 1920, cit. IL TRATTATO DI RAPALLO 251 siva arrendevolezza verso l’Italia. Dall’altra, il governo iugoslavo sfruttava e alimentava le rivalità nazionali nell’Adriatico per aumentare il proprio consenso interno e presentare lo Stato unitario SHS come unico possibile scudo di protezione di croati e sloveni contro l’imperialismo italiano. La stampa croata filogovernativa, ad esempio il «Novo Doba» di Spalato, perseguiva ossessivamente un’azione di propaganda anti-italiana, avente il chiaro fine di legittimare lo Stato unitario agli occhi di un’opinione pubblica nostalgica del dominio asburgico, impoverita dalla crisi economica e offesa dall’arroganza dei nuovi dominatori serbi. In questa ottica l’ostilità verso la minoranza italiana in Dalmazia e il maltrattamento dei suoi diritti ed interessi rispondevano a due obiettivi precisi: cercare di conquistare maggiore consenso interno fra i croati ed eliminare la presenza di una comunità ritenuta potenziale strumento di penetrazione e possibile quinta colonna dell’imperialismo italiano. In Italia, invece, nonostante la vittoria militare conseguita nella guerra mondiale, la società italiana fu sconvolta da una profonda crisi sociale e politica fra il 1919 e il 1922207. La guerra aveva messo in moto un processo di mobilitazione politica di vaste masse, che il sistema liberale si dimostrò incapace di organizzare. Il malcontento economico e politico alimentò agitazioni e scioperi che travagliarono la società italiana nel primo dopoguerra. La classe dirigente liberale, priva di nuovi leader e di strutture organizzative adeguate, fu incapace di esprimere e rappresentare i bisogni di tanti italiani. Le difficoltà economiche dovute al passaggio da un’economia di guerra ad una di pace, con i conseguenti problemi di disoccupazione, eccedenza di produzione industriale rispetto alla domanda, aggravarono la situazione politica italiana. La classe politica liberale, pur recependo le esigenze e i bisogni delle masse, provate dalla guerra, sembrava incapace di dare risposte rapide ed efficaci alle richieste del popolo italiano. Maggiore successo fra le masse ebbero i socialisti e il partito popolare. I socialisti, però, dominati da correnti massimalistiche ed estremiste, cercarono di sfruttare le agitazioni sociali ed economiche per avan- 207 DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, cit., p. 419 e ss.; GAETANO SALVEMINI, Lezioni di Harvard: l’Italia dal 1919 al 1929, in ID., Scritti sul fascismo, Milano, Feltrinelli, 1963, p. 392 e ss.; PAOLO SPRIANO, Storia del Partito Comunista Italiano, Torino, Einaudi, 1967, vol. I, p. 46 e ss.; ID., L’occupazione delle fabbriche (settembre 1920), Torino, Einaudi, 1964; GIORGIO CANDELORO, Storia dell’Italia moderna, Milano, Feltrinelli, 1978, vol. VIII. 252 LUCIANO MONZALI zare programmi rivoluzionari208. I popolari, invece, erano guidati da una leadership politica ancora rancorosa e ideologicamente ostile verso lo Stato liberale. Da qui l’impossibilità di dare vita ad una forte e convinta collaborazione politica fra popolari e liberali. Le elezioni nazionali del novembre 1919 fotografarono con precisione i mutamenti degli equilibri politici italiani prodotti dalla guerra. I socialisti raccolsero il 32,4% dei voti ed elessero 156 deputati, il partito popolare italiano ottenne il 20,6% dei voti e 100 deputati, mentre i vari gruppi liberali ebbero solo 179 seggi. Nei mesi successivi alle elezioni l’aggravarsi delle agitazioni sociali e politiche, con le occupazioni spesso illegali e violente delle fabbriche e delle terre, e il protrarsi dell’occupazione dannunziana di Fiume, sembrarono mettere in discussione l’ordine sociale e l’esistenza di uno Stato legale. L’incapacità dei gruppi liberali di garantire l’ordine interno e il rispetto della legge, di assumere la difesa degli interessi e dei valori dei ceti borghesi e piccolo borghesi minacciati dalle iniziative socialiste, creò un vuoto di rappresentanza politica che facilitò l’ascesa del movimento fascista. Il fascismo strumentalizzò queste lotte sociali per affermarsi come forza politica di massa e riempire lo spazio lasciato libero dal liberalismo italiano, privo di forte radicamento nella piccola borghesia provinciale. Dalla seconda metà del 1920, presentandosi come fronte di difesa delle forze borghesi lasciate alla mercé del sovversivismo socialista, il movimento fascista divenne un partito con una forte organizzazione in Emilia, Lombardia e Toscana. La Venezia Giulia fu un’altra regione dove il fascismo riuscì a radicarsi e a svilupparsi. Sfruttando la crisi del vecchio partito liberale-nazionale e l’acuirsi della rivalità nazionalistica italo-iugoslava, il fascismo giuliano si affermò come il difensore intransigente dei diritti nazionali italiani nell’Adriatico orientale, pronto ad una lotta implacabile e violenta contro sloveni e croati209. Nel corso del 1921 il movimento fascista si sviluppò progressivamente in tutta Italia e divenne una forza politica influen- 208 CANDELORO, Storia dell’Italia moderna, cit., vol. VIII, pp. 298-299. Circa la situazione politica in Venezia Giulia dopo la prima guerra mondiale: APIH, Italia, fascismo e antifascismo, cit.; ALMERIGO APOLLONIO, Dagli Asburgo a Mussolini. Venezia Giulia 1918-1922, Gorizia, 2001; ANGELO VISINTIN, L’Italia a Trieste. L’operato del governo militare italiano nella Venezia Giulia 1918-1919, Gorizia, 2000; ANNA MILLO, L’élite del potere a Trieste. Una biografia collettiva 1891-1938, Milano, 1989. Sulla distruzione violenta delle istituzioni politiche e culturali slovene, croate e serbe perseguita dal fascismo giuliano: KACIN WOHINZ, PIRJEVEC, Storia degli sloveni, cit.; KACIN WOHINZ, Vivere al confine, cit.; LAVO ? ERMELJ, Sloveni e croati in Italia tra le due guerre, Trieste, 1974. 209 IL TRATTATO DI RAPALLO 253 te. I governi Giolitti e Bonomi non furono ostili all’ascesa del fascismo, ritenuto utile reazione contro le tendenze estremiste dei socialisti. Le elezioni parlamentari del 1921 confermarono ciò, con l’inclusione di fascisti e nazionalisti in seno all’alleanza elettorale dominata dai liberali e denominata Blocco nazionale. I risultati delle elezioni mostrarono la forza politica dei fascisti, e lo spostamento a destra dello schieramento liberale. La questione adriatica e le relazioni italo-iugoslave ebbero una rilevante importanza nella propaganda e nell’ideologia politica fascista e nazionalista210. Il fascismo e il nazionalismo strumentalizzarono le difficoltà di politica estera dell’Italia alla Conferenza della pace per accusare i governi liberali di debolezza e incapacità e per diffondere il mito della presunta vittoria mutilata211. Per i nazional-fascisti, l’Italia era stata incapace di ottenere il pieno soddisfacimento del proprio programma di guerra, in parte per l’ostilità degli alleati, in parte per propria insipienza. La creazione dello Stato iugoslavo era una delle presunte conseguenze della vittoria mutilata. Molti fascisti e nazionalisti condividevano l’avversione irriducibile verso lo Stato iugoslavo dimostrata dal movimento dannunziano, che aveva cercato di suscitare in seno al Regno SHS moti secessionisti intrecciando rapporti con i separatisti croati, montenegrini e albanesi. Era un atteggiamento motivato anche da un’ostilità ideologica verso l’esistenza di uno Stato unitario iugoslavo, ritenuto creazione artificiale voluta dalle potenze occidentali, governo oppressore di molti popoli e nemico degli interessi italiani212. Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, insomma, era l’incarnazione della presunta sconfitta politica italiana dopo la guerra mondiale ed in quanto tale entità da contrastare e distruggere. Il fascismo fece proprie molte idee di politica estera del movimento dannunziano; d’altronde, molti seguaci dannunziani divennero esponenti fascisti: pensiamo a Giovanni Giuriati, Giovanni Host Venturi, Corrado Zoli, ecc. Fortemente influenzato dal movimento dannunziano fu anche uno dei principali scrittori nazionalfascisti sulla questione iugoslava, il triestino Attilio Tamaro, colla210 Per un’interpretazione più generale della genesi dell’ideologia fascista: EMILIO GENTILE, Le origini dell’ideologia fascista (1918-1925), Bologna, 1996; ID., Il mito dello Stato nuovo, Bari-Roma, 1999. 211 Sull’uso politico del mito della vittoria mutilata da parte nazionalista: ROCCUCCI, Roma capitale del nazionalismo, cit., p. 318 e ss. 212 Al riguardo: LUIGI FEDERZONI, Presagi alla nazione. Discorsi politici, Milano, 1925, pp. 177-213; TAMARO, La lotta delle razze nell’Europa danubiana, cit., p. 157 e ss.; MONZALI, Tra irredentismo e fascismo. Attilio Tamaro storico e politico, cit. 254 LUCIANO MONZALI boratore de «L’Idea Nazionale», di «Politica» e di «Rassegna Italiana»213. All’inizio degli anni Venti, Tamaro espresse con i suoi scritti il punto di vista di molti dannunziani e dei circoli nazionalisti romani sulla questione adriatica e sui problemi dell’Europa centro-orientale. Per il giornalista triestino lo Stato iugoslavo unitario era una costruzione artificiale, poiché serbi, croati e sloveni erano popoli con identità distinte e separate. Il suo unico fondamento era la necessità di fare fronte al nemico comune, l’Italia214. A causa delle finalità anti-italiane dello Stato iugoslavo, ogni politica di collaborazione con esso era inutile: per Tamaro, nell’Adriatico era in corso uno scontro fra Slavismo e Latinità, dove vi potevano essere solo un vincitore e un vinto; era inconcepibile qualsiasi coesistenza fra Italia e Stato iugoslavo215. Bisognava piuttosto assicurare in ogni modo l’egemonia dello Stato italiano nell’Adriatico, smantellando il trattato di Rapallo e favorendo la disintegrazione della Iugoslavia, sostenendo i separatismi croato e montenegrino216. L’egemonia dell’Italia nell’Adriatico, per Tamaro e molti dannunziani, nazionalisti e fascisti italiani, poteva essere garantita solo con l’annessione della gran parte della Dalmazia, la creazione di uno Stato croato e la restaurazione di un Montenegro indipendente, ritenuto contrappeso allo Stato serbo-iugoslavo217. L’ostilità verso l’esistenza di uno Stato iugoslavo era la manifestazione più eclatante di un sentimento di critica verso gli assetti territoriali e politici prodotti dalla guerra assai diffuso nell’opinione pubblica italiana, e non limitato alle sole destre218. L’intenso sentimento 213 Al riguardo: MONZALI, Tra irredentismo e fascismo. Attilio Tamaro storico e politico, cit., p. 286 e ss.; ANNALISA DI FANT, Attilio Tamaro in missione politica a Vienna, «Qualestoria», 2003, n. 1, pp. 199-217. 214 ATTILIO TAMARO, Origini e crisi della Jugoslavia, riprodotto in ID., La lotta delle razze nell’Europa danubiana, cit., pp. 157-256. 215 ATTILIO TAMARO, L’esecuzione del Trattato di Rapallo, «Rassegna Italiana», 1922, fasc. XLIX, pp. 392-402. 216 ATTILIO TAMARO, L’On. Sforza vende la patria della Regina ai serbi. Si può sopprimere il Montenegro senza consultare la Camera?, «L’Idea Nazionale», 7 giugno 1921; ID., La questione croata, «Rassegna Italiana», 1922, fasc. XLVIII, pp. 326-337. 217 ATTILIO TAMARO, Il segreto del Trattato di Rapallo, «L’Idea Nazionale», 19 marzo 1921. 218 Uno dei più rumorosi critici dell’ordine territoriale creato a Parigi, e uno dei primi teorici del revisionismo, fu Francesco Saverio Nitti, che a partire dal 1921 si dedicò ad un’attività pubblicistica il cui fulcro centrale era l’invocazione di una radicale modifica dei trattati di pace del 1919 e del 1920: FRANCESCO SAVERIO NITTI, L’Europa senza pace, (prima ediz. 1921), riprodotto in ID., Scritti politici, Roma-Bari, 1959, I, pp. 1-220; ID., La decadenza dell’Europa. Le vie della ricostruzione, (prima ediz., 1922), riprodotto in ID., Scritti politici, cit., I, pp. 224-461; ID., La tragedia dell’Europa, (prima ediz. 1924), riprodotto in ID., Scritti IL TRATTATO DI RAPALLO 255 anti-iugoslavo presente nel fascismo e nel nazionalismo italiano era un elemento non trascurabile dell’ideologia politica dei due movimenti. Gli stessi capi fascisti più pragmatici e realisti, Mussolini in primis, erano costretti a tenere conto di questo diffuso sentire e adattavano in modo opportunistico la propria retorica a tali sentimenti della propria base politica. Non a caso, già dalla fine del 1920 lo stesso Mussolini, pur favorevole al trattato di Rapallo, di fronte al forte dissenso verso le sue posizioni presente in gran parte del movimento fascista, preferì adottare toni sempre più critici verso l’accordo italo-iugoslavo, sposando in sostanza le tesi di Federzoni e Tamaro219. Nel corso dei primi anni Venti si assistette quindi in Italia allo scatenarsi di una continua polemica nazionalfascista contro il Regno SHS e ogni politica di collaborazione italo-iugoslava. Ciò influì non poco sulla politica estera italiana verso la Iugoslavia, condotta da governi deboli politicamente, incapaci di contrastare efficacemente le tesi delle forze di opposizione di destra e spesso timorosi di favorire il miglioramento dei rapporti con Belgrado per non suscitare opposizioni sul fronte interno. 3.4. L’inizio dell’applicazione del trattato di Rapallo: la consegna della prima zona e l’esodo italiano dalle isole dalmate Il processo di applicazione del trattato di Rapallo prese il suo avvio formale dopo lo scambio delle ratifiche fra i due governi il 2 febbraio 1921. Quello stesso giorno venne promulgato un decreto regio con la nomipolitici, cit., I, pp. 467-694. Sull’ostilità francese al revisionismo di Nitti: AMAF, Europe 19181940, Italie, vol. 79, Barrère al ministro degli Esteri, 29 settembre 1920; AMAF, Europe 19181940, Italie, vol. 80, Charles-Roux al ministro degli Esteri, 13 marzo 1922. Molte tesi revisioniste di Nitti erano condivise dal partito popolare. Al riguardo gli accenni di politica estera nei discorsi del capo del PPI, Sturzo: LUIGI STURZO, I discorsi politici, Roma, 1951, ad esempio, p. 42 e ss., 208 e ss. Si veda anche: AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol. 80, Charles-Roux al ministro degli Esteri, 9 maggio 1922. Forte era l’ostilità verso i trattati di pace fra i socialisti. Per Filippo Turati il trattato di Versailles era un patto scellerato, espressione del capitalismo più crudo: esso andava completamente rifatto e sottoposto a revisione: FILIPPO TURATI, Discorso parlamentare, 26 giugno 1920, in ID., Socialismo e riformismo nella Storia d’Italia. Scritti politici 1878-1932, Milano, 1979, pp. 365-379. Per un giudizio della diplomazia francese sulle posizioni di politica estera dei socialisti italiani: AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol. 79, Charles-Roux al ministro degli Esteri, 20 ottobre 1920. 219 Ad esempio: BENITO MUSSOLINI, Discorso alla Camera dei deputati, 21 giugno 1921, edito in ID., Opera omnia, cit., 16, pp. 435-440. 256 LUCIANO MONZALI na dei rappresentanti italiani nelle commissioni bilaterali che avrebbero operato per l’applicazione delle varie clausole del trattato italo-iugoslavo220. Tre commissioni erano previste per la delimitazione dei confini: la prima per la Venezia Giulia, la seconda per i confini italo-iugoslavi verso lo Stato libero di Fiume, la terza per la definizione delle frontiere in Dalmazia. Per la commissione dalmata vennero nominati da parte italiana Francesco Salata, il generale Eugenio Barbarich e Natale Krekich. Il decreto, poi, prevedeva la nomina dei delegati italiani per le future trattative economiche e commerciali con il Regno SHS e per i negoziati in campo culturale. Il lavoro delle cinque commissioni sarebbe stato diretto e coordinato dal segretario generale del Ministero degli Esteri, Salvatore Contarini221. L’8 febbraio il ministro della Guerra, Bonomi, comunicò al commissario civile di Zara, Bonfanti, che il governo, desideroso di procedere al ritiro dalla Dalmazia occupata, pensava di realizzare l’evacuazione in tre fasi. La prima fase avrebbe comportato il ritiro dalla zona dalmata interna compresa fra la linea armistiziale e il limite dei distretti di Zara e Sebenico. La seconda fase sarebbe stata caratterizzata dall’evacuazione delle isole Curzolane e del distretto di Sebenico, mentre la terza sarebbe consistita nel ritiro dal distretto di Zara non annesso all’Italia. Bonomi chiese un parere a Bonfanti su questo piano e sui tempi per organizzare la consegna degli uffici e dell’amministrazione al governo iugoslavo222. Consultato il generale Taranto, Bonfanti rispose di non avere nulla da obiettare circa il piano di evacuazione, salvo la richiesta di una piccola variante nella prima fase, nel senso di lasciare più a lungo in mani italiane il distretto di Bencovaz al fine di mantenere sotto controllo le comunicazioni terrestri, telefoniche e telegrafiche fra Zara e Sebenico. Quello che Bonfanti riteneva importante era non procedere all’evacuazione prima di avere risolto tutte le questioni relative all’organizzazione del territorio. Ritengo peraltro non doversi iniziare evacuazione militare prima aver risolto questioni inerenti alienazione materiali, trasferimento funzionari et nazionali che non intendono rimanere sotto i nuovi occupanti et nomina agenti consolari in alcuni importanti centri223. 220 Decreto di nomina dei delegati italiani per le commissioni previste dal trattato di Rapallo, 2 febbraio 1921, edito in MASSAGRANDE, op. cit., pp. 178-179. 221 Ibidem. 222 ASMAE, Carte Salata, b. 247, Bonomi a Bonfanti, 8 febbraio 1921. 223 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Bonfanti alla Presidenza del Consiglio, all’Ufficio per le Nuove Provincie e al Ministero degli Esteri, 10 febbraio 1921. IL TRATTATO DI RAPALLO 257 Un problema con cui il governo di Roma dovette ben presto confrontarsi fu quello del destino degli italiani della Dalmazia occupata dal 1918 ed in procinto di essere ceduta al Regno SHS. Particolarmente grave era la situazione a Sebenico ed in alcuni centri delle isole (Curzola, Veglia, Arbe, Cittavecchia e Lesina), dove era concentrata la grande maggioranza dei dalmati italiani appartenenti ai territori da consegnare alla Iugoslavia. Sebenico era un centro urbano di circa 14.000 abitanti, con una popolazione in maggioranza croata, ma con nuclei serbi e italiani224. L’elemento italiano componeva una parte rilevante dei ceti commerciali e intellettuali della città: a testimonianza di ciò vi era la forte tradizione culturale italiana di Sebenico, città che aveva dato i natali a Nicolò Tommaseo. Nonostante fin dagli anni Settanta del XIX secolo il Comune fosse sotto il controllo delle forze politiche croate, la minoranza italiana e italofila, organizzata in numerose associazioni che facevano capo al partito autonomo, aveva mantenuto una propria compattezza e influenza nella società sebenzana, rimanendo un elemento importante della vita cittadina. L’occupazione italiana di Sebenico entusiasmò la minoranza italiana che, trascinata dalla propaganda di Millo e delle forze di occupazione, si convinse che l’annessione all’Italia era certa e sicura. Il coinvolgimento degli italiani sebenzani nel governo della città e del suo distretto (ad esempio Luigi Pini, capo del partito autonomo e del Fascio Nazionale Italiano di Sebenico, venne nominato d’autorità sindaco della città) radicalizzò la contrapposizione nazionalistica tra le varie componenti della società locale. Come abbiamo già visto, dopo il trattato di Rapallo la prospettiva del ritiro dell’esercito italiano creò paura e sgomento negli italiani di Sebenico. L’11 gennaio il generale Taranto, comandante delle forze di terra e di mare della Dalmazia occupata, constatò il crescere della delusione, dello sconforto e del timore degli italiani di Sebenico a proposito del proprio futuro. Il governo austriaco, a suo avviso, ave- 224 Secondo il censimento degli italiani di Sebenico fatto dall’amministrazione italiana all’inizio del 1921, nel circondario sebenzano erano presenti 1708 italiani: di questi circa 900 vivevano nella città di Sebenico: ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 2, Prospetto delle persone di nazionalità italiana residenti nel circondario del comune di Sebenico, s.d., ma 1921. Sulla storia di Sebenico: VINCENZO MIAGOSTOVICH, La città di Sebenico. Guida storico-artistica, «Atti e memorie della Società dalmata di storia patria», Roma, 1969, vol. VI, pp. 3-85; SANTE GRACIOTTI, Sebenico nella prospettiva dell’Homo Adriaticus e dell’Homo Europaeus, «Atti e memorie della Società dalmata di storia patria», Roma, 2003, n. 5, vol. XXV, pp. 55-67; MANLIO CACE, I cento anni del Teatro Mazzoleni di Sebenico, «La Rivista Dalmatica», 1970, n. 1, p. 35 e ss. 258 LUCIANO MONZALI va creato una rivalità nazionale fra italiani e croati, che l’occupazione italiana alimentò ulteriormente. Avvenuta l’occupazione italiana – sia per naturale reazione, sia perché le circostanze politiche dell’epoca poterono lasciar credere definitiva una sistemazione ch’era solo provvisoria – non venne esplicata alcuna azione pacificatrice ed armonizzatrice tra i due elementi. Si può anzi affermare che – per lo meno in apparenza – fu acuito il dissidio, in quanto che ai pubblici uffizi vennero chiamati quasi esclusivamente italiani, come tra gli italiani furono scelti i consiglieri e gli assistenti delle autorità occupanti. Infine, in dimostrazioni collettive ed altre pubbliche forme di adunanza, venne fomentata l’affermazione dell’italianità in contrapposto alla propaganda slava. Furono per contro sciolti i Sokol e proibita agli slavi ogni dimostrazione che avesse carattere di nazionalismo. Ne è scaturita per parte di questi ultimi la convinzione che tali procedimenti fossero esclusivamente dovuti ad opera di sobillazione degli italiani del posto verso le autorità occupanti, onde l’antico rancore ha messo – nei due anni di occupazione – radici sempre più profonde. E poiché l’alterna vicenda delle sorti politiche della Dalmazia ha dato modo – in detto periodo – sia agli slavi che agli italiani di potere sperare nel trionfo della loro causa, si è sempre più radicato uno stato di palese ostilità, nel quale ciascuno dei due elementi è rimasto nell’attesa del momento buono per potersi affermare sull’altro. E data la mentalità degli slavi – per questi l’affermarsi si traduce in rappresaglie e persecuzioni con tutti i mezzi. Tali propositi non si sono fatti scrupolo di ostentare – per quanto in forma occulta – quelli che rappresentano i maggiorenti del partito S.H.S. in Sebenico. Ora è naturale che – dopo il trattato di Rapallo – gli italiani, i quali – per antica esperienza – conoscono i loro avversari, siano presi da un senso di vivo sgomento nella previsione del domani. Tale sgomento è specialmente spiccato nelle autorità locali che – dopo esser passate alla nostra causa ed aver prestato utile e fedele servizio – nulla di positivo conoscono ancora circa la loro sorte futura225. Le autorità di occupazione avevano dato assicurazioni che il governo di Roma avrebbe tutelato gli interessi della minoranza italiana che sarebbe rimasta sotto il dominio iugoslavo. Però la popolazione italiana – che si considera abbandonata dalla madrepatria – dimostra amaro sconforto e grande scetticismo. Ad avvalorare tali sentimenti si è aggiunta la circostanza che – mentre nessun provvedimento è 225 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 2, Taranto al Commissario civile per Zara e la Dalmazia occupata, 11 gennaio 1921. IL TRATTATO DI RAPALLO 259 stato sinora preannunziato dalla competente autorità in favore della popolazione anzidetta – sono per contro palesi i prodromi della evacuazione militare; sicché allo stato attuale delle cose molti degli italiani vivono sotto l’incubo che possano all’improvviso trovarsi abbandonati alla mercè degli slavi226. A parere di Taranto, era urgente reagire a tale situazione dando «prove tangibili» che le garanzie promesse stavano per essere concretizzate. In quelle settimane fra gli italiani di Sebenico si manifestarono due orientamenti. Da una parte, vi erano gli italiani desiderosi di abbandonare la città natia, timorosi di possibili rappresaglie serbo-croate e non disposti a vivere sotto il dominio iugoslavo. Dall’altra, una componente della popolazione italiana, guidata da Luigi Pini, era decisa a rimanere a Sebenico anche dopo l’arrivo delle truppe iugoslave. Il 10 gennaio alcuni capi degli italiani desiderosi di abbandonare Sebenico (Doimo Cace, Carlo Ruggeri, G. Dellich, Oreste Anelli) inviarono alle autorità d’occupazione un memoriale in cui espressero le loro richieste227. I firmatari ribadirono la loro fiducia nell’operato del governo di Roma e la volontà di sacrificarsi in nome del più generale interesse nazionale. In previsione di una probabile partenza chiedevano le seguenti concessioni: 1. Per i Dalmati – entro e fuori la zona occupata – che intendono trasferire nel Regno il loro domicilio, trasporto gratuito delle loro persone e cose entro un anno dall’avvenuta opzione. 2. Agli stessi sia accordato un equo cambio delle Corone costituenti il loro peculio nella stessa misura che venne concessa alla Venezia Giulia. 3. Agli operai che vivono del loro guadagno giornaliero sia corrisposto un sussidio adeguato per il tempo della loro disoccupazione e venga provvisto e facilitato il loro collocamento. 4. Alle persone e famiglie veramente bisognose che espatrieranno sia concesso un sussidio. 5. Tutti quelli che detengono concessioni industriali abbiano diritto di goderle anche nella loro nuova residenza. 6. Il governo garantisce infine agli italiani della Dalmazia il risarcimento di quei danni che in seguito a reazioni politiche potessero venire arrecati alle loro proprietà228. 226 Ibidem. 227 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 2, Cace, Ruggeri, Dellich e Anelli al Comando delle truppe italiane in Dalmazia, 10 gennaio 1921. 228 Ibidem. 260 LUCIANO MONZALI Gli italiani decisi a restare a Sebenico, invece, desideravano piuttosto che il governo di Roma agisse per salvaguardare la sopravvivenza delle istituzioni italiane e per garantire la loro libertà linguistica e culturale. Fra le istituzioni più importanti della comunità italiana di Sebenico vi erano il Casino dei Nobili e il Teatro Mazzoleni, società la cui maggioranza dei soci era di sentimenti italiani. Il probabile esodo della maggioranza dei soci avrebbe messo a rischio la sopravvivenza di tali istituzioni e il loro carattere italiano: da qui la richiesta dei capi della minoranza affinché il governo di Roma difendesse l’italianità di queste società, fornendo mezzi finanziari alla comunità per potersi riorganizzare, magari acquistando le quote dei soci in procinto di emigrare da Sebenico229. Altro tema molto sentito dagli italiani di Sebenico era la difesa del libero esercizio del culto religioso nella propria lingua. Luigi Pini, capo della minoranza italiana, ribadì che era stato tradizionale diritto degli italiani «di avere ogni anno in Duomo, in lingua italiana, la predicazione quaresimale, e tutte le altre pratiche religiose, pure in italiano»230. L’ostilità anti-italiana del clero croato e del vicario capitolare, Scarpa, aveva provocato la soppressione di questi diritti nel 1920, «privando così l’elemento italiano del conforto di sentire la parola di Dio nella propria lingua». A nome del Fascio Nazionale Italiano, Pini chiese a favore degli italiani che sarebbero rimasti a Sebenico una serie di garanzie in campo religioso. Gli italiani di Sebenico, consci della influenza grande esercitata dalla religione sulle proprie famiglie e sui propri figli, intendono che tali diritti e consuetudini non vengano soppressi e per ciò invitano codesta Commissione perché interessi le autorità ecclesiastiche competenti (occorrendo anche la Santa Sede) perché vengano ristabiliti anche sotto il nuovo Governo jugoslavo i medesimi diritti rispettati e conservati anche sotto lo stesso Governo austriaco, impedendo al clero locale di abusare della propria influenza religiosa per soffocare l’anima italiana del popolo. A tal scopo si domanda che uno dei maestri sacerdoti già incaricato dell’insegnamento elementare nella scuola, venga riconosciuto dalle locali autorità ecclesiastiche come cappellano degli italiani in Sebenico con autorizzazione di esercitare in Duomo, in ore com- 229 ASMAE, Carte Salata, b. 247, Nicoletti e Miagostovich a Salata, s.d. (ma gennaiofebbraio 1921); ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 2, Fascio Nazionale Italiano di Sebenico a Lega per gli Interessi Nazionali, s.d.; ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 16, Rocco a Sforza, 3 febbraio 1921. 230 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Pini al console italiano a Sebenico, s.d., allegato a Rocco a Sforza, 11 marzo 1921. IL TRATTATO DI RAPALLO 261 patibili coll’orario capitolare come in passato, l’assistenza religiosa in lingua propria agli italiani che rimarranno. Qualora fosse assolutamente impossibile conciliare tali diritti coll’opposizione del Capitolo, sia concesso almeno come minimum indispensabile, per sottrarre l’elemento italiano all’influenza politica del clero croato che in troppe occasioni non ebbe scrupolo di sacrificare l’interesse religioso degli Italiani per propri calcoli politici, l’uso di una (e fra le più decenti) delle quattordici chiese di Sebenico che sia giuridicamente indipendente nelle sue mansioni di ministero dal locale clero croato […], dove ogni italiano possa trovare conforto nel suo isolamento e rispetto al proprio sentimento nazionale231. Era pure importante mantenere aperta la scuola elementare italiana esistente a Sebenico, fondata dalla Lega Nazionale nel 1900. La scuola, chiusa dal governo austriaco nel 1915 e riaperta dall’autorità d’occupazione italiana nel 1918, aveva 156 scolari, che si prevedeva si sarebbero ridotti a circa 50 con il futuro esodo. Il Fascio Nazionale Italiano chiese che il governo di Roma s’impegnasse a consentire la sopravvivenza della scuola, fornendo mezzi di sostegno e garantendo la presenza dei suoi insegnanti (don Michele Uccelli e don Giovanni Bertone) anche dopo il ritiro dell’esercito italiano da Sebenico232. Bisognava poi permettere agli italiani di Dalmazia, appartenenti in prevalenza alle classi colte, di continuare a frequentare le università del Regno attraverso ogni possibile facilitazione, in primis accordando un cambio di favore per le corone austriache a tutti gli studenti dalmati iscritti alle Università italiane233. Dopo la ratifica del trattato di Rapallo fu aperto un vice-consolato italiano a Sebenico, alla guida del quale venne scelto il diplomatico Guido Rocco, che giunse in Dalmazia nel gennaio 1921. Pochi giorni dopo essere arrivato a Sebenico, Rocco inviò un rapporto a Roma constatando la difficile situazione degli italiani nella Dalmazia centrale234. Le forze d’occupazione si trovavano a presidiare un territorio che era destinato a passare sotto il dominio iugoslavo. Vi era il problema di gestire questa fase di transizione, con le forze politiche serbe e croate impazienti ed insofferenti verso la presenza di truppe stra231 Ibidem. Al riguardo anche: ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Le donne cattoliche italiane di Sebenico al consolato italiano di Sebenico, gennaio 1921. 232 Pini al console italiano a Sebenico, cit., allegato a Rocco a Sforza, 11 marzo 1921, cit.; ASMAE, Spalato, b. 15, Rocco a Sforza, 14 marzo 1921. 233 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 11, Doimo Cace e Ugo Fosco al console italiano di Sebenico, s.d., allegato a Rocco a Sforza, 8 marzo 1921. 234 ASMAE, Carte Sforza, b. 6, Rocco a Sforza, 28 gennaio 1921. 262 LUCIANO MONZALI niere, mentre la minoranza italiana era sempre più sfiduciata e spaventata. In tali condizioni si pone il seguente dilemma grave di conseguenze: l’esercito di occupazione, legato da un pesante passato di due anni di sfrenata esaltazione delle aspirazioni all’italianità della Dalmazia e del proposito ardentemente proclamato di non ritirarsi mai da queste terre, non può, fino a quando dovrà occuparle, consentire anticipate manifestazioni del nazionalismo serbo-croato; per fatale necessità di cose un siffatto consenso rappresenterebbe tale affronto alle nostre truppe da privarle immediatamente di qualsiasi prestigio ed autorità. D’altra parte, il mantenimento delle misure e dei bandi, anche temperato dalla equanimità e da una ragionevole moderazione del comando delle forze, rappresenta un anacronismo di carattere odioso e vessatorio in presenza della notoria sistemazione del Trattato di Rapallo235. A parere del console, era opportuno restringere la zona d’occupazione per potere meglio assicurare il controllo delle località più importanti in attesa dell’evacuazione finale; bisognava poi procedere all’organizzazione della minoranza italiana, al fine di garantirne la migliore tutela in un prossimo futuro236. In un lungo rapporto del febbraio 1921237 Rocco delineò un’approfondita analisi della situazione degli italiani di Sebenico. Nella minoranza vi era grande scoraggiamento e molti italiani pensavano all’esodo. Varie erano le ragioni che li spingevano a tale decisione: Le apprensioni per la sicurezza personale non sono certamente infondate. Coloro che più ardentemente avevano favorito l’occupazione italiana sono naturalmente i più esposti; ma nella mentalità grossolana dei croati il rancore si esplica soprattutto in un desiderio di vendetta di coloro che, per aver provocato col loro atteggiamento ostile il rigore dell’Autorità occupante, ne attribuiscono le misure repressive subite (arresti, internamenti, multe) alle presunte delazioni degli elementi italiani che avevano subito stretto vincoli cordialissimi coi loro fratelli giunti come liberatori. […] Gli italiani di Sebenico temono, più che il nuovo regime, le rappresaglie individuali contro le quali non potrà difenderli la vigilanza delle nuove autorità locali238. 235 Ibidem. Ibidem. 237 ASMAE, Carte Salata, b. 215, GUIDO ROCCO, Sguardo alla situazione generale degli italiani nella Dalmazia occupata dal R° Esercito ed assegnata alla Jugoslavia, febbraio 1921. 238 Ibidem. 236 IL TRATTATO DI RAPALLO 263 Le promesse di protezione del governo iugoslavo non erano servite a rassicurare molti italiani che desideravano andarsene; a parere di Rocco, non era «prudente né coscienzioso indurli a restare, ché quand’anche l’Autorità consolare riuscisse a proteggerli in maniera efficace contro la prima reazione, sarebbe impossibile salvarli in seguito dal boicottaggio e dallo spirito vendicativo che in questi croati è tenacissimo»239. Il console prevedeva la partenza di circa 650 persone dalla città di Sebenico, quelle maggiormente coinvolte nell’amministrazione italiana e potenziali vittime di ritorsioni; questi italiani desideravano soprattutto recarsi a Pola, Trieste, Zara e Lussinpiccolo. A parere di Rocco, l’esodo doveva essere facilitato dal governo italiano, organizzando il trasporto e l’accoglienza in Italia. Fra i problemi più importanti da risolvere vi erano la questione del cambio delle corone austriache, che andava fissato al più presto per accelerare le partenze, e l’esodo dei funzionari pubblici, la cui assunzione nell’amministrazione pubblica italiana doveva essere rapida per consentire ai profughi di avere mezzi di sussistenza e di lasciare Sebenico prima possibile. In nessun caso i funzionari possono restare nei territori sgomberati in attesa della loro destinazione, poiché molti di essi, avendo esercitato le loro funzioni sotto il Governo della Dalmazia, per la loro opera di propaganda italiana e di repressione delle resistenze alla nostra occupazione, sarebbero esposti ai maggiori pericoli di vendetta da parte della popolazione240. Molto difficile sarebbe stata la situazione degli italiani rimasti a Sebenico i quali, dopo un periodo di due anni di occupazione italiana, passavano ad una dominazione straniera che prevedevano più dura e ostile di quella asburgica. Lo Stato iugoslavo aveva garantito alcuni diritti alla minoranza italiana; ma le concessioni di Rapallo «consacrando il principio dell’estraneità degli italiani in Dalmazia, li pongono in una condizione giuridicamente inferiore a quella che era fatta alla nazione italiana entro i limiti della Monarchia danubiana». Con l’articolo VII del trattato di Rapallo l’Italia aveva conquistato un diritto d’ingerenza per la protezione dei gruppi italiani, ma tale protezione non poteva oltrepassare i limiti dei diritti riconosciuti a stranieri, «mentre prima gli Italiani della Monarchia avevano modo di appoggiarsi a garanzie costituzionali riconosciute alla loro nazionalità, 239 240 Ibidem. Ibidem. 264 LUCIANO MONZALI ed in questo è il regresso». Notava a questo riguardo Rocco: Le clausole del trattato di Rapallo che costituiscono la loro difesa […] realizzano un complesso di garanzie inferiore nel fatto a quelle che la costituzione della cessata monarchia assicurava a ciascun raggruppamento etnico […] [;] la monarchia danubiana, come Stato plurinazionale, aveva essa stessa l’obbligo di stabilire i limiti positivi della coesistenza delle nazionalità, ed aveva, d’altra parte, l’interesse politico di creare un equilibrio di forze tale da impedire a tutte ed a ciascuna nazionalità di svilupparsi a danno delle altre in proporzioni da poter conquistare una efficiente e minacciosa capacità all’autonomia. Lo Stato S.H.S., invece, conglomerato etnico uninazionale anche se scisso da differenziazioni religiose e linguistiche (che del resto si propone di fare scomparire o attenuare con ogni sforzo) non riconosce nei raggruppamenti italiani una nazionalità ammessa a far parte dello Stato241. Da ciò derivava una serie di conseguenze. Dato il loro carattere quasi interamente «intellettuale», in caso di assunzione della cittadinanza italiana molti italiani di Sebenico non avrebbero potuto continuare le loro professioni. Gli italiani si dedicavano in massima parte agli impieghi di Stato, alla Magistratura, alle professioni libere e specialmente all’esercizio dell’avvocatura. Questa cultura accademica e questa preparazione speciale precludono alla grande maggioranza degli italiani l’accesso al commercio ed alla attività di natura economica che è il solo ramo in cui potrà svolgersi quella collaborazione italo-jugoslava che è nell’intento e nell’interesse dei due Stati. Tutti i funzionari dello Stato, di qualsiasi categoria devono naturalmente allontanarsi. E già nell’esodo dei funzionari la sopravvivenza di quella poca italianità superstite nella Dalmazia viene stroncata, poiché la burocrazia italiana al servizio della monarchia era stata la spina dorsale dell’irredentismo in questo paese242. L’emigrazione di molti funzionari, la probabile estromissione di avvocati, farmacisti e notai italiani da ogni attività professionale e la futura impossibilità per i possessori di cittadinanza italiana di praticare tali professioni avrebbero inferto un colpo durissimo all’elemento italiano autoctono. Nella minoranza italiana sebenzana aveva scarso peso la classe operaia, che nella sua maggioranza si proponeva di parti- 241 242 Ibidem. Ibidem. IL TRATTATO DI RAPALLO 265 re per l’Italia. L’elemento commerciale e i proprietari, invece, a parere di Rocco, avrebbero risentito minori danni dal nuovo regime iugoslavo. È pertanto in questa categoria che si annovera la maggior parte di coloro che intendono restare a Sebenico, come le persone che hanno i maggiori interessi nel Paese. Non è anzi escluso che qualcuno di essi, pur essendo notoriamente di sentimenti italiani, rinunzi a valersi della facoltà di opzione per godere dell’integrità dei diritti civili ed evitare ogni forma o ragione di boicottaggio243. Per migliorare le future condizioni degli italiani di Sebenico era fondamentale mutare l’atteggiamento del clero cattolico croato, in grande maggioranza italofobo. Il clero croato di Sebenico si era dimostrato nettamente ostile all’occupazione italiana244. Per superare questa forte ostilità era indispensabile che le maggiori autorità ecclesiastiche della Dalmazia fossero scelte dalla Santa Sede «con larghi intenti di pacificazione degli animi». Rocco riteneva opportuna un’azione di pressione sul Vaticano affinché fosse nominato un nuovo vescovo di Sebenico capace di realizzare una politica di riconciliazione fra italiani e croati: per tale carica consigliò i nomi di Vincenzo Pulis#ic!, già vescovo di Zara – poco amato dagli zaratini italiani ma uomo moderato e accettabile sia agli italiani che ai croati di Sebenico, città dove era già stato vescovo fra il 1904 e il 1910 –, e di Raimondo Maroevic!, «canonico del Capitolo di Spalato, che sembra essere fra quei pochi sacerdoti di Spalato che, non accecati dalla passione politica, si prestano per assistere in lingua italiana quei nostri nuclei di fedeli»245. Oltre a Sebenico, nella Dalmazia destinata a passare alla sovranità iugoslava le principali collettività italiane erano concentrate nei centri urbani di alcune isole, Curzola, Veglia, Arbe, Lesina, Pago e Lissa. Per assistere le popolazioni italiane delle isole, il governo di Roma inviò Antonio Bucevich, irredentista zaratino entrato nella carriera consolare italiana, come viceconsole a Curzola. Bucevich constatò lo stato di depressione e sconforto della popolazione italiana, che a Curzola città e nel villaggio vicino di Petrara era l’elemento maggioritario, 243 Ibidem. Rocco a Sforza, 11 marzo 1921, cit. 245 Ibidem. 244 266 LUCIANO MONZALI mentre nel resto dell’isola era quasi inesistente. Fra il 1918 e il 1920 le autorità d’occupazione avevano trascinato e istigato parte degli italiani locali a manifestazioni politiche anti-iugoslave «imprudenti ed intempestive», creando un’animosità politica fra croati ed italiani, che faceva temere il rischio di rappresaglie al momento dell’avvento della sovranità serbo-croato-slovena. Secondo Bucevich, bisognava fare di tutto per evitare l’esodo dell’elemento italiano da Curzola. Dopo Zara, Curzola è il centro più importante della Dalmazia perché l’elemento italiano che vive compatto nella città e nel vicino villaggio di Petrara è in prevalenza nel comune-città su quello croato, mentre diventa minoranza nell’intero comune, che conta circa 7000 abitanti […]. Sarebbe oltremodo doloroso se un centro d’italianità come Curzola dovesse scomparire così dall’oggi al domani. Esclusi i regnicoli qui domiciliati e i funzionari del cessato regime entrati al nostro servizio, non calcolati neppure gli italiani di fresca data, dichiaratisi tali dopo la nostra occupazione, restano ancora fra Curzola e il vicino villaggio di Petrara ben 189 famiglie con 835 membri. La maggioranza di questi è composta di piccoli artigiani, specie taglia-pietre, scalpellini e carpentieri, mestieri questi nei quali i Curzolani e quelli di Petrara sono maestri e conosciuti ed apprezzati anche fuori dei confini della Dalmazia. Una minoranza è costituita da possidenti, commercianti ed esercenti. I primi, cioè gli artigiani, formano la parte più patriottica della cittadinanza246. Pure nelle altre isole della Dalmazia centrale vi era una situazione di grave crisi morale e politica, situazione alla quale Bucevich cercò di far fronte con suoi frequenti viaggi nelle varie comunità. A Cittavecchia – ricordò posteriormente Bucevich – riportai l’impressione più penosa. L’elemento italiano era disorganizzato e avvilito. La maggior parte, specialmente i giovani, che durante la nostra occupazione erano stati fanatizzati ed avevano tenuto un contegno intollerante verso gli slavi, volevano andarsene non potendo rimanere nel paese senza esporsi alle ire e alle rappresaglie dei croati, particolarmente di quelli che si erano rifugiati a Spalato per atteggiarsi, senza ragione, a martiri politici. Ma la maggior parte di quei giovani era priva di mezzi e bisognava aiutarli prima con sussidi e poi procurando ad essi un’occupazione nella nuova residenza. Una situazione pressoché identica trovai nella lontana Comisa dove i rapporti fra italiani e slavi erano giunti a tal punto che di oltre un centinaio di italiani, quasi nes- 246 ASMAE, Sebenico, arc ord, b. 8, Bucevich a Ministero degli Esteri, 14 febbraio 1921. IL TRATTATO DI RAPALLO 267 suno intendeva restarvi dopo la nostra partenza. Alquanto migliore era la situazione a Lissa dove, gli italiani, nucleo poco numeroso ma compatto e cosciente, si stringevano intorno alla più nobile figura d’italiano che conti la Dalmazia, il comm. Dott. Lorenzo Doimi-Delupis. Molte cose però lasciavano prevedere che la vita degli italiani sarebbe stata ben difficile in quel luogo, dopo la nostra evacuazione. Lesina era il solo centro dove gl’italiani formassero un gruppo notevole – mezzo migliaio – essendo nello stesso tempo bene organizzati, disciplinati e fiduciosi che il R. Governo li avrebbe aiutati anche dopo lo sgombero. Mirabili italiani quelli di Lesina dove la maggioranza è formata da gente povera: marittimi, pescatori e contadini (Lesina è l’unico luogo in Dalmazia dove esistano contadini italiani). Non è piccolo il merito che per la causa nazionale si sono acquistati i patrioti lesignani Francesco Boglich-Perasti, Felice Baylon e prof. Macchiedo, le benemerenze dei quali sono state finora del tutto dimenticate. Lesina, a mio avviso, doveva essere il luogo dove pochissimi sarebbero partiti oltre i funzionari. È stato certamente il luogo dove non si è mai udito un lagno contro l’Italia247. La situazione a Curzola, nonostante gli sforzi di Bucevich, rimase particolarmente difficile. Qui le lotte nazionali dei due anni precedenti avevano lasciato un pesante retaggio di odio e di risentimenti. Già nel febbraio nella sola Curzola si erano prenotate per la partenza 118 famiglie (circa 354 persone): Tutte le volte che mi assentavo da Curzola – scrisse Bucevich – trovavo, al mio ritorno, la situazione peggiorata. Vi era sempre qualcuno che durante la mia assenza consigliava lo scioglimento di tutte le società italiane e predicava l’esodo in massa in segno di protesta contro l’abbandono dell’Italia. Mi riusciva ogni volta di calmare gli animi e di riparare il male fatto da questa gente248. Sotto lo stimolo delle richieste dei rappresentanti dalmati e dei consoli, il governo di Roma decise di concedere alcune agevolazioni che facilitassero le eventuali partenze di nazionali italiani dalla Dalmazia in procinto di essere consegnata agli iugoslavi. Il 5 marzo il Commissariato civile di Zara e della Dalmazia comunicò ai consolati e alle autorità militari che il sottosegretario per la Marina mercantile aveva dato disposizioni affinché sulle linee interne dell’Adriatico gestite dall’Italia fosse concesso il trasporto gratuito agli italiani che abban- 247 ASMAE, 248 Ibidem. Sebenico, arc. ord., b. 1, Bucevich a Rocco, 23 maggio 1921. 268 LUCIANO MONZALI donavano le loro residenze in conseguenza dell’applicazione del trattato di Rapallo. Tale facilitazione sarà concessa però soltanto su presentazione di appositi certificati da rilasciarsi dai nostri RR. Consoli e viceconsoli o da questo Commissariato attestanti, insieme ad altre generalità proprie e della rispettiva famiglia, che il richiedente è di nazionalità italiana e che abbandona l’attuale sua residenza in conseguenza dell’applicazione del Trattato di Rapallo249. Il governo concesse il trasporto marittimo gratuito per i profughi e le loro masserizie, con un limite iniziale di venti quintali per famiglia, interpretato in maniera flessibile250. Sulle ferrovie statali vennero stabilite tariffe militari per i profughi, con il pagamento di eventuali tasse a carico del Commissariato civile251. La gran parte dei profughi dalmati pensava di trasferirsi a Zara e in Venezia Giulia, territori vicini ai luoghi d’origine. Ma la prospettiva dell’arrivo dei profughi dalmati non riempiva di gioia le autorità politiche ed amministrative di Zara e della Venezia Giulia. Il 5 marzo il Commissariato zaratino comunicò all’Ufficio per le Nuove Provincie che vi sarebbero state gravi difficoltà in caso di eventuale concentramento dei profughi a Zara «a causa dell’attuale crisi delle abitazioni e della assoluta impossibilità di procurare ai profughi stessi una qualsiasi occupazione»252. Analoghe preoccupazioni manifestò il commissario civile di Pola, dove molti esuli intendevano dirigersi anche per l’esistenza nella città istriana di un Comitato per i profughi dalmati253. L’esigenza di assicurare agli italiani dalmati pronti all’esodo o decisi a restare in Dalmazia garanzie e facilitazioni economiche, politiche e giuridiche, però, si scontrava con l’interesse del governo di Roma di accelerare l’applicazione del trattato di Rapallo per impedire un de- 249 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 12, Commissariato civile di Zara e della Dalmazia al console di Sebenico, 5 marzo 1921. 250 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 12, Console di Sebenico al Sottosegretariato della Marina mercantile, 18 aprile 1921; ibidem, Console di Sebenico al Commissariato civile di Zara e della Dalmazia, 29 aprile 1921. 251 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 12, Commissariato civile di Zara e della Dalmazia al console di Sebenico, 25 aprile 1921. 252 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 12, Commissariato civile di Zara e della Dalmazia al console di Sebenico, 5 marzo 1921. 253 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 12, Commissariato civile di Pola al console di Sebenico, 9 marzo 1921. Sull’attività di assistenza ai profughi dalmati a Pola: CLARA LANA, L’associazione dalmatica a Pola, «L’Arena di Pola», n. 3260, aprile 2005. IL TRATTATO DI RAPALLO 269 terioramento dei rapporti italo-iugoslavi. Problema cruciale era lo sgombero dei territori occupati dall’esercito italiano, atto che il governo di Belgrado, anche per ragioni di prestigio interno, chiedeva con insistenza. Sforza, consapevole delle forti ostilità presenti negli ambienti sloveni e croati verso l’accordo concluso a Rapallo, cercò di creare un clima di fiducia con la controparte accelerando il ritiro italiano da alcuni territori occupati. A ciò lo spingevano anche le esortazioni di Manzoni da Belgrado, attento a rilevare che la fiducia serba nell’Italia era ancora alquanto debole e andava rafforzata con una rapida applicazione del trattato. Il 25 febbraio Manzoni scrisse a Sforza riferendo le impressioni di Antonijevic!, ministro iugoslavo a Roma, in visita a Belgrado. Il malcontento verso l’Italia, dice egli, non era andato molto in profondità: ma, aggiunge, bisogna andare avanti adagio, a gradi, perché vi sono ancora, una, due influenze che lavorano, come prima, contro il nostro comune riavvicinamento, del quale sono gelose e sospettose. È poi particolarmente soddisfatto delle disposizioni del Pasich il quale a lui, come già a me, ha detto che la Jugoslavia deve finire per andare d’accordo con l’Italia254. Per Manzoni era importante attivare tutte le commissioni di applicazione del trattato di Rapallo, ma a Belgrado «i mestatori della questione adriatica continuano ad esercitare la loro influenza; e qui non possono ancora trascurarla»255. Per dare slancio al riavvicinamento alla Iugoslavia, Sforza insistette per la rapida consegna di parte dei territori che spettavano al Regno SHS. La commissione per il confine giuliano si riunì il 23 febbraio e stabilì lo sgombero italiano dalla cittadina di Longatico fra il 26 e il 27 dello stesso mese e la successiva consegna delle isole di Arbe e Veglia fra la fine di febbraio e l’inizio di marzo. Il ritiro da Longatico avvenne nelle date stabilite, ma fu contrassegnato da incidenti fra la popolazione slovena e le truppe italiane: in reazione a ciò, il governo di Roma sospese temporaneamente la consegna di Arbe e Veglia. Nonostante la sospensione del ritiro italiano, i lavori delle commissioni di delimitazione proseguirono. La commissione mista dalmata – alla quale per l’Italia partecipavano Bonfanti, Krekich e Barbarich – si riunì per la prima volta a Spalato il 3 marzo e, dopo alcuni giorni di lavo254 ASMAE, 255 Ibidem. GAB 1923-43, AF, b. 23, Manzoni a Sforza, 25 febbraio 1921. 270 LUCIANO MONZALI ri, concluse un accordo che stabiliva le modalità dello sgombero della Dalmazia destinata alla sovranità iugoslava (accordo di Spalato 8 marzo 1921)256. L’accordo prevedeva la consegna dei territori dalmati occupati al governo SHS in tre fasi successive. Nella prima fase, che doveva iniziare il 1° aprile 1921, il governo di Roma avrebbe abbandonato i distretti giudiziari di Pago, Obrovazzo, Kistanje, Dernis e Knin, nonché la parte occupata dei distretti giudiziari di Traù e Spalato; era prevista anche la consegna delle isole Curzolane che, però, in caso di richiesta italiana, poteva slittare all’inizio della seconda fase. Nel corso della seconda fase, che avrebbe avuto inizio il 20 aprile l’Italia si sarebbe ritirata dai distretti giudiziari di Sebenico, Scardona e Bencovaz. La terza fase sarebbe iniziata nella prima decade di maggio ed avrebbe compreso il ritiro italiano da tutto il rimanente territorio dalmata riservato alla sovranità iugoslava, cioè i territori del distretto giudiziario di Zara e Zaravecchia. Eventuali problemi nell’applicazione dell’accordo sarebbero stati risolti dal commissario civile di Zara e dal presidente della delegazione SHS. Importante era l’articolo 14 nel quale la delegazione SHS garantiva «l’assoluta sicurezza delle persone e degli averi di tutti gli amministrati senza alcune eccezione e fino alla definitiva sistemazione dei loro interessi»257. In effetti la delegazione italiana riscontrò un forte spirito collaborativo da parte degli iugoslavi, desiderosi di ottenere al più presto il controllo dei territori della Dalmazia e di evitare ogni incidente che potesse ostacolare lo sgombero258. Esistevano, però, numerose potenziali minacce ad un pacifico sgombero italiano dalla Dalmazia. L’esplosione dello squadrismo in Italia, con il suo rivolgersi a Trieste e in Istria contro istituzioni e organizzazioni slovene, croate e serbe, creava irritazione in Iugoslavia e alimentava reazioni rabbiose e violente nelle frange più estremiste dei nazionalismi iugoslavo, sloveno e croato. L’8 marzo, rilevando l’attenzione dei giornali sloveni verso le violenze fasciste a Trieste, Manzoni scriveva preoccupato: Queste notizie producono eccitazione circoli nazionalisti jugoslavi in un 256 Testo dell’accordo di Spalato 8 marzo 1921 in ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9. Insieme al trattato generale venne concluso un accordo sulla gestione provvisoria e futura delle linee ferroviarie: ibidem. 257 Ibidem. 258 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, BONFANTI, KREKICH, BARBARICH, Relazione sull’opera svolta dalla delegazione italiana nella prima fase dei negoziati per la delimitazione dei confini della Dalmazia, 10 marzo 1921. IL TRATTATO DI RAPALLO 271 momento nel quale è invece necessaria dalle due parti la maggior calma. Raccomando se possibile far intendere fascisti Venezia Giulia interessi superiori politici per astenersi da violenze nelle contrade popolate da sloveni giacché queste dimostrazioni vengono qui sfruttate sempre a scopo puramente nazionalista259. Altro elemento di complicazione nella consegna dei territori dalmati era il fatto che il governo italiano desiderava usare lo sgombero dalla Dalmazia come pedina di scambio in un successivo negoziato con Belgrado, che portasse alla definitiva soluzione della questione fiumana, ad una più precisa tutela dei diritti della minoranza italiana e alla conclusione di trattati commerciali ed economici bilaterali. Tale impostazione, però, era contestata dalla diplomazia iugoslava che riteneva lo sgombero un impegno che il governo di Roma aveva già assunto e non più materia di negoziato: se l’Italia voleva risolvere le altre questioni esistenti nei rapporti bilaterali, doveva innanzitutto ritirarsi dalla Dalmazia occupata. Per Belgrado, anzi, bisognava affrettare il più possibile la consegna dei territori sotto il controllo italiano260. Il 18 marzo Manzoni inviò a Sforza un rapporto dedicato all’analisi delle relazioni italo-iugoslave. Secondo Manzoni, si era giunti ad un momento decisivo dei rapporti fra Italia e Regno iugoslavo. Firmando il trattato di Rapallo l’Italia aveva puntato a creare una stretta amicizia con il Regno serbo-croato-sloveno. A Rapallo […] si decise allora per una politica di amicizia intima col Governo di Belgrado, per arrivare ad una amicizia vera e sincera tra i due popoli, che assicurasse all’Italia di sentirsi sicura sul lato orientale, di non avere in casa propria un irredentismo slavo, di non avere nella Jugoslavia una barriera ma un ponte aperto alla nostra espansione politica, economica e culturale nei Balcani ed al di là, di sottrarre, a poco a poco, la Jugoslavia ad influenze a noi contrarie ed, infine, di concordare colla Jugoslavia una azione di combinato sfruttamento dell’Adriatico che assicurasse ai due popoli rivieraschi la gran massa dei benefici materiali che da esso possono trarsi e per quanto possibile ne escludesse i terzi non rivieraschi261. Questa linea politica, a parere di Manzoni, era giusta e saggia, ed 259 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 23, Manzoni a Sforza, 8 marzo 1921. Ad esempio: GAB 1923-43, AF, b. 9, Nota verbale della Legazione del Regno SHS al governo di Roma, 11 marzo 1921. 261 ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1306, Manzoni a Sforza, 18 marzo 1921. 260 272 LUCIANO MONZALI era condivisa dal governo di Belgrado. Ma nelle ultime settimane nei circoli politici serbi erano sorti dubbi circa la reale volontà dell’Italia di perseverare in una politica di amicizia italo-iugoslava. L’azione dei fascisti nella Venezia Giulia è una delle cause del sorgere di questo dubbio. L’azione di parlamentari pel Montenegro e dello stesso Governo circa i montenegrini di Gaeta e circa la propaganda ufficiale montenegrina dall’Italia, il contegno delle autorità militari e civili al confine Giulio dove si lascia gridare e scrivere, sui giornali e sui muri, contro gli Slavi, dove si tiene atteggiamento come se si fosse davanti al nemico, sono tutti fatti che scuotono la fiducia verso di noi e fanno credere che, malgrado la sua migliore e più sincera volontà, il Governo di Roma o non ha la forza, o non sa, o non vuole farsi seguire dal Paese nella linea adottata a Rapallo, lasciando in realtà le cose andare come, per forza di piazza e di stampa, le indirizza una minoranza appassionata ed estremista262. Secondo il ministro plenipotenziario a Belgrado, il governo di Roma doveva reagire a questa crisi prendendo una serie di iniziative chiare e determinate. Innanzitutto, bisognava spoliticizzare le questioni relative alla sistemazione adriatica, impostandole, invece, su un piano di cooperazione economica, al fine di cancellare ogni dubbio circa le intenzioni dell’Italia. Bisognava poi frenare le violenze fasciste in Venezia Giulia. I dirigenti dei fascisti dovrebbero venir persuasi delle ragioni superiori di politica necessaria per la stessa difesa degli italiani e dell’influenza italiana in Jugoslavia, che impongono una immediata e completa cessazione di ogni dimostrazione antislava o contro Slavi e contro istituzioni slave nella Venezia Giulia ed in tutte le terre che per trattato vanno consegnate alla Jugoslavia. Il Fascismo nella Venezia Giulia è un problema di politica estera e non di politica interna263. Pure le autorità militari e civili in Venezia Giulia e la stampa nazionale dovevano essere convinti ad abbandonare ogni manifestazione anti-slava ed a entrare in una logica di cooperazione con Belgrado. A tal fine bisognava fare cessare la propaganda indipendentista montenegrina in Italia, sciogliere rapidamente la legione montenegrina presente a Gaeta ed obbligare gli esuli montenegrini a non svolgere atti262 263 Ibidem. Ibidem. IL TRATTATO DI RAPALLO 273 vità politica. Pure gli italiani in Dalmazia dovevano cessare di svolgere attività politica. La loro tranquillità [in] avvenire, la loro difesa da parte dell’autorità italiana, il loro sviluppo economico e morale saranno agevolmente conseguiti se essi ora si adatteranno allo stato di cose stabilito a Rapallo e rinuncieranno completamente a qualsiasi azione politica. Guadagnando così la fiducia dell’elemento slavo col quale devono convivere essi potranno in seguito acquistare quella influenza nel campo economico, culturale ed anche politico che la loro superiorità intellettuale e morale loro assicura. Se invece continueranno l’agitazione, la lotta politica, saranno trattati da avversari, saranno sopraffatti dalla grande maggioranza slava e saranno causa dello spegnarsi della luce italiana in Dalmazia264. Di fronte alla crisi nei rapporti con Belgrado, nonostante le resistenze degli italiani di Dalmazia, il governo Giolitti-Sforza, al fine di superare la diffidenza esistente verso l’Italia, decise di procedere alla consegna di alcuni territori dalmati. In seguito a consultazioni svoltesi fra esperti e funzionari (Salata, Bonfanti, Manzoni, il generale Vacchelli, Rocco) alla Consulta il 22 marzo 1921, il governo italiano stabilì di sgomberare immediatamente tutte le località della Venezia Giulia oltre il confine tracciato dal patto di Rapallo per le quali non vi era possibilità di contestazione265. Si decise poi di offrire a Belgrado lo sgombero immediato di Arbe, Veglia, Pago e del distretto di Obrovazzo: anche le isole Curzolane andavano consegnate nella prima fase, ma con la garanzia della presenza di un commissario speciale civile italiano per assicurare un’adeguata applicazione del trattato di Rapallo. I lavori delle Commissioni di delimitazione sarebbero proseguiti; ma per quanto riguardava la terza zona dalmata, prima della consegna dovevano essere risolte tutte le problematiche connesse ai rapporti fra Zara e territori iugoslavi circostanti266. Il 30 marzo Sforza comunicò formalmente a Manzoni le decisioni prese: il governo di Roma era disposto ad affrettare la consegna dei territori dalmati compresi nella seconda e terza zona in tempi anche più brevi di quanto chiedeva Belgrado, ma era indispensabile che fosse assicurata la tempestiva soluzione di quei problemi direttamente connessi con la siste- 264 Ibidem. 265 ASMAE, 266 Ibidem. GAB 1923-43, AF, b. 7, Riunione del 22 marzo 1921 alla Consulta. 274 LUCIANO MONZALI mazione del territorio di Zara267. Il modo migliore, secondo Sforza, per risolvere queste problematiche era un incontro tra delegati dei due governi appositamente scelti268. Nei giorni successivi fu raggiunta un’intesa fra Roma e Belgrado, che aprì la strada alla consegna della prima zona. L’accelerazione della consegna dei territori dalmati avvenne senza la consultazione dei capi dei dalmati italiani, i quali si dimostrarono preoccupati dalla fretta del governo di ritirarsi dalla Dalmazia. Il 2 aprile alcuni dei principali esponenti dei Fasci Nazionali Italiani di Spalato e Sebenico (Pezzoli, Tacconi, Miagostovich e Nicoletti), riuniti a Zara, inviarono un telegramma al governo di Roma chiedendo che la definizione e la sistemazione delle garanzie giuridiche ed economiche a favore dell’elemento italiano autoctono precedessero qualsiasi ulteriore sgombero «poiché l’angosciosa incertezza propri destini accresce stato disperazione italiani paesi abbandonati»269. Ma nonostante le proteste dei dalmati italiani, la consegna della prima zona fu effettuata. Il 1° e il 2 aprile il governo italiano consegnò alle autorità iugoslave i comuni di Knin, Much, Lecevizza; fra il 3 e il 6 aprile si effettuò il passaggio di consegne a Promina, Dernis, Kistanje, Obrovazzo e nell’isola di Pago. Tutto si svolse senza incidenti270. La consegna della prima zona alla Iugoslavia creò preoccupazione nei dalmati italiani. La questione degli avvocati italiani in Dalmazia, scoppiata nella primavera del 1921, poi, contribuì non poco ad alimentare la diffidenza dei capi dalmati. Un’ordinanza del Ministero della Giustizia iugoslavo pretese il giuramento di fedeltà a Re Pietro e alla Costituzione iugoslava da parte di giudici, avvocati e notai praticanti nel Regno SHS. Alcuni avvocati italiani spalatini (Antonio Tacconi, Leonardo Pezzoli, Stefano Selem, Giovanni Savo, Giuseppe Illich), che erano anche fra i principali capi della minoranza nella Dalmazia iugoslava, rifiutarono di prestare il giuramento, ritenendosi non obbligati ad esso mentre era ancora vigente il periodo per l’opzione previsto dall’articolo VII del trattato di Rapallo. L’11 aprile la Camera degli avvocati di Spalato, dominata da elementi nazionalisti iugoslavi, decise di votare la cancellazione dall’albo dei le- 267 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Sforza a Manzoni, 30 marzo 1921. Ibidem. 269 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Pezzoli, Tacconi, Miagostovich e Nicoletti al Ministero degli Esteri, 2 aprile 1921. 270 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Bonfanti alla Presidenza del Consiglio, 9 aprile 1921. 268 IL TRATTATO DI RAPALLO 275 gali italiani per il loro rifiuto di giurare. Tale decisione segnò l’inizio di una dura controversia legale fra gli avvocati italiani e le autorità iugoslave, che assunse anche forti ripercussioni politiche e diplomatiche nei rapporti fra Roma e Belgrado. Gli avvocati italiani vedevano in questa espulsione una vendetta del governo iugoslavo nei loro confronti e la volontà di obbligarli ad abbandonare la Dalmazia. I nazionalisti iugoslavi e il governo di Belgrado consideravano il rifiuto di Tacconi e degli altri avvocati la dimostrazione della loro ostilità contro lo Stato SHS271. La vicenda contribuì non poco a peggiorare i rapporti fra la leadership dalmata italiana e il governo Giolitti-Sforza, poiché Tacconi e Pezzoli giudicarono deludente il sostegno della diplomazia italiana in questa controversia legale e politica in cui erano in gioco i loro destini personali, ma della quale a Roma si sarebbe preferito una rapida ed indolore conclusione. In una lettera del 12 aprile rivolta al senatore Salata, Pezzoli e Tacconi si lamentarono del carente sostegno loro fornito dal ministro Manzoni a Belgrado e dalla diplomazia italiana e denunciarono la freddezza e il disinteresse del governo di Roma verso la sorte degli italiani di Dalmazia272. 271 ASMAE, Carte Salata, b. 215, Pezzoli, Illich, Tacconi, Selem, Savo alla Giunta della Camera degli avvocati di Spalato, 17 marzo 1921; ASMAE, Carte Salata, b. 264, Pezzoli, Illich, Tacconi, Selem a Denti di Pirajno, 12 aprile 1921; ibidem, Bonfanti a Salata, 13 aprile 1921; ibidem, Giunta della Camera degli avvocati di Spalato a Pezzoli, Illich, Tacconi e Selem, 11 aprile 1921. 272 «Lo svolgimento e l’esito di tale incidente caratterizza tutto il contegno che il Governo italiano tiene di fronte agli italiani della Dalmazia in nesso alla situazione che si connette per gli stessi a questo malaugurato periodo di sgombero che ora sta compiendosi, in modo tale che per l’esclusiva colpa del Governo italiano le inevitabili dannose conseguenze che ne derivano ai nostri conscienzienti assumono sempre maggiori e più irreparabili proporzioni. Come già le deve constare sino al 21 di questo mese sarà avvenuto lo sgombero in genere di tutta la Dalmazia fatta eccezione di un insignificante tratto, abitato esclusivamente da slavi intorno a Zara. Sebenico, le isole ove si trovano tutti i nuclei italiani i quali abbisognano di sostegno e protezione saranno state già consegnate ai jugoslavi. Il tempo dello sgombero prende così un decorso ancora più rapido di quello che dalla prima Commissione era stato stabilito. Di fronte a ciò non apparisce il menomo sintomo che da parte italiana si trovi il modo di compensare tale straordinaria fretta di abbandono con almeno contemporanea trattazione di quelle garanzie, già promesse agli italiani della Dalmazia e che in qualche modo doveva assicurar loro la possibilità di restare sotto il nuovo dominio o quanto meno di essere in chiaro riguardo la situazione che sarebbe loro creata, per poter prendere le necessarie deliberazioni riguardo al proprio destino. Viene con ciò lasciato pienamente libero ai jugoslavi di approfittare di questo periodo intermedio per creare fatti compiuti, quale quello p.e. dell’eliminazione degli avvocati italiani qui a Spalato, dando vita ad uno stato di cose non più reparabile in esito a eventuali future trattative in questioni già anticipatamente compromesse. […] Non possiamo però nascondere l’amarezza e lo sconforto che ci deriva da tutto ciò, indipendentemente anche da ogni riflesso alla nostra personale situazione che per alcuni si risolve in una vera catastrofe» (ASMAE, Carte Salata, b. 264, Pezzoli e Tacconi ad anonimo 276 LUCIANO MONZALI Restava da regolare la sorte della seconda e della terza zona. Il governo di Belgrado chiese un’evacuazione in tempi rapidi273. Sforza si dichiarò disponibile ad accogliere le richieste iugoslave ma domandò nuovamente la contemporanea soluzione dei problemi amministrativi ed economici connessi al nuovo assetto della Dalmazia. Il ministro degli Esteri scrisse a Manzoni a tale riguardo il 12 aprile: […] Siamo disposti ad accogliere indistintamente i desideri espressi da codesto Governo per tramite V. S. circa evacuazione territori Dalmazia, ma essere indispensabile anche pei dovuti riguardi da usare all’opinione pubblica italiana non procedere all’evacuazione della seconda e della terza zona senza concordare soluzione di quei problemi giuridici economici e doganali che direttamente si connettono colla nuova sistemazione territoriale dalmata. Poiché Governo jugoslavo insiste nel voler limitato compito commissione delimitazione Dalmazia ad esecuzione sgomberi e a delimitazioni territoriali e da altra parte propone risolvere problemi connessi in altra sede ed anche a Roma con conferenza speciale, R° Governo pur di arrivare alla rapida soluzione aderirebbe a tale proposta trattando con quei delegati che Governo jugoslavo crederebbe indicare274. Il governo iugoslavo accettò la proposta italiana di aprire un negoziato bilaterale fra esperti: per regolare le questioni connesse al nuovo assetto di Zara, si stabilì che venissero aperte trattative bilaterali al riguardo a Roma contemporaneamente ai lavori della Conferenza economica fra gli Stati successori dell’ex Impero asburgico275. Nel frattempo sarebbero proseguiti i lavori delle Commissioni di delimitazione per Fiume e la Dalmazia. In cambio di queste concessioni il governo di Belgrado ottenne la consegna immediata delle isole di Veglia, Arbe e delle Curzolane, ultima parte della prima zona ancora in mani italiane. Per rassicurare gli italiani locali, venne accettata la presenza di commissari speciali per l’evacuazione delle isole (De Angelis a Veglia e Arbe, Bucevich nelle Curzolane). Le trattative circa le modalità di sgombero delle isole Curzolane vennero delegate alla commissione dalmata che s’incontrò a Sebenico e l’11 aprile raggiunse un accordo [ma Salata], 12 aprile 1921. Copia della lettera in ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 13). 273 ASMAE, GAB 1923-43, AF b. 9, Bonfanti a Sforza, 8 aprile 1921. 274 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Sforza a Manzoni, 12 aprile 1921. 275 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 7, Manzoni a Sforza, 31 marzo e 3 aprile 1921. Riguardo al progetto di una conferenza fra gli Stati successori dell’Impero asburgico: GIORGIO MARSICO, L’Italia e la conferenza economica di Portorose 24 ottobre-23 novembre 1921, Milano, 1979. IL TRATTATO DI RAPALLO 277 per lo sgombero di queste isole. Il 19 aprile si trovò un’intesa sulle modalità per l’abbandono di Arbe e Veglia276: fu stabilito che la consegna militare di Arbe all’esercito iugoslavo sarebbe avvenuta il 23 aprile, mentre quella di Veglia doveva accadere il 25. Il 18 aprile l’esercito serbo prese possesso di Lissa e di Lesina277, il giorno successivo di Meleda e di Curzola, dove ebbero luogo successivamente alcune dimostrazioni anti-italiane, organizzate dagli abitanti dei villaggi croati vicini, senza però produrre gravi incidenti278. Il 23 e il 25 aprile Arbe e Veglia passarono sotto il controllo iugoslavo279. Nelle settimane successive si ebbero dimostrazioni ed atti anti-italiani a Lesina, Lissa, Veglia e Arbe. Il 23 aprile Bucevich riferì che a Curzola tutti i giorni si ripetevano manifestazioni ostili all’Italia e agli italiani, con continui banchetti e cortei, durante i quali si proferivano minacce anti-italiane; nei centri urbani venivano minacciati gli esponenti e i militanti italiani280. Furono lanciate poi iniziative di boicottaggio contro i commercianti provenienti dalla Penisola e organizzate contestazioni contro la presenza di navi italiane nei porti dalmati281. La partenza degli italiani più compromessi con l’amministrazione d’occupazione evitò comunque il sorgere di gravi incidenti. A parere di Bucevich, la partenza dei profughi prima dell’evacuazione dell’esercito italiano si svolse senza grandi problemi, con un numero di partenti più limitato del previsto282. Le partenze dei profughi avvengono in ordine e quelli che partono in gruppo, come quelli di Curzola, acclamano alla partenza all’Italia, al Re e all’Esercito. Assisto all’imbarco dei partenti raccomandandoli ai comandi dei piroscafi, dopo averli forniti dei mezzi di viaggio, di sussidi e dei documenti necessari, li provvedo perfino di raccomandazioni private, in una parola, do loro tutta l’assistenza che mi è possibile. A Comisa, dove il contegno provocante dei croati fa per poco succedere l’unico incidente, intervengo in tem- 276 Il testo dell’accordo per la consegna di Arbe e Veglia è conservato in ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 8. 277 GRGA NOVAK, Hvar kroz stoljec!a, Hvar-Zagreb, 1960 (prima edizione 1924), p. 211. 278 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 1, Bucevich a Rocco, 21 aprile 1921. Un ricordo dell’esodo italiano dalla città di Curzola in ANTONIO TASSO, Cose minime sacre e profane, Macerata, 1967, pp. 14-15. 279 MASSAGRANDE, op. cit., p. 9. 280 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 1, Bucevich a Rocco, 23 aprile 1921. 281 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 1, Rocco al Ministero degli Esteri, 11 maggio 1921; ASMAE, Sebenico, b. 4, Bucevich al Consolato italiano di Sebenico, 3 luglio 1921. 282 Bucevich a Rocco, 23 maggio 1921, cit. 278 LUCIANO MONZALI po e con calma ma anche con energia, riesco a pacificare gli animi. Il contegno dei profughi è veramente esemplare: nessuno si lamenta ma tutti ringraziano di quanto si fa per essi. Da Lesina non partono che un paio di famiglie. Ho cura di far partire da Cittavecchia e Curzola, in prima linea, gli elementi più vivaci e che da informazioni raccolte sarebbero designati ad essere oggetto di violenze e di persecuzioni sotto il nuovo regime. Si arriva così all’occupazione iugoslava. Il numero dei profughi di tutte le isole non è che di 352, poca cosa, se si considera che dalla sola Curzola avrebbero dovuto partire, come ho detto sopra, ben 354 persone283. Il nuovo clima politico nelle isole, con l’avvento della sovranità iugoslava e l’egemonia politica dei nazionalisti croati, rese però ben presto vane le speranze del console di avere bloccato ulteriori partenze. Le nuove condizioni create dall’occupazione iugoslava – notò Bucevich – sono tali che per molti italiani la vita non è possibile, né sopportabile in questi luoghi. Il boicottaggio, gl’insulti e le minaccie continue contro gl’italiani che hanno manifestato nel passato la loro italianità sono cose di ogni giorno. E allora molti di essi se ne vanno e si riprende l’evacuazione a Curzola, Lissa e questa volta anche a Lesina, dove molti erano rimasti in seguito alle mie assicurazioni. Le cordiali relazioni che ho potuto stringere col capo dell’autorità politica iugoslava, il Capitano Distrettuale Ferri, funzionario egregio e imparziale, rendono più facile la mia opera per quelli che partono ed hanno per effetto di calmare molti italiani e di persuaderli a rimanere perché hanno spesso la prova dell’efficacia del mio intervento presso le autorità e della giustizia ed imparzialità del capo dell’autorità politica, che farebbe ancora di più e meglio in favore dei nostri connazionali se la sua opera non fosse sabotata specialmente da alcuni organi subalterni, come la polizia di stato e da una piccola cricca di politicanti fegatosi ed italofobi a capo della quale stanno i due fratelli Arneri, abituati ancora sotto l’Austria a farla da pascià in Curzola. Ricominciano, come ho detto, le partenze e se ne vanno da Curzola e da Lesina molte famiglie di onesti operai ed artigiani. […] Se i profughi subiscono vessazioni e molestie è sempre da parte delle guardie della polizia di stato o da qualche altro organo subalterno, ma non dalle autorità superiori che, come quella politica di Curzola, hanno un contegno correttissimo ed imparziale verso di essi. Non posso dire la stessa cosa dell’elemento croato del paese che spesso accompagna con provocazioni ed insulti i poveri profughi284. 283 284 Ibidem. Ibidem. IL TRATTATO DI RAPALLO 279 Alla fine del maggio 1921 il numero dei profughi dalle isole Curzolane – esclusi dal calcolo i funzionari dell’ex regime austro-ungarico, assunti al servizio dell’Italia, e le loro famiglie – era di 566 persone. Di queste 352 sono partite nella prima fase, vale a dire prima della venuta delle autorità iugoslave, e 214 nella seconda fase. Devo però rilevare che quelle dei funzionari erano in massima parte famiglie del paese e pertanto deve essere tenuto conto di esse nel valutare lo spopolamento di Curzola dove, senza di esse, sono partiti 264 italiani. 147 profughi si sono trasferiti a Zara, gli altri nel Regno e nelle nuove provincie, specialmente a Trieste e a Pola285. Il quadro finale che Bucevich delineò delle cause dell’esodo e delle future prospettive per gli italiani rimasti era abbastanza desolante. Le cause che hanno dato origine a questo esodo considerevole sono la poca protezione accordata dalle nuove autorità agli italiani in alcuni centri delle isole, le dimostrazioni offensive e talora violente contro gl’italiani, il boicottaggio organizzato contro molti di essi, la mancanza assoluta di lavoro, il contegno ostile dei funzionari subalterni della polizia dello stato, la credenza che gli uffici consolari di Spalato e Ragusa sono troppo distanti per poter dare a questi italiani una valida protezione, ed infine le minacce iugoslave per il futuro. Infatti da Curzola a Lesina, da Lissa a Cittavecchia si leva contro gl’italiani rimasti il grido minaccioso: «Platit c!e te, kad ispraznite ?ibenik (La pagherete quando avrete evacuato Sebenico)»286. I profughi dalmati provenienti dalle isole della Dalmazia centrosettentrionale si diressero verso Zara, la Venezia Giulia, Fiume e il Veneto, verso le grandi città della Penisola, Milano e Roma, e i porti dell’Adriatico Ancona e Bari. Lo Stato italiano si assunse il dovere dell’assistenza ai profughi, aiutato dall’opera spontanea di alcune associazioni (l’Associazione Nazionale Dalmazia a Roma, l’Associazione Adriatici Irredenti a Fiume, l’Associazione Dalmatica a Trieste). Particolarmente attivo nell’assistenza ai profughi fu l’Ufficio per le Nuove Provincie, presieduto da Francesco Salata, che guidò e coordinò l’azione della Presidenza del Consiglio relativamente a tale questione. In una relazione del 24 giugno 1921, il Commissariato generale civile per 285 286 Ibidem. Ibidem. 280 LUCIANO MONZALI la Venezia Giulia così descrisse l’assistenza ricevuta dai profughi dalmati a Trieste: Appena qui arrivati, se poveri, ricevono alloggio gratuito e per gli altri si provvede a trovar loro una corrispondente abitazione. Si provvede pure gratuitamente per il trasporto delle masserizie dai piroscafi nelle abitazioni. Le masserizie di quei profughi, che arrivati a Trieste non possono, data la crisi attuale d’alloggi, aver subito un’abitazione vuota, vengono provvisoriamente collocate in magazzini. […] Ai profughi indigenti e senza lavoro vengono elargiti sussidi giornalieri ed in casi degni di speciale considerazione anche dei sussidi straordinari. Una seria difficoltà, che si presenta nella sistemazione dei profughi, è quella di poter trovar loro un corrispondente collocamento e metterli quindi in grado di mantener da soli e con le proprie forze se stessi e le proprie famiglie. Anche in questo riguardo non omisi di fare tutte le pratiche possibili presso Società commerciali, industriali e marittime, nonché presso altri enti, per trovar loro un’adatta occupazione, e di fatti molti profughi furono già collocati, parte a Trieste e parte nella regione287. Nella realtà concreta dell’esodo molti profughi si scontrarono inevitabilmente con gravi difficoltà nell’integrazione sociale, culturale ed economica in Italia, Paese che molti dalmati italiani conoscevano ben poco. In alcune località d’arrivo vi furono negligenze e disorganizzazione nell’opera di assistenza e accoglienza. La lentezza e gli ostacoli nel cambio delle corone austriache in moneta italiana costituirono un grave problema, che si evidenziò già nelle prime settimane dell’esodo dalla Dalmazia288. 287 ACS, UNP, b. 73, Commissariato generale civile per la Venezia Giulia all’Ufficio Centrale per le Nuove Provincie, 24 giugno 1921. 288 Angelo Bertolini, professore barese d’origine dalmata e animatore dell’assistenza ai profughi in Puglia, descrisse in questo modo le difficoltà del primo arrivo dei profughi e i ritardi delle autorità italiane: «Dalle terre della Dalmazia che vengono gradatamente sgombrate dalle truppe italiane – dopo più di due anni di occupazione e di governo, che servirono soltanto a trarre nel più duro inganno quelle povere popolazioni – la gente fugge spaventata. I ricchi vendono terre e case; i poveri raccolgono le cose loro e tutti fuggono verso l’Italia. I nostri agenti consolari muniscono gli esuli di un documento nel quale è raccomandato alle autorità del Regno di essere larghe di protezione verso i derelitti. Per ora questi fuggiaschi sono centinaia: molti sono venuti già qui a Bari, moltissimi hanno invaso Pola, Trieste ed altri porti. Ma, come il solito, le autorità governative non sono pronte, non hanno istruzioni, non hanno mezzi e rimandano i Dalmati da Erode a Pilato, senza pensare che hanno mille bisogni, mille sofferenze morali e materiali, ed invece di soccorsi trovano delusioni e amarezze. Bisogna provvedere. […] Intanto, fra gli altri, un urgente provvedimento di governo […]. Ognuno di questi profughi può dire come Orazio “omnia bona mea mecum porto”, almeno per quei pochi beni che poterono trasportare. E allora sorge il quesito: come tradurre in valori italiani le corone austriache che ciascuno ha per sé? Per lo più nel documento con- IL TRATTATO DI RAPALLO 281 Il ritiro dalla prima zona e le difficoltà dei profughi in Italia irritarono fortemente le collettività italiane dalmate, le quali si sentirono abbandonate al loro destino senza adeguato sostegno da parte del governo. All’inizio di maggio i Fasci Nazionali Italiani dalmati inviarono un nuovo memoriale all’esecutivo, lamentandosi in particolare per le carenze e gli errori compiuti nel corso dell’abbandono delle isole della Dalmazia e nell’assistenza ai profughi289. Andavano abolite le limitazioni alle franchigie di viaggio e di trasporto per i profughi giunti in Italia, i quali dovevano ricevere migliore assistenza materiale e morale. Alcuni di Sebenico, recatisi a Pola dal febbraio anno corr. ed anche più tardi, si trovano colà privi di mezzi, di lavoro, senza che alcuno si curi delle loro sorti. Del pari i profughi delle isole trasferitisi a Bari e da lì a Roma rimasero privi di ogni assistenza […]. È quindi necessario che le Autorità consolari della Dalmazia segnalino a determinati organi da destinarsi, l’arrivo dei singoli profughi e che sia disposto che questi trovino, giungendo in Italia, chi si interessi di loro fino a che siano in grado di provvedere da sé al proprio destino290. Il governo di Roma, poi, doveva garantire agli impiegati e ai professionisti esuli un’adeguata collocazione lavorativa in Italia, nonché assumersi in carico le eventuali pensioni dei profughi, nonché il loro diritto a portare con sé i propri beni291. L’Ufficio per le Nuove Provincie difese il proprio operato dalle critiche. In un commento riservato, l’Ufficio sottolineò che lo Stato italiano aveva concesso ai profughi il viaggio gratuito sino alla nuova sede prescelta292. Il porre dei limiti al peso delle masserizie da traspor- solare è indicata la somma che il profugo porta seco, e questo potrà essere un punto di partenza. Ma se il Governo si disinteressa e ripete gli spropositi commessi in Dalmazia, i poveri perderanno tutto e gli imbroglioni riusciranno a far credere di aver portato seco milioni di corone. Bisogna avvertire il Governo che questo problema va esaminato e risolto subito senza perdere tempo. Non ci mancherebbe altro che questa povera gente dovesse sentirsi dire che quei piccoli gruzzoli non hanno più alcun valore» (ACS, UNP, b. 73, Bertolini a Roncagli, 22 aprile 1921). 289 ACS, UNP, b. 73, PER I FASCI NAZIONALI ITALIANI DELLA DALMAZIA, Postulati riguardo ai provvedimenti più urgenti imposti dall’esperienza fatta dopo la presentazione del memoriale di data 28 gennaio 1921, 3 maggio 1921. 290 Ibidem. 291 Ibidem. 292 ACS, UNP, b. 73, UFFICIO PER LE NUOVE PROVINCIE, Risposta ai singoli punti dell’unito memoriale, senza data, ma maggio 1921. 282 LUCIANO MONZALI tare era un’esigenza ineludibile, a cui il governo aveva cercato di rispondere in modo ragionevole e flessibile. Non era stato possibile provvedere al cambio della valuta al momento della partenza, ma si stava studiando d’urgenza la possibilità di sussidi. Le questioni delle pensioni e delle opzioni erano in esame e si sarebbero risolte al più presto. Circa l’assistenza e il collocamento dei profughi, l’Ufficio per le Nuove Provincie riteneva le critiche dei Fasci Nazionali Italiani in parte ingiustificate. Per i profughi sbarcati a Pola si è interessato il Ministero della Marina a farli occupare, nei limiti del possibile, quali operai dell’Arsenale. Si è sollecitato il detto Ministero a dare disposizioni al riguardo. Per quelli sbarcati nel Regno si è gia pensato ad interessare l’Ufficio Nazionale per il collocamento e la disoccupazione in Roma perché li occupi con preferente sollecitudine a mezzo delle sezioni che ha nei principali centri italiani. […] Per gli impiegati che lasciano le zone che si vanno evacuando è stato provveduto nel miglior modo possibile, sia riguardo ad anticipazioni sulle spese di viaggio e trasporto mobili (spese che saranno intieramente rimborsate) sia riguardo alle nuove residenze293. Il difficile passaggio per gli esuli dalla Dalmazia alla vita in Italia, la sensazione di essere stati usati e strumentalizzati dallo Stato italiano e di avere ricevuto dopo l’esodo una carente assistenza, il traumatico peggioramento della situazione politica ed economica per gli italiani in Iugoslavia, impressionarono e segnarono fortemente i profughi dalmati e gli italiani rimasti, creando sentimenti di delusione, risentimento e amarezza, che avrebbero profondamente condizionato la loro vita e la loro identità nei decenni successivi. Alcuni reagirono alla crisi che colpì le collettività italiane dalmate nel 1921 esasperando ulteriormente il proprio sentimento nazionale e puntando su un nazionalismo italiano intransigente, sempre più ideologico e fondato sulla contrapposizione con il nemico «slavo». Altri divennero scettici e disincantati sul futuro dell’italianità dalmatica e sulla volontà dell’Italia di realmente aiutare la minoranza, con il rimpianto dei bei tempi andati dell’epoca asburgica. Su un piano più specifico, l’esodo del 1921 inflisse un duro colpo alle collettività italiane nelle isole della Dalmazia, le quali in pochi mesi, con l’eccezione di Veglia, videro ridurre fortemente la loro consistenza numerica. E tale indebolimen293 Ibidem. IL TRATTATO DI RAPALLO 283 to continuò nel corso degli anni fra le due guerre, a causa di un processo di emigrazione provocato dalle difficili condizioni politiche di esistenza per l’elemento italiano e dalla crisi economica che colpì duramente le popolazioni isolane della Dalmazia. 3.5. La difficile ricostruzione. I problemi economici e politici di Zara italiana L’annessione di Zara all’Italia e la sua separazione dal retroterra e dalle isole circostanti, passate allo Stato iugoslavo, mutarono inevitabilmente i caratteri della vita sociale, economica e nazionale della Dalmazia settentrionale. Il territorio zaratino annesso all’Italia misurava circa 52 chilometri quadrati, avendo uno sviluppo costiero che non superava i 10 chilometri in linea aerea. La mancata annessione delle isole di fronte a Zara chiudeva la città anche sul fronte marino294. Come rilevò Attilio Tamaro, il territorio di Zara italiana «forma una minuscola e sterile oasi circondata in ogni parte dagli Jugoslavi. Sul mare gli sta dinanzi la formidabile triplice muraglia dei tre ordini di isole che separano la costa dal mare aperto. Giace così in uno stretto canale, sbarrato completamente, anche al nord e al sud, da fitti gruppi di isole e di scogli. Non ha insomma libero un solo accesso, né marittimo, né terrestre […]»295. La popolazione dell’enclave zaratina, esclusa Lagosta, comprendeva circa 17.000 abitanti nel 1921296. L’annessione all’Italia provocò un declassamento politico ed amministrativo di Zara, per secoli capitale di tutta la Dalmazia, prima veneziana, poi asburgica297. Larga parte della cittadinanza era vissuta lavorando per le amministrazioni statali e pubbliche presenti nella città, capitale della Dalmazia e sede delle principali autorità politiche e giurisdiziona294 FEDERICO WILDAUER, I problemi economici di Zara dopo il Trattato di Rapallo, «Quaderno mensile dell’Istituto federale di credito per il Risorgimento delle Venezie», settembre 1924, n. 9; ODDONE TALPO, Dalmazia. Una cronaca per la storia (1941), Roma, 1995, p. 4. 295 «L’Idea Nazionale», 11 dicembre 1920, ATTILIO TAMARO, “Uno sputo tricolore nel gran mare jugoslavo”. 296 PERSELLI, I censimenti, cit., p. 451. 297 Per un’analisi dei problemi economici e sociali del territorio di Zara dopo l’annessione all’Italia rimane utile WILDAUER, I problemi economici, cit., p. 11 e ss.; RITA TOLOMEO, Dal Governatorato al Portofranco. Gli anni difficili dell’economia zaratina, «Atti e Memorie della Società dalmata di storia patria», Roma, 2002, n. 4, vol. XXIV, pp. 141-156; GASTONE COEN, Zara tra le due guerre, ivi, pp. 127-139. 284 LUCIANO MONZALI li della provincia: il distacco dal resto della Dalmazia privò la città di questo importante ruolo. La separazione della città dal contado, poi, comportò pesanti conseguenze economiche. Le attività economiche private presenti nella città (industrie di liquori, compagnie di navigazione, gestione delle proprietà agrarie del retroterra) erano fortemente legate al contado, che sarebbe restato parte del Regno SHS. Molti italiani di Zara avevano proprietà nelle campagne circostanti e nelle isole, proprietà il cui libero uso e sfruttamento divennero più difficili con l’avvento della sovranità iugoslava. L’esplodere della questione agraria in tutta la Dalmazia aggravò ulteriormente la condizione economica degli zaratini. Il 25 febbraio 1919, al fine di aumentare il consenso popolare per il nuovo Stato e di indebolire l’influenza delle popolazioni tedesca, magiara e italiana, il governo di Belgrado emanò un decreto che mutò i rapporti fra proprietari e contadini e concesse a quest’ultimi la proprietà dei fondi colonici senza alcun obbligo e vincolo verso gli ex proprietari, che avrebbero dovuto ricevere un indennizzo dallo Stato298. Di fatto dal 1919 la maggioranza dei contadini dalmati – fino a quel momento legati da un rapporto di colonato (che vincolava i coloni a versare una parte del proprio raccolto al proprietario del fondo) –, smise di versare ogni forma di contributo ai vecchi proprietari, senza che questi ricevessero alcun indennizzo statale, la cui concessione fu rinviata per vari anni. I proprietari terrieri zaratini furono particolarmente danneggiati: molti di essi, in particolare quelli piccoli, quando la Dalmazia settentrionale passò sotto il controllo iugoslavo, si trovarono ben presto ridotti nella più completa miseria a causa del rifiuto dei contadini di pagare alcun contributo. Profondi furono anche i mutamenti nella composizione della popolazione della città. Nel periodo asburgico Zara era stata una città a netta prevalenza italiana, ma con la presenza di consistenti nuclei serbi e croati, alimentati dalla presenza delle principali istituzioni politiche, amministrative, culturali e religiose della Dalmazia e dall’afflusso di persone dal contado e dalle isole; a Borgo Erizzo vi era pure una 298 Al riguardo: ASMAE, CP, b. 20, Pezzoli e Tacconi al Comando della R. N. Puglia, 15 ottobre 1919, allegato a Millo a Ministero degli Esteri, 30 ottobre 1919; ASMAE, Spalato, b. 14, Pezzoli e Tacconi al Comando della R. N. Puglia, 29 agosto 1920; FELICE BAYLON, Lo sviluppo economico della Dalmazia in relazione a quello dell’Italia e sua conseguente importanza nei futuri rapporti italo-jugoslavi, «Quaderno mensile dell’Istituto federale di credito per il Risorgimento delle Venezie», giugno 1924, n. 6, pp. 52-53; WILDAUER, I problemi economici, cit., p. 59. IL TRATTATO DI RAPALLO 285 vivace ed organizzata comunità albanese299. Dopo il trattato di Rapallo in tutta la Dalmazia vi fu una crescente accentuazione dell’omogeneità nazionale della popolazione: aumentò la predominanza dell’elemento croato e serbo nella Dalmazia iugoslava, mentre contemporaneamente si rafforzò il carattere italiano della popolazione zaratina. Tanti italiani della Dalmazia iugoslava preferirono trasferirsi a Zara e nell’Italia peninsulare; per fuggire dalla crisi economica pure molti zaratini italiani, in particolare gli ex funzionari dello Stato asburgico, emigrarono in Italia. A loro volta, per ragioni politiche ed economiche molti serbi e croati abbandonarono Zara e decisero di emigrare nel Regno iugoslavo. La guerra, la dissoluzione dell’Impero asburgico e l’annessione all’Italia provocarono una profonda crisi economica e sociale nella città, che perse abitanti e vitalità300. La composizione della popolazione confermò come la divisione politica della Dalmazia avesse favorito una maggiore accentuazione nazionale italiana del Comune di Zara, con una diminuzione dell’elemento iugoslavo locale: come ha rilevato Diego De Castro, una parte degli zaratini iugoslavi emigrò in Iugoslavia, un’altra assunse la cittadinanza iugoslava pur rimanendo a vivere a Zara301. Molti zaratini italiani emigrarono per ragioni economiche in Italia o all’estero, esodo solo in parte compensato dall’afflusso di numerosi dalmati italiani provenienti dalla Iugoslavia. La perdita della posizione di capitale della Dalmazia comportò per molti impiegati e le loro famiglie l’esigenza di emigrare in Italia alla ricerca di una nuova posizione in seno all’amministrazione italiana302. Nel marzo 1922 un censimento locale dichiarò la presenza a Zara di una popolazione di sole 11.143 persone303. Se il trattato di Rapallo aveva sancito una vittoria per il liberalismo nazionale italiano dalmata, la salvezza di una parte degli italiani di Dalmazia attraverso l’annessione di Zara all’Italia, difficili sfide politiche ed economiche si prospettavano per i capi dell’ex partito auto- 299 Per un quadro della società zaratina nei primi decenni del Novecento: GASTONE COEN, Zara che fu, Fiume-Trieste, 2001; DE BENVENUTI, Storia di Zara dal 1797 al 1918, cit.; LUCIANO MONZALI, Oscar Randi scrittore di storia dalmata, «Clio», 2000, n. 4, p. 648 e ss. 300 DE CASTRO, Cenno storico sul rapporto etnico tra italiani e slavi nella Dalmazia, cit., p. 301 e ss. 301 Ibidem. Si vedano anche i dati riportati da PERSELLI, I censimenti, cit., p. 451: secondo il censimento del 1921 erano presenti a Zara 12.075 italiani, 1.255 croato-serbi e 3.735 stranieri (in stragrande maggioranza sudditi SHS). 302 WILDAUER, I problemi economici, cit. p. 42. 303 Ivi, pp. 43 e 120. 286 LUCIANO MONZALI nomo-italiano e dei Fasci Nazionali Italiani. Dopo Rapallo vi era la necessità di ripensare in modo pragmatico e realista la città di Zara e le sue prospettive future; bisognava poi trovare forme adeguate di protezione e tutela per gli interessi politici e culturali delle minoranze italiane nella Dalmazia iugoslava. Nel corso dei primi mesi del 1921 il sindaco della città Luigi Ziliotto, Natale Krekich e i loro seguaci, si impegnarono in una frenetica azione di studio e proposta politica ed economica, proprio al fine di organizzare in modo nuovo la vita della città. Naturalmente fondamentale per il futuro di Zara era l’interessamento dello Stato italiano alle sorti della città. Dopo la proclamazione dell’annessione, la vecchia classe dirigente liberale zaratina decise di unirsi ai gruppi liberali della Penisola. I liberali zaratini, che avevano sempre perseguito, anche nei momenti più difficili, una politica di collaborazione con il governo di Roma, sapevano di potere contare su un interlocutore a loro amico e favorevole. Fin dalla fine dell’Ottocento esisteva una solida alleanza fra l’Italia liberale e il liberalismo italiano dalmata, fondata sulla condivisione degli stessi valori ideali, favorevoli ad una società imperniata sulle libertà politiche ed economiche, e di una medesima strategia, il rafforzamento dell’italianità adriatica. Oltre che a ragioni ideologiche, la fusione fra liberali zaratini e liberalismo italiano derivava dal pragmatismo: il benessere di Zara e degli italiani dalmati dipendeva sempre più dalla benevolenza del governo di Roma, in possesso delle risorse economiche necessarie per aiutare la città dalmata e potenza protettrice della minoranza italiana in Dalmazia; i politici dalmati italiani, se desideravano perseguire la difesa degli interessi dei propri elettori e seguaci, avevano il dovere di essere una forza politica filo-governativa e ben disposti a collaborare con le autorità costituite. Nel 1921 collaborare con il governo di Roma significava soprattutto accettare il trattato di Rapallo. Accettare l’applicazione di Rapallo era politicamente necessario al fine di potere influenzare le posizioni della diplomazia italiana nelle trattative con Belgrado, per difendere al meglio i diritti e gli interessi degli zaratini e dei dalmati italiani. Il miglioramento dei rapporti con lo Stato iugoslavo, d’altronde, era pure nell’interesse degli italiani dalmati e della città di Zara: solo con un atteggiamento non ostile dello Stato iugoslavo si poteva sperare in un’applicazione reale delle garanzie per la protezione della minoranza italiana in Dalmazia e nel concreto rispetto dei rilevanti interessi economici degli zaratini in Iugoslavia. Tutto ciò spiega l’atteggiamento collaborativo che Ziliotto e Krekich, così come i principali capi degli italiani della Dalmazia IL TRATTATO DI RAPALLO 287 iugoslava (Antonio Tacconi, Leonardo Pezzoli, Luigi Pini, Tullio Nicoletti) assunsero nel corso dei numerosi negoziati italo-iugoslavi miranti all’applicazione delle varie clausole del trattato di Rapallo nel 1921 e nel 1922. Il 17 gennaio 1921, pochi giorni dopo la proclamazione dell’annessione di Zara all’Italia, Ziliotto, Krekich e i principali esponenti liberali italiani residenti in città (Amato Talpo, Remigio Trigari, Arturo e Ascanio Persicalli, Giovanni Lubin, Ildebrando Tacconi, Bruno Illich, Angelo de Benvenuti, Spiridione Artale, Giovanni Salghetti, Giuseppe e Marco Perlini) decisero di fondare una nuova formazione politica, l’Unione Nazionale. Fra i punti qualificanti del programma del nuovo gruppo politico vi era la volontà di dare espressione «in tutte le manifestazioni della vita pubblica al carattere prettamente italiano della città di Zara»304. L’Unione Nazionale, poi, desiderava «spiegare un’azione atta a conseguire che gli Slavi della regione dalmata annessa diventino buoni cittadini d’Italia». Altri obiettivi dovevano essere la promozione dello sviluppo culturale, economico e sociale della Dalmazia annessa e la tutela degli interessi materiali e morali degli italiani della Dalmazia non annessa all’Italia. Dall’analisi del programma emergeva chiaramente il tentativo di Ziliotto e dei suoi seguaci di riproporre una forma d’organizzazione politica che s’ispirava al vecchio partito autonomo-italiano esistente prima del 1914. L’Unione Nazionale si poneva l’obiettivo di unificare al suo interno tutti gli italiani della Dalmazia, nelle loro varie tendenze politiche. Vi era poi la volontà di rimanere fedeli alla propria tradizione di pluralismo politico e culturale: indicativo era l’accenno agli Slavi dalmati e l’invito a che questi accettassero l’appartenenza al Regno d’Italia. Non a caso all’Unione aderirono anche notabili albanesi e slavi viventi nel territorio zaratino. All’Unione Nazionale parteciparono inizialmente pure alcuni capi dei gruppi dannunziani e nazionalisti locali (Maurizio Mandel, Enrico de Schönfeld). Ciò avvenne soprattutto per effetto delle pressioni del commissario civile di Zara, Bonfanti, favorevole a che si ricreasse armonia fra gli italiani di Zara e che questi non si dividessero in gruppi politici concorrenti305. Bonfanti si adoperò per convincere gli esponenti locali dei gruppi dannunziani, del nazionalismo e del fascismo ad adottare un atteggiamento moderato e pronto alla colla304 ACS, UNP, b. 57, Manifesto dell’Unione Nazionale allegato a Bonfanti a Salata, 26 gennaio 1921. 305 Bonfanti a Sforza, 5 gennaio 1921, cit. 288 LUCIANO MONZALI borazione con Ziliotto e Krekich. Il 5 gennaio 1921 il commissario civile riferì a Roma di avere incontrato personalmente alcuni esponenti dei gruppi nazionalisti e dannunziani più estremisti (Cippico, Nani, Botteri e Candia, presidente della Camera del Lavoro) per convincerli a perseguire una politica di pacificazione e a superare i contrasti con la vecchia guardia liberale nazionale. È inteso che essi costituiranno anziché una associazione politica come era loro proposito una associazione puramente economica pro Dalmazia avente cioè per iscopo tutela economica interessi Dalmazia in Zara e oltre nuovo confine. Ho promesso che in questa nuova via avranno tutte agevolazioni Governo306. I capi nazionalisti e dannunziani accettarono per il momento l’egemonia dei liberali e aderirono all’Unione Nazionale, limitandosi a fondare un’associazione con finalità apparentemente non politiche, l’Associazione per la tutela degli interessi economici degli Italiani della Dalmazia, avente come presidente Enrico de Schönfeld307. In realtà, nonostante l’apparente unità ed armonia, una profonda rivalità e una forte ostilità dividevano i liberali dai nazionalisti dannunziani. A questo riguardo è significativa una lettera di Krekich del gennaio 1921, nella quale il politico zaratino usò toni aspri e critici nel descrivere la venuta di Antonio Cippico a Zara. Avemmo fra noi il prof. A. Cippico, ripartito giovedì. Durante il suo breve soggiorno a Zara ebbe pochi contatti con Ziliotto e con me. Come sempre lo attrasse la ganga fedele di Schönfeld, ecc., ecc., ai quali questa volta si aggiunse il giornalista U. Nani. […] Il prof. Cippico con lo Schönfeld, col Nani, col Candia ecc., vuole promuovere l’istituzione a Zara di una società per promuovere gl’interessi economici della Dalmazia. La società è il pretesto per fondare un giornale quotidiano a Zara che ne dovrebbe essere l’organo. […] All’adunanza per trattare sull’opportunità di costituire questa società Ziliotto ed io non fummo invitati. Si riservarono di farlo posteriormente dopo di esserne stati rimproverati dal prof. Tacconi. Cippico si è sentito leso – e se la prese specialmente con me – perché qui si disse ch’egli era venuto a Zara per prepararsi il terreno per la sua candidatura. Egli racconta un certo episodio pietoso del povero Salvi, che morente, alla presenza di Uros, Pezzoli, 306 ASMAE, Carte Sforza, b. 6, Bonfanti a Sforza, 5 gennaio 1921. riguardo: ASMAE, Carte Salata, Associazione per la tutela degli interessi economici degli Italiani della Dalmazia a Salata, 28 febbraio 1921. 307 Al IL TRATTATO DI RAPALLO 289 Pervan e Ghiglianovich, avrebbe raccomandato, coll’assentimento dello stesso Ghiglianovich, la sua candidatura. Egli conchiude il suo racconto così: [«] Io non ho intenzione di candidare perché a Londra copro una posizione altissima e vantaggiosissima sicché col cambio percepisco lire 100.000 all’anno. Ma se tutta Zara mi volesse io accetterei l’imposizione sacrificandomi pel bene della patria e procurerei di sbarcare il lunario con l’indennità di deputato e scrivendo articoli nei giornali [»]. Cippico esalta tutta la sua azione specialmente dopo il trattato di Rapallo. Si fa forte dei sette articoli scritti nell’Idea, proclamandosi il solo che abbia avuto il coraggio di interpretare l’animo dei dalmati. Credo che la ganga Schönfeld lo tenga in petto come candidato308. Nei primi mesi del 1921 Ziliotto e gli esponenti dell’Unione Nazionale s’impegnarono in una frenetica azione di riorganizzazione politica ed amministrativa di Zara, cercando di ottenere dal governo di Roma un adeguato sostegno per consentire la sopravvivenza della città. Punto di riferimento obbligato per i liberali zaratini fu l’Ufficio per le Nuove Provincie, presieduto da Francesco Salata, che s’impegnò per sostenere i progetti di Ziliotto e dei suoi seguaci309. Ziliotto e i liberali zaratini, innanzitutto, cercarono di ottenere la creazione di un’unità amministrativa provinciale che raggruppasse Zara, Lagosta, Cherso e Lussino310. Tale progetto, però, ebbe una parziale realizzazione, in quanto la costituenda provincia di Zara si limitò a comprendere solo la città dalmata e Lagosta, isola nel centro dell’Adriatico, abitata in grande maggioranza da dalmati croati311. Problema cruciale da risolvere era gestire la trasformazione di Zara da capitale politica ed amministrativa di tutta la Dalmazia a centro urbano isolato e ristretto ad un piccolissimo territorio. Larga parte della popolazione era vissuta per secoli lavorando nelle numerose istituzioni amministrative, giudiziarie, militari, politiche presenti a Zara, molte delle quali dopo il trattato di Rapallo avrebbero cessato di esistere o si sarebbero trasferite. Era una priorità politica per il Comune di Zara garantire la sopravvivenza di istituzioni quali il Tribunale provinciale e quello d’appello, la Procura di finanza dalmata, la Procura di Stato, le Carceri, 308 ASMAE, Carte Salata, b. 201, Krekich a Mitre [verosimilmente Demetrio Medovich], 8 gennaio 1921. 309 A tale proposito RICCARDI, Francesco Salata, cit., p. 288 e ss. 310 ASMAE, Carte Salata, b. 247, Amministrazione Postale –Telegrafica, memoriale anonimo e senza data, ma conservato in fascicolo On. Ziliotto e databile inizio 1921. 311 Sulla vita politica di Lagosta negli anni fra le due guerre qualche cenno in ANTUN JURICA, Lastovo kroz stoljec!a, Lastovo, 2001, p. 185 e ss. 290 LUCIANO MONZALI gli Uffici di controllo della Finanza, ecc.312 Per compensare la perdita di posti di lavoro occorreva creare nuove attività, come ad esempio una manifattura tabacchi, o potenziare determinate istituzioni e infrastrutture, come il porto di Zara e l’ospedale di Borgo Erizzo313. Altre richieste della Camera di Commercio di Zara e dell’amministrazione comunale furono un possibile accordo con la Iugoslavia per la costruzione di una linea ferroviaria che collegasse Zara a Knin, e l’istituzione di nuove tratte di navigazione marittima che mettessero in contatto Zara con Trieste, Fiume, Ancona, Venezia e Bari314. Sul piano economico Ziliotto, Krekich e i liberali zaratini chiesero la concessione di franchigie ed esenzioni doganali per il territorio di Zara315. Bisognava che i beni alimentari, i medicinali, le materie prime (cereali, olive, marasche, ecc.) per l’attività industriale fossero esentati da ogni dazio nel commercio di confine fra Zara e la Iugoslavia. Era necessario mantenere in vita stretti rapporti economici fra Zara e il resto della Dalmazia iugoslava, soprattutto tenendo conto delle ingenti proprietà che molti zaratini possedevano nei territori passati al Regno iugoslavo: da qui la richiesta dell’esenzione dai dazi d’importazione e di esportazione, e del libero passaggio, al di fuori delle strade doganali, per il bestiame da lavoro, gli strumenti agricoli e per gli effetti che i contadini avrebbero importato ed esportato attraverso la linea doganale; allo stesso modo, ai possidenti del territorio di Zara, in possesso di fondi nel territorio iugoslavo, doveva essere concesso di poter importare per sé e per i loro lavoranti, in franchigia di dazio, commestibili e bevande in una quantità corrispondente ai loro bisogni. I prodotti naturali raccolti nelle proprietà che si trovavano separate, a causa della linea di confine, dalle abitazioni e masserie, dovevano essere esenti dai dazi doganali316. Altra necessità per la popolazione zaratina era il rifornimento di pesce. La Camera di Commercio di Zara segnalò che con l’annessione l’esercizio della pesca sarebbe stato im312 ASMAE, Carte Salata, b. 247, Sistemazione della procura di finanza dalmata (Avvocatura erariale), memoriale anonimo e senza data, ma conservato in fascicolo intitolato On. Ziliotto e databile inizio 1921; ivi, b. 214, Amministrazione giudiziaria, memoriale anonimo e senza data, ma attribuibile a Luigi Ziliotto e databile inizio 1921. 313 ASMAE, Carte Salata, b. 214, Sanità pubblica, memoriale anonimo e senza data, ma attribuibile a Luigi Ziliotto e databile inizio 1921. 314 ASMAE, Carte Salata, b. 247, appello della Camera di Commercio di Zara, 3 gennaio 1921. 315 ASMAE, Carte Salata, b. 247, memoriale anonimo e senza data, ma conservato in fascicolo intitolato On. Ziliotto e databile inizio 1921. 316 Ibidem. IL TRATTATO DI RAPALLO 291 possibile. A Zara non vi erano pescatori, il fondo del mare nella zona annessa non era adatto alla pesca e il distacco politico delle isole di Ugliano, Pasman, Sale, Eso, Pago, ecc., faceva temere che i pescatori isolani avrebbero smesso di vendere il loro prodotto sul mercato zaratino. Molto grave era soprattutto la separazione di Ugliano da Zara, poiché i sette villaggi di quell’isola, che dista pochi chilometri dalla città, fornivano giornalmente agli zaratini pesce, verdura, olio, vino e legname da ardere. Il governo italiano doveva impedire che Belgrado ostacolasse il libero commercio e il transito del pesce, degli animali da macello e delle altre derrate alimentari fra Zara e il suo circondario317. Un delicato problema politico era costituito dall’esistenza di numerose istituzioni scolastiche e religiose a Zara, italiane, croate e serbe, cattoliche e ortodosse. Nell’epoca asburgica le principali istituzioni culturali e religiose della Dalmazia erano concentrate nella capitale provinciale. Dopo Rapallo sorse il problema del futuro di queste istituzioni. Da parte dei capi liberali italiani, consapevoli della fragilità dell’assetto politico creato in Dalmazia con il trattato di Rapallo, vi era il timore che la sopravvivenza di troppe istituzioni scolastiche e religiose croate e serbe in un piccolo centro come Zara servisse da strumento di penetrazione politica e culturale dello Stato iugoslavo318. Da qui le pressioni perché molte di queste fossero trasferite in Iugoslavia o soppresse. Il Liceo-Ginnasio croato di Zara andava soppresso, così come la scuola per la formazione degli insegnanti esistente a Borgo Erizzo. Andavano piuttosto potenziate le istituzioni scolastiche italiane, il Ginnasio Liceo, il Convitto Tommaseo, per fare di Zara un centro di propulsione dell’italianità in tutta la Dalmazia319. I liberali zaratini volevano anche che fosse conservato a Zara il seminario teologico e il seminario puerorum, purché fossero affidati a sacerdoti italiani e il corpo insegnante iugoslavo fosse sostituito. I seminari andavano preservati per le seguenti ragioni: 1) Per creare un clero indigeno educato nazionalmente, capace di assu- 317 ACS, UNP, b. 175, Artale, presidente della Camera di Commercio di Zara, a Bonfanti, 7 gennaio 1921. 318 Al riguardo: Krekich a Medovich, 8 gennaio 1921, cit. 319 ASMAE, Carte Salata, b. 214, Istituti scolastici da mantenere, eventualmente da ampliare e riorganizzare, memoriale anonimo e senza data, ma attribuibile a Luigi Ziliotto e databile inizio 1921. 292 LUCIANO MONZALI mere la cura d’anime nelle città italiane e nei paesi slavi della diocesi. 2) Per attirare a Zara giovani chierici dall’Istria, e possibilmente dalla Dalmazia, in modo che Zara diventi un centro di coltura ecclesiastica per italiani e slavi. 3) Per impedire che la curia di Zara sia costretta a ricorrere a clero estero jugoslavo per provvedere in avvenire alla cura d’anime in quei villaggi slavi, che saranno sottoposti alla sua giurisdizione, ciò che costituirebbe un pericolo, anzi una sciagura nazionale per queste terre320. Bisognava comunque modificare i confini della diocesi di Zara, che andava adattata al nuovo assetto territoriale, inserendo al suo interno non solo Zara e Lagosta, ma anche Lussino e Cherso321. E negli ambienti italiani di Zara si chiese anche la sostituzione dell’arcivescovo Pulis#ic!, croato ed ostile alla sovranità italiana, con un prelato italiano322. Grave problema economico e finanziario per i dalmati italiani a Zara e in Iugoslavia era la questione della valuta. Il governatore Millo, per aumentare il consenso verso l’amministrazione italiana e per favorire la ripresa dei commerci, aveva mantenuto in vigore quale moneta della Dalmazia occupata la vecchia corona asburgica, nel resto dei territori dell’ex Impero asburgico ormai priva di valore. Ciò aveva favorito l’afflusso d’ingenti quantitativi di corone nella Dalmazia italiana a fini speculativi. Ma mentre nella Venezia Giulia e Tridentina si procedette alla conversione della moneta asburgica in lire già nel 1919, nella Dalmazia occupata dall’Italia ciò non avvenne, e si lasciarono circolare le corone, favorendo un’incredibile importazione di queste, poiché il loro valore a Zara era sempre superiore di quello che tale moneta aveva altrove: Dalle indagini – rilevò Wildauer – compiute dalle autorità italiane e da enti locali risultava che l’ammontare complessivo delle corone esistenti nella Dalmazia occupata sarebbe stato da 600 a 800 milioni. Questa somma è 320 ASMAE, Carte Salata, b. 247, Il problema ecclesiastico di Zara dal punto di vista nazionale, anonimo e senza data, ma attribuibile a Natale Krekich (al riguardo Krekich a Medovich, 8 gennaio 1921, cit.). 321 Ibidem. I vescovi dalmati croati, riunitisi a convegno a Spalato nel marzo 1921, decisero di trasportare il seminario teologico centrale da Zara a Spalato e di trasformare il ginnasio del seminario di Spalato in un ginnasio comune per tutti i vescovati della Dalmazia (ASMAE, Carte Salata, b. 264, Bonfanti a Ministero degli Affari Esteri, 12 marzo 1921). 322 Al riguardo, ad esempio: ASMAE, Carte Salata, b. 264, Lettera del sacerdote Ernesto Perich al cardinale De Rey, 4 aprile 1921. IL TRATTATO DI RAPALLO 293 enorme se si pensa che tutta la regione è sempre stata priva di capitali e che specialmente i contadini sono poverissimi. Tutta questa importazione veniva alimentata enormemente dalla speranza che il Governo italiano estenderà, senz’altro, anche a questa regione, i provvedimenti adottati pel cambio delle corone nella Venezia Giulia e Tridentina323. Dopo il trattato di Rapallo e l’annessione italiana di Zara, il governo di Roma si trovò ad affrontare il delicato problema della conversione della valuta austro-ungarica. Luigi Ziliotto presentò le richieste degli zaratini sulla questione della valuta inviando un promemoria a Francesco Salata324. Secondo il sindaco di Zara, il cambio della valuta austro-ungarica sarebbe dovuto avvenire a condizioni non peggiori di quelle fatte alla Venezia Giulia e Tridentina. Ma non si potrebbe, a mio credere, considerare come cambio a condizioni uguali quello che venisse fatto in ragione di 60 centesimi di lira per corona, perché il valore della lira nell’aprile 1919 era molto superiore a quello di adesso. Si obietta che la svalutazione della lira colpì anche i fratelli delle due Venezie. Ma tale svalutazione non fu risentita da tutti coloro che in tempo non lungo scambiarono la moneta con altri oggetti, e d’altronde il ritardato cambio produsse in Dalmazia altri danni maggiori fra i quali basti accennare all’aver costretto coloro che dovevano vivere sul passato a consumare a prezzi irrisori i loro risparmi. Dunque per parlare di un trattamento uguale a quello della Venezia Giulia e Tridentina conviene che il cambio sia fatto per lo meno alla pari. Ciò è tanto più indicato anche per lenire almeno parzialmente il danno derivante alla Dalmazia annessa dalla infelice soluzione del problema adriatico325. A parere di Ziliotto, la grande introduzione di corone in Dalmazia non era responsabilità dei possessori del denaro, ma del governo che nulla aveva fatto per impedire ciò. Il cambio, quindi, doveva essere fatto a tutti; ma per non premiare gli speculatori e i delinquenti poteva essere nominata una commissione speciale avente il diritto di escludere dal cambio di favore tali persone e gli importi di origine illegale. Nel caso il Ministero del Tesoro non volesse procedere alla conversione integrale delle corone esistenti a Zara e desiderasse imporre 323 WILDAUER, I problemi economici, cit., p. 34. ASMAE, Carte Salata, b. 215, LUIGI ZILIOTTO, promemoria senza titolo, senza data (ma primi mesi del 1921). 325 Ibidem. 324 294 LUCIANO MONZALI la legittimità del possesso del denaro come condizione per la conversione delle corone, Ziliotto propose la concessione del cambio di favore ad ogni possessore di denaro per un importo minimo, per il quale chiunque avrebbe avuto diritto al cambio senza l’obbligo di fornire alcuna prova: l’importo minimo era da fissarsi a cinquemila corone per capo-famiglia. Andava poi concesso il cambio di favore per tutto il denaro di cui si poteva dimostrare l’origine anteriormente ad una data da stabilirsi fra il 4 novembre 1918 e il 15 aprile 1919; la dimostrazione era da prodursi con libretti di denaro e altri documenti. Il cambio di favore, per Ziliotto, doveva essere effettuato subito per gli importi minimi e per le somme la cui esistenza nel tempo critico era provata con documentazione; per il resto andava effettuato dopo l’accertamento della commissione326. Altra richiesta che i dalmati italiani avanzarono a tale riguardo fu quella della possibilità che alla conversione della valuta partecipassero anche i profughi italiani provenienti dai territori della Dalmazia in passato occupata o facente parte del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni327. A questo riguardo, il console italiano a Sebenico, Rocco, a nome di molti italiani locali, chiese che venisse concesso un cambio di favore per i dalmati italiani che si accingevano ad abbandonare la Dalmazia non annessa e da cui si stava ritirando l’esercito regio, e in particolare per gli impiegati del passato regime. […] Il cambio (che non è invocato e non si potrebbe accordare agli Italiani anche optanti che restano nei territori dalmati passati alla S.C.S.) non deve sembrare, come è stato affacciato, quasi un premio all’esodo, ma una necessità vitale ed un equo provvedimento a favore di coloro che lasciano la Dalmazia in seguito al Trattato di Rapallo. Non è da temere che la concessione possa incoraggiare l’esodo perché il danno materiale di questo è per le famiglie italiane così rilevante che mai esse vi si indurebbero attratte dal solo vantaggio del cambio, se altre necessità ben più gravi non ve le costringessero328. Il governo italiano decise di accogliere alcune richieste dei liberali zaratini e dalmati. La più importante concessione fu la creazione della zona franca a Zara il 13 marzo 1921: i territori della Dalmazia an- 326 Ibidem. 327 ASMAE, 328 ASMAE, GAB 1923-1943, AF, b. 9, Salata a Bonfanti, 8 giugno 1921. Sebenico, arc. ord., b. 1, Rocco al Ministero degli Esteri, 5 aprile 1921. IL TRATTATO DI RAPALLO 295 nessa all’Italia vennero considerati fuori dalla linea doganale italiana. I prodotti locali provenienti dai territori iugoslavi vicini potevano essere introdotti a Zara in esenzione dei diritti di confine329. Dato il momento delicato dei rapporti italo-iugoslavi, in attesa del consenso di Belgrado verso la creazione della zona franca, si decise una solo parziale immediata applicazione del provvedimento: continuarono ad esservi dazi sulle importazioni provenienti dall’estero verso Zara, mentre il decreto venne applicato per quanto riguardava le esportazioni da Zara per l’Italia. L’esecutivo Giolitti, poi, s’impegnò ad assumere nelle proprie amministrazioni la gran parte degli impiegati dalmati italiani o italofili già al servizio dello Stato asburgico. Tale atto si spiegava con ragioni di riconoscenza politica e nazionale verso questi impiegati che sotto il regime asburgico erano stati «i più strenui difensori dell’italianità contro l’invasione serbo-croata: e non pochi di essi hanno rischiato la loro carriera e la loro sicurezza, quando non l’hanno addirittura compromessa»330. Vi furono, però, lentezze nei tempi dei trasferimenti per questi funzionari, che spesso erano destinati a funzioni di grado nettamente inferiore ai loro ruoli precedenti: il che suscitò in molti amarezze e recriminazioni, poiché ebbero talvolta la sensazione di essere trattati con ingratitudine e freddezza dallo Stato italiano331. Molto difficile e controversa si dimostrò la soluzione della questione del cambio della valuta. Il Ministero del Tesoro decise di rifiutare la conversione di tutta la valuta austro-ungarica presente nella Dalmazia italiana. Con il regio decreto del 10 giugno 1921 si stabilì che fosse assegnato un fondo di 60 milioni di lire per la conversione della valuta austro-ungarica in lire italiane nel territorio della Dalmazia annesso all’Italia332. Le valute austro-ungariche avrebbero cessato di avere corso legale alla mezzanotte del 19 giugno 1921. La conversione della valute austro-ungariche in quelle italiane sarebbe stata fatta dal giorno 20 giugno a tutto il 4 luglio 1921, mentre a Lagosta il periodo di conversione sarebbe stato ridotto ai giorni dal 30 giugno al 4 329 «La Nazione», 29 marzo 1921, La zona franca a Zara; WILDAUER, I problemi economici, cit., pp. 57-58. 330 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 6, Rocco al Ministero degli Esteri, 29 gennaio 1921. 331 A titolo di esempio si veda il caso di Francesco Madirazza: ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 6, Salata a Roddolo, 16 aprile 1921; ibidem, Madirazza a Rocco, 13 e 20 aprile 1921. 332 Il testo del decreto del 10 giugno 1921, n. 739, pubblicato nella «Gazzetta Ufficiale» del 17 giugno 1921, è riprodotto in WILDAUER, I problemi economici, cit., pp. 79-85. 296 LUCIANO MONZALI luglio 1921. La conversione in valuta italiana delle corone costituite da biglietti della Banca austro-ungarica non stampigliati da altri Stati sarebbe stata eseguita a favore dei possessori della tessera annonaria permanente di data anteriore al 15 maggio 1921, che avessero la dimora nella Dalmazia annessa. Fino alla somma massima di 3.000 corone per ogni possessore di tessera annonaria la conversione avrebbe avuto luogo ai tassi di 40 centesimi per corona fino ai 2/5 della somma prestata al cambio, di 20 centesimi per il quinto successivo e di centesimi 10 per la rimanenza. Sul primo quinto veniva concesso un supplemento di 20 centesimi stabilito dal decreto regio del 27 novembre 1919. Il diritto di conversione al cambio delle corone venne concesso anche ai profughi italiani provenienti dalla Dalmazia iugoslava333. In caso di richiesta di conversione di una somma superiore a 3.000 corone, occorreva presentare una dichiarazione firmata che attestasse, sotto giuramento, che le valute di cui si chiedevano la conversione erano di esclusiva proprietà dei richiedenti, e un certificato dell’Ufficio delle Imposte indicante il reddito accertato per l’anno 1920 (i profughi dovevano presentare un certificato equipollente). La conversione sarebbe stata effettuata fino al limite di un decimo della somma risultante dalla capitalizzazione al 5 per cento del reddito suddetto. Oltre che per le somme liquide dei commercianti e dei privati, il decreto stabiliva le condizioni per la conversione delle corone in possesso degli enti morali, delle società commerciali e delle banche. Importanti, in particolare, erano le condizioni per la conversione dei depositi bancari334. L’applicazione del decreto del giugno 1921 fu estre333 Il decreto prevedeva al riguardo: «I profughi dai territori dalmati non assegnati all’Italia dal trattato di Rapallo, potranno in luogo della tessera annonaria produrre un certificato della competente autorità consolare o politica italiana attestante la loro qualità, la loro dimora nel Regno, ivi compreso il territorio di cui all’articolo 1, e lo stato della loro famiglia. In base a tale certificato e previ eventuali opportuni accertamenti, l’Ufficio provvisorio del Tesoro in Zara autorizzerà l’importazione nel territorio annesso delle valute austroungariche agli effetti della conversione stabilita dal presente articolo e dall’articolo seguente» (WILDAUER, I problemi economici, cit., pp. 79-85). 334 Al riguardo notò Wildauer: «I depositi bancari esistenti alla sera del 9 aprile e costituiti anteriormente venivano convertiti direttamente dagli istituti di credito con le somme necessarie messe a loro disposizione dall’Ufficio provvisorio del Tesoro in Zara fino alla concorrenza del saldo esistente alla data sopra accennata, e cioè al tasso del 60% il saldo eventuale al 3 novembre 1918 ed al tasso del 40% la differenza tra il saldo suddetto a quello del 9 aprile 1919. I depositi a risparmio invece venivano convertiti direttamente dagli istituti di credito senza tener conto della data della loro creazione, quando non superassero le 8.000 corone. I tassi erano i medesimi come quelli per i depositi bancari, però con questa aggiunta che la differenza tra il saldo del 9 aprile e 30 settembre 1919 al tasso del 20% ed il resto IL TRATTATO DI RAPALLO 297 mamente problematica e suscitò fortissime critiche a Zara335. La percentuale più bassa del tasso di conversione delle corone applicata in Dalmazia rispetto a quella accordata agli altri territori ex asburgici annessi nel 1919 irritò molti dalmati italiani. I tempi ristretti della conversione resero difficile per molti profughi di procurarsi la necessaria documentazione. Rimase poi non convertita in lire un’enorme quantità di corone austro-ungariche. Secondo un critico zaratino del sistema di conversione l’errore fondamentale fu il trattare allo stesso modo sia gli onesti che gli speculatori delle corone: Ai primi competeva indubbiamente un trattamento eguale a quello fatto nella Venezia Giulia e nella Venezia Tridentina; agli altri, per giustizia, un trattamento diverso, più sfavorevole. Il decreto del cambio in sostanza eguagliò tutti, senza distinzione alcuna e per evitare degli scandali, se fosse stata fatta luce piena e completa sull’origine delle somme accumulate, favorì indirettamente gli speculatori. Esso preferì ricorrere a basi inadatte, come quella della dichiarazione del reddito, che, come è facile a comprendersi, certo non corrispose alla reale situazione economica dei cittadini, e per una gran parte delle somme convertite ricorse inoltre a percentuali di cambio inferiori al valore medio locale della corona rispetto alla lira336. Naturalmente la difficoltà nell’esaudire molte richieste degli esponenti zaratini stava nel fatto che era necessaria a tal fine la collaborazione del governo di Belgrado. Quindi il problema della ripresa economica di Zara era fortemente dipendente dal corso delle relazioni commerciali e politiche fra Italia e Regno SHS. Su incarico del governo italiano, il 1° luglio 1921 il deputato Fulco Tosti di Valminuta, delegato nella commissione che avrebbe dovuto negoziare accordi miranti al miglioramento dei rapporti commerciali e finanziari con il Regno SHS, e il generale Eugenio Barbarich, membro della commissione per la delimitazione dei confini in Dalmazia, presentarono al al tasso del 10%. Per quanto riguarda i depositi bancari costituiti dopo il 9 aprile 1919, essi non venivano convertiti dagl’istituti di credito, ma invece dall’Ufficio provvisorio del Tesoro in Zara, qualora il titolare fosse un contribuente per l’imposta sull’industria e le partite accreditate dipendessero da vendite di merci e di derrate effettuate nella Dalmazia già occupata dal R. Esercito. Anche gli aumenti posteriori di depositi già esistenti prima del 9 aprile 1919 venivano convertiti dal suddetto Ufficio in caso che si verificassero le condizioni sopra esposte» (WILDAUER, I problemi economici, cit., p. 46). 335 Al riguardo: «La Nazione», Trieste, 18 agosto 1921, Il problema della valuta a Zara. 336 WILDAUER, I problemi economici, cit., p. 44. 298 LUCIANO MONZALI Ministero degli Esteri una relazione sulla situazione di Zara337, proponendo una serie di misure da attuare a favore del territorio zaratino e da porre al centro dei negoziati bilaterali con Belgrado. Erano proposte che in gran parte riprendevano i progetti delineati dai capi liberali zaratini nei mesi precedenti. Cruciale era, a parere di Barbarich e Tosti di Valminuta, la creazione di una zona franca nel territorio iugoslavo circostante Zara, al fine di mantenere vivi i rapporti fra la città e il suo retroterra. A tal fine essi proponevano di negoziare con Belgrado lo stabilimento di una zona franca per terra e per mare in territorio iugoslavo che comprendesse le isole poste di fronte a Zara (Puntadura/Vir, Sestruni/Sestrunj, Rivani/Rivanj, Ugliano e Pasman/ Pas#man), mentre sul continente includesse la regione posta fra il canale di Povliana, quello di Morlacca (Velebitski Kanal), il mare di Novegradi/Novigrad, Bencovaz, le rive settentrionali del lago di Vrana e il mare338. Era poi urgente la costruzione di una linea ferroviaria attraverso la Dalmazia settentrionale, lungo il tracciato Zara-BencovazKistanje-Knin, che collegasse la città italiana con le ferrovie dalmate e facilitasse la ripresa economica della zona339. Per proteggere il rifornimento dell’acqua a Zara, consentito da un acquedotto che traeva origine dalle acque dello stagno di Boccagnazzo, in territorio iugoslavo, bisognava negoziare con Belgrado, «ammessa l’esclusione di ritocchi territoriali», una convenzione che assicurasse «la purezza delle fonti, la loro integrità e purezza, la libertà di lavoro nella presa di acqua e nelle condotture, in modo da garantire, in modo assoluto e sotto ogni rispetto, il rifornimento di acqua attuale ed avvenire della città di Zara e del suo immediato retroterra»340. Altro tema cruciale era quello della tutela della proprietà privata italiana nella Dalmazia iugoslava. A parere di Barbarich e Tosti di Valminuta, doveva essere assicurato ai cittadini di Zara il pieno godimento dei diritti di proprietà, dei beni mobili ed immobili che essi possedevano nei territori sotto la sovranità iugoslava. Se nei riguardi delle imposizioni di tributi, del godimento delle proprietà e dei beni, agli italiani zaratini andava garanti337 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, BARBARICH e TOSTI DI VALMINUTA, Relazione circa la sistemazione di Zara, 1° luglio 1921, con 6 allegati. 338 Promemoria n. 1: Zona franca zaratina, allegato a BARBARICH, TOSTI DI VALMINUTA, Relazione circa la sistemazione di Zara, 1° luglio 1921, cit. 339 Promemoria n. 2: Raccordo ferroviario Zara-Knin, allegato a BARBARICH, TOSTI DI VALMINUTA, Relazione circa la sistemazione di Zara, 1° luglio 1921, cit. 340 Promemoria n. 3: Acquedotto di Boccagnazzo, allegato a BARBARICH, TOSTI DI VALMINUTA, Relazione circa la sistemazione di Zara, 1° luglio 1921, cit. IL TRATTATO DI RAPALLO 299 to il trattamento riservato ai cittadini iugoslavi, ciò non era sufficiente nel caso di espropriazione. In fatto, l’applicazione della progettata legge agraria con l’espropriazione forzata di talune categorie di proprietà agrarie ecc. comporterebbe la pratica confisca di questi beni per i nostri nazionali, sia in rapporto ai criteri adottati, […] sia in rapporto alla traduzione in atto dei principi fissati. Va tenuto presente che nella Dalmazia i beni fondiari colpiti da espropriazione secondo la progettata riforma agraria appartengono nella maggior parte a elementi di nazionalità italiana, e quindi, nessuna garanzia d’imparzialità sarebbe garantita dalle commissioni locali di aggiudicazione e di stima dei terreni dei nostri cittadini. Un primo esempio a nostro danno è fornito dall’ordinanza del Governo S.H.S. che dichiara risolti a favore dei coloni i rapporti di colonato. In Dalmazia i coloni si sono rifiutati di pagare, in seguito a questa, alcun canone ai proprietari e rimasero sul fondo341. Per tutelare i cittadini zaratini, quindi, era indispensabile, in caso d’espropriazione, assicurare per i loro beni un’indennità equivalente al valore commerciale di questi, e che la valutazione dei beni da espropriare fosse eseguita in modo serio ed imparziale342. Al fine di consentire la sopravvivenza commerciale di Zara bisognava mantenere in funzione tutte le comunicazioni marittime locali, che in epoca asburgica collegavano la città con le isole e i porti vicini (i collegamenti di Zara con Stretto, Pago, Arbe, Sale/Sali, Ulbo/Olib, ecc.): tali linee dovevano essere esercitate in regime di libertà doganale, con facoltà di trasporto delle merci da un porto all’altro343. Per garantire l’attività della pesca zaratina e un’autonoma fonte di rifornimenti alimentari, bisognava che il governo di Belgrado concedesse ai pescatori italiani di Zara «la facoltà di esercitare la pesca lungo il canale di Zara fino ai confini meridionale e settentrionale della zona franca zaratina ed attorno alle antistanti isole»344. In questa relazione venivano delineati i principali problemi economici di Zara, che i governi Bonomi, Facta e Mussolini avrebbero cercato di affrontare nel corso delle lunghe trattative italo-iugoslave 341 Promemoria n. 4: Tutela della proprietà privata, allegato a BARBARICH, TOSTI DI VALMINUTA, Relazione circa la sistemazione di Zara, 1° luglio 1921, cit. 342 Ibidem. 343 Promemoria n. 5: Comunicazioni marittime locali di Zara, allegato a BARBARICH, TOSTI DI VALMINUTA, Relazione circa la sistemazione di Zara, 1° luglio 1921, cit. 344 Promemoria n. 6: Pesca, allegato a BARBARICH, TOSTI DI VALMINUTA, Relazione circa la sistemazione di Zara, 1° luglio 1921, cit. 300 LUCIANO MONZALI sull’applicazione del trattato di Rapallo nella prima metà degli anni Venti. 3.6. Liberali contro nazionalisti e fascisti: le elezioni parlamentari a Zara nel maggio 1921 Le perduranti difficoltà economiche e finanziarie che travagliavano la vita di Zara e della sua popolazione facilitarono il risorgere di una forte conflittualità politica nella città. L’irritazione e la rabbia di parte della popolazione di Zara per le difficili condizioni di vita dopo l’annessione si tradussero spesso in un malcontento verso il governo di Roma e i vecchi capi liberali-nazionali, additati come corresponsabili e colpevoli per la pessima situazione politica ed economica. L’insoddisfazione di molti dalmati italiani per i confini decisi a Rapallo e la sensazione di essere stati traditi dal governo di Roma, favorirono lo sviluppo e il consolidamento di forti gruppi nazionalisti e fascisti a Zara. I primi nuclei nazionalisti e fascisti zaratini si erano formati sull’onda della spedizione dannunziana nell’autunno 1919. Il trattato di Rapallo alimentò il malcontento fra la popolazione zaratina e favorì un’ulteriore diffusione del nazionalismo e del fascismo, operanti a Zara in una stretta simbiosi ed entrambi in opposizione alla classe dirigente liberale autonomista, accusata d’egoismo, debolezza e complicità con il governo. Il convergere a Zara di molti esuli e profughi italiani provenienti dal resto della Dalmazia, amareggiati ed esasperati per avere lasciato le proprie case e proprietà, fornì un ulteriore nucleo di simpatizzanti nazionalisti e fascisti. L’Associazione nazionalista zaratina ebbe come propri dirigenti Egidio Rovaro Brizzi, Maurizio Mandel, iscritto anche al movimento fascista, Luigi Macchiedo e l’avvocato Arnerich345; il Fascio di Zara, invece, era guidato a livello locale da Michelangelo Zimolo, giornalista direttore dell’«Azione Nazionale», e da Troiani, ma aveva come punti di riferimento in Italia Alessandro Dudan e Antonio Cippico346. In una posizione di parziale distacco e dissenso dai suoi vecchi amici liberali, Roberto Ghiglianovich, ormai trasferitosi a Roma in quanto consigliere della Corte di Cassazione e 345 «L’Idea Nazionale», 25 dicembre 1921, Il rapido e brillante sviluppo della Sezione nazionalista di Zara. 346 «L’Idea Nazionale», 10 aprile 1921, Nel collegio di Zara; ivi, 26 agosto 1921, I fasci della Dalmazia solidali con Mussolini. IL TRATTATO DI RAPALLO 301 a partire dal 1921 gravemente malato, si avvicinò sempre più al nazionalismo e al fascismo, sostenendo con tutti i mezzi la carriera politica di Alessandro Dudan. In questa scelta filofascista di Ghiglianovich pesava non tanto un’affinità ideologica, quanto il condizionamento che su di lui l’ambiente politico romano esercitava e una scelta pragmatica; in fondo, mentre il liberalismo peninsulare si mostrava sempre più debole e diviso, nazionalisti e fascisti erano forze politiche in grande ascesa e, a differenza di altri partiti, manifestavano l’apparente volontà di porre al centro dell’azione di governo la difesa dei diritti economici e nazionali dei dalmati italiani: l’affermazione delle destre faceva sperare Ghiglianovich in una futura maggiore attenzione dell’Italia ai bisogni di Zara. In quei mesi un ruolo non piccolo nella vita politica zaratina lo svolsero pure i repubblicani, che avevano in Dalmazia una forte impostazione nazionalista italiana: essi erano la derivazione di alcuni nuclei della sinistra autonomista e raggruppavano numerosi seguaci di D’Annunzio, già membri del battaglione di volontari dalmati «Rismondo». Dopo aver inizialmente aderito all’Unione Nazionale, nazionalisti, fascisti e repubblicani ne uscirono progressivamente e iniziarono a porsi in aperta opposizione a Ziliotto e Krekich. In un rapporto del 15 marzo il commissario civile Bonfanti constatò che l’Unione Nazionale, espressione delle forze dell’ordine ligie alle istituzioni, era travagliata da dissensi interni, «provocati dall’elemento giovanile, che mal tollera la prevalenza dei vecchi conservatori»347. L’avvicinarsi della elezioni parlamentari nazionali, previste per il maggio 1921, e la necessità di scegliere un candidato per il seggio di deputato di Zara avevano aggravato i dissidi: gli anziani, guidati da Ziliotto ed espressione dell’amministrazione comunale e delle classi commerciali, volevano candidare Krekich, ma tale candidatura era contrastata dai giovani e dai repubblicani che desideravano l’elezione di Vittorio Vettori o Alessandro Dudan. Bonfanti comunicò poi che in quelle settimane si era costituito a Zara un Fascio di combattimento, con alcune centinaia di simpatizzanti: Senonché, mancando qui il pretesto della reazione alle violenze degli elementi bolscevichi, fortunatamente ancora ignoti a Zara, il Fascio locale si è proposto chiaramente altri scopi diversi e cioè: 1) quello di frenare le even- 347 ACS, UNP, b. 71, Bonfanti all’Ufficio centrale per le Nuove Provincie, 15 marzo 1921. 302 LUCIANO MONZALI tuali escandescenze del manipolo dei repubblicani. 2) Di esercitare rappresaglie contro l’elemento croato alla minima violenza o minaccia che si usasse contro gli italiani del territorio della Dalmazia soggetto allo sgombero348. Nel corso di aprile e maggio il contrasto fra “vecchi” liberali di estrazione autonomista e “giovani” nazionalisti, dannunziani e fascisti esplose apertamente. In previsione delle elezioni parlamentari i liberali zaratini proposero la candidatura di Natale Krekich. Inizialmente i gruppi nazionalfascisti (il Fascio di combattimento, l’Associazione dei combattenti e l’Associazione nazionalista) presentarono come proprio candidato per il collegio di Zara Alessandro Dudan, dirigente fascista, descritto dall’«Idea Nazionale» come un vero «apostolo della causa dalmatica»349. Tale candidatura era sostenuta dalle direzioni centrali del nazionalismo e del fascismo, da importanti giornali come «Il Messaggero», diretto dal giolittiano con simpatie nazionaliste Virginio Gayda, e da Roberto Ghiglianovich. Il 9 aprile Gayda scrisse a Krekich per spiegare il sostegno alla candidatura Dudan, vista negativamente dai liberali zaratini, affermando che il giornalista spalatino era molto popolare in Italia e a Roma e che il governo vi era favorevole350. Ma ben presto, su iniziativa dell’Associazione repubblicana zaratina fu proposta l’idea della candidatura di D’Annunzio nel collegio di Zara quale dimostrazione anti-governativa e segnale dell’opposizione dei dalmati al trattato di Rapallo. Il governo di Roma era ostile all’ipotesi di una candidatura di D’Annunzio, feroce oppositore della politica estera di Sforza, anche per il significato anti-iugoslavo che l’elezione del poeta a Zara avrebbe avuto. Pure i liberali zaratini, desiderosi di inviare alla Camera dei deputati un politico locale e di evitare provocazioni contro il governo di Roma e il Regno SHS, si schierarono contro la candidatura di D’Annunzio351. Il commissario Bonfanti segnalò che l’idea della candidatura di D’Annunzio era la conseguenza degli intrighi dei capi dannunziani zaratini, lo Schönfeld, il dottor Inchiostri, il prof. Filippi, Edoardo Calebich e Vittorio Verban, che si erano recati a Trieste per organizzare l’iniziativa ed avevano l’appoggio di Host 348 Ibidem. «L’Idea Nazionale», 8 aprile 1921, Blocco antislavo e antisocialista a Trieste; ivi, 10 aprile 1921, Nel collegio di Zara. 350 ACS, UNP, b. 71, Gayda a Krekich, 9 aprile 1921, allegato a Bonfanti a Salata, 11 aprile 1921. 351 ACS, UNP, b. 71, Bonfanti all’Ufficio per le Nuove Provincie, 11 aprile 1921. 349 IL TRATTATO DI RAPALLO 303 Venturi, stretto collaboratore di D’Annunzio a Fiume352. In effetti, gli zaratini Roberto Petricioli e Alfredo Toniatti si recarono dal poeta abruzzese e gli consegnarono una lettera, con data dell’8 aprile, che conteneva l’offerta a D’Annunzio, da parte dei principali capi nazionalisti e dannunziani zaratini (Schönfeld, Mandel, Rigatti, Nani, Alacevich, ecc.), di presentarsi candidato nel collegio di Zara per le elezioni parlamentari353. Bonfanti fece pressioni su Ziliotto affinché i liberali zaratini si decidessero ad ufficializzare la candidatura di Krekich, appoggiata dal governo, al fine di bloccare D’Annunzio354. Il 12 aprile l’Unione Nazionale pubblicò un manifesto che proclamò la candidatura di Krekich355. In reazione a ciò i repubblicani e i fascisti invitarono pubblicamente a votare D’Annunzio. La direzione centrale del movimento nazionalista attaccò duramente la candidatura Krekich con un articolo dell’«Idea Nazionale» il 14 aprile 1921356. I nazionalisti accusarono il governo di sostenere l’elezione di Krekich facendo circolare voci secondo le quali in caso di vittoria di un deputato moderato a Zara, bene accetto al governo e a Salata, si sarebbe potuto ottenere un migliore cambio delle corone. I nazionalisti ribadirono il loro appoggio alla candidatura Dudan contro Krekich; ma si proclamarono pronti a sostenere una soluzione unitaria italiana, quale sarebbe stata, a loro avviso, la candidatura D’Annunzio. In una posizione differenziata rispetto alla grande maggioranza della vecchia guardia liberale e irredentista Roberto Ghiglianovich caldeggiò la candidatura di Dudan a Zara e sostenne l’azione di quest’ultimo mirante alla creazione di un fronte unitario nazionalfascista dalmata ostile al governo. Il 13 aprile Ghiglianovich scrisse a Ziliotto insistendo affinché i liberali zaratini accettassero la candidatura Dudan: Dudan, fuori del Giornale d’Italia, ha per sé quasi tutta la stampa romana. C’è poi un altro enorme guaio e cioè che se non si proclama la candidatura di Dudan, acquisterà sempre maggiore consistenza a Zara la candidatura di D’Annunzio. E – io mi chiedo – come farebbe Lei ad opporsi alla candidatura di D’Annunzio! Che figura farebbero i Zaratini contrastando ed op352 Bonfanti a Salata, 11 aprile 1921, cit. 353 FV, ARC GEN, fascicolo Zara, Schönfeld, Nani, Rigatti, Alacevich, Battara, Mandel, ed altri, a Gabriele D’Annunzio, 8 aprile 1921. 354 Bonfanti a Salata, 11 aprile 1921, cit. 355 ACS, UNP, b. 71, Bonfanti alla Presidenza del Consiglio e all’Ufficio per le Nuove Provincie, 12 aprile 1921. 356 «L’Idea Nazionale», 14 aprile 1921, Un ricatto elettorale contro Zara? La rovina della città annunciata dal Governo. 304 LUCIANO MONZALI ponendosi a questa candidatura? L’unico modo per far sì che D’Annunzio non accetti la candidatura è la candidatura Dudan […]. Krekich non aveva mai gran voglia di candidare, e mi stupisce anzi che abbia accettata la candidatura. Si vede che lo fece per gran spirito di abnegazione e soprattutto per allontanare il pericolo di una candidatura di un non Dalmato. Ma Krekich comprenderà la suprema difficoltà del momento e se, come credo, si ritirerà, spontaneamente, avrà avuto lo stesso una bella soddisfazione357. Nei giorni successivi la stampa nazionalista e fascista rinunciò a sostenere Dudan e lanciò una grande campagna a favore della candidatura di D’Annunzio a Zara. Tale candidatura raccoglieva vasti consensi, a destra e a sinistra. Il suo significato sarebbe stato quello di compiere un gesto di sfida al trattato di Rapallo e alla cosiddetta «minaccia slava»358; ma era evidente anche che si lanciava il nome di D’Annunzio per bloccare la candidatura Krekich e umiliare i liberali dalmati. I nazionalisti minacciarono i liberali zaratini a tale proposito. Nessuno può ammettere che di fronte al nome del Comandante, di colui che può aver voce per tutti gli italiani sofferenti in Adriatico, l’Unione osi mantenere la candidatura Krekich359. In quelle settimane, come hanno ben mostrato Renzo De Felice e Francesco Perfetti360, intorno al possibile ruolo politico di D’Annunzio si giocò un duro scontro fra, da una parte, nazionalisti e fascisti, dall’altra, legionari e reduci vicini a Alceste De Ambris361. Entrambi gli schieramenti desideravano strumentalizzare sul piano elettorale la popolarità di D’Annunzio in nome di due progetti politici alternativi e competitivi. In particolare, dalla fine del 1920 i nazionalisti volevano fare del poeta l’uomo simbolo di un grande schieramento anti-sovversivo ed anti-rinunciatario da loro guidato; ma l’indisponibilità di D’Annunzio ad assecondare i loro piani rese ben presto l’azione politica del poeta potenzialmente pericolosa per i partiti della destra. Mussolini e i capi nazionalisti, pure pubblicamente favorevoli alla can357 BS, Carte Ghiglianovich, b. B., Ghiglianovich a Ziliotto, 13 aprile 1921, minuta. 358 «L’Idea Nazionale», 15 aprile 1921, Il rifiuto di d’Annunzio e il collegio di Zara; «La Nazione» (Trieste), 5 aprile 1921, D’Annunzio candidato a Zara. 359 «L’Idea Nazionale», 16 aprile 1921, Zara proclama candidato d’Annunzio. 360 DE FELICE, D’Annunzio politico, cit., p. 160 e ss.; PERFETTI, Fiumanesimo, sindacalismo e fascismo, cit., p. 37 e ss. 361 Sulla figura di De Ambris e i suoi rapporti con D’Annunzio: DE FELICE, Sindacalismo rivoluzionario e fiumanesimo nel carteggio De Ambris-D’Annunzio, cit. IL TRATTATO DI RAPALLO 305 didatura di D’Annunzio, temevano che il comandante, ponendosi a capo di un movimento di combattenti e reduci, potesse danneggiarli sul piano elettorale: da qui in fondo la convenienza di spingere D’Annunzio a candidarsi a Zara, a capo di una grande coalizione che evitasse una precisa identificazione partitica del poeta. Interessante a questo proposito è la lettera che Forges Davanzati scrisse a D’Annunzio il 16 aprile362. L’esponente nazionalista cercò di convincere D’Annunzio a candidarsi a Zara. Forges condivideva il disgusto del poeta per le candidature parlamentari. Tuttavia io credo che la candidatura offertale da Zara sia un’eccezione. Anzitutto è un’eccezione nella procedura, perché a Zara il candidato è solo, senza compagni. Poi perché, dovesse valere la sola elezione, e dovesse anche Ella rifiutare di entrare in Parlamento, la voce adriatica non può dare all’Italia e al mondo altro nome che il Suo. Pensi al bene nazionale di questa protesta dalmatica e non dica di no363. Il giornalista, però, ripeté al poeta il dissenso dei nazionalisti verso ogni tentativo di creare liste autonome ed indipendenti di legionari dannunziani. Io penso che l’unione dei legionari debba essere una sodalità militare e nazionale, non una scelta politica e tanto meno elettorale364. Se i legionari agivano insieme ai nazionalisti e ai fascisti andava bene; «ma che essi facciano un’azione politica a sé, che soprattutto mettano propri candidati, […] questo non mi pare rispondente allo spirito dei legionari»365. Nonostante le minacce nazionaliste e fasciste, il 14 aprile 1921 l’Unione Nazionale tenne un’assemblea che proclamò, con l’appoggio del governo, la candidatura di Krekich contro la volontà dei nazionalisti e dei fascisti locali, che tentarono con azioni di piazza di impedire tale scelta. Riferì a questo riguardo Bonfanti il 15 aprile: Ieri fascisti e repubblicani tentarono, con tutti i mezzi, [di] impedire convocazione assemblea generale Unione Nazionale, o sminuirne importanza. 362 Forges Davanzati a D’Annunzio, 16 aprile 1921, cit. Ibidem. 364 Ibidem. 365 Ibidem. 363 306 LUCIANO MONZALI […] Qualche ora prima convocazione assemblea, forti gruppi fascisti e repubblicani tentarono bloccare adiacenze teatro per ostacolare adunanza ma furono allontanati [da] forza pubblica senza notevoli incidenti. Assemblea ebbe luogo così [con] massima calma e riuscì affollatissima. Parlarono prod’Annunzio Vettori, Mandel e Petricioli efficacemente ribattuti. Candidatura Krekich fu proclamata unanimità, meno 3 aut 4 dissidenti, tra grande entusiasmo intervenuti, tra cui più note personalità cittadine366. La riluttanza dei liberali zaratini ad accettare la candidatura di D’Annunzio irritò i nazionalisti e i fascisti italiani. Dudan, Pantaleoni, Foscari, Roncagli (presidente dell’associazione «Dalmazia» di Roma) e Preziosi inviarono un telegramma congiunto a Ziliotto chiedendo la candidatura del poeta abruzzese a Zara367. Altre missive di contenuto simile, e con minacce di ritorsioni politiche, furono inviate da Dudan a Lubin e da Roncagli a Ziliotto368. Ziliotto decise di rispondere a Roncagli con una lettera personale. Egli ribadì di essere contrario alla candidatura di D’Annunzio a Zara. In quel momento politico bisognava essere cauti nella scelta dei mezzi per realizzare l’ideale della Dalmazia italiana: Occorre spiare – scrisse Ziliotto – con grande cautela i rapporti che si stabiliranno fra l’Italia e la Jugoslavia, onde mi sembrerebbe assai inconsulto di spiegare fin dal primo momento, proprio da Zara, la bandiera dell’irredentismo. Credo, d’altra parte, che Zara non farebbe un’opera saggia col mettersi, fin d’ora, in conflitto aperto col nostro Governo, perché basta un contegno tiepido da parte del medesimo, perché Zara si riduca ad un villaggio, perdendo così tutta la sua funzione nazionale369. L’azione del governo e dell’Unione Nazionale zaratina, nonché la candidatura di Krekich, vennero duramente criticate da Antonio Cippico sull’«Idea Nazionale» il 20 aprile370. Secondo Cippico, Zara 366 ACS, MIN INT, d.g. pubblica sicurezza 1921, b. 87, Bonfanti a Ufficio per Nuove Provincie e a Direzione generale della Pubblica Sicurezza, 15 aprile 1921; ACS, UNP, b. 71, Bonfanti a Salata e al Gabinetto del Ministero degli Interni, 15 aprile 1921; «La Dalmazia. La voce dalmatica», 14 aprile 1921, R. D. [RAIMONDO DESANTI], Il deputato di Zara. 367 ACS, UNP, b. 71, Bonfanti a Salata, 18 aprile 1921. 368 ACS, UNP, b. 71, Dudan a Lubin, 20 aprile 1921; ibidem, Roncagli a Ziliotto, 19 aprile 1921; ASMAE, Carte Sforza, b. 6, Bonfanti a Salata, 22 aprile 1921. 369 ACS, UNP, b. 71, Ziliotto a Roncagli, s.d., copia allegata a Bonfanti a Salata, 19 aprile 1921. 370 «L’Idea Nazionale», 20 aprile 1921, ANTONIO CIPPICO, Tradimento, ricatto e bavaglio per Zara. IL TRATTATO DI RAPALLO 307 era stata abbandonata e tradita. Ziliotto e il governo erano ostili alla candidatura di D’Annunzio ed avevano imposto l’organizzazione di un’assemblea che aveva proclamato Krekich candidato alle elezioni politiche. Certo, Krekich era stato un valoroso «patrocinatore della causa italiana nella dura battaglia contro la politica snazionalizzatrice dell’Austria», ma ora, a parere di Cippico, non era «persona a pieno alla grande maggioranza dei nostri concittadini, dopo la sua partecipazione, in Spalato, alla ratifica dei disgraziatissimi e ridevoli confini della Dalmazia italiana di Rapallo». La candidatura di Krekich era stata imposta in un’assemblea in assenza della grande maggioranza degli elettori di Zara, «ai più giovani e animosi dei quali era stato impedito con brutalità e armata manu dai carabinieri del Bonfanti Linares pure l’approccio al luogo del convegno»371. Nei giorni successivi la campagna pro-D’Annunzio da parte dei nazionalisti e dei fascisti continuò incessante a Zara e sulla stampa italiana372. Sotto la crescente pressione della piazza e dei gruppi estremisti, i liberali decisero di ritirare la candidatura Krekich: il 22 aprile Lubin, vicepresidente dell’Unione Nazionale, inviò a D’Annunzio l’offerta di una candidatura a Zara373. Ma la tardiva e poco entusiasta proposta dell’Unione Nazionale venne rifiutata dal poeta. Secondo quanto posteriormente riferì un dannunziano zaratino a Bonfanti, per alcuni giorni D’Annunzio era stato pronto ad accettare la candidatura a Zara, pur ponendo varie condizioni: il ritiro della candidatura Krekich, un’esplicita offerta dell’Unione Nazionale firmata da Ziliotto, l’impegno dei deputati nazionalisti e fascisti a votare una serie di provvedimenti economici e finanziari a favore di Zara. Ma offeso dalla freddezza dei liberali zaratini e sotto le pressioni del governo, che desiderava che non si presentasse alle elezioni, nonostante le implorazioni dei nazionalisti e fascisti374 il poeta decise di non accettare la candidatura e scris371 Ibidem. Altri duri attacchi fascisti e nazionalisti a Luigi Ziliotto e alla vecchia guardia liberale zaratina in «Popolo di Trieste», 21 aprile 1921, REMO PAPPUCIA, Il deputato di Zara. 372 «L’Idea Nazionale», 21 aprile 1921, Zara invoca Gabriele d’Annunzio. 373 Nell’archivio di D’Annunzio è conservata la copia del seguente telegramma firmato da Giovanni Lubin: «Direttorio Unione Nazionale offre voi strenuo difensore diritto adriatico candidatura coll. Zara e dichiara di ritirare propria candidatura in caso Vostra accettazione» (FV, ARC GEN, fasc. Zara, Giovanni Lubin a D’Annunzio, s.d., ma aprile 1921). Si veda anche: ACS, UNP, b. 71, Bonfanti a Salata, 22 e 23 aprile 1921; «L’Idea Nazionale», 26 aprile 1921, Un colpo di scena a Zara. L’Unione Nazionale si rivolge a d’Annunzio. 374 FV, ARC GEN, fasc. Zara, Mandel, Battara, Petricioli, Rigatti, Toniatti a D’Annunzio, 22 aprile 1921: «Disperatamente imploriamo da Lei la suprema prova d’amore verso questa 308 LUCIANO MONZALI se all’«Idea Nazionale» comunicando la propria definitiva decisione di non presentarsi alle elezioni parlamentari, né a Zara né altrove375. Di fronte all’ostilità di gran parte dell’establishment liberale nazionale zaratino e all’incertezza del voto, pure Dudan rinunciò a presentarsi a Zara e preferì candidarsi a Roma come esponente fascista all’interno dei Blocchi Nazionali376. Dopo il rifiuto di D’Annunzio e il ritiro di Dudan, i nazionalfascisti decisero di non presentare proprie candidature: rimasero in piedi quindi le sole candidature di Krekich, per l’Unione Nazionale, e di Alfonso de Borelli, per il partito croatoserbo zaratino. La minaccia di una vittoria croato-serba a Zara con l’elezione a deputato di Borelli, definito dai nazionalisti italiani «un rinnegato di nobiltà veneta», convinse fascisti e nazionalisti ad accettare il male minore rappresentato da Krekich: certamente – notava l’«Idea Nazionale» – «la mancata candidatura di d’Annunzio e di Dudan ha esasperato la parte migliore della popolazione, che minaccia di astenersi dalle urne»377; ma il rischio di un deputato croato a Zara doveva convincere tutti gli elettori italiani a recarsi alle urne e a votare. In realtà Borelli – discendente di una famiglia aristocratica originaria di Bologna – decise ben presto di ritirare la propria candidatura. La candidatura di Borelli era stata decisa dal Consiglio Nazionale Croato di Zara, guidato dal dott. Machiedo, dal dott. Fülaus e dal prof. Jezina, senza però il consenso di Belgrado. Il governo iugoslavo e, in particolare, il vicepresidente del governo provinciale della Dalmazia, il dalmata serbo Desnica/Desniza, fecero pressioni sui nazionalisti iugoslavi di Zara invitandoli alla moderazione e a non fare una politica particolaristica e campanilistica che danneggiasse i rapporti fra Italia e Iugoslavia378. Timoroso che un candidato croato a Zara potesse essere fonte d’incidenti nella difficile situazione politica dalmata, Borelli decise di ritirarsi dalla gara per l’elezione a Montecitorio379. Dopo il povera Zara, verso questa nostra infelice Dalmazia, che per colpa di pochi uomini gretti, idioti e prezzolati, deve trascinarsi ancora nel pianto e nel dolore. Lei solo può salvarci, Lei solo può raccogliere intorno a Sé tutte le nostre forze valorizzando l’energia che altri – per loschi fini – cerca di strozzare. Ci salvi, per carità, nell’ora decisiva del nostro doloroso martirio; Zara Le innalzerà un inno di benedizione e di gloria». 375 ACS, UNP, b. 71, Bonfanti a Salata, 25 aprile 1921. 376 «L’Idea Nazionale», 21 aprile 1921, I candidati fascisti. Alessandro Dudan. 377 «L’Idea Nazionale», 1° maggio 1921, La situazione elettorale a Zara. 378 ACS, UNP, b. 71, Bonfanti a Salata, 4 maggio 1921; ibidem, Bonfanti all’Ufficio per le Nuove Provincie e al Ministero dell’Interno, 9 maggio 1921. 379 ASMAE, Carte Salata, b. 201, Borelli a Bonfanti, 3 maggio 1921. IL TRATTATO DI RAPALLO 309 ritiro di Borelli, quella di Krekich rimase l’unica candidatura nel collegio di Zara e Lagosta. Il commissario civile Bonfanti informò il governo di Roma che nazionalisti, fascisti e repubblicani facevano propaganda a favore dell’astensionismo per diminuire i voti per Krekich al fine di dimostrare come lui non rappresentasse la maggioranza degli zaratini380. Irritò poi i nazionalisti e i fascisti il fatto che il capo del Partito Popolare Italiano, Sturzo, avesse inviato a Krekich l’adesione sua e del suo partito alla candidatura del politico liberale di forti sentimenti cattolici, augurandogli un netto successo381. Alle elezioni della metà di maggio, nonostante l’astensionismo predicato dai nazionalisti e dai fascisti, Krekich vinse le elezioni conquistando un buon successo personale: ottenendo 1.594 voti egli raccolse il consenso del 99% dei votanti e del 60% degli iscritti al voto nella sola città di Zara382. Eletto deputato, Krekich aderì al gruppo parlamentare «liberale democratico»383. Continuò a svolgere una politica di collaborazione con il governo, in particolare partecipando ai lavori delle commissioni italo-iugoslave per l’applicazione del trattato di Rapallo e sostenendo i progetti del capo dell’Ufficio per le Nuove Provincie, Salata, miranti a garantire agli ex territori austriaci una certa autonomia, in continuità con le tradizioni amministrative esistenti da secoli in quelle regioni384. Nonostante le sue posizioni filogovernative, Krekich criticò la volontà di Sforza di procedere ad un rapido sgombero della seconda zona della Dalmazia occupata, senza avere prima ottenuto precisi impegni da Belgrado riguardo alla vita economica di Zara e circa i diritti politici e culturali degli italiani nella Dalmazia iugoslava385. Ma la sua 380 ACS, UNP, b. 71, Bonfanti a Salata, 6 e 12 maggio 1921. Il 3 maggio 1921 il «Popolo di Trieste» attaccò duramente la propaganda del governo a favore di Krekich: «Popolo di Trieste», 3 maggio 1921, Quel che succede a Zara. 381 ACS, UNP, b. 71, Bonfanti a Salata, 11 maggio 1921. 382 ACS, UNP, b. 71, Bonfanti a Salata, 16 maggio 1921; «La Nazione» (Trieste), 17 e 18 maggio 1921. 383 «L’Idea Nazionale», 20 maggio 1921. 384 ASMAE, Carte Salata, b. 276, NATALE KREKICH, Promemoria, 4 luglio 1921. Sul problema dell’autonomia amministrativa nelle nuove province: RICCARDI, Francesco Salata, cit., p. 291 e ss.; ESTER CAPUZZO, Dall’Austria all’Italia. Aspetti istituzionali e problemi normativi nella storia di una frontiera, Roma, 1996, p. 97 e ss.; ARDUINO AGNELLI, Gli autonomisti giuliani e l’avvento del fascismo, in AUTORI VARI, Il fascismo e le autonomie locali, Bologna, 1973, p. 171 e ss. 385 «L’Idea Nazionale», 15 giugno 1921, Un’interrogazione dell’on. Krekich. Più in generale si veda l’intervista di Krekich alla «Nazione» di Trieste: «La Nazione», 24 dicembre 1921, La sorte di Zara e lo sgombero della III zona dalmata. 310 LUCIANO MONZALI vicinanza al governo e la sua partecipazione alla commissione incaricata di organizzare la consegna della seconda zona agli iugoslavi gli procurarono duri attacchi da parte dei nazionalisti. L’11 giugno «L’Idea Nazionale», ostile all’applicazione del trattato di Rapallo, attaccò personalmente Krekich, accusandolo d’ambiguità e falsità, per essere membro della commissione incaricata di organizzare il ritiro italiano dalla seconda zona e, allo stesso tempo, di non essere andato in prima persona a Sebenico ad assistere alla consegna della città agli iugoslavi. È sintomatica l’assenza del delegato Krekich, neo-eletto deputato di Zara, che vuol rifarsi la verginità politica prima di andare a Montecitorio evitando di assistere all’atto infame di vendita di questi territori. Egli rappresentante di Zara assediata, ha la preoccupazione di accontentare il Governo, e, soddisfatto del fallace successo della zona doganale […] attorno a Zara, dimentica che il suo campo d’azione è anzi tutto la Dalmazia irredenta386. 3.7. I colloqui italo-iugoslavi di Roma e Belgrado (aprile-giugno 1921) Nonostante la consegna della prima zona in aprile e il consenso a proseguire i negoziati per l’applicazione delle varie clausole di Rapallo, i rapporti fra Italia e Iugoslavia rimasero difficili. La lentezza italiana nell’evacuazione di tutto il territorio dalmata suscitò diffidenze a Belgrado. Il 16 aprile Manzoni riferì a Roma di un suo teso colloquio con Popovic!, vice ministro degli Esteri, durante il quale questo si lamentò dell’atteggiamento dell’Italia: «Qui si è pressati – commentava Manzoni – da elementi nazionalisti e parlamentari e da rifugiati dalmati croati sloveni per una immediata e completa consegna territori assegnati alla Jugoslavia; e la situazione interna e quella parlamentare sono tali che non si può trascurare tali pressioni e che gioverebbe molto avere modo mostrare che il Governo ha dal Governo italiano soddisfatti suoi desideri»387. Lo sgombero di tutta la Dalmazia occupata avrebbe facilitato eventuali concessioni iugoslave alle richieste italiane. A parere di Popovic!, 386 «L’Idea Nazionale», 11 giugno 1921, Sebenico sarà consegnata ai Balcanici il giorno 23 giugno. 387 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17 Manzoni a Sforza, 16 aprile 1921. IL TRATTATO DI RAPALLO 311 nessuno più di Pas#ic! desiderava una piena e completa applicazione del trattato di Rapallo e una politica di pacificazione italo-iugoslava, ma l’Italia doveva dargli il modo «di giustificare coi politicanti e coi parlamentari sua condotta»388. Per il governo di Roma, però, era importante la contemporaneità fra il ritiro dalla Dalmazia e l’applicazione delle clausole di Rapallo attraverso specifiche convenzioni a tutela degli interessi dell’Italia in generale e pure di Zara e della minoranza italiana. Sullo sfondo vi era poi la questione di Fiume, il cui assetto politico era per Sforza e Giolitti un problema cruciale. Per facilitare una soluzione delle controversie relative a Fiume e ai rapporti economici fra i due paesi, nel mese di aprile il governo di Roma inviò a Belgrado una missione commerciale guidata da Ferdinando Quartieri e da Ludovico Luciolli, che iniziò a trattare segretamente anche la questione fiumana. Sforza era pronto a soluzioni di compromesso, ma ricordò a Manzoni che l’opinione pubblica non avrebbe tollerato un insuccesso nella questione di Fiume e lo sgombero incondizionato dalla Dalmazia senza avere almeno ottenuto alcune garanzie a tutela degli interessi italiani nella regione389. Manzoni, da parte sua, indicò con chiarezza la posizione iugoslava. Nell’interesse supremo dei negoziati in corso e per potere mantenere fiducia cordialità ristabilitasi in questi giorni devo nuovamente insistere perché Regio Governo tenga massimo conto della dichiarazione ripetutamente fattami e fatta pure Quartieri da Popovich, che un ritardo nella evacuazione della seconda terza zona Dalmazia […] produrrebbe inconveniente gravissimo perché qui hanno potuto calmare opinione pubblica eccitatissima soltanto garantendo che questa evacuazione sarebbe avvenuta alle date fissate. Questo Governo verrebbe trovarsi in tale imbarazzo da rendere difficilissime trattative ulteriori390. Sforza fece pressioni a Belgrado perché i negoziati per l’applicazione di Rapallo fossero continuati al più presto. Si colse l’occasione della Conferenza fra gli Stati successori dell’Impero asburgico tenutasi a Roma nell’aprile 1921 per riprendere i contatti italo-iugoslavi sull’applicazione del trattato di Rapallo. Il governo iugoslavo accettò di affrontare a Roma trattative riguardo la tutela della minoranza ita- 388 Ibidem. 389 ASMAE, 390 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Sforza a Manzoni, 18 aprile 1921. GAB 1923-43, AF, b. 9, Manzoni a Sforza, 22 aprile 1921. 312 LUCIANO MONZALI liana in Dalmazia e lo status di Zara, iniziate informalmente il 21 aprile e durate circa due settimane391. La delegazione serbo-croata-slovena era guidata dal politico sloveno Rybar/Ribarz# e dal ministro a Roma Antonijevic!. Per preparare i negoziati, la delegazione italiana, presieduta da Francesco Salata392, consultò i capi dei dalmati italiani393. Il 22 aprile 1921 il commissario civile di Zara, Bonfanti, trasmise a Salata i desiderata ritenuti fondamentali da Ziliotto, malato, e Krekich, impegnato nella campagna elettorale, per il futuro degli italiani di Dalmazia. Punti ritenuti più importanti e indifferibili sono: 1°) Accordi tutela nuclei italiani sulla base appunti concretati Roma con delegato Spalato Sebenico. 2°) Sistemazione rapporti possidenti Zara aventi beni rurali nei limitrofi tre distretti giudiziari. 3°) Riconoscimento diritti pesca a favore cittadini italiani acque distretto Zara. 4°) Accordi relativi facilitazioni necessarie per introduzione Zara dal territorio jugoslavo bestiame prodotti agricoli e marasca. 5°) Accordi sulla sostanza mobiliare e immobiliare provincia e Comune Zara e rispettiva devoluzione medesima al territorio dalmatico annesso394. I rappresentanti degli italiani nella Dalmazia iugoslava presentarono al governo una serie di richieste incentrate sulla tutela dei diritti economici e culturali dei futuri optanti per l’Italia e di coloro che, invece, avrebbero mantenuto la cittadinanza del Regno SHS395. 391 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Salata a Bonfanti, 22 aprile 1921. Sul ruolo di Salata in quei mesi: RICCARDI, Salata, cit., p. 289 e ss. 393 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Bonfanti a Salata, 24 aprile 1921; ibidem, Salata a Bonfanti, 26 aprile 1921. 394 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Bonfanti a Salata, 22 aprile 1921. 395 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 7, Riassunto del Memoriale dei Dalmati (avv. Tacconi e Pezzoli) a S.E. il Ministro, s.d., ma verosimilmente aprile 1921: «1) Che sia stabilito il rapporto fra l’art. VII n. 2 del Trattato di Rapallo e il trattato sulla garanzia delle minoranze nello Stato S.H.S., nel senso che le agevolezze nazionali e linguistiche contemplate da tale trattato competono anche agli optanti per l’Italia. 2) Regolazione del procedimento relativo alla opzione e determinazione delle persone cui spetta il diritto di opzione. 3) Garanzie per la conservazione del possesso di beni immobili per gli optanti, di fronte alle leggi agrarie, all’atteggiamento dei coltivatori dei terreni e al contegno dell’autorità dello Stato S.H.S. 4) Condizione degli optanti che intendessero abbandonare il paese nei riguardi dell’asporto della sostanza mobile e del percepimento delle rendite della sostanza immobile. 392 IL TRATTATO DI RAPALLO 313 Dopo alcuni informali scambi di punti di vista, il 25 aprile le delegazioni italiana e iugoslava s’incontrarono per discutere la possibile conclusione di uno scambio di note relativo all’applicazione dell’articolo 7 del trattato di Rapallo a favore dei cittadini italiani in Dalmazia. Rybar e Antonijevic! dichiararono di essere pronti ad applicare la convenzione sulle minoranze ai cittadini italiani, mentre cercarono di contestare i tentativi di Salata di rendere l’articolo VII di Rapallo valido anche per gli italiani di Veglia, isola appartenente amministrativamente all’Istria fino al 1918. I delegati jugoslavi dichiarano di non essere autorizzati ad applicare le norme dell’art. 7 anche all’isola di Veglia. […] Rilevano però che l’articolo 7 ha sollevato aspre critiche in Jugoslavia e l’applicazione chiesta per Veglia potrebbe ribadire l’opinione che l’art. 7 sancisca per gli italiani dei veri e propri privilegi. S.E. Salata fa tuttavia osservare che, ove a Rapallo si fosse esplicitamente richiesto di estendere anche agli italiani di Veglia il trattamento deciso per tutti gli altri italiani della Dalmazia, nulla vi si poteva opporre; trattasi in sostanza di una casuale omissione ad ovviare alla quale basterebbe tener conto che il nucleo italiano di Veglia è di gran lunga maggiore di numero di altri sparsi per la Dalmazia396. In generale i delegati iugoslavi mostrarono buona volontà e disponibilità verso le richieste di Salata, miranti a tutelare adeguatamente i diritti linguistici e culturali dei dalmati italiani, pur dichiarandosi 5) Esercizio di professioni arti ed industrie da parte degli optanti. 6) Uso della lingua italiana negli uffici e nella pubblica vita. 7) Riconoscimento della legale esistenza di istituzioni italiane disciolte o soppresse dall’Austria dopo lo scoppio della guerra. 8) Scuole italiane in Dalmazia, possibilmente nella forma di scuole di Stato italiane. La relativa pratica dovrebbe essere pertrattata dalla commissione che si occuperà delle garanzie a favore delle minoranze italiane, e non già dalla Commissione culturale, che parte da criteri di reciprocità che qui non cadono in considerazione. 9) Garanzie per la libertà del culto cattolico a rito latino e per le pratiche religiose nella propria lingua per gli italiani della Dalmazia. 10) Compartecipazione alla protezione italiana in Dalmazia di tutti gli italiani indigeni per la durata del periodo di opzione e, dopo decorso tale periodo, anche degli italiani cittadini dello Stato S.H.S. in quanto trattisi di far rispettato il trattato sulle garanzie delle minoranze accettato dallo Stato S.H.S. con dichiarazione di Parigi 5 dicembre 1919 di fronte le grandi potenze, tra cui l’Italia. 11) Non riuscendo di definire tutte le suesposte questioni fino alla imminente decorrenza del termine di opzione (due febbraio 1922) necessità di accordarsi collo Stato S.H.S. per stabilire un prolungamento di questo termine». 396 ASMAE, Carte Salata, b. 206, Verbali riunione 25 aprile 1921. 314 LUCIANO MONZALI spesso privi delle necessarie autorizzazioni per prendere impegni vincolanti. Rybar cercò di collegare e far dipendere il trattamento della minoranza italiana in Dalmazia a quello delle popolazioni croate, slovene e serbe in Venezia Giulia e Dalmazia, scontrandosi con l’opposizione di Salata ad una discussione su tali premesse397. Nella riunione del 26 aprile le due delegazioni affrontarono il problema dell’esecuzione dell’articolo II del trattato di Rapallo, relativo alla conclusione di una convenzione circa Zara e ai rapporti fra il territorio dalmata annesso all’Italia e il resto della Dalmazia398. Salata avanzò varie rivendicazioni (dalla richiesta di una piccola modifica confinaria, alla libertà di circolazione dei proprietari zaratini e alla loro tutela di fronte alla riforma agraria iugoslava, alla domanda di una ridefinizione dei confini delle diocesi dalmate in concordanza con i nuovi assetti politici) senza però ottenere niente di definitivo, stante la resistenza iugoslava. La riunione, quindi, si concluse con la decisione di attendere l’arrivo a Roma di un esperto dalmata iugoslavo e «la risposta del Governo di Belgrado alle proposte telegraficamente già trasmessegli dopo la seduta di ieri e da trasmettergli dopo quella odierna»399. Nei giorni successivi, l’attenzione della stampa italiana, in piena campagna elettorale, a vari incidenti e questioni esistenti nelle relazioni italo-iugoslave (problema degli avvocati italiani a Spalato, la chiamata alla leva militare iugoslava per gli italiani dalmati in attesa dell’opzione, difficoltà nei traffici fra Zara e il circondario) aumentò la tensione politica. La Consulta chiese a Manzoni di fare pressioni sul governo di Belgrado perché questo desse d’urgenza le istruzioni e le autorizzazioni ai suoi delegati per poter concludere positivamente i negoziati sulle questioni dalmatiche. Il ritardo nella soluzione di questi problemi poteva arrecare gravi danni alle relazioni fra i due Paesi400. Dopo le sollecitazioni italiane, i negoziati sulla Dalmazia ripresero a Roma il 6 maggio. Rybar condusse la delegazione iugoslava con l’assistenza del politico dalmata croato Metlic#ic!, mentre Salata fu coadiuvato da Krekich. All’inizio della riunione, però, Rybar comunicò di aver ricevuto da Belgrado l’autorizzazione a trattare solo le questioni relative al passato stato di cose (la ripartizione dei beni amministrativi e pubblici del Comune di Zara e della Provincia, ecc.), ma di non 397 Ibidem. 398 ASMAE, Carte Salata, b. 206, Verbali riunione 26 aprile 1921. Ibidem. 400 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Saluzzo a Manzoni, 2 maggio 1921. 399 IL TRATTATO DI RAPALLO 315 potere affrontare l’applicazione del trattato di Rapallo401. Chiaramente il governo di Belgrado, prima di fare nuove concessioni all’Italia, voleva il completo sgombero della Dalmazia occupata. La decisione del governo iugoslavo sembrò bloccare ogni negoziato e provocò l’irritazione di Contarini, segretario generale della Consulta, che seguiva in prima persona le relazioni italo-iugoslave. Lo stesso 6 maggio Contarini inviò un telegramma a Manzoni dandogli l’istruzione di convincere Belgrado a trattare urgentemente le questioni politiche ed economiche concernenti Zara e gli italiani della Dalmazia: […] Dobbiamo rinnovare nostra insistenza per immediata risoluzione questioni che hanno ripercussione politica e dalle quali soltanto può dipendere miglioramento atmosfera politica per ripresa sgombero. V.S. vorrà perciò ottenere che siano date a questi Delegati jugoslavi sollecite precise istruzioni raccomandando in modo particolare accettazione nostre proposte circa tutela minoranze, circa correzione linea confine Zara, circa zona franca doganale Commissione studi per congiunzione ferroviaria nonché per mantenimento statu quo riguardo rapporti economici cabotaggio pesca sino a conclusione trattato commercio navigazione. Ogni ritardo viene ormai in questi ambienti politici interpretato come segno di malvolere che solo un positivo accordo può eliminare con vantaggio comune402. Manzoni condusse lunghe conversazioni con i vertici del Ministero degli Esteri iugoslavo, insistendo sulla necessità di risolvere rapidamente ed in modo congiunto le questioni relative a Fiume – che venivano trattate da Quartieri e dalla Commissione di delimitazione confinaria fiumana – e alla Dalmazia. La risposta iugoslava fu interlocutoria. Riguardo a Fiume, il governo di Belgrado riteneva opportuno ritardare una soluzione a dopo le elezioni italiane. Circa le richieste italiane su Zara e sulla Dalmazia (garanzie per le minoranze, rettifica del confine zaratino, creazione di una zona franca intorno a Zara, studio di un collegamento ferroviario Zara-Knin), esse sarebbero state esaminate dal Consiglio dei ministri iugoslavo. L’impressione di Manzoni fu che a Belgrado si volesse «trascinare le cose»403. Intanto a Roma proseguirono le trattative fra Salata e Rybar, con il raggiungimento di 401 ASMAE, Carte Salata, b. 206, Verbali riunione 6 maggio 1921. ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Contarini a Manzoni, 6 maggio 1921. La minuta di questo telegramma di Contarini in ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1306. 403 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Manzoni a Ministero degli Esteri, 7 maggio 1921, tel. n. 250 e 251. 402 316 LUCIANO MONZALI un provvisorio accordo sulle questioni amministrative concernenti Zara (riparto del debito pubblico della Giunta provinciale dalmata, suddivisione dei beni immobili, ecc.) il 7 maggio404. Il giorno successivo Salata e Rybar trovarono un’intesa sulle norme che avrebbero regolato l’esercizio del diritto di opzione degli italiani in Dalmazia e degli iugoslavi in Venezia Giulia405. Dalla delegazione iugoslava venne sostanzialmente accettata la proposta di Salata, secondo il quale, in Dalmazia «chi voglia esercitare il diritto d’opzione presenterà la dichiarazione all’Ufficio Consolare italiano competente per territorio, il quale, raccolte le necessarie informazioni, farà le opportune proposte al Ministero degli Affari Esteri; la dichiarazione di accettazione emessa dal Ministero dell’Interno, di concerto con quello degli Esteri, equivarrà al definitivo conferimento della cittadinanza italiana e sarà comunicata in via diplomatica al Governo S.H.S., che dovrà prenderne atto e darvi esecuzione per quanto gli spetti»406. Non fu possibile invece proseguire le trattative sulle questioni politiche ed economiche relative a Zara e alla Dalmazia. Nonostante le insistenze di Manzoni, il governo di Belgrado si rifiutò d’inviare istruzioni ad Antonijevic! a tale riguardo, invocando vari pretesti per procrastinare tale atto407. L’11 maggio Manzoni parlò con un membro del governo iugoslavo408 (il ministro degli Interni Dras#kovic!)409 definito simpatizzante per l’Italia. Mi ha detto – Manzoni riferì a Roma – loro grandi difficoltà vengono dai croati. Croati sono estremamente diffidenti ostili Italia. Dicono Italia sleale insincera […] ed accusano Belgrado di debolezza. […] Le difficoltà che questa grande minoranza crea al Governo jugoslavo, egli mi disse, sono immensamente maggiori di quelle che piccola minoranza nazionalista crea Governo italiano. Egli ha concluso dichiarando che il Governo di Belgrado potrà sormontare difficoltà croate soltanto provando ai croati coi fatti compiuti che sono nell’errore. Mi ha lasciato capire che qui si è nell’impossibilità di cedere410. 404 ASMAE, Carte Salata, b. 206, Verbali riunione 7 maggio 1921; ibidem, Contarini a Manzoni, 7 maggio 1921. 405 ASMAE, AP 1919-1930 Jugoslavia, b. 1306, Sforza a Manzoni, 8 maggio 1921; ASMAE, Carte Salata, b. 206, Verbali riunione 8 maggio 1921. 406 Verbali riunione 8 maggio 1921, cit. 407 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Manzoni a Ministero degli Esteri, 10 maggio 1921. 408 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Manzoni a Ministero degli Esteri, 11 maggio 1921. 409 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Manzoni a Ministero degli Esteri, 22 maggio 1921. 410 Manzoni a Ministero degli Esteri, 11 maggio 1921, cit. IL TRATTATO DI RAPALLO 317 In quei giorni, in una lettera personale a Contarini, Manzoni si mostrò molto critico verso l’azione della Consulta, a suo avviso, troppo timorosa e debole. Per il ministro plenipotenziario a Belgrado il governo italiano non aveva applicato in maniera del tutto corretta il trattato di Rapallo. Avrete avuto le migliori ragioni di agire come avete fatto: ma, oggi, il Trattato di Rapallo va verso la via non dei buoni ma dei cattivi rapporti. Chi vuole il fine deve volere i mezzi: se per far trionfare lo spirito del Trattato era necessario rischiare le modalità di esecuzione, affidandosi alle parole di questi qui che volevano prima l’evacuazione completa, assicurando che dopo avrebbero regolato tutto, bisognava farlo; aver pazienza se pochi italiani (forse non i più da prender in considerazione) soffrivano. Era la via da seguire: quella che avrebbe salvata l’italianità passata e futura nella Dalmazia; quella che avrebbe completata la parola del Trattato, ed era da seguirsi salvando il salvabile ed aiutando i nostri il più possibile, per mostrar loro che non erano abbandonati411. I negoziati italo-iugoslavi si sbloccarono solo dopo lo svolgimento delle elezioni parlamentari italiane. Per rafforzare la fiducia della controparte iugoslava, le trattative su Fiume e sulla Dalmazia vennero spostate a Belgrado. Grazie all’intervento di Momchilo Nincich/ Nincic!, uomo di fiducia di Pas#ic!, il governo di Belgrado accettò la ripresa delle conversazioni, incentrate sull’idea di uno scambio fra la soluzione della questione del porto e dei confini di Fiume e la promessa italiana di ritirarsi dalla seconda zona dalmata412. La delegazione italiana fu guidata da Manzoni e Quartieri, quella iugoslava da Tihomir Popovic!. Il negoziato a Belgrado ebbe un esito positivo. Alla fine di maggio venne raggiunto un accordo secondo il quale, una volta costituitosi un esecutivo legale fiumano, sarebbero iniziate conversazioni fra i governi di Belgrado, Roma e Fiume per la conclusione di un’intesa sullo sfruttamento e uso dei porti di Fiume, Susak/Sus#ak e delle loro dipendenze, il cui contenuto, però, era già stato concordato fra italiani e iugoslavi. Si prevedeva la costituzione di un consorzio italo-iugoslavo-fiumano per lo sfruttamento comune delle strutture portuali e ferroviarie di Fiume e Porto Baros. Ma l’entrata in vigore dell’accordo sul consorzio era condizionata dalla richiesta che l’Italia 411 ASMAE, 412 GAB 1923-43, AF, b. 9, Manzoni a Contarini, 9 maggio 1921. Manzoni a Ministero degli Esteri, 22 maggio 1921, cit. 318 LUCIANO MONZALI adempisse pienamente al trattato di Rapallo: «era […] stabilito che se a un mese dalla firma dell’accordo non si fosse costituito il governo legale a Fiume, e non si fosse provveduto alla consegna dei territori di spettanza allo Stato di Fiume ed alla Jugoslavia (ciò che voleva dire l’evacuazione della seconda e della terza zona dalmata, e dell’intero settore di Fiume), esso non avrebbe più avuto alcun valore»413. Avvicinandosi la conclusione delle trattative, Sforza cercò di convincere gli iugoslavi a concedere qualcosa riguardo alla tutela degli italiani di Dalmazia. Il 28 maggio il ministro scrisse a Manzoni chiedendo che fossero risolte alcune questioni relative ai dalmati italiani: il riconoscimento del valore del trattato per le minoranze anche per gli italiani di Dalmazia, la validità dell’articolo VII per gli italiani di Veglia, la tutela della libertà scolastica per le collettività italiane e la possibilità di svolgere certe professioni per alcuni esponenti della minoranza414. Sforza, poi, chiese concessioni economiche per Zara. Riguardo esecuzione art. 2 Trattato di Rapallo concernente Zara devesi insistere su ritocchi frontiere secondo schizzi topografici che Rybar dichiarò di aver trasmesso a Belgrado. Trattasi di lievi correzioni per Zara essenziali ma senza neppur un solo abitante. Anche più devesi insistere su zona franca attorno Zara parallela a quella già decretata da noi per nostro territorio zaratino. […] Importanza essenziale come impressione politica avrebbe per noi richiesta adesione studi e progetti per congiunzione ferroviaria Zara-Knin con nomina immediata commissione studi interstatale415. Quartieri e Manzoni presentarono le richieste di Sforza ai negoziatori di Belgrado ma si scontrarono con la resistenza del governo iugoslavo, ostile ad ogni proposta di nuova modifica territoriale in Dalmazia. Gli iugoslavi accettarono l’idea d’istituire una zona franca per circa 15 chilometri limitatamente a merci, vettovaglie e a condizione di reciprocità anche per altri tratti di frontiera. Circa i problemi del cabotaggio, della pesca e del congiungimento ferroviario si preferiva rinviare ogni decisione alla Conferenza economica italo-iugoslava416. Il 1° giugno Quartieri e Manzoni scrissero a Sforza che il lavoro di redazione del processo verbale che avrebbe contenuto gli ac413 MASSAGRANDE, op. cit., pp. 38-39. 414 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Sforza a Manzoni, 28 maggio 1921. Ibidem. 416 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Quartieri e Manzoni a Sforza, 29 e 31 maggio 1921, tel. nn. 293, 304, 305. 415 IL TRATTATO DI RAPALLO 319 cordi presi su Fiume era in corso. Il governo iugoslavo, però, contava di ricevere prima della firma «almeno annunzio inizio evacuazione seconda zona Dalmazia»417. Il 2 il processo verbale contenente l’accordo sul consorzio di Fiume fu sottoscritto da Manzoni e Quartieri, il quale si recò a Roma per sottoporlo alla firma di Sforza e Giolitti. In una lettera a Sforza, Manzoni spiegò che l’accordo sarebbe diventato valido «il giorno in cui sarà cominciata l’evacuazione della seconda zona dalmata». Il governo di Belgrado si era rifiutato di firmare nuovi accordi sulla Dalmazia prima dell’evacuazione italiana, ma aveva fatto alcune promesse verbali. Nelle conversazioni avute non ci fu parlato della Venezia Giulia; e noi trovammo opportuno lasciar da parte quel settore. Spero approverai. Fu parlato invece della Dalmazia e di Zara prendendo accordi verbali per la soluzione di alcune questioni (per es.: la zona franca, gli avvocati di Spalato, la possibile tolleranza dello stato di fatto circa la pesca e la navigazione a Zara in attesa decisioni d’ordine generale) che iniziandosi l’evacuazione della seconda zona, e completandosi poi con il rimanente territorio, io mi affido di poter far praticamente eseguire sempre che abbia la tua guida e quella di S.E. il Presidente. Il Popovich, che anche in questa faccenda si è mostrato l’uomo di fiducia del Pasich, non ha voluto, sempre per le esigenze della situazione coi Croati, assumere impegni scritti ma ha dato a me alla presenza di Quartieri ampi affidamenti verbali specificando cosa gli era indispensabile per dare ad essi valore pratico. Quartieri te lo dirà. Tu e S.E. il Presidente deciderete418. Ricevute le comunicazioni da Belgrado, dopo probabili consultazioni con Quartieri e Giolitti, Sforza avvisò Salata di dare l’ordine per lo sgombero immediato per la seconda zona dalmata419. La sera del 3 giugno Sforza scrisse alla Legazione italiana a Belgrado: «È stato tosto telegrafato Zara per sgombero seconda zona Dalmazia»420. Al fine di facilitare la soluzione circa l’assetto dello Stato libero di Fiume e di porto Baros, quindi, il governo italiano decise di fare un gesto amichevole e di distensione verso Belgrado, accelerando l’evacuazione dalla seconda zona della Dalmazia. È quanto spiegò Contarini al console Rocco il 7 giugno: il governo aveva dovuto «per ragioni 417 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 12, Quartieri e Manzoni a Sforza, 1° giugno 1921. GAB 1923-43, AF, b. 9, Manzoni a Sforza, 2 giugno 1921. 419 Appunto su tel. Quartieri e Manzoni a Sforza, 1° giugno 1921, cit. 420 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 12, Sforza a Legazione italiana a Belgrado, 3 giugno 1921. 418 ASMAE, 320 LUCIANO MONZALI patriottiche» subordinare i problemi dalmatici alla «soluzione problema Fiume che altrimenti sarebbe stata irreparabilmente perduta»421. L’accordo sul consorzio portuale di Fiume fu poi firmato formalmente, dopo l’evacuazione della seconda zona dalmata, il 15 giugno. Per Sforza la creazione di un’intima e stretta collaborazione politica fra Italia e Iugoslavia era un elemento fondamentale per l’affermazione dell’influenza italiana nei Balcani. Da qui l’urgenza di dare una rapida applicazione al trattato di Rapallo per rafforzare la fiducia degli ambienti politici iugoslavi nell’amicizia dell’Italia. Nell’ottica di Sforza, il problema della tutela dei diritti degli italiani rimasti nella Dalmazia iugoslava era un elemento secondario dell’azione internazionale dell’Italia. Il ministro degli Esteri, in fondo, era convinto che la creazione di rapporti amichevoli fra Roma e Belgrado avrebbe portato ad un miglioramento delle condizioni di vita delle minoranze, senza il bisogno di nuovi accordi specifici al riguardo. Egli, poi, credeva che l’appartenenza di Zara all’Italia, in ogni caso, garantisse la sopravvivenza dell’italianità dalmatica. 3.8. L’evacuazione della seconda zona dalmata e l’esodo italiano da Sebenico Per eseguire le direttive del governo, il 5 giugno la delegazione italiana per la delimitazione dei confini della Dalmazia, composta dal generale Barbarich, da Bonfanti e da Krekich, si riunì a Zara422. Essa concordò con la delegazione iugoslava un incontro bilaterale a Sebenico il 7, al quale Krekich si sottrasse, per probabile dissenso con la decisione dello sgombero, recandosi a Roma. Nell’incontro a Sebenico con la delegazione iugoslava – guidata dal generale Milojevic! e accompagnata da un gruppo di funzionari alla cui testa vi era Desnica, presidente del governo provinciale dalmata – Bonfanti e Barbarich presentarono il piano di sgombero della zona di Sebenico, quale preparato dal comando militare italiano: in esso si prospettava di iniziare le operazioni di sgombero il 13 giugno e di condurle a termine non prima del 25. Di fronte alle pressioni iugoslave miranti ad accelerare i 421 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 5, Contarini a Rocco, 7 giugno 1921. 422 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, DELEGAZIONE ITALIANA PER LA DELIMITAZIONE DEI CONFINI DELLA DALMAZIA, Relazione riservata sulle effettive operazioni di sgombro della seconda zona della Dalmazia (Sebenico), 13 giugno 1921. IL TRATTATO DI RAPALLO 321 tempi del ritiro, le due delegazioni concordarono di anticipare la data dello sgombero completo della seconda zona al 23 giugno. Il giorno 8 proseguirono i colloqui; ma nelle prime ore del 9 giugno giunse alla delegazione italiana un telegramma di Sforza che comunicava la volontà del capo del governo di sgomberare la seconda zona «per l’11 corr. ed al massimo per il 12»423. La delegazione italiana propose una modifica dell’intesa concordata con gli iugoslavi. L’accordo definitivo per il ritiro dalla seconda zona della Dalmazia occupata venne stipulato la mattina del 9 giugno424. Subito dopo le due delegazioni passarono alle disposizioni esecutive del ritiro. Si stabilì di organizzare lo sgombero di Sebenico entro il 12 giugno. Il 9 giugno, alle ore 15 e 15, Sforza telegrafò anche alle autorità militari e consolari italiane presenti in Dalmazia l’ordine di anticipare la consegna dei restanti territori della seconda zona all’11 giugno, facendo partire i profughi e gli impiegati italiani successivamente425. Rocco si dimostrò sorpreso e sconcertato dall’ordine ricevuto. Per parte mia – rispose il console a Sforza – mi adopro del mio meglio per riuscita programma che produrrà inevitabilmente panico spaventoso fra profughi e funzionari che si daranno pazza fuga abbandonando masserizie come davanti invasione nemica. Cronaca della fuga sarà raccapricciante: naturalmente non posso più garantire esclusione incidenti […] mentre profughi già gridano essere stati traditi terza volta. Io resterò al mio posto cercando di riparare alla meno peggio malgrado l’assoluta perdita di prestigio per l’Italia che produce fuga precipitosa. Evacuazione profughi non potrà avvenire che parzialmente e gettandoli brutalmente sui piroscafi. Tutti i capi servizio obbediamo ordine catastrofico stretti da angoscia sulle conseguen- 423 Ibidem. Al riguardo anche MASSAGRANDE, op. cit., p. 39. L’accordo consisteva di tre semplici e brevi articoli: «Articolo 1°. Per maggiore celerità delle operazioni la cessione dei Presidi avrà luogo senza scambio di consegne. I gendarmi S.H.S. occuperanno una data località solo dopo che si saranno assicurati che essa è sgombrata dai CC.RR. italiani. Per Sebenico si stabiliranno apposite modalità. Articolo 2°. Il giorno 10, CC.RR. italiani dovranno avere sgombrato le seguenti località per l’ora per ciascuno in seguito indicata: Capocesto ore 12 Perkovic ore 17.30 Vrpolje ore 18. Articolo 3°. Si confermano gli articoli 7 e 10 della convenzione di Traù in data 20 marzo 1921» (ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 5, Accordo stipulato in Sebenico la mattina del 9 giugno 1921). 425 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 5, Sforza a Rocco, 9 giugno 1921. 424 322 LUCIANO MONZALI ze della fuga e sul modo odioso con cui si devono abbandonare questi disgraziati fratelli426. Al successivo invito del ministro degli Esteri di impegnarsi al massimo per impedire lo scoppio di incidenti, Rocco rispose affermando che gli incidenti potevano essere evitati solo se le autorità iugoslave avessero usato la massima energia nel mantenimento dell’ordine. A tal fine il console aveva deciso di evacuare prima possibile i profughi italiani più compromessi politicamente. In quanto a presunta possibilità convivenza italiani e slavi essa potrà anche essere pretesa per fini politici se ciò occorre ma non durerà che qualche giorno e sarà del tutto fittizia. Fra gli elementi di attenuazione va contata la commiserazione che desta perfino nei croati più fanatici la fuga disastrosa cui essi assistono427. La decisione di anticipare la data dello sgombero creò panico e disorientamento nella popolazione italiana di Sebenico, ancora impreparata all’esodo perché «cullatasi fino all’ultimo in vane speranze e non attendendosi un esodo così affrettato, non aveva provveduto all’imballo completo dei mobili»428. Manlio Cace, appartenente ad una famiglia italiana di Sebenico e partecipante all’esodo degli italiani dalla città, così ha ricordato posteriormente quei momenti: […] Improvvisamente la mattina del 9 viene reso noto alla popolazione in tutta urgenza, a mezzo di squadre di Carabinieri, che avevano il compito di girare la città, che l’evacuazione avrebbe avuto luogo entro due giorni, anziché il 23 come era stato preannunciato. In seguito a questa notizia la città si fa allarmatissima, anche perché, le truppe stesse venivano obbligate così ad uno sgombero umiliante e precipitoso. In 24 ore si dovettero imbarcare enormi quantità di materiale e contemporaneamente dovevano evacuare tutti quelli italiani ancora disposti all’esodo. La città era come fosse stata colpita da un improvviso cataclisma. Squadre di marinai della R. N. Napoli, girando per la città con numerosi autocarri fregiati di tricolori e manovrando per le strette calli, sostano davanti ai portoni prendono i colli, che [in] molte case, nella fretta vengono passati perfino dalle finestre. Tutte le masseri- 426 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 5, Rocco a Sforza, 9 giugno 1921. Sebenico, arc. ord., b. 5, Rocco a Sforza, 9 giugno 1921. 428 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 5, Il capo ufficio Imbarchi e Sbarchi del R. Esercito, Blanda, al Comando forze di terra e di mare della Dalmazia, 17 giugno 1921. 427 ASMAE, IL TRATTATO DI RAPALLO 323 zie portate alla banchina vengono ammucchiate intorno a pali portanti la scritta di destinazione429. La notte del 9 giugno iniziarono le operazioni d’imbarco che durarono per tre giorni. Vennero fatti confluire a Sebenico 4 piroscafi: il Liburnia, il Fram e il Trieste caricarono le persone e le masserizie destinate a Lussino, Fiume, Abbazia, Pola, Zara e Trieste, mentre il Bengasi imbarcò gli esuli destinati a recarsi ad Ancona. Il totale delle persone imbarcate – riferì il maggiore Blanda – risultò di 663 persone, quello dei colli di 3014. Le partenze avvennero il giorno 12 nelle ore sotto indicate: «Trieste» alle ore 8,30 con 298 persone, 1949 colli; «Liburnia» alle ore 9 con 156 persone, 193 colli; «Fram» alle ore 12 con 35 persone, 491 colli; «Bengasi» alle ore 18 con 153 persone, 391 colli430. Lo sgombero delle truppe e la partenza di gran parte della popolazione italiana di Sebenico avvenne senza incidenti. La delegazione per la delimitazione dei confini della Dalmazia così descrisse lo sgombero italiano da Sebenico e l’atteggiamento delle autorità iugoslave: Al tramonto dell’11 venne ammainata, con gli onori militari, la bandiera presso il Comando delle Forze di Terra e di Mare di Sebenico. Il 12 salpavano, successivamente con 5 piroscafi la popolazione civile, il convoglio dei trasporti militari, il Comando delle Forze di Terra e di Mare della Dalmazia, e dopo avere assistito alla consegna della città alle autorità militari S.H.S. anche la Delegazione italiana, a bordo dello Zara, alle ore 19, 45, il porto di Sebenico per trasferirsi a Zara, là dove giungeva nella notte sul 13. […] Le operazioni tutte dello sgombro, iniziatesi da prima in un ambiente locale di rigidezza dovuto ad ordini precedentemente impartiti […] trovarono da ultimo prestazione volenterosa e continua da parte di tutte le autorità locali. […] Quanto poi alla Delegazione S.H.S. è pure doveroso segnalare l’incondizionato appoggio da essa dato ai nostri lavori; il desiderio di accelerarli nella persuasione di corrispondere a comunanza di interessi, ed identità di buone intese, fondate sulla leale comprensione di esse431. 429 MANLIO CACE, Pagine ignorate della storia di Sebenico, «La Rivista Dalmatica», 1964, estratto. 430 Ibidem. Un preciso elenco dei nominativi delle persone che lasciarono Sebenico nel giugno 1921 è conservato in ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 5. 431 DELEGAZIONE ITALIANA PER LA DELIMITAZIONE DEI CONFINI DELLA DALMAZIA, Relazione, 13 giugno 1921, cit. 324 LUCIANO MONZALI L’affrettata consegna della seconda zona dalmata al governo iugoslavo e la conseguente drammatica partenza della grande maggioranza degli italiani autoctoni inflissero un colpo durissimo alla comunità italiana di Sebenico, che nel giro di pochi giorni si ridusse da oltre un migliaio di persone a circa duecento, in gran parte anziani e pensionati432. 432 A parere di De Angelis, successore di Rocco al consolato di Sebenico, l’esodo italiano da Sebenico era stato un evento sbagliato ed inopportuno, al quale lo stesso governo di Roma aveva contribuito con alcune scelte erronee: «Nella regione di Sebenico, e, in genere nella zona occupata dopo l’armistizio dal R° Esercito, il Trattato di Rapallo ha troncato, più crudemente che nelle altre regioni della Dalmazia, le aspirazioni e, forse, le illusioni dei dalmati italiani. Due anni di convivenza con l’Italia, dopo decenni di lotte nazionali, avevano dato a questi la sensazione che le aspirazioni aderivano ormai alla realtà. Il disinganno ha portato lo scompiglio morale; e la crisi morale ha favorito il propagarsi, per rapidissimo contagio, di un panico a cui quasi nessuno si è sottratto. All’indomani di Rapallo lo stato d’animo favorevole all’esodo in massa dalla Dalmazia si era già prodotto, era completo, nella formula “non potremo essere servi in casa nostra”. Alle delegazioni dalmate che rifecero subito la via di Roma per chiedere l’impegno concreto e specifico delle garanzie che il Trattato conteneva in germe, il R° Governo non potè, già da quel momento, definire i limiti, il contenuto e la forza di quelle garanzie. I delegati tornarono, allora, più che mai inclini all’esodo, nonostante la fiera ammonizione di qualche illustre uomo politico che avrebbe voluto “legare con le catene gli Italiani alla Dalmazia”. Tale fu, dirò così, il precedente psicologico. Nonostante l’enorme importanza del fattore psicologico, l’esodo non sarebbe stato tuttavia così largo, e forse l’emigrazione di parecchi non avrebbe nemmeno assunto la fisionomia di esodo, se altre cause di ordine materiale non fossero sopraggiunte. Il senso di pietà verso i fratelli lasciati fuori della famiglia italiana, e il proposito di alleviarne almeno i disagi materiali, indusse il R° Governo a concedere e a promettere ai profughi facilitazioni larghissime, soprattutto: 1) la gratuità più completa ed assoluta per il trasporto delle persone e delle mobilie, 2) il cambio delle corone austriache. Queste due concessioni hanno, di fatto, operato come un vero e proprio “premio all’esodo”, e, si può ben dire, furono esse a vuotare le regioni dalmate dell’elemento italiano. Da Sebenico, su circa quattrocento famiglie, forse 380 hanno emigrato; dalle Curzolane l’esodo ha toccato il 60% della popolazione italiana. È inutile ora recriminare. È inutile dire che la crisi morale che portò all’esodo avrebbe dovuta essere contenuta invece che secondata; inutile considerare che i molti milioni spesi nelle anzidette facilitazioni ai profughi avrebbero potuto essere impiegati a rafforzare la possibilità di vita degli italiani in questa zona della Dalmazia, ed a servire, quindi, unitamente col vero interesse dei singoli, un superiore interesse nazionale. Oggi i più dei profughi fanno nel Regno “i profughi”, sono cioè spostati; moltissimi vivono col sussidio delle pubbliche amministrazioni. Mentre le posizioni economiche abbandonate qui non avrebbero mai potuto esser distrutte d’un colpo, per l’intervento della sovranità S.C.S, come a torto si temé, soprattutto a Sebenico, dove la collettività italiana rappresentava l’élite cittadina, da cui nessun governo avrebbe potuto prescindere, e decine di famiglie emigrate avevano anche con la popolazione croata saldi vincoli di tradizione e di riconoscenza. L’esodo in massa stupì anche questi dirigenti croati, i quali finirono col sospettare che fosse il Governo d’Italia a provocarlo intenzionalmente, allo scopo d’impressionare il mondo, con la dimostrazione di una fuga collettiva che avrebbe dovuto avere del tragico! L’esodo, dunque non fu un fatto necessario: fu un errore e un fenomeno artifizioso» (ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 2, DE ANGELIS, Per una ricostruzione dell’italianità nel Distretto di Sebenico, 5 ottobre 1921, allegato De Angelis al Ministero degli Affari Esteri, 8 ottobre 1921). IL TRATTATO DI RAPALLO 325 Nelle settimane successive all’esodo da Sebenico continuarono le partenze di molti italiani dalla Dalmazia settentrionale e dalla regione di Spalato. A parere del console a Spalato, Amadori, le partenze d’italiani dal distretto spalatino non erano dovute alla situazione politica, ma alla disoccupazione esistente nella regione e al desiderio di miglioramento economico: queste ragioni spingevano a partire anche elementi slavi, mescolati agli italiani e «difficilmente individualizzabili da questo Consolato». Questi profughi «economici» si dirigevano soprattutto a Trieste e in Venezia Giulia, andando ad aggravare i problemi dell’accoglienza per i profughi politici, molti dei quali senza alloggio e senza lavoro. Per bloccare questo afflusso di persone da Spalato il console invocò la sospensione provvisoria delle agevolazioni di viaggio e trasporto per i profughi433. Tranne casi speciali questi operai partenti non possono essere considerati profughi ma emigranti. Alcuni approfittando gratuità viaggio partono a titolo tentativo. Risultami che alcuni nazionali già partiti hanno fatto ritorno. Sospensione facilitazioni viaggio è suggerita non solo nello interesse singole persone ma anche nello interesse Italianità che domanda permanenza Italiani in Dalmazia434. Il flusso di profughi da Spalato, Sebenico e dalle isole continuò per alcuni mesi. Pure a parere del successore di Amadori, Umiltà, molte partenze di nazionali italiani dalla zona di Spalato non erano giustificate «da ragioni politiche né da persecuzioni da parte elementi croati ma da crisi lavoro che colpisce italiani et croati»435. La concessione di sussidi per il viaggio e il trasporto di mobili aveva invogliato molta gente ad espatriare. Nel corso del 1921, quindi, per ragioni politiche ed economiche le comunità italiane della Dalmazia centrale conobbero un indebolimento numerico, quantificabile in varie centinaia di persone, che decisero di abbandonare la Dalmazia e di trasferirsi in Italia, in fuga da un regime iugoslavo ostile agli italiani autoctoni e dalla crisi economica che colpiva duramente la regione436. 433 ASMAE, Spalato, b. 18, Amadori a Ministero degli Esteri, 24 giugno 1921. Spalato, b. 18, Amadori a Ministero degli Esteri, 25 giugno 1921. 435 ASMAE, Spalato, b. 18, Umiltà al Commissariato civile di Zara e a quello di Trieste, 12 agosto 1921. 436 Queste sono le stime che il console italiano a Spalato, Umiltà, fece riguardo le partenze di dalmati italiani e italofili dalla Dalmazia fra il 1919 e il 1923: «Sono partite dalla 434 ASMAE, 326 LUCIANO MONZALI 3.9. Le polemiche sulla Dalmazia e la caduta del governo GiolittiSforza L’evacuazione della prima e della seconda zona, decisa dal governo Giolitti senza aver ottenuto nuove garanzie per i diritti della minoranza italiana, e l’esodo di una parte rilevante degli italiani dalla Dalmazia settentrionale e centrale, diffusero sgomento e preoccupazione fra i dalmati italiani. In molti sorse una forte diffidenza verso l’azione e le promesse del governo di Roma, accusato di sacrificare gli interessi della minoranza alla ragione di Stato. Già in una lettera dell’aprile 1921 Tacconi, Pezzoli, Illich e Selem denunciarono che, mentre il governo di Roma aveva molta fretta di ritirarsi dalla Dalmazia occupata, «non apparisce il menomo sintomo che da parte italiana si trovi il modo di compensare tale straordinaria fretta di abbandono con almeno contemporanea trattazione di quelle garanzie, già promesse agli italiani della Dalmazia e che in qualche modo doveva assicurar loro la possibilità di restare sotto il nuovo dominio o quanto meno di essere in chiaro riguardo la situazione che sarebbe loro creata per poter prendere le necessarie deliberazioni riguardo al proprio destino»437. La stessa questione degli avvocati italiani in Dalmazia, che metteva in gioco i destini dei principali capi dalmati italiani, in gran parte avvocati residenti in Iugoslavia, con la sensazione di questi di ricevere scarso sostegno a tale riguardo da parte di Roma, contribuì ad esacerbare i rapporti con il governo Giolitti-Sforza nella primavera del 1921. Sforza e Giolitti, che ritenevano il rafforzamento dei rapporti con Belgrado un elemento primario della politica estera italiana e consideravano il problema di Fiume più importante di quello dalmata nel 1921, cominciarono a rivolgere meno attenzione alle posizioni dei capi dalmati italiani, giudicati troppo intransigenti, non attenti all’interesse generale dello Stato e, in fondo, anche dopo Rapallo, ostili all’esistenza di uno Stato iugoslavo. Manifestazione di questa crescente tensione fra i capi della città di Spalato, dal 1919 ad oggi, 450 famiglie, con circa 1700 persone; da Cittavecchia 30 famiglie per circa 115 persone; da Traù famiglie 35 per oltre 130 persone; da Lissa 37 famiglie per 140 persone; da Lesina 80 famiglie per circa 300 persone. Dalla isola di Brazza, dalla città di Sign, da Macarsca e da qualche altra cittadina o villaggio compresi nella giurisdizione di questo Consolato, sono partite circa altre 50 famiglie per oltre 200 persone» (ASMAE, AP 1919-30, b. 1310, Umiltà a Legazione italiana a Belgrado e al Ministero degli Esteri, 5 giugno 1923). 437 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 13, Pezzoli e Tacconi a anonimo (probabilmente Salata), 12 aprile 1921. IL TRATTATO DI RAPALLO 327 minoranza italiana e il governo Giolitti fu il forte scontro politico che sorse a Spalato fra il console Giovanni Amadori, fedele esecutore delle direttive di Sforza, e i leader degli italiani spalatini, che lo accusarono d’insensibilità verso gli interessi dell’italianità autoctona e di eccessiva accondiscendenza verso il potere iugoslavo, accuse che furono rivolte anche a Manzoni in quei mesi438. Abbastanza indicativo di come parte della diplomazia italiana vedesse la classe dirigente dalmata fu un lungo rapporto di Amadori del giugno 1921439. Il console delineò un duro ritratto dei capi del partito italiano spalatino, a suo avviso favorevoli ad una politica di scontro intransigente con lo Stato iugoslavo perché troppo legati al retaggio delle lotte nazionali locali e per interessi di potere personale. A parere di Amadori, per comprendere la situazione politica a Spalato occorreva percepire alcune specificità della società dalmata. Nella Dalmazia delle città vi erano e vi sono ancora poderosi elementi per formare una nazionalità italiana, come ve ne sono per formare una nazionalità slava. Ma più che veri e propri gruppi nazionali noi abbiamo partiti politici. Così si spiega come nelle famiglie vi sia un figlio del partito italiano ed uno del partito croato. Così si spiega come la famiglia Tartaglia sia diventata del partito croato perché Bajamonti, quale Podestà italiano, aveva fatto costruire di fronte alla casa Tartaglia un’altra casa togliendo alla prima parte del suo specchio di luce. La Dalmazia delle città e del mare non ha mai subìto un vero processo storico di nazionalizzazione; non è mai storicamente stata legata ad uno Stato-Nazione. Perciò la psicologia nazionale dalmatica è allo stadio, direi, levantino. Da ciò, più partito che nazionalità. Da ciò il fatto che un ebreo ed un armeno sono dei capi italiani di Spalato. Da ciò anche tutta la psicologia di partito. Intransigenza, acrimonia, irreducibilità, inadattabilità, intolleranza440. Secondo il console, il partito italiano dalmata aveva visto nella guerra e nell’occupazione italiana della Dalmazia l’occasione per riconquistare l’egemonia politica nella regione. Da qui una crescente intransigenza politica verso gli iugoslavi, sostenuta dai vertici militari e politici italiani presenti nella regione, con l’obiettivo della futura annessione della Dalmazia all’Italia. Svanita tale possibilità a Rapallo, 438 Si veda ad esempio: ANTONIO CIPPICO, Documenti inediti, «Politica», 1921, vol. IX, f. 25, pp. 61-66. 439 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 12, Amadori a Ministero degli Esteri, 2 giugno 1921. 440 Ibidem. 328 LUCIANO MONZALI i capi italiani continuavano in una politica di scontro totale con serbi e croati, che, però, non aveva più senso. Il partito italiano dalmata invece di ispirarsi agli interessi superiori italiani, continua a lasciarsi guidare dal suo stato d’animo e dalla sua intransigenza egoistica di partito. Quindi mette in essere ogni sforzo per ritardare ed impedire possibilmente l’esecuzione del Trattato di Rapallo. Esagerando le difficoltà inevitabili in cui l’elemento italiano viene a trovarsi, ma difficoltà che si potrebbero in gran parte superare con una politica di attenuazione, prendendo a pretesto e servendosi di situazioni interne nostre e della situazione internazionale tra Belgrado e Roma, esso cerca sempre di rigiuocare la partita definitiva non volendo riconoscere definitivo il Trattato di Rapallo441. Amadori riteneva fondamentale favorire il mutamento d’orientamento del partito italiano attraverso un’azione del consolato che facilitasse l’ascesa politica di elementi moderati, maggiormente disposti a tenere conto delle direttive del governo di Roma. Il console, poi, desiderava rendere i rapporti con le autorità iugoslave molto cordiali, convincendoli che l’Italia non aveva più mire espansionistiche in Dalmazia. Da qui, ad esempio, il suo sostegno alla richiesta iugoslava di ritiro della nave Puglia dal porto di Spalato, gesto che serviva a chiudere la fase dello scontro politico e nazionale nell’Adriatico orientale. Insoddisfatti del comportamento di Amadori, di Manzoni e della diplomazia italiana, gli italiani della Dalmazia iugoslava cominciarono a usare la stampa ostile al governo Giolitti per fare sentire le proprie ragioni a Roma. Il 1° giugno sull’«Idea Nazionale» comparve un duro attacco contro Amadori, chiaramente ispirato da ambienti italiani spalatini. Il giornale nazionalista protestò contro la partenza della Puglia da Spalato, di cui accusavano come ispiratore Amadori, definito «noto rinunciatore, noto per i suoi solinquamenti jugoslavofili»442. La tensione fra Amadori e i capi italiani di Spalato esplose in modo ancora più violento quando il console decise di esporre sul consolato la bandiera iugoslava insieme a quella italiana in occasione di una festività locale. Tale atto fu interpretato dai capi del Fascio Nazionale Italiano di Spalato come segno di servilismo verso lo Stato iugoslavo. Il fatto – ricordò Carlo Umiltà – addirittura nuovo di un Consolato este- 441 442 Ibidem. «L’Idea Nazionale», 1° giugno 1921, La “Puglia” ha lasciato Spalato. IL TRATTATO DI RAPALLO 329 ro che mette anche la bandiera dello Stato dove risiede, diede ai nervi agli italiani di Spalato; le loro proteste arrivarono fino a Roma; alla Camera ci furono due o tre interpellanze al riguardo. Il Ministro Sforza e lo stesso Presidente del Consiglio, Giolitti, cercarono di spiegare la cosa come un eccesso di zelo del Console Generale; ma i deputati interpellanti non si chetarono443. Nel corso del mese di giugno le critiche dei capi dalmati al governo Giolitti divennero una delle armi polemiche che le forze di opposizione di destra usarono in una durissima polemica contro l’esecutivo. Dall’inizio del 1921 i nazionalisti avevano condotto una dura critica contro la politica adriatica di Sforza. Due erano soprattutto i punti di critica. I nazionalisti accusarono Sforza di eccessiva fretta nel ritiro dalla Dalmazia occupata: a loro avviso, l’applicazione del trattato di Rapallo doveva essere l’occasione per la negoziazione di migliori e più precise tutele a favore della minoranza italiana in Dalmazia, e preservare gran parte del territorio occupato era una forte arma negoziale per obbligare Belgrado a cedere alle richieste italiane; in alcuni esponenti più estremisti vi era poi la speranza non troppo nascosta che il blocco dell’applicazione del trattato di Rapallo potesse essere il primo passo per una ridiscussione delle sue clausole territoriali in Dalmazia. In quei mesi altro elemento di critica nazionalista a Giolitti e Sforza fu il cosiddetto abbandono del Montenegro. I nazionalisti dichiararono che a Rapallo Sforza aveva tradito i montenegrini, rinunciando a difendere la loro indipendenza444. Il governo Giolitti aveva violato gli impegni presi al momento della creazione della legione montenegrina in Italia nel 1919445. Dopo lo sgombero di Sebenico, pure i liberali zaratini, fino a quel momento filogovernativi, si schierarono apertamente contro l’esecutivo. Il 20 giugno Krekich presentò un’interpellanza alla Camera chiedendo al governo di conoscere le ragioni che lo avevano indotto ad effettuare lo sgombero dalla seconda zona dalmata prima che fossero state concretate le garanzie in discussione fra Italia e Regno SHS circa la tutela dei nuclei italiani in Dalmazia; il deputato zaratino, poi, desiderava sapere «se il 443 CARLO UMILTÀ, Jugoslavia e Albania. Memorie di un diplomatico, Milano, 1947, p. 4. 444 ATTILIO TAMARO, L’on. Sforza vende la patria della Regina ai serbi. Si può sopprimere il Montenegro senza consultare la Camera?, «L’Idea Nazionale», 7 giugno 1921. 445 ATTILIO TAMARO, La convenzione Caviglia-Ramadanovich, «L’Idea Nazionale», 14 giugno 1921. Sulla legione montenegrina: ANTONIO MADAFFARI, Italia e Montenegro (19181925): la legione montenegrina, «Studi Storico-Militari», 1996, pp. 85-127. Dopo la conclusione del trattato di Rapallo la legione montenegrina fu sciolta dal governo italiano. 330 LUCIANO MONZALI Governo sia disposto a non procedere almeno all’evacuazione della terza zona prima che non siano stabilite le dette garanzie»446. Sulla critica alla politica adriatica del governo Giolitti si verificò in sostanza il ricompattamento dei dalmati italiani e un avvicinamento di questi alle posizioni del partito nazionalista. La crisi nei rapporti con i dalmati italiani, l’annuncio di un accordo sul consorzio per Porto Baros e il ritiro anticipato e disorganizzato da Sebenico indebolirono il governo Giolitti-Sforza. I nazionalisti denunciarono lo sgombero da Sebenico come indecoroso e criticarono la mancanza di garanzie giuridiche e politiche a tutela degli italiani dalmati447. Anche l’accordo sul consorzio per la gestione di Porto Baros era sbagliato: a parere di Attilio Tamaro, poteva togliere traffico da Trieste a vantaggio di Fiume e attirare immigrazione iugoslava nel Quarnero448. Secondo l’«Idea Nazionale», Sforza conduceva una politica anti-nazionale e rinunciataria e con il suo console Amadori mirava a sopprimere l’italianità spalatina ritenuta un ostacolo ai rapporti fra Italia e Iugoslavia449. La virulenta campagna di stampa nazionalista e fascista contro la politica adriatica di Sforza cominciò a raccogliere un consenso sempre più vasto anche all’interno della classe dirigente liberale, alcuni esponenti della quale, ad esempio Salandra, ritenevano sbagliate le strategie e alcune direttive di Sforza450. Il ministro degli Esteri e Giolitti sottovalutarono il pessimo effetto politico che il concentrarsi in un ristrettissimo arco temporale di vari eventi controversi come l’accordo sul consorzio e il ritiro da Sebenico avrebbe potuto avere sull’opinione pubblica italiana. Il governo era uscito indebolito dalle elezioni parlamentari del maggio, che avevano sostanzialmente confermato la consistenza dei popolari e dei socialisti ed avevano rafforzato le destre nazionalista e fascista. Uno dei punti di debolezza dell’esecutivo Giolitti era la politica estera: come constatò l’ambasciatore britannico 446 Il testo dell’interrogazione di Krekich è riprodotta in AP, Camera dei deputati, Discussioni, tornata del 20 giugno 1921, p. 65. Si veda anche «L’Idea Nazionale», 15 giugno 1921, Un’interrogazione dell’on. Krekich. Sull’ostilità di Krekich al ritiro affrettato da Sebenico: «L’Idea Nazionale», 15 giugno 1921, L’ultimo (?) tradimento di Sforza. 447 «L’Idea Nazionale», 14 giugno 1921, Il clandestino sgombero di Sebenico. Le garanzie per gli italiani non ancora ottenute. 448 ATTILIO TAMARO, Bisogna salvare Trieste dalla rovina che le prepara il nuovo accordo italo-serbo. Porto Baross e il Delta sono assegnati alla Jugoslavia, 9 giugno 1921. Sull’ostilità degli ambienti politici triestini all’accordo sul consorzio di Fiume: SFORZA, Dalle pagine del diario. Il periodo prefascista, cit., f. 2005, p. 65. 449 «L’Idea Nazionale», 14 giugno 1921, Bisogna discutere la politica di Sforza. 450 ALBERTINI, Epistolario, cit., III, Salandra a Albertini, 30 giugno 1921, d. 1260. IL TRATTATO DI RAPALLO 331 Buchanan nel giugno 1921, l’azione di Sforza era sempre più sotto attacco da parte di vari settori politici451. Il ministro degli Esteri, privo di un’adeguata esperienza parlamentare, si dimostrò poco abile nei rapporti con i deputati. L’apertura della nuova Camera e il discorso della Corona furono l’occasione per le forze di opposizione di destra e di sinistra per criticare la politica estera di Sforza452. Il 20 e 21 giugno Federzoni e Mussolini attaccarono duramente la politica estera del governo, vincolando il loro sostegno all’esecutivo in carica alla sostituzione di Sforza. Federzoni, in un lungo discorso, cercò di svalutare tutte le iniziative di Sforza sia in campo europeo che in Anatolia e nell’Adriatico, riprendendo tutti i motivi polemici (tradimento del Montenegro, politica troppo francofila, azione rinunciataria in Anatolia, ecc.) che i nazionalisti usavano da mesi contro il governo. Particolarmente virulenta fu la denuncia della politica dalmatica del governo, che il deputato bolognese accusò di tradimento verso gli italiani di Dalmazia453. Mussolini, riprendendo la polemica nazionalista, criticò il disinteresse governativo verso Zara e il tradimento dell’indipendenza montenegrina454. Le discussioni parlamentari di quei giorni mostrarono anche con chiarezza che la politica di amicizia italo-iugoslava si scontrava con i sentimenti e gli umori profondi delle popolazioni italiane e iugoslave nell’Adriatico, dominate dal risentimento e dall’esasperazione nazionalista. Prova di ciò si ebbe con il discorso del deputato sloveno triestino Wilfan e le reazioni che questo provocò. Wilfan, in maniera rigida e poco intelligente, enunciò l’opposizione delle popolazioni slovene e croate della Venezia Giulia all’appartenenza allo Stato italiano e al trattato di Rapallo455. Il deputato sloveno dichiarò alla Camera dei deputati che, se era vero che la maggioranza della popolazione della Venezia Giulia era slava, allora «quella regione doveva appartenere allo Stato nazionale slavo e non allo Stato nazionale italiano»; la sovranità italiana si era estesa su quei territori grazie al trat451 BDFA, II, F, 4, Buchanan a Curzon, 22 giugno 1921, d. 326. Una ricostruzione del dibattito parlamentare sulla politica estera in quei giorni in: SFORZA, Pensiero e azione di una politica estera italiana, cit., p. 251 e ss. Si veda anche MELCHIONNI, La politica estera di Carlo Sforza, cit., p. 567 e ss. 453 AP, Camera dei deputati, Discussioni, tornata del 20 giugno 1921, intervento di Federzoni, pp. 51-61; FEDERZONI, Presagi alla Nazione, cit., pp. 245-271. 454 AP, Camera dei deputati, Discussioni, tornata del 21 giugno 1921, intervento di Mussolini, pp. 89-98; BENITO MUSSOLINI, Il primo discorso alla Camera dei deputati, edito in Opera omnia di Benito Mussolini, cit., vol. XVI, pp. 430-446. 455 AP, Camera dei deputati, Discussioni, tornata del 21 giugno 1921, intervento del deputato Wilfan, pp. 117-120. 452 332 LUCIANO MONZALI tato di Rapallo, ma «ciò è avvenuto senza il libero e regolare consenso, contrariamente al carattere nazionale della popolazione», e per questa ragione Wilfan proclamò una forte protesta456. Il carattere intransigente del discorso, con dure accuse all’amministrazione e all’esercito italiano, suscitò virulente reazioni in tutta la Camera457 e alimentò una violenta polemica fra nazionalisti e fascisti italiani e nazionalisti sloveni e croati. La politica estera di Sforza fu attaccata non solo dai nazionalisti e dai fascisti, ma anche dai socialisti, dai liberali salandrini e dai democratico-sociali di Colonna di Cesarò. I socialisti, riprendendo vari temi del revisionismo nittiano, criticarono duramente la politica anti-germanica e francofila del governo italiano, in particolare denunciando il sostegno di Sforza alla politica francese nel campo delle riparazioni e nella questione dell’Alta Slesia: Turati criticò il vassallaggio dell’Italia verso l’Intesa e definì il trattato di Versailles un patto scellerato, espressione del più crudo capitalismo458. Il 25 giugno Krekich compì il suo primo discorso alla Camera italiana459. Il deputato dalmata, innanzitutto, esaltò l’annessione di Zara all’Italia, pur sottolineando l’errore compiuto nel rinunciare al resto della Dalmazia. Egli si proclamò in ogni caso convinto dei grandi destini della Nazione italiana nell’Adriatico. Ma a che serve l’acerba rampogna, a che serve l’inutile e lo sterile rimpianto? Disperare non conviene, ma conviene attendere con fede inconcussa che il fulgido destino della nostra Patria abbia a compiersi e si compirà, perché nessuna forza umana potrà arrestarne l’ascesa. Perché il diritto che Roma e Venezia ci hanno trasmesso in sacro retaggio sulle terre dell’Adriatico orientale, che per ben due millenni hanno costituito il complemento essenziale d’Italia ed il suo naturale confine, con un tratto di penna non si sono né prescritti né cancellati. E dovranno affermarsi più vivi e più forti giacché nessuno, e neppure le Nazioni, possono sottrarsi alle leggi immutabili del destino460. Dopo queste dichiarazioni di natura ideologica, Krekich si con- 456 Ibidem. 457 AP, Camera dei deputati, Discussioni, tornata del 21 giugno 1921, interventi di Suvich, pp. 121-122; ivi, tornata del 23 giugno 1921, intervento di Giunta, pp. 182-186. 458 AP, Camera dei deputati, Discussioni, tornata del 24 giugno 1921, intervento di Turati, pp. 212-225; TURATI, Socialismo e riformismo, cit., pp. 362-406. 459 AP, Camera dei deputati, Discussioni, tornata del 25 giugno 1921, intervento di Krekich, pp. 264-266. 460 Ibidem. IL TRATTATO DI RAPALLO 333 centrò sul problema che gli stava più a cuore, la tutela degli italiani nella Dalmazia iugoslava. Egli sostenne l’urgenza che l’Italia garantisse l’applicazione dell’articolo VII dell’accordo italo-iugoslavo e quindi la realizzazione di una seria tutela dei nuclei italiani nel Regno SHS. Noi dobbiamo esigere quindi, in applicazione del Trattato di Rapallo, che prima ancora che siano concretate e definite queste garanzie a difesa dei nostri fratelli fra il nostro Governo e il Governo jugoslavo, non debba avvenire lo sgombero della terza zona occupata dal Regio esercito, perché soltanto tenendo quel pegno in mano, arriveremo ad indurre il Governo jugoslavo, ben poco propizio per le sorti dei nostri fratelli, a concedere quelle garanzie che in base al Trattato di Rapallo si è obbligato di prestare. Non si sgomberi la terza zona, si tenga questo pegno prezioso di un’esistenza migliore pei nostri fratelli! Non si sgombri!461. Il 25 giugno Sforza difese la sua azione diplomatica con un discorso brillante e lucido sul piano dei contenuti, che mostrava la sua intelligenza nel cercare di modernizzare le direttive della politica estera dello Stato pur rimanendo nel solco della tradizione diplomatica italiana; ma la difesa fu compiuta con eccessivo orgoglio ed alterigia, in un modo che indispettì molti deputati. Come è possibile notare dal tono del suo diario e della sua corrispondenza462, il ministro aveva reagito con aggressività e disdegno ai duri attacchi personali e politici ricevuti negli ultimi mesi, rifiutandosi di compiere atti e gesti che gli servissero per accattivarsi le simpatie parlamentari e giornalistiche. Sforza rivendicò di fronte alla Camera gli innegabili successi della sua azione diplomatica: il miglioramento dei rapporti con la Francia, la crescita dell’influenza italiana in Europa centrale, la sua abile politica in Vicino Oriente, fondata sul pragmatico e lungimirante riconoscimento della forza del sentimento nazionale turco espresso dal movimento kemalista463. Nella questione adriatica, negò di aver tradito il Montenegro e difese la saggezza di una politica di collaborazione con il Regno SHS a Fiume e in Dalmazia, unico modo, a suo avviso, per 461 Ibidem. 462 SFORZA, Dalle pagine del diario. Il periodo prefascista, cit., f. 2005, p. 62 e ss.; Sforza a Giolitti, 29 aprile e 13 giugno 1921, in Quarant’anni di politica italiana, cit., III, dd. 338, 344. 463 AP, Camera dei deputati, Discussioni, tornata del 25 giugno 1921, intervento di Sforza, pp. 267-274. Il discorso è riprodotto in SFORZA, Un anno di politica estera, cit., p. 131 e ss. 334 LUCIANO MONZALI consolidare gli interessi italiani in quelle regioni. Sforza, poi, giustificò l’operato di Amadori, rivendicando al riguardo ogni responsabilità politica, e ribadì il valore del progetto alla base della sua politica in Dalmazia: Noi faremo quanto è in poter nostro per tutelare e proteggere i gruppi italiani in Dalmazia. Ma dobbiamo dire che una politica che non sia di composizione con dignità oggi e di collaborazione economica e culturale domani, e cioè una politica dalmatica di intransigenza e combattività porterebbe danno irreparabile alla causa italiana in Dalmazia. Giacché ecciterebbe ancor più pericolosa intransigenza in una massa slava di fronte alla quale gli italiani sono una infima minoranza. Il Governo non solo pei suoi interessi generali, ma proprio anche per la sicura difesa dell’italianità dalmatica segue il programma della conciliazione ed il proposito dell’attenuazione dei contrasti residuali; poiché soltanto così si tutela l’italianità culturale ed economica che deve restare sull’altra sponda, anello di congiunzione fra le due razze vicine464. Il ministro degli Esteri rivendicò il valore storico del patto di Rapallo, che aveva dato all’Italia i suoi confini naturali e con essi forza e sicurezza strategica allo Stato, e ribadì la sua visione dell’Italia come potenza che doveva conquistare una sua influenza in Europa e nel Mediterraneo difendendo gli «ideali italiani», ovvero i princìpi di libertà nazionale e indipendenza. Perché di qui non si esce. O l’Italia, divenendo amica dei popoli minori, facendo propri i loro legittimi interessi di vita, aprendosi così un sicuro respiro verso l’Oriente, assumerà un superbo compito di Grande Potenza – oppure di Grande Potenza non avrà che il vano nome465. In effetti molti attacchi alla politica estera di Sforza erano eccessivi ed ingiusti. Il ruolo di Sforza era stato fondamentale nella genesi del patto di Rapallo, che aveva sostanzialmente garantito all’Italia il confine giuliano previsto dal trattato di Londra, così come cruciale era stata la sua azione nel raggiungimento dell’annessione italiana di Zara, cosa alla quale, come abbiamo visto, Giolitti aveva attribuito scarsa importanza. La politica internazionale di Sforza, poi, si era caratterizzata per un realismo politico che aveva portato l’Italia a ridi- 464 465 SFORZA, Un anno di politica estera, cit., p. 155 Ivi, p. 158. IL TRATTATO DI RAPALLO 335 mensionare certe ambizioni politico-territoriali ormai irraggiungibili (il mandato sull’Albania, la creazione di un possedimento italiano in Anatolia)466. Particolarmente dannoso per il governo fu l’intervento critico di Salandra, già negoziatore del patto di Londra, che, il 26 giugno, dichiarò di vedere nella politica adriatica di Sforza una sorta di tradimento del trattato del 1915467. A parere di Salandra, le risposte del ministro degli Esteri sulle questioni relative all’Adriatico erano state assolutamente insufficienti. Il deputato pugliese criticò l’abbandono del Montenegro e la sostanziale rinunzia a Porto Baros, e denunciò il rischio della snazionalizzazione della minoranza italiana in Dalmazia. Io dirò soltanto che il pericolo della italianità – italianità che certamente il ministro degli Esteri non vuole spenta sull’altra costa dell’Adriatico – questo pericolo è maggiore adesso di quello che non fosse quando vigeva la monarchia austro-ungarica. E ciò per questo (io non dirò nulla che spiaccia ai nostri amici dello Stato serbo-croato-sloveno), perché, mentre la monarchia austro-ungarica era uno Stato federativo che in parte reggeva sulle rivalità fra le diverse nazionalità, non avendo perciò interesse a spegnerle, lo Stato serbo-croato-sloveno è uno Stato nazionale di vivace (lo dico a suo onore), di crescente impulso nazionale, che tende a spegnere tutte le lingue e le nazionalità allogene468. L’ex presidente del Consiglio accusò il governo di non aver ottenuto garanzie a tutela degli italiani di Dalmazia nel corso dell’applicazione del trattato di Rapallo. Tutti sanno onorevole Sforza, che Ella aveva proposto ai rappresentanti della Dalmazia a Roma l’abbinamento dello sgombero della seconda zona dalmata, quella di Sebenico, con le trattative per le garanzie. Uomini rispettabili mi hanno assicurato che l’abbinamento era stato promesso da lei e dal senatore Salata. Dopo è avvenuto quello che è avvenuto: Sebenico è stata sgombrata precipitosamente prima che avessero modo di partire coloro i quali desideravano sottrarsi al dominio straniero. Ai dalmati aveva detto che ciò è avvenuto in omaggio a interessi superiori. Quali sono questi interessi superiori?469. 466 Al riguardo l’analisi della politica estera di Sforza in MICHELETTA, op. cit., I. AP, Camera dei deputati, Discussioni, tornata del 26 giugno 1921, intervento di Salandra; ANTONIO SALANDRA, Discorsi parlamentari di Antonio Salandra, Roma, 1969, vol. III, pp. 1154-1157. 468 Ibidem. 469 Ibidem. 467 336 LUCIANO MONZALI Per Salandra la politica adriatica di Sforza era troppo rinunciataria e andava condannata: Ella ha avuto, forse non per colpa sua, onorevole Sforza, una sorte troppo dura. Ella ha dovuto abbassare la nostra bandiera a Valona coma ad Adalia, a Castua come a Sebenico. Il paese dice che basta. Il paese vuole la pace, ma non la pace dei vinti. Questa è la ragione fondamentale per la quale noi voteremo qualunque ordine del giorno esprima sfiducia nella direzione della nostra politica estera470. Nel seguito della discussione, Sforza, manifestando irritazione e scarso rispetto personale per l’ex presidente del Consiglio, attaccò duramente Salandra sulla questione fiumana, rivendicando a sé il merito di non avere rispettato il patto di Londra, che aveva dato Fiume alla Croazia471. L’azione parlamentare di Sforza si rivelò inabile e controproducente472 e creò contro di lui una coalizione di scontenti che, oltre all’Estrema Sinistra e all’Estrema Destra, raccolse molti liberali, radicali e democratici. Non a caso il voto alla Camera sulla politica estera del governo espresse una debole maggioranza a favore di Sforza. Turati presentò un ordine del giorno che nella prima parte proclamò la contrarietà dei firmatari alla politica estera del governo Giolitti-Sforza. Nazionalisti, fascisti e liberali salandrini aderirono a questo ordine del giorno e votarono contro il governo. Il deputato Girardini, al momento del voto, dichiarò a nome dei democratico-sociali e radicali, che il suo gruppo avrebbe votato per il governo solo perché era favorevole alla politica interna di Giolitti, ma avanzava forti riserve verso l’azione internazionale di Sforza473. Già deluso per i risultati delle elezioni del maggio, dopo le discussioni parlamentari sulla politica estera Giolitti constatò la crescente fragilità del suo esecutivo e decise di presentare le dimissioni del suo governo il 27 giugno474. 470 Ibidem. SFORZA, Pensiero e azione di una politica estera italiana, cit., p. 279. 472 Al riguardo l’analisi di Buchanan, che criticò l’inabilità di Sforza nei rapporti con i deputati: «It is said, and I believe with reason, that he treated the members of the Foreign Affairs Committee with a supercilious aloofness that has given him a bad name in the Chamber, and it is as much a feeling of personal dislike as disapproval of his policy that have prompted the attacks levied against him» (BDFA, II, F, 5, Buchanan a Curzon, 30 giugno 1921, d. 2). 473 SFORZA, Pensiero e azione di una politica estera italiana, cit., p. 280. 474 Sulla crisi del governo Giolitti: GIOLITTI, Memorie, cit., II, p. 611; DE FELICE, Mussolini il fascista, cit., I, p. 101; SALVATORELLI, MIRA, Storia d’Italia, cit., I, pp. 191-192; 471 IL TRATTATO DI RAPALLO 337 I rappresentanti politici degli italiani di Dalmazia salutarono positivamente la caduta del governo Giolitti-Sforza. All’inizio di luglio, Leonardo Pezzoli, Antonio Tacconi e Doimo Cace, presenti a Roma, rilasciarono alcune dichiarazioni molto critiche su Sforza all’«Idea Nazionale»475. Innanzitutto, essi contestarono le dichiarazioni di Sforza sugli italiani dalmati quale «infima minoranza» che provocava le persecuzioni anti-italiane. Tacconi, Pezzoli e Cace affermarono che in Dalmazia, «in onta alle leggi austriache ancora sempre vigenti nel Paese, che garantirebbero l’equiparazione linguistica, la lingua italiana è di fatto completamente bandita negli Uffici, che essa venne bandita anche dalla Chiesa, che non si tollera la più piccola scritta od insegna italiana, e che si vietano persino lapidi italiane nei cimiteri»476. Per i rappresentanti dalmati, non vi era stato alcun miglioramento della condizione della minoranza italiana nella Dalmazia iugoslava dopo Rapallo, anzi questa era peggiorata con l’esodo di molti italiani. Essi attaccarono duramente Amadori Virgili, accusandolo di aver suscitato dissidi fra gli italiani spalatini, di aver male rappresentato al governo di Roma la situazione di Spalato e di aver chiesto il ritiro della nave Puglia. Sforza, invece, si era dimostrato incapace di «pretendere e di ottenere la concretazione ed attuazione delle garanzie prospettate dal trattato di Rapallo»477. NICOLA TRANFAGLIA, La prima guerra mondiale e il fascismo, Torino, 1995, p. 262 e ss.; EMILIO GENTILE, Storia del partito fascista 1919-1922. Movimento e milizia, Bari-Roma, 1989, p. 208 e ss. Sull’importanza dei problemi della politica estera nella crisi del governo Giolitti: BDFA, II, F, 4, Buchanan a Curzon, 27 giugno 1921, d. 327. 475 «L’Idea Nazionale», 1° luglio 1921, L’ultimo servigio di Sforza alla Jugoslavia. Una nobile protesta dei Delegati dalmati. 476 Ibidem. 477 Ibidem. IV GLI ITALIANI DI DALMAZIA DI FRONTE ALLA CRISI DELL’ITALIA LIBERALE E ALL’AVVENTO DEL FASCISMO 4.1. Il governo Bonomi-Della Torretta e gli italiani della Dalmazia iugoslava di fronte alla questione delle opzioni Il 4 luglio 1921, Ivanoe Bonomi, socialista riformista, già ministro della Guerra nell’esecutivo Giolitti, costituì un nuovo gabinetto, fondato su una coalizione fra liberali giolittiani, socialisti riformisti, democratico-sociali e popolari1. Dietro indicazione di Sforza e Contarini, Bonomi nominò ministro degli Esteri Pietro Tomasi Della Torretta2, diplomatico di carriera legato al segretario generale della Consulta. A causa della fragilità della sua maggioranza parlamentare, il governo Bonomi cercò di raccogliere i consensi delle destre nazionalista e liberale e del fascismo, ormai forza politica di primaria importanza, favorendo pure una svolta moderata ed una «legalizzazione» del movimento guidato da Mussolini. Questa direttiva filo-fascista, che culminò nel progetto di «pacificazione» fra fascisti e socialisti, sostenuto dal governo ma poi fallito, convinse Bonomi a fare proprie alcune posizioni nazionalfasciste e della destra vicina a Salandra nella questione 1 RENZO DE FELICE, Mussolini il fascista. La conquista del potere 1921-1925, Torino, 1966, p. 101 e ss.; DANILO VENERUSO, La vigilia del fascismo. Il primo ministero Facta nella crisi dello Stato liberale in Italia, Bologna, 1968, p. 18 e ss.; SALVATORELLI, MIRA, Storia dell’Italia, cit., I, p. 193 e ss.; BDFA, II, F, 5, Buchanan a Curzon, 4 luglio 1921, d. 7. 2 Sulla biografia di Della Torretta: MICHELETTA, op. cit., II, pp. 405-407; PETRACCHI, Da San Pietroburgo, cit., p. 170 e ss. Sull’influenza di Contarini e di Sforza nella nomina di Della Torretta alla Consulta: Rolandi Ricci a Giolitti, 28 agosto 1921, in Quarant’anni di vita politica, cit., III, d. 346; Sforza a Giolitti, 18 novembre 1921, ivi, d. 353. Sforza dichiarò a Buchanan la sua soddisfazione per la nomina di Della Torretta: BDFA, II, F, 5, Buchanan a Curzon, 6 luglio 1921, d. 9; si veda anche: ALBERTINI, Epistolario, cit., III, Sforza a Albertini, 19 settembre 1921, d. 1275. Sul successivo atteggiamento critico di Sforza e del suo entourage verso Della Torretta: GIORDANO, Carlo Sforza: La politica 1922-1952, cit., p. 14 e ss.; INSMLI, Carte a Prato, b. 1, a Prato a De Martino, 17 gennaio 1922; ibidem, a Prato a Della Torre, 12 marzo [1922]. 340 LUCIANO MONZALI dell’applicazione di Rapallo, in discontinuità con la politica di Sforza e Giolitti. Fra le prime iniziative del governo Bonomi, infatti, vi fu la temporanea cessazione dei lavori di delimitazione dei confini dello Stato di Fiume, decisione che, come ha notato Danilo Massagrande, comportò, con il rinvio della consegna dei territori iugoslavi ancora occupati dall’Italia, la sostanziale sconfessione dell’accordo sul consorzio portuale3. Di fronte alle Camere, Bonomi confermò di volere rispettare ed applicare il trattato di Rapallo, ma sostanzialmente mise in dubbio la validità dello scambio di lettere Sforza-Trumbic! su Porto Baros, dichiarando che il governo si sentiva impegnato solo dall’accordo di Rapallo, firmato dai tre plenipotenziari italiani e approvato dal Parlamento4. Il nuovo governo, poi, decise di assumere una linea di maggiore durezza negoziale verso Belgrado nella questione dalmatica, subordinando di fatto il ritiro dalla terza zona (il retroterra di Zara e le isole vicine) a concessioni da parte iugoslava sul piano dei rapporti commerciali ed economici, nella questione di Fiume e riguardo a nuove garanzie formali sui diritti della minoranza italiana in Dalmazia. Il mutamento dell’atteggiamento verso la Iugoslavia fu uno dei primi segnali di una nuova direzione della politica estera italiana, non più fondata su un’intesa privilegiata con la Francia e su una forte collaborazione con i nuovi Stati nazionali dell’Europa centrale (Cecoslovacchia, Polonia, Iugoslavia). Della Torretta, anglofilo e conservatore, desiderava tornare alla strategia di Nitti, incentrata sull’alleanza con Londra e sulla creazione di una nuova costellazione politica in Europa centrale, egemonizzata da Roma, imperniata sulla stretta amicizia fra Austria, Ungheria e Italia5. Della Torretta progressivamente abbandonò le direttive politiche di Sforza, che avevano portato alla vicinanza italiana alla Piccola Intesa. Segnali di questa svolta politica furono il raffreddamento dei rapporti con la Cecoslovacchia 3 MASSAGRANDE, op. cit., p. 47. 4«L’Idea Nazionale», 2 agosto 1921, La politica italiana in Adriatico e in Oriente; MASSAGRANDE, op. cit., p. 47. 5 MICHELETTA, op. cit., II; SFORZA, Il diario prefascista, cit., 1968, p. 67 e ss.; RODOLFO MOSCA, L’Italia e la questione dell’Ungheria occidentale, in ID., Le relazioni internazionali nell’età contemporanea, cit., in particolare p. 143 e ss.; TOMMASINI, La risurrezione della Polonia, cit., p. 331 e ss.; AMAF, Europe 1918-1929, Italie, vol. 79, Charles-Roux al ministro degli Esteri, 28 agosto 1921; BDFA, II, F, 5, d. 54, Buchanan a Curzon, 9 novembre 1921, d. 54. Una dura critica alla politica estera di Della Torretta in Sforza a Giolitti, 19 novembre 1921, cit. Si veda anche l’interessante lettera di Carlo Emanuele a Prato, stretto collaboratore di Sforza: INMLI, Carte a Prato, b. 3, A Prato a Nesti, 13 gennaio 1922. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 341 e la Iugoslavia, dovuto anche all’intervento italiano a favore dell’Ungheria nella questione del Burgenland6, e il disinteresse del russofilo Della Torretta per la conclusione di un accordo di collaborazione politica con la Polonia, propugnato dal ministro italiano a Varsavia, Tommasini7. Piuttosto il ministro siciliano tentò di dare vita ad un raggruppamento italo-austro-ungherese in funzione anti-iugoslava, progetto che non ebbe grande fortuna8. Altro elemento che mostrò un orientamento della politica estera del governo Bonomi non più incentrato sulla collaborazione con Belgrado, fu il tentativo della diplomazia italiana di ottenere il riconoscimento del primato dell’Italia in un’eventuale azione di difesa dell’indipendenza albanese, che culminò nella dichiarazione della Conferenza degli Ambasciatori del novembre 19219. Il peggioramento delle relazioni italo-iugoslave ebbe come risultato il sostanziale interrompersi di tutta la febbrile applicazione del trattato di Rapallo attraverso la conclusione di nuove convenzioni che aveva caratterizzato la politica di Sforza nei primi sei mesi del 1921. Il progetto di accordo sul consorzio di Fiume saltò, così come non ebbe conferma definitiva l’accordo Salata-Rybar sulla procedura d’applicazione delle opzioni. Il governo italiano decise pure di bloccare ogni evacuazione dalla terza zona dalmata. Dopo alcune settimane di sterili negoziati, all’inizio di agosto l’attività delle Commissioni culturali ed economiche italo-iugoslave aventi il compito di definire l’esecuzione del trattato di Rapallo s’interruppe, rifiutandosi il governo di Belgrado di procedere ulteriormente nell’applicazione se prima non fossero stati sgombrati Porto Baros e la terza zona dalmata10. Unica eccezione in questa stasi generalizzata fu l’azione del deputato Tosti di Valminuta, che riuscì a condurre a termine difficili negoziati che portarono alla conclusione della convenzione italo-iugoslava sulla pesca nell’Adriatico (accordo di Brioni del 14 settembre 1921)11. 6 MOSCA, L’Italia e la questione dell’Ungheria occidentale, cit.; MARTA PETRICIOLI, La questione dell’Ungheria occidentale nei documenti diplomatici italiani, in FRANCESCO GUIDA, RITA TOLOMEO, Italia e Ungheria (1920-1960). Storia, politica, società, letteratura, fonti, Cosenza, 1991, pp. 1-30; FLORIN CODRESCO, La Petite Entente, Paris, s.d. (1930?), I, pp. 201-208. 7 TOMMASINI, La resurrezione della Polonia, cit., pp. 250-251. 8 Al riguardo vi è interessante documentazione ungherese ed austriaca edita: PDH, 3, dd. 887, 896, 932, 947, 1055, 1057, 1058; DDA, 4, dd. 581, 582, 584, 585, 649, 650, 652. 9 MICHELETTA, op. cit., II, p. 465 e ss.; BDFA, II, F, 5, d. 51. 10 Al riguardo: ASMAE, Carte Salata, b. 267, Moscheni a Salata, 8 luglio 1921. 11A proposito dei negoziati che portarono all’accordo sulla pesca: ASMAE, GAB 1923- 342 LUCIANO MONZALI Il rafforzarsi di movimenti come il fascismo e il nazionalismo, che, spesso per motivi ideologici o di propaganda, consideravano la questione dalmatica un problema cruciale della politica estera italiana, aumentò il peso politico degli italiani di Dalmazia in Italia. Il nuovo governo, per ragioni di politica interna, assunse un atteggiamento più attento verso le esigenze dei dalmati italiani, in particolare verso la minoranza italiana nella Dalmazia iugoslava. Nella prima metà di luglio Krekich, Pezzoli e Tacconi vennero a Roma ed ebbero colloqui con rappresentanti della Presidenza del Consiglio e del Ministero degli Esteri12. In occasione di questi colloqui i capi della minoranza italiana spalatina, Antonio Tacconi e Leonardo Pezzoli, a nome dei Fasci Nazionali Italiani di tutta la costa dalmata, presentarono a Bonomi e a Della Torretta due lunghi memoriali. Con il memoriale presentato al ministro degli Esteri, intitolato Postulati riguardo ai provvedimenti da prendersi a tutela degli italiani della Dalmazia assegnata col Trattato di Rapallo allo Stato S.C.S. intesi a completare o chiarire le disposizioni del Trattato di Rapallo e ad assicurarne la pratica attuazione13, Tacconi e Pezzoli chiesero al governo di Roma di soddisfare una serie di richieste a tutela degli interessi della minoranza italiana in Dalmazia, con l’implicita minaccia di non optare per la cittadinanza italiana in caso di mancata soddisfazione delle domande avanzate. Gli italiani della Dalmazia iugoslava, innanzitutto, domandarono che fosse stabilito con chiarezza se le disposizioni dell’accordo sulle minoranze stipulato dalle grandi potenze con il Regno SHS e accettato da questo il 5 dicembre 1919 erano valide quanto quelle del trattato di Rapallo a favore dei cittadini italiani in Dalmazia: in tal modo si sarebbe potuto garantire il libero uso della propria lingua sia agli italiani in possesso della cittadinanza iugoslava che agli optanti per l’Italia. Venivano poi pretese garanzie circa i tempi e i modi dell’op43, AF, b. 9, Tosti a Ministero degli Esteri, 21 agosto 1921; ivi, b. 14, Tosti a Ministero degli Esteri, 26 agosto e 5 settembre 1921. Il testo dell’accordo sulla pesca del 14 settembre 1921 è riprodotto in GIANNINI, Documenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia, cit., p. 46 e ss. 12 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 23, Comitato interministeriale per lo studio delle questioni relative agli accordi economici, commerciali, ecc., da stipularsi con la Jugoslavia, seduta del 2 luglio 1921; ACS, UNP, b. 73, Pezzoli e Tacconi a Salata, 31 luglio 1921: in questa lettera si accenna ad incontri svoltisi a Roma il 13 luglio 1921. 13 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 12, LEONARDO PEZZOLI e ANTONIO TACCONI, Postulati riguardo ai provvedimenti da prendersi a tutela degli italiani della Dalmazia assegnata col Trattato di Rapallo allo Stato S.C.S. intesi a completare o chiarire le disposizioni del Trattato di Rapallo e ad assicurarne la pratica attuazione, 7 luglio 1921. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 343 zione, e riguardo alla tutela del diritto dei proprietari terrieri italiani, optanti e non, di ottenere giusti risarcimenti in caso di applicazione forzata della riforma agraria. Tema su cui i capi italiani si dimostrarono molto sensibili era la difesa del diritto degli optanti per l’Italia ad esercitare professioni, arti e industrie nello Stato iugoslavo. Un’interpretazione logica – notarono Tacconi e Pezzoli – della disposizione dell’art. VII del trattato di Rapallo, che consente agli italiani della Dalmazia che optino per la cittadinanza italiana, di continuare a dimorare in paese deve indurre alla conseguenza che i medesimi possano mantenere anche l’intero ambito dei diritti conseguiti prima del crollo della monarchia austro-ungarica e quindi anche la facoltà di continuare ad esercitare quelle arti, mestieri e professioni per le quali giuste le leggi austriache tuttora vigenti in Dalmazia, è richiesta la cittadinanza dello Stato (avvocatura, medicina, ingegneria, farmacia, determinate licenze industriali, ecc.). Gli iugoslavi tentano sottrarsi a tale interpretazione e tendono a creare già ora uno stato di fatto a ciò contrario, come lo dimostra il noto incidente degli avvocati italiani di Spalato che vennero cancellati dalla lista per essersi rifiutati di prestare un giuramento di fedeltà al Sovrano e alla costituzione dello Stato S.C.S.14. Da ciò l’esigenza di garantire agli optanti il diritto ad esercitare tali professioni ed attività, «perlomeno in quanto trattisi di diritti acquisiti anteriormente all’entrata in vigore del trattato di Rapallo». Bisognava, poi, mantenere un uso della lingua italiana negli uffici e nella vita pubblica pari perlomeno a quello assicurato dal governo asburgico prima dello scoppio della guerra. Dal crollo dell’Austria nelle regioni passate alla Iugoslavia era stato eliminato ogni uso della lingua italiana nelle amministrazioni pubbliche. Le autorità trattano esclusivamente tutti gli affari in lingua slava, assumono esclusivamente in questa lingua anche parti e testimoni italiani ed emettono esclusivamente in questa lingua le loro decisioni. […] In Dalmazia del pari in via di fatto è impedito ogni uso della lingua italiana in qualsiasi manifestazione della vita, mentre ai negozianti italiani non è più concesso di usare alcuna scritta italiana, viene vietata la lingua italiana nelle chiese e persino nelle lapidi dei cimiteri15. Urgente era anche la ricostituzione delle istituzioni italiane che era- 14 15 Ibidem. Ibidem. 344 LUCIANO MONZALI no state soppresse dall’Austria-Ungheria e non ricostituite dal governo iugoslavo, nonché l’apertura di scuole italiane. Per le scuole, soluzione ottimale, a parere di Tacconi e Pezzoli, sarebbe stata la creazione di scuole di Stato, mantenute direttamente dal governo di Roma, delle quali avrebbero potuto fruire «non soltanto i cittadini italiani, tali per origine o per opzione, ma anche i cittadini dello Stato S.C.S. che aspirassero ad avere l’istruzione in lingua italiana»16. I rappresentanti degli italiani della Dalmazia iugoslava criticarono duramente la decisione del governo Giolitti di procedere allo sgombero della seconda zona dalmata, comprendente Sebenico, senza che prima fossero state concordate con Belgrado garanzie a tutela dei diritti della minoranza. Chiesero, in particolare, che i futuri negoziati italo-iugoslavi a tale riguardo fossero condotti per l’Italia dal senatore Salata, manifestando diffidenza e critica verso l’operato del ministro plenipotenziario Manzoni e del console Amadori. Onde condurre le relative trattative a buon parte è però indispensabile che il Governo italiano, abbandonando il sistema di deplorevole debolezza del Governo precedente, […] si renda conto dell’assoluta necessità di non sgombrare almeno la 3ª zona dalmata fino a che non vengano concretate le suesposte garanzie a favore degli italiani della Dalmazia17. Per una migliore tutela della minoranza Tacconi e Pezzoli chiesero una più capillare presenza di consolati nelle città dalmate e lo stazionamento di navi da guerra italiane nei porti iugoslavi. Nel secondo memoriale, presentato a Bonomi, Tacconi e Pezzoli sottoposero al governo ulteriori richieste18. In campo scolastico sottolinearono l’importanza di facilitare l’afflusso di studenti italiani della Dalmazia iugoslava alle scuole secondarie di Zara e del Regno potenziando le istituzioni d’accoglienza a questi riservate (Convitto Nicolò Tommaseo, Educandato di S. Demetrio), concedendo borse di studio e dando un cambio favorevole alle famiglie pronte a inviare i propri figli a studiare in Italia. Importante era anche concedere cambi di valute favorevoli ad istituzioni italiane o a profughi dalmati, nonché giusti indennizzi a politici italiani in passato perseguitati dal go- 16 Ibidem. Ibidem. 18 Per i Fasci nazionali italiani della Dalmazia, Leonardo Pezzoli e Antonio Tacconi a Ivanoe Bonomi, luglio 1921, GAB 1923-43, AF b. 12. Altra copia in Carte Salata, b. 267. 17 GLI ITALIANI DI DALMAZIA 345 verno iugoslavo. Per rafforzare la minoranza sarebbe stato utile che gli istituti bancari e assicurativi e le imprese italiane operanti in Dalmazia assumessero prioritariamente gli italiani locali e sviluppassero attività di collaborazione con le banche dalmate italiane. Cruciale era la questione dei provvedimenti a vantaggio dei profughi dalmati. Tacconi e Pezzoli prevedevano che l’esodo italiano dalla Dalmazia sarebbe continuato anche nei mesi successivi. Purtroppo il modo nel quale venne effettuato lo sgombero della massima parte della Dalmazia occupata, senza aver ottenuto prima alcuna garanzia a vantaggio dell’elemento italiano, ebbe per conseguenza un largo esodo di italiani dal paese natale, ed è inevitabile che anche altre persone della Dalmazia occupata e non occupata prendano fra breve la via dell’esilio, anche indipendentemente dal pericolo di violenze materiali, per ragioni di dignità e di impossibilità di ulteriore sussistenza economica19. Il governo italiano doveva prendere a cuore la sorte di questi connazionali, garantendo maggiormente il diritto dei profughi, provenienti dalla Dalmazia occupata e non, di usufruire di un cambio di favore rispetto sia alla vecchia corona austriaca che alla corona dinaro, in un arco di tempo prolungato. Bisognava facilitare l’inserimento dei profughi nelle nuove sedi, garantendo loro agevolazioni nelle assunzioni negli impieghi pubblici, nella concessione di licenze professionali e di temporanei sussidi di disoccupazione. Sul piano simbolico Tacconi e Pezzoli ritenevano importante che il governo di Roma concedesse una rappresentanza parlamentare anche alla minoranza italiana della Dalmazia iugoslava, nominando prossimamente senatore del Regno «un patriota della Dalmazia non annessa»20. Le richieste avanzate dai Fasci Nazionali Italiani della Dalmazia toccavano molti problemi, non tutti risolvibili unilateralmente dal governo di Roma. Con il pretesto della reciprocità, ad esempio, il governo iugoslavo poteva facilmente escludere i dalmati che avessero assunto la cittadinanza italiana da gran parte delle attività professionali. Alcune richieste dei dalmati italiani avrebbero poi comportato ingenti impegni finanziari da parte del governo. Il governo di Roma, comunque, desiderava esaudire il più possibile le richieste di Tacconi e Pezzoli per ragioni di politica interna (soddisfare le tesi dei naziona19 20 Ibidem. Ibidem. 346 LUCIANO MONZALI listi e dei fascisti) e al fine di convincerli a sostenere presso i loro seguaci la difficile scelta a favore delle opzioni per l’Italia. Nell’ambito di un atteggiamento di maggiore disponibilità del governo verso le esigenze dei dalmati italiani vi fu, il 20 agosto 1921, l’emanazione di un nuovo decreto sulla conversione delle corone austro-ungariche in lire in Dalmazia, che modificò alcune clausole del decreto del giugno 192121. Il nuovo decreto assicurava la conversione delle corone anche a quei dalmati del territorio annesso che avessero importi superiori ai limiti stabiliti per legge, al tasso di 7 centesimi per corona. Vi era poi la possibilità per il Ministero del Tesoro di provvedere alla concessione di speciali sussidi per i dalmati del territorio annesso e per i profughi delle regioni sgombrate. Fu poi aumentato il fondo previsto per la conversione delle corone da sessanta a ottanta milioni di lire22. L’esecutivo Bonomi concesse anche alcune agevolazioni economiche agli impiegati, agli insegnanti e agli studenti dalmati23. Un chiaro segnale della volontà del governo di Roma di assecondare in parte i desideri dei dalmati fu la conferma della decisione, già presa da Sforza, di sostituire al consolato di Spalato Amadori, inviso agli italiani locali e attaccato dalla stampa, con Carlo Umiltà. Il nuovo console creò un rapporto di amichevole collaborazione con i capi del partito italiano locale, in particolare con Antonio Tacconi, dimostrandosi maggiormente capace di svolgere una funzione di mediazione fra il governo e la minoranza. Nelle sue memorie, Umiltà ci ha lasciato una descrizione della Dalmazia all’inizio degli anni Venti, nella quale, a suo parere, nonostante le lotte nazionali e le strumentalizzazioni di alcuni gruppi estremisti e pur tra vari dissidi politici, le differenti componenti nazionali della società dalmata riuscivano a convivere e a coesistere in maniera abbastanza pacifica. Effettivamente le secolari diatribe tra italiani e croati in Dalmazia non avevano mai impedito loro di vivere, collaborando al benessere e al progresso della regione; avevano in comune la religione e, in un certo senso, anche le due lingue, parlate promiscuamente e intese tutte e due da tutti e, specialmente, nelle città della costa, numerosissime famiglie si dicevano italiane o 21 Testo del regio decreto-legge del 20 agosto 1921, n. 1125, riprodotto in WILDAUER, I problemi economici, cit., pp. 85-86. 22 Ibidem. 23 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 12, Ministero della Pubblica Istruzione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero degli Esteri, 29 agosto 1921; ivi, b. 20, Salata al console italiano a Spalato, 20 agosto 1921. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 347 croate senza una decisa convinzione, in quanto che gente dai nomi italianissimi professava sentimenti croati e viceversa e in non poche famiglie alcuni membri si dicevano italiani, altri croati e, infine, non erano rari i matrimoni che univano famiglie e nomi di persone di sentimenti contrari24. Umiltà cercò di conquistarsi la fiducia dei notabili italiani di Spalato e di mediare fra il governo di Roma e i capi della minoranza, puntando a convincere questi ultimi a favorire le opzioni in cambio dell’impegno dell’Italia a ottenere da Belgrado alcune garanzie a loro vantaggio. Il 4 agosto il console scrisse al Ministero degli Esteri consigliando di affrettare la definizione degli accordi italo-iugoslavi circa il problema delle opzioni e la questione delle scuole: ciò al fine di evitare il riesplodere delle lotte nazionali in Dalmazia. Chiarire le condizioni, la forma e le conseguenze giuridiche delle opzioni avrebbe avuto «l’effetto immediato di tranquillizzare l’elemento italiano e di porlo in grado di provvedere stabilmente al proprio avvenire»25. Consentire l’apertura di scuole italiane prima dell’inizio del nuovo anno scolastico avrebbe contribuito non poco a salvare la lingua italiana in Dalmazia «poiché […] qualora, non essendovi scuole italiane, tutti i bambini fossero costretti a frequentare le scuole croate, sarebbe poi quasi impossibile fare loro abbandonare, ad anno incominciato, quest’insegnamento, per attirarli nelle scuole italiane che eventualmente si aprissero»26. Fondamentale, a parere di Umiltà, era la specificazione del contenuto dell’articolo VII del trattato di Rapallo attraverso nuovi accordi specifici con il governo di Belgrado27. Risultato dei suoi contatti con i capi della minoranza fu un progetto di schema di convenzione che Umiltà inviò alla Legazione italiana a Belgrado e al Ministero degli Esteri a Roma il 12 sett. 192128. Questo progetto di con24 UMILTÀ, op. cit., p. 26. 25 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Umiltà al Ministero degli Esteri, 4 agosto 1921. Ibidem. 27 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Umiltà al Ministero degli Esteri, 3 settembre 1921. 28 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 12, Umiltà a Legazione italiana a Belgrado e a Ministero degli Esteri, 12 settembre 1921, con allegato. Questo era il progetto: «1) L’opzione per la cittadinanza italiana prevista dall’art. VII n. 2 del Trattato di Rapallo verrà esercitata davanti all’autorità politica e consolare italiana del luogo ove risiede l’optante e communicata allo Stato S.H.S. dal quale verrà presa notizia. 2) Le persone le quali entro il termine contemplato dal suddetto art. opteranno per la cittadinanza italiana, continuando a rimanere in paese, non decaderanno perciò dal diritto di esercitarvi quelle arti, mestieri, professioni ed industrie di cui fruivano al momento del crollo della Monarchia a.u., in base a titoli acquisiti sotto il regime di questa o a titoli ritenuti equipollenti a sensi dell’art. VII n. 3 del Trattato di Rapallo, quand’anche a tale scopo sia di regola richiesta la cittadinanza del paese. 3) Il li26 348 LUCIANO MONZALI venzione mirava a specificare, a vantaggio della minoranza, l’applicazione dell’articolo VII del trattato di Rapallo e rispondeva al «minimo di aspirazioni» dei dirigenti degli italiani dalmati. Pur presentando questo progetto, Umiltà si dimostrò scettico circa la possibile applicazione di parti di esso. Difficilmente il governo iugoslavo avrebbe accettato l’articolo II, che prevedeva il riconoscimento di diritti professionali, quali, ad esempio, l’avvocatura, per gli optanti. L’uso della lingua italiana negli uffici pubblici era, secondo il console, ormai impossibile. Il continuo esodo degli elementi italiani e la continua assunzione da parte del nostro Governo d’impiegati dalmati di lingua italiana, hanno completamente spopolato questi Uffici pubblici di personale italiano. I posti vacanti sono stati coperti da croati e serbi che ignorano la nostra lingua, mentre i pochi italiani rimasti non desiderano che andarsene dall’ambiente abituale divenuto per loro completamente estraneo, se non ostile. L’uso quindi della lingua italiana negli Uffici e nella vita pubblica qui è già praticamente ormai impossibile per fatto, se non per colpa, degli italiani di qui e del nostro Governo29. In realtà il Ministero degli Esteri italiano non mostrò grande fretta nell’aprire e nel condurre negoziati con la controparte iugoslava sul- bero uso della propria lingua ed il libero esercizio della propria religione, di cui all’art. VII n. 2 del Trattato di Rapallo, avranno per coloro che opteranno per la cittadinanza un contenuto in nessun caso inferiore a quello contemplato dal Trattato accettato dallo Stato S.H.S. con dichiarazione di Parigi 5 dicembre 1919 a favore delle minoranze etniche nel proprio territorio. In particolare, in basi ad entrambi le suddette disposizioni: a) L’uso della lingua italiana negli uffici e nella vita pubblica in Dalmazia sarà consentito nella misura prevista dalle leggi e dalle ordinanze austriache che erano in vigore in questa provincia al momento del crollo della Monarchia a.u. b) Nelle città e borgate maggiori della Dalmazia potranno venir istituite scuole elementari italiane di Stato, alle quali potranno indistintamente accedere cittadini italiani e cittadini dello Stato S.H.S. con esonero dall’obbligo di frequentare le pubbliche scuole del paese; tanto in queste scuole, quanto nelle eventuali scuole private italiane da istituirsi in Dalmazia saranno ammessi docenti abilitati nelle scuole normali del Regno d’Italia. 4) La facoltà di conservare il possesso di beni immobili prevista dall’articolo 3 del Trattato accettato dallo Stato S.H.S. con dichiarazione di Parigi 5 dicembre 1919, competerà indistintamente tanto a quelli che, optando per la cittadinanza italiana, abbandonino il paese, quanto a quelli che continuino a rimanervi valendosi della facoltà prevista dall’art. VII n. 2 del Trattato di Rapallo, ed implicherà la conseguenza che essi non potranno venir privati e limitati nel relativo possesso, come fruito al momento del crollo della Monarchia a.u., per disposizione della legislazione interna dello Stato S.H.S., senza che sia loro prestato un pieno indennizzo. 5) Coloro che optando per la cittadinanza italiana intendano abbandonare il paese potranno, senza limitazione di tempo, asportar la propria sostanza mobile, libera da ogni diritto d’uscita e percepire pure senza alcuna limitazione all’estero le rendite della propria sostanza immobile». 29 Ibidem. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 349 le opzioni e su eventuali garanzie a favore della minoranza italiana dalmata. Fra la fine di luglio e l’inizio dell’agosto 1921 il governo di Roma si limitò ad emanare alcune istruzioni circa i documenti richiesti al fine di ottenere l’opzione per la cittadinanza italiana30; si stabilì poi che sarebbe stata riservata al Commissariato civile di Zara la competenza a decidere sulle dichiarazioni di opzione per la cittadinanza italiana dei dalmati di nazionalità italiana residenti nella Dalmazia non annessa o altrove all’estero, mentre le richieste d’opzione sarebbero state raccolte dalle varie rappresentanze diplomatiche e consolari31. Ma, nonostante le sollecitazioni provenienti dai consolati in Dalmazia32, per vari mesi Della Torretta non aprì una discussione con Belgrado sul concreto svolgimento delle opzioni nel Regno SHS. Il ministro uscì dal suo torpore solo alla fine di ottobre. Il 22 ottobre 192133 Umiltà riferì che a Zara il Commissariato civile aveva cominciato a pubblicare liste di connazionali dalmati ai quali era stata riconosciuta la cittadinanza italiana in seguito ad opzione; questo fatto gli era stato fatto notare dal governatore della Dalmazia iugoslava. Questo Governatore mi ha fatto osservare che nella questione opzione i 30 Questi erano i documenti richiesti per l’opzione: «1. atto di nascita dell’optante, se questi è celibe (nubile); 2. se invece è ammogliato, stato di famiglia dal quale risultino la data e il luogo di nascita dell’optante, dell’altro coniuge e dei discendenti; 3. certificato, dal quale risulti l’attuale pertinenza con la data e il modo di acquisto e quella anteriore o degli ascendenti; 4. l’abitazione dell’optante e se questi non risiede entro i confini del Regno, l’indicazione di una persona, domiciliata in un Comune delle nuove Provincie, alla quale possano venir fatte le eventuali notifiche; 5. per coloro che hanno servito nel R. Esercito o loro discendenti un certificato di congedo o di benservito; 6. per coloro che non hanno il domicilio entro i confini del Regno, un atto di notorietà esteso presso la nostra autorità consolare del territorio in cui l’optante ha il domicilio e firmato da quattro testimoni, i quali attestino che il richiedente è di nazionalità italiana per discendenza, origine e lingua d’uso; (per coloro che hanno trasferito il domicilio in un Comune del Regno, tale atto va esteso presso un Ufficio municipale). Si fa presente che possono agire indipendentemente nell’opzione soltanto le persone che il giorno 18 gennaio 1921 abbiano raggiunto il 18° anno d’età. L’opzione del marito implica quella della moglie e quella dei genitori l’opzione dei discendenti minori di 18 anni»: (ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 47, Commissariato civile di Zara al console italiano a Sebenico, 5 agosto 1921). 31 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 22, Salata al Ministero degli Esteri, 9 agosto 1921. 32 Ad esempio: ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 22, Consolato italiano in Ragusa al Ministero degli Esteri, 30 agosto 1921. 33 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 22, Umiltà a Della Torretta, 22 ottobre 1921. 350 LUCIANO MONZALI due Governi non sono ancora d’accordo. Pertanto se nessun inconveniente potrà nascere per gli optanti che sono partiti dalla Dalmazia, le contestazioni saranno infallibili per gli optanti di nazionalità contestata specialmente per quelli che rimangono in Dalmazia34. Per evitare inconvenienti Umiltà ribadì l’urgenza di iniziare trattative su questo argomento con il governo di Belgrado. Sempre in quei giorni si svolse la Conferenza economica di Porto Rose35. In questa occasione, Rybar, capo della delegazione iugoslava, chiese al funzionario italiano Righetti, già membro della Commissione economica italo-iugoslava, se fosse possibile riprendere le trattative bilaterali su Zara e sulla Dalmazia separatamente dagli altri problemi del contenzioso fra i due Paesi36. Sotto la pressione degli eventi, il Ministero degli Esteri italiano diede istruzioni al ministro plenipotenziario a Belgrado, Manzoni, di affrontare il problema della ripresa dei negoziati sulla Dalmazia e dell’applicazione delle opzioni con le autorità iugoslave. L’8 novembre Manzoni rilevò di avere chiesto più volte al Ministero istruzioni specifiche e la documentazione necessaria per aprire negoziati su tale problema nei mesi passati, senza però ottenere risposta da Roma37. Nei giorni successivi il diplomatico italiano ebbe numerosi colloqui con Popovic!, vice ministro degli Affari Esteri e uomo di fiducia di Pas#ic!. Popovic! ribadì il punto di vista del governo di Belgrado sull’applicazione del trattato di Rapallo. Il signor Popovich – riferì Manzoni – iniziò il primo colloquio col suo solito ritornello che il Trattato di Rapallo è un «Trattato di evacuazioni e di Commissioni», un Trattato cioè in cui le obbligazioni sono essenzialmente per una delle parti contraenti, e le evacuazioni stabilite immediatamente ed incondizionatamente esecutive, mentre tutte le altre decisioni previste dal Trattato (le quali sono quelle che più particolarmente interessano noi) verranno dopo. Poi, ha chiesto l’immediata evacuazione della città di Susak. La avvenuta regolarizzazione delle cose a Fiume, egli ha detto, toglie ogni giustificazione alla continuazione dell’occupazione da parte delle truppe italiane di quella città: non potete più rimanervi: evacuate dunque: questo vostro atto ristabilirà la fiducia tra i due Paesi e permetterà tutte le altre esecuzioni del Trattato38. 34 Ibidem. riguardo: MARSICO, op. cit. 36 ASMAE, Carte Salata, b. 206, Righetti a Salata, 27 ottobre 1921. 37 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 12, Manzoni al Ministero degli Esteri, 8 novembre 1921. 38 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 12, Manzoni al Ministero degli Esteri, 14 novembre 1921. 35 Al GLI ITALIANI DI DALMAZIA 351 Manzoni ribadì la volontà del governo di Roma di procedere all’applicazione complessiva del trattato, compresa la regolazione dei diritti della minoranza italiana in Dalmazia. Alla richiesta di evacuazione della terza zona dalmata egli oppose la necessità di regolare previamente i rapporti economici e giuridici fra Zara e il suo retroterra. Alla fine dei colloqui, Manzoni riassunse la posizione del governo di Belgrado circa la ripresa dell’esecuzione di Rapallo in tre punti: 1°) le Commissioni di delimitazioni riprendano i loro lavori; 2°) si cominci colle evacuazioni dovute e da quella della città di Sussak; 3°) si riprendano i lavori delle Commissioni Economica e Culturale. Aggiungo che è ben inteso che contemporaneamente si discuteranno e risolveranno tutte le questioni relative alla esecuzione dell’art. 2 e dell’art. 7 n. 2 del Trattato di Rapallo39. In una lettera personale a Della Torretta, Manzoni sottolineò l’urgenza di ricreare fiducia verso l’Italia a Belgrado. In tutte le conversazioni avute con uomini politici, anche notoriamente nelle disposizioni dello spirito del Trattato di Rapallo, […] sento ripetere che noi non diamo la sensazione di voler risolutamente eseguire quel Trattato e che ciò ha fatto nascere un senso di diffidenza a riguardo nostro. Il quale tanto più facilmente si è manifestato quando sono intervenuti altri avvenimenti pei quali si è avuta qui la sensazione che l’Italia mutasse la sua politica andando verso atteggiamenti non concordanti cogli interessi di questo paese. Il signor Popovich mi ha detto che il prezzo del chiarimento è l’evacuazione di Susak. Se lo fate subito, ha detto, la fiducia rinascerà. […] Qui, colla situazione interna e parlamentare assai complicatesi in questi ultimi tempi; col consequente bisogno di attenuare l’opposizione croata in materia di politica interna e politica estera ed anche di una parte dei Serbi in punto di politica estera, si dice di aver bisogno di un atto nostro per poter arrivare a tutti gli accordi a cui il Trattato di Rapallo dovrebbe condurre. Ed io credo che in ciò vi è del vero, e che è nostro interesse aiutare, in quanto gli interessi nostri lo consentono, il Pasich nella sua opera, perché è essenzialmente con lui, l’uomo più autorevole di questo paese, che possiamo intenderci40. Di fatto le richieste iugoslave mettevano in grave difficoltà Bonomi 39 40 1921. Ibidem. ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 12, Manzoni al Ministero degli Esteri, 14 novembre 352 LUCIANO MONZALI e Della Torretta, il cui governo era troppo debole sul piano interno e di fronte alle destre fascista e nazionalista per permettersi di procedere con le evacuazioni adriatiche. Della Torretta, poi, aveva abbandonato la politica di Sforza, per cercare di affermare l’influenza dell’Italia in Ungheria, in Austria e in Albania. Le idee di Della Torretta e l’interesse di Bonomi a soddisfare i gruppi fascisti e nazionalisti con concessioni in politica estera, provocarono un’evoluzione della politica estera italiana in senso anti-iugoslavo. La politica italiana in Albania – proprio in novembre l’Italia otteneva con la firma della dichiarazione della Conferenza degli ambasciatori sugli interessi italiani in Albania la conferma internazionale del proprio ruolo in quella regione41 –, a Fiume e circa la controversia del Burgenland, erano elementi che ponevano Roma e Belgrado in una posizione di contrasto. Un’inevitabile conseguenza di tutto ciò fu una sostanziale stasi nei rapporti bilaterali fra i due Paesi fra la fine del 1921 e l’inizio del 1922, con nessun progresso nell’applicazione del trattato di Rapallo42. Riguardo alla gestione dei rapporti con la Iugoslavia, il diplomatico francese Charles-Roux riferì al suo governo dell’esistenza di un forte contrasto fra Della Torretta e Contarini, con quest’ultimo, favorevole a buoni rapporti con Belgrado, pronto alle dimissioni perché contrario all’indirizzo politico seguito dal ministro degli Esteri43. Le difficoltà nei rapporti italo-iugoslavi, l’ambiguità dell’atteggiamento dell’esecutivo Bonomi-Della Torretta verso la minoranza italiana dalmata, e l’azione incoerente della Consulta verso il problema delle opzioni, provocarono una crescente tensione fra il governo di Roma e i capi politici degli italiani della Dalmazia iugoslava. Della Torretta era desideroso di ottenere il massimo numero possibile di opzioni a favore dell’Italia a qualunque costo per ragioni di prestigio, mentre i capi del- 41 Al riguardo: MICHELETTA, op. cit., II, pp. 483-493; AMEDEO GIANNINI, L’Albania dall’indipendenza all’unione con l’Italia (1913-1939), Milano, 1940; PIETRO PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927. Origini diplomatiche del Trattato di Tirana del 22 novembre 1927, Firenze, 1967, pp. 14-18. 42 All’inizio di dicembre Manzoni, in collaborazione con i consoli italiani di Spalato e di Sebenico, redasse un elenco delle questioni da risolvere per l’applicazione degli articoli 2 e 7 del trattato di Rapallo e un progetto di convenzione per definire l’equa ripartizione dei beni provinciali e comunali di Zara e del circostante territorio. L’iniziativa, però, rimase priva di applicazione concreta: ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1306, Manzoni a Della Torretta, 9 dicembre 1921, con allegati. 43 AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol. 80, Charles-Roux al ministro degli Esteri, 16 febbraio 1922. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 353 la minoranza italiana in Dalmazia, consapevoli dei rischi che l’opzione per l’Italia comportava, chiedevano garanzie a proprio vantaggio, minacciando in caso contrario la rinuncia all’opzione per la cittadinanza italiana. Di fronte all’impossibilità o alla scarsa volontà del governo di Roma di offrire risposte concrete a molte richieste dei dalmati, i capi della minoranza rimasero a lungo dubbiosi sull’opportunità di optare per la cittadinanza italiana. Per gli italiani dalmati la scelta fra la cittadinanza italiana e quella iugoslava era difficile: assumere la cittadinanza italiana significava separarsi giuridicamente e politicamente dal resto della società dalmata; si andava poi incontro a innumerevoli problemi sul piano giuridico e professionale, come dimostrò il grave problema della libera attività professionale degli avvocati italiani. Una parte significativa degli italiani dalmati preferiva la cittadinanza iugoslava al fine di non subire intralci e discriminazioni nella propria vita professionale e sociale: ma facendo ciò perdeva la possibilità di un’effettiva tutela dei propri diritti linguistici e nazionali, e accettava implicitamente la futura assimilazione da parte croata. Il 21 novembre Umiltà informò Roma del crescere dell’ostilità della stampa dalmata iugoslava verso le opzioni44. Il diffondersi fra la comunità italiana di Spalato di timori circa le conseguenze giuridiche dell’opzione per la cittadinanza italiana creava confusione. Il console chiese al governo di Roma di poter assicurare agli italiani spalatini che gli optanti sarebbero rimasti liberi di esercitare qualunque professione e commercio: tali assicurazioni erano necessarie per tranquillizzare coloro che avevano già optato e per incoraggiare quelli che avevano intenzione di optare45. La stampa iugoslava sfruttò non poco questi timori che angosciavano gli italiani dalmati. Il «Novo Doba», il principale giornale di Spalato, pubblicò il 15 dicembre 1921 un articolo, minaccioso ma realistico nelle previsioni, sulla questione delle opzioni46. L’anonimo articolista riconosceva l’esistenza di una popolazione italiana a Spalato e l’invitava a scegliere la cittadinanza iugoslava e a diventare a tutti gli effetti talijani domac!i e non talijani strani. La scelta della cittadinanza italiana avrebbe fortemente aggravato la posizione dei dalmati di lingua italiana, privandoli di diritti elettorali passivi e attivi, rendendo impossibile l’accesso agli impieghi pubblici, impe44 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 22, Umiltà a Ministero degli Esteri, 21 novembre 1921. 45 Ibidem. «Novo Doba», 15 novembre 1921, Posljedice prava opcije. (“talijiani domac!i”, “talijiani strani”). 46 354 LUCIANO MONZALI dendo loro di svolgere certe professioni private come ingegneri, medici, ecc., e ostacolando ogni loro attività industriale. Più conveniente, invece, era scegliere la cittadinanza iugoslava, che avrebbe garantito l’eguaglianza di diritti con il resto della popolazione e la possibilità di tutelare in ogni caso la cultura italiana. L’ostilità iugoslava a un ampio numero di opzioni per l’Italia era uno degli elementi di una nuova situazione politica in Dalmazia e nei rapporti fra Roma e Belgrado. Dopo il trattato di Rapallo, come abbiamo visto, per molti mesi si era avuto un miglioramento dei rapporti politici italo-iugoslavi e pure la tensione nazionale in Dalmazia si era in parte affievolita. Rappresentante di una politica di distensione verso l’elemento italiano in Dalmazia era stato il dalmata serbo Uros Desnica, vicepresidente del governo provinciale. Desnica, però, era stato sostituito ed era ricominciato un periodo di tensioni nazionali. Il suo successore, Stevo Metlic#ic!, zaratino, abituato a vivere in mezzo all’elemento italiano, era ritenuto dai dalmati italiani un potenziale continuatore della politica benevola e conciliante di Desnica; ma pochi giorni prima della sua venuta a Spalato fu aggredito e malmenato da un gruppo di fascisti italiani, a pochi passi dalla sua casa a Zara. Di fatto il suo arrivo al governatorato a Spalato coincise con la ripresa delle ostilità contro gli italiani47. Il peggioramento della situazione in Dalmazia era motivato anche dall’involuzione dei rapporti fra l’Italia e il governo di Belgrado. A partire dall’autunno le autorità governative dalmate diventarono più restie a facilitare la soluzione di piccole controversie, presentandosi zelanti nell’applicazione della legge anche quando ciò rendeva meno facili le relazioni fra italiani e croati. Nell’ottobre 1921 Umiltà constatò pessimisticamente a questo riguardo: In questo poco tempo sono sorte le questioni dell’apertura della scuola italiana a Spalato, dell’istituzione di una parrocchia italiana […] e dell’uso della lingua italiana da parte di questi connazionali, sia nei tribunali, che nelle pratiche d’ordine amministrativo. Tale uso viene da qualche settimana sempre più ristretto nelle cause giudiziarie e addirittura negato nelle trattazioni amministrative, mentre la stampa ha iniziato e continua sempre aggravandola, una campagna contro l’uso della lingua italiana, che fino ad ora era adoperata anche dalla maggior parte della popolazione croata, campagna che è arrivata perfino a questo estremo di vietare alle musiche e ai concerti e nei 47 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 12, Umiltà a Ministero degli Esteri e Legazione italiana a Belgrado, 24 ottobre 1921. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 355 caffè e nei cinematografi, e nei pubblici ritrovi di suonare brani di autore italiano. Tale stato di cose porta come conseguenza che fino a tanto che gli italiani si limitano a non dar segno di vita, a optare e a partire come profughi, tutto è relativamente tranquillo. Ma non appena o i connazionali o il Consolato o le circostanze portano a sfiorare una qualunque questione che anche da lontano accenni ad una sia pur modesta affermazione o tentativo di affermazione di italianità, allora governo, stampa, clero ed elemento croato, capeggiati dai fascisti locali – che non hanno niente da invidiare ai loro colleghi d’Italia – sono concordi e uniti a intralciare, impedire, soffocare sia coi pretesti, che con le tergiversazioni, le intimidazioni e la violenza, qualunque continuazione o nuovo tentativo d’italianità48. In questo contesto di crescente difficoltà, era arduo per i capi italiani consigliare a cuor leggero ai propri connazionali di optare per la cittadinanza italiana. Le diffidenze e i dubbi di molti dalmati italiani resero incerto il numero delle opzioni a favore dell’Italia per vari mesi. Il 24 novembre Umiltà ricordò l’interesse dell’Italia a spingere gli italiani spalatini, che avevano nelle loro mani il controllo di una parte importante delle attività industriali e commerciali della Dalmazia centrale, ad optare per la cittadinanza italiana: Il ritardo nell’opzione di questi elementi, che tanto peso hanno nella vita economica del paese e che tanto vantaggio darebbero all’Italia se divenissero nostri cittadini, deve attribuirsi alla ancora non definita situazione di questi italiani che, dopo l’opzione, rimarranno in Dalmazia. Finora hanno approfittato di tale diritto quelli che sono partiti e molti operai, contadini e piccoli negozianti, che non hanno gran che da temere nelle eventuali rappresaglie delle autorità jugoslave. Mentre i grossi proprietari di terreni e di case, i grandi commercianti e i grandi industriali sono ancora titubanti se optare o meno49. Il console rilevò che, nel novembre 1921, i capi italiani di Spalato avevano ancora molte remore sulla scelta dell’opzione a favore dell’Italia e non si ritenevano pienamente tutelati e compresi dal governo di Roma. Tacconi e Pezzoli si sarebbero prossimamente recati a Roma per negoziare e ottenere maggiori concessioni e tutele a favore della minoranza. Umiltà ricordò al governo che senza l’invito dei ca- 48 Ibidem. ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 12, Umiltà a Ministero degli Esteri e Legazione italiana a Belgrado, 24 novembre 1921. 49 356 LUCIANO MONZALI pi del Fascio Nazionale la maggior parte degli italiani spalatini non avrebbe scelto la cittadinanza italiana. I due avvocati, Pezzoli e Tacconi, hanno si può dire in mano tutta la massa degli italiani di questa regione, i quali, seguendo le direttive date loro dai due predetti Signori, si riservano di optare solo al loro ritorno, quando cioè, come sperano, avranno la sicurezza che le loro proposte saranno definitivamente accolte50. Umiltà mise in guardia il governo di Roma dal sottovalutare l’importanza dei futuri negoziati con Pezzoli e Tacconi. Allo scopo perciò di non far cadere proprio l’ultimo giorno tutta la massa degli optanti, mi permetto di raccomandare a Vostra Eccellenza che nelle conversazioni coi Signori Pezzoli e Tacconi, vengano dati loro possibilmente pochi ma sicuri affidamenti, in maniera da non ripetere la già dolorosa storia di ampie promesse, che non si sono poi mai potute mantenere e che hanno prodotto in questi dirigenti una impressione sfavorevole sui provvedimenti del nostro Governo, impressione che ha poi avuto il suo contraccolpo nel farci perdere qui molte simpatie e non poche possibili opzioni51. Alla fine di novembre i Fasci Nazionali Italiani della Dalmazia prepararono due ulteriori memoriali, elencando nuovamente le loro richieste52. Essi erano preoccupati per le possibili conseguenze economiche e giuridiche delle opzioni, col rischio di perdere il possesso delle proprietà o il diritto di svolgere certe professioni (ingegneri, geometri, avvocati, medici, farmacisti) o determinate attività nel campo del commercio e dell’industria. Desideravano che il governo di Roma garantisse la sopravvivenza giuridica delle associazioni e delle istituzioni italiane, nonché il libero uso della lingua italiana53. I Fasci Nazionali Italiani, poi, chiedevano sostegno economico governativo per i dalmati che si recavano a studiare in Italia e per i profughi. Per questi ultimi, il governo doveva continuare a garantire un forte sostegno economico. Tacconi e Pezzoli, in particolare, contestarono la re- 50 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 12, Umiltà a Ministero degli Esteri, 14 novembre 1921. 51 Ibidem. UNP, b. 73, I FASCI NAZIONALI ITALIANI DELLA DALMAZIA, Osservazioni ed aggiunte al Memoriale prodotto dai Fasci Nazionali Italiani della Dalmazia nel luglio 1921 a S.E. il ministro degli Affari Esteri, 26 novembre 1921. 53 Ibidem. 52 ACS, GLI ITALIANI DI DALMAZIA 357 cente decisione governativa di limitare le agevolazioni economiche soltanto a quei profughi dalmati «che sarebbero stati costretti ad abbandonare le loro sedi in seguito a persecuzione»54. Tale atteggiamento del governo italiano, per Tacconi e Pezzoli, era del tutto ingiustificato poiché «gli esodi per lo più avvengono non già in seguito ad avvenimenti particolari a danno dei singoli, ma in seguito alla situazione generale sorta nella Dalmazia assegnata allo Stato SHS, per cui molti degli italiani si trovano per ragioni economiche e morali indotti ad abbandonare le proprie sedi»55. Nella prima metà di dicembre si svolsero a Roma alcuni colloqui fra Tacconi, Pezzoli, Krekich, Contarini, Manzoni, Umiltà, e De Angelis. Da un successivo rapporto di Manzoni56, sappiamo che Tacconi e Pezzoli chiesero al governo italiano chiarimenti su vari aspetti concernenti le opzioni e la situazione degli italiani optanti e di quelli che non avrebbero optato, senza essere pienamente soddisfatti dai chiarimenti ricevuti. Ma la natura degli Italiani dalmati – rilevò Manzoni – è forse stata resa troppo sensibile, troppo diffidente, dalla lunga, astiosa lotta sostenuta contro tutti gli avversari che l’Austria avventava contro di loro. Non mi meravigliò quindi che l’Avv. Tacconi, che più dell’Avvocato Pezzoli dimostrò di aver subito l’influenza dell’ambiente dalmata, pur riconoscendo la giustezza di quasi tutte le vedute da me espostegli sui problemi esaminati in comune, terminasse dicendo che la conoscenza che egli aveva dell’anima croata jugoslava del litorale e dei politicanti jugoslavi del centro e della periferia, era tale che egli doveva continuare a vivere nella diffidenza circa la futura sorte degli italiani optanti che rimanevano in territorio jugoslavo, e non poteva perciò consigliarli ad optare57. Il governo Bonomi continuò a studiare le richieste dei dalmati italiani. Ma l’applicazione di eventuali garanzie per la minoranza italiana nel campo professionale e riguardo alle proprietà dipendeva dal consenso del governo iugoslavo ed un negoziato con questo a tale proposito venne intrapreso solo nella primavera del 1922, nelle conversa- 54 ACS, UNP, b. 73, I FASCI NAZIONALI ITALIANI DELLA DALMAZIA, Osservazioni ed aggiunte al Memoriale prodotto dai Fasci Nazionali Italiani della Dalmazia nel luglio 1921 a S.E. il presidente del Consiglio dei Ministri, 28 novembre 1921. 55 Ibidem. 56 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 12, Manzoni al Ministero degli Esteri, 3 gennaio 1922. 57 Ibidem. 358 LUCIANO MONZALI zioni italo-iugoslave di Santa Margherita. Il governo italiano scelse di procedere unilateralmente nella raccolta delle domande di opzioni in Dalmazia58, ponendo gli italiani di Dalmazia di fronte ad una scelta radicale: l’opzione per la cittadinanza italiana o il possesso di quella iugoslava. Infatti il 13 dicembre Della Torretta inviò una circolare ai consoli in Dalmazia che ribadì che il termine utile per optare scadeva la sera del 1° febbraio 1922 e riassumeva i criteri per stabilire la «qualità d’“Italiano”» secondo l’articolo VII del trattato di Rapallo59. Dalla corrispondenza consolare sappiamo che ancora poche settimane prima della scadenza del termine delle opzioni tanti erano i dubbi e le incertezze nelle collettività italiane dalmate sul da farsi. Il 31 dicembre 1921 il consolato a Ragusa segnalò che in Dalmazia meridionale il numero di domande di opzione per la cittadinanza italiana era alquanto inferiore ad ogni previsione: Ciò è dovuto, superfluo il dirlo, alla situazione stagnante dei nostri rapporti con la Jugoslavia: tuttora mancata precisione della portata dell’art. VII del Trattato di Rapallo, conseguente stato di animo di questa popolazione italiana, portata, in base anche a certi inattesi indizi e a voci tendenziose qui diffuse (diniego delle patenti industriali, probabile mancanza di garanzie circa la facoltà di mantenere la pristina pertinenza, con conseguente possibilità di sfratto, ecc.) a ravvisare l’avvenire con occhio pessimistico60. A Ragusa molti italiani, che in precedenza avevano manifestato intenzione di optare, erano ormai decisi a rimanere cittadini iugoslavi, 58 Al riguardo: ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 22, Umiltà al Ministero degli Esteri, 10 gennaio 1922. 59 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 22, Della Torretta ai consoli in Spalato, Sebenico, Ragusa e agli agenti consolari in Veglia e Curzola, 13 dicembre 1921, con allegato, in minuta, intitolato Criterii per stabilire la qualità di “Italiano” per l’art. VII del trattato di Rapallo: Questi erano i criteri: «1°) La nazionalità sarà essenzialmente determinata dalla lingua d’uso, dalla notoria e costante manifestazione della persona optante, dalla sua volontà liberamente manifestata. 2°) Le modalità per l’opzione sono: 1. La domanda dell’optante, da rivolgersi alla competente autorità consolare, debitamente documentata (certificato di pertinenza, atto di nascita e stato di famiglia se trattasi di coniugato). 2. La redazione di un atto di notorietà, alla presenza e colla firma di 4 testimoni i quali attesteranno che l’optante è italiano in base ai criteri di cui al n.1. 3°) La trasmissione della domanda e dell’atto di notorietà al Commissario Civile di Zara per la sua decisione sulla richiesta di cittadinanza italiana. 4°) L’iscrizione sui registri dei nazionali del competente Consolato, delle opzioni accolte dal Commissario Civile di Zara, colla precisazione del Comune del Regno nel quale resta fissato il domicilio legale dell’optante». 60 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 22, Consolato italiano in Ragusa al Ministero degli Esteri, 31 dicembre 1921. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 359 «specie coloro che hanno interessi rilevanti da tutelare, per non esporsi a persecuzioni ed angherie»61. Sintomatico dei dubbi che continuavano a serpeggiare nelle comunità italiane della Dalmazia iugoslava fu il messaggio che Pezzoli e Tacconi inviarono a Della Torretta il 23 gennaio chiedendo ulteriori assicurazioni sul futuro degli optanti per l’Italia. Il governo iugoslavo e la stampa locale conducevano un’intensa campagna contro la scelta per l’Italia prospettando condizioni di vita difficilissime per gli optanti italiani: «Sottoscritti e numerosi migliori connazionali esercitarono già opzione. Altri molti perplessi affrontare incertezza situazione e intimidazioni avversari. Avendo anche recentemente avvenimenti riacutizzato situazione […] interessiamo vivamente V. E. adoperarsi con tutto impegno per conseguire prolungamento termine opzione»62. Nonostante le richieste della minoranza e le insistenze dello stesso Umiltà63 il termine dell’opzione non venne per il momento prolungato e prorogato. Della Torretta cercò di rassicurare Tacconi e Pezzoli comunicando loro che «efficaci pratiche per prolungamento termine opzione sono già in corso»64. Ma ciò non era vero poiché Manzoni da Belgrado, ricevuta copia della comunicazione del ministro, scrisse sbalordito a Della Torretta il 26 gennaio, pochi giorni prima della scadenza per le opzioni, che «nessuna istruzione mi era finora giunta per la proroga termine opzione. Eseguirò subito suoi ordini circa applicazione rimanente art. 7 attendendo istruzioni richieste ed intanto agisco a titolo personale»65. Alla fine, nonostante tanti dubbi e incertezze, Tacconi e Pezzoli si trovarono senza molte alternative: la scelta dell’opzione per la cittadinanza italiana era ormai inevitabile per quegli italiani che desideravano preservare un’autonoma identità culturale e nazionale. Per una minoranza fortemente indebolita dalla divisione della Dalmazia e dalla grave crisi economica che aveva colpito la regione dopo lo smembramento dell’Impero asburgico, la protezione dello Stato italiano era 61 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 22, Consolato italiano in Ragusa al Ministero degli Esteri, 12 gennaio 1922. 62 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 22, Pezzoli, Tacconi a Della Torretta, contenuto in Umiltà a Ministero degli Esteri, 23 gennaio 1922. 63 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 22, Umiltà a Ministero degli Esteri, 21 gennaio 1922. 64 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 22, Ministro degli Esteri a Consolato italiano a Spalato, 25 gennaio 1922. 65 ASMAE, GAB 1922-43, AF, b. 22, Manzoni a Ministero degli Esteri, 26 gennaio 1922. 360 LUCIANO MONZALI una risorsa ormai irrinunciabile, anche se i politici spalatini erano ben consapevoli che l’opzione era un ulteriore fattore d’indebolimento della comunità italiana, poiché la divideva fra cittadini iugoslavi ed optanti, con i primi privi di quella tutela politica, giuridica e culturale che il governo di Roma avrebbe potuto garantire. Tacconi e Pezzoli cedettero quindi alle richieste del governo di Roma e consigliarono agli italiani di Spalato di fare domanda per la cittadinanza italiana. Il 3 febbraio 1922 il console italiano a Spalato commentò così lo scadere del termine per le opzioni e il risultato di tale procedura: Fino a ieri 2 corrente ultimo termine secondo Trattato Rapallo per presentare domanda di opzione hanno presentato domanda in questo consolato oltre 900 famiglie. […] Nonostante campagna intimidatoria della stampa locale ed incidenti degli ultimi mesi gli italiani migliori per ricchezza e professione hanno optato mentre sono rimasti titubanti e finora non hanno optato in generale i piccoli negozianti. Malgrado ciò e comprendendo i regnicoli delle vecchie e nuove provincie abbiamo finora qui e nelle isole comprese nella giurisdizione di questo consolato un complesso di oltre cinquemila cittadini italiani che abbracciano i migliori proprietari di terre e di stabili, i più importanti commercianti coll’Italia e le più grandi industrie; se a ciò si aggiungono alcuni professionisti, due Banche importanti e la nostra linea regolare di navigazione [fra l’] Italia, la Grecia, l’Egitto, l’Asia Minore, il Mar Nero e l’Estremo Oriente nonché molti vapori e velieri straordinari, si può dire di essere in mano italiana quanto di meglio e di più importante vi è in questa parte della Dalmazia66. Secondo Umiltà era ora necessario raggiungere intese con il governo di Belgrado tali da permettere la sopravvivenza degli interessi italiani e la libertà di esercizio commerciale, industriale e professionale per questi nuovi cittadini italiani. Bisognava poi favorire una pacificazione politica e nazionale fra italiani e croati in modo da creare le condizioni per una proficua collaborazione culturale ed economica e per il potenziamento del commercio italo-iugoslavo: di tale avviso erano anche gli italiani spalatini più intransigenti, ormai persuasi a mutare la linea politica finora condotta67. In realtà, anche dopo la scelta dell’opzione, Tacconi e Pezzoli si mostrarono assai pessimisti sul futuro dei dalmati italiani in Iugoslavia. Il 5 febbraio inviarono un 66 ASMAE, 67 Ibidem. GAB 1923-43, AF, b. 22, Umiltà a Ministero degli Esteri, 3 febbraio 1922. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 361 messaggio a Della Torretta68 in cui rivendicarono ed esaltarono lo spirito patriottico che li aveva spinti a compiere la difficile scelta della cittadinanza italiana, chiedendo in cambio che il governo di Roma s’impegnasse maggiormente a difesa dei diritti della minoranza italiana in Dalmazia. Nostri connazionali di fronte necessità decidere fino 2 Febbraio riguardo proprio destino si risolsero tuttavia prevalentemente per l’opzione che venne esercitata da tutti elementi migliori e più consci. In seguito a tale passo compiuto per irrefrenabile slancio patriottico la situazione di molti nostri ragguardevoli connazionali e nostri vitali interessi sta per divenire oltremodo precaria. A professionisti e industriali si minaccia divieto continuare esercizio e possibilità ottenere crediti. Società anonime e consorzi sono messe di fronte pericolo non poter funzionare se tutti gli optanti venissero esclusi dai Consigli d’Amministrazione. Onde evitare che patriottismo italiano locale sia punito con rovina economica molte famiglie e cessazione istituti frutto di lunghe intelligenti attività e risparmio e che sia riaperta via a numerosi esodi e cancellata ultima traccia millenaria latinità questa sponda, sottoscritti interessano vivamente V.E. sollecitare e risolvere con la massima energia questioni invocate garanzie conseguendo frattanto che fino definitiva soluzioni questioni pendenti si soprassieda attuazione a danno optanti qualsiasi menomazione diritti loro finora in vari campi mantenuti69. Che giudizio dare sulle conseguenze delle opzioni nella storia degli italiani di Dalmazia? Scrivendo nel 1924, lo scrittore dalmata italiano Felice Baylon, nativo di Lesina, espresse un giudizio molto negativo sull’istituto delle opzioni: […] La sistemazione che si è data alla latinità della Dalmazia col «diritto di opzione», è pessima: il diritto di opzione significa semplicemente questo: che agli italiani della Dalmazia è riconosciuta la facoltà, se essi vogliano, di diventare stranieri nel proprio paese; significa adunque un danno per essi e un danno per l’Italia. Danno per essi, perché se anche si permette loro in deroga a precedenti analoghe stipulazioni, il sommo privilegio di non essere costretti ad abbandonare dopo l’opzione il luogo ove sono nati e vissuti e hanno lavorato fino a oggi, essi perdono non di meno il mezzo di pesare con la loro attività civica sulla vita e sugli ordinamenti politici ed am- 68 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 22, Pezzoli e Tacconi a Della Torretta, contenuto in Umiltà a Ministero degli Esteri, 5 febbraio 1922. 69 Ibidem. 362 LUCIANO MONZALI ministrativi del paese in cui, comunque ritenuti stranieri, conservano tutti i loro interessi e tutte le loro relazioni di affari e di affetti. Danno per l’Italia inquantoché questa si preclude la possibilità di potere esplicare, attraverso l’azione anche perfettamente legalitaria e lealistica dei figli suoi, una benefica influenza sulle sorti e sullo spirito della Dalmazia. L’opzione portò poi altri danni all’italianità della Dalmazia. Difatti moltissimi italiani, qualche migliaio, dopo aver optato, vendettero tutti i loro averi e si trasferirono a Zara, nell’Istria o nel Regno. L’opzione fu anche causa di una divisione fra italiani, poiché molti optarono, altri invece che non vollero diventare stranieri nella propria terra, non optarono70. In effetti, una conseguenza spesso dimenticata delle opzioni fu il prodursi di una lacerazione all’interno delle collettività italiane della Dalmazia: le opzioni indebolirono le comunità italiane dalmate dividendole al proprio interno fra optanti italiani e cittadini iugoslavi. Inoltre, dato il carattere prevalentemente politico-culturale delle ideologie nazionali diffuse nelle società urbane dalmate, la scelta dell’opzione portò alla divisione di molte famiglie. A Spalato, città caratterizzata da una forte mescolanza italo-slava, molte famiglie si spaccarono su questa scelta. Questo fenomeno fu assai diffuso; ci limitiamo a ricordare solo alcuni casi. Interessante è il caso dei Morpurgo, famiglia ebrea di lingua e cultura italiana, imprenditori e commercianti spalatini. Alcuni membri della famiglia, il commerciante Elio e il fotografo ed editore Luciano, optarono per l’Italia, altri, come ad esempio Vittorio, presidente della Comunità ebraica spalatina, e Eugenio, scelsero la cittadinanza iugoslava71. I Bettiza, importanti industriali italiani del cemento, si divisero pure al proprio interno: Marino Bettiza assunse la cittadinanza iugoslava, mentre i fratelli minori Vincenzo e Giovanni optarono per l’Italia72. Le opzioni divisero anche alcune delle famiglie spalatine a capo del nazionalismo iugoslavo e croato locale: Renato Tartaglia, fratello del sindaco di Spalato, Ivo, optò per la cittadinanza italiana ed emigrò poi a Trieste73. Altra importante fami70 BAYLON, Lo sviluppo economico della Dalmazia, cit., p. 98. 71 MARIANTONIETTA LANZILOTTI, I Morpurgo di Spalato, in Palestina 1927 nelle fotografie di Luciano Morpurgo, Roma, 2001, p. 75; LUCIANO MORPURGO, Caccia all’uomo! Vita sofferenze e beffe. Pagine di diario 1938-1944, Roma, 1946; ANNA MORPURGO, Ricordo di Vito Morpurgo, «Atti e memorie della società dalmata di storia patria», Roma, 2004, n. 6, pp. 253256. 72 Al riguardo: ENZO BETTIZA, La cavalcata del secolo. Dall’attentato di Sarajevo alla caduta del muro, Milano, 2000, p. 23; ID., Esilio, Milano, 1996, p. 30 e ss. 73 Una comunicazione del Ministero degli Interni italiano del 1930 (riprodotta in ASMAE, GLI ITALIANI DI DALMAZIA 363 glia nazionalista iugoslava erano i Grisogono: anche al loro interno vi furono alcuni, ad esempio l’ingegnere Armando Grisogono, che optarono per la cittadinanza italiana74. In generale, quindi, non tutti i dalmati italiani optarono per la cittadinanza italiana, ma una parte rilevante di essi scelse quella iugoslava. Circa il numero di dalmati che optarono per la cittadinanza italiana una fonte abbastanza attendibile è il censimento degli italiani all’estero nel 1927. Secondo questo censimento nel 1927 vi erano nella Dalmazia iugoslava 6.802 cittadini italiani. Le principali collettività italiane erano a Spalato (3.337), Veglia (1.062), Ragusa-Gravosa (660), Lesina (509), le Bocche di Cattaro (240), Sebenico (200) e Curzola (180)75. Riguardo all’entità numerica degli italiani dalmati che preferirono mantenere la cittadinanza iugoslava mancano dati precisi. Ma sulla base della documentazione diplomatica possiamo fare alcune stime. Nel 1929, nella città di Veglia, il vice console italiano affermava l’esistenza di 1.200 italiani: fra questi 900 circa erano optanti italiani, 300 cittadini iugoslavi76. Nella città di Spalato, dopo la guerra, il Fascio Nazionale Italiano locale dichiarò che vi erano circa 7.000 italiani madrelingua. Se nel 1927 erano presenti a Spalato 3.337 cittadini italiani – ai quali vanno aggiunti gli oltre mille spalatini italiani emigrati negli anni precedenti77 – ci pare di poter dire che gli italiani cittadini iugoslavi fossero fra i 2.000 e 3.000. La scelta della cittadinanza italiana provocò l’espulsione dei dalmati optanti da settori nevralgici della vita sociale e politica della Dalmazia, isolandoli e rendendoli più deboli economicamente, fortemente dipendenti dal governo di Roma. Nel 1929 Carlo Galli, miniAP 1919-30, Jugoslavia, b. 1370, Ministero degli Esteri al Consolato italiano di Spalato, 13 gennaio 1930) così descrive la personalità di Renato Tartaglia: «È cittadino italiano per opzione, in base al decreto prefettizio n. 13-B 15562 del 20 novembre 1923 e risulta di buona condotta morale e politica. Egli, a quanto consta, è in corrispondenza soltanto con la madre, residente a Spalato, ed usa per detta corrispondenza la lingua italiana. Dopo la guerra ha sempre professato idee d’italianità, pur non mostrandosi favorevole al Partito Nazionale Fascista». 74 ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1322, Consolato italiano a Spalato al Ministero degli Esteri, 7 agosto 1925; testimonianza di Petar Grisogono all’autore, 5 gennaio 2005, Split/Spalato. 75 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Censimento degli italiani all’estero alla metà dell’anno 1927, cit., p. 199 e ss. Questi dati sono usati anche da IVO RUBIC!, Les Italiens sur le Littoral du Royaume de Yougoslavie, Split, 1931. 76 ASMAE, Spalato, b. 257, Bonoldi alla Legazione italiana a Belgrado, 5 ottobre 1929. 77 A parere del console italiano a Spalato, Umiltà, fra il 1919 e il 1923 erano partite dalla città di Spalato 450 famiglie italiane e italofile, circa 1700 persone: Umiltà a Legazione italiana a Belgrado, 5 giugno 1923, cit. 364 LUCIANO MONZALI stro plenipotenziario a Belgrado, così descriveva le conseguenze dell’opzione per i dalmati italiani: […] L’istituto delle «opzioni» e la formazione della classe degli «optanti» ha dato luogo alla formazione di una nostra definitiva minoranza in Dalmazia, […] ma ha creato in pari tempo un gruppo sociale chiuso che come tutti i gruppi sociali chiusi è condannato ad emigrare o spegnersi lentamente78. In effetti, l’espulsione dei dalmati italiani optanti dalle più importanti strutture politiche e sociali della società dalmata e l’azione ostile del governo di Belgrado verso l’esistenza di questa minoranza indebolirono progressivamente le collettività italiane negli anni fra le due guerre. Il vantaggio dell’opzione consistette nella possibilità di usufruire della protezione giuridica che l’articolo VII del patto di Rapallo offriva, base sulla quale la minoranza italiana riorganizzò le proprie istituzioni culturali e politiche. Ma l’esistenza di un atteggiamento quasi costante di ostilità da parte delle autorità iugoslave costò agli italiani di Dalmazia un prezzo assai alto in termini di qualità delle condizioni di vita. 4.2. La minoranza italiana a Sebenico dopo l’esodo del 1921 La drammatica partenza della grande maggioranza degli italiani da Sebenico nel giugno 1921 inflisse un colpo durissimo alla comunità italiana locale, che si ridusse da mille persone a circa duecento. Quello che rimaneva dell’italianità sebenzana si strinse attorno al suo vecchio leader, l’avvocato Luigi Pini, già deputato alla Dieta provinciale dalmata prima del 1914, che rifiutò di abbandonare la sua città natia ed accettò l’avvento della sovranità iugoslava. Altre personalità che svolsero un ruolo politico in seno alla comunità italiana a Sebenico dopo il 1921 e fino alla seconda guerra mondiale furono Tullio Nicoletti, avvocato e possidente, Martino Caleb e Guglielmo Albl. Pini, Nicoletti e il viceconsole italiano a Sebenico, Mariano De Angelis, successore di Rocco79, furono i promotori della riorganizzazione della co- 78 DDI, VII, 7, d. 266, Galli a Mussolini, 19 febbraio 1929. Sebenico, arc. ord., b. 4, ROCCO, DE ANGELIS, Verbale di cessazione e di assunzione di servizio, 10 luglio 1921. 79 ASMAE, GLI ITALIANI DI DALMAZIA 365 munità dopo l’esodo. Lo sforzo primario dei dirigenti italiani sebenzani e del diplomatico, innanzitutto, fu rivolto a consentire la sopravvivenza della scuola italiana. Nel settembre 1920 la scuola privata italiana era stata trasformata in scuola pubblica statale promiscua, avente quattro classi e quattro insegnanti con 156 scolari80. Con la fine dell’occupazione italiana e l’esodo della grande maggioranza degli italiani sorse il problema di come riorganizzare la scuola e quale status giuridico darle. Nel luglio 1921 De Angelis informò il Ministero degli Esteri che l’anno scolastico della scuola si era chiuso con un drammatico calo di scolari, passati in pochi mesi da 162 a 29. Su un piano concreto, a parere di De Angelis e dei notabili italiani di Sebenico, la soluzione ottimale era mantenere funzionante la vecchia scuola, ancora esistente nei locali della Lega Nazionale, risolvendo successivamente il problema del suo status giuridico. Consigliabile era pure conservare i vecchi insegnanti della scuola. È opinione mia e dei notabili di questa nostra collettività, che, nella scelta degli insegnanti sia sempre preferibile far capo a sacerdoti, i quali, per la mentalità e l’educazione di questa popolazione, godrebbero anche fuori della scuola, di maggior prestigio e di più sicuro rispetto. Né, credesi, essi potrebbero venire osteggiati dal clero croato, che ormai non ha più quella forza che aveva sotto l’Austria; mentre, al contrario, la qualità di religiosi, potrebbe, occorrendo, anche porli sotto una qualche protezione dell’autorità ecclesiastica locale81. Secondo De Angelis, era necessario assumere un atteggiamento realistico sul futuro della scuola italiana a Sebenico. Sarebbe stato auspicabile che la scuola fosse proprietà dello Stato italiano, al fine di darle solide basi giuridiche ed organizzative. Bisognava poi rassegnarsi al fatto che alla scuola sarebbero andati solo i figli dei regnicoli e degli optanti rimasti, non certo quelli degli italiani con la cittadinanza iugoslava. Coloro che non hanno optato, si sono regolati così solamente sotto la prevalente pressione di ragioni di opportunità economiche, ragioni che persistono con tutto il loro peso anche nella questione della scuola. Dato il deciso atteggiamento anti italiano dell’elemento croato di Sebenico è certo che colo80 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 8, Appunto anonimo del Gabinetto del ministro dedicato al problema delle scuole italiane in Dalmazia, s.d. (ma primi mesi del 1921). 81 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 8, De Angelis a Ministero degli Esteri, 22 agosto 1921. 366 LUCIANO MONZALI ro che manderanno i figli alla scuola italiana saranno esposti a guerra senza quartiere: come è presumibile allora che accetti di sostenere questa guerra chi, appunto per evitarla non ha optato?82. Per ovviare al possibile ostruzionismo del governo di Belgrado, il Ministero degli Esteri preferì dare alle scuole italiane un carattere privato, giustificandone l’esistenza in quanto istituzioni già attive nell’epoca asburgica83. Fra la fine del 1921 e l’inizio del 1922, con il sostegno finanziario dell’Italia, ripresero la loro attività le scuole italiane di Sebenico, Lesina e Curzola84. A Sebenico la scuola fu organizzata in 4 classi, con un numero totale di 27 scolari, 8 maschi e 19 femmine. I due insegnanti, don Giovanni Bertone e Amedea Brelich, si dimostrarono soddisfatti dell’andamento dell’anno scolastico, pur rilevando le gravi difficoltà economiche che travagliavano la comunità italiana di Sebenico, problemi che costrinsero la scuola a fornire di vestiario alcuni studenti e alla concessione di sussidi in denaro ad alcune famiglie85. Oltre alla scuola, l’altro cardine fondamentale della comunità italiana a Sebenico era l’associazionismo. All’inizio del 1921 a Sebenico vi erano numerose associazioni italiane86, alcune delle quali esistevano da molti decenni. Fra queste vanno ricordate la «Società del Casino», frequentata dai ceti aristocratici e borghesi sebenzani, luogo di lettura di libri e giornali e d’intrattenimento e tradizionale roccaforte del partito autonomista, con 200 soci, e la «Società Operaia» avente finalità di mutuo soccorso per le classi lavoratrici, con oltre un migliaio di soci. Importanti erano pure la «Lega Nazionale», la «Società Italiana di Beneficienza», la «Biblioteca Popolare» e l’«Unione Donne Cattoliche d’Italia». Istituzione prevalentemente italiana era il «Teatro Mazzoleni», costruito su iniziativa dalle principali famiglie italiane ed autonomiste di Sebenico (Frari, Galvani, Marassovich, Mazzoleni, Difnico, Miagostovich, Nicoletti, Fenzi) negli anni Sessanta dell’Ottocento e società i cui azionisti erano ancora dopo la guerra in maggioranza 82 Ibidem. ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 8, Contarini a De Angelis, 11 agosto 1921; ibidem, De Angelis a Ministero degli Affari Esteri, 28 settembre 1921. 84 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 8, De Angelis a Ministero degli Esteri, 1° ottobre 1921; «?ivot» (Spalato), 16 novembre 1921, Otvaranjie talijanske s#kole. 85 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 8, GIOVANNI BERTONE, AMEDEA BRELICH, Relazione che presentano gl’insegnanti della Scuola elementare italiana in Sebenico per l’anno 19211922, 7 luglio 1922. 86 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 2, De Angelis alla Legazione italiana a Belgrado, 29 settembre 1921. 83 GLI ITALIANI DI DALMAZIA 367 italiani87. Il grave problema da risolvere era come mantenere vive queste associazioni ed istituzioni una volta che la maggior parte dei soci aveva abbandonato la Dalmazia con l’esodo del 1921. I capi della comunità italiana e il consolato s’impegnarono per garantire la sopravvivenza delle principali istituzioni, la «Società del Casino», la «Società Italiana di Beneficienza» e la locale «Lega Nazionale», che a metà degli anni Venti fu rifondata nella nuova denominazione di «Lega Culturale Italiana»88. L’elemento italiano riuscì a conservare una forte presenza nell’azionariato del Teatro Mazzoleni attraverso l’acquisizione da parte della Società del Casino di diversi palchi già appartenuti a italiani sebenzani emigrati in Italia89. Una caratteristica della comunità italiana di Sebenico era la sua forte fede religiosa cattolica. Dopo il 1921 divenne urgente garantire la libera pratica religiosa della minoranza attraverso la destinazione di una chiesa all’esercizio del culto nel rito liturgico latino e in lingua italiana. Nella collettività italiana sorsero speranze che il nuovo vescovo cattolico di Sebenico, monsignor Mileta, che era vissuto a Padova e a Roma per molti anni, instaurasse un rapporto equilibrato con l’elemento italiano, moderando il forte nazionalismo croato di gran parte del clero locale. In un colloquio del marzo 1922 a Roma con il direttore generale del Fondo per il culto, Monti, Mileta assicurò il governo italiano di voler essere «il padre di tutti» e che in lui gli italiani di Sebenico avrebbero trovato un appoggio e una difesa contro chi volesse misconoscere il loro giusto diritto90. Giunto però a Sebenico, Mileta, nonostante la sua buona volontà, si trovò costretto ad assecondare gli orientamenti del clero locale. Il console De Angelis notò a questo riguardo: Ma se Monsignor Mileta è spirito sereno ed anche uomo abile, non potrei ancora dire se disponga di sufficiente forza di volontà per temperare la passionalità ostinata del suo clero, e per tradurre in opera la propria sentita equanimità. Certo è che il suo primo atto, col quale ha abolita la residuale liturgia latina in queste chiese (conformemente, dicesi, a direttive emanate dalla Santa Sede per neutralizzare la propaganda ortodossa) ha deluso profondamente questi Italiani; e più penosa impressione ha fatta in essi il suggeri- 87 ASMAE, Spalato, b. 37, Barbarich a Bartolucci Godolini, 11 agosto 1926. Sulla storia del teatro Mazzoleni: IVO LIVAKOVIC!, Kazalis#ni z#ivot Šibenika, ?ibenik, 1984. 88 ASMAE, Spalato, b. 113, Archi ad Ambrosetti, 27 marzo 1934. 89 ASMAE, Spalato, b. 113, Lanzetta a Castagnetti, 27 aprile 1928. 90 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Monti a Schanzer, 22 marzo 1922. 368 LUCIANO MONZALI mento loro fatto pervenire, pel tramite di un sacerdote regnicolo insegnante in questa scuola elementare, di procurarsi cioè una sala nell’edificio consolare per le proprie pratiche religiose, onde esercitare il proprio culto in sede di extraterritorialità!!91. Di fatto negli anni successivi l’autorità ecclesiastica di Sebenico si rifiutò di assegnare una chiesa per i riti religiosi riservati ai fedeli di lingua italiana che, quindi, si ritrovarono senza un proprio luogo di culto92. Nella seconda metà del 1921 De Angelis s’impegnò attivamente per creare le condizioni politiche affinché sopravvivesse un nucleo italiano a Sebenico. Naturalmente era importante ottenere una larga e piena applicazione dell’articolo VII del trattato di Rapallo. Per De Angelis, bisognava cercare di tutelare il diritto degli italiani optanti di poter continuare la propria attività professionale e di valersi della loro lingua in tutte le manifestazioni della vita privata e nei rapporti con gli uffici pubblici di qualsiasi natura, così come avveniva all’epoca dell’Austria-Ungheria. Importante era poi la sopravvivenza di una scuola italiana93. Nei mesi successivi al ritiro delle truppe italiane dalla seconda zona si era creata una situazione difficile per la minoranza a Sebenico. Molto grave era la questione del cambio della valuta. La decisione improvvisa di imporre il cambio della valuta austro-ungarica in lire anche ai profughi dalmati, ad un tasso favorevole ma con un brevissimo termine di scadenza per inoltrare le domande di cambio, suscitò sgomento e preoccupazione nella collettività italiana. Molti speravano che i profughi dal Regno SHS avrebbero ottenuto alcuni mesi supplementari per espletare tale pratica; il non avere ottenuto ciò creò smarrimento fra gli italiani rimasti e spinse molti a considerare di abbandonare pure loro Sebenico. Secondo De Angelis, tale decisione poteva costituire il colpo finale all’esistenza di una minoranza italiana autoctona a Sebenico. Ora – notava il console nel settembre 1921 –, di fronte alla quasi totale rovina dell’italianità a Sebenico (da oltre 400 famiglie italiane dell’anteguerra non ne sono rimaste neppure una ventina), si sente l’improrogabile dovere nazionale di evitare che pur quest’ultimo nucleo si estirpi. In coloro che sono rimasti, intorno ai quali gli emigrati hanno lasciato un vuoto enorme che ne 91 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, De Angelis a Ministero degli Esteri, 21 aprile 1922. 92 «Il Piccolo», Trieste, 4 maggio 1927, M. NORDIO, La strenua resistenza degli italiani di Sebenico. 93 De Angelis a Legazione italiana a Belgrado, 29 settembre 1921, cit. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 369 aggrava il disagio morale, esiste già il proposito o la tendenza all’esodo. Occorre, dunque, intervenire a distoglierli dal proposito o a vincere la tendenza onde essi rimangano definitivamente, e adoperare all’inverso quei mezzi che prima hanno costituito il «premio all’esodo». Non arrivo a chiedere un «premio di permanenza», chiedo bensì che il R° Governo non neghi un tratto di benevolenza a coloro che, avendo optato per la cittadinanza italiana, rimangono a Sebenico, assumendo una posizione netta di fronte a tutti, coraggiosa di fronte al prevalente elemento croato ed alla sovranità S.C.S. Di costoro noi abbiamo bisogno come del nucleo intorno al quale tentare la ricostruzione dell’italianità in questa regione. Sul fondamento di queste sommarie considerazioni chiedo, dunque, alla Signoria Vostra di voler invocare dal Ministero del Tesoro l’adozione di un provvedimento eccezionale, per cui venga concesso il cambio delle corone a.u. a coloro che, avendo fatto domanda di opzione per la cittadinanza, sono rimasti ai loro posti, nel distretto di questo consolato. Applicando tale provvedimento, con accorgimento e con prudenza, io mi propongo di trattenere alcune famiglie che già hanno deciso di emigrare, e quelle altre che, incoraggiate dal vantaggio del cambio, sembrano decidersi partire questo mese94. Pessimista sulle prospettive di sopravvivenza della minoranza italiana a Sebenico e nella regione circostante, nell’autunno 1921 De Angelis preparò un lungo promemoria, intitolato Per una ricostruzione dell’italianità nel Distretto di Sebenico95, che presentò al Ministero degli Esteri come stimolo per una più efficace tutela degli italiani sebenzani. Secondo De Angelis, il governo doveva favorire la sopravvivenza di un nucleo italiano a Sebenico. Cruciale era la concreta applicazione delle garanzie previste dal trattato di Rapallo a favore degli italiani rimasti nella Dalmazia iugoslava, soprattutto per quanto riguardava l’esercizio delle professioni liberali, l’uso della lingua italiana e la tutela generale della minoranza. Fra le misure più specifiche, il viceconsole, innanzitutto, ricordò il possibile consiglio agli esuli, «non sistematisi nel Regno» e in gravi ristrettezze economiche, di ritornare a Sebenico, il sostegno ai pensionati desiderosi di restare in Dalmazia, la concessione di sussidi a quegli italiani in momentanee difficoltà economiche e il riconoscimento di un cambio favorevole delle corone austro-ungariche in possesso di coloro che erano rimasti nel 94 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 16, De Angelis al Ministero degli Esteri, 8 settembre 1921. 95 DE ANGELIS, Per una ricostruzione dell’italianità nel Distretto di Sebenico, 5 ottobre 1921, cit. 370 LUCIANO MONZALI Regno SHS. Su un piano più generale De Angelis riteneva necessario che il governo di Roma sostenesse finanziariamente i proprietari terrieri italiani che erano stati privati delle proprie proprietà e rendite dalla riforma agraria iugoslava proclamata nel 1919. Ora è successo praticamente questo: che i proprietari sono stati già completamente spogliati delle loro terre; non hanno ancora a loro vantaggio alcuna disposizione circa l’indenizzo capitale; sanno, d’altronde, che per l’indenizzo provvisorio di rendita (paragrafo 5) è stato stanziato un fondo di 800.000 (ottocentomila) dinari per tutta la Dalmazia: una cosa irrisoria! Perciò molti proprietari, che vivono esclusivamente del prodotto delle terre, sono passati d’un tratto, e per tempo indefinito, dall’agiatezza all’indigenza assoluta. In tale condizione si trovano parecchie famiglie di italiani optanti. Questi, nell’impossibilità di trovare un’occupazione sul posto, per mancanza di ogni risorsa, dovrebbero ineluttabilmente decidersi ad un esodo immediato. Andrebbero nel Regno a «fare i profughi», cadendo subito a carico della pubblica amministrazione. Ora, poiché gli indennizzi devono venir, quando che sia, pur corrisposti, sarebbe opportuno che il R° Governo intervenisse, nell’interesse dei singoli e nell’interesse nazionale, evitando l’esodo dalla Dalmazia di questi ultimi residui d’italianità. Si potrebbe provocare l’interessamento di una Banca italiana, per es. della «Banca Dalmata di Sconto» (filiazione della «Banca Italiana di Sconto»), nel senso di fare anticipazioni di denaro a ciascun proprietario, con garanzia sugli indennizzi da corrispondersi dallo Stato S.C.S., e nei limiti delle somme necessarie al personale mantenimento; ciò, mediante una apposita formula di contratto96. Andavano aiutate anche le aziende italiane presenti nella regione, alcune delle quali in difficoltà economiche. Il console elencò fra queste: la SUFID (Società anonima per l’utilizzazione delle forze idrauliche della Dalmazia), società con sede a Trieste, che a Sebenico aveva una grande fabbrica di carburo di calcio, la società carbonifera «Monte Promina», in possesso di una miniera a Siverich e di un’agenzia di spedizioni a Sebenico, e la casa di spedizioni «Otto Steinbeis», proprietaria di una vasta penisola nel bacino marittimo di Sebenico (penisola di Klobusak) e di una propria ferrovia, azienda che deteneva il monopolio di fatto nell’esportazione del legname proveniente dalle foreste di Drvar. La sopravvivenza di queste imprese e la creazione di nuove aziende nella regione potevano consentire la permanenza di italiani a Sebenico e attrarre italiani dal Regno, fonda96 Ibidem. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 371 mentali per rafforzare la minoranza italiana97. I progetti di De Angelis avevano un loro realismo e avrebbero potuto contribuire a rafforzare le comunità italiane, soprattutto tenendo conto del fatto che la situazione economica e politica della regione di Sebenico era di grande disagio. L’avvento della sovranità SHS aveva creato molta insoddisfazione nella popolazione. Il cambio della valuta austro-ungarica a tassi bassissimi, la scarsità di prodotti disponibili, la crescita dei prezzi e delle imposte governative avevano diffuso un forte malcontento verso il governo di Belgrado. La stessa confusa applicazione della riforma agraria, con la concessione di fatto ma non di diritto della terra alla classe contadina, aveva prodotto incertezza e disagio. Sul piano politico la crisi della collaborazione serbo-croata, provocata dall’affermarsi dell’egemonia dell’elemento serbo – fondata su un centralismo autoritario visto con sfavore da croati e dalmati – aveva avuto forti ripercussioni a Sebenico, alimentando una crescente serbofobia, una forte nostalgia per il dominio asburgico e una rivalutazione del periodo d’occupazione italiana. Notava a questo riguardo De Angelis nel novembre 1921: In questa condizione di generale disagio si rivelano le crepe dell’unione serbo-croata; più manifesta si fa l’attuale inconciliabilità dei due elementi, i quali si dimostrano in conflitto in tutti i campi, in quello religioso soprattutto. […] I croati troppo notoriamente ligi a Belgrado sono guardati di mal’occhio: la villa del dott. Krstelj (il presidente della Commissione S.C.S. per la pesca) è stata minacciata di devastazione. Gli stessi dalmati di nazionalità serba respingono ogni vincolo coi serbi «di là». Sfondo a tutto questo è la continua impressionante discesa della corona jugoslava, che oggi vale meno di ciò che valeva la corona austriaca al momento del nostro sgombero! I politicanti, pur non osando negare la gravità della situazione e l’antagonismo delle due nazionalità, ostentano un immutato sentimento unitario, e dicono che, in ogni caso, davanti alla minaccia straniera (leggasi italiana), serbi e croati si troveranno sempre strettamente uniti. La grande massa della popolazione, che qui è rurale, e che non conosce le sottigliezze di certe distinzioni, sente che questo stato di cose è precario, ed aspira inconsapevolmente ad un assetto politico-economico (soprattutto economico!) stabile. Questa popolazione rurale, quanto mai conservatrice e tradizionalista, si è commossa in modo particolare al recente tentativo dell’ex imperatore Carlo, la cui rapida soluzione ha troncato più d’una non disinteressata nostalgia dinastica, improvvisamente rinverdita. E ormai non è più raro né occasionale sentir dire a Sebenico: 97 Ibidem. 372 LUCIANO MONZALI «Vorremmo il ritorno di Carlo, ma se questo non può essere venga Vittorio»98. Il fallimento politico del progetto di creare un grande Stato nazionale iugoslavo fondato sull’adesione convinta di serbi, croati e sloveni, aumentò il malcontento della popolazione dalmata, che aveva anche forti ragioni economiche. Nel marzo 1922 De Angelis notò l’aggravarsi della crisi economica in Dalmazia, con l’incapacità del governo di Belgrado di garantire ai dalmati quel livello di benessere di cui avevano goduto sotto il dominio asburgico e l’occupazione italiana. Il forte carico fiscale, l’eccessivo controllo del governo centrale sulla vita economica locale, la mancata ripresa dei commerci, e il diffondersi della fame avevano creato uno stato di grave malessere in Dalmazia. Le popolazioni, specialmente quelle dei centri minori e delle isole, risentono gravemente delle enormi deficienze dell’approvvigionamento. In alcune località della costa ed in alcune isole esse si nutrono anche di ghiande e di bacche di ginepro. Qualche giornale dalmata, non dei meno seri, si fa eco di queste sofferenze e si pone la domanda […]: «Che cosa succederà quando anche le bacche di ginepro saranno esaurite?». «Nella Jugoslavia – scrivono – ricca di grano, la nostra Dalmazia è condannata a seguire la sorte della Russia che muore di fame […]. Sulla fame e della miseria in Dalmazia è colpevole il regime centralistico del governo». Nella generale carestia, impressionanti sono le condizioni degli impiegati pubblici. Un magistrato di grado superiore, residente a Sebenico, confermava giorni addietro, che egli nutre da quattro mesi i propri figli con sola polenta!99. La crisi economica e la fame favorirono l’intensificarsi di un massiccio fenomeno emigratorio da tutta la Dalmazia in direzione del continente americano, dell’Australia e dei paesi europei100. La crisi dello Stato unitario provocò un forte discredito della classe dirigente borghese-aristocratico dalmata di orientamento nazionalista iugoslavo, 98 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 12, De Angelis a Ministero degli Esteri, 6 novembre 1921. 99 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 5, De Angelis a Ministero degli Esteri, 9 marzo 1922, minuta. 100 Un’analisi della situazione economica in Dalmazia negli anni Venti in JAKIR, Dalmatien zwischen den Weltkriegen, cit., p. 130 e ss. Alcune informazioni anche in BOZE# MIMICA, Dalmacija u 20 stoljec!u, Rijeka, 2004, p. 43 e ss. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 373 che aveva favorito la costituzione del Regno SHS, e il rafforzamento politico delle forze anti-governative, il partito dei contadini, i pravas#i antiserbi, il movimento comunista. Sia nei dalmati croati che in quelli italiani sorse una forte nostalgia per la dominazione asburgica, epoca di relativo benessere economico e di tranquillità sociale e politica. A parere di De Angelis questo stato di cose poteva favorire una crescita dell’influenza dell’Italia in tutta la Dalmazia, la cui occupazione aveva garantito alle popolazioni locali buone condizioni di vita101. Ma, in realtà, negli anni successivi l’influenza dell’Italia e della minoranza italiana non aumentò. Il governo di Roma non fu in grado di accattivarsi le simpatie della popolazione dalmata croata. Lo scarso consenso della popolazione verso il governo di Belgrado convinse le autorità iugoslave ad alimentare le rivalità nazionali in Dalmazia al fine di legittimare la propria esistenza come scudo protettivo contro l’imperialismo italiano. Attraverso associazioni nazionaliste come la Orjuna (l’organizzazione dei nazionalisti iugoslavi) e la Jadranska Straz#a (la Lega Adriatica)102, il governo iugoslavo alimentò l’ostilità anti-italiana103. Ovviamente le collettività italiane dalmate furono le prime vittime di tutto ciò, sottoposte a continue angherie amministrative ed economiche e a frequenti incidenti e violenze, tollerati dal governo iugoslavo. Tutto ciò favorì un progressivo indebolimento della presenza italiana autoctona in Dalmazia, con una continuazione dell’emigrazione italiana avente ragioni politiche ed economiche. Fino alla seconda guerra mondiale, comunque, fra mille difficoltà sopravvisse una comunità italiana a Sebenico, ma alquanto indebolita numericamente. Nel 1927 risultavano residenti nella città di Sebenico 200 cittadini italiani104; cifra alla quale andavano aggiunte alcune decine di italiani con cittadinanza iugoslava. Tale cifra però diminuì alquanto negli anni successivi: secondo i dati del Ministero degli Esteri italiano105, nel 1937, nell’insieme del distretto consolare di Sebenico (comprendente oltre alla città, una parte rilevante della Dalmazia settentrionale, inclusi i centri di Knin, Scardona, Bencovaz, Dernis) erano residenti 200 cittadini italiani optanti, 130 cittadini per pieno diritto e cir101 De Angelis a Ministero degli Esteri, 9 marzo 1922, cit. 102 Al riguardo: NORKA MACHIEDO MLADINIC!, Jadranska Straz#a 1922-1941, Zagreb, 2005. 103 Per informazioni sull’ORJUNA e i suoi legami con il governo di Belgrado: ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1306, Umiltà a Mussolini, 15 gennaio, 1° agosto, 6 dicembre 1923. 104 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Censimento degli italiani all’estero alla metà del 1927, cit., p. 202. 105 ASMAE, AP 1931-45, Jugoslavia, b. 99, Antinori a Ciano, 13 marzo 1937. 374 LUCIANO MONZALI ca 50 cittadini iugoslavi di nazionalità italiana; ciò in un distretto consolare la cui popolazione era stimata approssimativamente di 100.000 persone. Le difficili condizioni politiche esistenti e la forte crisi economica che colpì duramente anche la Dalmazia indebolirono la comunità italiana di Sebenico, che negli anni precedenti alla seconda guerra mondiale si era ridotta a poche decine di persone. 4.3. Il Municipio contro la Nazione? Le lotte politiche a Zara fra il 1921 e il 1922 Nonostante la netta vittoria liberale alle elezioni parlamentari, la situazione politica a Zara nel corso dell’estate e dell’autunno del 1921 rimase tesa e conflittuale. Il ritiro dell’esercito italiano dalla prima e dalla seconda zona, il conseguente esodo della gran parte degli italiani dalla regione di Sebenico e dalle isole della Dalmazia settentrionale e centrale, il peggioramento delle relazioni italo-iugoslave, accrebbero il malumore nella popolazione zaratina. Del resto pure la situazione economica locale rimaneva difficile. La soluzione trovata dal governo di Roma al problema del cambio delle corone asburgiche, con un tasso di cambio basso e molte esclusioni, aveva creato insoddisfazione a Zara. A partire dall’estate 1921 il deterioramento delle relazioni fra Roma e Belgrado produsse immediatamente un atteggiamento ostile delle autorità politiche e amministrative periferiche iugoslave verso gli interessi economici degli zaratini in Iugoslavia. Nell’estate del 1921 i fabbricanti di maraschino di Zara (Salghetti Drioli, Luxardo) denunciarono il comportamento delle autorità dalmate miranti a scoraggiare e a impedire la vendita e l’esportazione delle marasche da Sebenico, Spalato e dalle isole a Zara106. A settembre i possidenti italiani di Zara aventi terreni nel Regno SHS si lamentarono dell’improvviso divieto iugoslavo di esportare in Italia i mosti prodotti dalla vendemmia, il che arrecava loro un grave danno economico107. In effetti, nella Dalmazia iugoslava persisteva una forte ostilità contro Zara. 106 Ad esempio: ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 15, Francesco Salghetti Drioli a Roddolo, 24 giugno 1921; ibidem, FRANCESCO SALGHETTI DRIOLI, La Jugoslavia ha proibito l’esportazione delle marasche per Zara. Inutilità dell’azione consolare. Prove del boicottaggio economico contro Zara, 3 luglio 1921. Per una descrizione della realtà di una fabbrica zaratina di maraschino dopo la guerra: LUXARDO DE FRANCHI, I Luxardo del Maraschino, cit., p. 107 e ss. 107 ASMAE, GAB 1923-1943, AF, b. 12, Marco Perlini a Salata, 21 settembre 1921. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 375 In alcuni circoli politici iugoslavi l’annessione di Zara all’Italia era considerata un’occasione per fare definitivamente di Spalato il grande centro economico e politico di tutta la Dalmazia. Il bisogno dei produttori di liquore zaratini (Luxardo, Drioli, Calligarich, Millicich, Vlahov) di procurarsi le marasche nella Dalmazia iugoslava spingeva il «Novo Doba» a consigliare un sostanziale boicottaggio delle fabbriche zaratine al fine di favorire lo sviluppo di un’industria del maraschino a Spalato108. Allo stesso modo, i progetti di Ziliotto, Krekich e degli ambienti imprenditoriali zaratini di intensificare i rapporti commerciali fra Zara e il retroterra, ad esempio favorendo la costruzione di una ferrovia che collegasse la città italiana con la rete ferroviaria iugoslava (il cosiddetto progetto Zara-Knin), si scontravano con la forte ostilità del governo di Belgrado e dei dalmati iugoslavi, che rifiutavano che fossero gli italiani a dettare le direttive dello sviluppo delle comunicazioni nel Regno SHS109. Peraltro le rivalità nazionali e regionali presenti in Iugoslavia si evidenziavano anche nella questione ferroviaria, con determinati gruppi serbi desiderosi di costruire una ferrovia fra Belgrado e le Bocche di Cattaro, mentre politici e economisti croati spalatini auspicavano piuttosto l’apertura di grandi linee ferroviarie che collegassero Spalato con Belgrado e Zagabria110. L’aggravarsi delle tensioni e delle rivalità nazionali, il persistere di forti difficoltà economiche per la gran parte della popolazione zaratina, facilitarono il rafforzarsi del nazionalismo e del fascismo nella Dalmazia italiana, movimenti sempre più ostili alla politica moderata e pragmatica perseguita dalla vecchia classe dirigente liberale. A Zara nazionalisti e fascisti erano caratterizzati da una sostanziale unione politica111, confermata dal fatto che molti dirigenti nazionalisti locali (Mandel, Zimolo) erano anche a capo del Fascio zaratino. Sul piano dell’opinione pubblica, voce dell’alleanza nazional-fascista zaratina, avente una forte connotazione dannunziana, fu il periodico «L’Adriatico», diretto da Michelangelo Zimolo. Come nel resto d’Italia, anche nella città dalmata il fascismo puntò ad affermarsi organizzando 108 «Novo Doba», 8 luglio 1921, Zadar nas traz#i! Zadranin treba nas#ih vis#nja; ivi, 23 luglio 1921, Jedna vrlo vaz#ne Industrija. 109 «Novo Doba», 21 gennaio 1921, Jedan talijanski zahtiev. Željeznica Zadar-Knin; ivi, 4 aprile 1921, Izmedju nas i Italije. Al riguardo anche WILDAUER, I problemi economici, cit. 110 «Novo Doba», 27 agosto 1921, SENJANOVIC!, Željeznic#ka veza i splitska luka; ivi, 28 settembre 1921, Beograd-Jadransko more. 111 Alcune informazioni sul fascismo zaratino in: ELIO IARABEK, Note sulle origini del Fascismo Zaratino, «La Rivista Dalmatica», 2005, n. 1, p. 12 e ss. 376 LUCIANO MONZALI azioni violente contro gli oppositori politici e le istituzioni avversarie. Obiettivo privilegiato dei fascisti zaratini erano le istituzioni e le organizzazioni croate e serbe, di cui contestavano il diritto ad esistere, nonostante la secolare tradizione di tolleranza nazionale e religiosa di Zara. Erano azioni che naturalmente miravano ad impedire il miglioramento dei rapporti fra Italia e Iugoslavia: le violenze squadristiche contro croati e serbi dovevano ostacolare la collaborazione italo-iugoslava e l’applicazione di Rapallo, rendendo impossibile la futura consegna della terza zona dalmata ancora occupata dall’Italia e la creazione di uno Stato di Fiume indipendente. Particolare accanimento fu dimostrato dalle squadre fasciste, a Zara come a Trieste, contro le associazioni religiose, politiche e culturali serbe, ciò probabilmente a causa del ruolo guida svolto dall’elemento serbo nello Stato iugoslavo unitario112. Questo anti-serbismo del fascismo zaratino rinnegava la tradizionale serbofilia dell’elemento italiano locale, che aveva considerato tradizionalmente la minoranza serba un alleato contro l’egemonia dei croati; erano poi azioni violente che colpivano i ceti borghesi serbi di Zara e diffondevano in Serbia una forte ostilità contro l’elemento dalmata italiano. Nei dirigenti nazionalisti e fascisti zaratini vi era anche la velleità di perseguire una strategia sovversiva d’ispirazione dannunziana, mirante ad organizzare una spedizione di volontari che occupasse la terza zona dalmata per impedirne lo sgombero e a favorire la disgregazione della Iugoslavia unitaria attraverso l’alleanza con elementi separatisti anti-serbi: il tutto con il fine di rendere caduco il trattato di Rapallo e di annettere all’Italia una parte più vasta della Dalmazia. A partire dal luglio 1921 cominciarono a circolare voci di contatti fra legionari fiumani e fascisti zaratini, triestini e milanesi per organizzare un colpo di mano mirante ad occupare la terza zona per impedire il ritiro italiano e l’arrivo dell’esercito iugoslavo113. Il 27 agosto il commissario civile di Zara, Moroni, comunicò all’Ufficio per le Nuove Provincie che alcuni capi nazionalisti e fascisti zaratini (Rigatti, Inchiostri, Buglian) si erano recati in Nord Italia ed avevano avuto un colloquio con D’Annunzio al fine di organizzare un’azione anti-serba in Dalmazia. A parere di Moroni, D’Annunzio era ancora in contatto con gruppi separatisti croati attraverso alcuni italiani dalmati a lui vicini. A Zara si era costituito un comitato d’a- 112 «Novo Doba», 5 settembre 1921, Sudbina Zadra. GAB 1923-43, AF, b. 9, Salata al Ministero degli Esteri, 24 luglio 1921. 113 ASMAE, GLI ITALIANI DI DALMAZIA 377 zione per organizzare la sommossa alla fine del 1921, comitato composto da Inchiostri, Calebich, Verban, Petricioli, Filippi, Buglian, Mandel, Schönfeld, Zimolo, Fattovich e Troiani114. Molti di questi dirigenti fascisti, dannunziani e nazionalisti erano impiegati pubblici: per impedire loro di nuocere il commissario civile propose più volte di trasferirli lontano da Zara115. Ma di fatto, questi progetti anti-iugoslavi erano troppo ambiziosi per il debole fascismo dannunziano zaratino e non conobbero alcuna realizzazione. I fascisti e i nazionalisti zaratini si limitarono ad un più semplice violento squadrismo contro i nemici locali iugoslavi e i concorrenti repubblicani. Apice di questa campagna squadrista fu l’aggressione al croato Metlic#ic!, zaratino e neogovernatore della Dalmazia iugoslava, mentre girava per Zara insieme a due politici croati locali, il prof. Jezina e l’ing. Gasperini, il 9 agosto 1921. Il commissario civile Moroni comunicò a Roma che Metlic#ic!, Jezina e Gasperini erano stati aggrediti da cinque fascisti per ordine del direttorio del Fascio zaratino: il governatore riportò lesioni guaribili in 15 giorni116. I colpevoli furono arrestati e l’impegno delle autorità italiane e iugoslave scongiurò drammatiche rappresaglie contro gli italiani in Iugoslavia. Ma naturalmente gli atti di violenza contro serbi, croati e sloveni in Italia avevano una vasta eco in Iugoslavia e prestavano facili argomenti agli avversari dei buoni rapporti italo-iugoslavi, rendendo sempre più ardue le condizioni di vita della minoranza italiana in Dalmazia. Riguardo all’aggressione a Metlic#ic!, il console italiano a Spalato, Umiltà, rilevò il 10 agosto che, in caso di ripetersi di altri incidenti a Zara, sarebbe stato difficile frenare gli elementi xenofobi ed anti-italiani nel resto della Dalmazia «che regoleranno loro condotta a seconda atteggiamento nostre autorità Zara contro colpevoli ed eventuali sobillatori aggressione»117. Nell’autunno del 1921, invece, Zara fu agitata da ripetuti scontri violenti fra alcuni gruppi fascisti e i militanti del circolo Mazzini. I repubblicani zaratini erano un gruppo ben organizzato e dotato di un certo consenso in città118. La loro sede in Calle Larga era un importante centro della vita sociale zaratina. Terminata l’alleanza con i fascisti e 114 ACS, UNP, b. 72, Moroni all’Ufficio per le Nuove Provincie, 27 agosto 1921. UNP, b. 72, Moroni all’Ufficio per le Nuove Provincie, 27 agosto 1921. 116 ACS, MIN INTERNO, d.g. pubblica sicurezza, 1921, b. 113, Moroni a Direzione generale Pubblica Sicurezza, 9 agosto 1921. Si veda anche:«Novo Doba»10 agosto 1921, Napadaj na nas#eg namjesnika u Zadru. 117 ASMAE, Carte Salata, b. 267, Umiltà a Ministero degli Esteri, 10 agosto 1921. 118 COEN, Zara tra le due guerre, cit., p. 131 e ss. 115 ACS, 378 LUCIANO MONZALI i nazionalisti mirante a fare eleggere D’Annunzio a Zara, esplose una forte conflittualità fra repubblicani e fascisti. Nel novembre 1921, in seguito a risse fra ufficiali dell’esercito e militanti mazziniani, una squadra fascista attaccò il circolo repubblicano, distruggendolo e picchiando i soci presenti. Il commissario Moroni, per ragioni di ordine pubblico, decise di sopprimere il circolo repubblicano, ma, funzionario di simpatie fasciste, si limitò alla semplice sospensione temporanea del Fascio zaratino, in quanto parte di organizzazione nazionale119. Lo scontro politico fra liberali zaratini e blocco nazionalfascista diventò molto duro in occasione della campagna per le elezioni amministrative a Zara nel gennaio 1922. L’Unione Nazionale decise di ricandidare alla carica di sindaco Luigi Ziliotto, capo dell’amministrazione comunale uscente e leader storico del liberalismo nazionale dalmata. I nazionalisti e i fascisti, desiderosi di sferrare un colpo decisivo all’egemonia della vecchia classe dirigente liberale-autonomista, contestarono tale scelta e presentarono la candidatura di Mandel, vicepresidente dell’Associazione nazionalista zaratina e militante fascista. La scelta di sfidare il capo storico dell’irredentismo italiano in Dalmazia fu sostenuta dai vertici fascisti e nazionalisti della Penisola che inviarono a Zara esponenti politici di rilievo per sostenere la campagna elettorale di Mandel. Il deputato fascista De Stefani si recò in Dalmazia nel dicembre 1921 e in una sua intervista all’«Idea Nazionale» descrisse in questi termini lo scontro politico fra liberali e nazionalfascisti in atto a Zara: La situazione dei partiti in Zara è molto semplice; ci sono dei giovani che desiderano di ereditare e dei vecchi che desiderano di conservare l’autorità. Esiste a Zara, come altrove, un gruppo di persone che fanno una politica governativa, un altro gruppo che intende fare una politica dalmatica senza soverchia fiducia nell’azione governativa120. Con il trascorrere delle settimane la campagna elettorale a Zara divenne sempre più combattuta. I nazionalisti accusarono i seguaci di Ziliotto di condurre una campagna elettorale municipalista, «eccitando una propaganda campanilistica fino all’esasperazione sì da assu119 ACS, UNP, b. 57, Moroni al Ministero dell’Interno e all’Ufficio per le Nuove Provincie, 13 novembre 1921; ibidem, Giuseppe Pesavento, maggiore dei carabinieri, a Moroni, 7 novembre 1921. 120 «L’Idea Nazionale», 7 dicembre 1921, La situazione e l’avvenire della Dalmazia. (Nostra intervista con l’on. De Stefani). GLI ITALIANI DI DALMAZIA 379 mere la forma di una vera xenofobia contro tutti i non zaratini»121. In risposta ad un comizio dei liberali zaratini ostile ai nazionalfascisti e a Alessandro Dudan, a metà gennaio il blocco nazionalista-fascista organizzò un’assemblea pubblica dove, nel corso di un suo discorso, De Stefani «reagì fieramente contro lo spirito campanilistico dei vecchi detentori del comune di Zara che offesero questa sera un grande figlio di Spalato [Dudan]»122. In quei giorni Zimolo e Mandel inviarono ai membri del gruppo parlamentare della Destra liberale il seguente telegramma di protesta contro i liberali locali: «I partigiani dell’on. Krekich, consenziente Krekich, impostano la lotta amministrativa cittadina tentando un vero movimento di xenofobia contro gli italiani della rimanente Dalmazia e della Penisola»123. In effetti molti seguaci del blocco nazionalista-fascista non erano zaratini e il loro volere affermare la propria egemonia politica in città irritava l’orgoglio municipale di numerosi abitanti di Zara, fornendo una forte arma politica ai liberali, eredi della tradizione dell’autonomismo. Ma in realtà fra i capi del liberalismo zaratino vi erano anche italiani provenienti dalla Dalmazia iugoslava, come ad esempio Ildebrando Tacconi, professore al Ginnasio di Zara, ma originario di Spalato e fratello di Antonio, uno dei capi della minoranza italiana spalatina. Il 19 gennaio proprio Ildebrando Tacconi sfidò a duello Zimolo, che lo aveva offeso in un articolo di giornale accusandolo di slealtà nella sua azione di opposizione antifascista ed antinazionalista124. I risultati elettorali sancirono il trionfo dei liberali e di Ziliotto. A Zara la lista dell’Unione Nazionale conquistò la maggioranza con 1.072 voti, mentre il blocco fascista-nazionalista ebbe solo 462 suffragi, e 349 voti si suddivisero fra socialisti e repubblicani125. Fra i 29 consiglieri liberali furono eletti Pietro Domiacussich, e gli spalatini Ildebrando Tacconi e Bruno Illich. I repubblicani ebbero un consigliere, Simeone Drazevich, mentre i nazional-fascisti elessero 6 consiglieri: Rodolfo Battara, Maurizio Mandel, Antonio Arnerich, 121 «L’Idea Nazionale», 20 gennaio 1922, La fervida battaglia del partito nazionale a Zara. 122 Ibidem. 123 Ibidem. Mandel e Zimolo inviarono tale telegramma di protesta a Salandra: BL, Carte Salandra, C-I-31, Mandel e Zimolo a Salandra, 19 gennaio 1922. In un telegramma del 19 gennaio Krekich dichiarò a Salandra che tali accuse erano assurde: i suoi sostenitori, in segno di sviscerato amore per Spalato, avevano deciso la candidatura dello spalatino Ildebrando Tacconi al Consiglio comunale di Zara: ibidem, Krekich a Salandra, 19 gennaio 1922. 124 «L’Idea Nazionale», 20 gennaio 1922, Un duello di Michelangelo Zimolo. 125 «L’Idea Nazionale», 26 gennaio 1922, Le elezioni amministrative nelle nuove Provincie. Qualche cenno anche in APOLLONIO, Dagli Asburgo a Mussolini, cit. p. 481. 380 LUCIANO MONZALI Giovanni Marsan, Egidio Rovaro-Brizzi, Vittorio Verban126. La sconfitta elettorale dei nazionalfascisti in Dalmazia fu umiliante per i capi del nazionalismo e del fascismo, che rivendicavano di essere i veri e più autentici rappresentanti della minoranza italiana dalmata: tale pretesa al monopolio della rappresentanza dei dalmati italiani era stata sconfessata dal voto degli elettori zaratini. Il deputato fascista Ezio Maria Gray, che era stato inviato da Mussolini a partecipare alla campagna per le municipali a Zara, rilasciò un’intervista dopo le elezioni, attaccando duramente i liberali seguaci di Ziliotto e Krekich. Secondo Gray, a Zara si era combattuta una battaglia «tra il Municipio e la Nazione, tra lo spirito gretto di amministrazione e lo spirito ampio e fervido di rappresentanza dell’Italia»127. La vittoria dei municipalisti guidati da Krekich – accusati da Gray di accogliere fascisti e nazionalisti «come foresti» – era stata solo numerica. Krekich fu accusato di essere solo a parole contro il trattato di Rapallo, mentre di fatto aveva collaborato con Bonfanti ed era legato a Salata e Sforza128. I risultati delle elezioni politiche del maggio 1921 e di quelle amministrative del gennaio 1922 indicarono che, nonostante le difficilissime condizioni politiche ed economiche, il liberalismo dalmata era stato capace di respingere l’offensiva del nazionalismo e del fascismo e di preservare l’egemonia politica. L’abilità politica di Ziliotto e Krekich, la capacità dei vecchi capi del partito italiano-autonomo di rappresentare adeguatamente gli interessi concreti della popolazione italiana zaratina, la corrispondenza dei valori del liberalismo dalmata con quelli della maggioranza degli italiani di Dalmazia, spiegavano questi successi. Ma la supremazia liberale in Dalmazia contrastava con un quadro politico italiano alquanto diverso, dove il fascismo cresceva in forza e consensi di fronte alla crisi del liberalismo. Nella stessa Venezia Giulia i liberali nazionali erano stati incapaci di resistere all’ascesa del movimento fascista con quella determinazione e quel vigore dimostrati dall’Unione Nazionale zaratina. Nonostante quindi le ripetute vittorie elettorali liberali, nel corso del 1922 il blocco nazional-fascista si rafforzò progressivamente anche a Zara, sfruttando i crescenti successi del fascismo nel resto d’Italia. Oltre al declino del liberalismo della Penisola, contribuì all’indebolimento dei li126 «Novo Doba», 31 gennaio 1922, Izbori u Zadru. «L’Idea Nazionale», 5 febbraio 1922, I risultati delle elezioni amministrative a Zara in una intervista con l’on. E. M. Gray. 128 Ibidem. 127 GLI ITALIANI DI DALMAZIA 381 berali zaratini quale forza politica autonoma l’improvvisa morte di Luigi Ziliotto nel febbraio 1922129. Con Ziliotto scompariva il leader indiscusso del liberalismo nazionale italiano in Dalmazia da oltre due decenni, un capo che univa brillanti doti intellettuali e una forte carica ideale a grandi capacità politiche ed amministrative. I liberali zaratini perdevano il loro dirigente più abile e spregiudicato in un momento di grave difficoltà politica. Dopo la morte di Ziliotto la guida del movimento liberale zaratino venne assunta da Krekich, che si trovò ad operare in una situazione di crescente difficoltà. Nel corso del 1922 le condizioni economiche di Zara non cessarono di peggiorare130. Le difficoltà nei rapporti italo-iugoslavi e l’incertezza giuridica delle relazioni fra la città italiana e il suo retroterra provocarono una grave crisi commerciale. Il ritardo nell’applicazione del decreto sulla zona franca doganale di Zara impedì alla città di compensare e reagire alla riduzione del traffico con i territori iugoslavi. La crisi economica favorì la continuazione di un forte esodo di zaratini verso la Penisola e all’estero. L’impoverimento e la depressione economica provocarono una sempre maggiore dipendenza della collettività locale dal governo di Roma. Inoltre ogni oscillazione nei rapporti politici fra Italia e Regno SHS aveva le sue immediate ripercussioni proprio su Zara e la sua popolazione. Vi era poi una crescente insoddisfazione di parte della popolazione zaratina verso l’amministrazione italiana, il cui funzionamento e il modo di gestire i rapporti con la società erano sconosciuti ed estranei alla Dalmazia131. 4.4. Facta, Schanzer e gli accordi di Santa Margherita Nel corso del 1922 proseguì l’indebolimento delle forze politiche e delle istituzioni liberali sotto la spinta di un movimento fascista sempre più dinamico ed aggressivo. Il governo Bonomi, indebolito dall’esplodere della guerra civile fra fascisti e socialisti in gran parte del129 «La Nazione» (Trieste), 7 febbraio 1922, La morte del senatore Ziliotto a Zara; LUIGI ZILIOTTO, Lettera ad Enzo Bettiza. La risposta di un dalmata di Zara all’“Esilio”, Roma, 2004, pp. 11-14. 130 Al riguardo: ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 14, EDOARDO CALEBICH, Memoriale, 28 febbraio 1922, allegato a Associazione fra commercianti in Zara ad anonimo, 6 marzo 1922. 131 Al riguardo le dure critiche di Krekich al commissario civile Moroni e al funzionario di polizia Gaetano Sporti, «il quale col suo contegno rende antipatica ed invisa l’amministrazione italiana»: ASMAE, Carte Salata, b. 258, Krekich a Salata, 18 ottobre 1922. 382 LUCIANO MONZALI la Penisola e dallo scandalo provocato dal fallimento della Banca Italiana di Sconto, si dimise il 22 gennaio 1922132. Falliti i tentativi di Nitti e Giolitti di formare un nuovo esecutivo, il 26 febbraio si costituì un governo guidato dal piemontese Facta133, fedelissimo di Giolitti, che si appoggiava su un’eterogenea coalizione formata da liberali, popolari e destra salandrina. Per la carica di ministro degli Esteri, svanite le speranze di Tittoni di tornare alla Consulta, fu nominato Carlo Schanzer, che aveva ottenuto un grande successo diplomatico come delegato alla Conferenza di Washington garantendo all’Italia la parità navale con la Francia nel trattato delle cinque potenze134. Schanzer135, desideroso di usare la politica estera per rilanciare il prestigio di un esecutivo molto debole, cercò di rafforzare il peso internazionale dell’Italia puntando alla creazione di stretti rapporti con Londra136. Tentò, in particolare, di sfruttare l’organizzazione di un’importante conferenza internazionale a Genova, dedicata alla discussione sul modo di favorire la ripresa economica europea e la distensione dei rapporti con l’Unione Sovietica, per fare crescere il prestigio dell’Italia137. Schanzer e il suo sottosegretario, Tosti di Valminuta, già negoziatore dell’accordo italo-iugoslavo sulla pesca, dedicarono anche molta attenzione ai rapporti con la Iugoslavia. Desiderosi di togliere argomenti alla propaganda fascista, puntarono a garantire una forte tutela della mino- 132 BDFA, II, F, 5, Graham a Curzon, 3 febbraio 1922, d. 73. 133 BDFA, II, F, 5, Graham a Curzon, 24 febbraio e 2 marzo 1922, dd. 86 e 87; VENERUSO, La vigilia del fascismo. Il primo ministero Facta nella crisi dello Stato liberale in Italia, cit.; FANELLO MARCUCCI, op. cit., p. 104 e ss. 134 Sulla partecipazione italiana alla Conferenza di Washington: MATTEO PIZZIGALLO, L’Italia alla Conferenza di Washington, in ID., Disarmo navale e Turchia nella politica italiana 1921-1922, Napoli, 2004, pp. 11-84; ALBERTINI, I giorni di un liberale, cit., p. 265 e ss. 135 Per un’analisi della figura di Schanzer: MICHELETTA, op. cit., II, p. 595 e ss. 136 MICHELETTA, op. cit., II; DBFP, I, 24, dd. 3, 4, 5, 6, 7. La diplomazia francese fu molto ostile alla politica estera di Schanzer: AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol. 80, Barthou al Ministero degli Esteri, 9 maggio 1922; ibidem, Saint-Aulaire al ministro degli Esteri, 5 e 7 luglio 1922; ibidem, Barrère a ministro degli Esteri, 9 e 19 luglio 1922. 137 Sulla Conferenza di Genova nella politica europea: CAROLE FINK, The Genoa Conference. European Diplomacy, 1921-1922, Chapel Hill-London, 1984; STEPHEN WHITE, The Origins of Détente. The Genoa Conference and Soviet-Western Relations 1921-1922, Cambridge, 1985; CAROLE FINK, AXEL FROHN, JURGEN HEIDEKING (a cura di), Genoa, Rapallo and European Reconstruction in 1922, Washington-Cambridge, 1991; PETER KRÜGER, Die Aussenpolitik der Republik von Weimar, Darmstadt, 1993, p. 155 e ss.; AUTORI VARI, La conferenza di Genova e il trattato di Rapallo (1922), Roma, 1974; PETRACCHI, La Russia rivoluzionaria nella politica italiana, cit., p. 214 e ss.; CODRESCO, op. cit., I, p. 253 e ss.; MATTEO PIZZIGALLO, Alle origini della politica petrolifera italiana (1920-1925), Milano, 1981, p. 94 e ss. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 383 ranza italiana in Dalmazia e a risolvere i problemi dello status di Fiume e Zara accelerando l’applicazione dell’accordo di Rapallo. Nelle dichiarazioni di presentazione del nuovo governo alla Camera, Facta sottolineò la volontà dell’esecutivo di stabilire buone relazioni di vicinato e stretti rapporti commerciali con il Regno SHS. A tal uopo – dichiarò il presidente del Consiglio – è nostro fermo proposito condurre rapidamente innanzi e portare a prossima conclusione i negoziati intesi a risolvere le questioni ancora pendenti per l’esecuzione del trattato di Rapallo, affinché le due Nazioni possano amichevolmente ed efficacemente collaborare nel campo economico138. Proprio nel mese di marzo i rapporti italo-iugoslavi conobbero una svolta a causa degli eventi politici di Fiume. Il 3 marzo il governo autonomista fiumano, formatosi in conseguenza delle elezioni del 24 aprile 1921 e guidato da Riccardo Zanella, fu rovesciato da un colpo di Stato organizzato dai nazionalisti e dai fascisti italiani con il non troppo nascosto sostegno dell’Italia, in cattivi rapporti con gli autonomisti139. Zanella fuggì in esilio, sperando di raccogliere un sostegno internazionale a favore della restaurazione del suo governo. L’azione compiuta dai fascisti e dai nazionalisti italiani a Fiume ebbe tra i suoi organizzatori e capi alcuni reduci del movimento dannunziano, ad esempio Giovanni Giuriati, che non avevano rinunciato all’antico progetto di sobillare le nazionalità oppresse del Regno SHS contro il potere centrale serbo. Il 16 marzo 1922 Giuriati scrisse a D’Annunzio che i politici croati, già alleati con il governo dannunziano di Fiume, erano pronti a costituire la repubblica croata indipendente e sollevarsi contro lo Stato iugoslavo: «La Croazia è sempre pronta ad intendersi con noi sulle basi della convenzione del luglio 1920 che io firmai per te»140. Ma il governo pavido ed imbelle di Facta e Schanzer era «pauroso in favore degli altri e coraggioso contro l’Italia»141, e non assecondava tali direttive politiche. Il colpo di Stato fiumano ebbe varie conseguenze. Innanzitutto fu la sostanziale fine dell’indipendenza dello Stato libero di Fiume, entità in fondo osteggiata sia dall’Italia 138 «L’Idea Nazionale», 16 marzo 1922, Le dichiarazioni dell’on. Facta. 139 Al riguardo: MASSAGRANDE, op. cit., p. 73; ATTILIO DEPOLI, Fiume XXX ottobre 1918. Scritti scelti, San Giovanni in Persiceto, 1982, p. 270 e ss.; AMLETO BALLARINI, L’antidannunzio a Fiume. Riccardo Zanella, Trieste, 1995. 140 FV, ARC GEN, fasc. Giovanni Giuriati, Giuriati a D’Annunzio, 16 marzo 1922. 141 Ibidem. 384 LUCIANO MONZALI che dal Regno iugoslavo. L’azione fascista – che rafforzava la posizione dell’Italia, che occupava lo Stato fiumano e la terza zona dalmata, di fronte a Belgrado – ebbe poi l’effetto di spingere gli iugoslavi a riprendere i negoziati con l’Italia al fine di potere ottenere lo sgombero dai territori spettanti alla Iugoslavia. Grande sostenitore della ripresa del dialogo diplomatico con l’Italia fu Ninc#ic!, nominato ministro degli Esteri iugoslavo nel gennaio 1922. Da tempo in contatto con la rappresentanza italiana a Belgrado, Ninc#ic! era un nazionalista serbo, legato a Pas#ic!, che riteneva non vi fossero fondamentali contrasti d’interessi fra nazione serba e Italia. Appena divenuto ministro, Ninc#ic! dichiarò a Manzoni la sua volontà di proseguire e completare l’applicazione del trattato di Rapallo, pur sottolineando l’indisponibilità del suo governo a certe richieste italiane, quali, ad esempio, la proposta di allacciamento ferroviario fra Zara e Knin142. Dopo il colpo di Stato fiumano, il ministro italiano a Belgrado riferì che il governo iugoslavo sperava che prima della Conferenza di Genova Italia e Iugoslavia raggiungessero un’intesa circa l’«esaurimento trattato di Rapallo»; a Genova vi sarebbe stata, poi, la possibilità di concretare diplomaticamente tale intesa143. Il governo di Roma decise di accogliere l’offerta di Belgrado. Fra marzo e aprile si svolsero a Roma i lavori della commissione economica italo-iugoslava, caratterizzata da una serie di lunghe conversazioni su tematiche finanziarie miranti alla preparazione di alcune convenzioni relative all’applicazione del trattato di Rapallo in campo amministrativo, economico e finanziario144. In occasione della Conferenza di Genova si ebbe una ripresa dei negoziati politici italo-iugoslavi riguardo all’applicazione del trattato di Rapallo e circa la situazione di Fiume. Nel corso dei mesi di aprile e maggio, contemporaneamente ai lavori della Conferenza internazionale di Genova, a Santa Margherita, nell’Hôtel Guglielmina, si svolsero lunghi negoziati fra italiani e iugoslavi per la preparazione di intese che definissero l’applicazione completa dell’accordo di Rapallo145. La delegazione italiana fu guidata dal sottosegretario Tosti di Val142 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 12, Manzoni a Della Torretta, 16 gennaio 1922. GAB 1923-43, AF, b. 24, Manzoni a Schanzer, 12 marzo 1922. 144 Al riguardo i verbali delle conversazioni condotte da parte italiana da Luciolli e Brocchi, da parte iugoslava da Rybar e Hacin, in ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 26. 145 «L’Idea Nazionale», 11 aprile 1922, GUIDO MILELLI, Le trattative italo-jugoslave per il trattato di Rapallo; ALBERTINI, Epistolario, cit., III, Albertini a Sforza, 27 aprile 1922, d. 1312; ivi, Sforza a Albertini, 2 maggio 1922, d. 1313; ALBERTINI, I giorni di un liberale, cit., p. 387 e ss. 143 ASMAE, GLI ITALIANI DI DALMAZIA 385 minuta e dal segretario generale Contarini, mentre quella iugoslava fu presieduta da Ninc#ic!, Antonijevic! e dal ministro dalmata Krstelj. Le trattative furono lunghe e difficili, anche per la complessità tecnica dei problemi da affrontare146. Al lavoro della delegazione italiana collaborarono alcuni dalmati italiani, Krekich, Lubin, Smirich, Tacconi e Pezzoli147. Proprio per evitare il rischio del sorgere di una forte opposizione dei dalmati italiani alle possibili intese con Belgrado, il governo Schanzer fu molto attento ed assiduo nella consultazione dei rappresentanti di Zara e delle comunità italiane della Dalmazia iugoslava148. Riguardo al problema dell’assetto di Zara, Natale Krekich ribadì la richiesta di fare creare nel territorio iugoslavo una zona franca circostante la città; l’ipotesi di includere Zara nel territorio doganale della Iugoslavia al fine di garantirne la sopravvivenza economica era, invece, inaccettabile: tutti gli abitanti di Zara vi sarebbero stati ostili e pure l’opinione pubblica italiana avrebbe avuto difficoltà ad accettare tale soluzione149. A parere di Giovanni Lubin, l’unione doganale avrebbe significato la morte dell’italianità di Zara: […] L’unione doganale è un pericolo nazionale; combinata con l’allacciamento ferroviario promuoverebbe l’assorbimento degli italiani; del resto è noto che l’unione doganale precede ordinariamente quella politica. È quindi contrario per ragioni politiche: tutti i suoi concittadini vedrebbero in ciò il primo passo alla rinunzia di Zara da parte dell’Italia150. 146 Nei negoziati di Santa Margherita fu dato largo spazio ai problemi economici e amministrativi: ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Pro-memoria Moscheni sulle questioni economiche alla Conferenza di Genova (Trieste e trattative italo-jugoslave), aprile 1922. 147 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Viola ad Umiltà, 26 aprile 1922; ivi, Viola a Moroni, 26 aprile 1924. 148 Ad esempio: ASMAE, Carte Salata, b. 267, Righetti a Salata, 13 e 18 maggio 1922; ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 26, Verbale della seduta tenuta a Santa Margherita Ligure l’11 maggio 1922, presenti Tosti di Valminuta, Luciolli, Jacini, Krekich, Moroni, Righetti, Lubin, Smirich, Bartoli, Scaduto. 149ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 26, Verbale della seduta tenuta nella Sala Gialla del Ministero degli Esteri il 1° maggio 1922, presenti Fulco Tosti di Valminuta, Salata, Krekich, Brocchi, Barbarich, Righi, Contarini, Ciancarelli; ASMAE, Carte Salata, b. 267, Brocchi a Salata, 4 maggio 1922. 150 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 26, Verbale della seduta tenuta a Santa Margherita Ligure il 3 maggio 1922, presenti Tosti di Valminuta, Luciolli, Brocchi, Krekich, Moroni, Lubin, Smirich, Buscevich [Bucevich]. Peraltro la posizione di rifiuto dell’unione doganale non era condivisa da tutti i dalmati italiani. Il funzionario dalmata Bucevich, presente alle discussioni del 3 maggio, si dichiarò a favore: «[…] dichiara di non sentirsi meno italiano dei suoi concittadini pure essendo favorevole alla soluzione dell’unione doganale, la sola che assicurerebbe l’avvenire economico di Zara e metterebbe Zara in condizioni di adempiere alla sua missione sull’altra sponda. Nega che tale soluzione possa costituire un pericolo per la na- 386 LUCIANO MONZALI Nel corso dei negoziati il governo di Roma cercò di ottenere anche il consenso iugoslavo ad un altro progetto caro ai liberali zaratini, la costruzione della ferrovia Zara-Knin, scontrandosi con la decisa opposizione della delegazione SHS. Riguardo agli italiani della Dalmazia iugoslava, la delegazione italiana s’impegnò per ottenere una specificazione del contenuto dell’articolo 7 del trattato di Rapallo, con il riconoscimento formale della sua applicazione anche a Veglia, non citata esplicitamente dal trattato del novembre 1920. La posizione italiana, però, era influenzata dalla preoccupazione di non dovere eventualmente concedere garanzie formali alla minoranza sloveno-croataserba in Venezia Giulia. Notò a questo riguardo Francesco Salata il 1° maggio 1922: Non devesi dimenticare attualmente che nel condurre le trattative noi ci troviamo in posizione molto delicata perché facilmente quanto noi richiediamo al Governo S.H.S. potrebbe essere da lui, anche senza il diritto formale a noi assicurato dai trattati, a sua volta richiesto per le minoranze slave della Venezia Giulia. D’altra parte noi dobbiamo ottenere che lo Stato S.H.S. garantisca ai nostri dalmati quanto noi di fatto concediamo agli slavi della Venezia Giulia151. La difficoltà delle trattative italo-iugoslave, concomitanti con i lavori della Conferenza di Genova, convinse la stessa diplomazia britannica, interessata al miglioramento dei rapporti fra Italia e Regno SHS al fine di favorire il consolidamento dello Stato iugoslavo, ad intervenire nei negoziati di Santa Margherita. L’8 maggio vi fu un incontro fra il primo ministro britannico Lloyd George, Schanzer e Ninc#ic! a Genova, durante il quale il governo di Londra fece capire il proprio interesse a che le trattative italo-iugoslave avessero un esito positivo. Schanzer ribadì l’importanza di concludere un trattato riguardo l’assetto del territorio di Zara. La città di Zara non poteva sopravvivere senza un accordo che le garantisse i rifornimenti di cibo e di acqua. Raggiunta una tale intesa egli era pronto ad ordinare l’eva- zionalità di Zara ora che essa trovasi sotto la sovranità dell’Italia, se essa ha saputo lottare con successo nel campo nazionale quando era soggetta al dominio austriaco. Esorta i suoi concittadini a guardare più lontano e a non giudicare la situazione con meschini concetti municipali» (ibidem). Ma le dichiarazioni di Bucevich non convinsero Lubin e Krekich a mutare posizioni al riguardo. 151 Verbale della seduta tenuta nella Sala Gialla del Ministero degli Esteri il 1° maggio 1922, cit. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 387 cuazione della terza zona ancora occupata dall’esercito italiano. Ninc#ic! ribadì il punto di vista iugoslavo che la conclusione di un accordo su Zara non era possibile finché l’Italia non avesse proceduto all’evacuazione dei territori ancora occupati152. Il 18 maggio Lloyd George, desideroso di contribuire al superamento della controversia italo-iugoslava, s’incontrò nuovamente con Schanzer e Ninc#ic!. Il ministro italiano constatò i progressi nella trattativa, ma chiese che la delegazione iugoslava compisse alcune concessioni che facilitassero l’esportazione delle marasche a Zara e consentissero la futura costruzione di comunicazioni ferroviarie fra Zara e la Iugoslavia. Ninc#ic! dichiarò di non potere accettare di includere nella convenzione alcuna clausola riguardo al commercio delle marasche poiché lo scopo dell’accordo doveva essere solamente quello di assicurare il «ravitaillement» di Zara riguardo i prodotti di prima necessità; l’ipotesi di una ferrovia fra Zara e il territorio iugoslavo era inconcepibile: l’opinione pubblica iugoslava non avrebbe accettato tale iniziativa che sarebbe stata considerata una gratuita estensione dell’influenza italiana in Dalmazia153. A parere del ministro degli Esteri iugoslavo, era necessaria l’evacuazione della terza zona prima che la convenzione di Zara entrasse in vigore. Schanzer si dichiarò pronto a procedere all’evacuazione preventiva della terza zona purché Ninc#ic! assumesse l’impegno che la convenzione su Zara sarebbe entrata in vigore appena lo sgombero avesse avuto luogo, ma il ministro iugoslavo non poté garantire il consenso del proprio governo a tale compromesso, auspicato pure dai britannici. Altri problemi non ancora risolti erano poi la protezione della minoranza italiana in Dalmazia e l’amministrazione dei porti di Fiume e Susak154. I negoziati italo-iugoslavi proseguirono e il 20 maggio le due delegazioni raggiunsero un’intesa provvisoria su un accordo generale155. Nei giorni successivi si svolsero a Roma intense ne152 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Note of a conversation on the terrace of the Villa d’Albertis, Genoa, on Monday May 8, 1922, at 10.30 a.m., presenti Lloyd George, Hankey, Grigg, Gregory, Schanzer, Visconti Venosta, Giannini, Ninc#ic!, Antonijevic!. 153 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Note of a conversation on the terrace of the Villa d’Albertis, Genoa, on Thursday, May 18th, 1922, at 6.15 p.m., presenti Lloyd George, Wigram, Grigg, Gregory, Facta, Schanzer, Visconti Venosta, Giannini, Tosti di Valminuta, Contarini, Gullini, Ninc#ic!, Antonijevic!, Krstelj. 154 Ibidem. 155 Il testo del progetto d’accordo per l’esecuzione del trattato di Rapallo, parafato da Tosti di Valminuta e Krstelj il 20 maggio 1922, è conservato in ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, allegato a Tosti di Valminuta a Schanzer, 24 giugno 1922. Al riguardo: «L’Idea Nazionale», 23 maggio 1922, GUIDO MILELLI, Il protocollo di Santa Margherita. 388 LUCIANO MONZALI goziazioni che portarono alla parafatura di tre convenzioni relative a problemi di carattere amministrativo, economico e finanziario concernenti Zara, Fiume e la minoranza italiana nella Dalmazia iugoslava156. Sia l’accordo generale che le convenzioni tecniche non avevano ancora un carattere vincolante ed erano da sottomettersi all’approvazione dei rispettivi governi. Circa Zara veniva stabilito il diritto della città di svolgere il suo commercio d’esportazione per una certa quantità di prodotti in assoluta franchigia entro una striscia del retroterra iugoslavo fra i 10 e i 15 chilometri, mentre le importazioni dalla Iugoslavia avrebbero avuto libera entrata. Venivano concluse convenzioni speciali circa l’acquedotto, le proprietà e i vari problemi amministrativi di Zara ed era prevista la creazione di una commissione congiunta che avrebbe studiato il problema delle comunicazioni per Zara. Per Fiume veniva nominata una commissione paritetica per procedere alla delimitazione confinaria, all’organizzazione del porto e alla sistemazione dello Stato fiumano. Erano poi previste disposizioni preliminari circa la protezione di alcuni diritti della minoranza italiana in Dalmazia (professioni, scuole), che avrebbero poi avuto una migliore definizione in occasione della successiva futura conclusione del trattato di commercio italo-iugoslavo. La conclusione di un’intesa provvisoria fra Italia e Iugoslavia suscitò le proteste dei nazionalisti e dei fascisti italiani. Forges Davanzati denunciò la debolezza e l’incertezza del governo Facta nei rapporti con la Iugoslavia157. Il presidente dell’associazione Dalmazia, Roncagli, chiese che il Parlamento italiano non ratificasse i futuri accordi, a suo avviso, dannosi per gli interessi dell’Italia158. Tornati a Belgrado alla fine di maggio, Ninc#ic! e Krstelj presentarono al governo iugoslavo i testi delle convenzioni concordate con la delegazione italiana. Timoroso delle critiche e degli attacchi degli ambienti politici dalmati e croati, capitanati da Trumbic!159, Pas#ic! avanzò la richiesta di alcune modifiche agli accordi. Il governo di Belgrado rifiutò l’idea di scuole statali italiane in Dalmazia e domandò che gli insegnanti nel156 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 26, Verbali delle sedute tenute alla Consulta i giorni 23, 24, 25, 26 e 27 maggio 1922. I negoziati furono condotti da Krstelj, Rybar, Hacin per il governo iugoslavo, da Tosti di Valminuta, Brocchi, Luciolli e Righetti per il governo di Roma. 157 «L’Idea Nazionale», 23 maggio 1922, ROBERTO FORGES DAVANZATI, L’accordo italojugoslavo è firmato. La pessima politica. 158 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Roncagli a Orlando, 30 maggio 1922, allegato a Castelli a Schanzer, 8 agosto 1922. 159 Al riguardo: ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Manzoni a Schanzer, 20 giugno 1922. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 389 le scuole italiane fossero in possesso della cittadinanza iugoslava. Si pretendeva poi la riduzione dell’ampiezza della zona franca iugoslava, una migliore ripartizione dei beni archivistici di Zara, una differente ripartizione dei beni ecclesiastici zaratini e il rinvio dell’entrata in vigore delle convenzioni relative alle comunicazioni commerciali in Dalmazia160. Le richieste iugoslave riaprirono sostanzialmente i negoziati fra le due diplomazie, che si protrassero per alcuni mesi. Il fatto che il governo di Roma accettasse di riprendere la discussione su quanto già stabilito a Santa Margherita e Roma, suscitò l’irritazione delle destre nazionalista e fascista italiane. I nazionalisti denunciarono come inaccettabili le nuove pretese iugoslave161. Esponenti fascisti come Giuriati e Dudan attaccarono con durezza la politica estera di Schanzer162. A parere di Dudan gli accordi di Santa Margherita garantivano una peggiore protezione dei diritti degli italiani dalmati anche a confronto del trattato di Rapallo, che dava dei privilegi alla minoranza italiana rispetto alle altre popolazioni allogene nello Stato iugoslavo. Gli accordi di Santa Margherita erano inaccettabili poiché concedevano alla Iugoslavia il porto di Fiume e la terza zona dalmata dando all’Italia nulla in più di quanto già aveva163. In realtà la speranza di Dudan e dell’ala nazionalista e dannunziana del movimento fascista era che, boicottando le convenzioni di Santa Margherita, si potesse poi procedere ad una rinegoziazione di quanto previsto dal trattato di Rapallo, garantendo all’Italia l’annessione di parte della terza zona dalmata e dello Stato fiumano. Per mettere in difficoltà il governo, Giuriati e Dudan, con l’appoggio del radicale Colonna di Cesarò, chiesero l’approvazione parlamentare delle convenzioni di Santa Margherita prima della loro eventuale esecuzione164. Dudan, poi, cominciò ad attaccare violentemente il governo Facta, attraverso una campagna di stampa e la presentazione di interrogazioni parlamenta160 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Manzoni a Schanzer, 4 giugno 1922; ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 26, Verbale della seduta tenuta nella Sala Gialla del Ministero degli Affari Esteri il 6 giugno 1922, presenti Tosti di Valminuta, Brocchi, Sciti, Antonijevic!; Tosti di Valminuta a Schanzer, 24 giugno 1922, cit. 161 «L’Idea Nazionale», 24 giugno 1922, Inaccettabile tattica jugoslava per gli accordi di Santa Margherita. 162 GIORGIO RUMI, Alle origini della politica estera fascista (1918-1923), Bari-Roma, 1968, p. 219 e ss. 163 ACS, Carte Schanzer, b. 16, Dudan a Schanzer, 14 luglio 1922; AP, Camera dei deputati, Discussioni, tornata del 14 giugno 1922, discorso di Alessandro Dudan, p. 6158 e ss. 164 ACS, Carte Schanzer, b. 16, Giuriati a Orlando, 30 luglio 1922, allegato a Orlando a Tosti di Valminuta, 5 agosto 1922. 390 LUCIANO MONZALI ri165. Anche all’interno della diplomazia italiana si levarono voci critiche rispetto alla politica di collaborazione con la Iugoslavia perseguita dal governo Facta. Nel corso del mese di giugno la situazione in Dalmazia si aggravò a causa della decisione del Consiglio locale dell’ordine degli avvocati di procedere immediatamente alla cancellazione dall’ordine di tutti gli avvocati italiani che avevano rifiutato il giuramento al sovrano iugoslavo, ciò nonostante passate promesse delle autorità amministrative dalmate di sospendere tale iniziativa fino al raggiungimento di un’intesa fra i due governi al riguardo166. Il 22 giugno, da Spalato, il console Umiltà chiese al governo italiano maggiore fermezza nei confronti della controparte iugoslava. A suo avviso, il governo iugoslavo riteneva che tutto era lecito ai nostri danni poiché l’Italia era sempre pronta a recedere nella difesa dei propri diritti. La questione delle scuole e quella degli avvocati italiani in Dalmazia erano problemi della massima importanza. Le scuole hanno la massima importanza per questi italiani e per il nostro paese, se esso non ha deliberato – ciò che non si può credere – di rinunciare e per sempre a quel minimo d’italianità di questa parte della Dalmazia jugoslava che sola può alimentare la vita economica morale e culturale di Zara. La questione degli avvocati è anche di grandissima importanza a questi fini, non già per i singoli individui interessati, ma per il fatto che col loro mezzo si sarebbe mantenuta una certa tradizione italiana nei Tribunali e negli uffici locali, e per il fatto ancora più importante che centinaia e centinaia di milioni, che a tanto ammontano le industrie, le fabbriche, i commerci, le proprietà urbane e campestre e minerarie dei cittadini italiani ancora qui residenti, […] una volta che saranno eliminati gli avvocati nostri, non avranno altra difesa che il patrocinio legale di professionisti jugoslavi. I quali, per odio di parte, di razza e per lo spirito che ora ha invaso questa regione di impedire, eliminare, distruggere con ogni mezzo, ogni influenza economica e culturale italiana, non sono certo i più indicati a difendere contro le loro convinzioni, contro le loro leggi, contro le loro autorità, gli interessi dei loro nemici167. A parere di Umiltà, la ricerca dell’amicizia iugoslava aveva un’enorme importanza nella strategia complessiva della politica estera ita- 165 «L’Idea Nazionale», 27 luglio 1922, Una lettera dell’on. Dudan per le scuole italiane in Dalmazia; ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Presidenza del Consiglio dei Ministri a Tosti di Valminuta, 12 settembre 1922. 166 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Umiltà a Schanzer, 21 giugno 1922. 167 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Umiltà a Schanzer, 22 giugno 1922. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 391 liana, ma era da dubitarsi che i mezzi usati per ottenerla fossero stati finora quelli giusti: […] È dubbio che i mezzi che abbiamo adoperati, cioè la continua e completa longanimità nostra di fronte alle prepotenze, alle pretese, alle cattiverie, di questa gente, siano proprio quelli adatti per raggiungere lo scopo. Si è dato loro isole, territori, si è ceduto sulla questione del cabotaggio, in quella della pesca, si è quasi sgombrato dagli italiani la Dalmazia jugoslava; si stanno ora tentando accordi nei quali cediamo ancora qualche cosa, e il tono della stampa, le prepotenze delle autorità, i continui incidenti creati dalla canaglia locale mostrano quanto purtroppo siamo lontani non dico dall’amicizia, ma dal diminuire un poco dell’odio e del disprezzo verso di noi. Questi risultati così sconfortanti mi pare diano materia a lunghe ponderate meditazioni da parte nostra prima di affrettarsi a sacrificare del tutto e forse per sempre, alla speranza dell’amicizia jugoslava, gli ultimi e pur sempre grandissimi interessi economici, morali e culturali italiani di questa parte della Dalmazia168. Di fronte alle crescenti critiche, il governo Facta-Schanzer ritenne necessario un maggiore coinvolgimento dei politici dalmati italiani nei negoziati con la Iugoslavia. Già all’inizio di giugno, in vista dell’eventuale approvazione degli accordi di Santa Margherita, Pezzoli, Tacconi e Nicoletti avevano presentato al governo di Roma una serie di richieste a favore delle comunità italiane della Dalmazia iugoslava169. I rappresentanti dalmati chiesero la riorganizzazione delle scuole italiane esistenti a Sebenico, Curzola, Lesina e Cittavecchia e la riapertura di quella di Spalato, la tutela del diritto al culto e alla pratica religiosa in lingua italiana, provvedimenti speciali a tutela dei professionisti italiani costretti a lasciare la Dalmazia, dei pensionati optanti e degli studenti dalmati in Italia, e la nomina di un senatore del Regno in rappresentanza degli italiani della Dalmazia non annessa. Domandarono, poi, la partecipazione di delegati dalmati ad eventuali negoziati per la conclusione di un accordo circa l’indennizzo per le eventuali restrizioni dei diritti di proprietà dei cittadini italiani, nonché il sostegno del governo alla costruzione di una nuova sede delle istituzioni italiane ed alla fondazione di una Camera di commercio italiana a Spalato. Invitati dal governo, Tacconi e Selem si recarono a 168 Ibidem. 169 ACS, UNP, b. 62, LEONARDO PEZZOLI, ANTONIO TACCONI, TULLIO NICOLETTI, Postulati, 1° giugno 1922. 392 LUCIANO MONZALI Roma ed ebbero prolungate consultazioni con i diplomatici italiani al Ministero degli Esteri il 1° e il 2 luglio. I politici dalmati prepararono alcune note sulle questioni degli avvocati, delle scuole e delle professioni in Dalmazia. Pur favorevoli alle scuole di Stato, in quanto ritenute il miglior mezzo per impedire interferenze iugoslave nella loro attività, Tacconi e Selem si dichiararono disposti ad accettare la creazione di scuole private italiane purché fossero previste garanzie giuridiche contro eventuali ostruzionismi delle autorità SHS: l’apertura e il funzionamento delle scuole dovevano essere sottratti ad ogni controllo delle autorità scolastiche iugoslave, mentre il corpo insegnanti avrebbe potuto essere composto anche da maestri e catechisti cittadini italiani o abilitati in Italia170. In cambio della rinuncia alle scuole statali, Tacconi e Selem chiesero che l’avvocatura fosse riconosciuta come una delle professioni consentite anche ai cittadini optanti italiani171. In quelle settimane Tacconi, in particolare, fu coinvolto attivamente nei negoziati italo-iugoslavi in quanto esperto dalmata e partecipò alla preparazione dei testi degli articoli delle convenzioni di Santa Margherita ancora in discussione172. Nonostante la partecipazione di politici dalmati ai negoziati, a Zara nel corso del mese di luglio si diffuse una crescente preoccupazione circa eventuali modifiche alle progettate convenzioni di Santa Margherita. All’inizio di agosto, la Giunta provinciale di Zara, presieduta da Lubin, il Consiglio comunale, la Camera di Commercio di Zara e tutte le associazioni cittadine, scrissero un allarmato telegramma di protesta al presidente del Consiglio173 e lo divulgarono alla stampa174. I politici zaratini denunciarono che il governo si stava piegando alle pretese iugoslave sacrificando i vitali interessi italiani in Dalmazia: […] Il Governo già caduto cedendo ad imposizioni straniere si piega ogni giorno a concessioni a danno degli interessi nazionali decurtando e svuotan- 170 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Verbale della seduta del giorno 1° luglio 1922 alla Sala Gialla del Ministero degli Esteri, presenti Tacconi, Selem, Trabalza, Sciti, minuta. 171 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, ANTONIO TACCONI, Professioni. Appunti in merito alla continuazione dell’esercizio dell’Avvocatura, 3 luglio 1922, minuta. 172 Al riguardo: ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Tacconi ad anonimo, 15 luglio 1922; ibidem, appunto di Tacconi sulla redazione degli articoli 75, 76, 77, s.d. (ma luglio 1922). 173 Il testo del messaggio è riprodotto in ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Il segretario capo della Presidenza del Consiglio al Ministero degli Esteri, 3 agosto 1922. 174 «L’Idea Nazionale», 5 agosto 1922, Una protesta di Zara contro le concessioni alle pretese jugoslave. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 393 do di ogni contenuto gli accordi di Santa Margherita e peggiorando il tragico errore di Rapallo con la rinuncia ad ogni seria garanzia di tutela delle minoranze della Dalmazia, con rinvio ad epoca indeterminata della questione vitalissima delle comunicazioni terrestri e marittime di Zara e con la promessa divisione degli Archivi e del materiale archeologico ed artistico della città175. I politici zaratini chiesero l’aiuto dei gruppi parlamentari affinché fossero impedite rinunce «che danneggiano e tradiscono il diritto nazionale abbandonando a morte sicura i nostri infelici fratelli lasciati in balia del dominio straniero e facendo scempio dell’onore stesso d’Italia», minacciando d’impedire concretamente la consegna agli iugoslavi del patrimonio archeologico e artistico di Zara, «il più prezioso e sacro retaggio degli avi»176. Per far fronte agli attacchi provenienti dalla destra nazional-fascista e dai politici zaratini, in un momento nel quale l’accordo definitivo con Belgrado sul testo delle convenzioni di Santa Margherita era ormai vicino177, il governo Facta consultò molti esponenti politici. Il 4 e il 5 agosto alla Consulta si tennero alcune riunioni, presiedute da Tosti di Valminuta, dedicate al problema dell’accordo italo-iugoslavo di Santa Margherita, alle quali parteciparono i deputati fascisti Dudan e Gray, il nazionalista Suvich, il radicale Di Cesarò, il commissario di Zara Moroni, Krekich, Tacconi e Lubin. Tosti chiarì di volere spiegare informalmente ad alcuni uomini politici il carattere dei nuovi accordi e di chiedere pareri e consigli su come definire alcuni articoli necessari per la tutela di interessi reali ora che ci si avvicinava alla conclusione dei negoziati con la Iugoslavia178. Il sottosegretario agli Esteri, innanzitutto, cercò di rassicurare gli zaratini circa il futuro degli archivi presenti a Zara. Sul problema delle scuole Tacconi, Krekich e Lubin si dichiararono a favore di quelle statali; se ciò non era ottenibile bisognava proteggere l’autonomia delle scuole private: a tal fine era meglio rinunciare anche all’equipollenza dei titoli d’insegnamento che le scuole private avrebbero rilasciato, al fine di non consentire un controllo intollerabile da parte delle autorità iugoslave. Suvich rilevò i pericoli di non avere l’equipollenza dei titoli d’insegnamento. 175 Ibidem. Ibidem. 177 Al riguardo: ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Summonte a Schanzer, 25 luglio 1922. 178 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 26, Verbale della seduta del giorno 4 agosto 1922 nella Sala Gialla del Ministero degli Esteri, presenti Tosti di Valminuta, Di Cesarò, Dudan, Suvich, Moroni, Krekich, Gray, Lubin, Tacconi, Sciti. 176 394 LUCIANO MONZALI Secondo il deputato triestino, fondamentali per la sopravvivenza dell’italianità dalmatica erano gli italiani in possesso della cittadinanza iugoslava. Ma senza l’equipollenza dei certificati di studio, le scuole serviranno solo per gli optanti. Egli, viceversa, annette molta importanza agli italiani non optanti, giacché c’è una massa fluttuante che non si sa se sia propriamente italiana o no, ma che per mezzo di una propaganda oculata verrebbe attratta a noi. Siccome non si faranno probabilmente altre scuole italiane noi dovremo fare in modo che quella massa non frequentasse scuole slave179. Tacconi si mostrò in dissenso con le tesi di Suvich; egli, piuttosto, era convinto che, data la situazione esistente in Dalmazia e «l’enorme pressione dello Stato sciovinista jugoslavo è necessaria per la conservazione dell’italianità l’esistenza di un forte nucleo di cittadini italiani»: a tal fine era meglio ottenere scuole italiane autonome dall’interferenza iugoslava, nelle quali vi fossero maestri, testi, programmi e regolamenti italiani, anche a costo di farne scuole per i soli optanti180. L’avvocato spalatino si proclamò a favore delle convenzioni di Santa Margherita: se fosse stato possibile ottenere quanto previsto dagli accordi ciò avrebbe prodotto un indubbio rafforzamento delle posizioni italiane in Dalmazia. Dudan, invece, confermò la sua ostilità a tutto ciò che avrebbe portato allo sgombero dalla terza zona dalmata, ed avrebbe quindi combattuto tali convenzioni, «con la speranza che le tergiversazioni impediscano tale sgombero»181. Nel corso di agosto e settembre i negoziati fra Roma e Belgrado continuarono, condotti da Antonijevic! e da Tosti di Valminuta. Le due parti si avvicinarono attraverso reciproche concessioni. Il governo italiano rinunciò alle scuole statali in Dalmazia ed accettò che le questioni relative alla viabilità di Zara e alla zona circostante retta a regime speciale fossero risolte in occasione del prossimo trattato di commercio italo-iugoslavo. Alla fine di settembre si raggiunse un sostanziale accordo fra le due parti, con ancora da risolvere solo la contro- 179 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 26, Verbale della seduta del giorno 5 agosto 1922 nella Sala Gialla del Ministero degli Esteri, presenti Tosti di Valminuta, Dudan, Suvich, Moroni, Krekich, Lubin, Tacconi, Cippico, Sciti. 180 Ibidem. 181 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 26, Verbale della seduta del giorno 9 agosto 1922 nella Sala Gialla del Ministero degli Esteri, presenti Tosti di Valminuta, Dudan, Krekich, Vidossich, Lubin, Tacconi, Sciti. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 395 versia circa l’insegnamento nelle scuole private: il governo iugoslavo chiedeva che potessero insegnare nelle scuole in Dalmazia solo maestri optanti italiani, richiesta rifiutata dall’Italia182. Alla fine la diplomazia iugoslava rinunciò alle proprie tesi ed accettò che insegnanti provenienti dall’Italia potessero insegnare nelle scuole private in Dalmazia. Con le convenzioni di Santa Margherita ormai definite, il ministro degli Esteri Schanzer affrontò il problema del modo di far approvare gli accordi italo-iugoslavi di fronte all’opposizione di fascisti e nazionalisti183. Inizialmente Schanzer pensò di fare approvare e ratificare gli accordi con un decreto legge immediatamente esecutivo che evitasse il passaggio parlamentare per le convenzioni. In una lettera a Vittorio Emanuele Orlando dell’11 settembre 1922184, con la quale cercò di convincere il presidente della Commissione Esteri della Camera a resistere alle pressioni dei deputati fascisti185, Schanzer spiegò con larghezza di argomentazioni il suo pensiero sulle convenzioni di Santa Margherita. A parere del ministro degli Esteri, la ratifica degli accordi di Santa Margherita corrispondeva ai massimi interessi dell’Italia: La nostra situazione nell’Europa, dopo la guerra, presenta gravi incognite. Ci troviamo tra la Francia, spesso ostile e armata fino ai denti, e gli Stati della Piccola Intesa, anche essi formidabilmente armati e che subiscono l’influenza della Francia. L’Italia invece ha ridotto il suo esercito ai minimi termini. L’Inghilterra è lontana e tende sempre più a ritirarsi dalla politica continentale. Ne segue che è necessario per la nostra sicurezza fare verso la Jugoslavia, legata da un trattato militare alla Cecoslovacchia, una politica di avvicinamento e di pacifici accordi. L’altro corno del dilemma è una politica che potrebbe presto portarci ad un conflitto armato il quale nella attuale situazione diplomatica e militare dell’Europa e finanziaria nostra potrebbe avere per noi disastrose conseguenze186. Era poi urgente salvare Fiume facendo riaprire al più presto il traffico con la Iugoslavia, poiché i sussidi italiani non bastavano a farla sopravvivere. L’urgenza della situazione internazionale dell’Italia e di 182 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Tosti di Valminuta a Legazione italiana a Belgrado, 29 settembre 1922; ibidem, Varé a Tosti di Valminuta, 24 settembre 1922. 183 Al riguardo: ACS, Carte Schanzer, b. 16, Dudan a Schanzer, 8 settembre 1922. 184 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Schanzer a Orlando, 11 settembre 1922, copia. 185 ACS, Carte Schanzer, b. 16, Orlando a Schanzer, 7 settembre 1922. 186 Ibidem. 396 LUCIANO MONZALI Fiume imponeva, a parere di Schanzer, di fare approvare le convenzioni di Santa Margherita con un atto esecutivo che ne assicurasse la ratifica prima dell’approvazione parlamentare. Ogni ritardo nella ratifica degli accordi avrebbe creato una situazione diplomatica difficile e tesa, con possibili conseguenze pericolose per la pace europea. L’opposizione dei fascisti alle convenzioni di Santa Margherita era miope e controproducente. Specialmente il Dudan combatte questi accordi con una visione, secondo me, molto ristretta della situazione. Io non credo che mai accordi siano stati studiati con maggiore cura e pazienza, tenendo conto nella più larga misura possibile dei desideri degli interessati. E parmi di poter dire che, attraverso a mesi e mesi di trattative, si è ottenuto il massimo che si poteva ottenere per la garanzia dell’elemento italiano in Dalmazia, a tal punto che i Dalmati ragionevoli pienamente ne convengono. Il Dudan invece continua ad agitarsi per questioni minuscole e perde di vista le considerazioni politiche più ampie, vale a dire la necessità assoluta per noi di venire a un accordo con la Jugoslavia, se vogliamo che i nostri italiani siano trattati bene in quel paese. Ritardando la ratifica noi non salveremo più Fiume e Dio sa quali colpi di mano, quali rivolgimenti e quali dolorosi fatti ancora potranno funestare la città sventurata, esponendo anche l’Italia a gravi pericoli, persino di conflitti armati, e paralizzandola nel campo internazionale187. Da parte sua, il governo di Belgrado compì pressioni su quello italiano perché si giungesse alla firma delle convenzioni di Santa Margherita: rifiutò di affrontare ogni altra trattativa o negoziato con l’Italia, ad esempio quella della libertà di traffico ferroviario attraverso il territorio iugoslavo, vitale per il futuro economico di Trieste, fino a che non fosse stata risolta tale questione188. La situazione politica in Italia era sempre più dominata e condizionata dal fascismo. Le autorità governative e militari erano passive o assecondavano ogni iniziativa del movimento guidato da Mussolini. Il movimento fascista dimostrò di possedere una forza organizzativa e militare impressionante. All’inizio di ottobre le spedizioni fasciste a Trento e Bolzano – che occuparono le due città e destituirono il sindaco di lingua tedesca di Bolzano Perathoner e il commissario civile della Venezia Tridentina Credaro senza alcuna reazione delle autorità 187 Ibidem. Carte Schanzer, b. 16, Paratore a Schanzer, 23 ottobre 1922. 188 ACS, GLI ITALIANI DI DALMAZIA 397 statali – mostrarono la debolezza politica del governo Facta di fronte allo squadrismo189. Il partito fascista rimaneva ufficialmente ostile alle convenzioni di Santa Margherita, ritenute dannosissime per gli interessi degli italiani di Fiume e della Dalmazia, nonché ingiusto premio al governo iugoslavo inadempiente verso l’Italia190. I fascisti, in ogni caso, chiedevano l’approvazione parlamentare delle convenzioni prima della loro entrata in vigore191. In realtà all’interno del partito fascista le posizioni sulla questione non erano omogenee ed uniformi; contattato dal governo Mussolini aveva dichiarato di dissentire dall’azione di Dudan contro l’applicazione del trattato di Rapallo192. Pubblicamente, tuttavia, Mussolini, timoroso di suscitare malumori nel partito, sostenne Dudan e Giuriati nella campagna anti-iugoslava e contro le convenzioni di Santa Margherita. Pur condizionato dalla difficile situazione politica interna, Schanzer rimase convinto che fosse necessario procedere alla firma delle convenzioni di Santa Margherita, ma ritenne più opportuno sottomettere gli accordi all’approvazione parlamentare e rinviarne la ratifica, anche per timore che l’eventuale immediata ratifica per atto esecutivo fosse l’occasione per azioni violente fasciste: la ratifica per decreto legge avrebbe offerto «cercato pretesto per scatenare gravissimi movimenti in Dalmazia e Fiume e in Italia e obbligare Ministero a ritirarsi»193. Schanzer e Facta, quindi, decisero di procedere alla firma delle convenzioni di Santa Margherita dopo aver ottenuto che il governo di Belgrado accettasse di far decorrere il termine per l’evacuazione della terza zona dalmata dal momento della ratifica degli accordi, da farsi dopo l’approvazione parlamentare194. Di fronte al rischio di un radicale deterioramento nei rapporti con la Iugoslavia, il governo di Roma decise di procedere alla 189 Sulle spedizioni fasciste a Bolzano e Trento: DE FELICE, Mussolini il fascista. La con- quista del potere, cit., pp. 318-319; SALVATORELLI, MIRA, op. cit., I, p. 232. 190 «Il Popolo d’Italia», 22 settembre 1922, NINO FATTOVICH, Il fascismo di fronte agli accordi di Santa Margherita in una conversazione con l’on. Dudan. 191 ACS, Carte Schanzer, b. 16, Dudan a Schanzer, 3 ottobre 1922. 192 Al riguardo Lusignoli a Giolitti, 14 settembre 1922, in MASSAGRANDE, Italia e Fiume, cit., p. 203. Sulla base di queste informazioni confidenziali Schanzer dichiarava «di credere che Capo partito fascisti non farà effettivamente opposizione attuazione accordi di Santa Margherita» (ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 24, Schanzer a Pagliano, 21 agosto 1922). Anche la diplomazia francese era convinta che Mussolini avrebbe perseguito una politica moderata verso la Iugoslavia: AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol. 81, Charles-Roux al ministro degli Esteri, 29 ottobre 1922. 193 ACS, Carte Schanzer, b. 16, Schanzer a Facta, 14 ottobre 1922. 194 Ibidem. 398 LUCIANO MONZALI firma degli accordi di Santa Margherita, atto compiuto a Roma il 23 ottobre195. Le convenzioni regolavano tutta una serie di questioni relative all’assetto amministrativo, politico ed economico della Dalmazia e di Fiume, in applicazione di quanto previsto dal trattato di Rapallo. Per Zara si veniva a creare una zona speciale comprendente la città, il suo retroterra italiano e iugoslavo e le isole fronteggianti, all’interno della quale si costituiva una zona franca che avrebbe posto Zara al di fuori delle barriere doganali italiane e facilitato quindi i commerci fra il centro dalmata e lo Stato SHS. Veniva poi garantito a Zara l’approvigionamento idrico, assicurando all’Italia la custodia e l’integrità delle fonti dell’acquedotto (lo stagno di Boccagnazzo) situate in territorio iugoslavo. Si procedeva poi alla valutazione e alla ripartizione dei beni del Comune politico di Zara (ormai diviso fra Italia e Regno SHS). Molte disposizioni riguardavano anche la minoranza italiana nella Dalmazia iugoslava. Le convenzioni, innanzitutto, previdero una proroga della data entro la quale era possibile chiedere l’opzione per la cittadinanza italiana, rinviata al giorno dell’entrata in vigore degli accordi di Santa Margherita; coloro che dimoravano nei territori ancora occupati dall’Italia avrebbero avuto la possibilità di optare entro il termine di sei mesi a partire dal giorno dello sgombero da parte dell’esercito italiano. Riguardo all’esercizio delle professioni per gli optanti, le convenzioni di Santa Margherita affermavano il diritto dei cittadini italiani di svolgere attività e professioni non aventi carattere d’ufficio pubblico o fiduciario. Rimanevano, però, escluse quattro professioni (notaio, geometra, ingegnere civile e avvocato) alle quali la legislazione iugoslava annetteva carattere di funzione statale; per risolvere il problema dell’esclusione degli avvocati italiani, si prevedeva però la possibilità di ridiscutere la questione della possibilità di riammettere all’esercizio professionale questi cittadini italiani in occasione delle prossime trattative per il trattato di commercio. Veniva garantito agli optanti il rispetto delle concessioni ad essi accordate dall’Austria-Ungheria prima del 3 novembre 1918 e la ricostituzione delle società e degli istituti di beneficenza esistenti prima della guerra. Si prevedeva poi il diritto di costituire scuole private in lingua italiana per gli optanti italiani, che avrebbero goduto dell’equiparazione con le scuole ufficiali esistenti, con insegnanti e catechisti, anche di 195 Il testo completo delle convenzioni di Santa Margherita in GIANNINI, Documenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia, cit., pp. 76-123. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 399 cittadinanza italiana, scelti dai sudditi italiani concessionari e graditi alle autorità competenti iugoslave. In materia di protezione dei diritti di proprietà, minacciati, in particolare, dalla riforma agraria iugoslava, gli accordi di Santa Margherita assicuravano agli optanti un trattamento eguale a quello fatto ai sudditi SHS ed il diritto ad un’eventuale indennità in caso di diminuzione o restrizione di tali diritti; le modalità per la determinazione ed il pagamento dell’indennità sarebbero state stabilite con uno specifico accordo nel corso delle future trattative commerciali. Riguardo a Fiume, le convenzioni stabilivano che non appena fossero stati dati gli ordini per l’evacuazione di Susak, una commissione mista italo-iugoslava avrebbe sorvegliato le operazioni di evacuazione, delimitato la frontiera di Fiume ed organizzato il funzionamento dei servizi portuali e dello Stato fiumano. Si prevedeva, infine, l’entrata in vigore dell’accordo sulla pesca firmato nel settembre 1921. Le convenzioni di Santa Margherita stabilivano un insieme di garanzie per le popolazioni italiane di Zara e della Dalmazia, previste in principio dal trattato di Rapallo, che potevano assicurare migliori condizioni di vita per la minoranza. Ma sussisteva il dubbio sulla loro reale applicazione da parte delle autorità iugoslave. E naturalmente il valore di queste convenzioni dipendeva in massima parte dall’evoluzione delle relazioni politiche fra Italia e Regno SHS: solo la creazione di un rapporto di forte amicizia e collaborazione fra i due Stati, nel rispetto della reciproca integrità territoriale, poteva convincere le autorità di Belgrado che gli italiani di Dalmazia non costituissero una minaccia allo Stato iugoslavo. Al momento della firma, comunque, il futuro delle convenzioni di Santa Margherita sembrava alquanto incerto a causa degli sviluppi della politica interna italiana. Alla fine di ottobre le dimissioni del governo Facta e l’avvento al potere di Benito Mussolini, capo del fascismo, in seguito alla marcia su Roma, facevano prevedere a molti una rapida decadenza delle convenzioni di Santa Margherita: giungeva infatti al governo dell’Italia il movimento politico che per mesi aveva condotto un’aspra battaglia contro la conclusione degli accordi italo-iugoslavi e che sul piano propagandistico aveva con foga sostenuto il disegno dannunziano di disgregare lo Stato unitario iugoslavo. 400 LUCIANO MONZALI 4.5. Gli italiani di Dalmazia e l’Italia fascista: alcune proposte interpretative L’avvento di Benito Mussolini, capo del movimento fascista, alla Presidenza del Consiglio alla fine dell’ottobre 1922, alla guida di un governo di coalizione dominato dai fascisti196, ebbe il paradossale effetto di produrre un progressivo miglioramento delle relazioni politiche fra l’Italia e il Regno SHS. Come abbiamo visto, nel corso della sua carriera politica il leader romagnolo si era confrontato più volte con la questione adriatica manifestando una varietà di posizioni, talvolta non poco contraddittorie e spregiudicate197. Durante la guerra Mussolini aveva sostenuto tesi favorevoli all’amicizia italo-iugoslava, accettando l’eventuale creazione di uno Stato iugoslavo unitario e criticando gli eccessi del programma nazionalista di rivendicazioni adriatiche. A partire dal 1918 egli si era spostato politicamente a destra e aveva fatto proprio il programma nazionalista e dannunziano di conquista della Dalmazia e di disgregazione dello Stato iugoslavo. Che queste posizioni anti-iugoslave fossero in parte mosse opportunistiche emerse al momento della firma del trattato di Rapallo, accordo che il politico romagnolo condivise, anche se sul piano ufficiale continuò a cavalcare il mito della vittoria mutilata al fine di mantenere un ruolo di capo dell’opposizione nazionale e d’indebolire i governi liberali. Nel corso del 1921 e 1922 il capo del fascismo si presentò opportunisticamente all’opinione pubblica come il difensore dei diritti dei dalmati italiani e il sostenitore di una politica di scontro con la Iugoslavia, facendo della questione adriatica uno dei cavalli di battaglia della polemica fascista contro i governi Bonomi e Facta. Una volta conquistato il potere, Mussolini, desideroso di successi internazionali per consolidare il suo prestigio interno, adottò una politica adriatica moderata e pragmatica e mirò a ristabilire rapporti di amicizia e collaborazione con i nuovi Stati nazionali dell’Europa centrale. In questa ottica si spiega il suo progetto iniziale, poi fallito, di nominare ministro degli Esteri Carlo Sforza, e la conferma alla segreteria generale del Ministero di 196 Al riguardo: DE FELICE, Mussolini il fascista. La conquista del potere, cit.; ADRIAN LYTTELTON, La conquista del potere. Il fascismo dal 1918 al 1929, Bari-Roma, 1974, p. 123 e ss.; SALVEMINI, Lezioni di Harvard: l’Italia dal 1919 al 1929, cit., p. 392 e ss.; SALVATORELLI, MIRA, Storia d’Italia nel periodo fascista, cit. 197 Sull’atteggiamento di Mussolini verso la questione adriatica prima del 1922: DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit.; VIVARELLI, op. cit., I, p. 259 e ss.; DI NOLFO, Mussolini e la politica estera italiana, cit. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 401 Salvatore Contarini, favorevole a buoni rapporti con la Francia e il Regno SHS198. Il politico romagnolo sostanzialmente fece proprie le posizioni sulla questione adriatica sostenute da Contarini e da Sforza, forti sostenitori della conclusione del trattato di Rapallo e di stretti rapporti con lo Stato SHS199. Su ispirazione di Contarini, Mussolini rassicurò Belgrado e optò per la distensione nelle relazioni italo-iugoslave200: inviò segnali tranquillizzanti a Belgrado circa la sua volontà di creare una reale amicizia italo-iugoslava201 e impose ai gruppi nazionalisti e fascisti italiani di non suscitare incidenti anti-iugoslavi a Fiume202. Il problema della ratifica degli accordi di Santa Margherita fu una delle prime gravi questioni internazionali che il governo Mussolini si trovò ad affrontare. Per alcune settimane Mussolini pensò di sfruttare l’esigenza della ratifica parlamentare degli accordi di Santa Margherita per ottenere ulteriori concessioni politiche e territoriali a Fiume e in Dalmazia203. Il 3 dicembre Mussolini decise di chiarire al 198 Riguardo al rapporto fra Mussolini e Contarini e circa i primi anni della politica estera fascista: RUGGERO MOSCATI, La politica estera del fascismo. L’esordio del primo ministero Mussolini, «Studi politici», settembre 1953-febbraio 1954; ID., Gli esordi della politica estera fascista. Il periodo Contarini-Corfù, in AUTORI VARI, La politica estera italiana dal 1914 al 1943, Torino, 1963, p. 39 e ss.; ETTORE ANCHIERI, L’esordio della politica estera fascista nei documenti diplomatici italiani, in ID., Il sistema diplomatico europeo: 1814-1939, Milano, 1977, p. 197 e ss.; ID., L’affare di Corfù alla luce dei documenti diplomatici italiani, in ID., Il sistema diplomatico europeo, cit., p. 217 e ss.; RAFFAELE GUARIGLIA, Ricordi 1922-1945, Napoli, 1949; LEGATUS (CANTALUPO), Vita diplomatica di Salvatore Contarini, cit.; ALAN CASSELS, Mussolini’s Early Diplomacy, Princeton, 1970; MATTEO PIZZIGALLO, Mediterraneo e Russia nella politica italiana (1922-1924), Milano, 1983; PIETRO PASTORELLI, La storiografia italiana del dopoguerra sulla politica estera fascista, «Storia e politica», 1971, p. 575 e ss.; DI NOLFO, Mussolini e la politica estera italiana, cit.; VLASTIMIL KYBAL, Czechoslovakia and Italy: My Negotiations with Mussolini. Part I: 1922-1923, «Journal of Central European Affairs», 1954, n. 4, pp. 354-355. 199 A tale proposito: AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol. 81, Charles-Roux al ministro degli Esteri, 1° novembre 1922; ibidem, Barrère al ministro degli Esteri, 13 novembre 1922. 200 Sulle relazioni italo-iugoslave nel corso degli anni Venti: MASSIMO BUCARELLI, La Jugoslavia nella politica estera di Mussolini (1924-1937), Roma, 2004; FRANCESCO LEFEBVRE D’OVIDIO, L’Intesa italo-francese del 1935 nella politica estera di Mussolini, Roma, 1984; CASSELS, Mussolini’s Early Diplomacy, cit.; GIAMPIERO CAROCCI, La politica estera dell’Italia fascista (1925-1928), Bari, 1969; DI NOLFO, Mussolini e la politica estera italiana, cit.; PASTORELLI, Italia e Albania, cit.; DASSOVICH, I molti problemi dell’Italia al confine orientale. I, cit., p. 202 e ss.; H. JAMES BURGWYN, Italian Foreign Policy in the Interwar Period 19181940, London-Westport, 1997, p. 24 e ss. 201 DDI, VII, 1, dd. 62, 72; LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., pp. 52-55. 202 DDI, VII, 1, d. 6. 203 L’idea di chiedere ulteriori concessioni prima dello sgombero della terza zona dalmata era condivisa anche da alcuni diplomatici italiani. Il 23 ottobre il console italiano a Spalato, Umiltà, inviò a Schanzer a questo proposito un promemoria sulla situazione in 402 LUCIANO MONZALI governo iugoslavo la propria visione della questione adriatica in una lettera personale inviata al ministro degli Esteri Ninc#ic!204, che aveva incontrato alcuni giorni prima a Losanna. Il capo del fascismo ribadì l’importanza che lui dava alle relazioni italo-iugoslave e la volontà di tenere fede ai trattati conclusi. Ma per dare forza e solidità alla collaborazione fra Italia e Regno SHS era necessario che la politica dei buoni rapporti con Belgrado potesse essere «accettata e praticata dai partiti nazionali italiani». Al fine di convincere gli elementi italiani più nazionalisti e di potere procedere allo sgombero dei territori ancora occupati, il presidente del Consiglio chiese concessioni territoriali a vantaggio dell’Italia a Fiume e a Zara. Le mie richieste riguardano Fiume e Zara. Quanto alla prima città chiedo il formale impegno che attraverso i lavori della Commissione paritetica si possa giungere ad una sistemazione dello Stato che, pur concedendo agli interessi economici iugoslavi la necessaria durevole garanzia, assicuri quella italianità di Fiume che è stata causa di tante dolorose vicende e di tante dure controversie. […] Quanto alla città di Zara chiedo che le sia concesso a titolo di respiro l’isola di Ugliano205. La lettera segnò l’inizio di un lungo negoziato fra Roma e Belgrado per la definitiva soluzione della questione adriatica. Da parte iugoslava si manifestò immediatamente la volontà di accettare i negoziati con Mussolini ma anche il rifiuto di ulteriori concessioni territoriali in Dalmazia che modificassero quanto previsto dal trattato di Rapallo206. Dalmazia. A parere di Umiltà, le autorità iugoslave avevano negato ogni riconoscimento ai capoversi primo e secondo dell’articolo VII del trattato di Rapallo. Di fronte a tali inadempienze e ai continui atti di ostilità verso le persone e gli interessi italiani, sarebbe stato giusto ed equo, prima della ratifica delle convenzioni di Santa Margherita e di Roma e della completa applicazione dell’accordo di Rapallo, «prima cioè che da parte nostra con lo sgombero della terza zona dalmata si perda ogni pegno per la leale esecuzione del trattato e delle Convenzioni», esigere alcune concessioni dal governo di Belgrado: «1°) cercare che sia eseguita la riapertura della Chiesa italiana in Spalato; 2°) cercar di ottenere la derequisizione dei locali della scuola della Lega Nazionale a Spalato; 3°) cercar di ottenere il cambio o per lo meno l’inizio delle operazioni di cambio a favore dei cittadini italiani, sia regnicoli che optati; 4°) ottenere il cambio dei funzionari S.C.S. a noi così ostili; 5°) ottenere un equo regolamento delle tasse portuali per la bandiera italiana». ACS, Carte Schanzer, b. 16, CARLO UMILTÀ, Promemoria, 23 ottobre 1922. 204 DDI, VII, 1, d. 197, Mussolini a Ninc#ic!, 3 dicembre 1922. 205 Ibidem. 206 Ninc#ic! a Mussolini, 12 gennaio 1923, citato in LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 54. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 403 Per convincere della propria buonafede la controparte iugoslava, Mussolini decise di presentare gli accordi di Santa Margherita al Parlamento il 6 febbraio e di procedere poi alla consegna della terza zona dalmata. Mussolini giustificò la ratifica degli accordi di Santa Margherita207, in precedenza criticati dai nazionalisti e dai fascisti in quanto segno di debolezza dei governi liberali verso gli iugoslavi, come passo indispensabile per creare una nuova base nelle relazioni con Belgrado, impegnandosi a modificarne i contenuti dopo la ratifica. Era necessario migliorare le relazioni con lo Stato iugoslavo, perché l’efficacia delle convenzioni sarebbe dipesa dallo spirito con cui sarebbero state applicate. Inoltre bisognava porre fine alle incertezze esistenti circa la politica adriatica dell’Italia, poiché non era possibile effettuare una politica estera forte «senza avere verso gli altri Stati degli atteggiamenti decisi e chiari»208. La nuova politica iugoslava di Mussolini suscitò sconcerto all’interno del movimento fascista, i cui capi, però, accettarono supinamente le direttive del duce, nonostante le proteste di alcuni gruppi dalmati dannunziani e nazionalisti o appartenenti all’intransigentismo fascista. Malgrado le pressioni di Mussolini sul prefetto di Zara affinché la cittadinanza zaratina fosse preparata politicamente alla decisione di una prossima consegna della terza zona209, il segretario del Fascio di Zara, Radovani, chiese a Dudan di opporsi alla ratifica degli accordi di Santa Margherita210. La federazione dalmata dell’Associazione nazionalista italiana, capitanata da Mandel, inviò un duro messaggio di protesta a Mussolini l’8 febbraio. L’Associazione Nazionalista Italiana, Gruppo Dalmazia, riunita d’urgenza addì 8 febbraio 1923 di fronte alla dolorosa notizia della presentazione alla Camera Italiana degli accordi di St. Margherita Ligure e della sicura loro approvazione, considerato che tale atto è destinato a mettere il definitivo suggello a quel trattato di Rapallo che è stato dichiarato assurdo dallo stesso Presidente del Consiglio e che supera per iniquità il mercato di Campoformio 207 Al riguardo i discorsi di Mussolini alla Camera e al Senato nel febbraio 1923 riprodotti in AMEDEO GIANNINI, (a cura di), La questione di Porto Baros e gli accordi di Santa Margherita al Parlamento italiano, Roma, 1923, pp. 33-35, 103-105. Sulla ratifica degli accordi di Santa Margherita anche ODDONE TALPO, Da Rapallo in poi. Conseguenze nella situazione della Dalmazia, «La Rivista Dalmatica», 1998, n. 2, p. 102 e ss. 208 GIANNINI, La questione di Porto Baros, cit., discorso di Mussolini il 6 febbraio 1923, p. 34. 209 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 25, Mussolini al prefetto di Zara, 5 febbraio 1923. 210 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 25, Maggioni a Mussolini, 7 febbraio 1923. 404 LUCIANO MONZALI […], protesta con l’energia della disperazione contro la minacciata ratifica degli infausti accordi richiamando ancora una volta i rappresentanti della Nazione alla realtà tragica della situazione prima di compiere un atto irreparabile di cui ogni Italiano cosciente non può nascondersi le dolorose conseguenze211. Il prefetto di Zara, Maggioni, fece pressioni sui capi dei principali partiti zaratini (fascisti, nazionalisti, dannunziani e liberali) perché accettassero le decisioni del capo del governo, ottenendo solo un parziale successo. Il diffondersi della notizia della prossima ratifica degli accordi di Santa Margherita e del conseguente sgombero della terza zona dalmata aveva profondamente colpito la popolazione di Zara. Si è diffuso – comunicò Maggioni a Mussolini – tutta cittadinanza stato profonda dolorosa depressione morale. Anche cittadini più equilibrati sono pervasi oscuro pessimismo persuasi che piccolo territorio Zara isolato e osteggiato Jugoslavia sia destinato irremovibilmente languire. Con qualsiasi altro Governo che non fosse Governo Nazionale presieduto V.E. sarebbero già avvenute dimostrazioni di piazza212. La nuova politica iugoslava di Mussolini mise in profondo imbarazzo tutti quei fascisti e nazionalisti che per molti mesi avevano combattuto senza sosta contro l’applicazione del trattato di Rapallo e gli accordi di Santa Margherita. Quest’imbarazzo comparve con chiarezza nel corso della discussione parlamentare sulle convenzioni italo-iugoslave. Di fronte ai rilievi di alcuni deputati dell’opposizione, che notavano la stranezza di questa urgenza nella ratifica delle convenzioni dopo che per molti mesi fascisti e nazionalisti avevano predicato l’impossibilità di accettare questi accordi e di abbandonare la terza zona dalmata senza avere prima garanzie per la tutela dell’italianità dalmatica213, il fascista Giunta preferì non rispondere limitandosi ad inveire contro le presunte malefatte dei negoziatori dell’accordo di Rapallo, Giolitti, Sforza e Salata214. Dudan, invece, comunque rimar- 211 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 25, Mandel alla Presidenza del Consiglio, 8 febbraio 1923. 212 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 25, Maggioni a Mussolini, 8 febbraio 1923. Ad esempio gli interventi di Chiesa e di Lucci il 10 febbraio 1923, riprodotti in GIANNINI, La questione di Porto Baros, cit., pp. 39-56. 214 GIANNINI, La questione di Porto Baros, cit., intervento di Giunta, 10 febbraio 1923, pp. 56-62. 213 GLI ITALIANI DI DALMAZIA 405 cando la sua fedeltà al fascismo e a Mussolini, si dichiarò contrario agli accordi di Santa Margherita e alla loro ratifica, pur relativizzandola dandole un valore eminemente simbolico. La mia opposizione e il voto contrario che darò anche oggi alla Convenzione di Santa Margherita dovrà significare la protesta contro queste violazioni dei diritti italiani in Dalmazia e il desiderio che si tentasse, se era ancora possibile, con ulteriori trattative, o l’emendamento delle disposizioni lesive dei diritti italiani in Dalmazia, o, se questo non era possibile, per lo meno di guadagnare il tempo necessario, perché il momento critico che passa oggi l’Europa fosse da noi superato avendo ancora in mani quell’arcipelago zaratino che indubbiamente […] ancora oggi ci dà il dominio del medio Adriatico, e che domani, dato in mani di stranieri significherà per l’Italia la perdita, certamente più o meno duratura, del dominio, della padronanza nell’Adriatico da parte dell’Italia215. A parere di Dudan, il possesso della terza zona era necessario alla sopravvivenza di Zara che in un solo anno e mezzo dalla ratifica di Rapallo aveva perso il 40 per cento della popolazione, emigrato per fame e disoccupazione. Inoltre varie clausole delle convenzioni di Santa Margherita comportavano l’annullamento di fondamentali diritti degli italiani nella Dalmazia iugoslava: secondo il deputato fascista, «la convenzione di Santa Margherita ancor più che il Trattato di Rapallo, ha mutato i vincitori in vinti: gli italiani, ed i vinti in vincitori: i croato-austriaci!»216. Gli accordi di Santa Margherita furono approvati a grande maggioranza dalla Camera il 10 febbraio e dal Senato il 16. Dopo la ratifica italiana e quella iugoslava, si procedette allo scambio delle ratifiche il 26 febbraio 1923 a Roma. L’evacuazione della terza zona dalmata procedette senza intralci e problemi. Fra la fine di febbraio e l’inizio di marzo la commissione italiana (presieduta dal generale Barbarich) e quella iugoslava, incaricate di tracciare sul terreno il nuovo confine e di organizzare il passaggio dei territori dall’Italia al Regno SHS, svolsero i loro lavori stabilendo i tempi dello sgombero217. Il 3 marzo 1923 con l’abbandono di Zaravecchia e Novegradi ebbe inizio 215 GIANNINI, La questione di Porto Baros, cit., intervento di Dudan, 10 febbraio 1923, pp. 65-74. 216 Ibidem. 217 Al riguardo: ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Maggioni al Ministero degli Esteri, 9 marzo 1923. 406 LUCIANO MONZALI il ritiro italiano dalla terza zona dalmata, che proseguì nei giorni seguenti con la cessione delle isole intorno a Zara e la definizione del tracciato della frontiera italo-iugoslava intorno all’enclave di Zara218. Dopo la ratifica degli accordi di Santa Margherita, Mussolini si pose l’obiettivo di conquistare il consenso dei dalmati italiani – ancora spaccati fra la vecchia guardia liberale guidata da Krekich e i gruppi fascisti capeggiati da Dudan e Cippico – verso il nuovo governo e la sua politica di amicizia con la Iugoslavia. Oltre ad una serie di provvedimenti economici favorevoli alla città di Zara, Mussolini compì due atti di distensione verso la vecchia guardia liberale: innanzitutto destituì il segretario del Fascio di Zara, Trifone Radovani219, nemico di Krekich, e commissariò il partito220. Nell’aprile 1923, poi, decise di nominare due nuovi senatori dalmati, Cippico, esponente fascista, in rappresentanza di Zara, e Antonio Tacconi, politico legato alla famiglia Ziliotto e a Krekich, come rappresentante degli italiani della Dalmazia iugoslava221. L’ascesa al potere del fascismo e la nomina di Mussolini alla presidenza del Consiglio imposero ai dalmati italiani di tendenze liberali e autonomiste una scelta obbligata: dialogare e collaborare con il fascismo, che ormai sembrava identificarsi con lo Stato italiano. Il progressivo tracollo dei liberali e la conquista fascista dello Stato indebolirono la forza politica autonoma dei liberali zaratini e dalmati di fronte al fascismo. I concorrenti locali nazionalisti e fascisti potevano oramai rivendicare la loro vicinanza al potere e porsi come mediatori fra le popolazioni dalmate e il governo centrale, ed essere quindi fonte e procacciatori di aiuti, favori e iniziative a vantaggio degli 218 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Maggioni a Mussolini, 3 e 4 marzo 1923; MASSAGRANDE, op. cit., p. 118. 219 Notizie su Trifone Radovani, originario di Scardona, ma domiciliato a Zara, insegnante di materie letterarie alla scuola media di Zara, segretario del Fascio di Zara e della Federazione fascista provinciale zaratina, poi presidente del circolo italiano di Scardona in: ASMAE, Spalato, b. 187, Ministero degli Esteri, appunto interno, 9 dicembre 1933; ibidem, il viceconsole di Sebenico al Ministero degli Esteri, 20 e 23 luglio 1930. 220 Informazioni a tale riguardo in: «L’Aquila del Dìnara», 24 aprile 1923, Dopo la ricostituzione del Fascio di Zara; ACS, MIN INT, d.g. pubblica sicurezza, 1921, b. 87, Buratti a Mussolini, 17 dicembre 1923; IARABEK, Note sulle origini del Fascismo Zaratino, cit., p. 12 e ss. 221 ASSR, segreteria, fascicoli personali dei senatori, b. 54, fascicolo personale Antonio Tacconi, decreto di nomina a senatore 19 aprile 1923; ASSR, segreteria, fascicoli personali dei senatori, b. 14, fascicolo personale Antonio Cippico, decreto di nomina a senatore 19 aprile 1923. Riguardo alla nomina di Tacconi e al ruolo di Contarini in tale scelta: ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 8, Contarini al viceconsole di Sebenico, 30 aprile 1923. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 407 italiani in Dalmazia. Per una minoranza come quella dalmata italiana, minacciata dall’espansionismo economico e politico dello Stato iugoslavo e dalle spinte snazionalizzatrici di croati e serbi, il mantenimento della benevolenza del governo di Roma significava garantirsi la sopravvivenza nazionale. Con il fascismo al potere in Italia l’antifascismo era un lusso che la maggioranza dei dalmati italiani, in particolare gli zaratini, non poteva permettersi. La minoranza italiana dalmata era obbligata ad essere forza filogovernativa, pena il tracollo e la scomparsa. Vi era anche la speranza che l’instaurarsi di un governo forte ed autorevole facilitasse la tutela dei diritti delle popolazioni italiane dalmate di fronte al Regno iugoslavo: la fine dell’instabilità interna con la formazione del governo Mussolini poteva fare presagire un rafforzamento internazionale dell’Italia222. Dalla fine del 1922, insomma, i liberali zaratini abbandonarono la politica di scontro con il fascismo e iniziarono a dialogare con esso. Da parte sua, Mussolini, desideroso di presentarsi come grande leader nazionale, cercò ed accettò la collaborazione dei vecchi liberali zaratini e dalmati, puntando al loro progressivo inserimento nel fascismo. Insoddisfatto dell’estremismo dei capi fascisti zaratini, critici verso la sua politica di ratifica degli accordi di Santa Margherita e di dialogo con Belgrado, nonché non rappresentativi della maggioranza della popolazione dalmata italiana, Mussolini procedette alla riorganizzazione della federazione fascista di Zara in nome della pacificazione degli animi e della riconciliazione nazionale223. Nel corso del 1924, quindi, ebbe luogo una ridefinizione degli schieramenti politici a Zara e nella Dalmazia iugoslava. La grande maggioranza dei vecchi liberali, guidata da Krekich224, aderì al rinnovato partito fascista zaratino225, riconciliandosi con alcuni ex nemici quali Cippico e Dudan; in cambio, però, es- 222 Circa la speranza che il governo Mussolini potesse garantire migliori condizioni di vita alla minoranza nella Dalmazia iugoslava si vedano le lettere dell’avvocato spalatino Stefano Selem: ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 16, Selem a Mussolini, 23 dicembre 1922; ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1309, Selem a Mussolini, 20 febbraio 1923. 223ACS, MIN INT, d.g. pubblica sicurezza, 1921, b. 87, Bellini a Ministero degli Interni, 21 agosto 1924. 224 In cambio della sua iscrizione al Fascio di Zara nel 1924, Krekich fu nominato presidente della Reale Commissione straordinaria per la Provincia di Zara, carica che tenne fino al 1929; nel 1933 fu poi nominato senatore del Regno: ASSR, segreteria, fascicoli personali dei senatori, b. 30, fascicolo Krekich, Nota biografica dell’avvocato Krekich, senza data; «Il Mare Nostro», 1938, n. 9, MARIO RUSSO, Natale Krekich, pp. 8-9. 225 ACS, MIN INT, d.g. pubblica sicurezza, 1921, b. 87, Basile a Ministero degli Interni, 24 ottobre 1924 e 17 novembre 1924. 408 LUCIANO MONZALI si ottennero di conservare sostanzialmente la guida del comune di Zara, affidata ad Ascanio Persicalli, già stretto collaboratore di Ziliotto, e, poi, a Giovanni Salghetti, esponente di una famiglia di proprietari terrieri e imprenditori appartenente all’establishment liberale-autonomista226. Fra il 1924 e il 1925 i principali esponenti politici della minoranza italiana nella Dalmazia iugoslava aderirono pure al regime fascista: ad esempio, Antonio Tacconi s’iscrisse al partito nazionale fascista, presso il Fascio di Zara, nel luglio 1925227. Con l’adesione di Krekich, Tacconi e di molti sostenitori del liberalismo dalmata al Fascio zaratino, il fascismo perdeva il suo carattere minoritario e faceva un’operazione politica di rilievo nazionale, potendo finalmente rivendicare, con qualche fondamento, di essere il punto di riferimento della maggior parte dei dalmati italiani228 e appropriandosi della tradizione dell’irredentismo liberale italiano dalmata. In cambio Mussolini accettò di riconoscere come interlocutore primario nei problemi dalmatici il vecchio establishment liberale-autonomista, guidato da Krekich, Tacconi e Pezzoli, uomini a lungo estranei al fascismo. Tuttavia questa scelta filofascista di molti liberali dalmati, imposta pragmaticamente da Krekich e che imitava quanto era avvenuto nei circoli liberali giuliani229, provocò una spaccatura nella vecchia «Unione Nazionale», erede del partito autonomo-italiano. A Zara, Giuseppe Ziliotto, figlio di Luigi, Gustavo Talpo, Pompeo Allacevich ed altri giovani liberali contestarono la nuova strategia di Krekich e videro in essa un tradimento dei valori liberali nazionali dell’italianità dalmatica230. Pure il capo degli italiani di Sebenico, Luigi Pini, non condivise il riposizionamento dei liberali e rifiutò di aderire al partito fascista231. E sulle posizioni di Pini si schierarono non pochi italiani della Dalmazia iugoslava. Di fatto però la scelta filo-fascista consentì ai politici dal- 226 Al riguardo: FRANCESCA (DIDI) SALGHETTI DRIOLI, Profilo genealogico della famiglia, in GIORGETTA BONFIGLIO-DOSIO, FRANCESCA (DIDI) SALGHETTI DRIOLI, RITA TOLOMEO, La fabbrica di maraschino Francesco Drioli di Zara (1759-1943), Cittadella, 1996, pp. XXII-XXIII. 227 ASSR, segreteria, fascicoli personali dei senatori, b. 54, fascicolo Tacconi, Unione nazionale fascista del Senato, scheda personale di Antonio Tacconi. Nel 1930, il console di Spalato, Segre, constatò che fra il centinaio di aderenti spalatini al PNF, solo tre erano iscritti prima della Marcia su Roma, mentre la «quasi totalità dei fascisti di Spalato è tesserata degli anni 1925-1926»: ASMAE, GAB b. 423, Segre a Ministero degli Affari Esteri, 12 marzo 1930. 228 Ad esempio: «Il Littorio Dalmatico», 4 ottobre 1924, Ordine e disciplina. 229 Al riguardo: MILLO, L’elite del potere a Trieste, cit., p. 245 e ss. 230 COEN, Zara tra le due guerre, cit., pp. 133-134; ZILIOTTO, Lettera ad Enzo Bettiza, cit., p. 37. 231 DDI, VII, 10, nota 2 a d. 400. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 409 mati di contare maggiormente presso il governo di Roma e di porre le basi per la ripresa economica che Zara conobbe nel corso degli anni Venti e Trenta, trasformandosi da città burocratica in prospero centro commerciale e industriale. Dopo la ratifica degli accordi di Santa Margherita e lo sgombero della terza zona dalmata si comprese ben presto che l’obiettivo della nuova politica adriatica di Mussolini era convincere gli iugoslavi a procedere alla spartizione dello Stato libero di Fiume, al fine di annettere la città del Quarnero all’Italia e di ottenere così un grande successo di politica estera utilizzabile anche sul piano interno. Le armi sulle quali il capo fascista puntò per convincere gli iugoslavi ad accettare questo disegno erano la promessa di una futura cessione di parte del territorio fiumano (Porto Baros e il Delta) e il progetto di creare un’alleanza e una collaborazione politica fra Roma e Belgrado. Per il governo di Belgrado, guidato da Nikola Pas#ic! e ormai dominato dalla classe dirigente serba, accettare la spartizione dello Stato di Fiume significava, però, affrontare le ire dell’opinione pubblica croata che avrebbe visto in tale atto l’ennesimo sacrificio di terra croata a vantaggio dell’Italia. Da qui le inevitabili resistenze del governo iugoslavo, che per vari mesi rifiutò le proposte di Mussolini232. Gli elementi che sbloccarono il negoziato italo-iugoslavo furono le pressioni del principale alleato dello Stato iugoslavo, la Francia, su Belgrado: la diplomazia francese, desiderosa di migliorare le relazioni con Roma e alla quale Contarini promise la futura conclusione di un’intesa tripartita italo-franco-iugoslava233, insistette sul governo serbo per convincerlo della saggezza dell’accordo adriatico con l’Italia. Determinante fu poi la volontà di Re Alessandro Karadjorgevic! di chiudere il contenzioso territoriale con l’Italia nell’Alto Adriatico e di consolidare lo Stato iugoslavo, già minato da dure lotte nazionali interne, con un trattato che sancisse l’amicizia con Roma234. Il 27 gennaio 1924 si giunse alla firma a Roma dei trattati italo-iugoslavi che determinarono la chiusura del contenzioso confinario fra i due Stati235. Nell’accordo 232 Sulla genesi dei trattati di Roma del 1924: LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 55 e ss.; MASSAGRANDE, Italia e Fiume, cit., p. 115 e ss. 233 AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol. 93, Barrère a Poincaré, 6 novembre 1923; GRUMEL-JACQUIGNON, op. cit., p. 195 e ss.; WILLIAM. I. SHORROCK, From Ally to Enemy: the Enigma of Fascist Italy in French Diplomacy 1920-1940, Kent, 1988; LEFEBVRE, op. cit., p. 62 e ss. 234 BUCARELLI, La Jugoslavia nella politica estera di Mussolini, cit., p. 12 235 I testi di questi accordi sono riprodotti in BENEDETTI, op. cit., p. 287 e ss., e in GIANNINI, 410 LUCIANO MONZALI concernente Fiume fu sancita la spartizione dello Stato libero: l’Italia annetteva la città e il porto di Fiume mentre il Regno SHS otteneva la sovranità su Porto Baros, sul Delta e su alcuni territori già appartenuti allo Stato fiumano. Contropartita all’accettazione iugoslava della dissoluzione dello Stato di Fiume fu la firma di un patto di amicizia e di collaborazione fra l’Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Con questo patto l’Italia di Mussolini sosteneva e accettava l’esistenza di uno Stato iugoslavo unitario. Nell’articolo primo, infatti, le due parti contraenti s’impegnavano a prestarsi reciproco appoggio e a collaborare allo scopo di «mantenere l’ordine stabilito dai Trattati di pace conclusi al Trianon, a S. Germano e a Neuilly e a rispettare ed eseguire le obbligazioni stipulate in questi trattati». Nell’articolo secondo, dopo essersi promesse reciproca neutralità in caso di attacco subìto e non provocato da parte di una delle due parti contraenti, vi era l’impegno italiano a non alimentare forze secessioniste anti-iugoslave: «Parimenti nel caso in cui la sicurezza e gli interessi di una delle Alte Parti contraenti fossero minacciati in seguito a violente incursioni provenienti dall’estero, l’altra parte si impegna a prestarle col suo concorso benevolo il suo appoggio politico e diplomatico allo scopo di contribuire a far scomparire le cause esteriori di questo pericolo». Con gli accordi di Roma Mussolini sconfessava la politica anti-iugoslava che per anni era stata perseguita dai nazionalisti, dai dannunziani e dallo stesso fascismo. Paradossalmente l’Italia fascista inaugurava una politica di collaborazione con il Regno SHS, quella stessa politica che i nazionalfascisti italiani avevano a lungo boicottato dopo Rapallo. Va detto che questa svolta filo-iugoslava imposta da Mussolini alla politica estera italiana fu accettata malvolentieri da vasti settori del partito e del regime fascista, partecipi dell’ideologia anti-iugoslava di matrice dannunziana e nazionalista, e simpatizzanti con le forze separatiste croate, albanesi e montenegrine. Testimonianza del permanere di tendenze anti-iugoslave nei settori del fascismo di origine nazionalista fu la lettera che Roncagli, capo dell’associazione romana «Dalmazia», inviò a Mussolini il 26 settembre 1924, invitandolo a creare un comitato segreto balcanico-danubiano avente la funzione di essere il cenDocumenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia, cit. p. 124 e ss. Per una loro interpretazione: PASTORELLI, Italia e Albania, cit.; BUCARELLI, La Jugoslavia nella politica estera di Mussolini, cit., p. 4 e ss.; LUCIANO MONZALI, La questione jugoslava nella politica estera italiana dalla prima guerra mondiale ai trattati di Osimo (1914-1975), in FRANCO BOTTA, ITALO GARZIA, (a cura di), Europa adriatica. Storia, relazioni, economia, Roma-Bari, 2004. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 411 tro propulsore di tutte le organizzazioni separatiste anti-serbe; a parere di Roncagli, attraverso il sostegno dei movimenti nazionali non bolscevichi ed anti-serbi, l’Italia avrebbe potuto riconquistare la Dalmazia ed affermare la propria egemonia adriatica236. Le buone relazioni politiche fra Roma e Belgrado fra il 1923 e il 1924 favorirono un temporaneo miglioramento delle condizioni di vita della minoranza italiana in Dalmazia. Le autorità iugoslave allentarono la pressione contro le comunità italiane, permettendo la ricostituzione di varie scuole e associazioni della minoranza237. La volontà dei due governi di intensificare i rapporti economici e commerciali bilaterali, che portò alla conclusione del trattato di commercio italo-iugoslavo il 14 luglio 1924, agli accordi di Belgrado il 12 agosto 1924 e alle convenzioni di Nettuno il 20 luglio 1925238, consentì alla classe dirigente dalmata italiana di conquistare una serie di nuove guarentigie a protezione degli interessi di Zara e della minoranza nella Dalmazia serbo-croata. Grazie ai buoni rapporti con il governo, alcuni rappresentanti zaratini (Ascanio Persicalli e Giovanni Salghetti)239 e spalatini (Leonardo Pezzoli e Antonio Tacconi)240 parteciparono ai negoziati che nel corso del 1924 e del 1925 portarono alla conclusione degli accordi sopracitati. Furono, in particolare, le convenzioni di Nettuno a dedicare largo spazio alla tutela degli interessi degli italiani di Zara e della Dalmazia iugoslava241: il governo di Roma, in particolare, ottenne la possibilità per gli avvocati optanti di continuare a 236 DDI, VII, 3, d. 517, Roncagli a Mussolini, 26 settembre 1924; BUCARELLI, La Jugoslavia nella politica estera di Mussolini, cit., p. 141. 237 ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1309, Umiltà al Ministero degli Esteri e alla Legazione italiana a Belgrado, 8 maggio 1923. 238 Alcune informazioni su questi accordi in GABRIELE PARESCE, Italia e Jugoslavia dal 1915 al 1929, Firenze, 1935, p. 269 e ss.; DASSOVICH, I molti problemi dell’Italia al confine orientale. I, cit., p. 212 e ss.; UMBERTO NANI, Italia e Jugoslavia (1918-1928), Milano, 1928, p. 94 e ss. 239 La partecipazione di Persicalli e Salghetti ai negoziati che portarono alla conclusione dell’accordo di commercio a Belgrado fu caratterizzata da forti dissensi fra questi e Ludovico Luciolli, capo della delegazione italiana, accusato di scarsa attenzione agli interessi zaratini: ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1315, Luciolli e Bodrero al Ministero degli Esteri, 11 maggio 1924; ivi, b. 1313, Tamajo al Ministero degli Esteri, 15 aprile 1924. 240 Al riguardo si vedano i memoriali che Tacconi presentò al Ministero degli Esteri: ASMAE, Spalato, b. 84, [ANTONIO TACCONI], Postulati degli italiani della Dalmazia S.H.S. da considerarsi in occasione della stipulazione degli accordi commerciali, s.d. (ma inizio 1924). Si veda anche: ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1315, BROCCHI, Appunto per il signor Marchese Soragna, 24 giugno 1924; ibidem, Tacconi a Luciolli, 19 aprile 1924. 241 Il testo delle convenzioni di Nettuno del 20 luglio 1925 è pubblicato in GIANNINI, Documenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia, cit., p. 308 e ss. 412 LUCIANO MONZALI praticare la propria professione nel Regno SHS242, la non applicazione della legge iugoslava concernente i limiti alla facoltà di acquistare e possedere beni immobili in una zona di 50 chilometri dalla frontiera per ragioni di sicurezza dello Stato243, il temporaneo rinvio dell’applicazione della legge di riforma agraria e il diritto ad un risarcimento per i cittadini italiani dalmati244. Vennero poi conclusi vari scambi di note destinati a facilitare le relazioni commerciali ed economiche fra Zara e lo Stato iugoslavo245. Le speranze che gli accordi di Roma del 1924, creando stretti e amichevoli rapporti fra Italia e Regno SHS, aprissero una stagione di pacificazione nazionale in Dalmazia e consentissero un duraturo miglioramento delle condizioni di vita della minoranza italiana nella regione, ebbero un’effimera durata. L’amicizia italo-iugoslava entrò progressivamente in crisi a causa del risorgere del dissidio fra i due Stati sul futuro dell’Albania. Il tentativo iugoslavo di affermare la propria egemonia in Albania sostenendo il progetto di Ahmed Bey Zogolli/ Zogu di riconquistare con la forza il potere alla fine del 1924246, fu la miccia che favorì il progressivo riesplodere della rivalità fra i due Stati nell’Adriatico e nei Balcani. L’atteggiamento iugoslavo irritò non poco Mussolini, che cominciò ad essere diffidente verso la classe dirigente serba e a perseguire una politica di supremazia solitaria in Albania. Il mutamento di politica italiana fu favorito dallo stesso Zogu, il quale, desideroso di preservare la propria autonomia da Belgrado, appena riconquistato il potere fece alcune aperture politiche all’Italia. 242 Accord concernant les avocats, 20 luglio 1925, riprodotto in GIANNINI, Documenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia, cit., pp. 377-378. 243 Accord sur les propriétés à la frontière, 20 luglio 1925, riprodotto in GIANNINI, Documenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia, cit., p. 379. 244 Accord provisoire sur les expropriations, 20 luglio 1925, edito in GIANNINI, Documenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia, cit., pp. 379-381. 245 Ad esempio gli scambi di note riguardanti i servizi pubblici automobilistici da crearsi fra Zara e i territori limitrofi e quelli relativi alla migliore applicazione di certi articoli della convenzione sul regime doganale e il traffico di frontiera tra Zara e i territori limitrofi del 23 ottobre 1922, in GIANNINI, Documenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia, cit., pp. 426-430. 246 Sulle lotte politiche nell’Albania fra le due guerre mondiali: BIAGINI, Storia dell’Albania, cit.; ROBERTO MOROZZO DELLA ROCCA, Nazione e religione in Albania, Lecce, 2002; MARCO DOGO, Kosovo. Albanesi e Serbi: le radici del conflitto, Lungro di Cosenza, 1992, p. 147 e ss.; ID., I discutibili privilegi dell’arretratezza: Zog e il caso albanese, in FRANCESCO GUIDA (a cura di), L’altra metà del continente: L’Europa centro-orientale dalla formazione degli Stati nazionali all’integrazione europea, Padova-Roma, 2003, p. 77 e ss.; FISCHER, King Zog and the Struggle for Stability in Albania, cit. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 413 Fra il 1925 e il 1928 vennero conclusi fra il governo di Zogu e l’Italia fascista una serie di accordi247 che crearono una collaborazione fra i due Paesi e affermarono l’egemonia politica ed economica italiana in Albania. La nuova politica albanese di Mussolini provocò un radicale deterioramento dei rapporti bilaterali con Belgrado. In seno alla stessa diplomazia italiana l’influenza degli elementi favorevoli ad una politica di collaborazione con la Iugoslavia diminuì drasticamente con l’allontanamento di Contarini dalla segreteria generale nel 1926. Con il declino politico di Contarini crebbe al Ministero degli Esteri il peso del partito fascista (che con Dino Grandi, sottosegretario dal 1925 e poi ministro degli Esteri fra il 1929 e il 1932, organizzò l’immissione di numerosi politici fascisti e nazionalisti in diplomazia), con la sua ostilità ideologica allo Stato serbo-croato e la sua simpatia verso i movimenti secessionisti anti-serbi ed anti-iugoslavi. La reazione politica del governo di Belgrado allo scontro con l’Italia fu l’ulteriore avvicinamento alla Francia, che culminò nel patto d’amicizia francoiugoslavo del 1927 e in una crescente collaborazione economica e militare fra i due Paesi248. Tale iniziativa irritò la classe dirigente italiana e fece risorgere la psicosi della Iugoslavia quale possibile braccio armato della Francia, ossessione diffusa in numerosi esponenti politici italiani249. Lo scontro italo-iugoslavo divenne sempre più generalizzato e influenzò totalmente la politica balcanica di Mussolini ed anche alcuni aspetti della politica interna del fascismo, quali la dura italianizzazione che il regime fascista perseguì in Venezia Giulia dal 1926 e la strumentalizzazione politica del tema della difesa dei diritti della minoranza italiana in Dalmazia. A partire dal 1926 il regime fascista procedette alla chiusura delle scuole croate e slovene, allo scioglimento delle associazioni e istituzioni culturali, economiche e sportive delle minoranze e all’applicazione di una politica d’italianizzazione forzata delle popolazioni allogene. Fra gli anni Venti e Trenta la politica ostile dell’Italia fascista favorì l’emigrazione di alcune decine di migliaia di croati e sloveni verso la Iugoslavia, che andarono ad alimentare un irredentismo anti-italiano che rimase sempre vivo a Lubiana e a Zaga247 A proposito della politica albanese dell’Italia nel corso degli anni Venti e Trenta: PASTORELLI, Italia e Albania, cit.; CAROCCI, La politica estera, cit.; MOROZZO DELLA ROCCA, Nazione e religione in Albania, cit.; ALESSANDRO ROSELLI, Italia e Albania: relazioni finanziarie nel ventennio fascista, Bologna, 1986. 248 GRUMEL-JACQUIGNON, op. cit., p. 207 e ss. 249 LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 147 e ss.; SHORROCK, op. cit.; CAROCCI, La politica estera, cit., p. 94 e ss. 414 LUCIANO MONZALI bria250. Naturalmente l’ostilità verso i croati e gli sloveni della Venezia Giulia ebbe come conseguenza un trattamento sempre più duro della minoranza italiana in Dalmazia da parte delle autorità iugoslave. La politica italiana nei Balcani perseguì l’obiettivo dell’accerchiamento dello Stato iugoslavo. Fallito il disegno originale di Mussolini di fare dell’Italia lo Stato protettore della Piccola Intesa, a partire dal 1927 la diplomazia italiana rafforzò i legami politici con l’Ungheria e la Bulgaria, potenze ostili alla Iugoslavia251. Meno felici, invece, furono i tentativi di Mussolini di attrarre Grecia e Turchia nella sfera d’influenza italiana, che portarono alla conclusione di accordi bilaterali nel 1928, senza però ulteriori importanti sviluppi politici. Contemporaneamente all’accerchiamento diplomatico della Iugoslavia, l’Italia mussoliniana cercò di favorire la disgregazione dello Stato SHS. Ben consapevole della grave crisi interna iugoslava – che vedeva la maggioranza della popolazione croata, musulmana, macedone e albanese ostile all’appartenenza ad uno Stato unitario dominato dall’elemento serbo e che obbligò Re Alessandro ad un colpo di Stato nel gennaio 1929 e alla creazione di un governo puramente autoritario –, l’Italia fascista riprese la vecchia strategia dannunziana e cominciò a sostenere attivamente alcuni movimenti secessionisti anti-iugoslavi: l’Organizzazione rivoluzionaria macedone interna, che lottava contro le persecuzioni serbe nei confronti delle popolazioni bulgaro-macedoni della Macedonia, alcuni gruppi albanesi del Kosovo252 e numerosi elementi nazionalisti croati, espressione dell’ala estremista del partito del diritto, molti dei quali, guidati da Ante Pavelic!, si rifugiarono in esilio in Italia a partire dal 1929253. Molto forte divenne pure il sostegno propagandistico, chiaramente strumentale, alle lamentele dei governi ungherese, bulgaro e albanese, che denunciavano il maltrattamento dei 250 APIH, Italia, Fascismo e Antifascismo, cit., p. 231 e ss.; RAOUL PUPO, Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Milano, 2005, p. 42 e ss.; RUSINOW, Italy’s Austrian Heritage 1919-1946, cit., p. 163 e ss.; ? ERMELJ, Sloveni e croati in Italia tra le due guerre, cit.; KACIN WOHINZ, PIRJEVEC, Storia degli sloveni in Italia 1866-1998, cit. 251 ALFREDO BRECCIA, La politica estera italiana e l’Ungheria (1922-1933), «Rivista di studi politici internazionali», 1980, n. 1, p. 93 e ss.; BURGWYN, Italian Foreign Policy, cit.; CAROCCI, La politica estera, cit., p. 78 e ss.; DI NOLFO, Mussolini e la politica estera, cit. 252 DOGO, Kosovo, cit., p. 161 e ss. 253 A proposito della politica italiana di sostegno ai movimenti secessionisti croati negli anni Venti e Trenta: BOGDAN KRIZMAN, Pavelic! i Ustas#e, Zagreb, 1978; IVO PETRINOVIC!, Mile Budak. Portret jednog politic#ara, Split, 2002; JAMES J. SADKOVICH, Italian Support for Croatian Separatism 1927-1937, New York, 1987; PASQUALE JUSO, Il fascismo e gli Ustascia 1929-1941. Il separatismo croato in Italia, Roma, 1998; CAROCCI, La politica estera, cit., p. 168 e ss. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 415 propri connazionali in Iugoslavia. La pubblicistica italiana fu sempre più favorevole al revisionismo, ovvero al mutamento dei trattati di pace del 1919-1920 in Europa centro-orientale a vantaggio delle potenze sconfitte nella prima guerra mondiale, con l’idea che sarebbe stata la Iugoslavia (nuovo nome ufficiale del Regno SHS dal 1929) la principale vittima di queste modifiche254. Non a caso, alla fine degli anni Venti, il patto politico del 1924 non fu rinnovato dall’Italia255. Il grave deterioramento delle relazioni italo-iugoslave proseguì per tutta la prima metà degli anni Trenta. Le dure e feroci polemiche di stampo nazionalistico fra i giornali italiani e iugoslavi, i numerosi incidenti concernenti le rispettive minoranze nazionali nei due Paesi (condanne a morte di allogeni sloveni responsabili di attentati in Italia256, aggressioni a cittadini italiani in Dalmazia, distruzioni di monumenti veneziani a Traù)257 e il sostegno italiano al separatismo croato avvelenarono i rapporti fra Italia e Iugoslavia per vari anni. Il tema del trattamento delle minoranze italiane in Dalmazia divenne un argomento controverso non solo delle relazioni fra Roma e Belgrado, ma anche della politica interna iugoslava. I partiti croati scatenarono fra il 1927 e il 1928 una violentissima opposizione alla ratifica parlamentare degli accordi di Nettuno258. Anche se poi ratificati, l’applicazione concreta delle convenzioni fu quanto mai limitata e problematica, così come, in generale, quella di tutte le altre garanzie a tutela della condizione degli italiani di Dalmazia. Il peggioramento delle condizioni di vita della minoranza italiana in Dalmazia, la crescente oppressione iugoslava, il deterioramento della situazione economica in Europa e in Iugoslavia all’inizio degli anni Trenta indebolirono ulteriormente le collettività italiane dalmate rendendole sempre più dipendenti dall’Italia fascista. Ma il governo fascista svolse verso gli italiani di Dalmazia una politica strumentale e contraddittoria259. Da una parte, 254 Sulla pubblicistica revisionista anti-iugoslava in Italia fra le due guerre mondiali: STEFANO BIANCHINI, L’idea fascista dell’Impero nell’area danubiano-balcanica, in AUTORI VARI, L’Italia e la politica di potenza in Europa (1938-40), Milano, 1985, p. 173 e ss.; FRANCESCO CASELLA, L’immagine fascista dell’Impero: quale ruolo all’Adriatico, ivi, p. 187 e ss. 255 DASSOVICH, I molti problemi dell’Italia al confine orientale. I, cit., pp. 273-275. 256 APIH, Italia, Fascismo e Antifascismo, cit., 314 e ss. 257 DDI, VII, 12, d. 190; MARIO DASSOVICH, I molti problemi dell’Italia al confine orientale. II. Dal mancato rinnovo del patto Mussolini-Pasic! alla ratifica degli accordi di Osimo (1929-1977), Udine, 1990, p. 40 e ss. 258 DDI, VII, 5, dd. 209, 444, 447, 686; DDI, VII, 6, dd. 290, 302, 554; BUCARELLI, La Jugoslavia nella politica estera di Mussolini, cit., p. 131. 259 Al riguardo: ADRIANO ANDRI, Gli italiani in Dalmazia tra le due guerre, «Clio», 1988, 416 LUCIANO MONZALI spese notevoli somme di denaro per sostenere finanziariamente la minoranza e consentirne la sopravvivenza; ma, dall’altra, perseguendo una politica di scontro con lo Stato iugoslavo e fomentando le mire irredentistiche ed imperialistiche di certi settori dell’opinione pubblica italiana verso l’Adriatico orientale, non fece che aggravare le lotte nazionali in Dalmazia, dove Belgrado e il nazionalismo croato percepivano gli italiani dalmati come una potenziale quinta colonna dell’espansionismo dell’Italia fascista. Quindi, paradossalmente, gli anni in cui fu al potere un movimento politico, quale quello fascista, che affermava retoricamente di porre al centro della politica estera dell’Italia la difesa degli italiani dalmati, fu anche l’epoca del più grave declino sociale e demografico delle collettività italiane in Dalmazia. Questa difficile e contraddittoria situazione spiega perché, nonostante l’adesione e la simpatia di molti dalmati italiani per il governo di Mussolini, ritenuto strumento per creare una più forte Italia nel mondo, i rapporti fra le comunità italiane dalmate e l’Italia fascista si rivelarono spesso contrastati e conflittuali. Il regime aveva l’ambizione di controllare totalmente la vita e l’organizzazione interna delle comunità italiane in Dalmazia e di fascistizzarle attraverso i rappresentanti consolari e la Federazione fascista di Zara, che aveva suoi fiduciari nelle principali città dalmate iugoslave. Ma questi tentativi d’interferenza si scontrarono spesso con la volontà di molti dalmati di difendere e di preservare una propria almeno parziale autonomia politica. L’impossibilità per il fascismo di operare liberamente ed autonomamente nella Dalmazia iugoslava e l’obbligo, previsto dai trattati italo-iugoslavi, di elezione delle cariche direttive per le associazioni e le istituzioni italiane permisero la sopravvivenza di un pluralismo politico fra le comunità dalmate, non più esistente in Italia. In seno alle istituzioni italiane conservarono un forte peso e ruolo politico anche personalità non fasciste o antifasciste. A Sebenico Luigi Pini continuò a svolgere un ruolo guida poiché in lui gli italiani locali vedevano il loro autentico capo politico. A Spalato non fascisti continuarono a detenere ruoli direttivi nelle varie istituzioni italiane locali260. Pure a Zara, anche se progressivamente fascistizzata ed inserita nello Stato autoritario mussoliniano, negli anni fra le due guerre la vecn. 1, p. 83 e ss.; PIERRE JAQUIN, La question des minorités entre l’Italie et la Yougoslavie, Paris, 1929, p. 158 e ss. 260 Nel 1930 nella Dalmazia iugoslava gli iscritti fascisti erano poco più di duecento: DDI, VII, 9, d. 332, Marincovich a Giuriati, 22 ottobre 1930. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 417 chia tradizione liberale-autonomista continuò ad esistere, anche se costretta ad esprimersi in forme prevalentemente culturali. Alcuni militanti e simpatizzanti liberali – allineati e non al regime, ma comunque desiderosi di preservare la specificità culturale degli italiani dalmati – si raccolsero intorno alla redazione della zaratina «Rivista Dalmatica», diretta da Ildebrando Tacconi261. Il carattere fortemente regionale e locale della pubblicazione, il suo tono quasi apolitico e il contenuto di molti suoi articoli, dedicati all’esaltazione delle passate lotte e delle specifiche tradizioni italiane dalmatiche, erano indizi di una certa eterodossia rispetto alle direttive del regime fascista: non a caso la rivista fu criticata da alcuni esponenti fascisti zaratini per il poco spazio dedicato al fascismo sulle sue pagine262. Nella città dalmata altra forma di velata critica verso il regime fascista furono le manifestazioni e le dichiarazioni di rimpianto e nostalgia per le vecchie istituzioni asburgiche e per l’epoca precedente alla prima guerra mondiale: non a caso le autorità statali italiane interpretarono ogni forma di sentimento filoasburgico come espressione di tendenze antifasciste263. I tentativi del regime fascista di ridurre il pluralismo politico e culturale esistente in seno alla minoranza italiana dalmata e di assicurarsi un totale monopolio politico provocarono vari incidenti e scontri nel corso degli anni Venti e Trenta. Significative, a questo riguardo, furono le forti tensioni politiche a Sebenico fra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta. Nel giugno 1931, con il consenso del Fascio di Zara, Tullio Nicoletti, fiduciario fascista a Sebenico, cercò di provocare l’estromissione di Pini, non iscritto al partito, dai verti261 Sulla figura di Ildebrando Tacconi: VANNI TACCONI, Il ritorno alle radici. Scritti e discorsi sulla Dalmazia, Udine, 2005, p. 120 e ss.; ILDEBRANDO TACCONI, Dalla Dalmazia, cit.; ZILIOTTO, Lettera ad Enzo Bettiza, cit., pp. 39-40. Circa l’estraneità politica di Ildebrando Tacconi al regime fascista: ASS, Governo della Dalmazia/Talijanska Vlast u Dalmaciji 19411943, b. 1, Alberto degli Alberti al Ministero della Cultura popolare, 1° settembre 1943. 262 COEN, Zara tra le due guerre, cit., p. 135. Sulla «Rivista Dalmatica» si consultino gli indici pubblicati a cura di NICOLÒ LUXARDO DE FRANCHI e ODDONE TALPO: «La Rivista Dalmatica», 1998, n. 4. Sulla persistenza della cultura autonomista dalmata negli scritti pubblicati su questa rivista: MONZALI, Oscar Randi scrittore di storia dalmata, cit. 263 Si veda ad esempio: ASS, Governo della Dalmazia/Talijanska Vlast u Dalmaciji 19411943, b. 1, Nota del prefetto di Zara, Vaccari, s.d., sul funzionario statale Alberto degli Alberti, discendente di una antica famiglia italiana di Spalato, non iscritto al partito nazionale fascista ed accusato di nostalgie asburgiche. Sulla diffusione di una nostalgia per l’epoca asburgica e l’influenza della cultura austriaca anche in dalmati di forte identità nazionale italiana si vedano i ricordi di Enzo Bettiza relativi a suo padre, importante esponente della minoranza italiana spalatina: BETTIZA, La Cavalcata del Secolo, cit.; ID., Esilio, cit., p. 30 e ss. 418 LUCIANO MONZALI ci delle associazioni italiane locali. L’iniziativa suscitò una dura resistenza nella collettività italiana di Sebenico, che decise di mobilitarsi per mantenere il vecchio deputato alla guida delle istituzioni italiane votando contro Nicoletti e le direttive della Federazione fascista zaratina264. Nel corso degli anni Venti e Trenta oggetto di molti attacchi e critiche da parte di alcuni esponenti fascisti fu anche il senatore Antonio Tacconi, principale dirigente degli italiani di Spalato. Tacconi, pur fiduciario del partito fascista per la Dalmazia iugoslava, continuò ad agire a Spalato in maniera tradizionale e conservatrice, da vecchio notabile liberale dalmata. Desideroso di mantenere unita la collettività italiana, spoliticizzò la vita comunitaria, dando secondaria importanza all’eventuale adesione al regime fascista da parte dei membri e dirigenti della comunità. Quest’azione politica – personalistica, localista e in continuità con il modus operandi della tradizione politica dalmata – suscitò l’ostilità di alcuni fascisti spalatini e di determinati consoli operanti a Spalato265. Alcuni esponenti fascisti locali (ad esempio, Giandomenico Carstulovich, capo della Società Operaia, e Aurelio Bonavia, fiduciario fascista a Spalato) accusarono Tacconi di essere politicamente troppo legato al passato, di rappresentare esclusivamente gli interessi di alcune vecchie famiglie italiane e di clientelismo266. Bonavia e Carstulovich contestarono pure il permanere di non fascisti ai vertici delle istituzioni della comunità italiana spalatina267. Fra il 1933 e il 1934 il console italiano di Spalato, Meriano, ex deputato fascista entrato in diplomazia per meriti politici, attaccò duramente la gestione della comunità italiana da parte di Tacconi, tentando di accentrare maggiormente nel consolato la direzione politica della minoranza. Meriano accusò Tacconi di essere espressione di un’oligarchia borghese spalatina, estranea ai bisogni delle masse italiane, e di gestire in modo troppo tradizionalista e personale le risorse economiche della collettività italiana268. In generale Meriano non mostrò di avere grande stima degli italiani spalatini, dei 264 DDI, VII, 10, d. 400. esempio: ACS, PNF-DN, Senatori e Consiglieri Nazionali, fascicoli personali, b. 27, Antonio Tacconi, Bartolucci a segretario del Partito Nazionale Fascista, 12 febbraio 1939. 266 Al riguardo: ASMAE, AP 1931-45, Jugoslavia, b. 40, [probabile autore GIANDOMENICO CARSTULOVICH], Promemoria per S.E. il ministro, 12 settembre 1929; DDI, VII, 9, d. 288, Galli a Grandi, 4 ottobre 1930. 267 ASMAE, GAB 1923-43, GAB, b. 423, Segre a Grandi e Galli, 18 febbraio 1930 con allegati. 268 ASMAE, AP 1931-45, Jugoslavia, b. 40, Meriano a Galli, 31 luglio 1933. 265 Ad GLI ITALIANI DI DALMAZIA 419 quali criticava l’eccessiva mescolanza con l’elemento iugoslavo269 e il conservatorismo culturale e politico270. Questo desiderio di Meriano di «modernizzare» la comunità italiana di Spalato – il che, nel suo pensiero, significava fascistizzarla – era, come abbiamo già rilevato, parte di una tendenza più generale del governo di Roma di assumere un controllo diretto e pervasivo sulla vita delle collettività italiane nella Dalmazia iugoslava, ad esempio, selezionandone i dirigenti271. L’Italia fascista, poi, desiderava una sempre maggiore similitudine fra l’ideologia politica del regime e i valori della minoranza italiana. A tale riguardo, è possibile affermare che a partire dal 1935 il controllo dello Stato e del partito fascista sulla vita delle comunità italiane nella Dalmazia iugoslava crebbe sempre più, limitando l’autonomia delle vecchie classi dirigenti di estrazione e matrice liberale-nazionale e autonomista. 269 Meriano così descriveva i maestri della scuola italiana di Spalato: «Oggi, i maestri sono nella gran maggioranza dalmati optanti, etnicamente croati: adunque avulsi dalla vita viva della Nazione Italiana, e partecipi degli stessi difetti e vittime delle stesse difficoltà ambientali di cui soffrono gli alunni e le loro famiglie; non leggono giornali italiani, che non giungono; parlano il gergo locale quanto e più dell’italiano; né la buona volontà basta a far miracoli, tanto che la Direzione Generale Italiani all’estero ha dovuto talvolta fare dei rilievi sulla correttezza linguistica e grammaticale della prosa usata da questi insegnanti nelle loro relazioni. Sono avvenuto ad apprendere per caso che una delle insegnanti nella scuola di Spalato, Signorina Savo, è cittadina jugoslava: qualunque considerazione si possa fare non varrà a giustificare la presenza di una straniera, e particolarmente di una jugoslava, in una scuola italiana in Dalmazia» (Meriano a Galli, 31 luglio 1933, cit.). 270 Così il console descriveva il Gabinetto di Lettura, principale istituzione politica e culturale italiana a Spalato: «Il Gabinetto di Lettura, istituzione analoga alle “citaonize” croate, ha anch’esso un’insigne tradizione, che va da Bajamonti ad Ercolano Salvi; ma a giorno d’oggi raccoglie pochissimi frequentatori attorno ai pochi giornali e riviste italiani che varcano la frontiera, e dà l’impressione, non soltanto estetica, di un organismo invecchiato, che vive di ricordi. Raccoglieva in passato la aristocrazia spalatina, quella parte eletta della cittadinanza cui risale il merito di aver serbato nelle peggiori traversie politiche una signorile dignità di ottimati, e la colpa di non aver compreso e avvicinato le masse, lasciando preda alla demagogia croata prima, jugoslava poi, quella maggioranza che era chiamata a dominare educare assimilare. Scomparsa questa aristocrazia, o per l’esodo nel Regno o per scemata volontà di organizzazione e di lotta, oggi la classe dirigente, che frequenta abitualmente il Gabinetto di Lettura, si riduce ad una diecina di famiglie; ed è raro ascoltarvi l’espressione di un’idea nuova, di un atteggiamento spirituale moderno» (Meriano a Galli, 31 luglio 1933, cit.). 271 Circa i tentativi del console di Ragusa di scegliere i dirigenti della comunità italiana di Ragusa: ASMAE, AP 1931-1945, Jugoslavia, b. 57, Staffetti a Cosmelli, 16 ottobre e 19 dicembre 1935; ASMAE, AP 1931-1945, Jugoslavia, b. 84, Staffetti al Ministero degli Esteri e alla Legazione italiana di Belgrado, 18 marzo 1936. 420 LUCIANO MONZALI 4.6. La comunità italiana di Veglia Dopo il 25 aprile 1921, giorno dell’evacuazione da parte dell’esercito italiano dopo due anni e mezzo di occupazione, l’isola di Veglia passò sotto la sovranità iugoslava. Uno dei primi atti del nuovo governo fu lo scioglimento della giunta comunale della città di Veglia, capoluogo dell’isola e centro a grande maggioranza italiana272. Il comune di Veglia venne commissariato, furono disconosciuti i contratti intervenuti fra il governo italiano e numerosi privati e venne occupato con la forza l’edificio destinato alla scuola italiana. L’amministrazione iugoslava stabilì restrizioni all’esportazione di tutte le merci per l’Italia e per Fiume ed adottò la lingua croata nell’emanazione degli atti d’ufficio del comune di Veglia. Nei mesi successivi gli italiani di Veglia furono sottoposti a minacce e provocazioni da parte di alcuni nazionalisti iugoslavi e soldati dell’esercito serbo, talvolta culminate in violenze e arresti. Ma nonostante le difficili condizioni di vita, a differenza di Sebenico, Curzola, Arbe e della gran parte della Dalmazia settentrionale, dove la fine dell’occupazione italiana comportò il traumatico esodo di molti dalmati italiani, nella città di Veglia anche dopo il 1921 sopravvisse una forte e compatta comunità italiana. Come abbiamo già detto, l’isola di Veglia era prevalentemente croata, ma il capoluogo, Veglia, con circa 1.500 abitanti (dati del censimento del 1910)273, aveva una netta maggioranza italiana (1.200 italiani, 300 croati). Con la fine dell’occupazione italiana, gli italiani di Veglia decisero in grande maggioranza di optare per la cittadinanza italiana: già nel maggio 1921 1.123 cittadini di Veglia fecero richiesta di ottenere la cittadinanza italiana274. Il censimento degli italiani all’estero del 1927 confermò l’esistenza di ben 1.162 italiani optanti a Veglia città275. Alcuni di questi italiani scelsero di emigrare nel Regno, ma la larga parte decise di restare a Veglia anche sotto il dominio iugoslavo, la quale rimase a maggioranza italiana fino all’esodo dopo la seconda guerra mondiale. Varie sono le ragioni che possono spiegare il differente comportamento degli italiani di Veglia ri272 Per una descrizione dei primi mesi di occupazione iugoslava a Veglia: ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Bonoldi a Ministero degli Esteri, 2 giugno 1921. Sulla storia della città di Veglia rimandiamo a: FIORENTIN, op. cit. 273 RUBIC!, Les Italiens, cit., p. 56. 274 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 2, Appunto anonimo dell’Agenzia consolare di Veglia, 7 maggio 1921. 275 RUBIC!, Les Italiens, cit., p. 6. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 421 spetto, ad esempio, a quelli di Sebenico e di altre isole dalmate. Innanzitutto, va rilevata la diversità sociale fra gli italiani di Sebenico e quelli di Veglia. Gli italiani sebenzani abitavano in una città mista a preponderanza croata (pur con una piccola presenza serba) ed erano in maggioranza appartenenti alla cosiddetta “classe intellettuale”, cioè aristocratici e borghesi impiegati dello Stato, possidenti, commercianti e imprenditori: con l’assunzione della cittadinanza italiana diveniva impossibile il mantenimento della loro posizione sociale e professionale all’interno della Iugoslavia. A Veglia città, invece, l’elemento italiano era nettamente maggioritario. Si noti – scrisse l’agente consolare Bonoldi nel 1929 – che i croati a Veglia sono di recente importazione. Essi non raggiungono il n. di 400, sono funzionari dello Stato o studenti del ginnasio recentemente istituito e non posseggono generalmente immobili, mentre gli italiani, siano questi nostri cittadini o dello Stato S.H.S., raggiungono il numero di 1.200 e sono i proprietari della terra e degli stabili276. Inoltre gli italiani di Veglia erano quasi esclusivamente pescatori, agricoltori e artigiani; queste attività professionali rendevano possibile la loro permanenza in Iugoslavia, permanenza facilitata anche dalla vicinanza all’Istria e a Fiume. Di fatto dopo il 1921 gli italiani veglioti costituirono, dopo quella di Spalato, la collettività italiana più numerosa e vitale esistente nella Dalmazia iugoslava negli anni fra le due guerre. Così Antonio Tacconi ne descriveva le caratteristiche nel 1934: […] La nostra collettività di Veglia, che rappresenta in paese una notevole maggioranza formata da cittadini italiani è costituita esclusivamente di elemento popolare, agricoltori, pescatori ed artigiani, con ciò che vi manca una classe borghese […]. Nello stesso tempo questa collettività è meritevole di venir presa nella massima considerazione. Il suo senso morale ed il suo fervore patriottico si trovano ad un livello indubbiamente superiore. Anche le sue condizioni economiche, patrimoniali, per le risorse che le derivano dalla pesca, dall’agricoltura e per avere ogni famiglia la sua casa ed il suo podere, si possono dire, malgrado la crisi imperversante, soddisfacenti277. 276 277 1934. Bonoldi a Legazione italiana di Belgrado, 5 ottobre 1929, cit. ASMAE, AP 1931-1945, b. 45, Tacconi al Consolato italiano a Spalato, 24 giugno 422 LUCIANO MONZALI La consistenza e la forza della comunità italiana di Veglia fecero sì che il governo di Roma le riservasse una certa attenzione negli anni fra le due guerre. Proprio per aiutare e proteggere questa comunità la diplomazia italiana si batté per ottenere il diritto ad avere un proprio agente consolare a Veglia. A tal fine, dopo l’evacuazione dell’esercito italiano nell’aprile 1921, rimase a Veglia un agente consolare, Pietro Bonoldi, originario dell’isola278. Questa agenzia consolare non venne riconosciuta ufficialmente dal governo di Belgrado, ma fu consentito al Bonoldi, a titolo personale, d’intervenire a protezione della collettività italiana279. Bonoldi, con il sostegno diplomatico del governo di Roma, s’impegnò per garantire alla comunità italiana le condizioni per una dignitosa vita economica. Di fronte ai tentativi delle autorità locali di impedire ai pescatori italiani optanti di potere praticare la propria professione280, Bonoldi e la diplomazia italiana riuscirono ad ottenere dalle autorità di Belgrado il formale riconoscimento della libertà di pesca a Veglia nel 1922281. Il console agì ripetutamente per difendere i diritti di proprietà degli italiani optanti e le loro licenze d’industria, spesso contestate ed invalidate dalle autorità amministrative iugoslave282. Numerose controversie creò a Veglia l’applicazione della legge iugoslava che prescriveva che tutti i contratti di compravendita fra cittadini stranieri o fra nazionali e stranieri riguardanti proprietà situate entro la zona confinaria di 50 chilometri avessero l’approvazione del Ministero della Guerra a Belgrado283. La principale associazione italiana a Veglia era il «Circolo Italiano di Cultura», con una settantina di soci, fra i quali vi erano le principali famiglia italiane del luogo (Braut, Maracich, Depicolzuane, Ostrogovich, Udina, Morich, Giurina e Fiorentin)284. Altra istituzione comunitaria era la Chiesa di San Quirino, riservata all’elemento italiano di Veglia285. Per la sopravvivenza della collettività italiana di Veglia era 278 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Bonoldi al Ministero degli Esteri, 15 settembre 1921. Su Bonoldi si veda il suo fascicolo personale conservato in ASMAE, Spalato, b. 242. 279 ASMAE, AP 1931-45, b. 84, Viola a Mussolini, 12 novembre 1935. 280 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 14, Manzoni al Ministero degli Esteri, 3 e 25 gennaio 1922. 281 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 14, Manzoni al Ministero degli Esteri, 2 marzo 1922. 282 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 14, Bonoldi al Ministero degli Esteri, 4 dicembre 1922 e 27 luglio 1923. 283 ASMAE, Sebenico, arc. ord., b. 2, Bonoldi al Consolato italiano di Spalato, 8 dicembre 1923. 284 ASMAE, Spalato, b. 114, Bonoldi al Consolato italiano di Spalato, 4 marzo 1940. 285 ASMAE, Spalato, b. 257, Bonoldi al Consolato italiano di Spalato, 18 novembre 1927. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 423 ovviamente cruciale il mantenimento di una scuola italiana nella cittadina adriatica. Dopo l’occupazione iugoslava, l’esistente scuola popolare italiana, con l’annesso giardino d’infanzia, continuò a funzionare come scuola privata per alcune settimane286, per poi essere chiusa nell’estate del 1921 a causa della mancanza di autorizzazione governativa iugoslava287. Per molti mesi il governo di Belgrado e le autorità amministrative periferiche boicottarono la riapertura della scuola288. Fu solo nel marzo 1923, dopo il miglioramento dei rapporti italo-iugoslavi a causa della ratifica dei trattati di Santa Margherita da parte del Parlamento di Roma e il ritiro italiano dalla terza zona dalmata, che il governo di Belgrado diede l’autorizzazione alla riapertura della scuola289. La scuola italiana di Veglia, che rimase in funzione fino agli anni della seconda guerra mondiale, assunse il carattere di scuola privata, gestita dalla Lega Culturale Italiana, ma di fatto finanziata dal governo di Roma. Essa fu strutturata in una scuola elementare pareggiata mista, con annesso un giardino d’infanzia e un corso integrativo per «lavori donneschi». Secondo i dati relativi all’anno scolastico 1929-1930, la scuola italiana di Veglia aveva 6 insegnanti, 94 alunni iscritti alla scuola elementare, 51 al giardino d’infanzia, e 37 al corso per lavori donneschi290. Che la comunità italiana di Veglia fosse alquanto vitale negli anni fra le due guerre è confermato dalle statistiche della scuola locale per l’anno accademico 1940-1941, che mostrano una crescita del numero degli alunni, passati complessivamente a 210291. In contrasto con molte altre comunità italiane nella Dalmazia iugoslava, che negli anni fra le due guerre mondiali videro spesso ridurre notevolmente la propria forza numerica, la collettività di Veglia si mantenne compatta e forte fino alla seconda guerra mondiale, per essere poi distrutta solo dalla politica oppressiva del comunismo iugoslavo. Ciò nonostante anche Veglia fu duramente colpita dalla grave crisi economica che sconvolse la Dalmazia in particolar modo nel corso degli anni Trenta. La solidità dell’elemento italiano di Veglia, dovuta al suo 286 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Bonoldi al Ministero degli Esteri, 9 maggio 1921. 287 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Bonoldi al Ministero degli Esteri, 5 e 15 gennaio 1922, con allegato. 288 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Bonoldi al Ministero degli Esteri, 28 ottobre 1922. 289 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Negrotto al Ministero degli Esteri, 26 marzo 1923. 290 ASMAE, Spalato, b. 255, Appunto del console italiano a Spalato, 12 agosto 1930. 291 ASMAE, Spalato, b. 259, NICOLÒ SCIORTINO, Scuola elementare mista di Veglia. Prima relazione trimestrale anno scolastico 1940-1941, 6 dicembre 1940. 424 LUCIANO MONZALI legame con la terra, poteva in parte spiegarne la forza. Mentre nel resto delle isole dalmate era assai diffusa la grande proprietà fondiaria, a Veglia, sul piano amministrativo parte dell’Istria per più di un secolo, era prevalente il sistema della piccola proprietà: Nell’isola di Veglia […] – notò Bonoldi – i proprietari sono i lavoratori della terra. Vi è assenza quasi completa di una casta di operai agricoltori non proprietari. Ha notevole importanza la famiglia e lo sviluppo di questa in relazione al sistema della distribuzione della proprietà. Quindi, famiglie numerose dedite totalmente al lavoro della terra e trapasso della piccola proprietà attraverso combinazioni matrimoniali. L’eccedenza del materiale umano emigra di solito nelle Americhe292. Il governo italiano si adoperò per aiutare economicamente la comunità italiana, in particolare durante la difficile crisi degli anni Trenta, attraverso sussidi ai più poveri e mutui ad alcuni connazionali293. Di fatto, la collettività italiana di Veglia fu quella che meglio resse il peso delle difficili condizioni di vita che si trovò ad affrontare fra le due guerre mondiali. 4.7. Il declino. Gli italiani di Spalato dopo il trattato di Rapallo Nella Dalmazia iugoslava la più numerosa comunità italiana era concentrata nella città di Spalato. La conclusione del trattato di Rapallo, con la risoluzione della controversia confinaria in Dalmazia, pose fine ad una fase concitata e difficile della storia della città, spaccata al proprio interno fra favorevoli all’Italia e filoiugoslavi. La mancata unione all’Italia fu indubbiamente una dura sconfitta per i leader italiani spalatini (Antonio Tacconi, Leonardo Pezzoli, Ernesto Illich, Stefano Selem, Alfredo Riboli, Giorgio de Chmielewski, Doimo Caraman, Giuseppe Voltolini, Doimo Savo), che avevano puntato tutto sulla scelta dell’irredentismo politico. Gli stessi uomini, dopo Rapallo, dovettero ripensare completamente la propria strategia politica, alla ricerca del miglior modo di garantire alla numerosa collettività italiana una dignitosa sopravvivenza nazionale ed economica. La 292 ASMAE, Spalato, b. 84, Bonoldi alla Legazione italiana di Belgrado, 2 febbraio 1931. 293 ASMAE, AP 1931-45, Jugoslavia, b. 80, Romizi al Ministero degli Esteri, 3 dicembre 1934. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 425 ricostruzione del negoziato sulle opzioni ha indicato come, dopo le delusioni degli anni 1918-1919, fra gli italiani spalatini grande fosse la diffidenza verso il governo di Roma, ritenuto insensibile alle esigenze specifiche della minoranza italiana in Dalmazia e poco sincero nelle sue promesse. Ma nonostante i dubbi e le diffidenze, alla fine i capi del Fascio Nazionale Italiano spalatino decisero di puntare sul consolidamento del rapporto con il governo di Roma quale mezzo migliore per tutelare gli interessi degli italiani di Spalato: da qui il consiglio ai propri aderenti di optare per la cittadinanza italiana. Come abbiamo già notato, non tutti gli italiani di Spalato seguirono il consiglio dei capi del Fascio Nazionale, e una parte della collettività italiana preferì mantenere la cittadinanza iugoslava, al fine di evitare persecuzioni e discriminazioni e di preservare le proprie posizioni economiche e professionali. Va detto che l’esistenza di alcune migliaia di cittadini iugoslavi di nazionalità italiana consentiva agli optanti di mantenere una connessione con il resto della società spalatina, evitando di chiudersi in un pericoloso totale isolamento. Non a caso i capi della comunità italiana spalatina s’impegnarono fortemente perché le associazioni e le istituzioni italiane continuassero ad essere aperte agli italiani di cittadinanza iugoslava294; azione questa contrastata duramente dalle autorità iugoslave, che definivano «italiani» solo gli optanti e desideravano chiudere l’elemento italiano in un ghetto giuridico al fine di eliminarne il peso politico ed economico in città. Comunque la divisione degli italiani spalatini fra optanti e cittadini iugoslavi indebolì la minoranza. Le autorità locali e il governo di Belgrado sfruttarono questa divisione per limitare al massimo l’influenza dell’elemento italiano nella città e potenziare la iugoslavizzazione della società spalatina. Nonostante l’ostilità e l’ostruzionismo del governo di Belgrado e dei gruppi nazionalisti croati e iugoslavi locali, nel corso della prima metà degli anni Venti la comunità italiana di Spalato, con l’aiuto dell’Italia, riuscì a preservare un proprio spazio politico e culturale e a mantenere una qualche influenza all’interno della società spalatina. Fra il 1921 e il 1922 la comunità italiana di Spalato procedette ad una sua riorganizzazione politica ed istituzionale. Il Fascio Nazionale Italiano spalatino si sciolse, ma i suoi capi, in particolare Tacconi, 294 ASMAE, Spalato, b. 250, Consolato italiano a Spalato al Ministero degli Esteri e alla Legazione italiana di Belgrado, 15 dicembre 1925; ibidem, Pezzoli al Consolato italiano a Spalato, 22 ottobre 1925. 426 LUCIANO MONZALI Pezzoli, Selem, Riboli e Savo, espressione della vecchia borghesia autonomista e bajamontiana, rimasero alla guida della comunità italiana; anche se nel corso degli anni Venti e Trenta la loro egemonia politica venne contestata da alcuni esponenti, Aurelio Bonavia e Giandomenico Carstulovich, vicini al fascismo più estremista e con un certo radicamento nei ceti popolari spalatini295. Tacconi, Pezzoli e Savo erano figli della complessa realtà dell’italianità spalatina, bilingue, multietnica e fortemente mescolata con l’elemento croato e slavo della città, nella quale l’identità nazionale era soprattutto un’individuale scelta ideologica e culturale. Segnati dalle lotte dei primi due decenni del Novecento questi politici italiani furono assertori di un nazionalismo difensivo, fondato sulla tutela e sulla conservazione di una tradizione linguistica, culturale e nazionale in contrapposizione con i più forti nazionalismi iugoslavi. Erano notabili profondamente conservatori e tradizionalisti, radicati nella società spalatina in tutte le sue componenti nazionali, ma estranei alla politica di massa e alle nuove idee di riorganizzazione autoritaria della società che il fascismo italiano teorizzava. Testimonianza del profondo conservatorismo dei capi italiani spalatini fu il modo con cui, negli anni Venti, essi procedettero all’organizzazione della collettività italiana, puntando alla semplice ricostituzione delle vecchie associazioni ed istituzioni italiane ed autonomiste, esistenti a Spalato fino al 1915. Di fatto anche a Spalato le antiche istituzioni associative autonomiste furono il fulcro della vita della minoranza negli anni fra le due guerre. Accanto al Gabinetto di Lettura, fra il 1918 e il 1920 sede del Fascio Nazionale Italiano e spesso campo di battaglia fra italiani e nazionalisti iugoslavi, vennero progressivamente ricostituite o riorganizzate la Società Operaia, la Cassa di mutuo soccorso, la Società Corale Spalatina, la Biblioteca Popolare Italiana, l’Unione Cooperativa. La Società Operaia, fondata nel 1872, aveva 1.130 soci nel 1921: raccoglieva l’elemento popolare ed operaio con finalità di mutuo soccorso; forniva ai soci anche cure mediche e medicinali296. La Lega Nazionale spalatina, che gestiva le istituzioni scolastiche italiane esistenti a Spalato prima del 1915, venne rifondata ed assunse il nome di Lega Culturale Italiana nel 1925: presieduta da Antonio Tacconi, ebbe il compito di gestire tutte le scuole 295 Al riguardo: ASMAE, AP 1931-45, b. 70, Ambrosetti a Mussolini e a Galli, 30 dicembre 1934; ANDRI, Gli italiani in Dalmazia tra le due guerre mondiali, cit., p. 105 e ss. 296 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 14, Umiltà al Ministero degli Esteri e alla Legazione italiana di Belgrado, 11 settembre 1921. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 427 italiane presenti nella Dalmazia iugoslava attraverso le sue diramazioni locali297. Le varie associazioni erano guidate da consigli direttivi, eletti dalle assemblee dei soci. L’attività di queste associazioni venne coordinata attraverso la creazione di un Comitato intersociale, del quale facevano parte i presidenti o vice-presidenti delle associazioni e presieduto dal console generale d’Italia a Spalato298. Il carattere elettivo di queste associazioni, il permanere della tradizione politica liberaleautonomista nella collettività italiana, la specificità culturale degli italiani locali, suscitarono le critiche di alcuni funzionari dell’Italia fascista nel corso degli anni Venti e Trenta. Nel 1934, ad esempio, il console Ambrosetti denunciò la persistenza di una mentalità «demo-liberale» nella comunità italiana di Spalato. Come è noto, tutta la vecchia tradizione irredentistica dalmata si basava su una mentalità tra demo-liberale e massonica, che disconosceva il principio di autorità, perché questo principio di autorità era rappresentato dalla vecchia Austria, e a tale principio contrapponeva la teoria messianico-mazziniana del diritto dei popoli di decidere delle loro sorti, all’assolutismo contrapponeva la piena libertà di coscienza e di pensiero, alla volontà dello Stato la volontà del popolo. Nonostante il fascismo, nonostante tutto, la situazione della collettività italiana di Spalato risente tuttora di tale peccato di origine, ed è tuttora organizzata secondo sistemi che sono assolutamente in contrasto coi tempi. La distribuzione e la coordinazione delle varie forme di assistenza […] vengono affidate a una specie di alto parlamento che – come tutti i parlamenti di questo mondo – non riesce nella maggior parte dei casi che ad essere un centro di pettegolezzi e di malcontento299. Allo stesso modo, il tentativo dei capi italiani spalatini di tenere vivi i contatti fra gli optanti, gli italiani cittadini iugoslavi e il resto della società spalatina, così come le peculiarità locali della comunità (l’eterogeneità etnica dell’elemento italiano, la sua mescolanza con gli slavi, l’uso continuo del dialetto veneto spalatino) suscitarono dubbi 297 ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1318, Consolato italiano a Spalato alla Legazione italiana di Belgrado e al Ministero degli Esteri, 9 marzo 1925; ibidem, [ANTONIO TACCONI], Riconoscimento della legale esistenza delle Società italiane in Dalmazia, più in particolare della Società “Lega Nazionale”, s.d.; ibidem, Pravilnici “Lega Culturale Italiana” /Statuti della “Lega Culturale Italiana”, Split, s.d. 298 Meriano a Galli, 31 luglio 1933, cit.. 299 ASMAE, AP 1931-45, Jugoslavia, b. 70, Ambrosetti al Ministero degli Esteri e alla Legazione italiana di Belgrado, 30 dicembre 1934. 428 LUCIANO MONZALI e irritazione in alcuni consoli e dirigenti fascisti della Penisola300. Ma nonostante le diversità culturali e ideologiche, la collaborazione fra la collettività italiana e il governo di Roma era una scelta obbligata per i capi italiani spalatini, tenuto conto dell’ostilità iugoslava verso la minoranza. E fu proprio sfruttando le pressioni politiche e i finanziamenti dell’Italia liberale e fascista, che la minoranza riuscì a raggiungere alcuni non piccoli successi politici. Anche a Spalato preoccupazione prioritaria della minoranza fu la ricostituzione delle scuole italiane. Prima della guerra esistevano nella città una scuola elementare italiana, divisa in due sezioni, maschile e femminile, gestita dalla Lega Nazionale301, e un collegio religioso italiano, la scuola delle «Ancelle di Carità», comprendente l’insegnamento elementare e un corso di compimento302. Dopo l’intervento dell’Italia in guerra contro l’AustriaUngheria le istituzioni scolastiche della Lega Nazionale erano state chiuse dalle autorità governative, decisione mantenuta dal potere iugoslavo. Dopo il trattato di Rapallo, la comunità italiana s’impegnò strenuamente, con il sostegno della diplomazia di Roma, per ottenere la ricostituzione della scuola, il che avvenne nel 1923303. Dopo due anni di apertura, la scuola raggiunse il numero di 168 alunni, fra i quali 147 cittadini italiani e 21 cittadini iugoslavi. I tentativi dei dirigenti italiani di consentire anche ai cittadini iugoslavi di nazionalità italiana di frequentare tale scuola incontrarono ben presto l’opposizione del governo di Belgrado e delle autorità locali, che affermavano strumentalmente che le garanzie culturali previste dall’accordo di Rapallo erano valide solo per i cittadini italiani e non per i cittadini iugoslavi di nazionalità italiana304. L’ostruzionismo di Belgrado provocò la progressiva esclusione dei cittadini iugoslavi dalla scuola: nell’anno scolastico 1935-1936, gli alunni iscritti alla scuola italiana di Spalato furono 182, tutti in possesso della cittadinanza italiana305. All’inizio de- 300 Ad esempio: Meriano a Galli, 31 luglio 1933, cit. Sulla scuola italiana di Spalato: GASTONE COEN, Un requiem per la mia scuola centenaria, in http://www.edit.hr/panorama/pan02101.htm 302 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Umiltà al Ministero degli Esteri, 11 ottobre 1921. 303 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Amadori al Ministero degli Esteri, 2 luglio 1921; ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Umiltà al Ministero degli Esteri, 4 agosto e 19 ottobre 1921, 3 marzo 1922, 14 giugno 1923. 304 Pezzoli al Consolato italiano a Spalato, 22 ottobre 1925, cit. 305 ASMAE, Spalato, b. 259, UMBERTO RUZZIER, Relazione sul funzionamento della Scuola della Lega Culturale Italiana di Spalato nel I trimestre dell’anno scolastico 1935-1936. XIV°, 3 dicembre 1935. 301 GLI ITALIANI DI DALMAZIA 429 gli anni Venti altra battaglia che impegnò gli italiani di Spalato fu la lotta per il riconoscimento del diritto alla pratica religiosa in italiano. Fino alla prima guerra mondiale gli italiani di Spalato, in grande maggioranza cattolici praticanti, esercitarono le loro pratiche religiose nella chiesa cattedrale di San Doimo, situata al Peristilio, dove la predicazione veniva compiuta in italiano, gli atti liturgici in latino, quelli extra-liturgici nella massima parte in italiano: ciò era dovuto al fatto che gli italiani erano fortemente concentrati nella città vecchia, dove costituivano l’elemento maggioritario. Dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria, per ingiunzione governativa fu eliminato l’uso dell’italiano nella chiesa di San Doimo e «da singoli sacerdoti addetti alla stessa Cattedrale e contro le vigenti disposizioni ritualistiche della Chiesa, si incominciò perfino nelle funzioni ed atti strettamente liturgici a introdurre la lingua volgare croata, con pregiudizio della lingua latina, ostacolando così agl’italiani di Spalato l’esercizio del loro culto cattolico nella Chiesa madre»306. Di fronte all’impossibilità di reintrodurre l’uso dell’italiano nella cattedrale, i cattolici italiani, con il consenso delle autorità ecclesiastiche spalatine, scelsero di esercitare gli atti del culto in lingua italiana nella chiesa succursale di Santo Spirito, posta nel centro storico della città. Nel corso dei primi anni Venti si ottenne il definitivo riconoscimento del carattere italiano della chiesa di Santo Spirito, guidata prima da monsignor Raimondo Maroevich, poi da don Eugenio Merlo. L’amministrazione e la gestione finanziaria della chiesa e della parrocchia vennero affidate alla «Confraternita del Santo Spirito e dei devoti di San Giuseppe», avente una trentina di soci, fra i quali vi erano alcune delle principali famiglie italiane di Spalato (Tacconi, Savo, Bonavia, Bettiza, Reich, Foretich, ecc.)307. Dopo la prima guerra mondiale l’elemento italiano continuò a svolgere un ruolo non marginale nella vita culturale ed economica di Spalato. La cultura e la lingua italiana permeavano ancora vasti settori dei ceti borghesi e popolari spalatini: le iniziative culturali e d’intrattenimento organizzate dalle associazioni italiane attiravano l’attenzione e la partecipazione anche di molti croati; le biblioteche ita- 306 ASMAE, Carte Salata, b. 264, Maroevich al Fascio Nazionale Italiano di Spalato, 24 aprile 1921, allegato a Pezzoli, Tacconi, Miagostovich all’Ufficio centrale per le Nuove Provincie, 4 maggio 1921. 307 Cfr. ASMAE, Spalato, b. 114, Presidenza della Confraternita del Santo Spirito e dei devoti di San Giuseppe a Arduini, 3 febbraio 1939. 430 LUCIANO MONZALI liane erano frequentate da molti non italiani, così come una qualche diffusione avevano la stampa e la produzione libraria proveniente dalla Penisola308. Ciò si spiegava con l’ancora forte uso del dialetto veneziano e della lingua italiana in parte della popolazione slava, in particolare nei nati prima della guerra mondiale (mentre progressivamente le nuove generazioni dopo il 1918 abbandonarono l’uso del dialetto veneto a favore del croato)309 e con la forte mescolanza nazionale ed etnica esistente a Spalato310. Pure sul piano economico la presenza italiana non era indifferente. Anche se la maggioranza degli italiani spalatini apparteneva alle classi popolari e meno abbienti311, non pochi italiani erano possidenti di case e terreni, negozianti e imprenditori. Ancora all’inizio degli anni Venti la maggior parte dei cementifici spalatini, principale industria locale, era proprietà di italiani312. Molto forte era pure la componente italiana nel ceto commerciale e nella proprietà terriera della regione. Più debole ma non trascurabile l’influenza italiana nel settore bancario: vi era una banca locale con un assetto proprietario prevalentemente italiano, la Banca Commerciale Spalatina, i cui principali azionisti erano le famiglie italiane Savo, Karaman, Bettiza, Guina, Illich, de Michieli Vitturi, Foretich313; nel corso degli anni Venti ne venne aperta un’altra, la Banca Dalmata di Sconto, di proprietà dello Stato italiano, con sede sociale a Zara e filiali a Sebenico e Spalato, nel cui consiglio di amministrazione avevano un ruolo cruciale gli spalatini Antonio Tacconi e Giuseppe Savo e lo zaratino Amato Talpo314. 308 ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1322, Consolato italiano a Spalato al Ministero degli Esteri, 31 agosto 1925. 309 Al riguardo la testimonianza di IVAN MOSETTIG, Obmane. Splitska videnja zapoc#eta ¤ 1941, Split, 1995, pp. 16-19. 310 Interessante evocazione romanzesca di una famiglia italo-slava spalatina e del bilinguismo esistente a Spalato negli anni fra le due guerre mondiali in IVAN/IVO MOSETTIG, Radiona Šior Frane, Prijatelji, Split, 2004. 311 ASMAE, Spalato, b. 37, Carstulovich al Consolato italiano a Spalato, 24 gennaio 1935; RUBIC!, Les italiens, cit., p. 24 e ss.; ANDRI, Gli italiani in Dalmazia, cit., p. 101-102. 312 Per informazioni sulla vita economica di Spalato fra le due guerre: JOSO LAKATOS#, Industrija Dalmacije, Zagreb, 1923; MIRA KOLAR DIMITRIJEVIC!, Privredne prilike i struktura stanovnis#tva pred drugi svjetski rat, in Split u narodnooslobodilac#koj borbi i socijalistick# oj Revoluciji, Split, 1981, pp. 39-61. 313 ASMAE, Spalato, b. 37, Umiltà a Mussolini, 3 maggio e 5 giugno 1923; ibidem, Protocollo dell’Assemblea generale annuale degli azionisti della Banca Commerciale Spalatina S. A. Spalato, 23 marzo 1929; ibidem, BANCA COMMERCIALE SPALATINA, Bilancio al 31 dicembre 1930, esercizio XLVIII, Split, 1931. 314 ASMAE, Spalato, b. 37, BANCA DALMATA DI SCONTO, Relazione e Bilancio dell’esercizio 1932 presentati all’Assemblea del 23 marzo 1933 a. XI, Zara, 1933. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 431 Gli anni fra le due guerre, comunque, furono contrassegnati da un progressivo indebolimento economico e numerico della comunità italiana a Spalato. Alcune iniziative del governo di Belgrado, l’andamento dei rapporti italo-iugoslavi e l’evoluzione sociale ed economica della società spalatina e della Dalmazia iugoslava inflissero duri colpi alla collettività italiana. La riforma agraria votata dal Parlamento di Belgrado e la sua lenta e travagliata applicazione impoverirono molti proprietari terrieri italiani e croati. La volontà di gran parte dei coloni di non pagare più i proprietari, il ritardo e la scarsa consistenza degli indennizzi privarono di rilevanti risorse molti italiani, rendendo sempre più ardua la loro sopravvivenza economica in Iugoslavia315. La grave recessione che colpì l’economia mondiale alla fine degli anni Venti ebbe pure dure conseguenze in Dalmazia e sugli italiani spalatini, impoverendoli ulteriormente. Altra ragione fondamentale dell’indebolimento dell’italianità spalatina fu l’ostilità del governo di Belgrado verso di essa. La minoranza italiana a Spalato era considerata sia dai nazionalisti croati che dal potere serbo-iugoslavo un potenziale cavallo di Troia per le mire di conquista dell’Italia fascista316. Da qui lo svilupparsi di una continua azione di ostruzionismo e danneggiamento degli interessi economici della collettività italiana, con brevi pause in coincidenza con temporanei miglioramenti dei rapporti fra Stato iugoslavo e Italia. Fu un’azione che ebbe inizio nel 1922 dopo l’esito delle opzioni. Il consistente numero di optanti per l’Italia nel distretto di Spalato provocò irritazione nel governo iugoslavo, ostile a che cittadini stranieri mantenessero un’importante influenza economica in Dalmazia. A partire dai primi mesi del 1922 si delineò una politica del governo iugoslavo ostile verso gli optanti, consistente in tante piccole e grandi angherie, aventi come obiettivo il peggioramento delle condizioni di vita dell’elemento italiano locale. Un’applicazione rigida ed ostile delle convenzioni internazionali portò all’esclusione degli optanti da molte professioni, quali quelle di medici, avvocati, ingegneri, ecc. Cominciarono ad essere imposte tasse di soggiorno ai cittadini italiani, anche se questi erano nativi della Dalmazia. Operai italiani venivano licenziati da aziende iugoslave solo per la loro qualità d’optanti; a molti pensionati non vennero più pagate le pensioni per- 315 ASMAE, Spalato, b. 83, Consolato italiano di Spalato a Legazione italiana a Belgrado, 23 giugno 1927. Si veda anche DDI, VII, 10, d. 11 e nota 2. 316 Al riguardo, ad esempio: DDI, VII, 8, dd. 6, 76. 432 LUCIANO MONZALI ché avevano optato per l’Italia317. Il chiaro obiettivo del governo iugoslavo era di rendere sempre più difficili le condizioni di vita degli optanti italiani per favorirne la progressiva emigrazione o l’assimilazione attraverso l’assunzione della cittadinanza iugoslava. Il federale fascista di Zara, Piero Marincovich, denunciò nel 1930 il fenomeno dell’abbandono della cittadinanza italiana da parte di molti optanti dalmati. Nel corso di questi ultimi anni l’elemento italiano è andato giornalmente scomparendo e nella sola Spalato gli italiani da più di 10.000, nell’immediato dopoguerra, sono ora ridotti a forse 2.000. Molti hanno chiesto ed ottenuto la cittadinanza jugoslava per poter trovare lavoro che altrimenti non avrebbero potuto sperare di ottenere e moltissimi invece sono quelli che emigrarono in Italia od in altri paesi. Oggi le riopzioni cominciano a diminuire sia perché i più bisognosi e di fede meno sicura hanno già optato, sia perché i Comuni non concedono il nulla osta se non sono sicuri che gli optanti non rappresenteranno soltanto dei disoccupati a carico dei bilanci comunali. Questa restrizione è la miglior dimostrazione che moltissimi, se non addirittura tutti i nostri che optavano per la cittadinanza jugoslava erano spinti a ciò dalla necessità di assicurarsi il pane318. In determinati momenti, magari di particolare tensione interna o nei rapporti con l’Italia, le autorità locali non esitavano a mobilitare le associazioni nazionaliste filo-governative, l’Orjuna e la Jadranska Straz#a, per organizzare manifestazioni di piazza anti-italiane che spesso sfociavano in violenze contro le proprietà italiane o contro cittadini italiani. Le manifestazioni anti-italiane in Dalmazia e a Spalato erano un fenomeno abbastanza frequente, ma ebbero particolare ampiezza e violenza nel maggio 1928. Per protestare contro l’approvazione parlamentare degli accordi italo-iugoslavi di Nettuno da parte della Camera di Belgrado, le associazioni nazionaliste organizzarono dimostrazioni di piazza contro l’Italia, che portarono a disordini antiitaliani in tutte le principali città dalmate319. Particolarmente virulen- 317 Ad esempio: ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 22, Umiltà al Ministero degli Esteri e alla Legazione italiana a Belgrado, 15 novembre 1922; ivi, b. 16, Umiltà al Ministero degli Esteri e alla Legazione italiana a Belgrado, 3 agosto 1922, 12 aprile 1923; ivi, Summonte al Ministero degli Esteri, 5 dicembre 1922. 318 DDI, VII, 9, d. 322, Marincovich a Giuriati, 22 ottobre 1930. 319 ASMAE, Spalato, b. 46, Vice Consolato di Sebenico al Ministero degli Esteri, alla Legazione italiana di Belgrado e al Consolato italiano di Spalato, 26 maggio e 5 giugno 1928. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 433 te furono le manifestazioni a Spalato il 26 maggio320. Dopo aver svolto una dimostrazione di protesta contro il governo di Roma in Piazza dei Signori, circa trecento manifestanti (militanti nazionalisti, studenti, facchini e teppisti) cominciarono a percorrere le strade della città per alcune ore al fine di danneggiare i negozi e le istituzioni italiane spalatine, senza alcun intervento della polizia locale: […] I dimostranti – riferì il consolato italiano al Ministero degli Esteri – cominciarono le devastazioni alla marina, cominciando dal caffè Nani, abituale obbiettivo di tutte le dimostrazioni, dove infransero specchi, tavolini ed il resto; invasero e saccheggiarono sfondando le saracinesche con pali di ferro, grosse pietre e scuri l’Agenzia del Lloyd Sabaudo e della Puglia, l’agenzia Carstulovich […]. Dopo aver coscienziosamente distrutto i vetri di tutte le case italiane prospicienti alla marina e aver tentato di sfondare la porta del palazzo di Piazza della Frutta per poter «far la festa» al senatore Tacconi, alla sua famiglia, all’avvocato Savo e famiglia, […] i dimostranti iniziarono le devastazioni dalla parte del Gabinetto di Lettura, danneggiando tutti i vetri del Gabinetto, del cinema Eden e per tre volte tentando lo sfondamento321. Dopo aver danneggiato vari negozi, i manifestanti si diressero verso la scuola italiana: scavalcando il muro posteriore i dimostranti devastarono completamente diverse classi e con un fiasco di spirito cosparsero il pavimento di legname che avvampò in un attimo. Mentre i gendarmi accorsi al fumo, sedavano con non poche difficoltà l’incendio, già manifestatosi, i dimostranti distruggendo impannate e vetri rapivano i ritratti di S.M. il Re e di S.E. Mussolini e per sbaglio quello del Re SHS, preso per sbaglio per principe ereditario d’Italia, e dopo mille vituperii li bruciarono322. Le difficili condizioni di vita politica ed economica degli italiani a Spalato favorirono l’emigrazione di molti, che vendettero i propri beni ed abbandonarono la costa dalmata nel corso degli anni Venti e Trenta. Questo fenomeno preoccupò non poco i capi politici della minoranza e il governo di Roma, che cercarono di frenare questo esodo 320 Al riguardo alcune notizie in MLADEN ? ULIC! DALBELLO, ANTONELLO RAZZA, Per una storia delle Comunità italiane della Dalmazia, Trieste, 2004, p. 135 e ss. 321 ASMAE, Spalato, b. 46, Descrizione degli incidenti del 26 maggio 1928 a Spalato, senza autore e s.d., ma 1928. 322 Ibidem. 434 LUCIANO MONZALI con aiuti economici e finanziari, quali la concessione di mutui agevolati ai proprietari terrieri, di piccoli prestiti per connazionali in difficoltà economiche e di sussidi contro la disoccupazione323. Ma nonostante gli aiuti governativi, la posizione e la forza della collettività italiana spalatina s’indebolirono nel corso degli anni Trenta. I dati esistenti sulla consistenza della collettività italiana a Spalato mostrano un progressivo ridimensionamento numerico dell’elemento italiano in città. Bisogna qui ricordare che, pur in un contesto di difficile adattamento alla fine dell’Impero asburgico e di quasi costante crisi economica generale, Spalato conobbe un processo di forte crescita demografica e commerciale negli anni fra le due guerre. Il passaggio di Zara all’Italia trasformò definitivamente la città nel principale centro politico-amministrativo ed economico della Dalmazia iugoslava324. I notabili spalatini schierati con il nazionalismo iugoslavo, Ivo Tartaglia, Prslav Grisogono, Josip Smodlaka, Ivo Rubic!, puntarono a sfruttare la costituzione dello Stato SHS per fare della città, con il consenso serbo, il principale centro commerciale e marittimo della Iugoslavia, la cosiddetta «Grande Spalato» (Veliki Split). Ivo Tartaglia, sindaco di Spalato dal 1918 al 1928 e bano della «Primorska Banovina» dal 1929 al 1932, s’impegnò in un’opera di modernizzazione urbanistica ed economica della città, che in non pochi punti s’ispirava ai vecchi progetti di Antonio Bajamonti, ultimo podestà autonomista di Spalato. Le grandi ambizioni della classe dirigente spalatina ebbero solo una parziale realizzazione. Il governo serbo si dimostrò talvolta reticente nel sostenere i progetti spalatini di costruzione di nuove infrastrutture a vantaggio dell’economia cittadina. Inoltre la grande crisi economica degli anni Trenta frenò in parte lo sviluppo della città, rendendo le condizioni di vita a Spalato e nella Dalmazia estremamente precarie per la maggior parte della popolazione. Nonostante ciò, negli anni fra le due guerre Spalato potenziò la propria struttura economica, attraverso lo sviluppo dei cantieri navali e il consolidamento della sua vocazione commerciale. La città, poi, conobbe un impressionante aumen323 Al riguardo, ad esempio: DDI, VII, 9, d. 458, [ANTONIO TACCONI], Inasprimento della situazione degli italiani in Dalmazia. Provvedimenti atti a fronteggiarla, 12 dicembre 1930, allegato a Federzoni a Mussolini, 15 dicembre 1930, d. 458; Marincovich a Giuriati, 22 ottobre 1930, cit.; DDI, VII, 10, Appunto del ministro degli Esteri, Grandi, per il capo del governo, Mussolini, 5 gennaio 1931, d. 3. 324 Sulla vita politica ed economica di Spalato negli anni fra le due guerre: KUDRAVCEV, Ša je pusta Londra…, cit.; MACHIEDO MLADINIC!, Životni put, cit. p. 60 e ss.; DUSK # O KECK # EMET, Pros#lost Splita, Split, 2002, p. 211 e ss.; IVO RUBIC!, Split und Umgebung, Split, 1930; GLI ITALIANI DI DALMAZIA 435 to demografico, in gran parte prodotto dell’immigrazione dalle campagne dalmate, erzegovesi e bosniache. Dai circa 25.000 abitanti del 1921 la popolazione di Spalato passò a 35.000 nel 1931 per oltrepassare i 50.000 nel 1941 al momento della disgregazione della Jugoslavia325. Il numero degli spalatini con cittadinanza italiana, invece, diminuì progressivamente. Nel 1927 risultavano residenti nella città di Spalato 3.337 cittadini italiani326. In dieci anni si verificò un drastico e drammatico calo. Nel 1937 il console Cuneo dichiarava che nell’intero distretto consolare di Spalato (comprendente la città, il suo retroterra e varie isole della Dalmazia centrale) vi erano intorno ai 2.400 cittadini italiani, di cui circa 1.800 optanti e 600 per pieno diritto: ad avviso del console, più complessa era la quantificazione del numero di italiani in possesso di cittadinanza iugoslava. Circa cittadini jugoslavi di nazionalità italiana, numero subisce fortissima oscillazione se si considerano o meno tutti gli elementi relativi criterio nazionalità; cosicché persone da considerare sotto ogni aspetto di nazionalità italiana risultano qui ora circa 300; per uso costante lingua e tradizioni circa 4.000; per conoscenza e uso intermittente lingua numero molto superiore327. In una città che nel giro di venti anni raddoppiò la propria popolazione, l’elemento italiano regredì numericamente: se possiamo presumere che l’elemento italiano con cittadinanza iugoslava mantenne una certa stabilità, il numero degli italiani che avevano optato calò in maniera drastica. Lo sviluppo economico della città avrebbe potuto aprire possibilità d’intensificazione dei rapporti con l’Italia, naturale sbocco commerciale soprattutto dopo la fine dell’Impero asburgico e la perdita d’importanti mercati in Europa centrale e orientale, e quindi rafforzare il ruolo della minoranza italiana spalatina, tradizionale tramite nei rapporti fra la Penisola e la Dalmazia. In effetti negli anni Venti il commercio fra Italia e Iugoslavia conobbe una forte crescita328, ma i dif325 KEC#KEMET, Pros#lost, cit., p. 217. Rubic! dà cifre in parte diverse: RUBIC, Split und Umgebung, cit., p. 29. 326 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Censimento degli italiani, cit., p. 202. 327 ASMAE, AP 1931-45, Jugoslavia, b. 99, Cuneo a Ciano, 13 marzo 1937. Sul commercio e l’economia dello Stato iugoslavo durante gli anni Venti e Trenta: LAMPE, Yugoslavia as History, cit., p. 181 e ss.; FRED SINGLETON, BERNARD CARTER, The Economy of Yugoslavia, London-New York, 1982, p. 60 e ss. 328 MONZALI, La questione jugoslava nella politica estera italiana dalla prima guerra mondiale ai trattati di Osimo, cit., p. 28. 436 LUCIANO MONZALI ficili rapporti politici fra i due Paesi ne limitarono fortemente le ricadute positive sulla minoranza. Sia i nazionalisti iugoslavi vicini a Tartaglia che la classe dirigente serba pensarono ad un progetto di sviluppo economico di forte impronta xenofoba, tutto endogeno all’interno della Iugoslavia, cercando di eliminare l’influenza dei capitali stranieri, in particolare di quelli italiani, e favorendo l’assimilazione o l’espulsione delle popolazioni allogene. Da qui i costanti tentativi d’impedire la crescita dell’influenza economica italiana a Spalato, ritenuta possibile strumento per future rivendicazioni territoriali. 4.8. Le comunità italiane nella Dalmazia centro-meridionale Dopo la costituzione del Regno SHS, oltre che a Spalato e a Veglia, dove erano presenti le comunità italiane più numerose ed organizzate, sopravvissero nuclei italiani in tutti i principali centri urbani della costa dalmata fino alla seconda guerra mondiale. Come abbiamo visto, secondo i dati del censimento degli italiani all’estero del 1927, nella circoscrizione consolare di Ragusa (comprendente i territori dalmati meridionali dal fiume Narenta ad Antivari) vivevano 1.080 cittadini italiani; di questi 660 residevano a Ragusa-Gravosa, 240 nelle Bocche di Cattaro, 180 a Curzola329. Nella circoscrizione consolare di Spalato, che inglobava tutta la Dalmazia centro-settentrionale fino all’isola di Veglia, oltre alle collettività presenti a Spalato, Sebenico e Veglia, vi erano 100 cittadini italiani ad Arbe, 509 sull’isola di Lesina, 177 a Lissa, 169 sull’isola della Brazza, 20 a Pago, 26 a Scardona330. In gran parte questi cittadini italiani erano nati in Dalmazia e optanti per l’Italia. Ma va detto che queste cifre includevano anche italiani originari di quei territori ma emigrati, nel frattempo, lontano dalla Dalmazia iugoslava: nel 1930 il console italiano a Spalato, Segre, dichiarava che le collettività italiane sulle isole erano ridotte a poche persone, 50 circa a Lissa, 80 a Lesina, 60 a Cittavecchia331. Negli anni successivi al trattato di Rapallo pure nella Dalmazia meridionale si assistette ad un progressivo indebolimento numerico, politico ed economico delle comunità italiane. A Curzola città il numero d’italiani, come abbiamo già notato, calò drasticamente. Il conso329 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Censimento degli italiani, cit., p. 199. Ivi, p. 202. 331 ASMAE, AP 1919-1930, Jugoslavia, b. 1388, Segre a Galli, 1° luglio 1930. 330 GLI ITALIANI DI DALMAZIA 437 le italiano di Ragusa constatò nel 1923 che il numero di optanti italiani effettivamente residenti nella città di Curzola si era ridotto a 46. Più numerosi degli optanti erano gli italiani che avevano preferito mantenere la cittadinanza iugoslava: tra di questi vi erano commercianti e possidenti che «temevano con l’opzione di veder compromesso per sempre l’esercizio della loro industria o del loro commercio»332. In precarie condizioni economiche, nel corso degli anni Venti molti italiani isolani optanti emigrarono in Italia o decisero di assumere la cittadinanza iugoslava. I ricchi, infatti, o meglio – notò il console Segre a proposito degli italiani di Lesina e Lissa nel 1930 – quelli che una volta erano i ricchi per vastità di possessi fondiari ed immobiliari, ora stentano a trovare un po’ di credito per campare, rovinati dal mancato pagamento delle domenicali, vessati d’imposte, premuti da censi usurari, minacciati ad ogni momento dall’applicazione della riforma agraria, cosicché quelli tra essi, che poterono abbandonare queste terre, l’hanno fatto, o vendendo le loro proprietà o lasciandone l’amministrazione a parenti o amici qui ancora rimasti. Parecchi pensionati, poi, già qui residenti, hanno preferito trasferirsi a Zara, dove la vita è più facile e a buon mercato. In quanto, infine, all’elemento operaio che vive alla giornata, esso si dibatte tra le strette delle angherie continue che loro fanno autorità e popolazioni locali, nell’intento di rendere loro la vita impossibile ed obbligarli o a riparare in Italia o a farsi jugoslavi333. Queste collettività italiane, molto indebolite numericamente rispetto all’epoca asburgica, riuscirono comunque a sopravvivere e a mantenere una propria organizzazione comunitaria attraverso la costituzione di circoli e scuole. Per i capi della minoranza l’esistenza di scuole italiane era ritenuta vitale per la sopravvivenza di un’italianità autoctona in Dalmazia. Dopo Rapallo ed il ritiro delle truppe italiane dalla Dalmazia occupata vennero mantenute in vita scuole elementari italiane a Curzola e Lesina334, mentre nel corso degli anni Venti fu- 332 ASMAE, AP 1919-1930, Jugoslavia, b. 1309, Il console italiano di Ragusa al Ministero degli Esteri, 6 novembre 1923. 333 Segre a Galli, 1° luglio 1930, cit. 334 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Sforza a Rocco, 25 marzo 1921; ibidem, Moroni all’Ufficio per le Nuove Provincie, 20 ottobre 1921; ibidem, De Angelis a Ministero degli Esteri, 21 settembre 1921, con allegato; ibidem, Umiltà alla Legazione italiana a Belgrado, 7 gennaio 1922. Sulle scuole italiane in Dalmazia alcuni accenni in ANDRI, Gli italiani in Dalmazia, cit., p. 92 e ss. 438 LUCIANO MONZALI rono aperte scuole elementari a Traù e Ragusa335. Dalla documentazione disponibile sappiamo che nel 1933 esistevano nella Dalmazia iugoslava scuole elementari miste italiane a Veglia, Traù, Spalato, Sebenico, Lesina, Curzola e Ragusa. La scuola elementare mista di Traù comprendeva circa 26 scolari, quella di Curzola ne aveva una quarantina. La scuola di Lesina raccoglieva 34 alunni, mentre quella di Ragusa, con annesso un giardino infantile, era frequentata da circa 130 scolari336. Tutte queste scuole erano gestite dalle sezioni locali della Lega Culturale Italiana, guidata da Antonio Tacconi, ma venivano finanziate dal governo di Roma337. Rimase attivo poi un associazionismo italiano in tutta la Dalmazia centro-meridionale, erede della fitta rete di associazioni ed istituzioni del partito autonomo-italiano dell’epoca asburgica. Fino all’inizio degli anni Quaranta a Scardona vi fu una «Società del Casino», avente 15 soci338, che appartenevano a tre famiglie italiane locali, de Marassovich, Filippi e Ostoja. A Traù sopravvisse il «Gabinetto di Lettura», diretto da Giovanni Pavcovich, avente 32 soci, comprendente le famiglie Abazza, Belava, Benci, Colludrovich, Fanfogna, Marich, Marini, Novach, Sore, Tramontana e Vosilia339. A Curzola vi era la «Unione Italiana» presieduta da Michele Smerchinich, con 41 soci, membri delle principali famiglie italiane rimaste (Benussi, Damianovich, Depolo, Perucich, Radizza, Smerchinich, Vinzi, Zanettich)340. La comunità italiana a Ragusa mantenne una discreta vivacità. Nella Dalmazia meridionale341, esclusa dalle rivendicazioni territoriali del governo di Roma, lo scontro nazionale italo-iugoslavo non aveva raggiunto l’asprezza esistente a Zara, Sebenico e Spalato, e all’inizio degli anni Venti si ricreò ben presto una situazione di tranquillità342. A ciò 335 Al riguardo: ASMAE, Spalato, b. 255, Il console italiano a Spalato a Galli, 31 dicembre 1928. 336 ASMAE, Spalato, b. 255, Tacconi al Consolato italiano di Spalato, 18 marzo e 21 aprile 1933. 337 ANDRI, Gli italiani in Dalmazia, cit., p. 98 e ss. 338 ASMAE, Spalato, b. 114, Società del Casino Scardona elenco dei soci anno 1940. 339 ASMAE, Spalato, b. 114, Gabinetto di Lettura Traù. Elenco dei soci al 1° gennaio 1940-XVIII. 340 ASMAE, Spalato, b. 114, Elenco nominativo dei soci dell’Associazione “Unione Italiana” di Curzola, 7 marzo 1940. 341 Per un’analisi della situazione politica nella Dalmazia meridionale negli anni Venti: FRANKO MIROSE# VIC!, Poc#elo je 1918. …Juz#na Dalmacija 1918-1929., Zagreb, 1992. 342 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 11, Il console italiano a Ragusa al Ministero degli Esteri, 15 novembre 1921. GLI ITALIANI DI DALMAZIA 439 contribuì anche la peculiarità culturale dei ragusei, nei quali sopravviveva un radicato particolarismo municipale che attenuava lo scontro nazionalista italo-iugoslavo. La debolezza numerica dell’elemento italiano nella Dalmazia meridionale, poi, rendeva la sua sopravvivenza non pericolosa politicamente ed accettabile per i dalmati croati e serbi343. Un elemento di forza della comunità italiana a Ragusa erano le forti relazioni economiche e commerciali con la Puglia, il che aveva tradizionalmente comportato l’esistenza di un flusso migratorio pugliese verso la Dalmazia meridionale. Ma la povertà degli immigrati pugliesi spingeva talvolta questi ad accettare una rapida slavizzazione. Gl’italiani regnicoli, quasi tutti di origine pugliese, venivano in Dalmazia portati da una necessità economica. Non avevano né mezzi, né cuori per essere pionieri di nazionalismo. Non avendo nell’infanzia l’istruzione italiana, divenivano a maggior età degli indifferenti nazionali, e premuti dalle minaccie, perseguitati dai croati e dalla polizia, cominciavano a nascondere la loro italianità. I più non si piegavano, ma qualcuno, orribile a dirlo, si dichiarava slavo, passava nelle file nemiche, sconfessava la patria344. Per mantenere viva l’identità e la cultura nazionale degli italiani autoctoni e di quelli provenienti dalla Puglia, era urgente l’apertura di una scuola italiana a Ragusa. Nel corso degli anni Venti la comunità italiana ragusea riuscì a costituire una scuola elementare mista e un giardino d’infanzia, grazie alla donazione immobiliare ricevuta da Giovanni Avoscani, capo del partito autonomo-italiano raguseo fra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale345, e ai finanziamenti dell’Italia. La scuola e l’asilo, con oltre un centinaio di iscritti, mostrarono di essere istituzioni vivaci ed attive346, segnale di una certa vitalità della comunità italiana locale. La collettività italiana, divisa da contrasti personali e dissensi politici, era organizzata in due associazioni, l’«Unione Italiana» e la «Società Operaia Italiana». Fra i prin- 343 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 11, Il console italiano a Ragusa al Ministero degli Esteri, 10 giugno 1921. 344 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Sagrestano e Storelli (Associazione italiana di Beneficienza, Ragusa) al console italiano di Ragusa, 2 settembre 1921. 345 ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 17, Il console italiano di Ragusa al Ministero degli Esteri, 3 settembre 1921. 346 Ad esempio: ASMAE, Spalato, b. 259, Relazione sul funzionamento della scuola di Ragusa (Dalmazia), 6 dicembre 1940. 440 LUCIANO MONZALI cipali esponenti della comunità vi erano Giovanni Jelich ed Edmondo Weiss, commerciante, direttore del gruppo locale della Lega Culturale Italiana e dell’Unione Italiana negli anni Venti347; Arnaldo Vladovich e Natale Bongi erano a capo della Società Operaia Italiana. La conflittualità interna alla collettività ragusea, il suo pluralismo politico e l’estraneità di alcuni suoi esponenti al fascismo provocarono le ire dei rappresentanti consolari dell’Italia fascista, che desideravano controllare in modo autoritario l’attività delle comunità italiane ed erano ostili alla tradizione liberale ed alla natura elettiva dell’associazionismo italiano in Dalmazia. Alla metà degli anni Trenta il console Carlo Staffetti decise d’imporre una «bonifica» fascista alla collettività di Ragusa, imponendo lo scioglimento della Società Operaia, il concentramento di tutti gli italiani ragusei nell’Unione Italiana, l’eliminazione della vecchia direzione dell’Unione e la nomina ai suoi vertici di elementi fedeli al fascismo e graditi al consolato, non per elezione ma per acclamazione imposta dal console348. Erano vicende queste che confermavano il carattere spesso dialettico e contrastato dei rapporti fra gli italiani di Dalmazia e l’Italia fascista. 347 Su Weiss: ASMAE, Spalato, b. 48, Cuneo a Segre, 4 novembre e 5 dicembre 1929. Dopo la seconda guerra mondiale Edmondo Weiss venne condannato dal tribunale iugoslavo per la difesa dell’onore nazionale a vari anni di lavori forzati. 348 Staffetti a Cosmelli, 16 ottobre 1935, 19 dicembre 1935 e 18 marzo 1936, cit. APPENDICE 1 Cartine 442 La Dalmazia amministrativa secondo l’ultimo censimento austriaco del 1910. Linea del trattato di Londra, 1915. 443 Linea dell’occupazione italiana, 1918. 444 Quadro delle occupazioni. 445 Iugoslavia. Il territorio di Zara annesso all’Italia nel 1920. 446 3 progetti ferroviari in Iugoslavia all’inizio degli anni Venti. APPENDICE 2 Fotografie 448 Roberto Ghiglianovich. Luigi Ziliotto. Natale Krekich. 449 Politici dalmati italiani: (in piedi da sinistra) avv. Stefano Smerchinich - Curzola, avv. Luigi Ziliotto Zara, avv. Giovanni Lubin - Traù, avv. Roberto Ghiglianovich - Zara (seduti) conte Marino Bonda - Ragusa, cav. Nicolò Trigari - podestà di Zara, avv. Ercolano Salvi - Spalato. Sidney Sonnino, il negoziatore del Patto di Londra. Vittorio Emanuele Orlando, il presidente della vittoria. 450 Leonardo Pezzoli. Enrico Millo. Alessandro Dudan. 451 Ercolano Salvi. Antonio Tacconi Ildebrando Tacconi. Antonio Cippico. 452 Zara - 4/11/1918, la torpediniera “55” entra in porto... ... mentre la folla saluta esultante dalla riva. 453 Pranzo al governatorato in onore di D’Annunzio: sono riconoscibili oltre il comandante, l’amm. Millo, il sindaco Ziliotto, il magg. Giuriati, il comandante Rizzo. Zara: la popolazione con le bandiere acclama le truppe che sbarcano. 454 Cartolina irredentista commemorativa di Arturo Colautti. L’abbraccio fra D’Annunzio e Millo al termine dell’incontro di Dolfin, 15 novembre 1920. INDICE DEI NOMI Abazza famiglia, 438 Acton Alfredo, 203 Ádám Magda, 213n Addobbati Francesco, 223n Agnelli Arduino, 309n Alacevich, 303 e n Alatri Paolo, 114n, 133n, 136n, 138n, 143n, 144n, 148n, 149n, 161n, 167n, 169n, 170n, 177n, 179n, 180n, 181n, 183n, 184n Alberti, 224n Albertini Luigi, 12 e n, 18n, 29n, 32n, 41, 42 e n, 43 e n, 44 e n, 45 e n, 47, 48, 85 e n, 88n, 89n, 91n, 92n, 93n, 216, 330n, 339n, 382n, 384n Albl Guglielmo, 364 Albrecht-Carrié René, 92n, 93n, 103n, 111n, 112n, 113n Aldrovandi Marescotti Luigi, 70n, 104n, 108n, 111n, 112n, 114n Alessandro Karadjordjevic!, principe e re SHS, 197, 250, 409, 414 Alessioni G., 76 Aliotti Carlo Alberto, 197 e n Allacevich Pompeo, 408 Amadori Virgili Giovanni, 325 e n, 327 e n, 328, 334, 337, 344, 346, 428n Ambrosetti Gino, 367n, 426n, 427 e n Amendola Giovanni, 11, 46n, 88n Anchieri Ettore, 401n Andri Adriano, 415n, 426n, 430n, 437n Andriola Fabio, 148n Anelli, 259 e n Antinori Orazio, 373n Antoni Gino, 109 Antonijevic!/Antonievich Vojislav, 220, 269, 312, 313, 316, 384, 387n, 389n, 394 Apih Elio, 12n, 45n, 190n, 414n, 415n Apollonio Almerigo, 252n, 379n A Prato Carlo Emanuele, 112n, 197, 339n, 340n Ara Angelo, 57n Ara Camillo, 217 e n Archi, 367n Arduini Luigi, 429n Arnerich Antonio, 300, 379 Artale Spiridione, 287, 291n Avoscani Giovanni, 439 Badoglio Pietro, 161, 197n, 203 Bajamonti Antonio, 4 e n, 77, 327, 434 Balfour Arthur James, 91, 93n Ballarini Amleto, 383n Banac Ivo, 3n, 97n, 184n, 185n, 186n, 248n, 250n Barbagallo Francesco, 125n Barbarich Alberto, 367n Barbarich Eugenio, 256, 269, 270n, 297, 298 e n, 299n, 320, 385n, 405n Barbieri Domenico, 84 e n, 99n, 100, 109n, 110n, 111n, 114n, 115n, 126n, 127n, 128n, 129n, 130n, 131n, 134n, 135n, 136n, 139n, 153n, 154n, 155n, 166n, 167n, 169 en Barié Ottavio, 12n, 42n, 85n Bariety Jacques, 31n Barrère Camille, 29n, 87 e n, 90 e n, 94n, 95 e n, 96, 107, 193 e n, 195 e n, 255n, 382n, 401n, 409n Barthou Louis, 382n Bartoli, 385n Bartolucci Godolini Giovanni Battista, 367n Barzilai Salvatore, 94, 95 e n, 96, 97 e n, 99, 100 Basile, 407n 458 INDICE DEI NOMI Battara Rodolfo, 303n, 307n, 379 Baylon Felice, 284n, 361, 362n Baylon Felice senior, 223n, 267 Belava famiglia, 438 Bellini, 407n Benci famiglia, 438 Benedetti Giulio, 220n Benedetto XV, 214 Benussi famiglia, 438 Bernardy Amy A., 40n Berthelot Philippe, 91n, 92n, 122 Bertolini Angelo, 15, 280n, 281n Bertolini Pietro, 198 Bertone Giovanni, 261, 366 e n Bervaldi Pietro Gelineo, 134, 136 Bettiza famiglia, 362, 429, 430 Bettiza Enzo, 362n, 417n Bettiza Giovanni, 69n, 83 Bettiza Marino, 362 Bettiza Vincenzo, 362 Biagini Antonello, 197n Bianchini Stefano, 415n Biankini Juraj, 65n Bilandz#ic! Dus#an, 51n, 248n Biondich Mark, 24n, 50n, 97n, 184n, 186n, 248n, 249n, 250n Bissolati Leonida, 12, 13 e n, 14n, 45, 47, 48, 85, 86 e n, 87, 88 e n, 89, 115, 202 Blanda, 322n Blasina Paolo, 57n Blatt Joel, 90n, 96n Blumenthal Henry, 96n Bodrero Alessandro, 411n Boemeke Manfred F., 116n Boglich-Perasti Francesco, 223n, 267 Boglich-Perasti Gioacchino, 223n Bonavia famiglia, 429 Bonavia Aurelio, 418, 426 Bonfanti Linares, 242, 244, 245 e n, 246, 247n, 256 e n, 269, 270n, 273, 274n, 275n, 276n, 287 e n, 288n, 291n, 294n, 301 e n, 302 e n, 303 e n, 305, 306n, 307 e n, 308n, 309 e n, 312 e n, 320 Bonfiglio Dosio Giorgetta, 408n Bongi Natale, 440 Bonin Longare Lelio, 37n, 39n, 41n Bonoldi Pietro, 363n, 420n, 421 e n, 422 e n, 423n, 424 e n Bonomi Ivanoe, 14n, 88n, 149n, 196, 197n, 202 e n, 203, 206, 207n, 239 e n, 253, 256 e n, 299, 339, 340, 341, 342, 344 e n, 351, 352, 357, 381, 400 Boppe Jules Auguste, 30n Borelli Alfonso, 308 e n, 309 Borghese Giuseppe Antonio, 216 Borghese Livio, 36n Borletti, 231 Borovich Michele, 232n Borsa Mario, 216 Borsarelli Luigi, 70n Boselli Paolo, 11, 12n, 13, 80 Botta Franco, 410n Botteri, 288 Botteri Gian Antonio, 134, 136, 232n Boxich Girolamo Italo, 66 Bracco Barbara, 193n Braut famiglia, 422 Brazzanovich Antonio, 223n Breccia Alfredo, 414n Brelich Amedea, 366 e n Brizio, 241n Brocchi Iginio, 384n, 385n, 388n, 389n, 411n Brogi Alessandro, 193n Brunelli Vitaliano, 224 e n Bruni Francesco, 1n Bucarelli Massimo, VII, 159n, 161n, 172n, 401n, 409n, 411n, 415n Bucci Umberto, 150n, 158 e n, 228, 229, 230, 235 Buccianti Giovanni, 112n Bucevich Antonio, 9, 265, 266 e n, 267 e n, 276, 277 e n, 278, 279, 385n, 386n Buchanan George William, 178n, 183n, 184n, 195, 196n, 217n, 330, 331n, 336n, 337n, 339n, 340n Buehrig Edward H., 112n Buglian, 376, 377 Bulat Gajo, 67 Bulat Gajo/Gaetano, 2, 3 Buratti, 406n Burgwyn H. James, 10n, 29n, 401n, 414n INDICE DEI NOMI Buscevich vedi Bucevich Caccamo Domenico, 30n Caccamo Francesco, VII, 91n, 116n, 117 e n, 145 e n, 159n, 161n, 172n, 177n, 184n, 213n, 214 e n Cace Doimo, 128 e n, 162 e n, 259 e n, 261n, 337 Cace Manlio, 15n, 257n, 322, 323n Cagni Umberto, 56, 57 Calbiani Guido 80n, 148n, 151n, 155n, 160n, 190n Calder Kenneth J., 30n, 31n, 32n, 38n Caleb Martino, 364 Calebich Edoardo, 224, 236, 302, 377, 381n Calebotta Ildegardo, 152 Calligarich famiglia, 375 Cambon Paul, 96 e n Camizzi Corrado, 4n Candeloro Giorgio, 251n, 252n Candia, 288 Cantalupo Roberto, 193n, 401n Capuzzo Ester, 309n Cardona Giovanni Battista, 57n Carlo d’Asburgo, imperatore d’AustriaUngheria, 45, 50, 51, 371, 372 Carlotti di Riparbella Andrea, 28n, 29n, 36n Carocci Giampiero, 401n, 413n, 414n Carstulovich Giandomenico, 418 e n, 426, 430n Carter Bernard, 435n Casella Francesco, 415n Cassels Alan, 401n Castagnetti Augusto, 367n Castoldi Fortunato, 117, 145n Cavallero Ugo, 168, 169n Cella Sergio, 15n ermelj Lavo, 252n, 414n Cervani Giulio, 16n Charles-Roux François, 90n, 195n, 255n, 340n, 352 e n, 397n, 401n Chiesa Eugenio, 404n Ciancarelli Bonifacio Francesco, 385n Ciano Galeazzo, 373n, 435n Ciaric/ aric!, 75n ingrija Pero, 69n, 85 e n 459 Cipolla Arnaldo, 232 Cippico Antonio, 9, 15 e n, 16 e n, 17, 18, 19, 79, 232n, 233, 288, 300, 306 e n, 307, 327n, 394n, 406 e n, 407 Cippico/ ipiko Ivo, 15n Cipriani Carlo Cetteo, 15n Clemenceau Georges, 91n, 95 e n, 96 e n, 106, 107, 113, 114, 138, 150n Coccia Benedetto, 79n Codresco Florin, 341n, 382n Coen Gastone, 283n, 285n, 377n, 408n, 417n, 428n Colapietra Raffaele, 14n, 88n, 89n Colludrovich famiglia, 438 Colonna, 199 Colonna di Cesarò Giovanni Antonio, 11, 47 e n, 80, 332, 389, 393 e n Contarini Salvatore, 190n, 193 e n, 256, 315 e n, 317 e n, 319, 320n, 339 e n, 352, 357, 366n, 385 e n, 387n, 401 e n, 406n, 409, 413 Coolidge Calvin, 64n Coppola Francesco, 111, 127 Cordova Ferdinando, 148n Corradini Enrico, 11, 218n Cortellazzo Giuseppe, 65 Cosmelli Giuseppe, 419n, 440n Covacich Florio, 223n Credaro Luigi, 396 Crespi Silvio, 89n, 111n Crispo Moncada, 190n ulic!-Dalbello Mladen, 433n Cuneo Giovanni Battista, 435 e n, 440n Curato Federico, 98n Curzon di Kedleston George Nathaniel, 183n, 184n, 190n, 196n, 197n, 214n, 217n, 331n, 336n, 337n, 339n, 340n, 382n Cusani Visconti Lorenzo, 57n, 150n Cuznanich Costantino, 152 Czernin Ottokar, 45 Dainelli Giotto, 6n D’Alia Antonino, 1n, 8n, 9n, 51n Dalmas Umberto, 152 Dal Molin Cornelio, 63n D’Amelio Mariano, 122 e n, 140 Damianovich famiglia, 438 460 INDICE DEI NOMI D’Annunzio Gabriele, 80 e n, 81 e n, 82, 85n, 89n, 110 e n, 125, 148, 149, 150 e n, 153, 154, 155 e n, 157, 158, 159 e n, 160, 161 e n, 162 e n, 163 e n, 164, 172 e n, 173 e n, 175 e n, 187, 216n, 218 e n, 224 e n, 225 e n, 226, 227 e n, 228 e n, 229, 230 e n, 231 e n, 232 e n, 233, 234 e n, 235, 236, 238 e n, 242, 243 e n, 246, 302, 303, 304 e n, 305, 306, 307 e n, 308, 376, 378, 383 e n Dassovich Mario, 203n, 401n, 411n, 415n D’Auria Elio, 46n Deák Francis, 91n De Ambris Alceste, 304 e n De Angelis Mariano, 276, 324n, 357, 364 e n, 365 e n, 366, 368 e n, 369 e n, 370, 371, 372 e n, 373 e n, 437n De Benvenuti Angelo, 1n, 8n, 51n, 54n, 56n, 285n, 287 De Boccard, 53 e n, 54 e n, 62n De Castro Diego, 6n, 285 e n De Chmielewski Giorgio, 424 De Draganich-Venanzio Carlo, 101n De Felice Renzo, 80n, 82n, 89n, 148n, 218n, 219n, 251n, 304 e n, 336n, 339n, 397n, 400n Degli Alberti Alberto, 417n Degli Alberti Gastone, 69n De Hoeberth Edmondo, 9 Dei Sabelli (Pietromarchi) Luca, 116n Delcassé Théophile, 29n, 30n Delich Silvio, 9, 14, 54n, 154, 155 Della Torre Giuseppe, 339n Della Torretta vedi Tomasi Dellich Giuseppe, 259 e n De Marassovich famiglia, 366, 438 De Marassovich Francesco, 232n De Martino Giacomo, 14, 15, 16n, 17, 111, 112n, 116, 122 e n, 123, 139, 140 e n, 141, 142 e n, 143n, 144, 145 e n, 170n, 339n Demicheli Achille, 151, 152 De Michieli Vitturi famiglia, 430 De Michieli/Micheli Vitturi Silvio, 69n, 72 De Morsier Frank, 14n, 15n, 16n, 18n, 21n, 22n De Nakich Antonio, 9 De Nakich Giorgio, 15 Denti di Pirajno, 275n Depicolzuane famiglia, 422n Depoli Attilio, 383n Depolo famiglia, 438 Derby Edward Georges Villiers Stanley, 93n De Rey vedi Vannutelli De Rossignoli Giorgio, 152 Desanti Raimondo, 306n De Schönfeld Enrico, 154, 221, 224, 233, 241, 287, 288, 302, 303 e n, 377 De Serragli Giovanni, 8 Desnica/Desniza Uros, 65, 308, 320, 354 De Stefani Alberto, 378 Dethan Georges, 89n De Toni, 151 Devich Cirillo, 152 Diaz Armando, 56, 163n Di Fant Annalisa, 254n Difnico famiglia, 366 Difnico Antonio, 9, 47n Difnico Giovanni, 15 Di Giamberardino Oscar, 58n, 156n, 158n, 159n, 160n, 162n, 163n, 173n, 227n, 228n, 229n, 230n, 231n, 236n, 237n Djordjevic Dimitrije, 26n Diklic! Marjan, 3n Di Nolfo Ennio, 82n, 219n, 400n, 401n, 414n Di Villanova, 117 Dockrill Michael L., 91n Dodge Cleveland Hoadley, 54n Dogo Marco, 412n, 414n Dojmi di Delupis Lorenzo, 134, 136, 232n, 267 Domiacussich Pietro, 379 Donati Giuseppe, 154 Dragnich Alex N., 25n, 248n Dras#kovic! Milorad, 250, 316 Drazevich Simeone, 379 Dreist Markus, 194n Drinkovic! Mate/Matteo, 8 INDICE DEI NOMI Duce Alessandro, VII Dudan Alessandro, 1n, 9, 15 e n, 16, 17, 18 e n, 19, 46n, 47n, 49, 79, 89n, 171 e n, 224 e n, 232n, 233, 300, 301, 302, 303, 304, 306 e n, 308, 379, 389 e n, 393 e n, 394 e n, 395n, 396, 397, 403, 404, 405 e n, 406, 407 Dudan Antonio, 152 Duroselle, Jean-Baptiste, 38n, 89n, 90n, 96 e n, 107n, 202n Emanuel Guglielmo, 41, 44, 85n, 91n, 92n, 93n Engel-Janosi Friedrich, 32n Ercolani Antonella, 148n Evans Laurence, 108n Facta Luigi, 299, 381, 382, 383, 388, 389, 390, 391, 393, 397 e n, 400 Falorsi Vittorio, 40n Fanello Marcucci Gabriella, 191n, 382n Fanfogna famiglia, 438 Fanfogna Giovanni, 83n Fanfogna Nino, 150, 151, 152 Fanfogna Simeone, 152 Fanfogna Umberto, 152 Fattori Onofrio, 57n Fattovich Nino, 377, 397n Federzoni Luigi, 11, 18, 70, 79 e n, 80, 136n, 180n, 217 e n, 218 e n, 221, 253n, 255, 331 e n, 434n Fejtö François, 30n, 31n Feldman Gerald D., 116n Fenzi famiglia, 366 Feoli Gaetano, 8 Ferrari Giuseppe, 101n Ferruzzi Ferruccio, 8n, 9 Ferruzzi Roberto, 15, 59n, 60n, 62n Field Woolsey Hopkins, 151 Filippi famiglia, 438 Filippi, 241, 302, 377 Filippini Francesco, 55n, 56 e n Fink Carole, 116n, 123n, 382n Fiorentin famiglia, 422 Fiorentin Anna Maria, 7n, 420n Fischer Bernd J., 197n, 412n Fisher H. H., 16n 461 Foch Ferdinand, 96 Fontenay Louis-Gabriel-Antoine-Joseph, 197 Foretic! Dinko, 185n Foretich famiglia, 429, 430 Forges Davanzati Roberto, 70, 79 e n, 111, 180n, 216 e n, 218 e n, 219n, 221, 305 e n, 388 e n Foscari Piero, 70 e n, 78 e n, 79, 80, 149, 244, 245, 306 Fosco Ugo, 261n Frank, 150n Frank Ivica, 175 Frari famiglia, 366 Frater (Mario Forges Davanzati), 79n, 180n Frohn Axel, 382n Fülaus, 308 Gabrich Giacomo, 185 Gaeta Franco, 11n Galante, 17 Galanti Vincenzo, 198n, 248n, 249n, 250n Galli Carlo, 363, 364n, 418n, 419n, 426n, 436n, 437n, 438n Galvani famiglia, 366 Galzigna Doimo Lauro, 57 e n, 232n Ganza-Aras Tereza, 5n, 7n Gasperini, 377 Garzia Italo, VII, 92n, 93n, 94n, 410n Gayda Virginio, 11, 302 e n Gazzari, 44 Gelfand Lawrence E., 38n Gentile Emilio, 253n, 337n Gentiloni Silveri Umberto, 79n Gerra Ferdinando, 148n, 226n, 227n, 229n, 237n, 238n, 245n Ghiglianovich Roberto, VI, 4 e n, 8, 9, 14 e n, 16n, 17 e n, 18 e n, 19 e n, 20, 21 e n, 22 e n, 23, 24, 46 e n, 47 e n, 48, 49 e n, 70 e n, 78, 82, 83, 84 e n, 99 e n, 100 e n, 101n, 109 e n, 110 e n, 111n, 114 e n, 115, 126 e n, 127 e n, 128 e n, 129 e n, 130 e n, 131 e n, 132 e n, 134 e n, 135 e n, 136 e n, 137 e n, 138 e n, 139n, 153 e n, 154 e n, 155 e n, 165 e n, 462 INDICE DEI NOMI 166 e n, 167 e n, 169 e n, 170n, 175, 178 e n, 199, 200 e n, 205, 233, 234 e n, 236 e n, 240 e n, 289, 300, 301, 302, 303, 304n Ghisalberti Carlo, 80n Giannini Amedeo, 146n, 177n, 210n, 211n, 215n, 342n, 352n, 398n, 403n, 404n, 405n, 409n, 411n, 412n Giannini Francesco, 387n Gifuni Giambattista, 89n Gilardi Lorenzo, 9, 83 Gilardi Maria, 83 Giolitti Giovanni, 58, 183 e n, 191 e n, 192, 193, 194 e n, 195, 196 e n, 197 e n, 198 e n, 202, 203n, 204 e n, 205 e n, 207, 208, 209, 212, 213, 217, 227 e n, 229 e n, 242 e n, 253, 273, 275, 295, 311, 319, 326, 327, 328, 329, 330, 333n, 334, 336 e n, 337, 339 e n, 340 e n, 344, 382, 404 Giordano Giancarlo, 192n, 339n Giovannizio Antonio, 103n Giovannizio Giannina, 103n Girardini Giuseppe, 336 Giunta Francesco, 332n, 404 e n Giuriati Giovanni, 111, 148n, 149 e n, 158 e n, 159 e n, 160n, 172 e n, 173, 174 e n, 175 e n, 226, 227 e n, 233 e n, 253, 383 e n, 389 e n, 397, 416n, 432n, 434n Giurina famiglia, 422 Glaise Horstenau, Edmund, 50n, 52n Glaser Elisabeth, 116n Gobetti Piero, 86n Goldstein Erik, 91n Goold J. Douglas, 91n Gospodnetich Giovanni, 69n Gottlieb W.W., 10n Graciotti Sante, 257n Graham Ronald, 382n Grandi Dino, 413, 418n, 434n Grant White Lawrence, 88n Grassi Fabio L., 193n Gray Ezio Maria, 380, 393 e n Gregory John Duncan, 387n Grigg Edward, 387n Grisogono famiglia, 363 Grisogono Armando, 363 Grisogono Petar, 363n Grisogono Prslav, 434 Groscetta Antonio, 223n Grumel-Jacquignon François, 90n, 409n, 413n Guaina Leonardo, 69n Guariglia Raffaele, 401n Guida Francesco, 340n, 412n Guina famiglia 430 Gulli Tommaso, 152n, 189 Gullini, 387n Hacin, 384n, 388n Hankey Maurice, 104n, 113n, 116n, 387n Hanks Ronald W., 52n Harding Warren, 202 Headlam-Morley James W., 144 Heideking Jurgen, 382n Hein, 128n Helmreich Paul C., 91n, 108n, 112n Host-Venturi Giovanni, 148n, 159n, 175, 231 e n, 253, 302, 303 House Edward Mandell, 69n, 80n, 93n, 103, 112 e n Howard Harry H., 90n Iarabek Elio, 375n, 46n Illich famiglia, 430 Illich Bruno, 287, 379 Illich Ernesto, 72, 83, 188, 424 Illich Giuseppe, 274, 275n, 326 Imperato Federico, VII Imperiali di Francavilla Guglielmo, 16n, 28n, 29n, 33n, 39n, 41n, 107n, 214n Inchiostri, 241, 302, 376, 377 Iordache Nicolae, 213n Iustus, 92n, 112n, 113n Ivetic! Egidio, 1n Jacchia, 237 Jacini Stefano, 385n Jakir Aleksandar, 50n, 67n, 372n Janjatovic! Bosiljka, 184n, 185n, 248n, 250n Jaquin Pierre, 416n Jelich Giovanni, 103 e n, 440 INDICE DEI NOMI Jezina, 308, 377 Johnson Douglas Wilson, 113n Jovanovic! Ljuba, 28 Jurica Anton, 289n Juso Pasquale, 414n Justus Verdus Antonio, 16n Kacin Wohinz Milica, 190n, 215n, 252n, 414n Karadjordjevic!, dinastia, 50 Karaman/Caraman famiglia 430 Karaman Doimo, 424 Kec#kemet Dus#ko, 2n, 4n, 434n, 435n Keller Guido, 226, 238 Kiddle Edward Burton, 75 Kitsikis Dimitri, 108n Kolar Dimitrijevic! Mira, 430n Kolb Eberhard, 57n Kovac! Miro, 31n, 90n Krekich Natale, VI, 4 e n, 8, 110 e n, 128n, 137n, 153, 154, 165 e n, 167 e n, 169 e n, 173n, 175, 199, 200n, 223, 224, 233, 234, 235, 236, 240, 256, 269, 270n, 286, 287, 288, 289n, 290, 291n, 292n, 301, 302, 303, 304, 305, 306, 307, 308, 309 e n, 310, 312, 320, 329, 330n, 332 e n, 342, 357, 375, 379 e n, 380, 381 e n, 385 e n, 386n, 393 e n, 394n, 406, 407 e n, 408 Krizman Bogdan, 50n, 54n, 414n Krstelj Ivan, 8, 55, 188, 371, 385, 387n, 388 Krüger Peter, 382n Kudrijavcev Anatolij, 2n, 67n, 434n Kybal Vlastimil, 401n Lakatos# Joso, 430n Lampe John R., 50n, 248n, 435n Lana Clara, 268n Lanier Winslow Lawrence, 93n Lansing Robert, 54n, 69n Lanzetta, 367n Lanzilotti Mariantonietta, 2n, 362n Laroche Jules, 90n Ledeen Michael A., 148n Lederer Ivo J., 50n, 52n, 54n, 98n, 103n, 111n, 112n, 113n, 127n, 463 133n, 145n, 164n, 178n, 179n, 180n, 182n, 183n, 196n, 198n, 202n, 203n Leeper Reginald Willig Allen, 171n Lefebvre D’Ovidio Francesco, 401n, 402n, 409n, 413n Legatus vedi Roberto Cantalupo Levi Alessandro, 5n, 11n Link Arthur A., 38n Livakovic! Ivo, 367n Lloyd George David, 37, 38, 40, 46, 91 e n, 106 e n, 107, 108, 113, 114, 133, 138, 198, 386, 387 e n Lobasso Giuseppe, 128n Lobasso Vince, 162n Longo Luigi Emilio, 148n, 150n, 163n Lönne Karl-Egon, 177n, 194n Lorenzini Ester, 162n Lovric! Plavko, 64 Lubin Giovanni, 81, 83, 89, 109, 126, 127, 129 e n, 131 e n, 132 e n, 134, 135, 152, 165 e n, 232n, 287, 306n, 307 e n, 385 e n, 386n, 392, 393 e n, 394n Lubin Lorenzo, 152 Lubin Nicolò, 152 Lubin Rados, 152 Lucci, 404n Lucich Simeone, 223n Luciolli Ludovico, 311, 384n, 385n, 388n, 411n Lunt W. E., 104n Lupis-Vukic!, 8n Lusignoli Alfredo, 397n Luxardo famiglia, 374, 375 Luxardo Franco, VI Luxardo Nicolò, 9 Luxardo De Franchi, Nicolò, 9n, 374n, 417n Luzzatti Luigi, 111, 115 Lyttelton Adrian, 400n Macaus Enrico, 57 Macchi di Cellere Vincenzo, 29n, 37n, 39 e n, 41n, 112 Machiedo Jerko, 51, 54n, 65, 308 Machiedo/Macchiedo Luigi, 223n, 267, 300 464 INDICE DEI NOMI Machiedo Mladinic! Norka, 186n, 373n, 434n Madaffari Antonio, 329n Madirazza Francesco, 101n, 295n Maggioni, 403n, 404 e n, 405n, 406n Mahnic! Antonio, 57 e n Malagodi Olindo, 42n, 89n, 93n, 95n, 192n Malfer Stefan, 177n Mamatey Victor S., 32n, 38n, 40n, 43n Mandel Maurizio, 154, 221, 236, 241, 287, 300, 303 e n, 306, 307n, 375, 377, 378, 379 e n, 403, 404n Manfredi, 151 Mantica, 151 Mantoux Paul, 104n, 106n, 107n, 108, 112n, 113n, 116n Manzoni Gaetano, 220 e n, 249 e n, 250n, 269 e n, 270, 271 e n, 273, 274n, 275, 276 e n, 310 e n, 311 e n, 314 e n, 315 e n, 316 e n, 317 e n, 318 e n, 319 e n, 327, 328, 344, 350 e n, 351 e n, 352n, 357 e n, 359 e n, 384 e n, 388n, 389n, 422n Maracich famiglia, 422 Maranelli Carlo, 7n, 12n, 85n Marchi Antonio Marchi Nicolò, 223n Marchi Simeone, 223n Marcocchia Giacomo, 69n, 72, 83, 188 Marich/Maric famiglia, 438 Maric Giuseppe, 152 Maricich Luca, 223n Marincovich Carlo, 69n, 72 Marincovich Piero, 416n, 432 e n, 434n Marini famiglia, 438 Marini Marino, 152 Marini Michele, 152 Marini Spiridione, 152 Maroevich/Maroevic! Raimondo, 265, 429 e n Maroni Paolo, 151 Marotti Giovanni, 103 e n Marsan Giovanni, 380 Marsico Giorgio, 276n, 350n Martini Ferdinando, 89n Maserati Ennio, 185n Massagrande Danilo L., 210n, 256n, 277n, 318n, 321n, 340 e n, 397n, 409n Matkovic! Hrvoje, 51n, 248n May Arthur J., 8n, 9n, 32n, 50n, 52n Mayer Arno, 38n, 88n, 92n, 103n Mayer Bruno, 69n Mazzarella, 59n Mazzini Giuseppe, 13 Mazzoleni famiglia, 366 Mazzoleni Paolo, 128n Mc Dougall Walter, 96n Medovich Demetrio, 289n, 291n, 292n Melchionni Maria Grazia, 52n, 53 e n, 86n, 87n, 93n, 192n, 203n, 212n, 213n, 331n Meli Lupi di Soragna Antonio, 411n Menini Giulio, 74n, 75n, 76, 77n, 118n, 119n, 152n, 185 e n, 186 e n, 187 e n, 188 e n, 189 Mercalli, 57n Meriano Francesco, 418 e n, 419 e n, 427n, 428n Merlo Eugenio, 429 Metlic#ic! Stevo/Stefano, 51, 314, 354, 377 Mezes Sidney B., 103 Miagostovich famiglia, 366 Miagostovich Giovanni, 128 e n, 134, 136, 154, 162 e n, 163, 173, 230, 260n, 274 e n, 429n Miagostovich Vincenzo, 257n Micheletta Luca, 12n, 132n, 133n, 138n, 164n, 169n, 177n, 179n, 193n, 195, 196n, 214n, 335n, 339n, 340n, 341n, 352n, 382n Milcovich Ludovico, 9, 48 e n, 49 Milelli Guido, 384n, 387n Mileta monsignor, 367 Mileta Mattiuz Olinto, 6n Milic!, 188 Miller David Hunter, 45n, 112, 113 Millerand Alexandre, 195n, 198 Millicich famiglia, 375 Millo Anna, VII, 252n, 408n Millo Enrico, 58 e n, 59 e n, 60 e n, 61 e n, 62 e n, 63 e n, 64 e n, 65 e n, 66 e n, 69n, 71 e n, 72 e n, 73 e n, 74 e n, 75n, 87, 101 e n, 103n, 118 INDICE DEI NOMI e n, 128n, 133, 137 e n, 138n, 146n, 150 e n, 151n, 152n, 156 e n, 157 e n, 158 e n, 159 e n, 160, 161 e n, 162 e n, 163 e n, 164 e n, 171, 173 e n, 185n, 186n, 187n, 188n, 189 e n, 190n, 222 e n, 224, 227 e n, 228 e n, 229 e n, 230 e n, 231 e n, 232, 235, 236 e n, 237, 238, 241 e n, 242 e n, 257, 284n, 292 Milojevic!, 320 Mimica Boz#e, 372n Miofrag Giovanna, 246 Miotto Luigi, 2n Mira Giovanni, 115 e n, 336n, 339n, 397n, 400n Miros#evic! Franko, 438n Mirossevich Maria, 103n Mirossevich Matteo, 103n Mola Armando, 44 Mongiardini, 55n Monroy, 55 e n Montanari, 151n Monteleone Renato, 14n, 48n, 49n Monti Carlo, 57n, 214, 367 e n Monti Lorenzo, 2, 3 Monticone Alberto, 40n, 42n, 88n, 125n Monzali Luciano, 1n, 2n, 4n, 5n, 7n, 11n, 12 n, 14n, 16n, 17n, 18n, 19n, 20n, 22n, 43n, 78n, 85n, 108n, 125n, 242n, 253n, 254n, 285n, 410n, 417n, 435n Morich famiglia, 422 Moroni, 376, 377 e n, 378 e n, 385n, 393 e n, 394n, 437n Morozzo Della Rocca Roberto, 412n, 413n Morpurgo famiglia, 362 Morpurgo Anna, 362n Morpurgo Elio, 362 Morpurgo Eugenio, 362 Morpurgo Luciano, 362 e n Morpurgo Vito, 2, 3 Morpurgo Vittorio, 362 Mosca Rodolfo, 89n, 177n, 340n, 341n Moscati Ruggero, 401n Moscheni, 140, 341n Mosettig Ivan/Ivo, 430n Muhr Josef, 194n 465 Mussolini Benito, 82 e n, 219 e n, 255 e n, 299, 304, 331 e n, 339, 364n, 397 e n, 399, 400 e n, 401 e n, 402 e n, 403 e n, 404 e n, 405 , 406 e n, 407 e n, 408, 409, 410, 411n, 412, 413, 414, 416, 422n, 426n, 430n, 433, 434n Nani Giulio, 152 Nani Umberto, 83, 288, 303 e n, 411n Nardelli Anne-Sophie, 91n Nathan Ernesto, 11, 12, 80 Negrotto Cambiaso Lazzaro, 423n Nesti, 340n Niblack, 75 Nicola, re del Montenegro, 33, 34 Nicoletti famiglia, 366 Nicoletti Tullio, 128n, 173n, 260n, 274 e n, 287, 364, 391 e n, 417, 418 Nicolson Harold, 91n Nigro Jr Louis John, 92n Nincic!/Nincich Momchilo, 317, 384, 385, 386, 387 e n, 388, 402 e n Nitti Francesco Saverio, 40, 42, 58, 87, 88 e n, 115, 125 e n, 126, 133, 134, 136, 137n, 139, 143 e n, 144 e n, 145 e n, 149, 156 e n, 157 e n, 158 e n, 161 e n, 164, 169 e n, 170, 177 e n, 178 e n, 179, 180 e n, 181 e n, 183 e n, 184, 193, 194, 198, 218, 223, 254n, 255n, 340, 382 Nordio M., 368n Notarbartolo Leopoldo, 55 e n Novach famiglia, 438 Novak Grga, 4n, 277n Novak Slobodan Prosperov, 15n Nunes Franco, 150n Nutrizio Luigi, 73n, 83 Odenigo/Hodnig Armando, 78n, 80n, 231 Ojetti Ugo, 12n Orlando Vittorio Emanuele, 13, 41, 42 e n, 44, 45, 47n, 49 e n, 52, 56, 70, 71 e n, 72n, 86 e n, 87, 88 e n, 93 e n, 94 e n, 95 e n, 99, 104, 105, 106, 110, 111, 114 e n, 115, 126, 191, 388n, 389n, 395 e n 466 INDICE DEI NOMI Ostoja famiglia, 438 Ostrogovich famiglia, 422 Ozretich, 152 Page Thomas Nelson, 69n, 70n, 80n, 88n Pagliano, 397n Palcich Giorgio, 57 Palcich Paoli Germano, 160n Palombo Francesco, 246 Pantaleoni Maffeo, 218, 306 Pappucia Remo, 307n Paratore Giuseppe, 396n Parenta Milos, 65 Paresce Gabriele, 411n Pas#ic!/Pasich Nikola, 25 e n, 30, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 179, 183, 198, 249, 269, 311, 317, 319, 350, 388, 409 Pastorelli Pietro, VII, 10n, 30n, 87n, 89n, 179n, 197n, 352n, 401n, 410n, 413n Paulucci, 34n Pavcovich Giovanni, 438 Pavelic! Ante, 414 Pavlowitch Stevan K., 51n, 248n Pavone Giuseppe, 189 Perathoner Julius, 396 Perfetti Francesco, VII, 11n, 30n, 148n, 304 e n Peric! Ivo, 2n, 3n Perich Ernesto, 292n Perlini Giuseppe, 287 Perlini Marco, 59n, 62n, 287, 374n Perman D., 91n Perucich famiglia, 438 Pesavento Giuseppe, 378n Perselli Guerrino, 6n, 285n Persicalli Arturo, 287 Persicalli Ascanio, 287, 408, 411 e n Pervan Edoardo, 68, 69n, 72, 76, 102, 118 e n, 119n, 154, 289 Petracchi Giorgio, 31n, 41n, 89n, 177n, 339n, 382n Petricich, 152 Petricioli Marta, 111n, 341n Petricioli Roberto, 303, 306, 307n, 377 Petrinovic! Ivo, 3n, 26n, 33n, 414n Petris, 56 Petrovic! Rade, 3n Petrovich Michael Boro, 10n Pettorelli Lalatta /Finzi Cesare, 172 Pezzoli Carlo, 83, Pezzoli Enrico, 15, 288 Pezzoli Leonardo, 8, 68, 69n, 72n, 76, 102, 118 e n, 119n, 128, 129n, 134, 135, 136, 188, 274 e n, 275 e n, 284n, 287, 312n, 326 e n, 337, 342 e n, 355, 356, 357, 359 e n, 360, 361n, 385, 391 e n, 408, 411, 424, 425n, 426, 428n, 429n Piazza, 64 e n Picconelli, 62n Pichon, Stephan-Jean-Marie 87n, 90 e n, 95n Pierallini, 190n Pietro re Karadjordjevic!, 274 Pini Luigi, VI, 4, 109, 128 e n, 129 e n, 162 e n, 165 e n, 173n, 222, 230, 232n, 233, 235, 257, 259 e n, 260 e n, 287, 364, 408, 416, 418 Pirjevec Joz#e, 50n, 184n, 215n, 248n, 249n, 252n, 414n Pisa Beatrice, 5n, 11n, 12n Pitacco Giorgio, 11n, 109 Pizzigallo Matteo, 382n, 401n Plenc#a Dus#an, 60n Po Guido, 58n Poduje Gustavo, 9 Poduje Luca, 83 Pojani Carlo, 128n Poincaré Raymond, 96 e n, 409n Polk Frank, 168 e n Popovic! Tihomir, 310, 317, 319, 350, 351 Preziosi Giovanni, 306 Prezzolini Giuseppe, 12, 13 e n Pribicevic! Svetozar, 249 Price Bell Edward, 93n Prinetti Giulio, 193 Pulis#ic! Vincenzo, 265, 292 Pupo Raoul, 414n Quaroni Pietro, 193n Quartieri Ferdinando, 311, 315, 317, 318 e n, 319 e n INDICE DEI NOMI Radic!/Radich Stjepan, 184, 248, 249, 250 Radica Bogdan, 2n Radizza famiglia, 438 Rados Andrea, 69n, 72 Radovani Trifone, 403, 406 e n Randi Oscar, 4n, 9n, 25n, 47n, 48n, 49n, 62n, 99n, 100n, 109n, 110n, 111n, 114n, 115n Ratyè Jean-Etienne-Charles-Marcel, 75 Rava Luigi, 80 Razza Antonello, 433n Reich famiglia, 429 Renzi William A., 10n Riboli Alfredo, 69n, 72, 424, 426 Ribot Alexandre, 89n Riccardi Luca, VII, 7n, 14n, 29n, 30n, 31n, 37n, 38n, 48n, 89n, 97n, 100n, 108n, 111n, 126n, 132n, 139n, 179n, 198n, 200, 202n, 203n, 206n, 217n, 289n, 310n, 312n Ricciardi Elio, VII, 244n Ricci Buratti Arturo, 120n, 200n Rigatti, 303 e n, 307n, 376 Righetti, 350 e n, 385n, 388n Rigoli Carlo, 149n Rismondo Francesco, 9 Rocco Alfredo, 218 Rocco Guido, 260n, 261 e n, 262 e n, 263, 264, 265 e n, 273, 277n, 294 e n, 295n, 319, 320n, 321 e n, 322 e n, 324n, 364 e n, 437n Roccucci Adriano, 11n, 19n, 78n, 149n, 217n, 253n Rodd James Rennell, 38, 89n, 125n, 178n Roddolo Marcello, 74 e n, 295n, 374n Rolandi Ricci Vittorio, 339n Romano Sergio, 126n, 198n Romano Avezzana Camillo, 29n, 34 e n Rombo Ugo, 75, 76 Romizi, 424n Roncagli Giovanni, 281n, 306 e n, 388 e n, 410, 411n Rosandich, 152 Roselli Alessandro, 413n Rossi Aldo, 189 Rossini Daniela, 40n, 92n 467 Rossini Giuseppe, 32n Rothwell, V. H., 31n, 32n, 91n Rovaro Brizzi Egidio, 154, 300, 380 Rubic! Ivo, 363n, 420n, 421 e n, 430n, 434, 434n, 435n Ruggeri Carlo, 79, 259 e n Rumi Giorgio, 389n Rusinow Dennison I., 190n, 210n, 414n Ruspoli Mario, 137 e n Russo Mario, 407n Ruzzier Umberto, 428n Rybar/Ribarz#, 312, 313, 314, 316, 318, 340, 350, 384n, 388n Sachs-Petrovic! Vladimir, 175 Sadkovic! James J., 414n Sagrestano, 439 Saint-Aulaire Charles de, 382n Saiu Liliana, 40n, 92n Salandra Antonio, 11, 12, 47 e n, 92 e n, 99, 191, 330 e n, 335 e n, 336, 339, 379n Salata Francesco, 51n, 97, 100n, 101n, 103n, 112n, 118n, 120, 121 e n, 126 e n, 127 e n, 131n, 134, 135n, 139 e n, 140 e n, 141, 142, 144, 146n, 175, 178n, 180, 181n, 199, 200, 203, 204n, 205, 208, 209, 217 e n, 223n, 224 e n, 230n, 234n, 241n, 242n, 256 e n, 260n, 262n, 273, 275 e n, 279, 288n, 289 e n, 290n, 291n, 292n, 293 e n, 294n, 295n, 302n, 303 e n, 306n, 307n, 309 e n, 310n, 312 e n, 313 e n, 314 e n, 315n, 316 e n, 319, 340 e n, 342n, 344 e n, 346n, 350n, 374n, 376n, 381n, 385n, 386, 404, 429n Salghetti Drioli famiglia, 15, 374, 375 Salghetti Drioli Francesca, 408n Salghetti Drioli Francesco, 374n Salghetti Drioli Giovanni, 287, 407, 411 en Saluzzo, 314n Salvago Raggi Giuseppe, 36n, 99, 112 Salvatorelli Luigi, 115 e n, 336n, 339n, 397n, 400n Salvemini Gaetano, 7n, 12 e n, 13, 22n, 44 e n, 45 e n, 47n, 85 e n, 86 e n, 468 INDICE DEI NOMI 88n, 216, 217n, 251n, 400n Salvi Beniamino, 3n, 26n Salvi Ercolano, 4, 8, 64 e n, 81, 83, 84 e n, 85, 89, 109, 110 e n, 126, 134, 135, 136, 161 e n, 165 e n, 188 e n, 200, 234 e n, 288 Salvi Uros, 288 Sanminiatelli Donato, 16n, 17, 80 Santic Vincenzo, 152 Santini Gualtiero, 244n Santoro Stefano, 212n Santucci Carlo, 167, 168n Sarlo, 59n Savo famiglia, 429, 430 Savo signorina, 419n Savo Doimo, 424, 426 Savo Giovanni, 274, 275n Savo Giuseppe, 8, 83, 430 Savo Riccardo, 69n, 76 Scaduto Gioacchino, 385n Scarpa, 260 Schanzer Carlo, 367n, 381, 382 e n, 383, 384n, 386, 387 e n, 388n, 389 e n, 390n, 391, 393n, 395 e n, 396 e n, 397 e n, 401n Schödl Günther, 3n, 7n, 24n Schuster Peter, 30n Scialoja Vittorio, 17, 128 e n, 132 e n, 143n, 145 e n, 165n, 177 e n, 180, 183 e n Sciortino Nicolò, 423n Sciti, 389n, 392n, 393n, 394n Scodnik Enrico, 17 e n, 47n, 80 Scottà Antonio, 40n, 42n, 57n, 214n Sechi Giovanni, 63n, 126, 128n, 158 e n, 188n, 203, 239n Segre Guido, 408n, 418n, 436n, 437n, 440n Selem Alessandro, 72 Selem Stefano, 68, 76, 83, 274, 275n, 326, 391, 392 e n, 407n, 424, 426 Semi Francesco, 4n, 15n Senjanovic! Petar, 375n Æepic! Dragovan, 3n, 25n, 26n, 29n, 32n, 33n, 36n, 44n, 50n Serra Enrico, 177n, 193n Seton-Watson Christopher, 30n Seton-Watson Hugh, 30n Seton-Watson Robert, 8n, 16 e n, 26 e n, 30 e n, 31, 44, 45n Seveglievich Ernesto, 69n Seymour Charles, 112n Sforza Carlo, 30 e n, 32 e n, 34 e n, 35 e n, 36n, 37 e n, 41 e n, 57n, 151n, 156n, 161, 169, 170n, 175, 191, 192 e n, 193 e n, 194, 195 e n, 196, 197 e n, 198, 199 e n, 200 e n, 202, 203 e n, 204 e n, 205 e n, 206 e n, 207 e n, 208n, 209n, 210, 212 e n, 213 e n, 214 e n, 216 e n, 220n, 221, 222, 227, 232n, 239 e n, 241n, 247n, 249n, 260n, 261n, 265n, 269 e n, 271 e n, 273, 274n, 275, 276 e n, 287n, 288n, 310n, 311 e n, 316n, 318 e n, 319 e n, 320, 321 e n, 322n, 326, 327, 329, 330 e n, 331 e n, 332, 333 e n, 334 e n, 335 e n, 336 e n, 337, 339 e n, 340 e n, 341, 346, 352, 384n, 400, 401, 404, 437n Sherman Miles, 64n Shorrock William I., 409n Siciliani, 228, 229, 230 Sillani Tomaso, 11 Silva Pietro, 12 e n, 13 e n, 44 Silvestri Claudio, 190n Singleton Fred, 435n Sinigaglia Oscar, 111, 149 Skirmunt, 213n Smerchinich famiglia, 438 Smerchinich Michele, 438 Smerchinich Stefano, 134, 136, 165 e n Smirich E., 385 e n Smith Llewellyn Michael, 108n Smodlaka Josip, 2n, 8, 24, 67 e n, 69, 167 e n, 186, 247, 434 Smolc#ic! Vincenzo, 55, 65 Solmi Arrigo, 80n, 148n, 149n, 180n Sonnino Sidney, 10n, 11, 12 e n, 13, 14n, 16n, 21n, 22n, 28 e n, 29 e n, 30n, 31n, 32n, 33 e n, 34 e n, 35 e n, 36 e n, 37 e n, 38 e n, 39 e n, 40, 41 e n, 42, 45, 46 e n, 47n, 49, 52, 70 e n, 73n, 86 e n, 87 e n, 88 e n, 92, 93, 94 e n, 95 e n, 99, 104 e n, 105, 106, 107n, 109, 110, 111, 114, 115, 123, 125, 126, 191 INDICE DEI NOMI Soppelsa Giancarlo, 4n Soragna vedi Meli Lupi Sore famiglia, 438 Spalajkovic! Miroslav, 25 e n Spector, Sherman David, 91n Sporti Gaetano, 381n Sportiello, 55 Spriano Paolo, 251n Squillante Giovanni, 61n Squitti Nicola, 28 e n Staderini Alessandra, 149n Staffetti Carlo, 419n, 440 e n Stallo, 61n Steed Henry Wickham, 16, 26, 30 e n, 31 e n, 44 Stoijc! Marco, 55 Stojanovic! Kos#ta, 203 Stokes Gale, 26n Storelli, 439n Stovall Pleasant Alexander, 54n, 69n Stranieri Augusto, 117, 139, 140 e n, 141 e n, 142 Strojan Antonio, 152 Sturzo Luigi, 255, 309 Subotic! Nikola, 65 Summonte Consalvo, 250n, 393n, 432n Supilo Frano, 3n, 26 e n, 33 e n, 34 Suvich Fulvio, 332n, 393 e n, 394 e n Svircich Spiridione, 57 Swire Joseph, 197n Tacconi famiglia, 429 Tacconi Antonio, VI, 15n, 68 e n, 69n, 72n, 76, 102, 118 e n, 119n, 274 e n, 275 e n, 284n, 287, 312n, 326 e n, 337, 342 e n, 343, 344 e n, 345, 346, 355, 356, 357, 359 e n, 360, 361n, 385, 391 e n, 392 e n, 393 e n, 394 e n, 406 e n, 408 e n, 411 e n, 418 e n, 421 e n, 424, 426, 427 e n, 429n, 430, 433, 438 e n Tacconi Edoardo, 2 Tacconi Ildebrando, 4n, 15n, 68n, 77n, 154n, 155n, 160n, 237n, 244n, 287, 288, 379 e n, 417 e n Tacconi Vanni, VII, 2n, 4n, 417n Tadich Allina, 103n Tadich Ferdinando, 103n 469 Talpo Gustavo, 408 Talpo Ljubo/Amato, 8, 287, 430 Talpo Oddone, 283n, 403n, 417n Tamajo Corrado, 411n Tamaro Attilio, 1n, 15, 16 e n, 17 e n, 19, 32n, 44n, 51n, 54n, 56n, 57n, 172n, 203n, 221 e n, 222, 225 e n, 226, 230n, 232 e n, 236 e n, 239n, 240, 241 e n, 253 e n, 254 e n, 255, 283 e n, 329n, 330 e n Tamborra Angelo, 12n, 29n, 40n, 42n Taranto, 237, 238 e n, 239 e n, 240, 241, 256, 257, 258n, 259 Tardieu André, 113, 114 Tartaglia famiglia, 327 Tartaglia Ivo, 24, 67, 186 e n, 188, 362, 434, 436 Tartaglia Renato, 362, 363n Tasso Antonio, 277 Thaon di Revel Paolo, 14n, 57, 58 e n, 71 e n, 72n, 73n, 87 e n, 126, 219 e n Tillman Seth P., 91n Tittoni Tommaso, 28n, 29 e n, 111, 115, 125 e n, 126 e n, 127, 128 e n, 129, 130, 131 e n, 132 e n, 133, 134, 134, 136, 138, 139, 142, 143 e n, 144 e n, 149, 156, 161, 164, 165 e n, 166, 168 e n, 169 e n, 170 e n, 171, 177, 382 Tolomeo Rita, 283n, 341n, 408n Tomasi Della Torretta Pietro, 339 e n, 340 e n, 341, 342, 349 e n, 351, 352, 358 e n, 359 e n, 361 e n, 384n Tommaseo Nicolò, 162, 257 Tommasini Francesco, 126n, 213n, 340n, 341 e n Tonc#ic! Giuseppe, 65 Toniatti Alfredo, 303, 307n Tornielli Giuseppe, 193 Torre Andrea, 41, 44, 49 Toscano Mario, 10n, 25n, 26n, 27n, 28n, 29n, 89n, 108n, 116n, 213n Tosi Luciano, 14n Tosti di Valminuta Fulco, 297, 298 e n, 299n, 340, 342n, 382, 384, 385n, 387n, 388n, 389n, 390n, 393 e n, 394 e n, 395n Trabalza Ciro, 392n 470 INDICE DEI NOMI Tramontana famiglia, 438 Tranfaglia Nicola, 337n Tres#ic! Pavic#ic! Ante, 247 Trigari Remigio, 287 Troiani, 300, 377 Trumbic! Ante, 3n, 24n, 26 e n, 32, 33 e n, 34, 44, 45, 49, 84, 113, 179, 180, 181, 182, 186, 197, 198 e n, 203, 204, 205, 206, 208, 209, 210, 247, 249, 340, 388 Turati Filippo, 255n, 332 e n, 336 Uccelli Michele, 261 Udina famiglia, 422 Umiltà Carlo, 325 e n, 326n, 328, 329n, 346, 347 e n, 349 e n, 353 e n, 354n, 355 e n, 356n, 357, 358n, 359 e n, 360 e n, 363n, 373n, 377 e n, 385n, 390 e n, 401n, 402n, 411n, 426n, 428n, 430n, 432n, 437n Urbanitsch Peter, 3n Uroda Pietro, 232n Vaccari Pietro, 417 Vacchelli Nicolò, 273 Valenti Rodolfo, 101n Valeri Nino, 148n, 191n Valiani Leo, 10n, 12n, 25n, 26n, 28n, 31n, 32n, 33n, 42, 44n, 45n Vallauri Carlo, 191n, 197n Valle Giuseppe, 73n Vallery Tullio, VI, 54n, 80n, 148n, 151n, 155n, 160n Vannutelli De Rey Vincenzo, 292n Varé Daniele, 395n Varisco Giorgio, VII Venanzi Paolo, 148n Veneruso Danilo, 31n, 339n, 382n Verban Vittorio, 302, 377, 380 Vesnich/Vesnic! Milenko, 150n, 198, 203, 209 Vettori Vittorio, 74n, 232, 301, 306 Vidossich, 394n Vigevano Attilio, 150n, 151n, 228 e n, 229 e n, 230 e n, 232n, 241 e n Vinzi famiglia, 438 Vinzi Giacomo, 232n Viola Guido, 385n, 422n Visconti Venosta Giovanni, 387n Visintin Angelo, 252n Vitetti Leonardo, 180n Vittoria Albertina, 15n Vittorio Emanuele III di Savoia, 214 e n, 228, 229 e n, 372 Vivarelli Roberto, 12n, 29n, 42n, 82n, 400n Vladovich Arnaldo, 440 Vlahov famiglia, 375 Vojnovic! Lujo, 8 Volpi Giuseppe, 78, 198, 199 Voltolini Giuseppe, 424 Vosilla/Vozila famiglia, 438 Vosilla/Vozila Giacomo, 152 Vrandec#ic! Josip, 1n Vucassovich Riccardo, 246n Wandruszka Adam, 3n Wandycz Piotr, 213n Weiss Edmondo, 440 e n White Stephen, 382n Wildauer Federico, 283n, 284n, 285n, 292, 293n, 295n, 296, 297, 346n, 375n Wilfan Josip, 331 e n, 332 Wilson Woodrow, 37, 38 e n, 39, 40, 46, 88 e n, 92, 93 e n, 94 e n, 103, 105, 106, 107, 113, 114 e n, 115, 130, 153, 169, 170, 171, 178, 182, 195, 198, 202, 204 Young Charles Alban, 190n, 197n, 214n Zaccagnini, 16n Zanella Riccardo, 383 Zanettich famiglia, 438 Zeman Zybnék A., 32n, 38n Ziliotto Giuseppe, 4n, 243n, 244n, 408 Ziliotto Luigi, VI, 4 e n, 8, 51 e n, 53n, 54, 57 e n, 68, 70 e n, 84, 109, 128 e n, 129 e n, 130, 131 e n, 132 e n, 134, 135, 136, 137n, 153, 154, 155 e n, 165, 166n, 167 e n, 169 e n, 173n, 175, 178 e n, 181 e n, 182 e n, 198, 200, 201 e n, 205, 223, 224, 233, 234 e n, 235 e n, 236, 240 e n, 242 e n, 243 e n, 244, 245, 246, 286, INDICE DEI NOMI 287, 288, 289 e n, 290 e n, 291n, 293 e n, 294, 301, 303, 304 e n, 306 e n, 307 e n, 312, 375, 378, 379, 380, 381, 406 Ziliotto Luigi (sindaco di Zara), 381n, 408n, 417n Zimolo Michelangelo, 221, 236, 300, 471 375, 377, 379 e n ºivojinovic! Dragan R., 32n, 64n, 65n, 71n, 77n, 92n Zizak Giuseppe, 152 Zogolli Ahmed/Zogu, 197, 412, 413 Zoli Corrado, 172n, 216n, 218n, 226, 231, 232 e n, 253 473 INDICE GENERALE INDICE GENERALE Introduzione ....................................................................................... p. V Elenco dei fondi archivistici, delle raccolte documentarie e delle abbreviazioni .......................................................................... » IX I. GUERRA DIPLOMATICA PER L’ADRIATICO ORIENTALE. GLI ITALIANI DI DALMAZIA E LA POLITICA ESTERA ITALIANA DALL’INTERVENTO ALLA FIRMA DEL TRATTATO DI VERSAILLES 1.1. Gli italiani di Dalmazia e l’irredentismo politico durante la guerra ....................................................................................... 1.2. La Dalmazia e la questione iugoslava nella politica europea durante la prima guerra mondiale ................................................ 1.3. Un difficile dopoguerra. L’occupazione italiana della Dalmazia settentrionale ................................................................ 1.4. La città irredenta. Le lotte politiche e nazionali a Spalato nel 1918 e 1919 ............................................................................ 1.5. Il dibattito politico italiano sulla Dalmazia .......................... 1.6. La questione dalmatica alla Conferenza della Pace di Parigi (gennaio-giugno 1919) .................................................. 1.7. Il problema della protezione degli italiani nella Dalmazia iugoslava e i trattati per la tutela delle minoranze in Europa centro-orientale ........................................................... II. TRA NITTI E D’ANNUNZIO. GLI ITALIANI DI DALMAZIA E LA LOTTA PER ZARA ITALIANA (LUGLIO 1919-MAGGIO 1920) 2.1. I dalmati italiani e il governo Nitti di fronte al progetto dello Stato libero dalmatico ......................................................... 2.2. La rinuncia dell’Italia a tutelare gli italiani di Dalmazia nel trattato di protezione delle minoranze in Iugoslavia ............. 2.3. Il movimento dannunziano e la questione dalmatica ........... 2.4. Tommaso Tittoni, i dalmati italiani e i negoziati adriatici nell’autunno 1919 ........................................................................ 2.5. D’Annunzio, i dalmati italiani e il progetto della Lega delle città marine .......................................................................... 2.6. La lotta per Zara italiana ....................................................... 2.7. La situazione politica a Spalato e nella Dalmazia iugoslava fra il 1919 e il 1920 ..................................................................... » 1 » 25 » 50 » » 67 78 » 89 » 116 » 125 » 139 » 148 » 164 p. 171 » 177 » 184 474 INDICE GENERALE III. IL TRATTATO DI RAPALLO E IL PRIMO ESODO ITALIANO DALLA DALMAZIA 3.1. Giolitti, Sforza e la genesi del trattato di Rapallo ................ » 3.2. Una vittoria amara. Gli italiani di Dalmazia di fronte al trattato di Rapallo ..................................................................... » 3.3. Due Stati deboli e divisi. Le lotte politiche e nazionali nel Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e in Italia negli anni Venti ..... » 3.4. L’inizio dell’applicazione del trattato di Rapallo: la consegna della prima zona e l’esodo italiano dalle isole dalmate ............... » 3.5. La difficile ricostruzione. I problemi economici e politici di Zara italiana ............................................................................. » 3.6. Liberali contro nazionalisti e fascisti: le elezioni parlamentari a Zara nel maggio 1921 .......................................... » 3.7. I colloqui italo-iugoslavi di Roma e Belgrado (aprile-giugno 1921) .................................................................... » 3.8. L’evacuazione della seconda zona Dalmata e l’esodo italiano da Sebenico ..................................................................... » 3.9. Le polemiche sulla Dalmazia e la caduta del governo Giolitti-Sforza .............................................................................. » IV. GLI ITALIANI DI DALMAZIA DI FRONTE ALLA CRISI DELL’ITALIA LIBERALE E ALL’AVVENTO DEL FASCISMO 4.1. Il governo Bonomi-Della Torretta e gli italiani della Dalmazia iugoslava di fronte alla questione delle opzioni .......... 4. 2. La minoranza italiana a Sebenico dopo l’esodo del 1921 ... 4.3. Il Municipio contro la Nazione? Le lotte politiche a Zara fra il 1921 e il 1922 ............................................................. 4.4. Facta, Schanzer e gli accordi di Santa Margherita ............... 4.5. Gli italiani di Dalmazia e l’Italia fascista: alcune proposte interpretative ................................................................. 4.6. La comunità italiana di Veglia .............................................. 4.7. Il declino. Gli italiani di Spalato dopo il trattato di Rapallo ..................................................................................... 4.8. Le comunità italiane nella Dalmazia centro-meridionale ..... 191 220 247 255 283 300 310 320 326 » 339 » 364 » 374 » 381 » 400 » 420 » 424 » 436 Appendice: 1. Cartine ....................................................................................... p. 441 2. Fotografie .................................................................................. » 447 Indice dei nomi .................................................................................. » 457